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diritto Sindacale- Giugni

Diritto sindacale (Università degli Studi di Bari Aldo Moro)

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CAPITOLO 1 – INTRODUZIONE AL DIRITTO SINDACALE – 1

1. DEFINIZIONE DEL DIRITTO SINDACALE


DIRITTO SINDACALE Parte del diritto di lavoro che concerne norme strumentali,
poste dallo Stato o dalle stesse organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori che
nelle economie di mercato, disciplina il conflitto di interessi derivanti dall’ineguale
distribuzione del potere nei processi produttivi.
Il diritto sindacale costituisce un fenomeno tipicamente moderno in quanto si
sviluppa in parallelo alla storia del movimento operaio, riflettendo la
contrapposizione tra capitale e lavoro.
In passato si pensava ci fosse qualche analogia tra il diritto autonomo dei gruppi
professionali che caratterizzava l’organizzazione della vita produttiva del Basso
Medioevo.
Ci si rese conto però che tale analogia non poteva reggere in quanto la produzione e
lo scambio è diversa nelle 2 epoche.
Nell’epoca medioevale erano sviluppate le corporazioni mercantili e artigianali 
coalizioni tra piccoli produttori artigianali o mercantili, all’interno delle quali non si
riscontravano un contrasto di interessi.
Una figura che presenta delle similitudini con il mondo moderno è quella
dell’apprendista che restava subordinato al maestro di bottega ma solo per l tempo
necessario per diventare a sua volta maestro.
L’organizzazione della vita produttiva nell’epoca moderna è caratterizzata invece
dall’esistenza di un conflitto di interesse tra i lavoratori e gli imprenditori.
CONFLITTO INDUSTRIALE conflitto tra capitale e lavoro
Il conflitto industriale è un elemento di lotta di classe tra chi ha la proprietà dei mezzi
di produzione e chi non avendola è obbligato a cedere ai primi la propria forza-
lavoro.
Tale conflitto si manifesta anche nelle imprese di proprietà pubblica e nelle strutture
burocratiche dello Stato e degli altri enti pubblici.
Inoltre il conflitto, non p legato al dato giuridico formale del tipo contrattuale con il
quale i lavoratori sono legati all’organizzazione la base del conflitto si realizza in
caso di:
- Contratto di lavoro subordinato (art. 2094 c.c.);
- Contratto di lavoro autonomo

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2. DIRITTO SINDACALE E RELAZIONI INDUSTRIALI 2

Gli studi di diritto sindacale hanno lo stesso oggetto di un’altra disciplina che sorta e
sviluppatasi nei paesi anglosassoni ha preso il nome di RELAZIONI INDUSTRIALI.

In questa disciplina centrale è la nozione di sistema di relazioni industriali che è un


sottosistema del sistema sociale più complessivo e con esso si indica l’insieme dei
rapporti che si svolgono fra tre soggetti:
- I sindacati dei lavoratori;
- Gli imprenditori e le loro associazioni;
- Pubblici poteri che attraverso PROCESSI (conflitto, contrattazione collettiva,
concertazione, partecipazione, ecc.) e METODI DIVERSI (contratto collettivo e
legge) producono un sistema di norme dirette a regolare i rapporti individuali
e collettivi id lavoro quindi il SISTEMA PRODUTTIVO.
Materia degli studi di relazioni industriali è il CONTESTO NORMATIVO dei rapporti
tra interessi organizzati, economici e sociali.
3. L’EFFETTIVITA’ NEL DIRITTO SINDACALE
Il diritto sindacale appartiene nell’ambito della SCIENZA GIURIDICA  in esso però il
profilo dell’EFFETTIVITA’ della norma assume una primaria rilevanza.
NB può accadere che l’attuazione della NORMA FORMALMENTE VALIDA diventa
oggetto di mediazione politica anziché essere oggetto dell’attività delle strutture
proposte all’applicazione del diritto.
Quindi, non sempre la disapplicazione di massa di un precetto ha come conseguenza
la sanzione di Massa che può apparire politicamente non opportuna o essere di
impossibile attuazione.
 È proprio in queste occasioni che si manifestano forma di elasticità
dell’ordinamento giuridiche non sono approfondite a livello teorico.
Ex. Le occupazioni di aziende o i blocchi stradali utilizzati come forma di lotta
sindacale, che in momenti di particolare tensione sociale si preferisce non
sanzionare.
A loro volta, nuove leggi sono il frutto di negoziazioni tra i soggetti del SISTEMA DI
RELAZIONI INDUSTRIALI.

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Questo accade quando si ritiene che solo un ampio consenso sociale possa garantire 3
alla legge un tasso sufficientemente elevato di osservanza spontanea ovvero quando
l’autorità politica vuole garantirsi un PREVENTIVO CONSENSO mediato dalle
organizzazioni sociali.
EX. Accordo tra Governo e sindacati che nel 2007 ha preceduto l’emanazione della
legge 24/12/2007 n.247
In conclusione il diritto sindacale poggia la sua effettività sulla
- costanza del consenso sociale;
- Opera di mediazione politica che contribuisce a dare stabilità e continuità.
Quindi vi è una rilevante analogia con il diritto internazionale e con il modo di
operare delle organizzazioni internazionali nei conflitti tra Stato dove, anche se la
norma è garantita da sanzioni, la loro irrogazione o esecuzione passa attraverso una
mediazione politica.
4. ASTENSIONE LEGISLATIVA E RUOLO DELA DOTTRINA
Dopo l’abrogazione dell’ordinamento corporativo (1926 – 1944) e l’emanazione della
Costituzione del 1948 che ha introdotto i PRINCIPI FONDAMENTALI:
- La libertà sindacale art.39;
- Il diritto di sciopero art. 40
In Italia, per un lungo periodo il legislatore si è astenuto dall’intervenire in materia di
rapporti sindacali.
Solo dopo 20 anni è stata emanata la legge del 20/05/1970, il c.d. STATUTO DEI
LAVORATORI che contiene le norme sulla:
- Tutela della libertà e dignità dei lavoratori;
- Libertà e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro.
Poi è necessario far riferimento alla legge 12/06/1990 n.146 sullo sciopero nei
servizi pubblici essenziali.
Con il passare del tempo poi vi sono stati altri interventi legislativi che si sono
occupati sono della materia per aspetti e per settori particolari e non per
l’ARCHITTETTURA DEL SISTEMA.

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L’ARCHITTETTURA DI SISTEMA È frutto di un’intensa attività di sistemazione e di 4


razionalizzazione svolta dalla dottrina e dalla giurisprudenza che ha condizionato e
continua a condizionare profondamente anche la successiva produzione legislativa.
Dove si riscontrava la mancanza di norme specifiche, dottrina e giurisprudenza,
muovendosi si sono avvalse di strumenti tecnici che erano a disposizione:
- In prevalenza di quelli forniti dal diritto civili;
- Ma anche di quelli forniti dal diritto costituzionale;
LA POLITICA DEL DIRITTO  il problema interpretativo quindi in questa branca del
diritto è una rilevante importanza.
La sua soluzione comporta, anche nei singoli casi come nelle trattazioni
sistematiche, una serie di opzioni che l’interprete compie in base a valutazioni di
CARATTERE GENERALE.
5. L’ORDINAMENTO INTERSINDACALE
SISTEM DI RELAZIONI INDUSTRIALI  sezione del sistema sociale formata dalle
interazioni tra imprenditori, organizzazioni dei lavorati e pubblici poteri.
Queste relazioni possono essere studiate dal punto di vista sociologo, economico,
politologico e di psicologia sociale.
Un altro aspetto di analisi è quello GIURIDICO-NORMATIVO le relazioni industriali
normalmente sono dotate di:
- una relativa stabilità ;
- Una relativa autonomia da altri settori della vita sociale.
Sono queste le caratteristiche di un’ISTITUZIONE a cui corrisponde
un’ORDINAMENTO GIURIDICO (e viceversa).

Possiamo quindi dire che le relazioni industriali sono rette da un ordinamento che
prende il nome di ORDINAMENTO INTERSINDACALE.
ORDINAMENTO SINDACALE  ci consente di leggere le costanti di comportamento
tipiche di ogni sistema di relazioni industriali come effetto dell’applicazione di norma
a prescindere dall’eventuale esistenza e dal significato di norme proprie
dell’ordinamento statale aventi lo stesso oggetto.
EX. l’ammissione o meno di un sindacato alle trattative per la stipulazione di un
contratto collettivo o l’inclusione o meno di una certa materia nelle stesse non sono

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oggetto di norme valide dall’ordinamento dello stato e sono per quest’ultimo dei 5
comportamenti indifferenti.
Questo non toglie che siano oggetto di valutazioni normative nell’ordinamento
intersindacale per cui l’esclusione o l’inclusione di un sindacato dalle trattative o il
rifiuto di trattare su certi temi può essere valutato in questo ambito come
comportamento scorretto o illecito che può dare origine a delle sanzioni.
Può anche accadere che la stessa materia sia regolata da norma dell’ordinamento
statale e intersindacale.
Finché le 2 valutazioni normative coincidono non vi sono problemi.
Quando non vi è alcuna coincidenza, si crea un CONFLITTO DI LEALTÀ che rende
infettiva la norma di entrambi gli ordinamenti, nonostante la sua validità per
l’ordinamento a cui appartiene.
Può anche accadere che le due valutazioni normative anche se diverse non siano
in conflitto: quello che per un ordinamento risulta obbligatorio, per un altro può
rientrare nella sfera di mera libertà.
EX. il contratto collettivo è per l’ordinamento giuridico dello Stato un contratto
regolato come gli altri dal titolo II del libro IV del c.c.
Nell’ambito delle relazioni industriali e dell’ordinamento intersindacale è qualcosa di
ben più importante  è l’atto fondamentale che regola i rapporti tra imprenditori e
sindacati e assolve alla stessa funzione di normazione astratta e generale che la
legge svolge nell’ordinamento statale.
EX. Accordi triangolari tra parti sociali e governo nei quali quest’ultimo si assume
l’impegni di introdurre determinate norme legislative.
Tale impiego, sul piano dell’ordinamento dello stato non può vincolare la volontà
sovrana del Parlamento tuttavia non può solo per questo, dirsi privo di valore
giuridico nell’ordinamento intersindacale avendo un peso rilevante negli equilibri di
quest’ultimo.
LA FUNZIONE DELLA NOZIONE DI ORDINAMENTO INTERSINDACALE  la nozione di
ordinamento intersindacale assolve ad una importante funzione conoscitiva: senza di
essa la parte più significativa della dinamica delle relazioni sindacali non sarebbe
conoscibile dal punto di vista giuridico.
I canoni di valutazione di un ordinamento giuridico diverso da quello statuale
possono esplicare, se dotati di effettività, una decisiva influenza sulla cultura e
l’ideologia dell’interprete, del legislatore o delle parti stipulanti.

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In questo l’ordinamento intersindacale non è un SISTEMA CHIUSO ma interagisce 6


con l’ordinamento giuridico statale.
La dinamica conflittuale alla base dei sistemi di relazioni industriali non è
incompatibile con la loro considerazione come ordinamento.
Infatti, l’esistenza di un contrasto di interessi non inibisce alle parti di creare
un’organizzazione comune di fonti di produzione normativa, anche se assoggettata a
rapide vicende evolutive.
Quindi lo studio del DIRITTO SINDACALE non riguarda solo lo studio di istituti
rilevanti per l’ordinamento statale ma anche di quelli privi di tale rilevanza o che
hanno una qualificazione diversa nell’ambito dei due ordinamenti.
6. IL RUOLO DELLA GIURISPRUDENZA
Un ruolo importante nella formazione del diritto sindacale è stato svolto dalla
giurisprudenza anche se in ordinamenti a CIVIL LAW come il nostro, la
giurisprudenza non costituisce una fonte di diritto obiettivo non avendo il
precedente autorità vincolante.
Nel diritto sindacale però la giurisprudenza ha indirizzi interpretativi che per loro
costanza hanno costituito componenti essenziali dell’esperienza giuridica di diritto
sindacale che hanno colmato le lacune del legislatore.
Infatti, anche prima dello statuto dei lavorati, fu la giurisprudenza in stretto rapporto
con la dottrina a costruire il complesso edificio di un diritto sindacale liberato
dall’impostazione pubblicistica del periodo corporativo e saldamente ancorato al
diritto privato.
EX. Elaborazione della nozione di contratto collettivo di diritto comune e alla sua
inderogabilità.
EX. Utilizzo del principio della giusta retribuzione (art. 36 Cost.) per rafforzarne e
diffonderne l’efficacia.
EX. efficacia soggettiva dei contratti collettivi e alla complessa elaborazione di limiti
al diritto di sciopero.
7. IL DIRITTO DELL’UE
I sistemi di relazioni industriali stentano ad avere un dimensione sovranazionale.
Ciò per lungo tempo ha portato ad una sostanziale indifferenza del diritto
comunitario per il diritto sindacale che trova la sue espressione formale nell’art. 153
TFUE.

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TFUE trattato firmato a Lisbona il 13/12/2009 7

Il TFUE esclude la competenza comunitaria su alcuni aspetti fondamentali del diritto


sindacale come, il diritto di associazioni, lo sciopero e la serrata tutti questi aspetti
sono di competenza degli stati membri.
L’integrazione economica tra i Paesi dell’UE ha dato via ad un processo verso il
riconoscimento nel diritto comunitario di un catalogo di diritti fondamentali che ha
trovato il suo pinto i approdo nella CARTE DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UE
(NIZZA,2000) a cui è stato attribuito una valore giuridico con il TRATTATO DI
LISBONA del 13/12/2007 entrato in vigore solo nel 2009.
Inoltre, nel 2004 nell’UE sono stati ammessi 1 nuovi paesi con sistemi economici
deboli e contrattamenti retributivi e normativi dei lavoratori deteriori rispetto agli
altri paesi  Tutto questo ha creato una tendenza delle imprese ad utilizzare le
differenti condizioni dei mercati del lavoro per una concorrenza al ribasso
(DUMPING SOCIALE).
I tentativi delle organizzazioni sindacali e degli stati di impedire o di ostacolare
questo processo hanno trovato freno nella giurisprudenza della CORTE DI GIUSTIZIA
che anche riconoscendo la natura dei diritti fondamentali alla contrattazione
collettiva e allo sciopero, ha affermato che il loro esercizio va bilanciato con le libertà
economiche, dando prevalenza a queste ultime.
Tale tendenza ha suscitato molte critiche in particolar modo dal Parlamento
EUROPEO se si considerano:
- Da un lato i progressi che il trattato di Lisbona può introdurre per l’Europa
sociale;
- Dall’altro l’esistenza di una contrattazione collettiva transnazionale.

8. LE REGOLE DEL CONFLITTO E IL PROBLEMA DELLA LORO STABILITA’


Nelle nostre relazioni industriali, sono incerte fragili le regole per l’individuazione dei
soggetti legittimati alla trattativa, alla composizione delle controversie, alla
proclamazione e allo svolgimento degli scioperi.
L’esigenza di regole formalizzate non per molto avvertita quando la rappresentanza
dei lavoratori era in mano alle 3 grandi federazioni : CGIL, CISL, UIL in quanto il
potere di mediazione e di controllo da esse esercitate era sufficiente a garantire il
rispetto del nucleo essenziale di regole che anche se non scritte, sono proprie di ogni
sistema di relazioni industriali.

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Questo accadeva con più forza quando le tre CONFEDERAZIONI agivano 8


unitariamente anche si giungeva ad accordi conclusi tra CISL e UIL con l’esclusione
della CGIL.
Infatti, l’esclusione della CGIL non metteva in discussione la capacità e quindi la
legittimazione a partecipare al sistema.
Il problema della formalizzazione di queste regole ha acquisito un grande rilievo tra
gli anni 70 e 90 nel quale la posizione egemonica delle grandi confederazioni è stata
insidiata dall’insorgere di SINDACATI AUTONOMI e gruppi di militanti e animati da
una forte coscienza dei propri interessi, anche se in contrasto con quelli di altri
gruppi di lavoratori (COBAS).
La necessità di vere delle regole inoltre aveva generato anche dei conflitti tra le varie
confederazioni che erano sempre più diverse tra di loro nella BASE SOCIALE
RAPPRESENTATA ma ciascuna all’intero si rappresentava sempre meno come una
comunità di interessi omogenei e sempre più come centro di mediazione tra
interessi di gruppi diversi e alle volte in competizione reciproca.
La necessità di rinnovare le ragioni di compattezza, interne ed esterne
all’organizzazione, tra i lavorati ha posto in luce due problemi:
1. RAPPRESENTANZA rapporto tra il sindacato e la totalità del gruppo
professionale di riferimento;
2. I RAPPORTI TRA BASE E VERTICE, TRA DIRIGENTI E ADERENTI
Tali problemi si intersecano con il dilemma tra democrazia rappresentativa e
democrazia diretta.
Entrambi i metodi della democrazia sono indispensabili nell’ambito del movimento
sindacale, anche se il secondo (DEMOCRAZIE DIRETTA) ha un’importanza maggiore
nel sistema politico in quanto strumento di mobilitazione della base.
A tal fine inoltre è necessario dire che il sindacalismo italiano presenta 2 posizioni
diverse di principio:
1. Nella CGIL è forte l tendenza a privilegiare l’autonomia della base (SINDACATO
MOVIMENTO) e a interpretare come base non solo quella composta dagli
iscritti ma l’intero gruppo professionale di riferimento;
2. La CISL è più orientata a privilegiare il dato organizzativo (sindacato-
associazioni o istituzione).
Ciascuna delle due eccezioni porta ad impostazioni diverse del problema della
democrazia.

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1. Per la CISL democrazia sindacale e democrazia nell’associazione sono sinonimi. 9

DEMOCRAZIA SINDACALE si garantisce attraverso l’effettiva partecipazione degli


iscritti alle determinazioni dell’associazione stessa.
2. Per la CGIL il problema della democrazia sindacale è relativo ai rapporto tra le
organizzazioni e i lavorato destinatari della loro azione, a prescindere
dell’adesione formale alle prime  di qui la tendenza a valorizzare strutture
rappresentative elette da tutti i lavoratori o di democrazie diretta come le
assemblee e i referendum che coinvolgono tutti i lavoratori anche quelli non
sindacalizzati.
Queste diverse concezioni importanti per il consolidamento del sistema di relazioni
industriali efficace nel governo dei rapporti sociali, può essere trovata solo in una
linea di mediazione tra principi, che sono una risposa parziale ad un problema
genarle ovvero quello di rendere efficace la circolazione democratica sia all’interno
che all’esterno dell’organizzazione e nei confronti dell’intero mondo del lavoro che
ne costituisce la base di riferimento.
Un importante contributo a tale soluzione venne del Protocollo del 23/07/1993
che individuò con precisione i soggetti titolari dei poteri di rappresentanza e
l’archittettura del sistema di contrattazione collettiva.
In direzione opposta sono andati invece:
- L’accordo quadro del 22/01/2009;
- Documento programmatico sulla produttività del 21/11/2012 che ha
disegnato le regole della contrattazione collettiva nel dissenso della CGIL.
La situazione di incertezza delle regole sembra però essere superata grazie ai recenti
accordi interconfederali stipulati tra CGIL,CISL e UIL con Confindustria e altre
Associazioni imprenditoriali tra il 2011 e il 2014.

CAPITOLO 2 – LA LIBERTÀ SINDACALE –


1. IL PRINCIPIO COSTITUZIONALE DELLA LIBERTÀ SINDACALE
Il principio giuridico fondamentale sul quale poggia il nostro sistema di diritto
sindacale è quello contenuto nel comma 1 dell’art.39 della Cost. che stabilisce che
“L’ORGANIZZAZIONE SINDACALE è LIBERA”.

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Tale principio si contrappone a quello che fu proprio del sistema corporativo fascista 10
(1926-1944) che prevedeva un sistema di composizione degli interessi collettivi
estraneo ad una libera, diretta ed attiva partecipazione dei soggetti interessati.
Nel nostro ordinamento democratico, la facoltà di agire a tutela e a promozione degli
interessi che nascono dal lavorare in favore di un’organizzazione altrui viene
attribuita agli stessi soggetti che ne sono portatori, come esplicazione della loro
posizione di libertà.
Ad essi viene riconosciuta la facoltà di coalizzarsi al fine di provvedere alla tutela
dei propri interessi, scegliendo, nell’esercizio della proprio autonomia, i mezzi a tal
fine più congrui.
Il diritto di organizzarsi liberamente, sancito nell’art.39 della Cost. si esplica come
diritto soggettivo pubblico di libertà, inibendo allo Stato di compiere atti che
risultano lesivi di tale libertà.
La norma oggetto d’esame però oltre a valere nei rapporti con lo Stato, vale anche
nei rapporti intersoggettivi privati  infatti, le forme più vistose di manomissione
della libertà sindacale possono riscontarsi ancor prima che nei rapporti tra i singoli e
lo Stato, in quelli tra i lavoratori e i datori di lavoro.

A tal fine, il legislatore con lo Statuto dei lavoratori del 1970 avvertì la necessità di
consolidare il PRINCIPIO DELLA LIBERTA’ SINDACALE nei rapporti inter privati
2. LA LIBERTÀ DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE – LIBERTA SINDACALE
Dal confronto dell’art. 39 comma 1 con l’art.18 della Cost. emergono delle
precisazioni:
a. Il riconoscimento della libertà di associazione contenuto nell’art.18 non è
INCONDIZIONATO  esso viene meno quando l’associazione persegue fini
vietati ai singoli dalla legge penale.
b. Il fine sindacale è tipizzato e riconosciuto come lecito dall’art.39 e quindi non
può essere vietato da una legge penale ordinaria.
Inoltre una marcata differenza emerge anche dall’utilizzo di termini diversi come:
c. ASSOCIAZIONE nell’art.18 Cost.;
d. ORGANIZZAZIONE nell’art. 39 Cost.  esso implica una nozione più ampia del
fenomeno sindacale, tale da comprendere anche forme organizzative diverse
da quelle associative purché idonee a ricevere la qualificazione di SINDACALI.

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EX. i consigli di fabbrica o le rappresentanze sindacali unitarie sono sindacali dal 11


punto di vista funzionale e ciò è sufficiente ad includerli nell’ambito della libertà
sindacale, anche se non hanno una struttura associativa.
Al termine organizzazione, fa seguito il predicato SINDACALE  il predicato può
essere inteso sia sotto il senso teologico che strutturale.
 SOTTO IL PROFILO TELEOLOGICOè sindacale un atto o un’attività diretti
all’autotutela di interessi connessi a relazioni giuridiche in cui sia dedotta
l’attività di lavoro (non solo dipendente).
 SOTTO IL PROFILO STRUTTURALEla qualificazione sindacale presuppone
un’aggregazione di soggetti, almeno potenziale.
Su questo punto le opinioni sono divise:
 Per alcuni, anche un singolo può svolgere un’attività sindacale;
 Per altri è sempre necessaria una forma solidale.
Visto che la Costituzione impiega il termine “organizzazione”, ci si schiera a favore
della seconda soluzione  questo comporta che la fattispecie sindacale contemplata
nella Costituzione è quella che si esprime in forma collettiva e coinvolge una pluralità
di soggetti organizzati in una coalizione.
Non significa però che il titolare della libertà sindacale e del diritto di sciopero sia
solo il gruppo ma anche l’individuo.
Infatti, è ATTIVITÀ SINDACALE quella svolta da un solo individuo per promuovere la
costituzione di un’organizzazione sindacale come ad ex. l’attività di proselitismo 
può dirsi che l’oggetto del riconoscimento costituzionale quindi prima di essere
l’organizzazione è l’attività a questa finalizzata.

3. LA NORMATIVA DELL’UE
L’ordinamento dell’Ue è distinto da quello degli stati membri e detta una normativa
- ampia e ricca in materia di rapporti economici e commerciali;
- meno ampia in materia di rapporti di lavoro e rapporti collettivi di lavoro.
Infatti, la Carta dei diritti fondamentali, sottoscritta a Nizza il 7/12/2000 contempla
nell’art.12 la libertà sindacale ma come semplice libertà di associazione  la norma
infatti è finalizzata a tutelare la libertà sindacale e la menzione del fine sindacale ha
una funzione esemplificativa.

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Inoltre, l’art.153.4 TFUE esclude espressamente la libertà sindacale dalla competenza 12


europea  su di essa gli organi dell’UE non possono assumere alcuna decisione
giuridicamente vincolante.
Nonostante ciò, molte norme europee riconoscono le organizzazioni sindacali e
attribuiscono alle stesse un ruolo nella dinamica dell’ordinamento o degli
ordinamenti degli Stati membri.
Oltre alla competenza in materia di rappresentazione e di azione sindacale
(art.153 comma 1 TFUE) bisogna anche far riferimento:
- L’istituzione del Comitato economico sociale che è rappresentativo delle parti
sociali ed ha funzioni consultive (art. 301 e ss TFUE);
- IL DIALOGO SOCIALE (ART. 154 e 155 TFUE);
- Il riconoscimento che l’attuazione delle direttive può essere affidata, negli Stati
membri, alla contrattazione collettiva (art. 153.3 TFUE);
- La garanzia dei diritti all’informazione e alla consultazione dei lavoratori;
IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ  l’aver escluso dalla competenza dell’UE sulla
LIBERTA’ SINDACALE appare una cattiva applicazione del principio di sussidiarietà 
è stato ritenuto sufficiente il riconoscimento della libertà sindacale contenuto negli
ordinamenti degli stati membri.
PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀl’UE interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi
dell’azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli stati
membri, né a livello centrali, né a livello regionale o locale, ma possono essere
eseguiti meglio a livello di UE (art. 5 TUE).
Ma le norme degli Stati membri operano all’interno degli ordinamenti cui
appartengono e hanno un effetto solo indiretto nell’ordinamento europeo attraverso
l’art.6.3 TUE.
Tale norma infatti impegna l’UE al rispetto dei diritti fondamentali che risultano dalle
costituzioni degli Stati membri tra qui è annoverata anche la libertà di associazione
sindacale.
Il risultato è che nonostante le organizzazioni sindacali sia dei lavoratori che degli
imprenditori siano chiamate a svolgere un ruolo non secondario nelle decisioni
comunitarie e nella loro attuazione, questo ruolo vien svolto con un riconoscimento
indiretto del PRINCIPIO DI LIBERTA’ SINDACALE in contrapposizione con la necessità
di dare una dimensione sociale all’UE anche al fine di colmare il suo deficit di
legittimazione democratica.
4. LA LIBERTA’ SINDACALE NELLE CONVENZIONI INTERNAZIONALI
La libertà sindacale + anche oggetto di numerose norme di diritto internazionale:

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- Convenzioni nn. 87 e 98 dell’OIL (organizzazioni internazionale del lavoro) 13

Tali convenzioni furono approvate, la prima nella 31esima sezione e la seconda nella
sezione successiva, riguardano la materia della libertà sindacale sotto 2 distinti
profili:
 La convenzione n.87 si intitola “LIBERTÀ SINDACALE” garantendola nei
confronti dello Stato.
Tale convenzione dispone che i lavoratori e i datori di lavoro hanno diritto di
costituire, senza autorizzazione preventiva da parte dello Stato, organizzazioni
sindacali e di aderire alle stesse.
Esclude che le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro possano essere
sottoposte a provvedimenti amministrativi di scioglimento o di sospensione.
 La convenzione n.98 si intitola “DIRITTO DI ORGANIZZAZIONE E DI
CONTRATTAZIONE COLLETTIVA” garantendola anche nei rapporti inter privati.
Tale convenzione stabilisce che i lavoratori devano godere di un protezione adeguata
contro qualsiasi atto di discriminazione antisindacale posto in essere da parte dei
datori di lavoro.
La stessa garanzia è riconosciuta anche per le organizzazioni sindacali, prevedendo
illecito ogni atto di ingerenza di un’associazione do datori di lavoro nei confronti
delle associazioni dei lavoratori e viceversa.
NBtale convezione afferma che l’ATTIVITA’ SINDACALE è distinta dalla libertà di
costituire associazioni o di aderirvi.
A queste convenzioni se ne aggiungono altre che riguardano settori particolari.
Nell’ambito dell’ONU il 16/12/1966 è stato stipulato il PATTO INTERNAZIONALE
SUI DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI E CULTURALI il quale prevedeva ‘impegno per gli
Stati di garantire oltre la libertà sindacale anche il diritto di sciopero.
Nell’ambito europeo vanno menzionate:
- CEDU Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali del 1950;
- La carta sociale europea nella quale non solo viene ribadito il principio di
libertà dell’organizzazione sindacale ma lo stesso viene coerentemente svolto
nel riconoscimento del diritto alla contrattazione collettiva e del diritto
all’autotutela compreso il diritto di sciopero.

