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Gli studi di diritto sindacale hanno lo stesso oggetto di un’altra disciplina che sorta e
sviluppatasi nei paesi anglosassoni ha preso il nome di RELAZIONI INDUSTRIALI.
Questo accade quando si ritiene che solo un ampio consenso sociale possa garantire 3
alla legge un tasso sufficientemente elevato di osservanza spontanea ovvero quando
l’autorità politica vuole garantirsi un PREVENTIVO CONSENSO mediato dalle
organizzazioni sociali.
EX. Accordo tra Governo e sindacati che nel 2007 ha preceduto l’emanazione della
legge 24/12/2007 n.247
In conclusione il diritto sindacale poggia la sua effettività sulla
- costanza del consenso sociale;
- Opera di mediazione politica che contribuisce a dare stabilità e continuità.
Quindi vi è una rilevante analogia con il diritto internazionale e con il modo di
operare delle organizzazioni internazionali nei conflitti tra Stato dove, anche se la
norma è garantita da sanzioni, la loro irrogazione o esecuzione passa attraverso una
mediazione politica.
4. ASTENSIONE LEGISLATIVA E RUOLO DELA DOTTRINA
Dopo l’abrogazione dell’ordinamento corporativo (1926 – 1944) e l’emanazione della
Costituzione del 1948 che ha introdotto i PRINCIPI FONDAMENTALI:
- La libertà sindacale art.39;
- Il diritto di sciopero art. 40
In Italia, per un lungo periodo il legislatore si è astenuto dall’intervenire in materia di
rapporti sindacali.
Solo dopo 20 anni è stata emanata la legge del 20/05/1970, il c.d. STATUTO DEI
LAVORATORI che contiene le norme sulla:
- Tutela della libertà e dignità dei lavoratori;
- Libertà e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro.
Poi è necessario far riferimento alla legge 12/06/1990 n.146 sullo sciopero nei
servizi pubblici essenziali.
Con il passare del tempo poi vi sono stati altri interventi legislativi che si sono
occupati sono della materia per aspetti e per settori particolari e non per
l’ARCHITTETTURA DEL SISTEMA.
Possiamo quindi dire che le relazioni industriali sono rette da un ordinamento che
prende il nome di ORDINAMENTO INTERSINDACALE.
ORDINAMENTO SINDACALE ci consente di leggere le costanti di comportamento
tipiche di ogni sistema di relazioni industriali come effetto dell’applicazione di norma
a prescindere dall’eventuale esistenza e dal significato di norme proprie
dell’ordinamento statale aventi lo stesso oggetto.
EX. l’ammissione o meno di un sindacato alle trattative per la stipulazione di un
contratto collettivo o l’inclusione o meno di una certa materia nelle stesse non sono
oggetto di norme valide dall’ordinamento dello stato e sono per quest’ultimo dei 5
comportamenti indifferenti.
Questo non toglie che siano oggetto di valutazioni normative nell’ordinamento
intersindacale per cui l’esclusione o l’inclusione di un sindacato dalle trattative o il
rifiuto di trattare su certi temi può essere valutato in questo ambito come
comportamento scorretto o illecito che può dare origine a delle sanzioni.
Può anche accadere che la stessa materia sia regolata da norma dell’ordinamento
statale e intersindacale.
Finché le 2 valutazioni normative coincidono non vi sono problemi.
Quando non vi è alcuna coincidenza, si crea un CONFLITTO DI LEALTÀ che rende
infettiva la norma di entrambi gli ordinamenti, nonostante la sua validità per
l’ordinamento a cui appartiene.
Può anche accadere che le due valutazioni normative anche se diverse non siano
in conflitto: quello che per un ordinamento risulta obbligatorio, per un altro può
rientrare nella sfera di mera libertà.
EX. il contratto collettivo è per l’ordinamento giuridico dello Stato un contratto
regolato come gli altri dal titolo II del libro IV del c.c.
Nell’ambito delle relazioni industriali e dell’ordinamento intersindacale è qualcosa di
ben più importante è l’atto fondamentale che regola i rapporti tra imprenditori e
sindacati e assolve alla stessa funzione di normazione astratta e generale che la
legge svolge nell’ordinamento statale.
EX. Accordi triangolari tra parti sociali e governo nei quali quest’ultimo si assume
l’impegni di introdurre determinate norme legislative.
Tale impiego, sul piano dell’ordinamento dello stato non può vincolare la volontà
sovrana del Parlamento tuttavia non può solo per questo, dirsi privo di valore
giuridico nell’ordinamento intersindacale avendo un peso rilevante negli equilibri di
quest’ultimo.
LA FUNZIONE DELLA NOZIONE DI ORDINAMENTO INTERSINDACALE la nozione di
ordinamento intersindacale assolve ad una importante funzione conoscitiva: senza di
essa la parte più significativa della dinamica delle relazioni sindacali non sarebbe
conoscibile dal punto di vista giuridico.
I canoni di valutazione di un ordinamento giuridico diverso da quello statuale
possono esplicare, se dotati di effettività, una decisiva influenza sulla cultura e
l’ideologia dell’interprete, del legislatore o delle parti stipulanti.
Tale principio si contrappone a quello che fu proprio del sistema corporativo fascista 10
(1926-1944) che prevedeva un sistema di composizione degli interessi collettivi
estraneo ad una libera, diretta ed attiva partecipazione dei soggetti interessati.
Nel nostro ordinamento democratico, la facoltà di agire a tutela e a promozione degli
interessi che nascono dal lavorare in favore di un’organizzazione altrui viene
attribuita agli stessi soggetti che ne sono portatori, come esplicazione della loro
posizione di libertà.
Ad essi viene riconosciuta la facoltà di coalizzarsi al fine di provvedere alla tutela
dei propri interessi, scegliendo, nell’esercizio della proprio autonomia, i mezzi a tal
fine più congrui.
Il diritto di organizzarsi liberamente, sancito nell’art.39 della Cost. si esplica come
diritto soggettivo pubblico di libertà, inibendo allo Stato di compiere atti che
risultano lesivi di tale libertà.
La norma oggetto d’esame però oltre a valere nei rapporti con lo Stato, vale anche
nei rapporti intersoggettivi privati infatti, le forme più vistose di manomissione
della libertà sindacale possono riscontarsi ancor prima che nei rapporti tra i singoli e
lo Stato, in quelli tra i lavoratori e i datori di lavoro.
A tal fine, il legislatore con lo Statuto dei lavoratori del 1970 avvertì la necessità di
consolidare il PRINCIPIO DELLA LIBERTA’ SINDACALE nei rapporti inter privati
2. LA LIBERTÀ DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE – LIBERTA SINDACALE
Dal confronto dell’art. 39 comma 1 con l’art.18 della Cost. emergono delle
precisazioni:
a. Il riconoscimento della libertà di associazione contenuto nell’art.18 non è
INCONDIZIONATO esso viene meno quando l’associazione persegue fini
vietati ai singoli dalla legge penale.
b. Il fine sindacale è tipizzato e riconosciuto come lecito dall’art.39 e quindi non
può essere vietato da una legge penale ordinaria.
Inoltre una marcata differenza emerge anche dall’utilizzo di termini diversi come:
c. ASSOCIAZIONE nell’art.18 Cost.;
d. ORGANIZZAZIONE nell’art. 39 Cost. esso implica una nozione più ampia del
fenomeno sindacale, tale da comprendere anche forme organizzative diverse
da quelle associative purché idonee a ricevere la qualificazione di SINDACALI.
3. LA NORMATIVA DELL’UE
L’ordinamento dell’Ue è distinto da quello degli stati membri e detta una normativa
- ampia e ricca in materia di rapporti economici e commerciali;
- meno ampia in materia di rapporti di lavoro e rapporti collettivi di lavoro.
Infatti, la Carta dei diritti fondamentali, sottoscritta a Nizza il 7/12/2000 contempla
nell’art.12 la libertà sindacale ma come semplice libertà di associazione la norma
infatti è finalizzata a tutelare la libertà sindacale e la menzione del fine sindacale ha
una funzione esemplificativa.
Tali convenzioni furono approvate, la prima nella 31esima sezione e la seconda nella
sezione successiva, riguardano la materia della libertà sindacale sotto 2 distinti
profili:
La convenzione n.87 si intitola “LIBERTÀ SINDACALE” garantendola nei
confronti dello Stato.
Tale convenzione dispone che i lavoratori e i datori di lavoro hanno diritto di
costituire, senza autorizzazione preventiva da parte dello Stato, organizzazioni
sindacali e di aderire alle stesse.
Esclude che le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro possano essere
sottoposte a provvedimenti amministrativi di scioglimento o di sospensione.
La convenzione n.98 si intitola “DIRITTO DI ORGANIZZAZIONE E DI
CONTRATTAZIONE COLLETTIVA” garantendola anche nei rapporti inter privati.
Tale convenzione stabilisce che i lavoratori devano godere di un protezione adeguata
contro qualsiasi atto di discriminazione antisindacale posto in essere da parte dei
datori di lavoro.
La stessa garanzia è riconosciuta anche per le organizzazioni sindacali, prevedendo
illecito ogni atto di ingerenza di un’associazione do datori di lavoro nei confronti
delle associazioni dei lavoratori e viceversa.
NBtale convezione afferma che l’ATTIVITA’ SINDACALE è distinta dalla libertà di
costituire associazioni o di aderirvi.
A queste convenzioni se ne aggiungono altre che riguardano settori particolari.
Nell’ambito dell’ONU il 16/12/1966 è stato stipulato il PATTO INTERNAZIONALE
SUI DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI il quale prevedeva ‘impegno per gli
Stati di garantire oltre la libertà sindacale anche il diritto di sciopero.
Nell’ambito europeo vanno menzionate:
- CEDU Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali del 1950;
- La carta sociale europea nella quale non solo viene ribadito il principio di
libertà dell’organizzazione sindacale ma lo stesso viene coerentemente svolto
nel riconoscimento del diritto alla contrattazione collettiva e del diritto
all’autotutela compreso il diritto di sciopero.
NB tutte le fonti internazionali, obbligano gli Stati all’adeguamento del proprio 14
ordinamento interno.
5. IL DIVIETO DI ATTI DISCRIMINATORI
Nel nostro ordinamento, la fonte ordinaria più incisiva di tutale della LIBERTA’
SINDACALE è costituita dalla legge del 20/05/1970 n.300 il c.d. STATUTO DEI
LAVORATORI il cui titolo II è intitolato alla libertà sindacale.
Tale legge persegue 3 obiettivi:
1. Consiste nella tutela della libertà e della dignità del lavoratore con riferimento
a situazioni repressive che possono verificarsi nell’impresa. Essendo l’impresa
un’organizzazione basata sul principio di autorità, in essa possono crearsi
situazioni di compressione della libertà e della dignità di chi vi lavora in
posizione subordinata. Era quindi opportuno un intervento del legislatore per
la salvaguardi di questi valori in determinati aspetti della vita aziendale quindi:
- L’uso della polizia privata nelle fabbriche (art.2);
- Le perquisizioni personali (art. 6);
- L’uso di strumenti per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (art.4);
- L’esercizio del potere disciplinare (art.7);
- L’assunzione di informazioni su lavoratori (art.8);
2. Il secondo obiettivo mira a rafforzare l’effettività del principio di libertà
sindacale all’interno dei luoghi di lavoro ed è perseguito vietando
all’imprenditore di utilizzare i poteri che gli derivano dal contratto di lavoro
per ostacolare i lavoratori nell’esercizio dell’attività di autotutela dei propri
interessi.
3. Il terzo obiettivo è quello di una politica di sostegno delle organizzazioni
sindacali dei lavoratori. Il conflitto tra lavoratori e datori di lavoro è un
processo dinamico che richiede continue valutazioni da parte dei protagonisti
dinanzi al mutare delle situazioni concrete.
NBle norme che mirano a ciascuno di questi 3 obiettivi vanno tenute distinte, ma
si realizza un effetto sinergico per ogni gruppo di norme.
L’art. 14 dello Statuto afferma che “il diritto di costituire associazioni sindacali, di
aderirvi e di svolgere attività sindacale è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei
luoghi d lavoro”.
Tale norma ribadisce un principio già evidente dall’art.39 della Cost. in questo
modo viene imposta l’efficacia della norma costituzionale non solo nella sfera dei
rapporti cittadino-Stato ma anche nella sfera dei rapporti inter privati.
Nel momento in cui si parla della libertà sindacale negativa, facciamo riferimento alla 17
libertà del lavoratore a non aderire ad alcuna organizzazione sindacale.
Le fonti comunitarie e internazionali sono ambigue tale ambiguità deriva al fatto
che alcune importanti tradizioni sindacali sono state caratterizzate in passato da
clausole contrattuali di “SICUREZZA SINDACALE” dirette a rafforzare la presenza
sindacale in azienda, obbligando l’imprenditore ad assumere solo lavoratori iscritti al
sindacato o vincolando il lavoratore neo-assunto ad iscriversi al sindacato.
In Italia, tali clausole sono sconosciutenella legislazione italiana un riferimento a
tale libertà è contenuto nell’art.15 dello Statuto dei lavoratori in cui si dichiara
- illecita anche la discriminazione ai danni dei lavoratori che non aderisca ad
un’associazione sindacale;
- nell’art.14 si dichiarano anche illecite le discriminazioni che derivano dalla
subordinazione della continuazione del rapporto di lavoro alla iscrizione al
sindacato.
La libertà sindacale del lavoratore quindi rappresenta LA GARANZIA DEL DIRITTO AL
DISSENSO in un sistema di valori costituzionali (art. 39 comma 1 Cost.)