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NB tutte le fonti internazionali, obbligano gli Stati all’adeguamento del proprio 14
ordinamento interno.
5. IL DIVIETO DI ATTI DISCRIMINATORI
Nel nostro ordinamento, la fonte ordinaria più incisiva di tutale della LIBERTA’
SINDACALE è costituita dalla legge del 20/05/1970 n.300 il c.d. STATUTO DEI
LAVORATORI il cui titolo II è intitolato alla libertà sindacale.
Tale legge persegue 3 obiettivi:
1. Consiste nella tutela della libertà e della dignità del lavoratore con riferimento
a situazioni repressive che possono verificarsi nell’impresa. Essendo l’impresa
un’organizzazione basata sul principio di autorità, in essa possono crearsi
situazioni di compressione della libertà e della dignità di chi vi lavora in
posizione subordinata. Era quindi opportuno un intervento del legislatore per
la salvaguardi di questi valori in determinati aspetti della vita aziendale quindi:
- L’uso della polizia privata nelle fabbriche (art.2);
- Le perquisizioni personali (art. 6);
- L’uso di strumenti per il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (art.4);
- L’esercizio del potere disciplinare (art.7);
- L’assunzione di informazioni su lavoratori (art.8);
2. Il secondo obiettivo mira a rafforzare l’effettività del principio di libertà
sindacale all’interno dei luoghi di lavoro ed è perseguito vietando
all’imprenditore di utilizzare i poteri che gli derivano dal contratto di lavoro
per ostacolare i lavoratori nell’esercizio dell’attività di autotutela dei propri
interessi.
3. Il terzo obiettivo è quello di una politica di sostegno delle organizzazioni
sindacali dei lavoratori. Il conflitto tra lavoratori e datori di lavoro è un
processo dinamico che richiede continue valutazioni da parte dei protagonisti
dinanzi al mutare delle situazioni concrete.
NBle norme che mirano a ciascuno di questi 3 obiettivi vanno tenute distinte, ma
si realizza un effetto sinergico per ogni gruppo di norme.
L’art. 14 dello Statuto afferma che “il diritto di costituire associazioni sindacali, di
aderirvi e di svolgere attività sindacale è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei
luoghi d lavoro”.
Tale norma ribadisce un principio già evidente dall’art.39 della Cost.  in questo
modo viene imposta l’efficacia della norma costituzionale non solo nella sfera dei
rapporti cittadino-Stato ma anche nella sfera dei rapporti inter privati.

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L’art.15 sancisce la nullità degli atti discriminatori riproducendo le disposizioni 15


dell’art. 1 della convenzione OIL n.98.
Esso fissa 2 punti:
a. Stabilisce la nullità di qualsiasi patto o atto diretto a subordinare l’occupazione
di un lavoratore alla condizione che aderisca o non ad un’associazione
sindacale o che cessi di farne parte.
Oltre alla nullità dell’atto è prevista anche l’applicazione di una sanzione penale
(art.38 s.l.).
b. Sancisce la nullità di qualsiasi patto o atto diretto a licenziare un lavoratore, a
discriminarlo nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei
provvedimenti disciplinari o a recargli pregiudizio a causa della sua affiliazione
o attività sindacale o a causa della partecipazione ad uno sciopero.
Per tali atti non è disposta la sanzione penale parliamo di comportamenti che
secondo il legislatore possono essere colpiti attraverso la sanzione civile della nullità.
NB la discriminazione di carattere sindacale può avvenire da parte del datore di
lavoro non solo:
- Privando il prestatore di particolari benefici o arrecandogli danno;
- Ma anche attribuendo particolari benefici ai lavoratori che tengano un
determinato comportamento e condizionandoli nell’esercizio della libertà
sindacali.
E’ questa la previsione contenuta nell’art. 16 il quale sancisce il divieto di
concedere trattamenti economici di maggiore favore, aventi carattere
discriminatorio ai sensi dell’art.15, ad una pluralità di persone.
EX. premi corrisposti ai lavoratori che non abbiano partecipato ad uno sciopero.
Trattamento economico collettivo discriminatorio può considerarsi non solo quello
diretto ad ostacolare l’attività sindacale ma anche quello corrisposto per agevolare
l’adesione a particolari organizzazioni sindacali che incontrino il favore del datore di
lavoro.
TRATTAMENTO ECONOMICO si fa riferimento non solo alla corresponsione di
somme di denaro ma anche a qualsiasi concessione valutabile in termini economici.
(*)Il meccanismo di reazione previsto consiste in una particolare sanzione civile 
il giudice su domanda dei lavorati nei ci confronti è stata attuata la discriminazione
(o su domanda delle associazioni dei sindacati che hanno ricevuto apposito mandato

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dai prestatori di lavoro), accertati i fatti, condanno il datore d lavoro al pagamento, a 16


favore del FONDO PENSIONI DELL’INPS, di una somma pari all’importo dei
trattamenti economici di maggiore favore illegittimamente corrisposti nel periodo di
1 anno.
L’art. 15 e di conseguenza l’art.16 che lo richiama non si applicano solo alle
discriminazioni per ragioni sindacali, ma anche a quelle per motivi politici o religiosi
a ci si aggiungono anche i motivi di razza lingue e sesso, di handicap, di età, di
orientamento sessuale o di convinzioni personali.
Questa estensione dei motivi di discriminazione illecita non ha impedito che mentre
per le discriminazioni sindacali l’apparato sanzionatori rimanesse quello già citato
(*), per le discriminazioni per altre ragioni sia stato elaborato un complesso apparato
procedurale e sanzionatorio specifico.
6. I SINDACATI DI COMODO
Tenendo conto di un principio già sancito dalla convenzione n.98, l’art 17 dello S.L
vieta la costituzione di SINDACATI DI COMODO.
SINDACATI DI COMODO sindacati costituiti e sostenuti, qualunque sia il mezzo a
tal fine adoperato, dai datori di lavoro o dalle loro associazioni.
L’esistenza di tali sindacati chiamati “gialli”, costituisce un modo indiretto di
comprimere la libertà sindacale.
I modi attraverso cui è possibile fornire un sostegno al sindacato di comodo
sfuggono ad una tipizzazione: possono andare
- Dal finanziamento che costituisce una forma di sostegno;
- Comportamenti di favoreggiamento che pongono al giudice particolari
problemi di valutazione;
NB affinché ricorra la situazione antigiuridica (SINDACATI DI FATO) è necessario
che il rapporto tra il sindacato e il datore di lavoro sia di asservimento del primo al
secondo.
Il comportamento illegittimo tipizzato dalla norma, è l’atto del datore di lavoro o
della sua associazione di costituire o sostenere un sindacato giallo, non la sua
esistenza.
In caso di violazione, il giudice dovrà interdire al datore di lavoro l’azione di sostegno
ma non potrà ordinare lo scioglimento dell’associazione.
7. LA LIBERTA’ SINDACALE NEGATIVA

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Nel momento in cui si parla della libertà sindacale negativa, facciamo riferimento alla 17
libertà del lavoratore a non aderire ad alcuna organizzazione sindacale.
Le fonti comunitarie e internazionali sono ambigue  tale ambiguità deriva al fatto
che alcune importanti tradizioni sindacali sono state caratterizzate in passato da
clausole contrattuali di “SICUREZZA SINDACALE” dirette a rafforzare la presenza
sindacale in azienda, obbligando l’imprenditore ad assumere solo lavoratori iscritti al
sindacato o vincolando il lavoratore neo-assunto ad iscriversi al sindacato.
In Italia, tali clausole sono sconosciutenella legislazione italiana un riferimento a
tale libertà è contenuto nell’art.15 dello Statuto dei lavoratori in cui si dichiara
- illecita anche la discriminazione ai danni dei lavoratori che non aderisca ad
un’associazione sindacale;
- nell’art.14 si dichiarano anche illecite le discriminazioni che derivano dalla
subordinazione della continuazione del rapporto di lavoro alla iscrizione al
sindacato.
La libertà sindacale del lavoratore quindi rappresenta LA GARANZIA DEL DIRITTO AL
DISSENSO in un sistema di valori costituzionali (art. 39 comma 1 Cost.)
BENEFICI RISERVATI (non va annoverata tra le discriminazioni vietate) riserva in
tutto o in parte i vantaggi della contrattazione collettiva ai soli lavoratori iscritti ai
sindacati stipulanti.
La concessione di trattamenti favorevoli è considerata illecita solo quando è frutto di
un’iniziativa unilaterale da parte dell’imprenditore (art. 16 dello S.L)
8. L’ORGANIZZAZIONE SINDACALE DEI MILITARI E DELLA POLIZIA
DIVIETO DI ORGANIZZAZIONE SINDACALE DEI MILITARI a tal fine è necessario
dire che l’art.3 della legge 11/07/1978 n.382 dopo aver premesso che ai militari
spettano i diritti che la Costituzione riconosce ai cittadini, aggiunge che “per
garantire l’assolvimento dei compiti propri delle forze armate, la legge impone ai
militari limitazioni nell’esercizio di alcuni diritti”.
ART. 8 sancisce che i militari non posso esercitare:
- Il diritto di sciopero;
- Il diritto di costituire associazioni professionali a carattere sindacale;
- Il diritto di aderire a altre associazioni sindacali;
Per compensare tale limite, la legge istituisce organi elettivi di rappresentanza, al cui
vertice sono posti i CONSIGLI CENTRALI DI RAPPRESENTANZA (COCER) che
partecipano al processo di determinazione del trattamento economico e normativo.

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LA LIBERTA’ SINDACALE DEL PERSONALE DELLA POLIZIA Polizia di Stato, Corpo 18


forestale dello Stato e Polizia Penitenziaria.
La legge del 1/04/1981 n.121 riconosce il diritto del personale di associarsi in
sindacati, ma in regime di separatezza.
Infatti, il personale può aderire solo ai sindacati che siano formati, diretti e
rappresentanti solo da appartenenti alla Polizia di Stato.
Inoltre la stessa norma vieta anche il diritto di sciopero e l’affiliazione di questi
sindacati a più ampie organizzazioni.
Alla luce di quanto previsto dall’art.39 della Cost. la legittimità di tale divieto è
dubbia in quanto l’affiliazione costituisce espressione di libertà sindacale.
Infatti, non si può dedurre:
- Il divieto di intrattenere rapporti politici privilegiati con uno di essi;
- Né rapporti convenzionali che consentano agi iscritti al sindacato di polizia di
usufruire degli stessi servizi degli altri lavoratori.
Per il Corpo Forestale dello Stato, si rinvia alla legge n.121/1981.
Per la Polizia penitenziaria, l’art 395/1990 dispone che gli appartenenti al Corpo di
polizia penitenziaria hanno l’esercizio dei diritti politici, civili e sindacali senza alcuna
limitazione.

9. LA LIBERTA’ SINDACALE DEGLI IMPRENDITORI


A differenza dell’attività sindacale dei lavoratori che è riferita a un TERMINE
COLLETTIVO e quindi è attività organizzata, l’imprenditore può:
- Agire come singolo come ad esempio accade nella contrattazione aziendale;
- O con la serrata;
- O con qualsiasi comportamento individuale che abbia rilevanza nei confronti
della contrapposta collettività dei lavoratori.
L’associazionismo degli imprenditori anche se svolge la funzione prevalente di
soddisfare interessi di tipo economico delle imprese, sin dalle origini ha avuto come
obiettivo quello di contrastare efficientemente l’organizzazione dei lavoratori nella
contrattazione collettiva (SINDACALISMO DI RISPOSTA).
Secondo molti autori, l’associazionismo degli imprenditori non gode della tutela
dell’art 39 della Cost. i quALI sarebbero tutelati dalle disposizioni contenute nell’art

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18 combinato con l’art 41 della Cost. infatti, a tal fine diremo che l’attività svolta da 19
queste associazioni potrebbe essere assoggettata a limiti che riguardano l’iniziativa
economica.
Infatti anche lo stesso titoli II dello Statuto dei lavoratori, attiene solo alla libertà
sindacale dei lavoratori non negano però che gli imprenditori possano godere della
libertà sindacale che trova fondamento nell’art. 18 e 41 e no 39 della Cost.
Infatti, la libertà sindacale dell’imprenditore può anche assumere aspetti collettivi o
di coalizione ma è sempre una proiezione dell’iniziativa economica privata e quindi è
una libertà individuale. (Uguaglianza sostanziale art. 3 comma 2 Cost.)

10.LA LIBERTA’ SINDACALE DEI LAVORATORI AUTONOMI


L’adozione di un criterio guida, tenendo conto di quanto disciplinato dall’art 3 della
Cost. offre una soluzione relativamente al principio della libertà sindacale delle
organizzazioni di lavoro autonomi.
L’esistenza di un sindacalismo di lavoratori autonomi riferibile all’autotutela
finalizzata alla promozione di condizioni di uguaglianze effettiva consente lo
svolgimento di un’attività contrattuale collettiva a fronte di un controparte (ex.
agenti e rappresentanti di commercio. LAVORO SUBORDINATO.
Qualora non vi siano indicatori di condizioni di squilibrio economico- sociale (ex.
avvocati) si è nel campo delle comuni garanzie di libertà associativa non qualificabili
come libertà sindacali

CAPITOLO TERZO – IL SINDACATO –


A. IL FENOMENO STORICO
1. I modelli organizzativi
Il sindacato è una forma di organizzazione collettiva dei lavoratori nata per
contrastare e riequilibrare la disparità di potere individuale nella quale questi si
trovano nei confronti del datore di lavoro da cui dipendono sia al momento della
stipula del contratto di lavoro, sia nel corso dell’esecuzione del rapporto di lavoro.
Il sindacato quindi svolge un ruolo di protezione del lavoro dal libero e
incondizionato funzionamento del mercato.

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Il primo tipo di organizzazione sindacale emerge nei paesi a più antico sviluppo 20
industriale (ex. Gran Bretagna e Stati Uniti) e nei settori produttivi in cui vi è la
presenza di operai specializzati.
Il sindacato quindi assume il mestiere esercitato dai lavoratori come criterio
individuante il gruppo professionale da organizzare IL SINDACATO DI MESTIERE.
Secondo tale modello organizzativo, in ogni impresa operano tanti sindacati, quante
sono le professionalità (mestieri) necessari al processo produttivo.
Ex. In un’impresa edile vi sarà un sindacato dei muratori, falegnami, ecc.
Successivamente la diffusione dell’industria a produzione di massa, altamente
meccanizzata, determina la scomparsa dei vecchi mestieri, modificando la
composizione della forza-lavoro.
Infatti, prevalgono gli operai comuni o semi-specializzati, che non sono
rappresentanti dai SINDACATI DI MESTIERE.
Tutto questo comporta l’affermarsi, soprattutto nell’Europa continentale del
sindacato per ramo di industria i c.d. SINDACATI DI CATEGORIA che organizza i
lavoratori in relazione all’attività produttiva esercitata dall’impresa da cui dipendono
e quindi del settore produttivo nel quale rientrano.
EX. In Italia i lavoratori dipendenti del settore metalmeccanico sono organizzati in
sindacati dei metalmeccanici.
IL SINDACATO GENERALE  il modello organizzativo basato sul criterio del ramo di
industria si è poi evoluto in quello del sindacato generale che intorno al gruppo di
lavoratori di un settore produttivo organizza anche lavoratori di altri settori.
Ex. Tra i sindacati generali rientrano le confederazioni che rappresentano unitamente
gli addetti all’agricoltura, all’industria, del commercio e del pubblico impiego.
In Italia ha prevalso il modello organizzativo del ramo d’industria in quanto
consentiva di creare tra i lavoratori una solidarietà più ampia, in coerenza con
precise opzioni politiche.
IL SINDACATO OCCUPAZIONALE  In Italia, i dirigenti e i lavoratori con
professionalità elevate, hanno costituito organizzazioni proprie, distinte da quelle
degli altri operatori, non vedendo tutelati i propri interessi dalle tre maggiori
Confederazioni sindacali italiane concentrate sugli interessi dei lavoratori con
professionalità medio-basse.

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In Italia sono stati costituiti i sindacati dei macchinisti delle ferrovie, dei medici 21
ospedalieri, degli insegnanti e dei presidi facendo così emerge il c.d. sindacati
occupazionali.
Inoltre esiste una versione mista di occupazione e di mestiere  è quella che si
ritrova nei sindacati che organizzano lavoratori che svolgono attività particolari come
i piloti dell’aviazione civile e i controllori di volo.
Con il passare del tempo però si è assistiti ad una crisi organizzativa dei sindacati e le
soluzioni adottate sono state 2:
- IL SINDACATO MULTI-INDUSTRIALE fusione di organizzazioni di categoria e
nella creazione di sindacati multi-industriali ( o conglomerati).
Le strutture sindacali di piccole dimensioni, non possono sostenere l’aumento dei
costi determinato dalla riduzione degli iscritti e dal contemporaneo incremento delle
aspettative di servizi da parte di quelli rimasti.
La fusione consente quindi di razionalizzare l’organizzazione, di diminuire i costi e di
potenziare l’offerta dei servizi ai lavoratori iscritti.
Ex. tra le fusioni avvenute si può richiamare quella tra le federazioni del settore
informazione e spettacolo, delle telecomunicazioni e delle poste, con le quali si è
costituito il Sindacato Lavoratori Comunicazione (SLC).
- I SINDACATI DEI PENSIONATI E DEI LAVORATORI ATIPICI  la seconda
soluzione è stata quella di creare delle strutture di rappresentanza ad hoc
prima per i pensionati e poi per i lavoratori occupati con particolari tipologie
contrattuali (c.d. lavoratori atipici).
I lavoratori atipici non solo hanno una partecipazione discontinua al mercato del
lavoro ma sono anche soggetti a cambiare l’azienda nella quale prestano la
proprie attività e quindi non possono essere organizzati dai sindacati di categoria.
Per essi operano organizzazioni intercategoriali come:
 Nuova identità e lavoro;
 Federazione lavoratori somministrati e atipici;
 Categoria nazionale lavoratori temporanei autonomi atipici e partite iva;

2. LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA
La struttura organizzativa delle maggiori Confederazioni sindacali dei lavoratori in
Italia che sono:

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 CIGL Confederazioni generale italiana del lavoro; 22


 CISL Confederazione italiana sindacati liberi;
 UIL unione italiana del lavoro
Si articola in 2 linee:
 LINEA VERTICALE basato sul criterio della categoria produttiva e dell’attività
produttiva svolta dall’impresa in cui operano i lavoratori iscritti (Corrisponde al
modello del sindacato per ramo aziendale);
 LINEA ORIZZONTALE basata sul criterio territoriale quindi intercategoriale
(corrisponde al modello del sindacato generale).
VEDI SCHEMA PAG.45
Secondo la LINEA VERTICALE l’unità di base di ogni organizzazioni di categoria (ex.
metalmeccanici) è costituita dagli iscritti presenti in ogni azienda o unità produttiva .
L’organismo aziendale confluisce nelle strutture territoriali (in genere provinciali) e
quindi in quelle regionali e nazionali di categorie.
Secondo la LINEA ORGANIZZATIVA ORIZZONTALE, il sindacato si articola in strutture:
- Territoriali;
- Provinciali (CGIL, CISL , UIL);
- Regionali.
Queste strutture sono INTERCATEGORIALI in quanto rappresentano tutti i lavoratori
che operano in ogni ambito territoriali, provinciale e regionale, indipendentemente
dal settore produttivo di appartenenza.
Ex. la camera del lavoro di Roma rappresenta tutti gli iscritti alla CGIL occupati nella
provincia, qualunque sia il settore produttivo a cui il datore di lavoro dal quale
dipendono appartiene.
Inoltre le strutture orizzontali regionali e nazionali concorrono a formare la
Confederazione.
FUNZIONI 
- La linea organizzativa verticale è quella prevalente dell’esperienza storica
italiana e degli altri Paesi industrializzati e l relative strutture hanno la
funzione di gestire le contrattazioni collettive;
- La linea organizzativa orizzontale non ha molti risconti a livello comparato
almeno con il peso che la tradizione italiana ha attribuito ai movimenti

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sindacali attribuendogli obiettivi di carattere economico sociale che possono 23


essere perseguito solo coinvolgendo i pubblici poteri.
Le strutture infatti hanno funzioni di impostazione e di coordinamento interno delle
linee di politica economica e contrattuale dell’organizzazione e di rappresentanza
politica nei confronti delle istituzioni pubbliche.

3. SINDACALISMO UNITARIO E PLURALITÀ DI SINDACATI


una variabile importante dell’organizzazione sindacale è quella relativa alla
situazione di unità o di pluralità di sindacati.
Esiste infatti un’unica confederazione che raggruppa tutti o quasi tutti i sindacati
esistenti.
Il sindacalismo unitario è proprio della Gran Bretagna, Germania e Svizzera.
Situazioni di pluralità quindi di coesistenza di confederazioni con diverse culture
sindacali, esistono in Francia, Paesi Bassi, Italia, Portogallo e Spagna.
In Italia nel 1944 la Democrazia Cristiana, il Partito Comunista e il Partito Socialista
stipularono un accordo che prende il nome di patto di Roma per far rinascere il
sindacalismo libero, creando un’unica Confederazione, la CGIL che avrebbe
organizzato tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro orientamento politico e
confessionale.
Nei sindacati, è sempre stata forte l’UNITÀ DI AZIONE che implica l’accordo
preventivo sulle politiche e sulle iniziative da realizzate.
Inoltre è stato anche sempre presente l’obiettivo di recuperare l’UNITÀ ORGANICA
attraverso la fusione delle tre organizzazioni in una sola confederazione.
Da questo punto di vista, il risultato più avanzato si conseguì nel 1972 in cui le 3
organizzazioni stipularono un patto federativo, con il quale crearono la federazione
CGIL, CISL e UIL.
Gli organi di questa federazione erano composti da rappresentanti delle 3
organizzazioni a tutti i livelli  questo consentiva alle organizzazioni di riconoscersi
nelle decisioni, indipendentemente dalla loro consistenza associativa.
In cambio, ognuna rinunciava alla possibilità di stipulare accordi separati.
Questo equilibrio resse sino alla rottura causata dal mancato accordo con il governo
del 14/02/1984 che portò alla scioglimento della FEDERAZIONE UNITARIA.

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Successivamente, la reciproca convivenza, imposta la ripresa di una prassi unitaria 24


che ha continuata ad incontrare ostacoli determinati non solo della diversità esistenti
tra le confederazioni ma anche dal quadro politico in quanto i governi di centro
destra hanno operato con l’intento di indebolire i sindacati.
Tutto questo ha comportato lo sviluppo di accordi e contratti collettivi, i c.d.
ACCORDI SEPARATI in quanto sottoscritti dalla CISL, UIL e non dalla CGIL.
Queste tensioni hanno imposto l’esigenza di prevedere criteri di misurazione della
rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini della stipulazione e
dell’efficacia dei contratti collettivi.
Oltre alla CGIL,CISL e UIL esistono altre organizzazioni sindacali autonome tra
queste ritroviamo la
- UGL (unione generale del lavoro) nata nel 1996
- CUB (confederazione unitaria di base);
- COBAS (confederazione dei comitati di base);

4. LE AFFILIAZIONI INTERNAZIONALI
Parliamo della confederazione europea dei sindacai (CES) che svolge un’attività
politica nei confronti degli organi dell’UE.
Tutte e 3 le principali confederazioni italiane aderiscono ad essa e alla CISL
internazionale.
5. L’ASSOCIAZIONISMO DEGLI IMPRENDITORI
A differenza di quello dei lavorator, l’associazionismo degli imprenditori privati
rispondere all’esigenza di soddisfare interessi di tipo economico.
Infatti, tra i servizi che le associazioni erogano agli iscritti ritroviamo i
- Servizi di adempimento contabilità e buste paghe, assistenza fiscale, ecc)
- Servizi evolutivi assistenza e sostegno finanziario alle imprese (ex. accesso
al credito), consulenza e assistenza tecnico-economica sui mercati dei prodotti
nazionali e internazionali.
Tali associazioni svolgono però anche funzioni sindacali  infatti, anche se gli
imprenditori, a differenza dei lavoratori possono agire anche come singoli, essi
hanno interesse a coalizzarsi per contrastare la controparte nella contrattazione
collettiva (SINDACALISMO DI RISPOSTA).

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In Italia quindi, mentre i lavoratori: 25

1. Sono organizzati in confederazioni che rappresentano gli addetti


all’agricoltura, del industria, del commercio e del pubblico impiego.
I datori di lavoro invece sono raggruppati in confederazioni distinte in basi a criteri
quali:
- Settore economico;
- Dimensione delle aziende;
- Settore produttivo/merceologico;
- Forma;
- Natura giuridica;
- Ecc
Le maggiori organizzazioni degli imprenditori sono:
 Per l’industria e i servizi la Confindustria;
 Per il commercio la Confcommercio;
 Per l’agricoltura la Confagricoltura;
Negli stessi settori economici operano anche organizzazioni che rappresentano le
imprese di piccole e piccolissime dimensioni:
Nell’industria opera la Confapi;
Nel commercio la Conferesercenti;
Nell’agricoltura la Coldiretti e la Confederazione italiana degli agricoltori.
Inoltre, esistono diverse associazioni che rappresentano le imprese cooperative (EX.
Unicoop, legacoop, ecc) e quelle artigianali (Confartigianato, Casartigiani, ecc).
Altre associazioni rappresentano poi :
- le banche e le assicurazioni (ABI,ANIA);
- le aziende e gli enti che gestiscono i servizi di pubblica utilità (Confservizi);
- le imprese di trasporto (Confetra);
- le agenzie per il lavoro (Assolavoro);
- ecc.
In passato, un altro criterio organizzativo di notevole importanza è stato quello
basato sulla distinzione tra imprese private e a prevalente partecipazione statale.
In base a tale criterio, le imprese industriali private erano associate alle
organizzazioni come Confindustria o la Confapi, mentre quelle a prevalente
partecipazione statale erano associate all’Intersind o all’ASAP.