BENEFICI RISERVATI (non va annoverata tra le discriminazioni vietate) riserva in
tutto o in parte i vantaggi della contrattazione collettiva ai soli lavoratori iscritti ai
sindacati stipulanti.
La concessione di trattamenti favorevoli è considerata illecita solo quando è frutto di
un’iniziativa unilaterale da parte dell’imprenditore (art. 16 dello S.L)
8. L’ORGANIZZAZIONE SINDACALE DEI MILITARI E DELLA POLIZIA
DIVIETO DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE DEI MILITARI a tal fine è necessario
dire che l’art.3 della legge 11/07/1978 n.382 dopo aver premesso che ai militari
spettano i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini, aggiunge che “per
garantire l’assolvimento dei compiti propri delle forze armate, la legge impone ai
militari limitazioni nell’esercizio di alcuni diritti”.
ART. 8 sancisce che i militari non posso esercitare:
- Il diritto di sciopero;
- Il diritto di costituire associazioni professionali a carattere sindacale;
- Il diritto di aderire a altre associazioni sindacali;
Per compensare tale limite, la legge istituisce organi elettivi di rappresentanza, al cui
vertice sono posti i CONSIGLI CENTRALI DI RAPPRESENTANZA (COCER) che
partecipano al processo di determinazione del trattamento economico e normativo.
18 combinato con l’art 41 della Cost. infatti, a tal fine diremo che l’attività svolta da 19
queste associazioni potrebbe essere assoggettata a limiti che riguardano l’iniziativa
economica.
Infatti anche lo stesso titoli II dello Statuto dei lavoratori, attiene solo alla libertà
sindacale dei lavoratori non negano però che gli imprenditori possano godere della
libertà sindacale che trova fondamento nell’art. 18 e 41 e no 39 della Cost.
Infatti, la libertà sindacale dell’imprenditore può anche assumere aspetti collettivi o
di coalizione ma è sempre una proiezione dell’iniziativa economica privata e quindi è
una libertà individuale. (Uguaglianza sostanziale art. 3 comma 2 Cost.)
Il primo tipo di organizzazione sindacale emerge nei paesi a più antico sviluppo 20
industriale (ex. Gran Bretagna e Stati Uniti) e nei settori produttivi in cui vi è la
presenza di operai specializzati.
Il sindacato quindi assume il mestiere esercitato dai lavoratori come criterio
individuante il gruppo professionale da organizzare IL SINDACATO DI MESTIERE.
Secondo tale modello organizzativo, in ogni impresa operano tanti sindacati, quante
sono le professionalità (mestieri) necessari al processo produttivo.
Ex. In un’impresa edile vi sarà un sindacato dei muratori, falegnami, ecc.
Successivamente la diffusione dell’industria a produzione di massa, altamente
meccanizzata, determina la scomparsa dei vecchi mestieri, modificando la
composizione della forza-lavoro.
Infatti, prevalgono gli operai comuni o semi-specializzati, che non sono
rappresentanti dai SINDACATI DI MESTIERE.
Tutto questo comporta l’affermarsi, soprattutto nell’Europa continentale del
sindacato per ramo di industria i c.d. SINDACATI DI CATEGORIA che organizza i
lavoratori in relazione all’attività produttiva esercitata dall’impresa da cui dipendono
e quindi del settore produttivo nel quale rientrano.
EX. In Italia i lavoratori dipendenti del settore metalmeccanico sono organizzati in
sindacati dei metalmeccanici.
IL SINDACATO GENERALE il modello organizzativo basato sul criterio del ramo di
industria si è poi evoluto in quello del sindacato generale che intorno al gruppo di
lavoratori di un settore produttivo organizza anche lavoratori di altri settori.
Ex. Tra i sindacati generali rientrano le confederazioni che rappresentano unitamente
gli addetti all’agricoltura, all’industria, del commercio e del pubblico impiego.
In Italia ha prevalso il modello organizzativo del ramo d’industria in quanto
consentiva di creare tra i lavoratori una solidarietà più ampia, in coerenza con
precise opzioni politiche.
IL SINDACATO OCCUPAZIONALE In Italia, i dirigenti e i lavoratori con
professionalità elevate, hanno costituito organizzazioni proprie, distinte da quelle
degli altri operatori, non vedendo tutelati i propri interessi dalle tre maggiori
Confederazioni sindacali italiane concentrate sugli interessi dei lavoratori con
professionalità medio-basse.
In Italia sono stati costituiti i sindacati dei macchinisti delle ferrovie, dei medici 21
ospedalieri, degli insegnanti e dei presidi facendo così emerge il c.d. sindacati
occupazionali.
Inoltre esiste una versione mista di occupazione e di mestiere è quella che si
ritrova nei sindacati che organizzano lavoratori che svolgono attività particolari come
i piloti dell’aviazione civile e i controllori di volo.
Con il passare del tempo però si è assistiti ad una crisi organizzativa dei sindacati e le
soluzioni adottate sono state 2:
- IL SINDACATO MULTI-INDUSTRIALE fusione di organizzazioni di categoria e
nella creazione di sindacati multi-industriali ( o conglomerati).
Le strutture sindacali di piccole dimensioni, non possono sostenere l’aumento dei
costi determinato dalla riduzione degli iscritti e dal contemporaneo incremento delle
aspettative di servizi da parte di quelli rimasti.
La fusione consente quindi di razionalizzare l’organizzazione, di diminuire i costi e di
potenziare l’offerta dei servizi ai lavoratori iscritti.
Ex. tra le fusioni avvenute si può richiamare quella tra le federazioni del settore
informazione e spettacolo, delle telecomunicazioni e delle poste, con le quali si è
costituito il Sindacato Lavoratori Comunicazione (SLC).
- I SINDACATI DEI PENSIONATI E DEI LAVORATORI ATIPICI la seconda
soluzione è stata quella di creare delle strutture di rappresentanza ad hoc
prima per i pensionati e poi per i lavoratori occupati con particolari tipologie
contrattuali (c.d. lavoratori atipici).
I lavoratori atipici non solo hanno una partecipazione discontinua al mercato del
lavoro ma sono anche soggetti a cambiare l’azienda nella quale prestano la
proprie attività e quindi non possono essere organizzati dai sindacati di categoria.
Per essi operano organizzazioni intercategoriali come:
Nuova identità e lavoro;
Federazione lavoratori somministrati e atipici;
Categoria nazionale lavoratori temporanei autonomi atipici e partite iva;
2. LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA
La struttura organizzativa delle maggiori Confederazioni sindacali dei lavoratori in
Italia che sono:
4. LE AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI
Parliamo della confederazione europea dei sindacai (CES) che svolge un’attività
politica nei confronti degli organi dell’UE.
Tutte e 3 le principali confederazioni italiane aderiscono ad essa e alla CISL
internazionale.
5. L’ASSOCIAZIONISMO DEGLI IMPRENDITORI
A differenza di quello dei lavorator, l’associazionismo degli imprenditori privati
rispondere all’esigenza di soddisfare interessi di tipo economico.
Infatti, tra i servizi che le associazioni erogano agli iscritti ritroviamo i
- Servizi di adempimento contabilità e buste paghe, assistenza fiscale, ecc)
- Servizi evolutivi assistenza e sostegno finanziario alle imprese (ex. accesso
al credito), consulenza e assistenza tecnico-economica sui mercati dei prodotti
nazionali e internazionali.
Tali associazioni svolgono però anche funzioni sindacali infatti, anche se gli
imprenditori, a differenza dei lavoratori possono agire anche come singoli, essi
hanno interesse a coalizzarsi per contrastare la controparte nella contrattazione
collettiva (SINDACALISMO DI RISPOSTA).
3. La scelta privatistica
Tale scelta deriva dal fatto che lo Stato non doveva interferire con l’attività autonoma
dei gruppi come si è visto nel paragrafo precedente.
Per tale ragione l’attività sindacale on è disciplinata da norme di diritto pubblico.
4. L’associazione non riconosciuta
Per effetto dell’art. 36 e ss. Del c.c. parliamo del sindacato qualificato dal punto di
vista giuridico come associazione non riconosciuta che differisce dai circoli ricreativi
o culturali.
L’introduzione delle associazioni non riconosciute rappresenta un novità del c.c. del
1942 riportata poi dal nuovo c.c. negli art. 36,37,38.
CARATTERISTICHE:
- Il fondo sociale della società non riconosciuta costituisce un’unità che va oltre
i singoli individui che ne fano parte;
- Il fondo permane oltre la volontà del socio di mantenere in vita il rapporto
giuridico e si estingue con l’atto attraverso cui i soci deliberano lo scioglimento
dell’associazione.
- Patrimonialità imperfetta;
- La natura unitaria dell’associazione è confermata dall’attribuzione della
rappresentanza processuale si essa al presidente o al direttore quindi parte
in giudizio è l’associazione attraverso i soci.
Quindi l’associazione riconosciuta, anche se priva di personalità giuridica, è un
soggetto di diritto, in quanto costituisce un centro autonomo di imputazioni
giuridiche.
5. Disciplina costituzionale del codice civile
Alla disciplina contenuta dall’art. 36-39 del Cost. è necessario aggiungere anche
quanto previsto dall’art 18 della Cost.
30
Infatti, assicurare ai lavoratori non iscritti i benefici della contrattazioni collettiva può 31
giovare alo stesso sindacato in quanto dalla limitazione degli effetti i questa esso può
subire una perdita della forza contrattuale.
È necessario inoltre anche far riferimento al rapporto tra sindacato e lavoratori in
termini di mandato con rappresentanza conferito dai lavoratori al momento
dell’iscrizione (art. 1704 e ss. e 1387 ss c.c.).
Tale rapporto non viene conto delle differenze tra:
- Interesse collettivo di cui è portatore il sindacato;
- Interesse individuale del lavoratore;
NB L’interesse collettivo e individuale non coincidono.
Ex. se il sindacato chiude un conflitto con un accordo che riduce il numero di
lavoratori da licenziare, ha promosso l’interesse collettivo e non l’interesse
individuale in quanto comunque ci saranno lavoratori che saranno licenziati.
Inoltre, nel linguaggio tecnico – giuridico, l’espressione interesse collettivo è
utilizzata con quella di interesse diffuso che è nata in relazione alla tendenza
giurisprudenziale a introdurre forme di tutela di interessi per i quali è difficile
individuare il titolare e quindi colui che è legittimato a farli valere in giudizio (ex.
materia ambientale o di tutela del consumatore).
- Persegue una politica del diritto in coerenza con la tradizione del sindacalismo 34
italiano, favorendo le forme di aggregazione sindacale più ampie.
L’espressione confederazione maggiormente rappresentative ha posto il problema
degli indici utilizzabili per individuare le organizzazioni che meritassero di tale
qualificazione:
Consistenza del numero degli iscritti;
Presenza in un ampio arco di settori produttivi e di territori;
Svolgimento dell’attività di contrattazione;
Continuità e sistematicità;
Tali criteri hanno trovato un maggiore riscontro legislativo nella legge di riforma del
Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro in quanto sono stati utilizzati al fine
di individuare i sindacati che hanno il potere di designare i rappresentanti dei
lavoratori subordinati nel consiglio steso.
L’esito negativo ha confermato la scelta legislativa di una selezione dei sindacati che 35
hanno accesso alle condizioni di favore previste da questo titolo dello statuto.
NBse avesse avuto esito positivo, i titolari dei diritti sindacali sarebbero state tutte
le rappresentanze aziendali costituite su semplice iniziativa dei lavoratori.
IL REFERENDUM CON ESITO POSITIVO è stato approvato il secondo quesito
referendario volto ad abrogare il primo criterio.
All’esito del referendum, il testo dell’art 19 è risultato così formulato:
lavoratori in ogni unità produttiva nell’ambito delle associazioni sindacali che siano
Il risultato è che il criterio selettivo della rappresentatività è unico: la RSA deve
essere costituita nell’ambito di un sindacato che non deve essere necessariamente s
struttura confederale ma che abbia stipulato un contratto collettivo applicato
nell’unità produttiva.
Quindi, per poter essere considerato rappresentativo ai sensi dell’art 19, un
sindacato doveva svolgere la proprie attività non in una singola azienda ma in una
pluralità di esse comprese in un ambito nazionale o provinciale.
Cosi facendo, è come se lo Statuto dei lavoratori promuove e sostiene l’attività
contrattuale dei sindacati che hanno già stipulato il contratto.
Infatti, un sindacato confederale che non ha stipulato un contratto collettivo
applicato nell’unità produttiva interessata, se prima poteva accedere ai diritti
sindacali ora non può più farlo.
Affinché questo si realizzi è necessario che l’imprenditore non applichi nessun
contratto collettivo stipulato da queste Confederazioni o da sindacai a esse aderenti.
Quindi tra le principali conseguenze del referendum vi è che il criterio della
maggiore rappresentatività STORICA O PRESUNTA presente nello Statuto dei
lavoratori viene sostituito da un criterio di rappresentatività fondato su un elemento
accertabile
ELEMENTO ACCERTABILE Il sindacato ha sottoscritto un contratto collettivo
applicato nell’unità produttiva in cui pretende di costituire la propria RSA.
pur non avendo sottoscritto il contratto, fossero stati attori del processo 37
negoziale.
2. Il secondo filone sosteneva un’interpretazione letterale della norma:
l’individuazione delle associazioni sindacali selezionate dall’art 19 non poteva
esser ancorata a criteri diversi dalla sottoscrizione del contratto applicato in
azienda.
DATO ASSOCIATO si ricava dalla % delle deleghe per il pagamento dei contributi 41
associati in favore di ogni singolo sindacato sul totale delle deleghe a tutti i sindacati
rilasciate dai lavoratori nell’ambito in cui si applica il contatto da stipulare.
DATO ELETTORALE calcolato dalla % di voti ottenuti dalla lista espressa da ogni
sindacato sul totale dei voti espressi per l’elezione delle rappresentanza sindacali
unitarie nello stesso ambito.
Con questa disciplina, la rappresentatività non è determinata sulla base di indici
discrezionalmente valutai ma viene misurata sulla base di dati numerici che devono
essere accertabili.
Solo i sindacati che realizzano la soglia del 5% sono ammessi alla trattativa
contrattuale.
Sotto altri profili il legislatore ha accolto la soluzione opposta relativa alla
proporzione dei diritti al grado di rappresentatività.
A tal fine è necessario dire che l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle PA
(ARAN) non può sottoscrivere i contratti nazionale non acquisisce il consenso di
organizzazioni sindacali che rappresentano almeno:
- 51% dei lavoratori dato associativo;
- 60% dato elettorale.
Inoltre, le organizzazioni sindacali godono di permessi e aspettative per i propri
dirigenti in proporzione alla loro rappresentatività, misurata attraverso ma media del
dato associativo e elettorale (art. 43 comma 6).
Quindi nel settore della PA si è realizzato il superamento del criterio della
rappresentatività presunta a favore di un sistema legale di misurazione della
rappresentatività.
4. Crisi della maggiore rappresentatività presunta e prospettive de jure
condendo.
La complessa vicenda sino ad ora trattata si muove tra due poli:
- Da un lato vi è la legge che ha l’esigenza di non affidare certi diritti e certi
poteri a tutti i sindacati ,a solo a quelli che dimostrino la loro capacità di
essere effettivamente rappresentativi.
A tal fine la Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità costituzionale dei
soggetti sindacali purché siano soddisfatte le seguenti condizioni:
a. Si tratta di diritti e di poteri che vadano oltre la libertà sindacale che non 42
spetta a tutti i sindacati;
b. Che la selezione tra i soggetti sindacali sia giustificata e risponda a criteri
ragionevoli.
- Dall’altro lato i criteri di selezione, ad eccezione dei sindacati dei dipendenti
delle AP, rimangono ancorati a indici generici di maggiore rappresentatività
privilegiando le grandi Confederazioni maggiore rappresentatività
presunta.
La crisi di questo modello di selezione dei soggetti sindacale è stata denunciata dalla
metà degli ani 80 infatti lo sviluppo della forza lavoro in gruppi di interesse diversi,
ha comportato la nascita di organizzazioni sindacali autonome, svincolate da legami
di solidarietà.
Questo ha garantito una maggiore idoneità del modello disegnato dall’art 19 dello
Statuto dei lavoratori a rispecchiare l’effettività della rappresentatività.
Nonostante la sentenza della Corte costituzionale n.30/1990 e i numerosi documenti
governativi e disegni di legge, il dibattito politico e legislativo sull’introduzione nel
settore privato di criteri certi e misurabili per la qualificazione di un sindacato come
maggiormente rappresentativo, anche nel settore privato, ha dato luogo ad una
disciplina legislativa della materia.
A tal fine molto rilievo hanno:
- Accordi interconfederali stipulati nel settore privato nel 2011,2013 e 2014;
- La pronuncia della Corte Costituzionale del 2013.
CAPITOLO 5
LA RAPPRESENTANZA DEI LAVORATORI SUI LUOGHI DI LAVORO
1. L’organizzazione sindacale sui luoghi di lavoro
I lavoratori si organizzano ai fini di autotutela dei propri interessi fuori dai luoghi di
lavoro ma anche all’interno.
La comparazione tra le diverse esperienze mostra che l rappresentanza dei lavoratori
nei luoghi di lavoro può essere:
- CANALE DOPPIO nella stessa azienda esistono due organismi di natura e
con funzioni distinte:
Con il passare del tempo, le CI anche se di supporto durante gli anni 70 al conflitto 44
industriale interno alle aziende, sono state sostituite dalle nuove forme di
rappresentanza costituite spontaneamente dai lavoratori durante le lotti sindacali
1968-1969.
Prima che questo avvenisse, furono compiuti diversi tentativi soprattutto dalla CISL
per costruire nei luoghi di lavoro sezioni sindacali aziendali (SAS).
Le SAS a differenza delle CI erano un’articolazione interna del sindacato esterno e
quindi presentavano:
- La stessa struttura associativa;
- Il fondamento volontario della rappresentanza dei sindacati esterni.
Nel corso degli anni 1986-1969 si verifica un radicale mutamento nella struttura
organizzativa se il movimento sindacale italiano a seguito della nascita e della rapida
affermazione di nuove strutture di rappresentanza dei lavoratori all’interno delle
imprese:
- Delegati;
- Consigli di fabbrica dei delegati;
IL DELEGATOrelativamente al delegato è necessario dire che:
La struttura;
Le procedure di funzionamento;
Le funzioni
Furono frutto di il frutto di conflitti complessi.
Inoltre è necessario anche dire che il delegato era eletto direttamente e
rappresentava tutti i lavoratori appartenenti ad uno stesso gruppo omogeneo.
GRUPPO OMOGENEO gruppo individuato sulla sua coalizione nel processo
produttivo.
CONSIGLIO DI FABBRICA (o dei delegati) insieme di tutti i delegati di una certa
unità produttiva.
Nel 1972 le principali confederazioni, CGIL, CISL e UIL strinsero un patto federativo e
riconobbero questi organismi (delegati + consiglio) come la propria struttura di base
all’intero dei luoghi di lavoro attribuendoli poteri di contrattazione sui posti di
lavoro senza definire però i rapporti tra:
- Il consiglio di fabbrica con le funzioni dei singoli delegati
- Con i sindacati esterni.
47
L’altro terzo (c.d. terzo riservato) concorrevano solo le liste presentate dai sindacati 50
firmatari del contratto collettivo nazionale applicato nell’unità produttiva.
I sindacati, potevano scegliere i lavoratori ai quali destinare i seggi anche tra quelli
che non erano inclusi nella lista elettorale, qualora per i primi 2/3 i seggi non
venivano attribuiti a coloro che avevano ottenuto più voti di preferenza.
La regola del terzo riservato è stata ampiamente criticata in quanto nella sua
ripartizione dei seggi alterava il voto espresso dai lavoratori ed è stata alimentata
infatti il Protocollo del 2013 e TU del 2014 prevedono che le RSU siano elette con
voto proporzionale.
SECONDO STRUMENTO Il secondo strumento di raccordo tra RSU e sindacati
previsto dal Protocollo del 1993 e dall’Accordo interconfederale del 1993 era
costituito dal riconoscimento del potere di contrattare a livello aziendale, sulle
materie e nei limiti definiti dal contratto nazionale, congiuntamente alle RSU e alle
strutture territoriali dei sindacati firmatari del CCNL.
Quindi l’art.46 deve esser letto in sintonia con il pluralismo conflittuale che emerge 53
nelle altre norme costituzionali (art. 39 e 40):
- La partecipazione dei lavoratori all’organizzazione economica del paese (art.3
comma 2);
- La partecipazione dei lavoratori alle decisioni dell’impresa per cui lavorano che
può realizzarsi attraverso l’azione contrattuale del sindacato.
LA PARTECIPAZIONE MERAMENTE ECONOMICA non sono ricondotte alla norma
costituzionale le tecniche manageriali che tendono ad incentivare i lavoratori a una
più intensa collaborazione alla realizzazione dei fini dell’impresa attraverso forme di
partecipazione economica che implicano una partecipazione al rischio dell’impresa e
alla sua gestione.
A questa categoria appartengono:
- Utili;
- I premi di risultato per obiettivi;
Alla categoria delle partecipazioni meramente economiche aggiungiamo anche i
sistemi di partizione azionaria che coinvolgono alti dirigenti specie mediante il
meccanismo delle stock options .
Tutti questi sistemi quindi devono essere esclusi dall’art. 46 Cost. in esso infatti
esistono 2 tipi di rapporti:
- Quello di lavoro;
- Quello societario;
Questi due tipi di rapporti sono distinti nella regolamentazione giuridica anche se il
rapporto societario ha origine da quello del lavoro, traendo causa l’assegnazione di
azioni da quest’ultimo (art.2349 c.c.) i diritti di partecipazione alle decisioni
d’impresa che spettano al lavoratore azionista sono quelli che il diritto societario
attribuisce ad un qualunque azionista.
7. I comitati aziendali europei e i diritti di informazione e di consultazione nella
normativa dell’Unione
Il concetto che l’impresa non sia un fatto privato dell’imprenditore ma un fenomeno
sociale che coinvolge gli interessi di una pluralità di soggetti, è proprio anche
dell’ordinamento dell’UE.
La definizione di impresa e di gruppo di imprese a dimensione comunitaria è data
nell’art.2 della direttiva sulla base di 2 parametri:
Capitolo settimo
IL CONTRATTO COLLETTIVO
A) Il contratto collettivo
1. La determinazione delle condizioni di lavoro
Il movimento sindacale, sin dalle sue origini, ha avuto tra i suoi fini primari quello di
ottenere minimi di tutela economica e normativa delle condizioni di vita e di lavoro
dei lavoratori.
Queste finalità furono perseguite dalle associazioni sindacali sia mediante la
contrattazione con la controparte imprenditoriale, sia a mezzo di un'azione politica
tendente a condizionare gli ordinamenti legislativi.
• In origine, una funzione protettiva fu assunta anche da forme di determinazione
unilaterale delle condizioni di lavoro: cioè, rifiuto da parte di un gruppo di lavoratori
di accettare lavoro, se non a determinate condizioni;
• consolidata è, invece, la determinazione delle condizioni di lavoro mediante
un'attività di contrattazione con il singolo datore di lavoro o con le associazioni
imprenditoriali.( Venivano concordati essenzialmente i livelli retributivi--> c.d.
concordato di tariffa, che costituiscono le relazioni industriali moderne.)
Nell'arco di tale complessa evoluzione, la contrattazione collettiva ha acquisito
progressivamente nuovi contenuti e nuove funzioni, anche se la parte dominante del
sistema continua ad essere costituita dal c.d. contratto collettivo di diritto comune.
Il punto più alto della dottrina precorporativa fu raggiunto da Giuseppe Messina, che
in Italia fu il primo a porre il problema della ricostruzione teorica del contratto
collettivo e importò la concezione del Lotmar (giurista svizzero di cultura tedesca,
uno dei fondatori del diritto del lavoro). ↓
Questi affermava l’inderogabilità del contratto collettivo, spiegando il rapporto tra
aderente e soggetto collettivo stipulante in termini di rappresentanza, ma si
esponeva alla critica di chi rilevava che, se le associazioni sindacali e datoriali
agissero in nome dei singoli datori e lavoratori, in realtà ciascuno di questi nel
stipulare il singolo contratto di lavoro- potrebbe modificare quanto pattuito tra le
parti collettive.
Messina, consapevole di questo limite, ritenne che in base al diritto comune, non si
potesse affermare la prevalenza automatica delle clausole del contratto collettivo su
quelle difformi del contratto individuale. Ma era tuttavia possibile assicurare al
contratto collettivo una sanzione di natura obbligatoria (perché la sua deroga
costitutiva una violazione di un obbligo al quale sarebbe stato possibile reagire con
un’azione risarcitoria.
Durante il regime corporativo (periodo fascista), era previsto che per ciascuna
categoria di i datori di lavoro, lavoratori, professionisti, artisti potesse essere
riconosciuta legalmente una sola associazione. A seguito del riconoscimento, a
mezzo decreto, l’associazione diveniva persona giuridica di diritto
pubblico,sottoposta a penetranti controlli da parte dello Stato.
Il sindacato era dotato del potere di rappresentanza legale di tutti i soggetti (iscritti e
non iscritti) appartenenti alla categoria per cui era costituito.
In particolare, ai sensi del comma 4, i sindacati registrati nel rispetto della procedura
prevista dai commi 2 e 3 , riuniti in rappresentanze unitarie (ciascuno con un peso
proporzionale agli iscritti),
, hanno il potere di stipulare contratti collettivi con efficacia generale per tutti i
lavoratori appartenenti alle categorie cui il contratto stesso si riferisca.
La mancata attuazione della seconda parte dell'articolo 39, non impedì che i
sindacati liberi stipulassero contratti collettivi e sviluppassero un complesso sistema
di contrattazione.
Questa soluzione non fu possibile in Italia, perché l’art. 39 Cost. attribuisce efficacia
erga omnes al contratto collettivo stipulato dai soggetti sindacali, escludendo un
intervento etronomo del’autorità pubblica.
Il legislatore italiano, nel 1959, al quale escogitò una soluzione: una legge delega –
la legge 14 luglio 1959 n°741(Legge Vigorelli) → che attribuì al governo di emanare
entro 1 anno dall’entrata in vigore della legge stessa, decreti legislativi aventi come
contenuto la determinazione di trattamenti minimi di lavoro per ogni categoria.
A seguito dell'entrata in vigore di questa legge furono emanati circa 1000 decreti.
(numero elevato derivò dal fatto che essa prevedeva la recezione non solo dei
contratti di categoria applicabili a tutto il territorio nazionale, ma anche dei contratti
provinciali muniti di determinate caratteristiche).
Nel reperimento di questa cospicua massa di contratti, ci si rese conto del carattere
vario, complesso e capillare assunto dalla contrattazione negli anni seguenti al
ripristino della libertà sindacale. E lo stesso testo dei contratti, ricco di ambiguità,
La delega conferita nel Luglio 1959, alla sua scadenza venne prorogata di 15 mesi ed
estesa ai contratti collettivi stipulati entro i 10 mesi successivi all'entrata in vigore
della legge prorogata (1/10/1960).