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NBNegli anni più recenti, i profondi mutamenti economici, produttivi e politici , 26


hanno comportato una modifica delle logiche associative sino ad ora analizzate,
facendo emergere 2 diverse tendenze:
- riduzione della frammentazione organizzativa in questa tendenza rientrano
aggregazioni di associazioni che hanno portato alla nascita di altri soggetti
come R.ETE. Imprese Italia che ha lo scopo di favorire l’integrazione delle
associazioni nazionali.
È stata fondata nel 2010 da Confcommercio, Confesercenti, CNA, Confartiginato e
Casartigiani.
Mentre, Alleanza delle cooperative italiane fondata nel 2011 da AGVI, Legacoop e
Confcooperative è un coordinamento che dal livello federale dovrebbe estendersi a
quello di settore e territoriale, nella prospettiva di scioglimento delle singole
organizzazioni e della loro fusione in una sola Federazione.
NBqueste nuove aggregazioni non producono effetti sul sistema di contrattazione
collettiva ma rispondono all’esigenza delle organizzazioni di massimizzare i risultati
della propria azione nel confronto con le istituzioni, rappresentando più
unitariamente gli interessi dei propri associati.
Essere segnalano a riduzione di criteri organizzativi sui quali il sistema della
rappresentanza imprenditoriale è stato fondato dalle origino.
EX. con la costituzione di RETE è venuto mento il criterio del settore economico e
della natura giuridica dell’impresa e l’organizzazione separata delle imprese artigiane
che appare idonea a dare identità alle piccole e medie imprese.
- La seconda tendenza riguarda la frammentazione organizzativa.
Relativamente alla struttura organizzativa è necessario dire che anche queste
associazioni cosi come quelle dei lavoratori si articolano su due linee organizzative:
 una linea verticale basata sulla categoria/settore produttivo
 una linea orizzontale basata sull’ambito territoriale.
Le strutture territoriali sono in genere provinciali, regionale e nazionali e riuniscono
gli imprenditori di tutte le categorie produttive operanti nell’ambito di riferimento.
Le strutture orizzontali hanno un’importanza maggiore rispetto a quelle di categorie
in quanto:
 si indebolisce la funzione contrattuale affidata a quelle di categorie;

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 garantiscono alle associazioni i principali caratteri d’influenza negli ambiti 27


decisionali istituzionali, nazionali e locali, essendo più vicine alle imprese e ai
loro interessi.
Le imprese a partecipazione pubblica e di interesse economico sono rappresentate
da CEEP.

6. ORGANIZZAZIONE SINDACALE NON ASSOCIATIVA


La forma organizzativa storicamente prevalente del fenomeno sindacale è quella
associativa.
Il libro rimanda ai capitoli successivi.
B. LA REGOLAMENTAZIONE GIURIDICA
1. Sindacato e categoria professionale e la libertà di scelta tra i diversi modelli
organizzativi
Dal punto di vista dell’ordinamento statuale, la scelta di uno dei criteri organizzativi
tra i tanti possibili può essere:
- Eteronoma;
- Autonoma;
ETERONOMA  era eteronoma nel sistema corporativo.
Era lo Stato a determinare quali e quanti fossero le categorie nel momento in cui
riconosceva un solo sindacato per ogni categoria.
Oggi il principio della libertà sindacale (art. 39 comma 1) obbliga l’interprete alla
soluzione opposta  i gruppi sindacali che si costituiscono in sindacato possono
liberamente formarsi, fondersi, separarsi e estinguersi.
Parliamo di una libertà di grande rilievo in quanto con il suo esercizio i lavoratori
scelgono l’interesse che il sindacato deve promuovere.
Questo comporta la presenza di più gruppi costruiti secondo criteri che si
intersecano e si sovrappongono ponendo in essere un conflitto organizzativo.
Ex. i macchinisti delle ferrovie sono organizzati contemporaneamente dai sindacati
confederali insieme con altri ferrovieri e dai comitati di base isolatamente.
2. La mancata attuazione della seconda parte dell’art.39 Cost.

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Comma 1 art 39  si ricava l’ampia autonomia del gruppo sindacale, abilitato a 28


scegliere liberamente il proprio campo d’azione attraverso la determinazione di
quale tipo di lavoratori vuole organizzare (quindi la categoria).
I commi successivi prevedono che i sindacati siano sottoposti alla registrazione la
condizione per la registrazione è la democraticità degli statuti.
Inoltre, attraverso la registrazione i sindacati acquisiscono la personalità giuridica.
Inoltre, i sindacati registrati possono stipulare contratti collettivi dotati di efficacia
generale.
Rispetto al principio sancito dal comma 1 che ha assunto sin da subito molto rileva, il
meccanismo delineato dai comma 2,3,4 per divenire operativo necessitava di una
serie di specificazioni da parte della legislazione ordinaria.
Ex. Era necessario individuare gli uffici competenti alla registrazione ed era
necessario individuare un meccanismo che consentisse di predeterminare la
categoria professionale.
A tal fine il legislatore non è mai intervenuto e per tale ragione queste disposizione
non sono state mai applicate.
Le regioni della mancata attuazione sono differentitra le principali possiamo
ricordare:
- Timore che il procedimento di registrazione diventasse uno strumento di
intromissione da parte dello Stato nella vita interna del sindacato;
- Vi fu una forte opposizione da parte della CISL all’attuazione della norma
costituzionale.
- A questo si aggiungeva anche i fatto che con il passare del tempo si
sviluppavano i sindacati di fatto caratterizzati da un ampio potere contrattuale
e politico al quale il legislatore rispondeva con una legislazione di sostegno
che presupponeva il sistema sindacale di fatto e ne attuava un diretto
riconoscimento.
La mancata attuazione non costituisce un inadempimento costituzionale tutto il
meccanismo dei commi 2,3,4 dell’art 39 è diretto ad attribuire ai sindacati che si
assoggettano al controllo della registrazione il potere di stipulare contratti collettivi
con efficacia erga omnes e non a disciplinare il soggetto sindacale.
Per tali ragioni, diverse proposte di riforma costituzionale hanno perseguito, senza
successo, l’obiettivo di sostituire i commi 2,3,4 della orma con un rinvio della legge

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ordinaria attribuendo alla stessa la possibilità di trovare soluzioni diverse per l 29


valutazione della rappresentatività del sindacato.
A tal fine il legislatore, anche senza dare attuazione alla seconda parte dell’art 39, ha
introdotto nel 2011 una disciplina sui contratti collettivi di prossimità conferendoli
efficacia erga omnes.

3. La scelta privatistica
Tale scelta deriva dal fatto che lo Stato non doveva interferire con l’attività autonoma
dei gruppi come si è visto nel paragrafo precedente.
Per tale ragione l’attività sindacale on è disciplinata da norme di diritto pubblico.
4. L’associazione non riconosciuta
Per effetto dell’art. 36 e ss. Del c.c. parliamo del sindacato qualificato dal punto di
vista giuridico come associazione non riconosciuta che differisce dai circoli ricreativi
o culturali.
L’introduzione delle associazioni non riconosciute rappresenta un novità del c.c. del
1942 riportata poi dal nuovo c.c. negli art. 36,37,38.
CARATTERISTICHE:
- Il fondo sociale della società non riconosciuta costituisce un’unità che va oltre
i singoli individui che ne fano parte;
- Il fondo permane oltre la volontà del socio di mantenere in vita il rapporto
giuridico e si estingue con l’atto attraverso cui i soci deliberano lo scioglimento
dell’associazione.
- Patrimonialità imperfetta;
- La natura unitaria dell’associazione è confermata dall’attribuzione della
rappresentanza processuale si essa al presidente o al direttore  quindi parte
in giudizio è l’associazione attraverso i soci.
Quindi l’associazione riconosciuta, anche se priva di personalità giuridica, è un
soggetto di diritto, in quanto costituisce un centro autonomo di imputazioni
giuridiche.
5. Disciplina costituzionale del codice civile
Alla disciplina contenuta dall’art. 36-39 del Cost. è necessario aggiungere anche
quanto previsto dall’art 18 della Cost.

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6. La disciplina delle forme organizzative non associative


COALIZIONI OCCASIONALI può succedere che i lavoratori conducano azioni
conflittuali anche attraverso delegazioni occasionali (comitati di sciopero, comitati di
base, ecc.) che vengono investite di un mandato per organizzare le forme di lotta e
per condurre le eventuali trattative.
Al termine del conflitto, la coalizione esaurisce il suo mandato e si scioglie.
Mancando l’elemento della stabilità queste coalizioni assumono connotati simili a
quelli del comitato (art. 39 e s.s. cost.).
Il rapporto con i lavoratori è riconducibile alla figura del mandato collettivo art.
1726 c.c.
Inoltre, anche se assente la fattispecie associativa sindacale, in questi casi ricorre una
forma di esercizio della libertà di organizzazione sindacale tutelata dall’art 39 Cost.
Anche la rappresentanza dei lavoratori a livello aziendale non assume la veste
associativa.
CONCLUSIONE L’organizzazione sindacale può esprimersi ed esercitarsi anche
fuori dalla forma dell’associazione.
L’organizzazione non coincide con l’associazione.
7. Interessi collettivi, individuali e generali
L’inquadramento del sindacato e dell’attività sindacale nel diritto privato è
espressione e conseguenza del riconoscimento giuridico della diversità tra:
 Interesse collettivo  di cui è portatrice il sindacato;
 e l’interesse generale di cui è portatrice l’intera comunità ereta a Stato e
che acquista concretezza attraverso le procedure costituzionali.
IL SINDACATO è l’organizzazione di un gruppo di lavoratori e n esprime gli
interessi  non coincide mai con la società nel suo complesso.
Inoltre è necessario anche distinguere:
 INTERESSE INDIVIDUALE dei singoli lavoratori aderenti al sindacato;
Inoltre è necessario anche dire che i sindacati hanno un proprio e preciso interesse a
non limitare agli iscritti la propria azione di rappresentanza.

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Infatti, assicurare ai lavoratori non iscritti i benefici della contrattazioni collettiva può 31
giovare alo stesso sindacato in quanto dalla limitazione degli effetti i questa esso può
subire una perdita della forza contrattuale.
È necessario inoltre anche far riferimento al rapporto tra sindacato e lavoratori in
termini di mandato con rappresentanza conferito dai lavoratori al momento
dell’iscrizione (art. 1704 e ss. e 1387 ss c.c.).
Tale rapporto non viene conto delle differenze tra:
- Interesse collettivo di cui è portatore il sindacato;
- Interesse individuale del lavoratore;
NB L’interesse collettivo e individuale non coincidono.
Ex. se il sindacato chiude un conflitto con un accordo che riduce il numero di
lavoratori da licenziare, ha promosso l’interesse collettivo e non l’interesse
individuale in quanto comunque ci saranno lavoratori che saranno licenziati.
Inoltre, nel linguaggio tecnico – giuridico, l’espressione interesse collettivo è
utilizzata con quella di interesse diffuso che è nata in relazione alla tendenza
giurisprudenziale a introdurre forme di tutela di interessi per i quali è difficile
individuare il titolare e quindi colui che è legittimato a farli valere in giudizio (ex.
materia ambientale o di tutela del consumatore).

CAPITOLO 4. – RAPPRESENTANZA E RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE –


1. Rappresentanza e rappresentatività
SINDACATO è un organizzazione di lavoratori portatrice di un proprio interesse
collettivo e deve essere riconosciuta una sfera autonoma propria e non derivata da
quella individuale dei singoli lavoratori.
IL GRUPPO ORGANIZZATO è diverso dalla somma degli individui che lo compongono.
Inoltre, l’interesse collettivo è qualcosa di diverso dall’interesse individuale dei
membri tutto questo impedisce di ricondurre il legame tra il sindacato e i
lavoratori all’istituto della rappresentanza.
L’istituto della rappresentanza è disciplinato dagli artt. 1387 e ss. e 1704 ss. del c.c.
il rappresentante agisce in nome e nell’interesse del soggetto rappresentato
(art.1388 cc).

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Il sindacato agisce in nome proprio, perseguendo l’interesse collettivo di cui è 32


titolare.
Il nesso che lega all’organizzazione sindacale i lavoratori appartenenti al gruppo
professionale è qualificato come rapporto di rappresentanza.
Diversa è la nozione di rappresentatività capacità dell’organizzazione di unificare i
comportamenti dei lavoratori in modo che gli stessi operino non secondo le scelte
proprie ma come un gruppo.
È una nozione pregiuridica (appartenente alla sociologia e alla scienza politica)
assunta nel mondo giuridico in quanto usata ripetutamente dal legislatore quando
ha regolato alcuni aspetti concreti della dinamica delle relazioni industriali.
Così facendo, le posizioni giuridiche non sono attribuite a tutte le organizzazioni ma
solo ai sindacati che sono dotati di un’effettiva capacità unificatrice del gruppo
professionale.
Sul piano formale questo è avvenuto selezionando i sindacati.
È subito evidente la differenza tra questa legislazione e il riconoscimento della libertà
sindacale o la regolamentazione del sindacato (ex. art 36 Cost.).
Queste ultime norme operano in favore di tutti i sindacati.

A. LA MAGGIORE RAPPRESENTATIVITÀ NELLO STATUTO DEI LAVORATORI


1. La ratio della selezione tra i sindacati
Il tema della rappresentatività acquisì un ruolo centrale nel sistema e nel dibatto di
diritto di lavoro con il Titolo III dello Statuto dei lavoratori. (art. 19 e ss. della legge
20/05/1970 n. 300)
In queste norme il legislatore non si limita a ribadire che i lavoratori hanno diritto ad
esercitare la proprie libertà sindacale anche all’interno dei luoghi di lavoro e che il
datore di lavoro deve rispettare tale libertà ma ponendo in essere la legislazione di
sostegno o promozionale dell’attività sindacale, riconosce alle organizzazioni
sindacali maggiormente rappresentative diritti che favoriscono il rapporto tra
l’organizzazione e i lavoratori rappresentati.
A questi diritti corrispondono precise posizioni debitorie dell’imprenditore:
- Al diritto di assemblea (art.20) corrisponde l’obbligo dell’imprenditore di porre
a disposizione dei lavoratori il locale in cui svolgerla, il riscaldamento, la luce
elettrica, ecc.

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- Al diritto dei permessi sindacali (art. 23-24) corrisponde la sospensione del 33


diritto dell’imprenditore alla prestazione di lavoro.
L’imprenditore, per rispettare la libertà sindacale è tenuto solo ad un generico
obbligo negativo di astensione dell’interferire nella libertà stessa.
Sono queste le ragioni per la quali i diritti sindacali non sono riconosciuto a tutte le
associazioni ma solo a quelle effettivamente rappresentative.
2. I criteri di selezione
Nella sua formazione originaria l’art.19 individuava come soggetti titolari dei diritti
sindacali, le rappresentanze sindacali aziendali, costituite a iniziativa dei lavoratori
operanti nell’ambito:
a. Delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative
sul piano nazionale;
b. Delle associazioni, non affiliate alla predette confederazioni, che siano
firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati
nell’unità produttiva.
Si introducevano due criteri di selezione:
1. Il criterio principale era riassunto nella formula “CONFEDERAZIONI
MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVE” esso implica un giudizio di
rappresentatività che è stata definita storica in quanto basata sul dato storico
dell’effettività dell’azione sindacale svolta dalle grandi confederazioni.
Il criterio storico è anche indicato come il criterio della rappresentatività presunta.
2. Il secondo criterio era residuale in quanto introdotto al fine di non escludere
alcuni sindacati che anche se non inquadrati nelle confederazioni più
rappresentative, avevano un ruolo rilevante nei rapporti sindacali di alcuni
settori.
Quindi la selezione dei sindacati sulla base della loro appartenenza o meno alle
confederazioni maggiormente rappresentative non è neutra con essa il legislatore
ha perseguito una politica a favore di forma organizzative del sindacato di tipo
confederale nelle quali vengono maggiormente tutelati i valori di solidarietà.
La nozione di sindacato maggiormente rappresentativo svolge una duplice funzione:
- Seleziona tra i sindacati quelli che sono soggetti del sistema di relazioni
industriali;

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- Persegue una politica del diritto in coerenza con la tradizione del sindacalismo 34
italiano, favorendo le forme di aggregazione sindacale più ampie.
L’espressione confederazione maggiormente rappresentative ha posto il problema
degli indici utilizzabili per individuare le organizzazioni che meritassero di tale
qualificazione:
 Consistenza del numero degli iscritti;
 Presenza in un ampio arco di settori produttivi e di territori;
 Svolgimento dell’attività di contrattazione;
 Continuità e sistematicità;
Tali criteri hanno trovato un maggiore riscontro legislativo nella legge di riforma del
Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro in quanto sono stati utilizzati al fine
di individuare i sindacati che hanno il potere di designare i rappresentanti dei
lavoratori subordinati nel consiglio steso.

3. La giurisprudenza costituzionale sull’art 19 prima del referendum del 1995


Sulla maggiore rappresentatività, con il tempo la corte costituzionale si è espressa
con varie sentenze:
 La Corte affermò che la selezione tra i sindacati non viola l’art 39 Cost se non
tocca la libertà sindacale ma è funzionale all’attribuzione di diritti o poteri
aggiuntivi che vanno oltre la stessa  è questo il caso dell’art 19 dello Statuto
dei lavoratori, la cui funzione è quella di identificare i soggetti titolari dei diritti
previsti dal titolo III e non limitare la libertà di costituire rappresentanza
sindacali all’intero dei luoghi di lavoro.
 La questione di legittimità era stata posta alla Corte anche in relazione dell’art.
3 dela Cost. la selezione tra i sindacati per accedere ai diritti sindacali, crea
una differenza di trattamento.
A tal fine la Corte Costituzionale affermò che la scelta del legislatore di non conferire
a tutti i diritti sindacali è razionale e consapevole evitando che singoli individui o
gruppi isolati di lavoratori danno origine ad un numero imprevedibile di organismi.
4. I referendum del 1995
L’art 19 è stato oggetto di 2 referendum abrogativi che si sono svolti l’11 giugno 1995
ed hanno avuto un esito negativo e l’altro positivo.
IL REFERENDUM CON ESITO NEGATIVO il primo referendum mirava a eliminare i
criteri selettivi.

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L’esito negativo ha confermato la scelta legislativa di una selezione dei sindacati che 35
hanno accesso alle condizioni di favore previste da questo titolo dello statuto.
NBse avesse avuto esito positivo, i titolari dei diritti sindacali sarebbero state tutte
le rappresentanze aziendali costituite su semplice iniziativa dei lavoratori.
IL REFERENDUM CON ESITO POSITIVO è stato approvato il secondo quesito
referendario volto ad abrogare il primo criterio.
All’esito del referendum, il testo dell’art 19 è risultato così formulato:

“rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei

lavoratori in ogni unità produttiva nell’ambito delle associazioni sindacali che siano

firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva”.

Il risultato è che il criterio selettivo della rappresentatività è unico: la RSA deve
essere costituita nell’ambito di un sindacato che non deve essere necessariamente s
struttura confederale ma che abbia stipulato un contratto collettivo applicato
nell’unità produttiva.
Quindi, per poter essere considerato rappresentativo ai sensi dell’art 19, un
sindacato doveva svolgere la proprie attività non in una singola azienda ma in una
pluralità di esse comprese in un ambito nazionale o provinciale.
 Cosi facendo, è come se lo Statuto dei lavoratori promuove e sostiene l’attività
contrattuale dei sindacati che hanno già stipulato il contratto.
Infatti, un sindacato confederale che non ha stipulato un contratto collettivo
applicato nell’unità produttiva interessata, se prima poteva accedere ai diritti
sindacali ora non può più farlo.
Affinché questo si realizzi è necessario che l’imprenditore non applichi nessun
contratto collettivo stipulato da queste Confederazioni o da sindacai a esse aderenti.
Quindi tra le principali conseguenze del referendum vi è che il criterio della
maggiore rappresentatività STORICA O PRESUNTA presente nello Statuto dei
lavoratori viene sostituito da un criterio di rappresentatività fondato su un elemento
accertabile
ELEMENTO ACCERTABILE Il sindacato ha sottoscritto un contratto collettivo
applicato nell’unità produttiva in cui pretende di costituire la propria RSA.

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5. La giurisprudenza costituzionale sull’art 19 dopo il referendum 36

Sul testo dell’art 19 la Corte Costituzionale si è pronunciata varie volte:

a. Sentenza n. 244 del 1996 il riconoscimento della rappresentatività del


sindacato era rimessa all’arbitrio del datore di lavoro, che era libero di
accettare o meno come controparte contrattuale lo stesso sindacato da qui
la violazione del principio della libertà sindacale, delle eguaglianza.
La corte ha respinto tutte e due le eccezioni affermando che anche nella nuova
formulazione dell’art 19 non vila l’art 39 Cost. Perché “le norme di sostegno
dell’azione sindacale nelle unità produttive, possono essere riservate a certi sindacati
identificati mediante criteri scelti discrezionalmente”.
Cosi facendo non è neanche violato l’art 3 in quanto le “associazioni sindacali
vengono differenziate in base a ragionevoli criteri stabiliti per legge.
Nell’affermare la conformità dell’art 19 alle Costituzione, la Corte ha precisato che
tale coerenza sussiste se alla norma è data un’interpretazione rigorosa che risponda
al principio dalla rappresentatività effettiva fissando a tal fine alcune coordinate:
- L’interpretazione deve garantire che il meccanismo basato sulla sottoscrizione
del contratto collettivo risponda al fine di misurare la consistenza reale del
sindacato e non finisca per condizionare il riconoscimento della
rappresentatività alla scelta del datore di lavoro di sottoscrivere un contratto
con quello specifico sindacato.
La sottoscrizione del contratto, deve indicare la capacità del sindacato di imporsi al
datore di lavoro direttamente o attraverso le sue associazioni come controparte
contrattuale.
La complessa argomentazione fatta dalla Corte Costituzionale per affermare la
legittimità del testo dell’art. 19 dopo il Referendum, ha presentato dei limiti in
particolar modo in merito alla nomina degli agenti di RSA fatti nella FIAT da parte
della FIOM-CGIL.
Nelle pronunce dei giudici, si sono sviluppati 2 filoni interpretativi:
1. Sulla base del primo, sarebbe stato possibile fornire un interpretazione dell’art
19 secondo la quale il diritto a costituire una RSA era da riconoscere non solo
ai sindacai che avessero sottoscritto il contatto ma anche a tutti i soggetti che,

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pur non avendo sottoscritto il contratto, fossero stati attori del processo 37
negoziale.
2. Il secondo filone sosteneva un’interpretazione letterale della norma:
l’individuazione delle associazioni sindacali selezionate dall’art 19 non poteva
esser ancorata a criteri diversi dalla sottoscrizione del contratto applicato in
azienda.

b. Sentenza n.231 del 2013  la Corte ha accolto la questione di


incostituzionalità con l’art 39 comma 2,3 della Cost.-
La violazione dell’art 3 della Cost. deriva:
- Irragionevolezza del criterio;
- Disparità di trattamento che genera tra i sindacati.
I sindacati sarebbero discriminati o privilegiati sulla base del rapporto con l’azienda e
non sulla base del rapporto con i lavoratori.
Secondo il giudizio della Corte, la previsione comporta il rischio che venga privato
dalla possibilità di avere quei benefici di un sindacato che abbia liberamente deciso
di non sottoscrivere un contratto collettivo che non ritiene idoneo a garantire il
perseguimento dell’interesso collettivo.
Quindi la Corte, attraverso una sentenza additiva, ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art.19 comma 1 lettera b nella parte in cui non prevede che la
rappresentanza sindacale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni
sindacali, che pur non firmatarie dei contratti collettivi, abbiano partecipato alla
negoziazioni relativa agli stessi contratti rappresentativi dei lavoratori dell’azienda.
c. La nuova formulazione dell’art 19 e il TU sulla rappresentanza con
l’accordo del gennaio 2010 (testo unico sulla rappresentanza), Confindustria,
CGIL,CISL,UIL hanno formalizzato delle regole volte a determinare i requisiti
per l’ammissione alle trattative di rinnovo del CCNL.
Infatti, hanno definito che ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali
s’intendono partecipanti alle negoziazioni (ART. 19 E SS. DEL TULAVORATORI):
 le organizzazioni che abbiano raggiunto il 5% di rappresentanza e
 che abbiano partecipato alla negoziazione e
 hanno fatto parte della delegazione trattante l’ultimo rinnovo del CCNL.

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Questa previsione è finalizzata a fornire un parametro di valutazione al giudice 38


chiamato a decidere in caso di controversie, se rientrino nella formulazione
dell’art.19 i sindacati che non abbiano sottoscritto il CCNL.

B. Ulteriori ipotesi di rilevanza della maggiore rappresentatività e la crisi della


maggiore rappresentatività presunta.

1. Le altri leggi che dispongono una selezione tra i sindacati


Dopo lo Statuto dei lavoratori, un nutrita serie di altre leggi ha presentato
un’esigenza di selezione tra i sindacati.
Tali leggi possono suddividersi in 2 categorie:
1. Riguarda le disposizioni che attribuiscono ad alcuni sindacati il potere di
disegnare i rappresentanti dei lavoratori in organi collegiali espressivi degli
interessi delle parti sociali;
Ex. il consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, organo previsto dalla
Costituzione con funzione di consulenza del Parlamento e del Governo e di iniziativa
legislativa in materia di lavoro ed economia.
Ne fanno parte esperti e rappresentanti delle categorie produttive (art. 99 Cost.)
designati dalle organizzazioni sindacali di carattere nazionale.
2. La seconda riguarda norme che riservano ai sindacati selezionati la
legittimazione a stipulare particolari tipi di contratti collettivi ai quali la legge
riconduce particolari effetti.
Ex. Regolamentazione della contrattazione collettiva delle pubbliche amministrazioni
perché riserva in via esclusiva ai sindacati maggiormente rappresentativi l
legittimazione a negoziare in rappresentanza dei dipendenti pubblici.
In questa seconda categoria è necessario anche dire che la legge assume il contratto
collettivo stipulato dai sindacati maggiormente rappresentativi come fatto produttivo
di effetti giuridici da lei stessa determinati e ulteriori rispetto a quelli voluti dal
contratto.
Ex. le retribuzioni determinate dal contratto collettivo sottoscritto da sindacati dotati
di adeguata rappresentatività.
Inoltre, ad eccezione delle contrattazioni collettive delle amministrazioni pubbliche, i
sindacati che possono designare ai propri rappresentanti in organi collegiali o che

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sono legittimati a stipulare determinati contratti collettivi che producono particolari 39


effetti prendono il nome di sindacati “maggiormente rappresentativi”.

2. il sindacato comparativamente più rappresentativo


A partire dalla metà degli anni 90, il legislatore è intervenuto al fine di distinguere la
nozione sindacato comparativamente più rappresentativo da quella di sindacato
maggiormente rappresentativo.
Tale scelta trae origine dal diffondersi di contratti collettivi sottoscritti da associazioni
sindacali dotate di struttura confederale ma presenti solo in pochi settori del mondo
del lavoro.
La sottoscrizione di tali contratti (al ribasso o pirata) aveva la finalità di determinare
tutele meno forti e trattamenti economici più bassi rispetto a quelli previsti dai
contratti collettivi stipulati dai sindacati dotati di rappresentatività.
Parliamo di contratti produttivi di effetti.
Il problema che si è posto il legislatore riguarda l’idoneità di ali contratti a produrre
ulteriori effetti giuridici previsti dalla legge facendo ricorso al criterio selettivo del
sindacato maggiormente rappresentativo.
Tale questione ha riguardato la disciplina alla retribuzioni da prendere come base di
calcolo per l determinazione dei contributi previdenziali e assistenziali in questo
contesto il legislatore ha fatto riferimento alla nozione di maggiore rappresentatività
comparato prevedendo che in caso di una pluralità di contratti collettivi intervenuti
nella stessa categoria, la retribuzione deve essere quella stabilita dai contratti
collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro
comparativamente più rappresentative nella categoria.
Il legislatore inoltre, non ha individuato nuovi e specifici indici al fine di valutare la
rappresentatività di ciascuna organizzazione ma ha imposto di verificare,
comparativamente, quale contratto collettivo sia stato sottoscritto, dai lavoratori e
dai datori di lavoro.
In tutte queste ipotesi, la nozione di sindacato comparativamente più
rappresentativo costituisce uno strumento utile per individuare quale contratto
collettivo, nel caso in cui ne esistano una pluralità per lo stesso gruppo professionale,
possa produrre l’effetto giuridico previsto dalla norma di legge.
La soluzione è conforme:

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 Art 39 Cost. comma 1 in quanto si tratta di effetti che è la legge ad attribuire al 40


contratto collettivo;
 Principio di uguaglianza (art.3) in quanto la scelta tra i diversi contratti colletivi
risponde ad un criterio dotato di una indubbia ragionevolezza.
Ai fini della verifica della rappresentatività, in mancanza di elementi testuali o
sistematici che facciano ritenere diversamente, è necessario prendere in
considerazione gli indici tradizionalmente elaborati per la maggiore rappresentatività
come:
 Consistenza numerica;
 Diffusione territoriale;
 Partecipazione effettiva alla dinamica delle relazioni industriali;
Inoltre, nel corso del tempo, la nozione di sindacato comparativamente più
rappresentativo ha sostituto quella di sindacato maggiormente rappresentativo
cosi facendo si attribuisce al contratto collettivo stipulato dai sindacati il potere di
integrare o derogare quanto disposto dalla norma.
In questo caso vengono selezionati solo i sindacati in grado di porre in essere
l’attività giuridica prevista dalla legge  solo i sindacati selezionati possono porre in
essere l’attività giuridica prevista dalla norma.
Il sindacato che invece non riceve la qualità oggetto d’esame, potrà svolgere solo
liberamente la propria attività negoziale.
3. La rappresentatività ponderata nel settore pubblico
Nella regolamentazione giuridica delle relazioni sindacali nelle PA, la nozione di
sindacato maggiormente rappresentativo non assolve solo:
 Alla funzione di selezionate i soggetti titolari dei diritti sindacali (come avviene
nello Statuto dei lavoratori)
 Ma anche quella di individuare i sindacai abilitati all’attività di contrattazione
collettiva nazionale.
Parliamo di una differenza importante con il settore priva nel quale l selezione dei
soggetti ammessi al tavolo delle trattative contrattuali non è regolata per legge ma è
affidata ai rapporti di forza.
Con riferimento alle pubbliche amministrazioni, l’art 43 del d.lgs 165/2001 dispone
che sono ammessi alla contrattazione collettiva nazionale di comporto o di area, i
sindacati che realizzano un indice di rappresentatività non inferiore al 5% collocato
come media tra il dato associato e il dato elettorale.