In tal modo, una disciplina nata sotto l'insegna dell'eccezionalità e della transitorietà
manifestava la tendenza attraverso periodici rinnovi, a diventare permanente,
sovrapponendosi di fatto al procedimento previsto dalla seconda parte dell'art. 39
Cost.
Peraltro, nel corso del tempo, la riflessione sull’efficacia soggettiva del contratto
collettivo, si è arricchita di nuovi elementi, in connessione,
* da un lato, con il rinvio di competenze sempre più articolate e rilevanti da parte
della legge al contratto collettivo;
* dall’altro con lo sviluppo di una contrattazione aziendale e territoriale- che- al fine
di affrontare situazioni di crisi/assicurare maggiore flessibilità nella gestione della
forza lavoro- non attribuisce benefici ai lavoratori, ma distribuisce tra loro sacrifici,
talvolta anche in deroga peggiorativa rispetto agli standard stabiliti dalla legge o da
altri contratti collettivi.
Questo tipo di contratto collettivo, definito dalla dottrina ‘di diritto comune’, e
individuato dalla giurisprudenza con il termine ‘post-corporativo’, caratterizza in
modo incontrastato l’esperienza giuridico - sindacale italiana. Esso non esaurisce la
tipologia del contratto collettivo, perché l’ordinamento ne prevede anche altri tipi di
natura e caratteristiche diverse.
64
La RISPOSTA alla domanda se il contratto collettivo è fonte di diritto, dipende dalla
nozione che si adotta . Esso non lo è nel senso proprio dell’art. 1 prel. c.c. ;
ma lo stesso legislatore qualifica tale contratto molto spesso come fonte di diritto:
è il caso del D.lgs. 40/2006 che ha introdotto, tra i motivi di ricorso per cassazione
previsti dall’art. 360 c.p.c, oltre alla violazione o falsa applicazione delle norme di
diritto, anche la violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi nazionali di
lavoro.
→Tutte le clausole aventi tale contenuto sono riconducibili a quella che sin dai primi
studi del contratto collettivo è stata definita c.d. funzione normativa: sotto questo
profilo, Il contratto collettivo si colloca all'interno della categoria del ''contratto
normativo'', di quel contratto cioè che ,invece i porre in essere direttamente uno
scambio o altro atto economico, determina i contenuti di una futura produzione
contrattuale. Nel contratto normativo, insomma le parti, si accordano circa le
condizioni alle quali si atterranno nell’attività contrattuale che svolgeranno.
• Un elemento di peculiarità è costituito dal fatto che almeno una delle parti
stipulanti è necessariamente un soggetto collettivo: se dal lato degli imprenditori, il
Una parte della dottrina inquadra il contratto collettivo nella categoria del contratto
tipo, perché esso non predetermina gli elementi a cui dovranno attenersi i futuri
contratti in forma generica, ma li detta i nella veste stessa che dovranno assumere
nel rapporto cui si riferisce, predisponendo una serie di clausole ordinatamente
raccolte in uno schema.
Deve ricordarsi però che il contratto tipo e il contratto normativo sono differenziati
sotto il profilo della diversa vincolatività della predeterminazione di contenuti che
entrambi pongono in essere:
EFFICACIA OGGETTIVA:
il rapporto tra l'autonomia collettiva e quella individuale, nel ns. ordinamento, è
Il contratto collettivo corporativo, individuato tra le fonti del diritto art 1 prel.),
fondava esplicitamente la sua inderogabilità nell’art. 2077 c.c. e precedentemente
nell’art. 54 r.d.l 1926.
1723 co. 2 e 1726 c.c.→ che sanciscono l’irrevocabilità del mandato conferito non 67
solo nell’interesse del mandante, o conferito da più persone per un interesse
comune- in quanto in entrambe le norme l’interesse collettivo sottrae il mandato
all’influenza della mutevole volontà o delle vicende personali del mandante o di uno
dei mandanti.
In tal modo, all’interno dei principi generali del diritto civile, troverebbe fondamento
l’inderogabilità del contratto collettivo privatistico, perché il singolo datore e il
singolo lavoratore, come non possono utilmente revocare il mandato prima della sua
esecuzione fino a che non escano dalle associazioni nei modi convenuti, così, dopo
che i contratto collettivo è stato concluso in esecuzione del mandato, non
potrebbero sottrarsi alla sua osservanza o derogare ad esso, neppure
contestualmente →non potrebbero cioè anteporre il loro interesse individuale,
dopo averlo subordinato rispettivamente a quello degli altri datori e lavoratori per
una migliore tutela.
* Altri autori, pur sempre ricollegandosi a questa prospettiva, hanno ritenuto che il
meccanismo di prevalenza del contratto collettivo su quello individuale, debba
invece essere individuato nell’atto di adesione del singolo al sindacato, che
implicherebbe necessariamente il suo assoggettamento al potere dell’associazione di
dettare regole nella sua sfera d’interessi.
e sulla base del secondo comma poi, le clausole individuali difformi (preesistenti o 68
successive) sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che
contengano speciali condizioni più favorevoli al prestatore di lavoro.
→Ma anche il ricorso all’art. 2077 non è stato indenne da rilevanti critiche: si è
infatti obiettato che tale norma riguardando i contratti collettivi corporativi, sarebbe
rimasta in vigore solo in funzione di tali contratti.
La radicale diversità di natura giuridica dei contratti corporativi (stipulati da
associazioni di diritto pubblico e inseriti tra le fonti del diritto), rispetto ai contratti
di diritto comune, impedirebbe l’applicabilità della norma a questi ultimi.
Ciò è avvenuto con la formulazione del nuovo testo dell’art. 2113 c.c. in materia di
rinunzie e transazioni, introdotto dall’art 6 della legge 11 agosto 1973 n. 533
(Riforma del processo del lavoro), secondo il quale < le rinunzie e le transazioni, che
hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni
inderogabili della legge e dei contratti e accordi collettivi, concernenti i rapporti di
cui all’art. 409 c.p.c , non sono valide >.
Ciò significa che le clausole del contratto collettivo concorrono a determinare la
disciplina dei rapporti individuali di lavoro, indipendentemente dalla volontà dei
contraenti, analogamente alle norme interpretative di legge→ cioè con l’effetto
impropriamente designato di ‘sostituzione automatica’.
La nuova previsione avrebbe fornito una conferma all’interpretazione
giurisprudenziale, circa l’applicabilità dell’art. 2077 c..c anche ai contratti collettivi di
diritto comune.
Tale principio, come si è visto è esplicitato sia dall'art 2077 c.c. al secondo comma ,
ma è perfettamente compatibile con la tesi risolutiva cui fa perno sull'art 2113 c.c.
Di difficile soluzione, è invece, il problema della comparazione dei trattamenti
derivanti dalle due diverse fonti. Non sempre infatti è agevole stabilire se il
trattamento previsto dal contratto individuale sia più favorevole per i lavoratori,
rispetto al trattamento previsto dal contratto collettivo.
La questione è di semplice soluzione quando varia un solo elemento (ad es. a parità
di tutte le altre condizioni, varia solo la retribuzione o la durata delle ferie).
A volte però possono variare due o più elementi e in senso convergente (ad es. se il
contratto individuale prevede una retribuzione maggiore e un più breve periodo di
ferie).
Laddove esistano simili clausole non saranno utilizzabili le soluzioni generali sopra 70
esposte.
L'altro problema posto dalla parte normativa del contratto collettivo di diritto
comune è quello dell'efficacia soggettiva, che si estende solo agli iscritti alle
associazioni stipulanti; infatti la natura privatistica di tale contratto (conseguente
alla mancata attuazione dell’art 39 comma 2, lo rende efficace solo nei confronti di
quei soggetti che abbiano conferito all'associazione il potere di rappresentanza per
la stipulazione dei contratti collettivi.
Ben più complessi , sono i problemi relativi all’estensione dell’efficacia del contratto
collettivo nei confronti dei datori di lavoro non iscritti ad alcuna associazione
sindacale.
L’applicabilità del contratto collettivo è pacifica, quando le parti nel contratto
individuale abbiano formulato un richiamo non equivoco ad un particolare accordo,
oppure, più genericamente alla contrattazione collettiva vigente o da stipularsi in un
determinato settore produttivo.
Preclusa dalla Corte Cost. la via di procedere direttamente a tale estensione con un
intervento governativo, Il legislatore, nel riconoscere agli imprenditori agevolazioni
o benefici, ne ha più volte subordinato il godimento all'applicazione dei contratti
collettivi ovvero di trattamenti economici e normativi non inferiori a quanto stabilito
dagli stessi.
Questi ultimi(i contratti collettivi),dunque, non sono resi obbligatori per sé, (e questo
allontana ogni sospetto di violazione dell’art. 39 C.), ma l'erogazione dei trattamenti
previsti dal contratto collettivo è condizione per fruire di certe situazioni di
vantaggio.
La violazione di tale obbligo comporta un provvedimento, da parte della PA, che può
giungere fino alla revoca del beneficio e, nei casi più gravi o nel caso di recidiva,
all'esclusione del responsabile da qualsiasi ulteriore concessione di benefici o da
qualsiasi appalto per un periodo di tempo fino a 5 anni.
→La clausola che impone l'obbligo di rispettare i contratti collettivi, è stata
ricondotta dalla giurisprudenza ala fattispecie della stipulazione a favore di terzi, il
che comporta l'importante conseguenza che ai lavoratori viene riconosciuta la
titolarità di un diritto soggettivo nei confronti del proprio datore di lavoro che l'abbia
sottoscritto.
Più di recente, L'art 118 comma 6 d.lgs n.163/2006(il c.d. Codice dei contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture) ha disposto che l’imprenditore che stipuli con
una PA contratti per la fornitura di servizi, prodotti, lavori e opere sia tenuto ‘ad
osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti
collettivi nazionali e territoriali in vigore per il settore e per la zona nelle quale si
eseguono le prestazioni’; ne afferma anche la responsabilità in solido per
l’osservanza delle norme contrattuali da parte dei sub-appaltatori nei confronti dei
dipendenti di questi ultimi.
Si è visto come nella maggior parte delle sue clausole, il contratto collettivo si
atteggia come un contratto a causa NORMATIVA, ossia quella che mira
all'imposizione di condizioni economiche e normative minime, le quali devono
essere osservate dai contratti individuali.
Ma non si può dire che la funzione normativa sia l'unica del contratto collettivo: una
più attenta analisi rileva una variegata serie di clausole non riconducibile a tale
funzione. La dottrina ha teorizzato che nel contratto collettivo accanto a una parte
normativa, è individuabile un’altra parte definita obbligatoria.
La caratteristica comune delle clausole obbligatorie è individuata nel fatto che esse
instaurano rapporti obbligatori che non fanno capo alle parti del rapporto
individuale di lavoro, bensì ai soggetti collettivi; tali soggetti possono essere gli stessi
che hanno stipulato il contratto collettivo o altri:
L’accordo 75
Diverso è il problema degli effetti delle clausole di tregua sulla posizione dei singoli
lavoratori: una parte della dottrina ha affermato che nelle clausole di tregua è
implicita una rinunzia al diritto di sciopero, per cui la clausola vincolerebbe non solo
il sindacato che l’ha sottoscritta- ma anche i singoli lavoratori iscritti al sindacato.
Questa tesi conduce ad affermare un effetto non più solo obbligatorio, ma anche
normativo delle clausole di tregua e da essa ne nascerebbe una responsabilità
diretta dei lavoratori in caso di violazione della tregua stessa.
Il contratto aziendale: può assumere anche una funzione gestionale, che non è
quella di dettare norme astratte e generali, ma quella di concordare un
provvedimento di gestione del personale che vada a risolvere un problema
dell'azienda, o quanto meno ad attenuarlo. Tale tipo di contratto(quello gestionale)
non comporta, il più delle volte, benefici per i lavoratori, ma solo sacrifici:Esempi:
⁃ licenziamento collettivo, richiedendo intervento della Cassa integrazione guadagni;
⁃ una riduzione dell'orario di lavoro e della retribuzione pur di non andare incontro
ai licenziamenti; derogando molto spesso
La disciplina del
La più stretta integrazione funzionale tra legge e contratto collettivo, ha creato anche
ipotesi in cui la disciplina di quest’ultimo non è perlomeno integralmente quella
elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza sul contratto collettivo di diritto
comune.
In questo caso la sua rilevanza giuridica è affidata alle norme di legge che
espressamente lo prevedono. (e non all’art 1322 c.c.)
Inoltre, differisce il profilo funzionale → il contratto collettivo non è più una mera
autoregolamentazione d’interessi privati (ancorché collettivi) da parte delle
organizzazioni che ne sono portatrici;
tale autoregolamentazione è invece abilitata a derogare, sostituire o integrare il
precetto legale, altrimenti inderogabile dall’autonomia privata: è questa la funzione
cd autorizzatoria della contrattazione collettiva. Insomma la legge pone una regola,
1. Premessa
I soggetti negoziali.
Tale struttura è regolata per accordo tra le parti collettive nel settore privato e
prevalentemente dalla legge in quello pubblico.
LIVELLI NEGOZIALI in Italia, i livelli negoziali più praticati sono 3:
interconfederale;
nazionale di categoria;
decentrato;
Tali accordi non hanno una scadenza in quanto vengono stipulati quando le parti lo
ritengono utile o necessaria una regolamentazione uniforme di particolari istituti per
una pluralità di categorie.
L’arretratezza economica,
un elevata disoccupazione e
La centralizzazione fu massima sino alla metà degli anni 50 ma rimase elevata anche
quando la funzione di negoziare i minimi retributivi fu riconosciuta alle federazioni
nazionali di categoria.