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DATO ASSOCIATO si ricava dalla % delle deleghe per il pagamento dei contributi 41
associati in favore di ogni singolo sindacato sul totale delle deleghe a tutti i sindacati
rilasciate dai lavoratori nell’ambito in cui si applica il contatto da stipulare.
DATO ELETTORALE calcolato dalla % di voti ottenuti dalla lista espressa da ogni
sindacato sul totale dei voti espressi per l’elezione delle rappresentanza sindacali
unitarie nello stesso ambito.
Con questa disciplina, la rappresentatività non è determinata sulla base di indici
discrezionalmente valutai ma viene misurata sulla base di dati numerici che devono
essere accertabili.
Solo i sindacati che realizzano la soglia del 5% sono ammessi alla trattativa
contrattuale.
Sotto altri profili il legislatore ha accolto la soluzione opposta relativa alla
proporzione dei diritti al grado di rappresentatività.
A tal fine è necessario dire che l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle PA
(ARAN) non può sottoscrivere i contratti nazionale non acquisisce il consenso di
organizzazioni sindacali che rappresentano almeno:
- 51% dei lavoratori dato associativo;
- 60% dato elettorale.
Inoltre, le organizzazioni sindacali godono di permessi e aspettative per i propri
dirigenti in proporzione alla loro rappresentatività, misurata attraverso ma media del
dato associativo e elettorale (art. 43 comma 6).
Quindi nel settore della PA si è realizzato il superamento del criterio della
rappresentatività presunta a favore di un sistema legale di misurazione della
rappresentatività.
4. Crisi della maggiore rappresentatività presunta e prospettive de jure
condendo.
La complessa vicenda sino ad ora trattata si muove tra due poli:
- Da un lato vi è la legge che ha l’esigenza di non affidare certi diritti e certi
poteri a tutti i sindacati ,a solo a quelli che dimostrino la loro capacità di
essere effettivamente rappresentativi.
A tal fine la Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità costituzionale dei
soggetti sindacali purché siano soddisfatte le seguenti condizioni:

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a. Si tratta di diritti e di poteri che vadano oltre la libertà sindacale che non 42
spetta a tutti i sindacati;
b. Che la selezione tra i soggetti sindacali sia giustificata e risponda a criteri
ragionevoli.
- Dall’altro lato i criteri di selezione, ad eccezione dei sindacati dei dipendenti
delle AP, rimangono ancorati a indici generici di maggiore rappresentatività
privilegiando le grandi Confederazioni maggiore rappresentatività
presunta.
La crisi di questo modello di selezione dei soggetti sindacale è stata denunciata dalla
metà degli ani 80  infatti lo sviluppo della forza lavoro in gruppi di interesse diversi,
ha comportato la nascita di organizzazioni sindacali autonome, svincolate da legami
di solidarietà.
Questo ha garantito una maggiore idoneità del modello disegnato dall’art 19 dello
Statuto dei lavoratori a rispecchiare l’effettività della rappresentatività.
Nonostante la sentenza della Corte costituzionale n.30/1990 e i numerosi documenti
governativi e disegni di legge, il dibattito politico e legislativo sull’introduzione nel
settore privato di criteri certi e misurabili per la qualificazione di un sindacato come
maggiormente rappresentativo, anche nel settore privato, ha dato luogo ad una
disciplina legislativa della materia.
A tal fine molto rilievo hanno:
- Accordi interconfederali stipulati nel settore privato nel 2011,2013 e 2014;
- La pronuncia della Corte Costituzionale del 2013.

CAPITOLO 5
LA RAPPRESENTANZA DEI LAVORATORI SUI LUOGHI DI LAVORO
1. L’organizzazione sindacale sui luoghi di lavoro
I lavoratori si organizzano ai fini di autotutela dei propri interessi fuori dai luoghi di
lavoro ma anche all’interno.
La comparazione tra le diverse esperienze mostra che l rappresentanza dei lavoratori
nei luoghi di lavoro può essere:
- CANALE DOPPIO nella stessa azienda esistono due organismi di natura e
con funzioni distinte:

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 Uno elettivo di rappresentanza generale di tutti i lavoratori, 43


indipendentemente dall’iscrizione al sindacato, che ha funzione di
consultazione e di partecipazione;
 Uno associativo che riproduce all’interno dei luoghi di lavoro la
struttura di rappresentanza a base volontaria propria dei sindacati
esterni e che il potere negoziale.
- CANALE UNICO la struttura di rappresentazione è sindacale/associativa sia
all’interno che all’esterno dei luoghi di lavoro e cumula tutte le funzioni.
2. Le commissioni interne, le sezioni sindacali aziendali, i delegati e i Consigli di
fabbrica.
LE ORIGINI DELLE ORGANIZZAZIONI SINDACALI NEI LUOGHI DI LAVORO fin dai
primi anni del secolo si è sentita l’esigenza di un’adeguata organizzazione interna
all’azienda che ha portato alla creazione di un canale di rappresentanza diverso da
quello dei sindacati.
Mentre i sindacati presentano la struttura associativa, le organizzazioni sindacali nei
luoghi di lavoro, hanno spesso assunto la forma di una struttura elettiva di
rappresentanza di tutti i lavorato occupati nell’impresa, iscritti o meno ad una delle
associazioni sindacali esterne.
Inizialmente nel parlare di organizzazioni sindacali nei luoghi di lavoro, si parlava di
COMMISSIONI INTERNE che furono regolamentate per la prima volta nel 1906
attraverso un accordo sindacale tra:
- Federazione italiana di operai metallurgici;
- Fabbrica di automobili Itala;
NBle commissioni interne furono soppresse durante il regime fascista e
ripristinate subito dopo.
Dopo la liberazione, il loro funzionamento fu regolato da un accordo
interconfederale stipulato il 7/08/1947 che sottraesse a tali strutture ogni potere
contrattuale, riconoscendo solo funzioni di controllo sull’applicazione di alcune
discipline collettive.
Tale riduzione dei poteri delle CI dipese dalla modalità della loro composizione:
 Le CI erano elette a suffragio universale;
 La ripartizione dei seggi avveniva con il metodo proporzionale;
La CI quindi era una struttura di rappresentanza unitaria distinta dai sindacati.

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Con il passare del tempo, le CI anche se di supporto durante gli anni 70 al conflitto 44
industriale interno alle aziende, sono state sostituite dalle nuove forme di
rappresentanza costituite spontaneamente dai lavoratori durante le lotti sindacali
1968-1969.
Prima che questo avvenisse, furono compiuti diversi tentativi soprattutto dalla CISL
per costruire nei luoghi di lavoro sezioni sindacali aziendali (SAS).
Le SAS a differenza delle CI erano un’articolazione interna del sindacato esterno e
quindi presentavano:
- La stessa struttura associativa;
- Il fondamento volontario della rappresentanza dei sindacati esterni.
Nel corso degli anni 1986-1969 si verifica un radicale mutamento nella struttura
organizzativa se il movimento sindacale italiano a seguito della nascita e della rapida
affermazione di nuove strutture di rappresentanza dei lavoratori all’interno delle
imprese:
- Delegati;
- Consigli di fabbrica dei delegati;
IL DELEGATOrelativamente al delegato è necessario dire che:
 La struttura;
 Le procedure di funzionamento;
 Le funzioni
Furono frutto di il frutto di conflitti complessi.
Inoltre è necessario anche dire che il delegato era eletto direttamente e
rappresentava tutti i lavoratori appartenenti ad uno stesso gruppo omogeneo.
GRUPPO OMOGENEO gruppo individuato sulla sua coalizione nel processo
produttivo.
CONSIGLIO DI FABBRICA (o dei delegati) insieme di tutti i delegati di una certa
unità produttiva.
Nel 1972 le principali confederazioni, CGIL, CISL e UIL strinsero un patto federativo e
riconobbero questi organismi (delegati + consiglio) come la propria struttura di base
all’intero dei luoghi di lavoro attribuendoli poteri di contrattazione sui posti di
lavoro senza definire però i rapporti tra:
- Il consiglio di fabbrica con le funzioni dei singoli delegati
- Con i sindacati esterni.

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DIFFERENZA TRA CI E CONSIGLI i consigli alla pari delle CI erano struttura di 45


rappresentanza ma differivano dalle CI per un composizione più articolata che
consentiva uno stretto rapporto tra rappresentanti e rappresentati.
Questa forma rappresentanza elettiva ma anche associativa (riconosciuta dai
sindacati come struttura di base) non è riconducibile:
- Né al modello del doppio canale;
- Né al modello del canale unico.
È un compromesso tra i due in quanto:
- Del doppio canale condivide la duplicità dei criteri costitutivi di derivazione
diretta dai lavorati, iscritti e non, attraverso il meccanismo elettivo;
- Del canale unico mutua l’unicità della struttura di rappresentanza aziendale

3. le RSA (rappresentanze sindacali aziendali / rappresentanza sindacale


aziendale) dell’art 19 dello SL
Le forme di rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro si sono formate
nell’esperienze storica delle relazioni industriali, in assenza di regolamentazione
legislativa.
Il primo intervento in materia è stato realizzato nel 1970 con lo Statuto dei
lavoratoricon esso il legislatore non intende regolare la rappresentanza dei
lavoratori nel luoghi di lavoro ma sostiene la presenza in essi, purché si tratti di unità
produttive con più di 15 dipendenti, dell’organizzazione sindacale e della sua
attività, lasciando liberi i lavoratori e i sindacai di scegliere la forma organizzativa che
preferiscono.
Infatti, l’art19 dello SL si limita ad indentificare le rappresentanze sindacali aziendali
titolari dei diritti sindacali disciplinati dagli art. 20 ss. ma rinuncia a prescrivere una
forma organizzativa determinata.
Per comprendere tale rinuncia, è necessario dire che nel 1970 in alcune imprese
operavano ancora le CI mentre in altre stavano nascendo i delegati e i relativi
consigli.
Per tale ragione, in tale situazione, la scelta tra una o l’altra struttura di
rappresentanza avrebbe corso il rischio di entrare in conflitto con la realtà.

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NB l’assenza di regolamentazione, ha anche un significato sistematico: lo Statuto 46


dei lavoratori è una legge di sostegno all’azione sindacale e non di regolamentazione
della forma che deve assumere la rappresentanza dei lavoratori nei luoghi di lavoro.
I REQUISITI PER LA COSTRUZIONE DELL’ RSA  L’art19 si limita a precisare 2
requisiti:
- Che la sua costituzione avvenga ad iniziativa dei lavorati;
- Che operi nell’ambito delle associazioni sindacali che soddisfano i criteri di
rappresentatività indicati dalla norma.
Il ricorso al concetto di ambito sindacale indica la volontà del legislatore di rendere
necessario un collegamento tra RSA e sindacato la norma però non dice nulla sulla
natura o sulle modalità di questo collegamento.
La RSA quindi può essere:
 Un’articolazione organizzata del sindacato esterno;
 Può essere riconosciuta formalmente dai sindacati esterni come propria
struttura comun di base (come i consigli di fabbrica)
 può intrattenere altri tipi di rapporti con esse.
La scelta contenuta nell’art 19 di non regolare:
- Né la struttura della RSA,
- Né il tipo di collegamento con il sindacato esterno,
Ha conferito alla norma un’elasticità tale da consentire di identificare senza
difficoltà nelle RSA sia:
 Le forme di rappresentanza che all’intero del luogo di lavoro, erano dirette
emanazione del sindacato esterno;
 Sia le strutture elettive ed unitarie come i consigli di fabbrica che erano
costituite su iniziativa dei lavoratori e in forza del patto federativo del 1972
operavano nell’ambito della CISL, CGIL, UIL.
Inoltre, non è di ostacolo neanche la natura ordinaria della struttura di
rappresentanza infatti, l’art 29 dello SL consente che una medesima RSA faccia
capo ad una pluralità di sindacati esterni
Quindi le RSA dell’art 19 sono una fattispecie che il legislatore ha voluto lasciare
aperta al fine di applicare il precetto normativo (il godimento dei diritti sindacali del
titolo III), quale sia la forma organizzativa attribuita alla rappresentanza dei lavoratori
sui luoghi di lavoro.

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4. La crisi dei Consigli e le rappresentanze sindacali unitarie nel settore privato


I consigli di fabbrica sono entrati in crisi nel corso degli anni Ottanta a causa della
rottura, 1984, del patto federativo tra CGIL, CISL, UIL.
La conflittualità tra le organizzazioni generò:
 Divisioni interne e rilevanti difficoltà nella regolarità del rinnovo elettorale di
questi origami o
 la revoca del riconoscimento del Consiglio da parte di uno
 o più dei sindacati esterni e la costituzione di RSA separate ai sensi dell’art 19
dello statuto.
A queste si aggiunsero anche cause strutturali il superamento del taylorismo
spostò il sistema produttivo verso settori come i servizi in cui i Consigli non erano
stati creati per nulla.
Inoltre si svilupparono anche piccole imprese che non rientravano nell’ambito di
applicazione dell’art 19 SL.
Inoltre la robotizzazione e l’automazione aveva portato lo sviluppo di figure che a
stento si riconoscevano in queste forme di rappresentanza sindacale.
IL COMPROMESSO TRA SINDACATO- ORGANIZZAZION e il SINDACATO
MOVIMENTO la formula dei Consigli di fabbrica o dei delegati, conteneva in sé un
compromesso tra:
- l’idea del sindacato- organizzazione (rappresentativo degli iscritti) ha
sempre inclinato la CISL
- sindacato- movimento (rappresentativo di tutti i lavoratori) proprio della
tradizione della CGIL.
Quando i Consigli entrarono in crisi, la difficoltà nel trovare una soluzione che
componesse in forme nuove queste diverse istanze e garantisse la presenza di un
soggetto di rappresentanza unitaria nei luoghi di lavoro, rallento la riforma anche se
necessaria.
LE RSU dopo vari tentativi non riusciti, la mediazione è stata realizzata con le
Rappresentanze sindacali unitarie / rappresentanza sindacale unitaria (RSU),
previste dal Protocollo tra Governo e parti sociali del 23/07/1993 e poi regolate con
una serie di accordi con le associazioni imprenditoriali.

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Tra questi accordi ritroviamo l’Accordo interconfederale stipulato da CGIL, CISL, 48


UIL.
IL TU SULLA RAPPRESENTANZA la disciplina contenuta nell’accordo
interconfederale è stata poi modificata dal Protocollo di intesa del 31/0572013 e
dall’accordo interconfederale sottoscritto tra gli stessi soggetti il 10/01/2014 e
definito TU sulla rappresentanza.
Il TU sulla rappresentanza prevede che in ogni unità produttiva con più di 15
dipendenti, (art. 35 SL per le RSA), possa essere adottata una sol forma di
rappresentanza quindi o la RSA o la RSU.
Inoltre viene anche precisato che la RSA possono essere costituite solo nell’unità
produttive nelle quali non vi sia mi stata alcun forma di rappresentanza sindacale.
Mentre per le realtà produttive in cui le RSA sono già presenti, l’accordo prevede che
il passaggio alle RSU possa avvenire solo se
- Deciso dalle organizzazioni sindacali che rappresentino a livello nazionale la
maggioranza del 50%+1 dei lavoratori;
- Con il consenso unitario delle organizzazioni sindacali aderenti alle
Confederazioni firmatarie dell’accordo (CGIL, CISL, UIL).
L’INIZIATIVA PER LA COSTRUZIONE E IL RINNOVO DELLE RSU E LE ELEZIONI il TU
disciplina poi le modalità di costituzione e funzionamento delle RSU.
L’iniziativa per la loro costituzione può essere assunta congiuntamente o
disgiuntamente da:
 Associazioni sindacali firmatarie del TU;
 Da quelle firmatarie del contratto collettivo nazionale di lavoro applicato
nell’unità produttiva;
 Altre associazioni sindacali, con proprio statuto e atto costitutivo, con un
numero di firme raccolte non inferiore al 5% dei lavorati aventi diritto al voto
nelle aziende con più di 60 dipendenti.
NBin questi2 ultimi casi p richiesta l’adesione formale al TU da parte dei sindacati.
L’iniziativa per il rinnovo triennale delle RSU può essere assunta:
- Dai soggetti abilitati a costruirle;
- Dalle RSU di cui sta per scadere il mandato;
L’APERTURA ALL’ADESIONE DI ALTRI SINDACATI queste due condizioni
garantiscono la costruzione di una struttura di rappresentanza unitaria e aperta ai

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sindacati diversi da quelli affiliati alla Confederazioni inizialmente sottoscrittrici 49


(CGIL, CISL, UIL).
Rimangono esclusi i gruppi occasionali dei lavoratoria presentare le liste devono
essere associazioni sindacali formalmente costituite con un proprio statuto e atto
costitutivo.
Questo serve ad evitare che le elezioni per le RSU siano l’occasione per regolare
eventuali dissidi interni.
Infatti, il gruppo dissenziente di un sindacato, per formare una propria lista, deve
formalizzare la propria uscita dal sindacato attraverso la costituzione di una diversa
associazione sindacale e presentare un’adesione formale all’Accordo
interconfederale.
LA RINUNZIA A COSTITUIRE RSA / RINUNCIA A COSTITUIRE RSA Al fine di
garantire l’unicità del sistema di rappresentanza nelle realtà produttive in cui sono
costituite le RSU, le organizzazioni che partecipano alle elezioni, rinuncia o a
costituire le proprie RSA ai sensi dell’art 19 della legge n.300/1970.
Altre norme sono dirette poi a garantire la capacità delle RSU di rappresentare
adeguatamente i lavoratori delle unità produttive.
POTERI E FUNZIONI DELLE RSU  il TU prevede che i componenti delle RSU
subentrino ai dirigenti della RSA di tutti i sindacati che:
- hanno stipulato l’accordo;
- O che vi abbiano successivamente aderito nella titolarità dei diritti, permessi e
libertà sindacali del titolo III dello Statuto;
- Nella titolarità dei poteri e nell’esercizio delle funzioni attribuite alle
medesime RSA dalla legge e dai contratti collettivi tra cui quello di SOGGETTO
NEGOZIALE A LIVELLO AZIENDALE.

I RACCORDI SOGGETTIVI TRA LIVELLI CONTRATTUALI il Protocollo tra Governo e


parti sociali del luglio del 1993 e l’Accordo interconfederale sulle RSU dello stesso
anno avevano introdotto 2 strumenti di coordinamento e di raccordo tra
organizzazioni sindacali di categorie e RSU al fine di favorire la coerenza tra
contrattazione collettiva nazionale e aziendale.
PRIMO STRUMENTO Era insito nella composizione delle RSU.
Infatti, solo 2/3 dei seggi erano ripartiti in proporzione ai voti conseguiti tra tutte le
liste regolarmente presentate.

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L’altro terzo (c.d. terzo riservato) concorrevano solo le liste presentate dai sindacati 50
firmatari del contratto collettivo nazionale applicato nell’unità produttiva.
I sindacati, potevano scegliere i lavoratori ai quali destinare i seggi anche tra quelli
che non erano inclusi nella lista elettorale, qualora per i primi 2/3 i seggi non
venivano attribuiti a coloro che avevano ottenuto più voti di preferenza.
La regola del terzo riservato è stata ampiamente criticata in quanto nella sua
ripartizione dei seggi alterava il voto espresso dai lavoratori ed è stata alimentata
infatti il Protocollo del 2013 e TU del 2014 prevedono che le RSU siano elette con
voto proporzionale.
SECONDO STRUMENTO  Il secondo strumento di raccordo tra RSU e sindacati
previsto dal Protocollo del 1993 e dall’Accordo interconfederale del 1993 era
costituito dal riconoscimento del potere di contrattare a livello aziendale, sulle
materie e nei limiti definiti dal contratto nazionale, congiuntamente alle RSU e alle
strutture territoriali dei sindacati firmatari del CCNL.

Era la regola della colegittimazione (o contitolarità) negoziale tra RSU e sindacato


esterno che al giorno d’oggi non esiste più.
NBMentre le modifiche appena analizzate, garantiscono una maggiore autonomia
delle RSU dalle associazioni sindacali esterne, altre tendono a ricostruire un
collegamento più equilibrato tra RSU e sindacato esterno.
- Intese interconfederali che riprendono la disciplina contenuta nell’accordo del
1993 riservano ai sindacati firmatari del CCNL i diritti sindacali riconosciuti
dalla legge 300/1970 consentendo di operare nella aziende direttamente e
non solo attraverso gli eletti alla RSU nelle proprie liste;
- Il Protocollo del 2013 e il TU prevedono che il cambiamento di appartenenza
sindacale di una componente della RSU determini la sua decadenza alla carica
e la sua sostituzione con il primo dei non eletti nella lista a cui inizialmente
apparteneva.
Inoltre, anche l RSU sono un compromesso tra canale doppio e canale unico di
rappresentanza:
- Del canale doppio condividono la duplicità dei criteri costituitivi (quello
elettivo di rappresentanza generale e quello associativo per il collegamento
con le associazioni sindacali);

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- Del canale unico condividono l’unicità della struttura di rappresentanza 51


aziendale e il cumulo delle funzioni in capo ad essa.

6. La partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese


L’art. 46 della Costituzione riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare alla
gestione delle aziende nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge.
il dibattito sull’attuazione dell’art.46 si è ravvivato in concomitanza con
l’accentuazione della crisi economica degli ultimi ani, sino a produrre nuove
proposte di riforma della materia e una specifica delega legislativa, volta a conferire
organicità e sistematicità alle norme legge n.92 del 2012 (RIFORMA FORNERO).
Ai sensi dell’art.4 della legge n.92 il Governo è stato chiamato ad adottare decreti
legislativi finalizzati a favorire diverse forme di coinvolgimento dei lavoratori
nell’imprese da attivare attraverso la stipulazione dei contratti collettivi nazionali.
La delega quindi consentiva:
- Un intervento molto ampio;
- Istituzione di organismi congiunti dotati di competenze di controllo e di
partecipazione:
- Introduzione di sistemi di controllo sull’andamento e sulle scelte di gestione
aziendale;
La delega però non è stata adottata nei tempi previsti dalla legge.
la perdurata mancanza di una legge ordinaria che dia replica e diretta attuazione
alla orma costituzionale nulla toglie all’importanza della stessa nella ricostruzione
dello statuto costituzionale del lavoro.
LA PARTECIPZIONI DEI LAVORATORI AI PROCESSI DECISIONALI DI IMPRESA
l’attività d’impresa coinvolge certamente l’interesse dell’imprenditore ma anche
quello dei lavoratori.
Parliamo quindi di un fenomeno sociale in quanto punto di incrocio e potenziale
conflitto tra differenti interessi e non un mero affare dell’imprenditore.
L’art.46 della Cost. impone che l’ordinamento giuridico riconosca, per quanto
riguarda il lavoro, questa dialettica sociale concreta, attribuendo rilevanza
all’interesse dei lavoratori per le decisioni d’impresa e riconoscendo loro il diritto di
influire su di esse.
Non dice però nulla:

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- Intensità che questa influenza deve avere; 52


- Strumenti per esercitare il diritto questo può avvenire
 Creazione di organi di cogestione come accade in Germania;
 Attraverso la contrattazione collettiva parliamo della
procedimentalizzazioni dei poteri che obbligo l’imprenditore a
considerare gli interessi dei destinatari delle scelte organizzative che si
intende compiere.
Oltre a distinguere le partecipazioni in base alle materie oggetto di partecipazione in
- Partecipazione debole limitata alle questioni inerenti all’organizzazione del
lavoro;
Quindi il dissenso dei rappresentanti dei lavoratori non impedisce al management di
assumere la decisione.
- Partecipazione forte riguarda le strategie aziendali;
Quindi il dissenso dei rappresentanti dei lavoratori impedisce al management di
assumere la decisione.
Possiamo anche distinguere le partecipazioni in base agli strumenti attraverso cui la
partecipazione si realizza:
- Disgiuntiva si realizza attraverso l’attività negoziale dell’organizzazione
sindacale;
- Integrativa si realizza con l’inclusione dei rappresentanti dei lavoratori in
organi della società.
La lettura più congrua del principio della libertà sindacale è il silenzio della norma
costituzionale sugli strumenti per realizzare la partecipazione infatti il fine della
partecipazione dei lavoratori alle decisioni dell’impresa può essere realizzata
attraverso una pluralità di strumenti e la scelta di questi strumenti deve essere
affidata ai lavoratori.
Per sostenere il contrario non può essere invocato il rinvio alla legge contenuto
nell’art.46  con esso il Costituente non riserva alla fonte legislativa la disciplina
della materia escludendo gli altri strumenti normativi (come avviene nell’art. 39
comma 2 a proposito della registrazione dei sindacati) ma obbligo il legislatore
ordinario a intervenire.
L’intervento è segnato dall’introduzione dello statuto dei lavoratori che garantisce la
presenza sindacale anche sui luoghi di lavoro facendo si che gli interessi dei
lavoratori siano considerati nei processi decisionali dell’impresa.

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Quindi l’art.46 deve esser letto in sintonia con il pluralismo conflittuale che emerge 53
nelle altre norme costituzionali (art. 39 e 40):
- La partecipazione dei lavoratori all’organizzazione economica del paese (art.3
comma 2);
- La partecipazione dei lavoratori alle decisioni dell’impresa per cui lavorano che
può realizzarsi attraverso l’azione contrattuale del sindacato.
LA PARTECIPAZIONE MERAMENTE ECONOMICA  non sono ricondotte alla norma
costituzionale le tecniche manageriali che tendono ad incentivare i lavoratori a una
più intensa collaborazione alla realizzazione dei fini dell’impresa attraverso forme di
partecipazione economica che implicano una partecipazione al rischio dell’impresa e
alla sua gestione.
A questa categoria appartengono:
- Utili;
- I premi di risultato per obiettivi;
Alla categoria delle partecipazioni meramente economiche aggiungiamo anche i
sistemi di partizione azionaria che coinvolgono alti dirigenti specie mediante il
meccanismo delle stock options .
Tutti questi sistemi quindi devono essere esclusi dall’art. 46 Cost. in esso infatti
esistono 2 tipi di rapporti:
- Quello di lavoro;
- Quello societario;
Questi due tipi di rapporti sono distinti nella regolamentazione giuridica anche se il
rapporto societario ha origine da quello del lavoro, traendo causa l’assegnazione di
azioni da quest’ultimo (art.2349 c.c.)  i diritti di partecipazione alle decisioni
d’impresa che spettano al lavoratore azionista sono quelli che il diritto societario
attribuisce ad un qualunque azionista.
7. I comitati aziendali europei e i diritti di informazione e di consultazione nella
normativa dell’Unione
Il concetto che l’impresa non sia un fatto privato dell’imprenditore ma un fenomeno
sociale che coinvolge gli interessi di una pluralità di soggetti, è proprio anche
dell’ordinamento dell’UE.
La definizione di impresa e di gruppo di imprese a dimensione comunitaria è data
nell’art.2 della direttiva sulla base di 2 parametri:

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- Il numero complessivo di lavoratori occupati nei diversi Stati dell’UNIONE 54


(almeno 1000);
- Una presenza significativa in più di uno Stato membro (slmeno150);
art.3 da una definizione di gruppo di imprese basata sulla definizione di influenza
dominante che l’impresa controllante esercita sulle imprese controllate.
In queste imprese o gruppi di imprese deve essere costituito un comitato aziendale
europeo (CAE) attraverso un accordo in forma scritta tra la direzione una delegazione
speciale di negoziazioni in modo da garantire la rappresentanza dei lavoratori.
I componenti della delegazione possono essere eletti dai lavoratori o dai designati.
La costituzione della CAE non è obbligatoria le parti in via alternativa possono
prevedere nell’accordo una o più procedure per l’informazione e consultazione.
L’Italia ha dato attuazione alla direttiva n.94/45 con il d.lgs. 2 aprile del 2002 poi
abrogato e sostituito con il d.lgs del 22/06/2012 n.113 in attuazione della direttiva
n.2009/38.
Art.2 limita gli effetti della definizione di gruppo d’impresa ai fini dell’applicazione
della normativa.
Art.9 segue il modello delle RSU del settore privato e dispone che i componenti
italiani del CEA siano designati per
- 1/3 dalle organizzazioni sindacali che abbiano stipulato un contratto collettivo
nazionale di lavoro applicato nell’impresa e
- per 2/3 delle rappresentanze sindacali unitarie.

LA SOCIETÀ EUROPEA (direttiva del 2001/86/CEsocietà di capitali disciplinate


direttamente dal diritto comunitario destinate ad operare sulla dimensione europea
senza gli ostacoli dovuti alla disparità delle legislazioni nazionali.
Anche nelle società europee viene costituito un proprio organo di rappresentanza.
La direttiva n.2002/14/CE si applica a tutte le imprese e stabilimenti presenti nella
comunità.
IMPRESA  imprese pubbliche e private che perseguono o meno fini di lucro e sono
situate sul territori comunitario.
STABILIMENTI attività situata nel territorio dello Stato membro e l’attività è svolta
in modo stabile con l’ausilio di risorse umane e strumentali.

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MODALITÀ DI ESERCIZO DEL DIRITTO DI INFORMAIONE CONSULTAZIONE  è 55


affidato agli stati membri il compito di determinare le modalità di esercizio di questo
diritto, prescrivendo che l’informazione deve avere ad oggetto l’evoluzione della
situazione economica e occupazione, i cambiamenti dell’organizzazione del lavoro
Inoltre l’informazione deve essere data in modo da consentire ai rappresentanti dei
lavoratori di interloquire adeguatamente in sede di consultazione, con la direzione
aziendale.
Il nostro paese ha dato attuazione a questa direttiva con il d.lgs 6/02/2007
attribuendo la titolarità dei diritti d’informazione e consultazione delle RSU e
rinviando ai contratti collettivi la determinazione delle modalità di esercizio.
IL RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA
Una forma specializzata di rappresentanza dei lavoratori è quella del rappresentante
per la sicurezza creata dal d.lsg 19 settembre del 1994 n. 626 in applicazione della
direttiva dell’UE in materia di sicurezza e salute dei lavoratori sul luogo di lavoro e
oggi disciplinata dal d.lgs. 9 aprile del 2008.
FUNZIONI E MODALITA’ DI COSTITUZIONE una prima particolarità è che il decreto
non si applica solo ai lavoratori subordinati ma a tutte le persone che
indipendentemente dalla forma contrattuale usata, svolgono un’attività lavorativa
nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, anche senza
retribuzione ed anche a meri fini formativi.
Il rappresentante per la sicurezza, a differenza di altre forme di rappresentanza
svolge la sua azione non solo in favore dei lavoratori subordinati ma anche nei
confronti di tutti coloro che sono definiti “lavoratori”.
Il fine della rappresentanza per la sicurezza è quello di realizzare il massimo di
sicurezza possibile nei luoghi di lavoro e deve essere istituita a livello di territorio o
di comparto azienda, di sito produttivo.
Art.47 del d.lgs rende obbligatoria la formazione di questa rappresentanza in tutte
le aziende articolate in più unità produttive.
Il numero di dipendenti invece ha rilievo in relazione alle modalità della sua
formazione:
- Fino a 15 lavoratori il rappresentato è eletto direttamente dai lavoratori stessi
che possono anche scegliere di individuare un unico rappresentante per una
pluralità di aziende delle stesso territorio o dello stesso comparto produttivo.

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- Nelle aziende o nelle unità produttive con più di 15 dipendenti, il 56


rappresentante per la sicurezza va individuato nell’ambito delle rappresenta
sindacali operanti in azienda.
I rappresentanti possono essere eletti dai lavoratori o designati.
In mancanza si rappresentanza SINDACALE, il rappresentante per la sicurezza è eletto
dai lavoratori al proprio interno.
La norma inoltre determina anche n numero minimo di rappresentanti in relazione al
numero di lavoratori, precisando che tale numero può essere incrementato dalla
contrattazione collettiva.
Il rappresentante per la sicurezza territoriale esercita le competenze del
rappresentante aziendale quando lo stesso non è stato eletto o designato le
modalità della sua elezione sono determinate sulla base di accordi collettivi nazionali
o in mancanza, con un decreto del Ministro del Lavoro.
RAPPRESENTANTE PER LA SICUREZZA DI SITO PRODUTTIVO  oggi è frequente che
una pluralità di imprese, ognuna con i propri lavoratori, operino nello stesso luogo
ma tale coesistenza, comportano un incremento dei problemi di sicurezza.
Ex. porti o cantieri edili.
In questi casi, il decreto prevede che i rappresentanti aziendali devono individuare
uno di loro per coordinare le proprie attività.
Il rappresentante di sito svolge anche compiti di rappresentanza aziendale per le
impese operanti nel sito e prive di un proprio rappresentante. (Art.49).
Questi rappresentanti devono ricevere un’adeguata formazione:
- Sulla normativa;
- Sui rischi;
Inoltre hanno diritto:
- A permessi retribuiti;
- Ai mezzi necessari per l’esercizio delle loro funzioni;
- Ad accedere liberamente ai luoghi di lavoro;
- Diritto ad ottenere una copi del documento di valutazione dei rischi;

l modalità per l’esercizio di queste funzioni e prerogative sono determinata dalla


contrattazione collettiva nazionale.

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Inoltre, è necessario dire che in nessun caso rappresentati possono subire 57


pregiudizio per l’attività svolta nell’esercizio delle loro funzioni e godono delle stesse
tutele dei rappresentanti sindacali aziendali.

Capitolo settimo
IL CONTRATTO COLLETTIVO
A) Il contratto collettivo
1. La determinazione delle condizioni di lavoro
Il movimento sindacale, sin dalle sue origini, ha avuto tra i suoi fini primari quello di
ottenere minimi di tutela economica e normativa delle condizioni di vita e di lavoro
dei lavoratori.
Queste finalità furono perseguite dalle associazioni sindacali sia mediante la
contrattazione con la controparte imprenditoriale, sia a mezzo di un'azione politica
tendente a condizionare gli ordinamenti legislativi.
• In origine, una funzione protettiva fu assunta anche da forme di determinazione
unilaterale delle condizioni di lavoro: cioè, rifiuto da parte di un gruppo di lavoratori
di accettare lavoro, se non a determinate condizioni;
• consolidata è, invece, la determinazione delle condizioni di lavoro mediante
un'attività di contrattazione con il singolo datore di lavoro o con le associazioni
imprenditoriali.( Venivano concordati essenzialmente i livelli retributivi--> c.d.
concordato di tariffa, che costituiscono le relazioni industriali moderne.)
Nell'arco di tale complessa evoluzione, la contrattazione collettiva ha acquisito
progressivamente nuovi contenuti e nuove funzioni, anche se la parte dominante del
sistema continua ad essere costituita dal c.d. contratto collettivo di diritto comune.

2.Le prime riflessioni giuridiche sul contratto collettivo / EFFICACIA DEL


CONTRATTO COLLETTIVO / CONTRATTO COLLETTIVO SOGGETTIVO / CONTRATTO
COLLETTIVO OGGETTIVO

Alle origini della contrattazione collettiva nel sistema anglosassone , il problema


dell’attuazione delle norme poste attraverso questo metodo era affidato non al
valore giuridico del contratto, ma alla solidità del sistema di reciproci rapporti tra
sindacati e datori di lavoro.

• Sul piano soggettivo il problema dell'efficacia del contratto collettivo concerneva


l'individuazione dei soggetti vincolati e veniva risolto nel senso che essi coincidevano
con gli aderenti alle associazioni sindacali firmatarie;

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• Sotto il piano oggettivo , il problema consisteva nell’individuare i meccanismi 58


attraverso i quali il contratto collettivo avrebbe vincolato i contratti individuali di
lavoro stipulati tra l’imprenditore e i singoli lavoratori → l'obiettivo era impedire
l'accettazione, da parte dei singoli lavoratori, di condizioni di lavoro peggiorative
rispetto a quelle poste collettivamente.
Questo problema, in Germania e in Francia trovò un’esplicita definizione legislativa.
In Italia, si pervenne a una soluzione legislativa solo nel 1926 con la legge che pose le
fondamenta del sistema corporativo

La dottrina e la giurisprudenza precorporativa , dovettero invece affrontare queste


complesse questioni, senza un dato normativo di riferimento: si delinearono così una
pluralità di teorie e soluzioni fra loro contrastanti

Il punto più alto della dottrina precorporativa fu raggiunto da Giuseppe Messina, che
in Italia fu il primo a porre il problema della ricostruzione teorica del contratto
collettivo e importò la concezione del Lotmar (giurista svizzero di cultura tedesca,
uno dei fondatori del diritto del lavoro). ↓
Questi affermava l’inderogabilità del contratto collettivo, spiegando il rapporto tra
aderente e soggetto collettivo stipulante in termini di rappresentanza, ma si
esponeva alla critica di chi rilevava che, se le associazioni sindacali e datoriali
agissero in nome dei singoli datori e lavoratori, in realtà ciascuno di questi nel
stipulare il singolo contratto di lavoro- potrebbe modificare quanto pattuito tra le
parti collettive.
Messina, consapevole di questo limite, ritenne che in base al diritto comune, non si
potesse affermare la prevalenza automatica delle clausole del contratto collettivo su
quelle difformi del contratto individuale. Ma era tuttavia possibile assicurare al
contratto collettivo una sanzione di natura obbligatoria (perché la sua deroga
costitutiva una violazione di un obbligo al quale sarebbe stato possibile reagire con
un’azione risarcitoria.

3.Il contratto collettivo corporativo / contratto corporativo / contratti corporativi

Durante il regime corporativo (periodo fascista), era previsto che per ciascuna
categoria di i datori di lavoro, lavoratori, professionisti, artisti potesse essere
riconosciuta legalmente una sola associazione. A seguito del riconoscimento, a
mezzo decreto, l’associazione diveniva persona giuridica di diritto
pubblico,sottoposta a penetranti controlli da parte dello Stato.

Il sindacato era dotato del potere di rappresentanza legale di tutti i soggetti (iscritti e
non iscritti) appartenenti alla categoria per cui era costituito.

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Di conseguenza, il contratto collettivo dal medesimo stipulato era vincolante per 59


tutti gli
appartenenti alla categoria, ed era inderogabile in peius (in senso peggiorativo) da
parte del contratto individuale

Se le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro non raggiungevano l'accordo


contrattuale, ciascuna di esse poteva far ricorso alla Magistratura del lavoro, la cui
sentenza faceva le veci del mancato contratto collettivo.
Con l'emanazione del cc del 1942, il contratto collettivo venne inserito nella
categoria delle norme corporative e inquadrato tra le fonti del diritto. In altre
parole, una parte del potere normativo originario spettante allo Stato era attribuito
ai sindacati contrapposti, che potevano esercitarlo secondo le regole e di quanto
disposto dalle fonti gerarchicamente superiori.

Sotto il profilo strutturale, il sistema di contrattazione collettiva del periodo


corporativo fu caratterizzato dall’accentramento a livello di categoria→ I contratti
collettivi corporativi erano, infatti, quasi esclusivamente di livello nazionale, ciascuno
per uno specifico settore produttivo.

Nel 1944, con la soppressione dell'ordinamento corporativo, venne meno anche il


contratto collettivo corporativo; ma rimasero in vigore tutti i contratti stipulati dalle
organizzazioni disciolte, perchè non si vollero privare ad un tratto i lavoratori della
tutela costituita dalle norme ivi contenute.

4. Il contratto collettivo e l'art 39 Cost.

Venuto meno l'ordinamento corporativo e ripristinata la libertà sindacale, di cui la


libertà di contrattazione collettiva è corollario, il contratto collettivo ritornò nell'area
dell'autonomia privata in quanto le organizzazioni sindacali stipulanti nuovi contratti
erano ritornate sotto il regime privatistico. Di conseguenza si riproposero i problemi
che erano stati propri dell'esperienza precorporativa.

L'assemblea costituente affrontò il problema dell'efficacia dei contratti collettivi in


un'importante Costituzione.

In particolare, ai sensi del comma 4, i sindacati registrati nel rispetto della procedura
prevista dai commi 2 e 3 , riuniti in rappresentanze unitarie (ciascuno con un peso
proporzionale agli iscritti),
, hanno il potere di stipulare contratti collettivi con efficacia generale per tutti i
lavoratori appartenenti alle categorie cui il contratto stesso si riferisca.

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In tal modo, i costituenti ritenevano di aver risolto il problema di rendere da un lato 60


compatibile il principio di libertà sindacale e la connessa possibilità di costituire una
pluralità di sindacati per la medesima categoria e dall’altro l’efficacia erga omnes del
contratto collettivo.

La mancata attuazione della seconda parte dell'articolo 39, non impedì che i
sindacati liberi stipulassero contratti collettivi e sviluppassero un complesso sistema
di contrattazione.

5.La legge n.741/1959 (legge Vigorelli) e la legge n.1027/1960(legge di proroga)

L'esigenza di estendere l'applicazione dei contratti collettivi oltre lo stretto ambito


degli iscritti alle associazioni stipulanti, attribuendo loro un'efficacia generale, ha
trovato nelle legislazioni straniere varie soluzioni.
Una possibile soluzione praticata ad es. in Francia e in Germania, è quella di un
intervento della pubblica autorità, che generalizzi gli effetti di un contratto collettivo
già stipulato, originariamente efficace solo nei confronti degli iscritti alle
associazioni stipulanti.

Questa soluzione non fu possibile in Italia, perché l’art. 39 Cost. attribuisce efficacia
erga omnes al contratto collettivo stipulato dai soggetti sindacali, escludendo un
intervento etronomo del’autorità pubblica.

Il legislatore italiano, nel 1959, al quale escogitò una soluzione: una legge delega –
la legge 14 luglio 1959 n°741(Legge Vigorelli) → che attribuì al governo di emanare
entro 1 anno dall’entrata in vigore della legge stessa, decreti legislativi aventi come
contenuto la determinazione di trattamenti minimi di lavoro per ogni categoria.

Nello stesso tempo, però, il governo fu vincolato, nell'emanazione di tali decreti, ad


uniformarsi alle clausole dei contratti collettivi esistenti. Dunque, il governo non
dichiarava l'efficacia erga omnes dei contratti collettivi, ma dettava direttamente una
disciplina sui minimi di trattamento economico e normativo. Tuttavia, per
raggiungere tale obiettivo, era vincolato ai contenuti dei contratti collettivi.

A seguito dell'entrata in vigore di questa legge furono emanati circa 1000 decreti.
(numero elevato derivò dal fatto che essa prevedeva la recezione non solo dei
contratti di categoria applicabili a tutto il territorio nazionale, ma anche dei contratti
provinciali muniti di determinate caratteristiche).
Nel reperimento di questa cospicua massa di contratti, ci si rese conto del carattere
vario, complesso e capillare assunto dalla contrattazione negli anni seguenti al
ripristino della libertà sindacale. E lo stesso testo dei contratti, ricco di ambiguità,

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lacune, rinvii, apparve poco corrispondente ai criteri della buona tecnica 61


legislativa: la contrattazione collettiva appariva alquanto diversa dalla legislazione.

La delega conferita nel Luglio 1959, alla sua scadenza venne prorogata di 15 mesi ed
estesa ai contratti collettivi stipulati entro i 10 mesi successivi all'entrata in vigore
della legge prorogata (1/10/1960).
In tal modo, una disciplina nata sotto l'insegna dell'eccezionalità e della transitorietà
manifestava la tendenza attraverso periodici rinnovi, a diventare permanente,
sovrapponendosi di fatto al procedimento previsto dalla seconda parte dell'art. 39
Cost.

6.La sentenza della corte costituzionale n.106/1962 e alcuni principi costituzionali


sul contratto collettivo

Con la sentenza n. 106/1962, la corte costituzionale respinse le eccezioni di


incostituzionalità proposte contro la legge Vigorelli , ma accolse la parte dell'art 1
della legge di proroga del 1960 in cui estendeva la delega, consentendo di recepire
anche i contratti stipulati dopo l'entrata in vigore della legge n.741/1959.
Insomma, la Corte riconobbe che quest'ultima aveva in effetti conferito efficacia
generale ai contratti collettivi con forme e procedimento diversi da quelli previsti
nell'articolo 39 Cost. ma ne affermò ugualmente la legittimità perché la sua
disciplina era “transitoria, provvisoria ed eccezionale”.
Al contrario, la Corte dichiarò illegittima l’estensione della delega ai successivi
contratti.
Da tale sentenza, derivano alcuni importanti principi che la Corte ha fissato:
① in primo luogo, essa ha affermato che l'art. 39 Cost. non pone una riserva in
favore della contrattazione collettiva per la regolazione dei rapporti di lavoro.
② In secondo luogo, con specifico riferimento al problema dell'estensione
dell'efficacia del contratto collettivo, la Corte ha rilevato che l'art. 39 Cost. conferisce
automaticamente efficacia erga omnes ai contratti collettivi soltanto quando li stessi
siano stipulati dai soggetti forniti dei requisiti ivi specificati e in base alla procedura
prevista.

Di conseguenza, sarebbe palesemente illegittima ogni legge che cercasse di


conseguire < il risultato di estensione a tutti gli appartenenti alla categoria al quale si
riferisce,(che è una caratteristica propria della natura del contratto collettivo), in
maniera diversa da quella stabilita dal precetto costituzionale.>
In definitiva, la mancata attuazione dei commi da 2 a 4 (art. 39) ha fortemente
condizionato il dibattito successivo e limitato gli spazi d’intervento del legislatore
ordinario impedendogli di aggirare il limite costituito dalla previsione costituzionale.

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E ciò spiega la ragione per cui il legislatore, al fine di assicurare la funzione di 62


regolazione del mercato del lavoro tipica del contratto collettivo, ha
successivamente elaborato tecniche diverse, volte non ad imporre,
ma a favorire la sua applicazione anche da parte di datori di lavoro non iscritti alle
associazioni stipulanti.

Peraltro, nel corso del tempo, la riflessione sull’efficacia soggettiva del contratto
collettivo, si è arricchita di nuovi elementi, in connessione,
* da un lato, con il rinvio di competenze sempre più articolate e rilevanti da parte
della legge al contratto collettivo;
* dall’altro con lo sviluppo di una contrattazione aziendale e territoriale- che- al fine
di affrontare situazioni di crisi/assicurare maggiore flessibilità nella gestione della
forza lavoro- non attribuisce benefici ai lavoratori, ma distribuisce tra loro sacrifici,
talvolta anche in deroga peggiorativa rispetto agli standard stabiliti dalla legge o da
altri contratti collettivi.

Va sottolineato che un problema notevole, emerso all’attuazione della delega


prevista dalla legge Vigorelli, fu quello di determinazione dell’ambito di applicazione
dei decreti:
infatti, l’art 1 della legge individuava il fine di <assicurare minimi inderogabili nei
confronti di tutti gli appartenenti a una medesima categoria>, senza però precisare
che cosa dovesse intendersi con quest’ultimo termine.

→ Alcuni ritennero che i decreti delegati dovessero applicarsi a tutti i lavoratori


svolgenti la stessa attività nell’ambito di un settore dell’economia.
Il problema invece fu risolto da un’altra Sentenza della Corte Cost. (s. 1963 n. 70),
in coerenza con la teoria del fondamento volontario della categoria, con un rinvio
all’interpretazione del contratto recepito:
NON esistendo un concetto univoco di categoria, è il contratto stesso che definisce il
proprio ambito di applicazione (se ad es. debba essere applicato alle sole imprese
industriali o anche a quelle artigiane appartenenti al settore produttivo indicato dal
contratto stesso)

B) IL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO COMUNE

1.Rilevanza e natura giuridica

In seguito alla caduta dell'ordinamento corporativo e al conseguente ripristino della


libertà sindacale, le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro hanno perso i
connotati pubblicisti e sono ritornate nell'area del diritto privato.
Di conseguenza, anche i contratti collettivi da esse stipulati – data la mancata
attuazione dell'art. 39 Cost. - non hanno potuto che essere qualificati come

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espressione del potere di autoregolamentazione dei soggetti di diritto privato. 63


(anche l’autonomia collettiva ha riassunto natura di autonomia privata).

Questo tipo di contratto collettivo, definito dalla dottrina ‘di diritto comune’, e
individuato dalla giurisprudenza con il termine ‘post-corporativo’, caratterizza in
modo incontrastato l’esperienza giuridico - sindacale italiana. Esso non esaurisce la
tipologia del contratto collettivo, perché l’ordinamento ne prevede anche altri tipi di
natura e caratteristiche diverse.

MA il contratto collettivo previsto dall’art 39 è rimasto un’ipotesi inattuata e i


contratti collettivi corporativi hanno ormai un ambito di applicazione limitatissimo;
Inoltre, i decreti delegati emanati in attuazione della L.741/1959 sono divenuti, col
tempo, obsoleti.

Attualmente dunque, a parte il settore delle AP, è quasi esclusivamente il contratto


collettivo di DIRITTO COMUNE a regolare i rapporti individuali di lavoro e le
relazioni sindacali.
La natura giuridica ‘privatistica’ di questo contratto è pacifica in giurisprudenza ed è
sostenuta dalla maggior parte degli studiosi.
L’inquadramento dogmatico tra i contratti, implica che l’unica regolamentazione del
contratto collettivo rinvenibile nell’ordinamento è quella dettata dal codice civile per
i contrati in generale.

Il contratto collettivo di diritto comune è dunque espressione di autonomia privata e


non può, come invece, avveniva per i contratti corporativi, né avere natura
pubblicistica, né tanto meno essere preso in considerazione, come FONTE del diritto
OBIETTIVO dell'ordinamento della Stato. → Queste fonti, sono espressione di un
potere normativo che si impone eteronamamente ai destinatari delle norme, invece
i CONTRATTI COLLETTIVI di diritto comune, realizzano la composizione di interessi in
conflitto attraverso l'accordo delle parti, utilizzando l'autonomia che l'ordinamento
riconosce ai soggetti privati.

Il dibattito sul contratto collettivo come fonte:


invero, la dottrina accosta il contratto collettivo alle fonti, soprattutto in virtù di una
considerazione funzionale→ i contratti collettivi nazionali pongono norme generali e
astratte, dirette a regolare una serie indeterminata di casi concreti, così come le
leggi e i regolamenti.

Questo aspetto funzionale è fondato, ma non può prevalere su quello strutturale→ il


contratto collettivo trova fondamento dal potere dei soggetti privati di regolare
autonomamente i propri rapporti (e non dal potere eteronomo di soggetti pubblici
posti in posizione di autorità).

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La RISPOSTA alla domanda se il contratto collettivo è fonte di diritto, dipende dalla
nozione che si adotta . Esso non lo è nel senso proprio dell’art. 1 prel. c.c. ;
ma lo stesso legislatore qualifica tale contratto molto spesso come fonte di diritto:
è il caso del D.lgs. 40/2006 che ha introdotto, tra i motivi di ricorso per cassazione
previsti dall’art. 360 c.p.c, oltre alla violazione o falsa applicazione delle norme di
diritto, anche la violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi nazionali di
lavoro.

Potrebbe dunque affermarsi che il legislatore abbia voluto assimilare il contratto


collettivo nazionale alla legge, appunto sotto il profilo della natura di fonte di diritto
obiettivo. In realtà, la novità in questione riguarda un contenuto essenzialmente
pratico →cioè i problemi interpretativi posti dalle norme dei contratti collettivi
nazionali, possono dar luogo a contenziosi di massa e diverse soluzioni adottate dai
diversi giudici; quindi per risolvere
questo problema, il legislatore ha ritenuto opportuno l'intervento della Cassazione,
al fine di assicurare unità d’interpretazione tra i diversi giudici.

Invero, l’esigenza di assicurare un’omogeneità di indirizzi interpretativi, a fini di


certezza del diritto, deriva dal carattere astratto e generale della norma da applicare
e dalla sua applicabilità ad una serie indeterminata di casi concreti, e non dalla sua
natura eteronoma ed autonoma.

2.La funzione normativa

All'interno della categoria giuridica dei contratti, il contratto collettivo si distingue, in


relazione alla sua funzione, per un incontrovertibile tipicità sociale, che, in quanto
meritevole di tutela lo rende giuridicamente rilevante.
Alle origini, il suo contenuto era costituito solo da clausole sui minimi di
trattamento economico e normativo da applicare nei contratti individuali di lavoro
in corso o da stipularsi. E ancora oggi queste, sono numericamente dominanti.

→Tutte le clausole aventi tale contenuto sono riconducibili a quella che sin dai primi
studi del contratto collettivo è stata definita c.d. funzione normativa: sotto questo
profilo, Il contratto collettivo si colloca all'interno della categoria del ''contratto
normativo'', di quel contratto cioè che ,invece i porre in essere direttamente uno
scambio o altro atto economico, determina i contenuti di una futura produzione
contrattuale. Nel contratto normativo, insomma le parti, si accordano circa le
condizioni alle quali si atterranno nell’attività contrattuale che svolgeranno.

• Un elemento di peculiarità è costituito dal fatto che almeno una delle parti
stipulanti è necessariamente un soggetto collettivo: se dal lato degli imprenditori, il

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contratto può anche essere stipulato da un solo imprenditore (es. contratti 65


aziendali); dal lato dei lavoratori il soggetto stipulante è sempre una coalizione, di
solito un'associazione sindacale;
→ e sono sempre diversi il soggetto (l’associazione) che stipula il contratto collettivo,
e quelli che stipulano i contratti individuali di lavoro (i singoli lavoratori).

• sotto il profilo oggettivo e del contenuto,il dato caratterizzante è che il contratto


collettivo predetermina le clausole dei contratti individuali di lavoro futuri e in
corso al momento della sua stipulazione.

Una parte della dottrina inquadra il contratto collettivo nella categoria del contratto
tipo, perché esso non predetermina gli elementi a cui dovranno attenersi i futuri
contratti in forma generica, ma li detta i nella veste stessa che dovranno assumere
nel rapporto cui si riferisce, predisponendo una serie di clausole ordinatamente
raccolte in uno schema.