- Decentramento parziale;
Nel 1967, all’inizio di una fase di ripresa economica, a livello aziendale per iniziativa
dei lavoratori si avvio un nuovo ciclo contrattuale che fu caratterizzato da:
- alta conflittualità;
- diffusione della contrattazione nei luoghi di lavoro;
Questo alterò gli equilibri di potere tra le parti sociali a favore dei lavoratori e dei
sindacati determinando modifiche nella struttura della contrattazione collettiva.
Gli elementi che influenzarono tale ciclo furono:
- rigidità del mercato di lavoro caratterizzato da una piane occupazione;
- forti esigenze di recupero salariale e di miglioramento delle condizioni di lavoro
degli operai;
Anche le rivendicazioni contrattali furono nuove ex. Aumento dei salari uguali per
tutti o riduzione dell’orario e pianificazione degli straordinari.
L’autunno caldo sindacale e la contrattazione vincolata l’emersione del nuovo
sistema contrattuale venne sancita con il contratto nazionale dei metalmeccanici del
1969 che conclude il cd autunno caldo sindacale.
84
In questo contratto non si raggiunse alcuna intesa in materia di competenza della
contrazione sindacale facendo cosi venir meno il sistema della contrattazione
articolata e quindi sia il coordinamento tra i livelli contrattuali fondato sulle clausole
di rinvio e sulla vincolatività della clausola di pace sindacale.
- Quello aziendale
Nel corso degli anni 70 il sistema di contrattazione collettiva, cominciò a subire delle
modiche a seguito dei cambiamenti tecnologici organizzativi del sistema produttivo.
L’aumento dei prezzi delle materie prime inoltre provocò un aumento dell’inflazione
e impose un ampio processo di ristrutturazione tecnologica e organizzative delle
imprese.
La crisi economica e lo sfavorevole andamento del mercato svilupparono un
processo di ricentralizzazione della struttura contrattuale.
Inizialmente questo processo si attò con un forte recupero del ruolo del livello
interconfederali:
- Nel 1975 fu stipulato l’accordo interconfederale sulla modifica del sistema di
indicizzazione dei salari al costo della vita;
Per quanto riguarda le previsioni relativi alla struttura contrattale erano mirate a
favorire il decentramento della contrattazione per far aumentare la produttività, per
rendere efficiente e più equa la dinamica delle retribuzioni facendo ripartire la
crescita economica e l’occupazione.
Il protocollo del 1993 confermo che la contrattazione si basava su due livelli:
1. Livello nazionale di categoria;
Inoltre prolungò la durata dei contratti da 3 a 4 anni, salvo che per la parte
retributiva del contratto nazionale che diventava biennale.
Questa modifica era collegata al fatto che la funzione di adeguare all’inflazione il
potere d’acquisto delle retribuzioni veniva ora attribuita al contratto nazionale di
Il contratto di secondo livello, aveva ancora una funzione integrativa e applicativa del 88
contratto di categoria ma a questo aggiungeva funzioni specializzate e autonome.
Il decentramento controllato e coordinato dal centroil rapporto tra i livelli era:
- da un lato era di tipo gerarchico in quanto era il CCNL a determinate per rinvio
le materie di competenza della contrattazione decentrata;
- per l’altro verso era di tipo funzionale in quanto il livello decentrato aveva
competenze distinte e specializzate;
Per correggere le criticità applicative del Protocollo del 93 e per favorire un esteso 89
decentramento della contrattazione al fine di far crescere la produttività e di rendere
più efficiente la dinamica retributiva nel 2008 le Confederazioni sindacali
rivendicarono l’apertura di un nuovo negoziato sulle regole della contrattazione
collettiva che portò alla stipulazione dell’Accordo quadro (AG) sulla riforma degli
assetti contrattuali del 22/01/2009.
L’accordo quadro dettò in via sperimentale, per la durata di 4 anni, i principi basilari
del nuovo modello contrattuale comune al settore privato e pubblico.
Innanzitutto, l’intesa riportò a 3 anni la durata dei contratti e confermò i due livelli di
contrattazione, nazionale di categoria e decentrato.
L’accordo modificò radicalmente il sistema di adeguamento del potere d’acquisto
delle retribuzioni previsto dal Protocollo del 93.
- In primo luogo sostituì il tasso di inflazione programmato con il tasso di
inflazione previsto, assumendo un nuovo indice previsionale costituito sulla
base dell’IPCA (indie dei prezzi al consumo).
Si tratta di clausole che possono essere inserite nel CCNL per attribuire ai contratti 90
decentrati aziendali o territoriali la competenza a derogare in pejus la disciplina dei
singoli istituti a condizione che fossero finalizzati a governare situazioni di crisi o a
favorire lo sviluppo economico e occupazionale di un territorio o di un azienda.
Infine per favorire il regolare svolgimento delle trattative contrattuali l’AQ del 2009
promosse n rafforzamento delle procedure negoziali rinviando ai contrati successivi
la ridefinizione dei tempi e delle procedure di presentazione delle piattaforme
rivendicative e di avvio e svolgimento delle trattative.
Infine previde:
- Vi fossero definite le modalità per garantire l’effettività del periodo di tregua
sindacale in modo da consentire lo svolgimento dei negoziati per i motivi
contrattuali;
Tale scelta comporta la rottura del modello di decentramento coordinato dal centro
e la sua sostituzione con un altro modello basato su due livelli contrattuali ma tra
loro alternativi in modo da sostituire il contratto di categoria con quello aziendale e
favorire cosi un decentramento non controllato o disorganizzato della
contrattazione.
Gli accordi firmati dalla FIAT, a partire da quello di Pomigliano del 2010, contengono
alcune clausole mirate a garantire l'esigibilità degli stessi ovvero il loro rispetto da 92
parte di tutti i soggetti individuali e collettivi coinvolti nello scambio contrattuale,
Infatti, tali accordi prevedono:
- che le singole disposizioni siano inserite nei contratti individuali di lavoro in modo
da renderle vincolanti per tutti i dipendenti;
- una clausola di responsabilità secondo la quale comportamenti individuale e
collettivi del lavoratori idonei a violare le clausole del contratto collettivo producono
per l'Azienda effetti liberatori.
-->tale disposizione è interpretabile come una clausola di pace sindacale e vincola
solo le organizzazioni sindacali e non i singoli lavoratori.
8. L'accordo Interconfederale tra Confindustria, CGIL,CISL e UIL del 28/06/2011
La vicenda FIAT ha messo in evidenza almeno tre profili critici della relazioni
industriali italiane:
1. la struttura contrattuale a doppio livello e la derogabilità in pejus del contratto
nazionale di categoria da parte di quello decentrato;
2. la mancanza di regole idonee a disciplinare il dissenso tra sindacati nella
stipulazione dei contratti collettivi attraverso la misurazione della loro
rappresentatività;
3. l'efficacia soggettiva dei contratti collettivi e la loro esigibilità;
LA RITROVATA UNITA' SINDACALE per trovare una soluzione a questi problemi, il
28/06/2011 Confindustria, CGIL, CISL e UIL hanno stipulato un nuovo Accordo
interconfederale che integra e modifica le regole sulla struttura contrattuale definite
nelle precedenti intese del 2009 che CGIL non aveva sottoscritto.
-->Il primo valore dell'accordo del 2011 è rappresentato dal recupero dell'unità
sindacale e la condivisione di nuove regole.
-->il secondo valore dell'accordo riguarda la riconferma del ruolo delle relazioni i
industriali nel sistema economico e sociale: il ruolo era quello di far crescere
attraverso la contrattazione collettiva sia il sistema produttivo ma anche
l'occupazione.
L'INCENTIVAZIONE DEL DECENTRAMENTOin materia di struttura della
contrattazione collettiva, anche il nuovo accordo interconfederale conferma il
principio del doppio livello contrattuale coordinato incentivando il decentramento e
ridimensionando le funzioni del CCNL.
Tale accordo: 93
1.conferma che le competenze del contratto aziendale sono delegate non solo al
contratto nazionale ma anche dalla legge questo consente la possibilità di
organizzare un accentramento più disorganizzato.
2. non ripropone la clausola di non ripetibilità a livello decentrato della
contrattazione su materie e istituti già negoziati in altri libelli di contrattazione
contenuta nell'AQ del 2009.
-->In questo modo l'AI pone le premesse per il ridimensionamento delle più
importanti funzioni del contratto aziendale di categoria relative al:
- funzione obbligatoria DI COORDINAMENTO DEL SISTEMA CONTRATTUALE
- Funzione normativa consistente nel definire trattamenti minimi omogenei per tutti
i lavoratori.
Inoltre, all'accordo del 20011 è stata aggiunta una Postilla il 12 settembre
successivo al fine di impedire alle imprese associate il ricorso all'art.8 in cui i soggetti
negoziali hanno ribadito il principio costituzionale secondo cui le materie delle
relazioni industriali e delle contrattazione sono affidate all'autonoma
determinazione delle parti.
Inoltre hanno assunto l'obbligo contrattuale di applicare l'accordo e di far si che le
strutture a tutti i livelli abbiano lo stesso comportamento.
Sempre in relazione all'AI 2011 va precisato che il decentramento fu incentivato con
l'introduzione della disciplina delle clausole in deroga al CCNL tale clausole erano
mirate ad assicurare la capacità dei contratti di aderire alle esigenze dei specifici
contesti produttivi.
Relativamente alle procedure da osservare per la stipulazione di contratti in deroga
peggiorativa, l'AI del 2011 si limita a rinviare la determinazione dei contratti di
categoria, confermando il modello della derogabilità controllata.
In questo modo, la disciplina transitoria, applicabile sino a quando i contratti d
categoria non provvedono a regolare la materia, pone tre condizioni per la stipula
dei contratti in deroga:
1. la prima condizione riguarda gli obiettivi che possono essere quelli di gestire
situazioni di crisi e di favorire lo sviluppo economico occupazionale dell'impresa in
presenza di investimenti significativi;
2. la seconda condizione riguarda gli istituti del contratto collettivo nazionale che
possono essere modificati in pejus e che sono quelli che disciplinano la prestazione
con la dimensione relativa all'efficacia dei contratti aziendali nei confronti dei
lavoratori e delle stesso organizzazioni sotto-scrittrici dell'AI.
nazionale. 95
L'accordi infatti prescrive ai CCN di privilegiare il livello decentrato sulle materie e gli
istituti idonei ad incidere positivamente sulla crescita della produttività.
In materia di retribuzione poi conferma:
- competenza del contratto decentrato sulle forme di retribuzione variabile;
- consente al contratto di secondo livello che le regola di assorbire una quota pari
all'aumento retributivo previsto dal contratto nazionale di categoria;
10. Gli Accordi interconfederali tra Confindustria, CGIL, CISL e UIL del 31/05/2013 e
del 10/01/2014 e il TU della rappresentanza
Il TU, utilizzando lo stesso criterio adottato nelle amministrazioni pubbliche, prevede
che la rappresentatività dei sindacati sia misurata come media fra il dato associativo
e il dato elettore precisando che nelle unità produttive se sono presenti le RSA e
quindi non vi sono forme di rappresentanza, è rilevato solo il dato degli iscritti.
I dati sugli iscritti e sui voti devono essere raccolti per ogni ambito contrattuale e per 96
ogni singola organizzazione in modo che il CNEL effettui la ponderazione al fine di
determinare la rappresentanza per ogni singola organizzazione e per ogni contratto
nazionale di categoria.
La rappresentatività cosi misurata serve ai fini dell’ammissione alle trattative per la
stipulazione dei contratti nazionali di categoria: sono legittimate a trattare le
Federazioni delle organizzazioni Sindacali firmatarie dell’AI che abbiano nell’ambito
di applicazione del contratto nazionale da stipulare una rappresentatività media non
inferiore al 5%.
98
Una disciplina analoga viene dettata anche per i contratti aziendali che devono
prevedere clausole di tregua sindacale e sanzioni finalizzate a garantire l’esigibilità
degli impegni assunti.
non hanno effetto per i singoli lavoratori: questa precisazione esclude qualsiasi
effetto limitativo dell’adesione individuale allo sciopero (art. 40 Cost.).
Tale precisazione non precisa solo la vincolatività delle clausole di tregua ma implica
anche che il sindacato che appartiene ad una confederazione firmataria del TU o che
non sottoscritte il contratto ZIONALE non può contrapporsi ad esso con il conflitto e
può essere sanzionato.
Queste clausole impongo l’obbligo di tregue anche ai sindacati che non stipulano il
contratto aziendale e questo indebolisce notevolmente la posizione del sindacato
dissenziente ma assicura l’esigibilità del contratto e la sua applicazione.
99
Infatti il TU prevede che la partecipazione di un sindacato non firmatario alla
procedura di elezione delle RSU valga quale adesione all’accordo.
Dal lato delle associazioni imprenditoriali bidona evidenziare che hanno sottoscritto
con CGIL,CISL e UIL accordi interconfederali sulla stessa materia anche:
- Confservizi;
- Confapi;
- A.G.C.I;
Ex. nell’AI con le associazioni delle cooperative sono state aggiunte le regole
applicabili alla contrattazione territoriali praticata in quest’aria d’impresa insieme a
quella di ambito nazionale.
Bisogna notare però che i nuovi principi non sempre sono coerenti con l’obiettivo di
favorire il decentramento contrattuale.
Infatti al potenziamento della contrattazione decentrata, dal punto di vista delle
competenze non sempre corrisponde l’impegno ad ampliare anche l’estensione
prevedendo che le piccole imprese possano essere coperte da quella territoriale.
La sfida per il futuro è quella tra un più deciso potenziamento della contrattazione
decentrata ma controllato e coordinato dal centro e un’irreversibile erosione della
contrattazione collettiva come sistema.
100
11. il processo di stipulazione e di rinnovo del contratto collettivo
Questo conflitto non può sorgere nel settore del lavoro pubblico in quanto in esso
vige un sistema legale di misurazione della rappresentatività effettiva delle
organizzazioni sindacali.
Nell’ambito del lavoro privato invece questo è sempre stato tra i conflitti più
vulneranti nei settori nei quali operano i sindacati autonomi non affiliati alle
maggiori confederazioni.
Tali conflitti non hanno criteri di soluzione giuridica nel diritto statuale o prevale il
sindacato che attraverso la propria capacità di mobilitare i lavoratori riesce ad
imporre agli imprenditori di riconoscerlo come controparte oppure i sindacati
coinvolti trovano un accordo tra di loro o con le controparti.
1.Premessa.
Ogni singolo rapporto di lavoro risulta regolato, oltre che dal contratto individuale e
dalle norme di legge, da una pluralità di contratti collettivi di natura e di livello
diversi. Questo porta alla nascita di numerosi problemi di individuazione della
regolamentazione del rapporto che nasce dall’integrazione di discipline differenziate,
tra le quali si determinano spesso anche situazioni di concorso-conflitto. I contratti
collettivi hanno una scadenza o, se sono stipulati a tempo indeterminato, ciascuna
delle parti può recedere; di conseguenza i problemi riguardanti la disciplina
applicabile, sono accentuati anche dal fatto che i contratti collettivi si rinnovano e si
succedono nel tempo.
In altre parole , un contratto collettivo successivo può modificare anche in peggio per
i lavoratori la disciplina di istituti che trovano la loro fonte solo in presedenti
contratti collettivi dello stesso livello; prevarrà, viceversa, la disciplina precedente
ove ne siano fonte disposizioni inderogabili di legge o il contratto individuale. Questa
soluzione appare la più adeguata anche da un punto di vista politico-sindacale.
L’unico limite in materia è costituito dall’intangibilità di quei diritti che siano già
entrati a far parte del patrimonio del lavoratore, quale corrispettivo di una
prestazione già resa nell’ambito, quindi di un rapporto o di una fase del rapporto già
esaurita. Si tratta dei c.d. diritti quesiti o acquisiti.
Un esempio: il sindacato nella sua attività contrattuale non potrà disporre della 104
maggiorazione per il lavoro straordinario già prestato dal lavoratore; essa è
determinata dal contratto collettivo vigente al momento della prestazione.
Ma ciò non legittima il lavoratore a pretendere che nei suoi confronti quella
maggiorazione rimanga per il futuro nella misura determinata dal precedente
contratto, nonostante la sua successiva riduzione.
Accade spesso che la trattativa, per quanto avviata prima della scadenza del
contratto collettivo, non riesca ad esaurirsi prima di quel termine. Si determina così
un periodo di vacanza contrattuale- cioè un vuoto normativo, dal momento che ha
perso efficacia il contratto scaduto e non è stato ancora stipulato il contratto nuovo-
e il datore di lavoro, non più tenuto al rispetto del contratto collettivo scaduto, può
convenire pattuizioni individuali peggiorative dei trattamenti minimi previsti da
quest’ultimo, fatti salvi i diritti quesiti. Non
manca però la giurisprudenza che afferma il principio contrario: è propria della
funzione del contratto collettivo la sua ultrattività,--> cioè la conservazione della
sua efficacia fino alla sostituzione da parte del successivo contratto, perlomeno per
le clausole retributive.
Il problema non può essere risolto con il richiamo all’art. 2074 c.c. che pure
esplicitamente dispone l’ultrattività dei contratti collettivi, perché tale norma
concerne il contratto collettivo corporativo e, secondo una giurisprudenza
consolidata, non è applicabile anche al contratto collettivo di diritto comune.
In concreto, peraltro, i contratti collettivi di diritto comune contengono spesso
clausole che esplicitamente ne sanciscono l’ultrattività.
Una clausola del genere non sempre, però, è rinvenibile nel testo contrattuale.
Il Protocollo del ’93 e l’Accordo Quadro del 2009 hanno affrontato il problema, ma in
modo indiretto, cioè regolando tempi e procedure negoziali. Queste discipline,
tuttavia, hanno solo il fine di disincentivare comportamenti dilatori e ritardi che,
dunque restano sempre possibili.
Un altro tipo di problema si pone quando il nuovo contratto collettivo contiene
clausole che prevedono la retroattività del nuovo regolamento contrattuale. La
norma preclusiva dettata per i contratti collettivi corporativi non può essere estesa ai
contratti collettivi di diritto comune. Oggi pertanto i contratti possono,
legittimamente contenere clausole che ne facciano decorrere gli effetti da date
anteriori a quella della stipulazione.
Va precisato che il conflitto trova più agevole soluzione allorchè nel sistema
contrattuale siano presenti clausole che disciplinano espressamente il rapporto tra i
livelli;
Si pensi al caso in cui il contratto nazionale di categoria contenga una clausola di
uscita,(disciplinano espressamente il rapporto tra i livelli) consentendo che, in
alcune ipotesi, il contratto aziendale o territoriale possa derogarlo in pejus: è proprio
il contratto nazionale, infatti, a disporre che debba trovare applicazione la clausola
del contratto di livello inferiore, a condizione che quest’ultimo rispetti i presupposti e
i limiti eventualmente posti dallo stesso contratto nazionale. In questi casi, nessun
lavoratore, anche non iscritto, potrà sottrarsi alla disciplina peggiorativa di secondo
livello: accettando l'applicazione al proprio rapporto della disciplina e delle tutele del
contratto nazionale di categoria, infatti i lavoratori accettano anche le competenze
derogatorie di quelle tutele che esso riconosce al contratto decentrato e non
possono, dunque, sottrarsi alle deroghe adottate da quest'ultimo; è evidente che
quanto è più ampia è la possibilità di deroga ammessa dal contratto di livello 106
superiore, tanto meno il problema è destinato a porsi.
Quando i conflitti tra clausole contrattuali di diverso livello hanno cominciato ad
emergere, la giurisprudenza ha affermato il principio dell’inderogabilità in pejus del
contratto nazionale di categoria da parte di quello di livello inferiore, fondando tale
tesi sull’applicazione dell’art. 2077 c.c. anche al rapporto tra contratti collettivi per di
più di diritto comune.
A partire dagli anni ’80 la Cassazione in numerose pronunce ha affermato la
prevalenza della regolamentazione dettata dal contratto posteriore nel tempo, che
fosse di livello superiore o inferiore, ovvero migliorativo o peggiorativo rispetto al
contratto collettivo preesistente.
Un altro criterio per risolvere il conflitto di regolazione, suggerito dalla dottrina, è
stato quello della specialità, secondo cui il contratto prevalente sarà quello più vicino
alla situazione da regolare (dunque quello di livello inferiore). Tale criterio non può,
però, essere applicato indiscriminatamente. Affinché la sua utilizzazione sia corretta
è necessario anche che i diversi contratti siano stati stipulati dalle medesime
organizzazioni.
Alla riflessione giuridica in materia si è interessata anche la regolamentazione
negoziale del rapporto tra livelli contrattuali che, a partire dal Protocollo ’93 e dai
successivi ccnl, ha dato un assetto sistematico al sistema contrattuale,
generalizzando il metodo delle c.d. clausole di rinvio e di non ripetibilità per
determinare le competenze del contratto decentrato.
Il problema del conflitto tra normative contrattuali di diverso livello non può però
automaticamente dirsi risolto con le clausole di non ripetibilità e di rinvio delle
competenze contenute nel ccnl, poiché tuttora è controversa la natura giuridica e
l’efficacia di tali clausole. In particolare, solo una parte minoritaria della dottrina
riconosce ad esse un’ efficacia reale, cioè tale da determinare l’invalidità giuridica
e,quindi, l’inapplicabilità della norma contrattuale di livello inferiore; un’altra parte
ritiene, al contrario, che esse non abbiano una simile efficacia, con la conseguenza
della piena validità ed efficacia della norma del contratto decentrato, seppure lesiva
della clausola di rinvio del ccnl.
La giurisprudenza recente è comunque oscillante a riguardo.
Con riferimento alla più recente evoluzione dei rapporti industriali, si può, poi,
aggiungere che la possibilità di individuare la soluzione del conflitto di regolazione
adottando il criterio dell’interpretazione del sistema contrattuale, invece che gli altri
criteri sopra descritti, è attualmente messa in crisi dall’Accordo Quadro 2009, che ha
sì sostituito con nuovi principi quelli introdotti dal Protocollo ’93, ma nel dissenso
della Cgil. Pertanto, i principi del ’93 e le regole applicative contenute nei contratti
successivi non vincolano più le parti che hanno aderito all’Accordo del 2009; invece, i 107
nuovi principi introdotti da quest’ultimo non vincolano la Cgil che non ha sottoscritto
il relativo accordo. Dunque se i principi contenuti nell’AQ 2009 vengono attuati
mediante accordi interconfederali e/o nazionali di categoria sottoscritti
separatamente, si può legittimamente dubitare che le regole in essi contenute
possano fungere da criterio di giudizio del concorso-conflitto tra contratti collettivi di
diverso livello, poiché su di esse non converge un consenso sufficientemente
generalizzato. Il contrario può dirsi, invece, ove tali accordi siano stipulati
unitariamente.
Nei casi in cui le regole sul sistema contrattuale siano contenute in accordi
interconfederali e/o in contratti nazionali di categoria sottoscritti separatamente, si
accentua il rischio dello sviluppo di un contenzioso giudiziario attivo da parte di
lavoratori non iscritti ai sindacati firmatari delle intese di livello superiore e dei
contratti derogatori.
Al contrario, l'equilibrio del sistema e la stessa tenuta degli accordi decentrati nel
contenzioso attivato da lavoratori “dissenzienti” appare meglio garantito nei casi in
cui le regole siano dettate in accordi stipulati unitariamente.
Di grande rilievo, in questa prospettiva, è la regolamentazione interconfederale con
la quale, proprio per arginare gli effetti destabilizzanti sul sistema contrattuale
determinati dagli accordi separati, le parti sociali hanno ri-regolato unitariamente il
rapporto tra i livelli contrattuali:
⁃ da un lato, precisando le condizioni alle quali il contratto aziendale prevale su
quello nazionale di categoria;
⁃ dall'altro, stabilendo i presupposti per far acquisire efficacia erga omnes al
contratto stesso.
La capacità di tenuta del sistema e la riduzione del rischio di un contenzioso
giudiziario proposto da singoli lavoratori è strettamente legato al concreto rispetto,
negli accordi decentrati, di tutti i presupposti e limiti, anche procedurali, stabiliti dal
livello superiore nelle clausole di rinvio e in quelle di uscita.
Nella successione di contratti collettivi di diverso livello è consentita la modifica in
peius del trattamento dei lavoratori, sempre che non si incida su disposizione di
legge inderogabili o su istituti regolati sulla base di contratti individuali di lavoro e
fatti pur sempre salvi i diritti quesiti, cioè già entrati a far parte del patrimonio del
lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa.
L'art. 8 D.Lgs. n. 138/2011 ha provveduto a :
⁃ dettare una disciplina dei rapporti tra livelli,
⁃ a stabilire le modalità di estensione dell'efficacia soggettiva del (solo) contratto
decentrato.
Essa attribuisce la facoltà di introdurre deroge peggiorative alle regolamentazioni dei 108
contratti nazionali di categoria a intese decentrate che abbiano talune caratteristiche
specificamente individuate dal legislatore.
Tali intese:
⁃ devono avere ad oggetto una o più materie rientranti in un elenco
⁃ devono rispettare la Costituzione e i vincoli derivanti dalle normative
sovranazionali
⁃ devono perseguire una tra le numerose e articolate finalità selezionate
⁃ devono essere realizzate nel contesto di contratti collettivi di lavoro, a livello
territoriale o a livello aziendale.
La disposizione individua attori e funzioni dei contratti collettivi e disciplina i rapporti
tra
contratti di diverso livello, sovrapponendosi all'autonomia delle parti.
Infatti, il legislatore:
→ verifica l'obiettivo di introdurre una derogabilità controllata del contratto
nazionale di
categoria.
→ amplia a dismisura, al di là di ciò che le organizzazioni sindacali erano disposte a
concedere, gli spazi per le possibili deroghe al medesimo CCNL.
→ La legge non solo ha aperto la strada ad un decentramento contrattuale
disorganizzato,
ma si è anche sovrapposta alla regolamentazione autonomamente definita dalle
parti sociali.
Conflitto di regolazione e P.A. : è necessario dar conto della specifica
regolamentazione
dei rapporti tra livelli dettata per la contrattazione nella P.A.
al trattamento dei lavoratori, ma non può dettare disposizioni peggiorative della 109
tutela predisposta dalla legge.
In sintesi anche il rapporto tra contratto collettivo e legge, salvo diversa
disposizione, è ispirato alla regola della derogabilità in melius / inderogabilità in
peius e la clausola del contratto collettivo che detti una disciplina contrastante e
peggiorativa rispetto alla norma di legge sarà nulla.
Questo schema classico non è però privo di eccezioni, ovvero:
⁃ per rispondere ad esigenze economiche e di governo del mercato del lavoro;
⁃ numerosi interventi legislativi vi hanno apportato deroghe sotto un duplice profilo:
1. ''Autorizzando'' il contratto collettivo ad integrare, sostituire o derogare in pejus
quanto da essi stabilito (flessibilità contrattata o contrattazione delegata)
2. sia imponendo al contratto collettivo di non disporre trattamenti migliorativi di
quelli da essi indicati (c.d. tetti).
possibilità di derogarla, ma con l’aggiunta che, se le parti non raggiungono l’accordo, 110
l’integrazione viene disposta dal
Ministro del Lavoro.
e. La norma legale affida al contratto collettivo la regolamentazione di una materia
ma, contemporaneamente, affida ad un’autorità amministrativa indipendente (non
subordinata al potere politico) sia il controllo del rispetto dei vincoli da essa stessa
posti, sia un potere sostitutivo nel caso le parti non realizzino l’accordo.