Deve ricordarsi però che il contratto tipo e il contratto normativo sono differenziati
sotto il profilo della diversa vincolatività della predeterminazione di contenuti che
entrambi pongono in essere:

• Nel contratto tipo→ la predeterminazione proviene da una delle parti e non è


vincolante poiché costituisce solo uno schema contrattuale che si perfeziona in
contratto soltanto al momento della stipulazione ed al quale le parti possono
derogare.

• Il contratto normativo → al contrario, realizza un vincolo contrattuale tra le parti


e comporta tra le stesse un rapporto obbligatorio, il cui contenuto consiste
nell'obbligo di attenersi, nell'attività contrattuale, a quanto concordato.

3.L'EFFICACIA OGGETTIVA del contratto collettivo: l'inderogabilità in peius

La parte normativa del contratto collettivo è volta a stabilire minimi di trattamento


economico e normativo per i singoli contratti di lavoro.
Il problema giuridico centrale posto da questa parte del contratto collettivo è quello
della sua efficacia
* sia sotto il profilo SOGGETTIVO → (individuazione dell'ambito di applicazione),
* sia sotto il profilo OGGETTIVO → (rapporto tra contratto collettivo e contratto
individuale).

EFFICACIA OGGETTIVA:
il rapporto tra l'autonomia collettiva e quella individuale, nel ns. ordinamento, è

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regolato dal meccanismo dell'inderogabilità in peius di natura reale→ il 66


CONTRATTO INDIVIDUALE che regola il singolo rapporto di lavoro, NON può
prevedere trattamenti economici e normativi peggiori per il lavoratore rispetto a
quelli stabiliti dal contratto collettivo applicabile a quel rapporto di lavoro.
Qualora ciò si verifichi, la conseguenza non è una mera obbligazione risarcitoria
(come nel periodo corporativo), ma bensì l’automatica sostituzione delle clausole di
contenuto peggiorativo con quelle più favorevoli per il lavoratore previste dal
contratto collettivo--> cd natura REALE (e non meramente obbligatoria)
dell’inderogabilità.

Il contratto collettivo corporativo, individuato tra le fonti del diritto art 1 prel.),
fondava esplicitamente la sua inderogabilità nell’art. 2077 c.c. e precedentemente
nell’art. 54 r.d.l 1926.

Per il contratto collettivo di diritto comune, al contrario, nell’assenza di un’esplicita


previsione legislativa, il principio di inderogabilità ha costituito per anni tema di
acceso dibattito.
La dottrina può essere distinta in due orientamenti di fondo:
* uno tendente a risolvere il problema con soluzioni interne al sistema di principi del
diritto civile e * l'altro a cercare soluzioni eteronome, fondate su dati normativi
estranei ai principi civilistici classici.

① All'interno del primo orientamento ha rilievo l'elaborazione di F. Santoro


Passarelli , non solo per la soluzione proposta, ma più che altro per la sistemazione
dei concetti di autonomia privata collettiva e di interesse collettivo che ne
costituiscono il presupposto.

Secondo questo autore, il contratto collettivo è espressione di un ''fenomeno di


autoregolamentazione di privati interessi fra gruppi contrapposti'', che può essere
sintetizzato nella formula autonomia collettiva.
→ Questa particolare forma di autonomia privata ha natura collettiva perché i
soggetti che la esprimono (associazioni sindacali dei lavoratori o imprenditori), sono
portatori dell'interesse di una pluralità di persone(gli iscritti) ad un bene idoneo a
soddisfare non già il bisogno individuale di una o di alcune di quelle persone, ma il
bisogno comune di tutte(interesse collettivo).

Pur essendo entrambi interessi privati, l'interesse collettivo prevale sull'interesse


individuale, e, di conseguenza, il contratto collettivo prevale sul contratto
individuale.

In mancanza di una norma specifica, Passarelli riteneva che questo rapporto di


prevalenza trovi espressione sul piano del diritto generale dei contratti, negli art.

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1723 co. 2 e 1726 c.c.→ che sanciscono l’irrevocabilità del mandato conferito non 67
solo nell’interesse del mandante, o conferito da più persone per un interesse
comune- in quanto in entrambe le norme l’interesse collettivo sottrae il mandato
all’influenza della mutevole volontà o delle vicende personali del mandante o di uno
dei mandanti.

In tal modo, all’interno dei principi generali del diritto civile, troverebbe fondamento
l’inderogabilità del contratto collettivo privatistico, perché il singolo datore e il
singolo lavoratore, come non possono utilmente revocare il mandato prima della sua
esecuzione fino a che non escano dalle associazioni nei modi convenuti, così, dopo
che i contratto collettivo è stato concluso in esecuzione del mandato, non
potrebbero sottrarsi alla sua osservanza o derogare ad esso, neppure
contestualmente →non potrebbero cioè anteporre il loro interesse individuale,
dopo averlo subordinato rispettivamente a quello degli altri datori e lavoratori per
una migliore tutela.
* Altri autori, pur sempre ricollegandosi a questa prospettiva, hanno ritenuto che il
meccanismo di prevalenza del contratto collettivo su quello individuale, debba
invece essere individuato nell’atto di adesione del singolo al sindacato, che
implicherebbe necessariamente il suo assoggettamento al potere dell’associazione di
dettare regole nella sua sfera d’interessi.

Entrambe le spiegazioni, non hanno permesso di dare un fondamento


all’inderogabilità in pejus→ non hanno permesso di motivare il carattere ‘reale’, cioè
l’obbligo del giudice di applicare la clausola collettiva e non la clausola individuale
peggiorativa.

② Questo ha indotto altri autori a cercare un fondamento normativo eteronomo


rispetto alla disciplina del contratto:

• Insoddisfacente appare il richiamo all’art. 39 della Cost., in quanto implicherebbe


una supremazia gerarchica dell’autonomia collettiva su quella individuale, cui un
generico rinvio costituzionale non è in grado di dare fondamento. (ancora una volta
senza nulla dire sull’efficacia reale o meramente obbligatoria di tali atti).

• è risultato invece decisivo, il ricorso operato da alcuni autori e soprattutto dalla


giurisprudenza all’ art. 2077 c.c.:
questa previsione intitolata ‘ efficacia del contratto collettivo sul contratto
individuale’, e dettata per disciplinare il contratto collettivo corporativo, sancisce
l’inderogabilità reale di quest’ultimo.

Ai sensi del primo comma infatti, i contratti individuali di lavoro devono


uniformarsi alle disposizioni del contratto collettivo;

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e sulla base del secondo comma poi, le clausole individuali difformi (preesistenti o 68
successive) sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che
contengano speciali condizioni più favorevoli al prestatore di lavoro.

→Ma anche il ricorso all’art. 2077 non è stato indenne da rilevanti critiche: si è
infatti obiettato che tale norma riguardando i contratti collettivi corporativi, sarebbe
rimasta in vigore solo in funzione di tali contratti.
La radicale diversità di natura giuridica dei contratti corporativi (stipulati da
associazioni di diritto pubblico e inseriti tra le fonti del diritto), rispetto ai contratti
di diritto comune, impedirebbe l’applicabilità della norma a questi ultimi.

Questo orientamento giurisprudenziale fondato sull’art. 2077 c.c. si presentava


comunque già dalla fine degli anni ’60 come una costante interprativa così
consolidata, che si dovette constatare un fenomeno d’interpretazione tra
giurisprudenza e autonomia privata, per cui la prima aveva finito di conformare gli
effetti della seconda (autonomia privata), creando una vera e propria
CONSUETUDINE.

Questa giurisprudenza ha costituito per l’interprete l’unico punto fermo, sino al


momento in cui il problema dell’inderogabilità in pejus del contratto collettivo, ha
trovato una più precisa definizione legislativa.

Ciò è avvenuto con la formulazione del nuovo testo dell’art. 2113 c.c. in materia di
rinunzie e transazioni, introdotto dall’art 6 della legge 11 agosto 1973 n. 533
(Riforma del processo del lavoro), secondo il quale < le rinunzie e le transazioni, che
hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni
inderogabili della legge e dei contratti e accordi collettivi, concernenti i rapporti di
cui all’art. 409 c.p.c , non sono valide >.
Ciò significa che le clausole del contratto collettivo concorrono a determinare la
disciplina dei rapporti individuali di lavoro, indipendentemente dalla volontà dei
contraenti, analogamente alle norme interpretative di legge→ cioè con l’effetto
impropriamente designato di ‘sostituzione automatica’.
La nuova previsione avrebbe fornito una conferma all’interpretazione
giurisprudenziale, circa l’applicabilità dell’art. 2077 c..c anche ai contratti collettivi di
diritto comune.

4.Segue: la derogabilità in melius

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L'inderogabilità del contratto collettivo concerne solo i trattamenti peggiorativi per i 69


lavoratori: è invece, possibile che il contratto individuale di lavoro si discosti dal
contratto collettivo derogandolo in melius ovvero vi è la possibilità che le parti,
all'interno del proprio accordo, stabiliscano clausole a maggior favore per il
lavoratore rispetto a quelle del contratto collettivo.

Questo assetto del rapporto tra autonomia collettiva e individuale, è facilmente


comprensibile alla luce delle considerazioni svolte sulla funzione di garanzia di
minimi economici e normativi, assolti sin dalle origini dal contratto collettivo.

Tale principio, come si è visto è esplicitato sia dall'art 2077 c.c. al secondo comma ,
ma è perfettamente compatibile con la tesi risolutiva cui fa perno sull'art 2113 c.c.
Di difficile soluzione, è invece, il problema della comparazione dei trattamenti
derivanti dalle due diverse fonti. Non sempre infatti è agevole stabilire se il
trattamento previsto dal contratto individuale sia più favorevole per i lavoratori,
rispetto al trattamento previsto dal contratto collettivo.

La questione è di semplice soluzione quando varia un solo elemento (ad es. a parità
di tutte le altre condizioni, varia solo la retribuzione o la durata delle ferie).
A volte però possono variare due o più elementi e in senso convergente (ad es. se il
contratto individuale prevede una retribuzione maggiore e un più breve periodo di
ferie).

Sul punto si sono delineati 2 orientamenti di fondo:

• i sostenitori della tesi del cd conglobamento → ritengono che la comparazione


debba essere operata tra i trattamenti complessivi previsti da ciascuna fonte,
applicando esclusivamente la regolamentazione che, valutata globalmente risulti
più favorevole per il lavoratore.
• i sostenitori della teoria del cd cumulo→ sostengono invece, che bisogna porre a
confronto le singole clausole di ciascuna delle regolamentazioni, estraendo dai due
contratti le clausole più favorevoli e cumulandole tra loro.

Non sono mancate poi soluzioni mediane: in giurisprudenza si è delineato


l’orientamento che considera necessario procedere ad un confronto, non tra i
trattamenti complessivi, né tra le singole clausole, ma nell’ambito di ciascun istituto.
D’altra parte però, non pochi contratti collettivi, contengono clausole di inscindibilità,
con le quali le parti statuiscono che le disposizioni contrattuali, in genere nell’ambito
di ogni istituto, sono correlative e inscindibili tra loro e non sono cumulabili con
alcun trattamento derivante da altra fonte.

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Laddove esistano simili clausole non saranno utilizzabili le soluzioni generali sopra 70
esposte.

5.EFFICACIA SOGGETTIVA e categoria contrattuale

L'altro problema posto dalla parte normativa del contratto collettivo di diritto
comune è quello dell'efficacia soggettiva, che si estende solo agli iscritti alle
associazioni stipulanti; infatti la natura privatistica di tale contratto (conseguente
alla mancata attuazione dell’art 39 comma 2, lo rende efficace solo nei confronti di
quei soggetti che abbiano conferito all'associazione il potere di rappresentanza per
la stipulazione dei contratti collettivi.

Il conferimento del mandato rappresentativo è di norma collegato all'adesione


all'associazione:
nel momento in cui datori di lavoro o lavoratori si iscrivono a un’organizzazione
sindacale , conferiscono il il mandato a stipulare contratti collettivi. (mandato
rappresentativo).
La ricostruzione dell'efficacia del contratto collettivo sulla base delle norme
civilistiche in tema di mandato rappresentativo comporta anche l'inutilizzabilità per
il contratto collettivo di diritto comune nell'art 2070 c.c.

Tale norma, dettata per i contratti collettivi corporativi, individuava l’ambito di


applicazione del contratto collettivo in relazione alla natura dell’attività
effettivamente esercitata dall’imprenditore.
Si tratta di un criterio oggettivo, congeniale al sistema di contrattazione collettiva
corporativa, ma incompatabile con la natura privatistica dei contratti collettivi di
diritto comune (il cui ambito di applicazione non può che essere determinato dalla
volontà delle parti stipulanti, e dunque nel contratto stesso).

6.L'efficacia soggettiva nella giurisprudenza

Come si è viso, il principio generale in materia di efficacia soggettiva è quello della


vincolatività solo nei confronti degli aderenti alle associazioni stipulanti.
Tuttavia, nel corso degli anni, a livello giurisprudenziale e legislativo si sono delineati
una serie di meccanismi di estensione dell'ambito di applicazione del contratto
collettivo, al di là della sua portata naturale→per cui il datore di lavoro aderente
all’associazione firmataria di un contratto collettivo, deve applicare le disposizioni
contrattuali nei confronti di tutti i propri dipendenti, e quindi anche nei confronti del
lavoratore non iscritto.

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Tale soluzione è pienamente condivisibile 71


* sia perché coerente con il divieto di discriminazioni a causa dell’affiliazione
sindacale;
* sia per la sua aderenza al dato reale (è improbabile che l’imprenditore applichi
trattamenti differenziati ai lavoratori iscritti e non iscritti in favore dei primi→ per
non incentivare i non iscritti ad aderire al sindacato.

Ben più complessi , sono i problemi relativi all’estensione dell’efficacia del contratto
collettivo nei confronti dei datori di lavoro non iscritti ad alcuna associazione
sindacale.
L’applicabilità del contratto collettivo è pacifica, quando le parti nel contratto
individuale abbiano formulato un richiamo non equivoco ad un particolare accordo,
oppure, più genericamente alla contrattazione collettiva vigente o da stipularsi in un
determinato settore produttivo.

Un altro orientamento consolidato, è quello che considera il contratto collettivo


vincolante, anche nei confronti del datore di lavoro il quale, pur non essendovi
tenuto, ne abbia spontaneamente applicato il contenuto→ la fonte dell’obbligo di
applicazione viene individuata nel comportamento concludente del datore di lavoro,
che si evince dalla costante determinazione del contenuto dei contratti individuali
sulla base di quanto previsto dal contrato collettivo.

Senza dubbio però l’operazione giurisprudenziale che ha influito maggiormente


sull’estensione dell’efficacia dei contratti collettivi, è quella che (richiamando all’art.
36 Cost. e art 2099 c.c.) , ne estende le determinazioni in ordine alle retribuzioni
minime. Tale norma sancisce che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione
proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, e in ogni caso, sufficiente ad
assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
L’immediata precettività di tale norma, comporta la nullità della clausola retributiva
dei contratti individuali di lavoro contrastante con questi principi.
Il venir meno della clausola retributiva, determina a sua volta, la mancanza di un
accordo tra le parti, cosicché secondo quanto disposto dall’art. 2099 c.c.→la
retribuzione deve essere determinata dal giudice secondo equità.
( e senza dubbio il criterio più corretto e valido è quello del riferimento ai minimi
retributivi previsti dalla contrattazione collettiva: perché nelle tariffe contrattuali
collettive è individuabile quel dato di esperienza e quel momento di equilibrio fra
contrapposti interessi)

7.L'estensione dell'efficacia soggettiva nella legislazione

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Anche il legislatore ordinario si è più volte preoccupato di favorire la più ampia 72


applicazione del contratto collettivo al fine di assicurare la funzione di regolazione
del mercato del lavoro.

Preclusa dalla Corte Cost. la via di procedere direttamente a tale estensione con un
intervento governativo, Il legislatore, nel riconoscere agli imprenditori agevolazioni
o benefici, ne ha più volte subordinato il godimento all'applicazione dei contratti
collettivi ovvero di trattamenti economici e normativi non inferiori a quanto stabilito
dagli stessi.

Questi ultimi(i contratti collettivi),dunque, non sono resi obbligatori per sé, (e questo
allontana ogni sospetto di violazione dell’art. 39 C.), ma l'erogazione dei trattamenti
previsti dal contratto collettivo è condizione per fruire di certe situazioni di
vantaggio.

Ma il prototipo di questi interventi legislativi è l'art 36 St. Lav.,che impone alle


amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici di inserire, nei provvedimenti di
concessione di agevolazioni finanziarie e creditizie a favore degli imprenditori e nei
capitolati d'appalto di opere pubbliche, una clausola esplicita determinante l'obbligo
di applicare ai propri lavoratori dipendenti condizioni di trattamento non inferiori a
quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro della categoria e della zona.

La violazione di tale obbligo comporta un provvedimento, da parte della PA, che può
giungere fino alla revoca del beneficio e, nei casi più gravi o nel caso di recidiva,
all'esclusione del responsabile da qualsiasi ulteriore concessione di benefici o da
qualsiasi appalto per un periodo di tempo fino a 5 anni.
→La clausola che impone l'obbligo di rispettare i contratti collettivi, è stata
ricondotta dalla giurisprudenza ala fattispecie della stipulazione a favore di terzi, il
che comporta l'importante conseguenza che ai lavoratori viene riconosciuta la
titolarità di un diritto soggettivo nei confronti del proprio datore di lavoro che l'abbia
sottoscritto.

Più di recente, L'art 118 comma 6 d.lgs n.163/2006(il c.d. Codice dei contratti
pubblici di lavori, servizi e forniture) ha disposto che l’imprenditore che stipuli con
una PA contratti per la fornitura di servizi, prodotti, lavori e opere sia tenuto ‘ad
osservare integralmente il trattamento economico e normativo stabilito dai contratti
collettivi nazionali e territoriali in vigore per il settore e per la zona nelle quale si
eseguono le prestazioni’; ne afferma anche la responsabilità in solido per
l’osservanza delle norme contrattuali da parte dei sub-appaltatori nei confronti dei
dipendenti di questi ultimi.

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Simili interventi legislativi trovano un fondamento nel diritto Internazionale → 73


Convenzione OIL n. 49 del 1949 , prevede che i contratti con le PA debbano
contenere apposite clausole c.d. sociali , che garantiscano ai lavoratori , salari e
condizioni di lavoro non inferiori a quanto previsto dai contratti collettivi dello stesso
settore produttivo e dello stesso territorio.

Questa tendenza legislativa ha trovato di recente un OSTACOLO nella


giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità europee:
sentenza sul caso RUFFERT del 3 aprile 2008 ha censurato la normativa di un Land
tedesco che prescriveva come condizione per l’aggiudicazione di un appalto
pubblico per i lavori edili il rispetto delle tariffe salariali previste dai contratti
collettivi; →
secondo la Corte una norma nazionale che così disponga, se applicata ad
un’impresa di altro Stato comunitario, costituisce violazione dell’art. 49 TCE (ora 56
TFUE), perché ostacola la libera circolazione dei servizi nell’ambito dell’Unione, in
quanto un’impresa di uno stato membro non potrebbe applicare ai propri lavoratori,
le condizioni di lavoro del proprio Paese d’origine, avvantaggiandosi del minor costo
del lavoro, per lavori da eseguirsi in un altro Stato membro.

La sentenza ha meritato vivaci critiche dallo stesso Parlamento europeo e dalla


dottrina, perché se l’art. 49 vieta discriminazioni ai danni delle imprese di uno Stato
membro, che vogliano svolgere la propria attività sul territorio di altro Stato
membro, non si ha discriminazione quando lo Stato in cui devono essere svolti i
lavori imponga all’impresa straniera di rispettare le regole che devono essere
rispettate da tutti gli imprenditori locali.

8. Le altre funzioni, in particolare quella obbligatoria / funzione obbligatoria

Si è visto come nella maggior parte delle sue clausole, il contratto collettivo si
atteggia come un contratto a causa NORMATIVA, ossia quella che mira
all'imposizione di condizioni economiche e normative minime, le quali devono
essere osservate dai contratti individuali.

Ma non si può dire che la funzione normativa sia l'unica del contratto collettivo: una
più attenta analisi rileva una variegata serie di clausole non riconducibile a tale
funzione. La dottrina ha teorizzato che nel contratto collettivo accanto a una parte
normativa, è individuabile un’altra parte definita obbligatoria.

La caratteristica comune delle clausole obbligatorie è individuata nel fatto che esse
instaurano rapporti obbligatori che non fanno capo alle parti del rapporto
individuale di lavoro, bensì ai soggetti collettivi; tali soggetti possono essere gli stessi
che hanno stipulato il contratto collettivo o altri:

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→ Ad es. il contratto collettivo stipulato tra il sindacato nazionale dei 74


metalmeccanici e l’organizzazione imprenditoriale crea rapporti obbligatori anche tra
il sindacato provinciale e l’associazione provinciale degli industriali, come anche tra
le RSU e l’imprenditore.

Ecco, quindi, che il contratto collettivo assume un'altra funzione, quella


OBBLIGATORIA: è il caso del rinvio da un livello contrattuale ad un altro per la
negoziazione di determinati istituti. A seconda che la singola disposizione
contrattuale collettiva abbia funzione normativa oppure obbligatoria, ne saranno
diversi gli effetti giuridici.

• I problemi concernenti le clausole normative si risolvono fondamentalmente in


quelli, complessi inerenti al rapporto tra autonomia collettiva e autonomia negoziale
dei singoli.
• I problemi posti dalle clausole obbligatorie attengono, invece, ai vari doveri,
obblighi e responsabilità che da esse discendono per i soggetti collettivi.

• L'inadempimento di tali clausole comporta:


▪ una responsabilità del soggetto collettivo nei confronti della propria associazione,
che può dar luogo all'applicazione di sanzioni endo-associative; (ad es. quando il
contratto decentrato sia stipulato in violazione della clausola di rinvio contenuta nel
contratto nazionale).
▪ in relazione all'oggetto della clausola violata, una responsabilità del soggetto
collettivo, o del singolo datore di lavoro, nei confronti dell'altra parte stipulante, con
il possibile ricorso a forme di autotutela sindacale o all'autorità giudiziaria.
→ alcune clausole contrattuali obbligatorie, poi, costituiscono enti bilaterali per la
gestione di alcuni istituti contrattuali(Casse edili) e, in questo senso, può parlarsi di
una funzione istituzionale.
→ talvolta, ancora, l'accordo sindacale affronta e risolve un singolo problema di
gestione
aziendale: in tal caso può parlarsi di funzione gestionale.
→ Vi sono infine , clausole difficilmente collocabili al’interno sia dell’uno che
dell’altro gruppo, in quanto preordinate ad una funzione che, pur avvicinandosi a
quella
normativa, ne differisce alquanto: si tratta dell'ipotesi in cui lei parti, nell'esercizio di
una
funzione compositiva dei conflitti giuridici, dispongono di situazioni giuridiche già
formatesi, in genere in forma transattiva o accertativa.

9. Il dovere di pace sindacale e il dovere di influenza

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L’accordo 75

Un’estensione del suo contenuto a materie non regolate espressamente dal


contratto, potrebbe ammettersi solo ove fosse statuito in materia esplicita in tal
senso (cd ‘dovere assoluto’ di pace sindacale) ed in limiti tali da non vanificare
totalmente il diritto di sciopero.

Diverso è il problema degli effetti delle clausole di tregua sulla posizione dei singoli
lavoratori: una parte della dottrina ha affermato che nelle clausole di tregua è
implicita una rinunzia al diritto di sciopero, per cui la clausola vincolerebbe non solo
il sindacato che l’ha sottoscritta- ma anche i singoli lavoratori iscritti al sindacato.
Questa tesi conduce ad affermare un effetto non più solo obbligatorio, ma anche
normativo delle clausole di tregua e da essa ne nascerebbe una responsabilità
diretta dei lavoratori in caso di violazione della tregua stessa.

→ MA considerano la struttura che le clausole di pace presentano, si può desumere


che esse impegnano solo i sindacati stipulanti e proprio per questo sono inquadrabili
nella parte obbligatoria. Quindi gli EFFETTI delle clausole di pace si ripercuotono solo
sulle parti stipulanti, ossia sui SINDACATI e sulle ASSOCIAZIONI degli IMPRENDITORI,
e NON direttamente sui lavoratori che conservano tutti i diritti a loro concessi,
incluso quello di sciopero.
- Altro dovere concernente la stipula di un contratto collettivo è quello di
‘INFLUENZA’, che impegna le organizzazioni che stipulano il contratto collettivo ad
influire sulle proprie articolazioni organizzative e sui propri associati, perché
applichino il contratto stesso

10.La c.d. procedimentalizzazione dei poteri dell'imprenditore e il contratto


gestionale

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Si è detto che le clausole contrattuali di natura obbligatoria(che fanno nascere un 76


diritto in capo alle parti firmatarie) possono condurre alla conclusione di un
contratto collettivo gestionale: ossia è quel contratto collettivo che non detta regole
sui rapporti di lavoro, ma affronta un problema di gestione aziendale( ad es. se una
situazione di crisi aziendale debba essere affrontata con dei licenziamenti o con altre
misure).

L'apposizione di clausole di natura obbligatoria a tali contratti di gestione, obbligano


l'imprenditore a dare alle rappresentanze dei lavoratori informazione preventiva
su alcune decisioni gestionali che intende assumere → in genere, a seguito
dell’informazione, le rappresentanze sindacali possono chiedere un incontro per
esaminare il problema (e il potere dell’imprenditore si assumere la decisione
rimane sospeso per la durata del procedimento).

Questa tecnica normativa ha assunto il nome di procedimentalizzazione del potere


dell'imprenditore, la quale consiste in una complicazione del processo decisionale
dell'imprenditore, essenzialmente volta a garantire che nel formarsi di certe
decisioni si tenga conto degli interessi antagonistici sui quali va ad incidere
l'esercizio del potere.

Queste clausole creano certamente diritti in capo alle organizzazioni destinatarie


dell'informazione preventiva e, quindi correttamente sono inquadrabili tra le
clausole obbligatorie. il favore verso soluzioni concordate dei problemi di conduzione
aziendale attraverso i contratti gestionali, non sono presenti solo nei contratti
collettivi, ma anche nella legislazione italiana e comunitaria.

In sintesi, queste norme, danno al sindacato la possibilità di intervenire prima che la


decisione sia presa, consentendogli di mettere in campo la propria forza
contrattuale.
L'obiettivo di questa tecnica normativa è dunque, si quello di favorire soluzioni
concordate alla gestione dei problemi aziendali; ma l'esito positivo della procedura
rimane nelle disponibilità e nelle responsabilità delle parti.

Il discorso sulla procedimentalizzazione ci consente di individuare una doppia


funzione
del contratto collettivo aziendale: ( o due diversi contratti collettivi aziendali):
1) essi possono come gli altri contratti collettivi, dettare norme sul trattamento
economico e normativo dei lavoratori e sulle relazioni sindacali, assolvendo dunque
anch'essi a una funzione normativa e ad una funzione obbligatoria;
2) possono vincolare l'imprenditore ad assumere le determinazioni organizzative
concordate.

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11. L'efficacia soggettiva del contratto aziendale 77

Il contratto aziendale: può assumere anche una funzione gestionale, che non è
quella di dettare norme astratte e generali, ma quella di concordare un
provvedimento di gestione del personale che vada a risolvere un problema
dell'azienda, o quanto meno ad attenuarlo. Tale tipo di contratto(quello gestionale)
non comporta, il più delle volte, benefici per i lavoratori, ma solo sacrifici:Esempi:
⁃ licenziamento collettivo, richiedendo intervento della Cassa integrazione guadagni;
⁃ una riduzione dell'orario di lavoro e della retribuzione pur di non andare incontro
ai licenziamenti; derogando molto spesso

in genere si ricorre a simili contratti quando si tratta di gestire situazioni di crisi


aziendale,
Sempre più di frequente, poi, gli accordi aziendali , in vista della riduzione dei costi
per l’impresa o a fine di garantirle una maggiore flessibilità nell’utilizzo della forza
lavoro, prevedono trattamenti peggiorativi rispetto agli standard stabiliti da altri
contratti collettivi o dalla legge;

in tali ipotesi, il problema dell'efficacia soggettiva del contratto aziendale si presenta


in modo peculiare perché non è l'imprenditore, ma sono i lavoratori che possono
avere interesse a sottrarsi all'applicazione del contratto; e queste forme di dissenso
rivestono un particolare rilevo allorchè assumano dimensioni collettive.