Questa è la tecnica normativa utilizzata per la determinazione, nei servizi pubblici
essenziali, delle prestazioni indispensabili che devono essere garantite agli utenti in
occasione di
scioperi.
Va sottolineato che l’ipotesi d) implica un potenziale ridimensionamento del ruolo
della contrattazione collettiva. La possibilità di richiedere l’intervento del Ministro
del lavoro, può indurre l’una o l’altra parte negoziale a preferire l’atto amministrativo
agli incerti esiti della contrattazione collettiva, disincentivando il ricorso a
quest’ultima.
Secondo l'interpretazione più condivisibile, tali effetti possono essere prodotti solo 111
dalle intese sottoscritte nel rispetto dei presupposti e dei limiti dettati dall'art. 8 e dai
soggetti in esso selezionati, e cioè dai contratti collettivi che siano stipulati:
- a livello territoriale, “da associazioni dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale o territoriale”
- a livello aziendale, da queste stesse associazioni o dalle loro rappresentanze
sindacali operanti in azienda .
Vanno certamente ricomprese anche le (sole) RSA, escluse quelle che non siano
costituite nell'ambito di associazioni dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale o territoriale.
Criterio maggioritario: le intese, al fine di acquisire efficacia erga omnes, devono
essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette
rappresentanze sindacali.
Tale criterio è però ambiguo, una parte della dottrina ha proposto di recuperare i
criteri previsti a questo fine dall'AI Confindustria; un'altra parte della dottrina,
invece, ritiene rispettato il criterio maggioritario ove l'accordo sia sottoscritto dalla
maggioranza dei componenti delle RSU o, in mancanza di queste, mediante il
necessario ricorso al referendum tra i lavoratori interessati.
Relativamente alle materie sulle quali le intese possono incidere, va sottolineato che
l'elenco va interpretato in senso restrittivo.
Inoltre, le intese derogatorie dovranno essere adottate nel rispetto della
Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative sovranazionali.
dall’altro, che la contrattazione collettiva trova una tutela costituzionale di principio 112
nel comma 1 dell’art. 39 Cost.
Infine nello scorso decennio, la norma legale ha disposto, talvolta, che la
contrattazione collettiva non possa regolare alcune materie; ma è lecito dubitare
della legittimità costituzionale di simili normative.
Essa può esprimersi in una varietà di comportamenti Lo sciopero dei lavoratori è
la forma più tipica.
Il denominatore comune di tutte le manifestazioni di autotutela è l’esercizio di una
pressione a difesa di interessi collettivi tale pressione è indirizzata nei confronti
della controparte del conflitto sindacale.
L’ordinamento giuridico però non valuta nello stesso modo tutte le manifestazioni
di autotutela:
Vi sono forme che costituiscono un diritto parliamo dello sciopera come
accade in Italia;
Vi sono forme che sono solo espressione di libertà come la serrata dei datori
di lavoro;
Vi sono forme vietate dalla legge e la violazione del divieto può costituirsi:
- Illecito civile;
- Illecito disciplinare;
- Illecito penale;
IL CODICE ZANARDELLI Nel 1889, con l’emanazione del codice penale (c.d. codice 113
Zanardelli) venne abrogato il divieto di e lo sciopero non fu più considerato un fatto
perseguibile penalmente parchè posto in essere senza violenza e minaccia.
L’art.40 è la norma costituzionale nella quale più si rileva il conflitto tra lo Stato 114
sociale contemporaneo e lo Stato liberale.
STATO LIBERALE si fondava sulla base del principio dell’uguaglianza formale del
cittadino di fronte alla legge;
Anzi, la corte affermò l’incompatibilità del divieto penale di sciopero e serrata con il
nuovo ordinamento democratico in quanto l’art.502 c.p. nega la libertà sindacale
garantita nell’art. 39Cost.
La Corte sottolineò la stretta connessione tra l’art. 40 e l’art.39 della Cost.
Affermando che sebbene enunciati in 2 distinte norme:
- Il principio della libertà di sciopero;
- Il principio della libertà sindacale
Non sono coniugati e quindi di conseguenza il significato dell’art. 39 non può essere
circoscritto entro i limiti di una mera libertà organizzativa mentre l’art. 40 si presenta
come un’affermazione integrale alla libertà di azione sindacale.
LA CARTA DI NIZZA Il riconoscimento dello sciopero come diritto fondamentale 115
viene operato anche nell’ordinamento dell’UE.
La carta di Nizza riconosce una pluralità di diritti fondamentalifra questi il diritto di
negoziazione collettiva e di sciopero.
Infatti, l’art 28 afferma che i lavoratori e i datori di lavoro o le rispetti organizzazioni
sindacali hanno il diritto di:
- Negoziare e concludere contatti collettivi;
- Diritto di sciopero;
La Carta ha acquisito un valor giuridicamente vincolante con il Tratto di Lisbona
(entrato in vigore il 1/12/2009) che rinnova il contenuto dell’art.6 del TUE che
sancisce che l’UE riconosce i diritti e le libertà sancirti dalla Corte dei diritti
fondamentali dell’UE adottata nel dicembre del 2007.
L’UE riconosce quindi come diritto fondamentali il diritto di azione collettiva ma non
fornisce una sua regolamentazione che rimette alla competenza dei legislatore degli
stati membri.
Infatti, l’art. 153 del Trattato, all’interno dei diritti sociali fondamentali definisce
quelle che sono le materie fuori dalla competenza dell’UE:
- Retribuzione;
- Diritto di associazione;
- Diritto di sciopero;
- Serrata;
Il diritto di sciopero esplica i suoi effetti anche nei rapporti intersoggettivi privati,
inibendo al datore di lavoro la possibilità di compiere nella gestione del rapporto di
lavoro, atti diretti a modificare l’esercizio del diritto.
È proprio a tal fine che si superano i principio dello Stato liberala quindi non si parla 116
più di libertà di sciopero diritto di sciopero.
A tal fine è necessario dire che una sentenza della corte costituzionale del 1975
dichiarò illegittima la serrata per gli esercenti delle piccole industrie e commerci privi
di lavoratori alla proprie dipendente (art. 506 c.p.) per contrasto con l’art.40 Cost.
Infatti era errato considerare la serrata come una protesta degli imprenditori in
quanto si tratta di un comportamento che non influisce sul rapporto di lavoro in
quanto svolgono un’attività di impresa solo con il loro lavoro e non sono qualificabili
come datori di lavoro.
Successivamente la Corte di cassazione riconobbe la titolarità del diritto di sciopero
ai lavoratori in condizioni di para-subordinazione.
117
NBLo sciopero è storicamente uno strumento di lotta di gruppi sociali che mirano
a riequilibrare il loro deficit di forza sociale quindi se la disuguaglianza non sussiste:
Né l’astensione al lavoro può configurarsi come sciopero;
Né può trovare applicazione nell’art. 40 Cost.
In conformità a questo, è necessario dire che la corte costituzionale ha escluso che
potesse qualificarsi come sciopero l’estensione alle udienza degli avvocati e non ha
esteso la validità della propria sentenza agli imprenditori con uno e due lavoratori
alle sue dipendenze.
Tale dottrina lascia però fuori molti fenomeni dello sciopero come quello nei
confronti della pubblica autorità o lo sciopero di solidarietà.
Cosi facendo quindi, il diritto di sciopero non è più visto come diritto potestativo ma
come diritto assoluto della persona, condizionato all’esistenza di un contratto ma
non inerente necessariamente al rapporto giuridico con il datore di lavoro.
È più convincete parlare quindi dello sciopero come negozio si può notare che nel
comportamento del lavoratore che attua lo sciopera non si nota alcun intento
negoziale.
Questi intento potrebbe essere individuato nella proclamazione della sciopero d
parte dell’organizzazione sindacale che assumerebbe la natura di negozio di
autorizzazione a scioperare.
In questo modo però la legittimità dello sciopero discenderebbe dalla sua 118
proclamazione da parte di un sindacato ma la titolarità dello sciopero è dei
lavoratori.
SCIOPERO COME FATTO GIURIDICO quindi dal punto di vista della natura
giuridica, è necessario dire che lo sciopero viene trattamento come un
comportamento rilevante e quindi come fatto giuridico.
9. Sciopero e retribuzione
L’effettuazione di uno sciopero sospende, per il lavoratore che vi abbia partecipato il
diritto sulla retribuzione.
EFFETTO SLLE FERIE Si ritiene che anche il periodo di ferie vado ridotto 119
proporzionalmente alla durata dello sciopero.
A tal fine è necessario dire che l’argomentazione è che il diritto alla ferie retribuite
vada a rispondere all’esigenza di reintegrare le energie del lavoratore spese durante
un anno di lavoro, ma non avendo durate il periodo di sciopero speso alcuna energia
collegabile alla prestazione di lavoro, ne consegue che il periodo di ferie deve essere
congruamente ridotto.
Nbla gratifica natalizia, le ferie e il TFR sospendono solo le prestazioni di lavoro ma
non sospendo il rapporto di lavoro.
SCIOPERI BREVI E UTILITA’ DELLA PRESTAZIONE nel momento in ci parliamo degli
scioperi brevi facciamo riferimento a quelli di durata inferiore alla giornata di lavoro.
È stato sostenuto che in questi casi la trattenuta sulla retribuzione deve essere
operata non in proporzione alla durata della sciopera ma alla diminuita utilità della
prestazione.
Quindi il lavoratore deve realizzare un prestazione che non sia utile per sé ma che
realizzi l’utilità economia finale a cui l’organizzazione produttiva è proposta.
Quindi al lavoratore non spetta nulla nel momento in cui il datore di lavoro abbia
trovato poco utile l’utile economia finale a cui l’organizzazione produttiva è preposta
che dipende:
- Tipo di organizzazione predisposta dal datore di lavoro;
- Natura dell’attività produttiva;
Quindi l’utilità del risultato deve essere misurata in relazione alla natura della singola
prestazione e non tenendo conto del risultato che il l’imprenditore intende
realizzare.
Tale utilità sarà tanto più ridotta tanti più è accentuata la parcellizzazione del lavoro
al di sotto di tale utilità, non essendoci prestazioni, non nascerà il diritto alla
controprestazione retributiva.
Il riconoscimento del diritto di sciopero implica il riconoscimento del diritto a porre 120
in essere comportamenti strumentali rispetto all’estensione del lavoro.
Quindi l’ordinamento giuridico, nel omento in cui riconosce il diritto di sciopero, non
può negare la propria tutela a quei comportamenti che l’esperienza mostra essere
strettamente collegati con l’effettiva possibilità di esercizio di quel diritto.
Ex. Attività di propaganda finalizzata a far aderire allo sciopero tutti componenti del
gruppo professionale coinvolto nell’azione sindacale (trova già tutela nell’art 14 dello
Statuto dei lavoratori).
Ex. La corte di cassazione ha ritenuto sussistente il delitto della violenza privata nella
condotta di alcuni scioperanti che avevano effettuato un blocco stradale e avevano
posto in essere comportamenti intimidatori nei confronti dei passanti che
chiedevano di transitare.
Capitolo dodicesimo
I LIMITI AL DIRITTO DI SCIOPERO / LIMITI ALLO SCIOPERO
1.La tecnica definitoria
L’art. 40 Cost. recita: “Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo
regolano”.
-Fino alla legge 146/1990 è MANCATA quasi del tutto un’attività del legislatore
ordinario, ma la giurisprudenza ha individuato una serie di limiti.
Gli articoli del codice penale che qualificavano lo sciopero come reato non sono stati
mai
abrogati o riformulati dal legislatore.
Per molti anni la perdurante vigenza degli articoli 502 e ss c.p. apparve una grave 122
contraddizione nell'ordinamento: erano formalmente in vigore sia la norma
costituzionale che riconosce la legittimità del conflitto sindacale e, in questo ambito,
il diritto di sciopero; sia le norme penali che negavano tale legittimità.
Solo l'art. 502 cp che puniva la serrata e lo sciopero per fini contrattuali fu
integralmente eliminato dalla Corte Costituzionale.
Nonostante l'ovvia possibilità di estendere il ragionamento seguito a questo
proposito a tutte le altre norme penali sullo sciopero, la Corte costituzionale scelse
di non dichiararle integralmente incostituzionali, ma di manipolarle attraverso
dichiarazioni d’incostituzionalità parziale, in modo da cambiarne profondamente il
significato.
La conseguenza era la compatibilità dell’art. 40 della Cost. degli art artt. 503 e 504
c.p.:
Art. 503: prevede come reato lo sciopero per fine “politico”,
Art. 504: prevede come reato lo sciopero “volto a costringere l’autorità a dare o
omettere un provvedimento, o comunque ad influire su di essa”.
Lo sciopero politico “non può essere penalmente compresso se non a tutela ultima
di interessi cha abbiano rilievo costituzionale”; quindi la Corte lasciò in VIGORE l’art
503 c.p. per i soli casi in cui lo sciopero sia diretto a “sovvertire l’ordinamento
costituzionale” oppure quando, “oltrepassando i limiti di una legittima forma di
pressione, si converta in uno strumento atto ad impedire od ostacolare il libero
esercizio di quei diritti e poteri nei quali si esprime la sovranità popolare”.