12.I contratti collettivi espressamente previsti da norme di legge

La disciplina del

La più stretta integrazione funzionale tra legge e contratto collettivo, ha creato anche
ipotesi in cui la disciplina di quest’ultimo non è perlomeno integralmente quella
elaborata dalla dottrina e dalla giurisprudenza sul contratto collettivo di diritto
comune.
In questo caso la sua rilevanza giuridica è affidata alle norme di legge che
espressamente lo prevedono. (e non all’art 1322 c.c.)
Inoltre, differisce il profilo funzionale → il contratto collettivo non è più una mera
autoregolamentazione d’interessi privati (ancorché collettivi) da parte delle
organizzazioni che ne sono portatrici;
tale autoregolamentazione è invece abilitata a derogare, sostituire o integrare il
precetto legale, altrimenti inderogabile dall’autonomia privata: è questa la funzione
cd autorizzatoria della contrattazione collettiva. Insomma la legge pone una regola,

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contemporaneamente disponendo che la stessa può essere derogata, sostituita o 78


integrata dal contratto collettivo.
→ Ad ex. l’art 3 del d.lgs. n 66 del 2003, al primo comma stabilisce che l’orario di
lavoro settimanale sia di 40 ore settimanali, ma al secondo comma stabilisce che il
contratto collettivo possa stabilire che tale quantità sia una media di più settimane
su un periodo (però non superiore l’anno).
Il fatto che il fondamento giuridico di questi contratti non derivi dal generale
riconoscimento dell’autonomia privata (art. 1322 c.c.), ma dalla specifica norma di
legge, non ha riflessi sulla sfera dell’efficacia soggettiva.
Normalmente, la legge riserva la stipulazione del contratto, direttamente o
indirettamente, ai sindacati maggiormente o comparativamente più
rappresentativi.
Un’attenta dottrina ha fatto osservare che, oltre questi rinvii della legge ai contratti
collettivi ‘cd propri’, ve ne sono altri da qualificarsi impropri→ perché la legge rinvia
al contratto collettivo, non perché questi deroghi, integri o sostituisca il precetto
legale, ma perché regoli direttamente la materia. I rinvii cd impropri, avrebbero
dunque un valore non giuridico, ma semplicemente simbolico d’invito alle parti
collettive di regolare quella materia.

Capitolo ottavo LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA


A. L’EVOLUZIONE STORICA: SOGGETTI, LIVELLI, PROCEDURE

1. Premessa

Il contratto collettivo costituisce l’esito della contrattazione collettiva cioè di quel


processo mediante il quale i sindacati dei lavoratori e l associazioni dei datori di
lavoro, ricorrendo ai mezzi di pressione di cui dispongono definiscono la
regolamentazione dei rapporti individuali, collettivi, di lavoro.

La contrattazione collettiva costituisce quindi:


 il metodo principe di composizione del conflitto collettivo ovvero del
conflitto di interessi tra datori di lavoro e lavoratori;

 ed è l’attività fondamentale attraverso la quale il sindacato tutela gli interessi


dei soggetti che rappresenta.

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I MODELLI DI CONTRATTAZIONE COLLETTIVA il processo contrattuale può: 79

 svolgersi a scadenza più o meno regolari ed esaurissi con la stipula del


contratto con la conseguenza che i rapporti tra le parti sono sporadici;

 può essere permanente ovvero continuare anche nelle fasi di negoziazione e


di amministrazione della disciplina negoziale;

In questo secondo caso, la contrattazione collettiva comprende non solo i negoziati


per la stipulazione e il rinnovo dei contratti collettivi ma anche l’insieme dei rapporti
che intercorrono fra i sindacati e i datori di lavoro.

LA STRUTTURA DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA la contrattazione collettiva


può articolarsi su diversi livelli corrispondenti ai livelli organizzativi dei soggetti
negoziai.
Si parla infatti di struttura negoziale proprio per indicare:
 L’insieme dei livelli ai quali la contrattazione collettiva si svolge;

 Le competenze di ognuno di ess;

 Criteri di distribuzione delle stesse tra i diversi livelli;

 I soggetti negoziali.

Tale struttura è regolata per accordo tra le parti collettive nel settore privato e
prevalentemente dalla legge in quello pubblico.
LIVELLI NEGOZIALI in Italia, i livelli negoziali più praticati sono 3:
 interconfederale;

 nazionale di categoria;

 decentrato;

IL CONTRATTO NEGOZIALE DI CATEGORIA E LE FUNZIONI il perno del sistema


contrattuale è il contratto collettivo nazionale di categoria (CCNL).
Esso viene stipulato con fissa periodicità dalle federazioni nazionali di categoria delle
parti.
Nel settore privato l’ambito della categoria alla quale il contrato si applica
corrisponde a uno o più settori di produzione affini è determinato dal contratto
stesso.

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Il contratto nazionale di categoria disciplina per ogni categoria: 80

 Minimi di trattamento economico-normativo applicabili al rapporto


individuale di lavoro cd parte o funzione normativa;

 Sia le relazioni tra i soggetti sindacali stipulanti e le loro articolazioni


organizzative cd parte o funzione obbligatoria;

IL CONTRATTO DECENTRATO E LE FUNZIONI il contratto decentrato viene


stipulato:
 con la stessa periodicità del contratto nazionale di categoria ma
approssimativamente a metà del peridio di vigenza di quest’ultimo;

 a livello territoriale a seconda delle previsioni del contratto di categoria


stesso;

Il primo è generalmente provinciale (ex. Settore edilizio o di agricoltura) o regionale


(ex. Settore alimentare) e viene stipulato nelle federazioni provinciali o regionali di
categoria dei sindacati e delle strutture di parli libello delle associazioni
imprenditoriali.

Il contratto aziendale solitamente coincide con la singola impresa ma può essere


anche di gruppo di imprese o di stabilimento o filiale.

Il contratto decentrato ha la funzione di integrare e di completare la disciplina


dettata dal contratto nazionale di categoria e di conseguenza determina gli standard
di trattamento.

L’ACCORDO INTERCONFEDERALE E LE FUNZIONI il livello negoziale più elevato ed


ambito di applicazione è quello interconfederale.
Gli accordi interconfederali sono stipulati direttamente dalle confederazioni dei
lavoratori e degli imprenditori (ex. CGIL, CISL, UIL e Confindustria) e si applicano a
tutte le imprese e ai lavoratori aderenti alle organizzazioni firmatarie.

Tali accordi non hanno una scadenza in quanto vengono stipulati quando le parti lo
ritengono utile o necessaria una regolamentazione uniforme di particolari istituti per
una pluralità di categorie.

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LA STRUTTURA CONTRATTUALE la struttura contrattuale può essere definita 81


centralizzata o decentrata a seconda che sia predominante il livello ad ambito di
applicazione:
 più esteso a livello interconfederale o nazionale di categoria;

 più ristretto a livello aziendale e territoriale;

Si definisce bipolare quando entrambi i livelli negoziali hanno competenze e funzioni


ampie, rilevanti e distinte.

LE VARIABILI CHE INFLUENZANO LA STRUTTURA CONTRATTUALE tra le variabili


ritroviamo:
 Struttura del sistema produttivo e delle organizzazioni di rappresentanza delle
imprese;

 La situazione del mercato del lavoro;

 L’andamento del ciclo economico;

Si può dire che:


 La prevalenza di imprese di piccole e piccolissime dimensioni,

 L’arretratezza economica,

 un elevata disoccupazione e

 la recessione economica favoriscono la centralizzazione in quanto

 da un lato indeboliscono il potere rivendicativo del sindacato, limitando il


numero degli iscritti, la capacità organizzativa e la diffusione settoriale e
territoriale);

 fanno emergere esigenze di governo complessivo delle politiche salariali e del


mercato di lavoro;

condizioni e motivazioni opposte sostengono il decentramento contrattuale.

2. L’EVOLUZIONE DELLA CONTRTTAZIONE COLLETTIVA DAL DOPOGUERRA AI


PRIMI ANI ’60: La contrattazione articolata

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LA centralizzazione a livello interconfederale nel decennio successivo alla caduta 82


del regime corporativo il sistema contrattuale era centralizzato essendo dominante il
livello interconfederale per diverse ragioni:
a. grazie alla conquista della libertà sindacale, le organizzazioni sindacali avevano
potuto ricostruire le strutture di vertice a cui fu affidata l’attività contrattuale.

b. Le stesse organizzazioni erano deboli a causa della situazione economica e


politica e questo le induce a concentrare i propri sforzi sulla tutela degli
interessi essenziali comuni a tutti i lavoratori come la stabilità dell’occupazione
e il reddito.

La centralizzazione fu massima sino alla metà degli anni 50 ma rimase elevata anche
quando la funzione di negoziare i minimi retributivi fu riconosciuta alle federazioni
nazionali di categoria.

Relativamente alla contrattazione di categoria è necessario dire che questa


inizialmente fu debole e di conseguenza i contrati nazionali erano rinnovati con vari
anni di ritardo rispetto alle scadenze previste apportando miglioramenti contenuti
relativamente alle retribuzioni e al miglioramento delle condizioni di lavoro.

Inoltre la contrattazione aziendale anche se praticata non era formalmente


riconosciuta.
A fine degli anni 50 lo sviluppo economico e l’aumento dell’occupazione
modificarono i rapporti di forza a favore dei sindacati che iniziarono ad operare
unitariamente.

Così la contrattazione sindacale perse rilevanza e i contratti nazionali di categoria


divennero il fulcro della struttura contrattuale e la fonte principale della disciplina
dei rapporti di lavoro.
La contrattazione aziendale continuò ad essere svolta dalle commissioni interne.
A livello aziendale, il livello di contrattazione venne poi riconosciuto nel 1962 in
quest’anno le federazioni di categoria dei metalmeccanici firmarono con l’Intersid e
l’ASAP un protocollo che fissava i principi generali di un nuovo sistema contrattuale
detto contrattazione articolata.

La contrattazione articolata e le clausole di rinvioil Protocollo Intersind-ASAP


introdusse una struttura contrattuale composta da 3 livelli:

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- nazionale di categoria le aziende metalmeccaniche; 83


-di settore siderurgia, auto,ecc;
- aziendale;

In cambio del riconoscimento sella contrattazione aziendale, che consentiva di


migliorare le condizioni dei lavoratori rafforzando la presenza e il potere dei sindacati
nei luoghi di lavoro, questi si impegnavano con le clausole di tregua a non
promuovere azioni di lotta per modificare, integrare o innovare in contratti collettivi
sino alla loro scadenza consentendo cosi ai datori di lavoro di:
- Calcolare il costo del lavoro per tuta la durata dei contratti;

- Programmare la propria attività;

IL RUOLO DOMINANTE DEL CCNL il questo sistema il contratto nazionale di


categoria si confermava dominante in quanto ad esso spettava:
- Determinazione delle competenze e dei soggetti della contrattazione
aziendale;

- Decentramento parziale;

3. il ciclo 1968-1973 e la contrattazione non vincolata

Nel 1967, all’inizio di una fase di ripresa economica, a livello aziendale per iniziativa
dei lavoratori si avvio un nuovo ciclo contrattuale che fu caratterizzato da:
- alta conflittualità;
- diffusione della contrattazione nei luoghi di lavoro;

Questo alterò gli equilibri di potere tra le parti sociali a favore dei lavoratori e dei
sindacati determinando modifiche nella struttura della contrattazione collettiva.
Gli elementi che influenzarono tale ciclo furono:
- rigidità del mercato di lavoro caratterizzato da una piane occupazione;
- forti esigenze di recupero salariale e di miglioramento delle condizioni di lavoro
degli operai;
Anche le rivendicazioni contrattali furono nuove ex. Aumento dei salari uguali per
tutti o riduzione dell’orario e pianificazione degli straordinari.
L’autunno caldo sindacale e la contrattazione vincolata l’emersione del nuovo
sistema contrattuale venne sancita con il contratto nazionale dei metalmeccanici del
1969 che conclude il cd autunno caldo sindacale.

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In questo contratto non si raggiunse alcuna intesa in materia di competenza della
contrazione sindacale facendo cosi venir meno il sistema della contrattazione
articolata e quindi sia il coordinamento tra i livelli contrattuali fondato sulle clausole
di rinvio e sulla vincolatività della clausola di pace sindacale.

Emerse cosi un sistema nuovo e alternativo definito contrattazione non vincolata


in quanto ciascuno dei due livelli negoziali:
- Quello nazionale di categoria;

- Quello aziendale

Erano autonomi e la contrattazione aziendale poteva essere aperta in sogni sede e


su qualsiasi materia o istituto nel corso del contratto nazionale.

La struttura nazionale raggiunse cosi il massimo decentramento i contratti


aziendali svolgevano non solo un ruolo integrativo e applicativo ma anche trainante
e modificativo rispetto ai contratti nazionali.

IL MODELLO BIPOLARE il modello che scaturì da queste profonde trasformazioni


fu definito bipolare.

Infatti, per alcuni anni il livello interconfederale scomparve mentre la contrattazione


aziendale crebbe e ampliò le proprie competenze a livello nazionale conservando
funzioni di grande rilievo.
Inoltre, grazie alla mobilitazione collettiva de lavoratori estese il proprio campo di
applicazione alle imprese poco sindacalizzate e ai settori non industriali.

LA FUNZIONE SPECIALIZZATA DELLA CONTRATTAZIONE DECENTRATA la


contrattazione aziendale si sviluppo soprattutto relativamente a temi che non
potevano essere oggetto di un regolamentazione di categoria.
Ex. quelli relativi all’organizzazione del lavoro con riguardo agli ambiti e ai ritmi di
lavoro, ecc.

Da ciò emerge un elemento della contrattazione decentrata quello di assumere


una funzione specializzata rispetto al contratto di categoria consistette nell’integrare
la disciplina in esso dettata agli interessi delle parti legati alle specifiche
caratteristiche dei luoghi nei quali la prestazione di lavoro è resa.

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L’esito complessivo di questo ciclo contrattuale fu la crescita della sindacalizzazione e 85


del potere negoziale dei sindacati e un miglioramento dei trattamenti e delle
condizioni di lavoro.
4. Gli anni dal 1975 al 1990  ricentralizzazione e nuovo decentramento

Nel corso degli anni 70 il sistema di contrattazione collettiva, cominciò a subire delle
modiche a seguito dei cambiamenti tecnologici organizzativi del sistema produttivo.
L’aumento dei prezzi delle materie prime inoltre provocò un aumento dell’inflazione
e impose un ampio processo di ristrutturazione tecnologica e organizzative delle
imprese.
La crisi economica e lo sfavorevole andamento del mercato svilupparono un
processo di ricentralizzazione della struttura contrattuale.
Inizialmente questo processo si attò con un forte recupero del ruolo del livello
interconfederali:
- Nel 1975 fu stipulato l’accordo interconfederale sulla modifica del sistema di
indicizzazione dei salari al costo della vita;

- 1997 quello sul costo del lavoro e della produttività;

GLI ACCORDI TRIANGOLARI la centralizzazione della contrattazione raggiunse il


culmine negli anni 80 con l’esperienza di contrattazione triangolare tra Governo e
parti sociali.
In particolare con il Protocollo del 22 gennaio del 1983 furono dettate alcune reale in
materia di struttura contrattuale tra cui il principio di non ripetibilità della
contrattazione che ha introdotto una distinzione delle competenze dei due livelli
negoziali e mirava a evitare la sovrapposizione di discipline contrattuali nazionali
decentrati.
La ripresa del decentramento e la flessibilità contratta Nella seconda metà degli
anni 80 i processi di ristrutturazione dell’economia mondiale indussero le imprese
italiane a perseguire l’obiettivo di forte flessibilità organizzativa da realizzare
mediante:
- Diversificazione dei trattamenti di lavoro;

- Riduzione delle rigidità nella regolazione dei rapporti di lavoro;

Questa politica favori il decentramento contrattuale.

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Da questo periodo in poi la tendenza al decentramento contrattuale diviene stabile 86


si determina cosi una cesura tra due epoche contrattuali:
- Quella prima della globalizzazione nella quale il decentramento e la
centralizzazione si alternavano n relazione all’andamento negativo e positivo
del ciclo economico e del mercato del lavoro;

- Quella dopo la globalizzazione nella quale la tendenza al decentramento


diviene stabile e viene incentivata verso la modifica delle regole sulla struttura
contrattuale definite dagli accordi interconfederali.

5. Il protocollo 23/07/1993: la riforma della struttura contrattuale

All’inizio del decennio successivo, la necessità di impostare politiche economiche


efficaci al fine sia di contrastare il graduale peggioramento della congiuntura
economica e sia di soddisfare i criteri di convergenza per l’unificazione monetaria
indusse i pubblici poteri ad avviare con le parti sociali un negoziato triangolare che
portò alla stipulazione di due accordi:
- 31/07/1992 abolì la scala mobile;

- Il Protocollo del 23/07/1993 sulla politica dei redditi e dell’occupazione, sugli


assetti contrattuali, sulle politiche del lavoro sul sostegno del sistema
produttivo.

Per quanto riguarda le previsioni relativi alla struttura contrattale erano mirate a
favorire il decentramento della contrattazione per far aumentare la produttività, per
rendere efficiente e più equa la dinamica delle retribuzioni facendo ripartire la
crescita economica e l’occupazione.
Il protocollo del 1993 confermo che la contrattazione si basava su due livelli:
1. Livello nazionale di categoria;

2. Livello alternativamente aziendale o territoriali;

Inoltre prolungò la durata dei contratti da 3 a 4 anni, salvo che per la parte
retributiva del contratto nazionale che diventava biennale.
Questa modifica era collegata al fatto che la funzione di adeguare all’inflazione il
potere d’acquisto delle retribuzioni veniva ora attribuita al contratto nazionale di

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categoria di conseguenza le parti avevano ritenuto opportuno intensificare la 87


frequenza dei negoziati nazionali in materia.
In particolar modo il rinnovo biennale del contratto di categoria aveva l funzione di
adeguare i minimi retributivi ai tassi di inflazione programmativi per il biennio
successivo e di riallineare le retribuzioni all’inflazione.
Sempre in materia di retribuzione il CCNL aveva anche la funzione di aumentare i
salari reali utilizzando una quanto della produttività media di settore.
Il contratto decentrato e i premi per obiettivial contratto decentrato invece l
Protocollo riservava un ruolo specializzato nella disciplina delle retribuzioni:
- Escludeva che a questo livello potevano essere ricontratte materie e istituti
retributivi propri del CCNL clausola di non reperibilità limitata in questo
caso agli istituti retributivi;

- Riconosceva ad esso la funzione di definire i premi di risultato per obiettivi


cioè erogazioni correlate a miglioramenti della produttività, della qualità,
della redditività.

Con queste previsioni le parti perseguivano l’obiettivo di aumentare la


retribuzione e dell’incremento della domanda interna e tramite questa
garantivano lo sviluppo economico e dell’occupazione.
Il coordinamento delle competenze e dei soggetti negozialiLa distribuzione tra
i due livelli negoziali delle competenze era affidata al contrato nazionale di
categoria che doveva provvedere mediante le clausole di rinvio.
Il coordinamento tra i due livelli negoziali era affidato anche ad altre 2 clausole
che collegavano l’agente negoziale aziendale ai sindacati stipulanti il contratto di
categoria.
La prima clausola riservava a questi ultimi:
- un terzo dei componenti delle RSU;

- la nuova struttura si rappresentanza sindacale;

La seconda clausola riconosceva unitamente a queste e alle strutture territoriali dei


sindacati stipulanti il contratto nazionale.
Inoltre, nel nuovo sistema il contratto di categoria risultava rafforzato in
particolare per la funzione che svolgeva sia in materia di retribuzione sia nella
definizione della contrattazione decentrata.

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Il contratto di secondo livello, aveva ancora una funzione integrativa e applicativa del 88
contratto di categoria ma a questo aggiungeva funzioni specializzate e autonome.
Il decentramento controllato e coordinato dal centroil rapporto tra i livelli era:
- da un lato era di tipo gerarchico in quanto era il CCNL a determinate per rinvio
le materie di competenza della contrattazione decentrata;

- per l’altro verso era di tipo funzionale in quanto il livello decentrato aveva
competenze distinte e specializzate;

ne scaturiva un modello di struttura contrattuale fondato su un decentramento


controllato e coordinato dal centro della contrattazione collettiva.
Procedure contrattuali, raffreddamento dei conflitti e vacanza contrattuale la
disciplina sul sistema contrattuale contenuta nel protocollo del 93 era completata da
alcun previsioni sulle procedure negoziali e sul raffreddamento dei conflitti mirate a
favorire il proficuo svolgimento dei negoziati e la loro rapida conclusione
minimizzando i costi connessi ai rinnovi contrattuali.
Se vi era un ritardo nella stipulazione del nuovo contratto, a copertura del periodo di
carenza contrattale era prevista a favore dei lavoratori un’apposita indennità
retributiva, denominata indennità di vacanza contrattuale.
Le criticità applicative l’esperienza applicativa del sistema contrattuale introdotto
dal Protocollo del 1993 ha mostrato 3 punti di maggiore criticità:
1. la limitata diffusione della contrattazione decentrata;

2. il metodo di determinazione dei tassi di inflazione;

3. la durata dei contratti;

La mancanza di contrattazione decentrata nelle imprese di piccole dimensioni si


spiega con la debole presenza del sindacato del sindacato.
L’assenza della contrattazione decentrata ha determinato la centralizzazione di fatto
del sistema contrattuale e una crescita delle retribuzioni inferiore rispetto a quella
della produttività a causa della mancata contrattazione dei premi per obiettivi.
Le retribuzioni non sempre hanno recuperato l’infrazione in quanto sono stati
determinati ei tassi di inferiori rispetto all’andamento reale dell’economia.
6. L’accordo quadro del 22 gennaio 2009

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Per correggere le criticità applicative del Protocollo del 93 e per favorire un esteso 89
decentramento della contrattazione al fine di far crescere la produttività e di rendere
più efficiente la dinamica retributiva nel 2008 le Confederazioni sindacali
rivendicarono l’apertura di un nuovo negoziato sulle regole della contrattazione
collettiva che portò alla stipulazione dell’Accordo quadro (AG) sulla riforma degli
assetti contrattuali del 22/01/2009.

Tale accordo fu sottoscritto da tutte le più importanti associazioni imprenditori ma


non dalla CGIL.

L’accordo quadro dettò in via sperimentale, per la durata di 4 anni, i principi basilari
del nuovo modello contrattuale comune al settore privato e pubblico.
Innanzitutto, l’intesa riportò a 3 anni la durata dei contratti e confermò i due livelli di
contrattazione, nazionale di categoria e decentrato.
L’accordo modificò radicalmente il sistema di adeguamento del potere d’acquisto
delle retribuzioni previsto dal Protocollo del 93.
- In primo luogo sostituì il tasso di inflazione programmato con il tasso di
inflazione previsto, assumendo un nuovo indice previsionale costituito sulla
base dell’IPCA (indie dei prezzi al consumo).

- In secondo luogo,l’AQ affidò la previsione a un terzo soggetto estraneo alle


parti sociali e all’attore politico.

Allo stesso contratto inoltre fu affidata la definizione dell’elemento economico di


garanzia, una voce retributiva che le aziende nelle quali non si fosse contratto il
premio di risultato o per obietti erano tenute a corrispondere ai propri dipendenti in
sostituzione di quest’ultimo.
In materia di contribuzione, l’accordo confermava quella relativa ai premi risultato
già previsti del protocollo del 1993.
L’intesa inoltre confermò la funzione del contratto nazionale di determinare l
competenze del contratto decentrato prevedendo che questo regolasse solo le
materie e gli istituti delegati in tutto o in parte dal contratto nazionale e dalla legge.
La clausola di non ripetibilità a livello decentrato della constatazione di materie e
istituti già negoziati in altri livelli di contrattazione fu estesa dai soli istituti retributivi
alla totalità di essi.
Clausole di uscitaprincipale novità che segnalava la volontà delle parti ad
incentivare un decentramento della contrattazione.

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Si tratta di clausole che possono essere inserite nel CCNL per attribuire ai contratti 90
decentrati aziendali o territoriali la competenza a derogare in pejus la disciplina dei
singoli istituti a condizione che fossero finalizzati a governare situazioni di crisi o a
favorire lo sviluppo economico e occupazionale di un territorio o di un azienda.
Infine per favorire il regolare svolgimento delle trattative contrattuali l’AQ del 2009
promosse n rafforzamento delle procedure negoziali rinviando ai contrati successivi
la ridefinizione dei tempi e delle procedure di presentazione delle piattaforme
rivendicative e di avvio e svolgimento delle trattative.
Infine previde:
- Vi fossero definite le modalità per garantire l’effettività del periodo di tregua
sindacale in modo da consentire lo svolgimento dei negoziati per i motivi
contrattuali;

- Sia l’intervento delle Confederazioni nei casi di crisi di un negoziato al fine di


favorirne la positiva conclusione;

7. Gli accordi applicativi dell'AQ, la vertenza FIAT e l'alternatività tra i livelli


contrattuali.
Dopo l'accordo quadro, Confindustria, le associazioni artigiane e quelle
dell'agricoltura, ABI e Confindustria sottoscrissero una serie di intese
interconfederali.
Tali intese, come l'accordo quadro furono sottoscritte solo da CISL, UIL e non dalla
CGIL (salvo quelle dell'agricoltura e del settore bancario).
Inoltre, l'efficacia dei nuovi assetti contrattuali rispetto agli obiettivi indicati nell'AQ
relativi all'aumento dell'occupazione e della produttività erano negativamente
influenzati dal contesto economico-produttivo caratterizzato:

- caduta della domanda di beni e servizi;


- maggiore esposizione alla concorrenza;
LA VERTENZA FIAT: importante è stata la vertenza FIAT che ha avuto origine nel 2010
dalla situazione di crisi produttiva degli stabilimenti del gruppo e dalla decisione
aziendale di passare a nuovi sistemi produttivi modificando l'organizzazione del
lavoro al fine di accrescere l'utilizzazione degli impianti.
A tal fine, Fiat ha stipulato diversi accordi aziendali che hanno introdotto deroghe

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peggiorative al contratto nazionale di categoria sino ad ora applicato relativamente: 91

- articolazione dell'orario e dei turni di lavoro;


- articolazione di pause e di ore di straordinario;
Si è trattato quindi di accordi in deroga peggiorativa al CCNL compatibili con il nuovo
modello contrattuale definito nell'AQ del 2009.
Il problema però è che la FIOM-CGIL non ha firmato nessuno di questi accordi:
- non ha firmato il contratto di categoria dei metalmeccanici stipulato nel 2009;
- non ha firmato gli accordi con le aziende del gruppo FIAT;
Infatti, ha proposto numerosi ricorsi giudiziari sostenendo che ai propri iscritti poteva
essere applicato solo il CCNL unitario del 2008 nel quale non erano previste le
clausole di deroga in pejus poi contemplate dall'AQ e dagli accordi separati.
Quindi in base a questa impostazione, i sindacati iscritti alla FIOM avrebbero potuto
sottrarsi all'applicazione dei contratti aziendali in deroga peggiorativa sottoscritti da
FIAT.
La contro mossa della FIAT è stata quella di uscire da Federmeccanica e da
Confindustria in modo da non essere più tenuta ad applicare nessun contratto
collettivo da queste sottoscritto e di sostituire con propri contratti collettivi quelle
stipulate dalle due associazioni imprenditoriali.
Il gruppo FIAT infatti, il 13 dicembre del 2011 ha firmato con FIM-CISL, UILM-UIL,
UGL Metalmeccanici, FISMIS e associazioni quadri e capi FIAT un accordo definito
specifico di primo livello proprio perché sostitutivo del CCNL che si è aggiunto
all'accordo di secondo livello firmato il 7 febbraio del 2011.
La conseguenza dal punto di vista contrattuale è che quello della FIAT non è più un
caso di contrattazione in deroga peggiorativa al contratto nazionale di categoria ma
di uscita del sistema contrattuale stesso.