La questione rimane, tuttora, incerta, in quanto non si è ben capito, in quanto non
precisato, cosa si intenda per libero esercizio, e quali siano i diritti e i poteri in cui si
esprime la sovranità popolare. Non basterebbe inoltre che l’azione avesse
oggettivamente tale effetto impeditivo, ma occorrerebbe un dolo specifico in tal
senso →(es. è certo che uno sciopero del settore dei trasporti può impedire una 124
riunione parlamentare: ma non è detto che esso miri a tale obiettivo, potendo
essere rivolto a rivendicazioni economiche non c’è dolo, quindi il reato non
dovrebbe sussistere). Inoltre, vi è da chiedersi in quali ipotesi possano ritenersi
‘oltrepassati i limiti di una legittima forma di pressione’. Si è affermato che ciò
avviene quando lo sciopero sia in grado di turbare il processo di formazione della
volontà pubblica, inducendo a scelte che liberamente, senza quella pressione, non
sarebbero state adottate.
In base alla considerazione che non è condizione di legittimità dello sciopero il fatto
che lo stesso sia attuato per fini contrattuali (per sostenere pretese nei confronti
del datore di lavoro con il quale intercorre il rapporto), la Corte costituzionale ha
riconosciuto la legittimità anche del cosiddetto sciopero di SOLIDARIETÀ (sentenza n
123/1962) prevista all’art 505 cp e che ricorre quando alcuni lavoratori si pongono in
sciopero senza avanzare alcuna pretesa che influisca sul loro rapporto di lavoro, ma
per “solidarizzare con le rivendicazioni di altri gruppi oppure contro la lesione degli
interessi di un singolo lavoratore”.
La Corte costituzionale ha affermato che lo sciopero di solidarietà è forma di lotta
sindacale legittima a condizione che sussista una COMUNIONE DI INTERESSI tra i
due gruppi di lavoratori. Infatti, lo sciopero di solidarietà, secondo la Corte, “non
può non trovare giustificazione, ove sia accertata l’affinità delle esigenze che
motivano l’agitazione, tale da far fondatamente ritenere che, senza l’associazione di
tutti in uno sforzo comune, esse rischino di rimanere insoddisfatte”.
All’interno del nostro ordinamento risulta ancora in vigore l’art. 505 c.p., ma non si
applica nell’ipotesi di “COMUNIONE DI INTERESSI” in quanto ricorre
l’ESIMENTE(esclusione) dell’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.). Centrale dunque è
la valutazione della sussistenza della Comunanza di Interessi, che la Corte demanda
al giudice di merito; e ciò appare in netto contrasto con il principio di
autodeterminazione dell’interesse collettivo
125
B) SCIOPERO E LIBERTÀ D'INIZIATIVA ECONOMICA
EVOLUZIONE STORICA
Dal dopoguerra fino al 1980 (anno in cui fu emanata la sentenza 711 della Corte di
Cassazione che segnò l’abbandono della tecnica definitoria e dei conseguenti limiti
imposti alla definizione di sciopero), la giurisprudenza ha affermato l’illegittimità
dello sciopero praticato secondo
modalità particolari, immediatamente qualificate come “ANOMALE”: si tratta degli:
o scioperi a SINGHIOZZO (astensione dal lavoro frazionata nel tempo in periodi
brevi) o scioperi a SCACCHIERA (astensione dal lavoro effettuata in tempi diversi da
differenti gruppi di lavoratori, le cui attività siano interdipendenti
nell’organizzazione del lavoro).
Queste due forme di sciopero nella prassi sindacalee prendono anche il nome di
SCIOPERO ARTICOLATO: sono volte ad alterare i nessi funzionali che collegano i vari
elementi dell’organizzazione produttiva e a produrre il massimo danno per la
controparte con la minima perdita di retribuzione per gli scioperanti;(quest’ultima
caratteristica li distingue dagli scioperi brevi ) di contro però, queste forme di
sciopero richiedono una notevole compattezza tra i lavoratori e un’organizzazione
del lavoro con un alto grado di rigidità, perciò questi mezzi di lotta sono utilizzati
solo in fasi particolarmente acute del conflitto.
dell’attività lavorativa. Con lo sciopero inteso nella teoria definitoria i lavoratori si 126
assumono i loro rischi e le loro responsabilità rinunciando alla retribuzione, mentre
con queste forme ‘anomale’ di sciopero, il lavoratore non subisce alcun danno
perché non si priva del suo guadagno giornaliero. (e provoca un turbamento
sostanziale nell’organizzazione delle aziende e nello svolgimento della produzione).
Il danno ingiusto sarebbe quello che lede l’interesse del datore di lavoro alla
CONSERVAZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE.
Tale teoria venne elaborata dalla dottrina (Ghera) ed accettata dalla giurisprudenza
della Cassazione nella sentenza 711/1980, la quale negò che la legittimazione o
meno di uno sciopero dipendesse dalla distribuzione temporale o della
partecipazione allo stesso. Inoltre, respingendo la tecnica definitoria, ha specificato
che il significato di “sciopero” va ricavato dal suo uso comune e ha affermato che
l’entità del danno non è elemento di qualificazione dello sciopero come legittimo o
meno ed ha negato che l’interprete possa ricavare tale qualificazione in via
sistematica dalle regole di inadempimento delle obbligazioni, essendo lo sciopero
una non esecuzione dell’obbligazione scaturente dal contratto di lavoro.
127
4.Il danno alla produttività
5. Precisazioni sulla distinzione tra danno alla produzione e danno alla produttività
128
Quando il danno alla produzione dell’impresa si trasforma in un danno alla
produttività dell’impresa, lo sciopero diviene illecito. Il danno alla produttività → si
configura come qualsiasi fatto doloso o colposo che cagioni all’impresa un danno
ingiusto che si proietta nel futuro, essendo destinato a danneggiare l’impresa nella
sua attitudine produttiva nel lungo termine. E tale danno quindi si verifica quando
ad es. l’azione di sciopero non comporta soltanto uno stop della produzione o un
rallentamento del n. dei pezzi lavorati (danno alla produzione), bensì lo sciopero
pregiudica la normale produttività aziendale, per cui scaturisce una
disorganizzazione così rilevante da pregiudicare anche la capacità produttiva
dell’azienda.
giudice inglese, che sospende il giudizio e rimette alla Corte di Giustizia la questione 129
pregiudiziale volta a stabilire <SE il Trattato intenda vietare di un’azione
sindacale,nel caso in cui la stessa abbia lo scopo di impedire ad un datore di lavoro
di avvalersi della libertà di stabilimento.
Caso LAVAL: una società lettone, la Laval appunto, distaccò alcuni dipendenti in
Svezia presso un’altra società (la Baltic), svedese, ma controllata al 100% dalla
Laval. I sindacati svedesi degli edili intrapresero un’azione per ottenere
l’applicazione a questi lavoratori del contratto collettivo svedese a tali lavoratori.
Ma la trattativa non ebbe successo, e i sindacati posero in essere un’azione di
autotuela consistente in un blocco dell’accesso delle merci in cantiere e
nell’impedire ai lavoratori lettoni di entrarci. In seguito il sindacato svedese degli
elettrici, tramite un’azione di solidarietà, impedì alle imprese di installatori elettrici
di fornire servizi alla
Laval. Quest’ultima ricorre dinanzi ad un giudice, che sospende il giudizio e rimette
alla Corte di giustizia europea , la questione pregiudiziale di stabilire la compatibilità
dell’azione sindacale con la libera prestazione di servizi, nelle mani della Corte di
Giustizia.
130
Nella sentenza Viking, si afferma che una restrizione alle libertà economiche è
possibile qualora si persegua un obiettivo compatibile con il Trattato e la restrizione
sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale (ammettendo che il diritto
di intraprendere un’azione collettiva rientri tra tali ragioni). Ma comunque l’azione
intrapresa dai sindacati deve essere adeguata e non deve andare al di là di ciò che è
necessario per perseguirlo.
Nella sentenza Laval si afferma che anche la libertà di prestazione di servizi è
principio fondamentale della Comunità e che una restrizione a tale libertà può
essere ammessa soltanto se essa persegue un obiettivo legittimo e compatibile con il
trattato ed è giustificata da ragioni imperative di interesse generale purchè essa non
vada al di là di ciò che è necessario per raggiungere l’obiettivo.
È evidente che il bilanciamento è tutto a favore della libertà di stabilimento e di
prestazione di servizi : l’azione collettiva a tutela delle condizioni di lavoro viene
ammessa come eccezione, se ed in quanto inquadrabile nelle restrizioni consentite
in generale dalle 2 norme che regolano tali libertà.
Capitolo quattordicesimo
B) LA SERRATA E LE ALTRE FORME DI AUTOTUTELA DEL DATORE DI LAVORO
1.Il silenzio della Costituzione
La serrata è il mezzo di lotta sindacale più utilizzato dagli imprenditori, che consiste
nella totale o parziale chiusura dell'impresa e cioè nel RIFIUTO DI ACCETTARE LA
PRESTAZIONE DI LAVORO E DI PAGARE LA RETRIBUZIONE.
All'interno della nostra Costituzione non è previsto in alcun modo, la libertà di
serrata da parte dei datori di lavoro. Si è più volte rilevato che l'art 40 riconosce lo
sciopero come diritto, ma non menziona la serrata che è un forma di autotutela degli
imprenditori.
In realtà la Costituzione l'ha volutamente esclusa, in quanto non voleva in alcun
modo porre sullo stesso piano i datori di lavoro e i lavoratori, tutelando in tal modo
questi ultimi come categoria sottoprotetta e degna di un apposito strumento di
autotutela.
2.Serrata e mora del creditore
Non essendo tutelata costituzionalmente, la serrata, soggiace alle norme civilistiche
in tema di MORA DEL CREDITORE (artt.1206 e ss) che rifiuta la prestazione
L’art.1206 c.c., in tema di mora credendi, prevede che il creditore(cioè il datore) non
sia in mora nel momento in cui rifiuta la prestazione per un MOTIVO LEGITTIMO: è
il caso della c.d. serrata di RITORSIONE detta anche messa in libertà-->cioè il rifiuto
del datore di lavoro di ricevere le prestazioni, quando i lavoratori pongano in
essere uno sciopero articolato(a singhiozzo(l’interruzione e la ripresa del lavoro
vengono effettuate per brevi e consecutivi periodi)o a scacchiera(si assiste ad
un’adesione allo sciopero da parte dei diversi lavoratori interessati, che si configura
come una staffetta(ad esempio, avviene che si alternino nell’astensione differenti
reparti)).
Infatti nella prassi italiana la serrata non è mai stata posta in essere per rivendicare
qualcosa, ma solo come risposta a forme di lotta sindacale dei lavoratori.
Si è cercato in vari modi di giustificare la serrata dei datori di lavoro nel caso di
sciopero articolato: un
orientamento giurisprudenziale ha sostenuto che la legittimità della serrata
derivasse dall’illegittimità dello
sciopero, di fatto prevedendo una responsabilità collettiva dei lavoratori che nel
nostro ordinamento non esiste(poichè legittimo); un altro orientamento ha valutato
la legittimità della serrata, precisando che, nel momento in cui al datore viene
offerta la prestazione lavorativa, egli non ha interesse ad ottenerla in quanto non
più utilizzabile e non proficua: questo, però, comporterebbe il passaggio del rischio 132
della produttività sul lavoratore, da sempre, invece, gravante sull’imprenditore.
L'unica conclusione giuridicamente corretta sembra perciò essere nel senso che la
sospensione
dell'attività produttiva(la serrata di ritorsione è ammissibile) sia legittima solo in due
ipotesi :
1. quando la prestazione offerta nell'intervallo di uno sciopero a singhiozzo sia tanto
breve
da non consentire alla prestazione di lavoro di realizzare la sua minima unità tecnico-
temporale, ovvero, quando, in uno sciopero a scacchiera, l'astensione di un gruppo
di lavoratori impedisca
ad altri di effettuare la propria prestazione nonché le prestazioni esigibili ex art. 2103
c.c .
2.Nella seconda ipotesi, l'offerta della prestazione non è reale perché ha ad oggetto
una
prestazione impossibile;
-nella prima, il rifiuto è legittimo perché l'offerta ha ad oggetto una prestazione
parziale (art. 1181 c.c.) o, meglio, diversa da quella pattuita (art. 1197 c.c.).
Nei casi in cui, al contrario, lo sciopero articolato abbia solo diminuito la convenienza
per il datore di lavoro (la proficuità di cui parla la giurisprudenza) o reso più difficile
l'utilizzazione, allora il rifiuto
della prestazione di tali lavoratori non potrà trovare giustificazione e l'imprenditore
dovrà essere
considerato in mora.
sindacale di cui all’art.39 Cost. e pertanto non fosse in alcun modo perseguibile 133
penalmente.
In modo del tutto opposto si pronunciò in merito alla serrata di solidarietà o per
protesta, contenuto nell'art. 505 c.p.(serrata compiuta solo per solidarietà con altri
datori di lavoro), con la sentenza 141/1967, precisando che la libertà di serrata si
innestasse all’interno del rapporto tra datore di lavoro e prestatore(lavoratore) e che
non avesse motivo di esistere al di fuori di esso, lasciando in vigore l’art. che
continua, tuttora, a vietarla.
Stesso ragionamento vale per la serrata a fine politico, art.503 c.p.,e per la serrata di
coazione della pubblica autorità, art.504 c.p, i cui divieti continuano ad operare.
Una diversa conclusione vale per la serrata di esercenti di piccole industrie o
commerci che
non abbiano lavoratori alle loro dipendenze (art. 506 c.p.) parificata allo sciopero.
*Il datore di lavoro, inoltre, potrebbe sostituire i lavoratori in sciopero con prestatori
di lavoro assunti a tempo determinato o tramite un contratto di somministrazione--
>(Il contratto di somministrazione è il contratto con cui una parte si obbliga, verso
corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell'altra, prestazioni periodiche o
continuative di cose)
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