Tale scelta comporta la rottura del modello di decentramento coordinato dal centro
e la sua sostituzione con un altro modello basato su due livelli contrattuali ma tra
loro alternativi in modo da sostituire il contratto di categoria con quello aziendale e
favorire cosi un decentramento non controllato o disorganizzato della
contrattazione.
Gli accordi firmati dalla FIAT, a partire da quello di Pomigliano del 2010, contengono

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alcune clausole mirate a garantire l'esigibilità degli stessi ovvero il loro rispetto da 92
parte di tutti i soggetti individuali e collettivi coinvolti nello scambio contrattuale,
Infatti, tali accordi prevedono:
- che le singole disposizioni siano inserite nei contratti individuali di lavoro in modo
da renderle vincolanti per tutti i dipendenti;
- una clausola di responsabilità secondo la quale comportamenti individuale e
collettivi del lavoratori idonei a violare le clausole del contratto collettivo producono
per l'Azienda effetti liberatori.
-->tale disposizione è interpretabile come una clausola di pace sindacale e vincola
solo le organizzazioni sindacali e non i singoli lavoratori.
8. L'accordo Interconfederale tra Confindustria, CGIL,CISL e UIL del 28/06/2011
La vicenda FIAT ha messo in evidenza almeno tre profili critici della relazioni
industriali italiane:
1. la struttura contrattuale a doppio livello e la derogabilità in pejus del contratto
nazionale di categoria da parte di quello decentrato;
2. la mancanza di regole idonee a disciplinare il dissenso tra sindacati nella
stipulazione dei contratti collettivi attraverso la misurazione della loro
rappresentatività;
3. l'efficacia soggettiva dei contratti collettivi e la loro esigibilità;
LA RITROVATA UNITA' SINDACALE  per trovare una soluzione a questi problemi, il
28/06/2011 Confindustria, CGIL, CISL e UIL hanno stipulato un nuovo Accordo
interconfederale che integra e modifica le regole sulla struttura contrattuale definite
nelle precedenti intese del 2009 che CGIL non aveva sottoscritto.
-->Il primo valore dell'accordo del 2011 è rappresentato dal recupero dell'unità
sindacale e la condivisione di nuove regole.
-->il secondo valore dell'accordo riguarda la riconferma del ruolo delle relazioni i
industriali nel sistema economico e sociale: il ruolo era quello di far crescere
attraverso la contrattazione collettiva sia il sistema produttivo ma anche
l'occupazione.
L'INCENTIVAZIONE DEL DECENTRAMENTOin materia di struttura della
contrattazione collettiva, anche il nuovo accordo interconfederale conferma il
principio del doppio livello contrattuale coordinato incentivando il decentramento e
ridimensionando le funzioni del CCNL.

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Tale accordo: 93

1.conferma che le competenze del contratto aziendale sono delegate non solo al
contratto nazionale ma anche dalla legge  questo consente la possibilità di
organizzare un accentramento più disorganizzato.
2. non ripropone la clausola di non ripetibilità a livello decentrato della
contrattazione su materie e istituti già negoziati in altri libelli di contrattazione
contenuta nell'AQ del 2009.
-->In questo modo l'AI pone le premesse per il ridimensionamento delle più
importanti funzioni del contratto aziendale di categoria relative al:
- funzione obbligatoria DI COORDINAMENTO DEL SISTEMA CONTRATTUALE
- Funzione normativa consistente nel definire trattamenti minimi omogenei per tutti
i lavoratori.
Inoltre, all'accordo del 20011 è stata aggiunta una Postilla il 12 settembre
successivo al fine di impedire alle imprese associate il ricorso all'art.8 in cui i soggetti
negoziali hanno ribadito il principio costituzionale secondo cui le materie delle
relazioni industriali e delle contrattazione sono affidate all'autonoma
determinazione delle parti.
Inoltre hanno assunto l'obbligo contrattuale di applicare l'accordo e di far si che le
strutture a tutti i livelli abbiano lo stesso comportamento.
Sempre in relazione all'AI 2011 va precisato che il decentramento fu incentivato con
l'introduzione della disciplina delle clausole in deroga al CCNL tale clausole erano
mirate ad assicurare la capacità dei contratti di aderire alle esigenze dei specifici
contesti produttivi.
Relativamente alle procedure da osservare per la stipulazione di contratti in deroga
peggiorativa, l'AI del 2011 si limita a rinviare la determinazione dei contratti di
categoria, confermando il modello della derogabilità controllata.
In questo modo, la disciplina transitoria, applicabile sino a quando i contratti d
categoria non provvedono a regolare la materia, pone tre condizioni per la stipula
dei contratti in deroga:
1. la prima condizione riguarda gli obiettivi che possono essere quelli di gestire
situazioni di crisi e di favorire lo sviluppo economico occupazionale dell'impresa in
presenza di investimenti significativi;
2. la seconda condizione riguarda gli istituti del contratto collettivo nazionale che
possono essere modificati in pejus e che sono quelli che disciplinano la prestazione

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lavorativa, gli orari e l'organizzazione del lavoro, 94


3. la terza individua i soggetti negoziali degli accordi aziendali derogatori nelle
rappresentanze sindacali (RSA o RSU) del nuovo AI.
La terza condizione è uno strumento di coordinamento tra i livelli negoziali (raccordo
soggettivo) significativa se si considera che gli accordi del 2009 e del 2011 non
prevedano più la regola della co-legittimazione delle RSU e dei sindacati provinciali
di categoria per la contestazione aziendale.
Infine è necessario dire che con l'AI del 2011 le parti:
- hanno disciplinato gli assetti della contrattazione aziendale -->hanno collegato poi
questa dimensione:
 con la dimensione relativa alla rappresentatività delle organizzazioni sindacali
ai fini della legittimazione alla negoziare i contratti aziendali nei confronti dei
lavoratori e delle stesse organizzazioni;

 con la dimensione relativa all'efficacia dei contratti aziendali nei confronti dei
lavoratori e delle stesso organizzazioni sotto-scrittrici dell'AI.

9. Il documento programmatico sulla produttività del 21/12/2012


Nel pieno della crisi economica che caratterizzato il passaggio dal primo al secondo
decennio del nuovo secolo, le pari sociali hanno accolto l'appello dell'allora
Presidente del Consiglio Monti a ricercare delle soluzioni per porre rimedio al deficit
di produttività e di competitività del nostro sistema economico-produttivo -->il
dibattito portò il 21/11/2012 alla sottoscrizione di un documento sulle linee
programmatiche per la crescita della produttività e della competitività in Italia.
Sul piano politico-sindacale tale documento:
- dal lato dei lavoratori è stato sottoscritto da CISL,UIL e UGL e no dalla CGIL.
- dal lato dei datori di lavoro è stato sottoscritto dalle maggiori associazioni come
Confindustria, ABI,ANIA, Alleanza delle Cooperative Italiane,ecc.
Sul piano dei contenuti regolativi invece il documento conferma le due funzioni
tradizionali del contratto nazionale di categoria -->ovvero
- quella di garantire la correttezza dei trattamenti economici e normativi per tutti i
lavoratori;
- definire le competenza della contrattazione decentrata attraverso le clausole di
delega e id uscita per consolidare il sistema di decentramento controllato dal livello

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nazionale. 95

L'accordi infatti prescrive ai CCN di privilegiare il livello decentrato sulle materie e gli
istituti idonei ad incidere positivamente sulla crescita della produttività.
In materia di retribuzione poi conferma:
- competenza del contratto decentrato sulle forme di retribuzione variabile;
- consente al contratto di secondo livello che le regola di assorbire una quota pari
all'aumento retributivo previsto dal contratto nazionale di categoria;

LE CLAUSOLE DI USCITA (seconda motivazione per mancata firma CGIL)-->


consentono di stipulare i contratti decentrati in deroga peggiorativa al contratto
nazionale e consentono.
Inoltre, sempre per favorire il miglioramento della produttività delle imprese, il
documento impegna le parti a diffondere la cultura delle partecipazione e
collaborazione tra le imprese e i lavoratori.
IL SUPERAMENTO DELL'AI 2012 -->dopo la stipulazione dell'accordo per incentivare
la contrattazione decentrata in materia di premi per obiettivi sono state emanate
nuove misure legislative anche sulla detassazione di tali voci retributive.
Per favorire la più ampia applicazione possibile dei benefici previsti dai
provvedimenti legislativi citati CGIL,CISL e UIL hanno sottoscritto unitariamente una
serie di accordi con Confindustria, Confapi, Associazioni artigiane e Cooperative.
In linea con il documento del 2012, tali accordi hanno definito le modalità della
contrattazione aziendale e territoriale in materia di premi per obiettivi hanno
confermato i principi sulla struttura della contrattazione collettiva previgenti al
documento del 2012 che sotto questi profili è stato superato.

10. Gli Accordi interconfederali tra Confindustria, CGIL, CISL e UIL del 31/05/2013 e
del 10/01/2014 e il TU della rappresentanza
Il TU, utilizzando lo stesso criterio adottato nelle amministrazioni pubbliche, prevede
che la rappresentatività dei sindacati sia misurata come media fra il dato associativo
e il dato elettore precisando che nelle unità produttive se sono presenti le RSA e
quindi non vi sono forme di rappresentanza, è rilevato solo il dato degli iscritti.

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I dati sugli iscritti e sui voti devono essere raccolti per ogni ambito contrattuale e per 96
ogni singola organizzazione in modo che il CNEL effettui la ponderazione al fine di
determinare la rappresentanza per ogni singola organizzazione e per ogni contratto
nazionale di categoria.
La rappresentatività cosi misurata serve ai fini dell’ammissione alle trattative per la
stipulazione dei contratti nazionali di categoria: sono legittimate a trattare le
Federazioni delle organizzazioni Sindacali firmatarie dell’AI che abbiano nell’ambito
di applicazione del contratto nazionale da stipulare una rappresentatività media non
inferiore al 5%.

La misurazione della rappresentatività può essere utile anche per affrontare il


problema della presentazione di piattaforme non unitarie problema che emerge
nonostante l’impegno assunto dalle organizzazioni sindacali di favorire in ogni
categoria la presentazione di piattaforme unitarie.

Se questo non avviene, il TU prevede che la parte datoriale favorisca in ogni


categoria che la negoziatone si avvii sulla base della piattaforma presentata da
organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente un livello di
rappresentatività nel settore pari almeno al 50% + 1.

non è prevista una soluzione netta neanche a livello di rappresentatività minima


dei sindacati dei lavoratori necessario per la stipulazione del CCNL con il rischio che
possano essere sottoscritti contratti nazionali con i sindacati complessivamente
monitorati.

Questo rischio è ridimensionato dalla previsione che sottopone l’estensione


dell’efficacia soggettiva del contratto nazionale di categoria a tutti i lavoratori e le
lavoratrici e a tutte le organizzazioni aderenti ai patti firmatari del TU alla duplice
condizione che i contratti collettivi nazionali di lavoro siano sottoscritti dalle
organizzazioni sindacali che rappresentino almeno il 50% + 1 della rappresentanza e
siano approvati mediante consultazione certificata delle lavoratrici e dei lavoratori a
maggioranza semplice.

Di conseguenza, se l’intesa è respinta con il voto espresso dalla maggioranza


semplice dei votanti, essa non potrà spiegare l’efficacia soggettiva prevista.

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Una regolamentazione analoga è prevista anche per i contratti aziendali per il 97


quali il problema dell’efficacia soggettiva è rilevante nei casi in cui essi introducano
modifiche peggiorative al CCNL.

Il TU attribuisce efficacia generale al contratto aziendale che sa approvato:


- nel primo caso dalla maggioranza dei componenti;
- nel secondo caso dalle RSA maggioritarie in base alle deleghe ricevute dai sindacati
di riferimento.

L’efficacia generale opera rispetto al contratto aziendale che deroghi in pejus il


contratto nazionale di categoria parchè ciò avvenga nel rispetto dei limiti procedurali
dettati dal TU.

In caso di sottoscrizione da parte delle RSA è prevista però la possibilità di ricorre ad


un referendum confermativo per la cui validità è necessaria la partecipazione del
50% + 1 degli aventi diritto con conseguenza che anche in questo caso come quello
del CCNL se l’intesa è respinta con il voto espresso dalla maggioranza semplice dei
votanti, essa non potrà spiegare efficacia generale.

Dovere di influenza, clausole di raffreddamento e sanzioni per l’inadempimento


per favorire la coesione e la tenuta del sistema contrattuale nel quale le nuove
regole sono state formulate, le Confederazioni firmatarie dei tre accordi hanno
assunto l’impegno di farle rispettare della organizzazioni di categoria ad essi aderenti
e dalle rispettive articolazioni a livello settoriale e aziendale.
Inoltre per la prima volta hanno convenuto anche sulla necessità di definire
disposizioni volte non solo a prevenire ma anche a sanzionare eventuali azioni che
compromettono il regolare svolgimento dei processi negoziali.

A tal fine il TU prevede che i contratti nazionali di categoria definiscano:


 clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire per tutte le
parti, l’esigibilità degli impegni assunti con il contratto collettivo nazionale di
categoria e a prevenire il conflitto;

 sanzioni di carattere pecuniario che comportino la temporanea sospensione


di diritti sindacali di fonte contrattuale per gli eventuali comportamenti
omissivi o attivi da parte dei contraenti.

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Una disciplina analoga viene dettata anche per i contratti aziendali che devono
prevedere clausole di tregua sindacale e sanzioni finalizzate a garantire l’esigibilità
degli impegni assunti.

Il TU precisa che tali clausole hanno un effetto vincolante:


 per il datore di lavoro

 per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori;

 per le associazioni sindacali espressione delle confederazioni sindacali


firmatarie del TU;

 per le associazioni sindacali che hanno aderito al TU formalmente;

non hanno effetto per i singoli lavoratori: questa precisazione esclude qualsiasi
effetto limitativo dell’adesione individuale allo sciopero (art. 40 Cost.).

Tale precisazione non precisa solo la vincolatività delle clausole di tregua ma implica
anche che il sindacato che appartiene ad una confederazione firmataria del TU o che
non sottoscritte il contratto ZIONALE non può contrapporsi ad esso con il conflitto e
può essere sanzionato.

Queste clausole impongo l’obbligo di tregue anche ai sindacati che non stipulano il
contratto aziendale e questo indebolisce notevolmente la posizione del sindacato
dissenziente ma assicura l’esigibilità del contratto e la sua applicazione.

IL COLLEGGO DI CONCILIAZIONE E ARBITRATO il TU contiene anche una disciplina


transitoria applicabile sono a quando i rinnovi dei contratti nazionali di categoria
definiscano la materia.
Questa prevede che in caso di inadempimento degli obblighi assunti, le
organizzazioni di categoria siano tenute a chiedere la costituzione di un collego di
conciliazione e arbitrato composto dai rappresentanti di entrambe le parti e da un
esperto della materia che riveste la carica di Presidente.

L’ESTENSIONE DELLA REGOLAZIONE nell’ambito di applicazione delle nuove


regole bisogna precisare che dal lato dei sindacati dei lavoratori esse vincolano solo
le associazioni firmatarie ma sono in grado di estendersi anche ad altre
organizzazioni.

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Infatti il TU prevede che la partecipazione di un sindacato non firmatario alla
procedura di elezione delle RSU valga quale adesione all’accordo.

Dal lato delle associazioni imprenditoriali bidona evidenziare che hanno sottoscritto
con CGIL,CISL e UIL accordi interconfederali sulla stessa materia anche:
- Confservizi;

- Confapi;

- A.G.C.I;

Questi accordi riproducono il contenuto delle intese sottoscritte da Confindustria nel


2011 e nel 2013 con differenze legate al tipo di sistema contrattuale.

Ex. nell’AI con le associazioni delle cooperative sono state aggiunte le regole
applicabili alla contrattazione territoriali praticata in quest’aria d’impresa insieme a
quella di ambito nazionale.

L’evoluzione del sistema contrattuale: decentramento coordinato o disorganizzato?

Nell’ottica del sistema contrattuale va sottolineato che se il caso FIAT ha messo in


discussine la tradizionale struttura a doppio livello, gli Accordi interconfederali e
Protocolli successivi l’hanno salvaguardata rendendola molto più decentrata.

Bisogna notare però che i nuovi principi non sempre sono coerenti con l’obiettivo di
favorire il decentramento contrattuale.
Infatti al potenziamento della contrattazione decentrata, dal punto di vista delle
competenze non sempre corrisponde l’impegno ad ampliare anche l’estensione
prevedendo che le piccole imprese possano essere coperte da quella territoriale.

Nel caso in cui i contratti nazionali riconoscono solo il decentramento aziendale, a


lavoratori dipendenti dalle imprese di piccoli dimensioni resta applicabile solo il
contratto di categorie e questo determina una scarta equità nella distribuzione del
reddito ,la centralizzazione di fatto della struttura della contrattazione collettiva.

La sfida per il futuro è quella tra un più deciso potenziamento della contrattazione
decentrata ma controllato e coordinato dal centro e un’irreversibile erosione della
contrattazione collettiva come sistema.

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100
11. il processo di stipulazione e di rinnovo del contratto collettivo

I vari Protocolli e accordi interconfederali stipulati dal1993 in poi hanno rafforzato le


procedure di stipulazione dei contratti collettivi, nazionali e decentrati al fine di:
- Favorire il proficuo svolgimento dei negoziati;

- La oro rapida conclusione;

- E di minimizzare così i costi connessi ai rinnovi contrattuali;

In questa direzione, l’Accordo quadro del 2009 ha anche condizionato al rispetto


delle regole procedurali il riconoscimento di una copertura economica degli
eventuali periodo di carenza contrattuale a favore dei lavoratori in servizio alla data
di raggiungimento dell’accordo.

La legittimazione negoziale il primo aspetto da considerare riguarda la


legittimazione negoziale e rappresentativa delle organizzazioni in particolare di
quelle dei lavoratori in quanto la pluralità dei sindacati può dar luogo ad un conflitto
di rappresentanza tra gli stessi.

Questo ricorre quando più sindacati si dichiarano rappresentativi di una stessa


categoria e l’uno nega l’atro la legittimazione rappresentativa.
Ovvero quando ha luogo il conflitto di giurisdizione.

Questo conflitto non può sorgere nel settore del lavoro pubblico in quanto in esso
vige un sistema legale di misurazione della rappresentatività effettiva delle
organizzazioni sindacali.

Nell’ambito del lavoro privato invece questo è sempre stato tra i conflitti più
vulneranti nei settori nei quali operano i sindacati autonomi non affiliati alle
maggiori confederazioni.

Tali conflitti non hanno criteri di soluzione giuridica nel diritto statuale  o prevale il
sindacato che attraverso la propria capacità di mobilitare i lavoratori riesce ad
imporre agli imprenditori di riconoscerlo come controparte oppure i sindacati
coinvolti trovano un accordo tra di loro o con le controparti.

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Il rinnovo contrattuale per rinnovo del contratto si intende la stipulazione di un 101


nuovo contratto collettivo che sostituisce il precedente e che tale contrattazione non
modifica nella loro globalità le discipline contenute nel contratto scaduto ma le
aggiorna solo sugli istituti e le materie che hanno formato oggetto del conflitto e
sulle quali si è formato il consenso.

La piattaforma rivendicativaprima della scadenza del contratto da rinnovare, le


associazioni sindacali dei lavoratori o le strutture aziendali di rappresentanza
sindacale presentano alle organizzazioni datoriali e rispettivamente ai datori di
lavoro la piattaforma rivendicativa cioè il documenti che contiene l’elenco delle
richieste di modifica del contratto in scadenza.

La piattaforma prima della presentazione è sottoposta ad assemblee sindacali nei


luoghi di lavoro, aperte a tutti i lavoratori.
I tempi di presentazione delle piattaforme e di apertura e svolgimento dei negoziati
sono regolati dai singoli contratti nazionali di categoria.
Le trattative: clausole di raffreddamento e ricorso allo sciopero una volta avviate
le trattative si prolungano nel tempo.
Scaduto il periodo di raffreddamento che ha il fine di consentire che i negoziati si
svolgano in un clima di pace sindacale, questi possono essere intramezzati da
scioperi.
Il ricorso all’azione diretta consente di verificare i rapporti di forza e quindi la
capacità di resistenza di ciascun parte alle reciproche pretese.
Uno sciopero protratto e con forte adesione dei lavoratori può indurre i datori di
lavoro a cedere alle richieste dei sindacati.
Viceversa uno sciopero che abbia poco seguito tra i lavoratori può spingere le
organizzazioni sindacali che l’hanno proclamato a ridurre le proprie pretese.
L’intervento compositivo del soggetto pubblico  in caso di conflitti aspri, in
passato è stato frequente l’intervento di un soggetto pubblico in veste di
compositore.
Tale soggetto poteva essere un rappresentante del governo nazionale o locale non
esistendo modalità di legge per tal intervento compositivo, esso avveniva su richiesta
delle parti o su iniziativa dell’organo pubblico e si concludeva con la formulazione di
una proposta alle quali le parti non erano giuridicamente tenute ad aderire.
L’accordo quadro del 2009 e i successivi contratti di categoria hanno poi previsto che
nei casi di crisi di un negoziato, intervengano le Confederazioni al fine di favorirne la
positiva conclusione.

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L’accordo di rinnovo le trattative terminano con la stipulazione dell’accordo di 102


rinnovo del contratto collettivo.
Tal accordo, alle volte chiamato ipotesi di accordo, è sottoposto alla ratifica dei
lavoratori tramite assemblea o referendum (demarcazione di ratifica).
bisogna ricordare che i vari accordi interconfederali stipulati tra il 2011 e il 2014
prevedono la possibilità di ricorrere ad n referendum confermativo per gli accordi
aziendali sottoscritti dalle RSA e ad una consultazione certificata per i contratti
nazionali di categoria al fine di verificare che i soggetti che li sottoscrivono
rappresentino la maggioranza dei lavoratori cui gli stessi contratti si applicano.
Il contatto per adesionese alla stipulò di un contratto collettivo non abbiano
partecipato una o più organizzazioni sindacali ,queste sono ammesse a sottoscriverlo
a parte in modo da estenderne gli effetti ai propri iscritti.
Tale contrato dal punto di vista formale si presenta distinto dal primo anche se ha lo
stesso contenuto è un contratto per adesione proprio perché l’organizzazione
esclusa è posa dinanzi ad un testo predefinito al quale può solo adeguarsi.

B. I rapporti tra contratti collettivi

1.Premessa.
Ogni singolo rapporto di lavoro risulta regolato, oltre che dal contratto individuale e
dalle norme di legge, da una pluralità di contratti collettivi di natura e di livello
diversi. Questo porta alla nascita di numerosi problemi di individuazione della
regolamentazione del rapporto che nasce dall’integrazione di discipline differenziate,
tra le quali si determinano spesso anche situazioni di concorso-conflitto. I contratti
collettivi hanno una scadenza o, se sono stipulati a tempo indeterminato, ciascuna
delle parti può recedere; di conseguenza i problemi riguardanti la disciplina
applicabile, sono accentuati anche dal fatto che i contratti collettivi si rinnovano e si
succedono nel tempo.

2.La successione di contratti collettivi nel tempo.

L’unico contratto collettivo suscettibile di riprodursi, e quindi succedere nel tempo, è


quello di diritto comune. Nella generalità dei casi le modifiche si risolvono in
miglioramenti retributivi o
normativi del trattamento dei lavoratori; ma è anche possibile che a volte queste
modifiche apportino dei peggioramenti: ipotesi che ricorre in particolare durante i
periodi di crisi e/o di profonda trasformazione della struttura produttiva.

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Tuttavia, se per le modifiche migliorative non si determinano problemi di sorta, 103


mentre la questione dell’ammissibilità delle modifiche peggiorative è
particolarmente complessa. La giurisprudenza tende a risolverla in senso positivo
sulla base della considerazione che il principio dell’immodificabilità in pejus sancito
dall’art 2077, co. 2,c.c. non può trovare applicazione ai rapporti tra contratti
collettivi. Questa linea argomentativa è però insufficiente.
Nel caso in cui il rapporto tra contratto collettivo e individuale, secondo la tesi
dell’incorporazione delle clausole del contratto collettivo nel contratto individuale si
esclude la possibilità che il contratto collettivo successivo possa apportare modifiche
in pejus al contratto collettivo precedente. La clausola di quest’ultimo, infatti, a
seguito dell’incorporazione sarà entrata a far parte del contratto individuale e
troverà applicazione il principio della sua prevalenza qualora contenga una clausola
migliorativa di quanto stabilito dal contratto collettivo.
La disposizione peggiorativa introdotta dal contratto collettivo successivo, potrà
trovare applicazione solo ai contratti individuali di lavoro sottoscritti dopo la sua
entrata in vigore.
Questa tesi, sebbene largamente diffusa non è appagante: da una corretta analisi si
evince che il rapporto di lavoro è oggetto di una concorrenza tra varie fonti di
regolamentazione (legge, contratto collettivo, contratto individuale), ognuna delle
quali ha una propria logica interna e una propria autonomia. In particolare, il
contratto collettivo non perde la sua natura eteronoma rispetto al contratto
individuale e non si incorpora in quest’ultimo, ma trova applicazione al posto della
clausola individuale difforme. Ogni modifica intervenuta nella
sfera di autonomia collettiva si riflette, così , sulla regolamentazione del rapporto
individuale, senza distinzione tra modifiche peggiorative o migliorative apportate dai
contratti collettivi dello stesso livello che si succedono nel corso del tempo.

In altre parole , un contratto collettivo successivo può modificare anche in peggio per
i lavoratori la disciplina di istituti che trovano la loro fonte solo in presedenti
contratti collettivi dello stesso livello; prevarrà, viceversa, la disciplina precedente
ove ne siano fonte disposizioni inderogabili di legge o il contratto individuale. Questa
soluzione appare la più adeguata anche da un punto di vista politico-sindacale.
L’unico limite in materia è costituito dall’intangibilità di quei diritti che siano già
entrati a far parte del patrimonio del lavoratore, quale corrispettivo di una
prestazione già resa nell’ambito, quindi di un rapporto o di una fase del rapporto già
esaurita. Si tratta dei c.d. diritti quesiti o acquisiti.

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Un esempio: il sindacato nella sua attività contrattuale non potrà disporre della 104
maggiorazione per il lavoro straordinario già prestato dal lavoratore; essa è
determinata dal contratto collettivo vigente al momento della prestazione.
Ma ciò non legittima il lavoratore a pretendere che nei suoi confronti quella
maggiorazione rimanga per il futuro nella misura determinata dal precedente
contratto, nonostante la sua successiva riduzione.

3.L’efficacia nel tempo del contratto collettivo.

Accade spesso che la trattativa, per quanto avviata prima della scadenza del
contratto collettivo, non riesca ad esaurirsi prima di quel termine. Si determina così
un periodo di vacanza contrattuale- cioè un vuoto normativo, dal momento che ha
perso efficacia il contratto scaduto e non è stato ancora stipulato il contratto nuovo-
e il datore di lavoro, non più tenuto al rispetto del contratto collettivo scaduto, può
convenire pattuizioni individuali peggiorative dei trattamenti minimi previsti da
quest’ultimo, fatti salvi i diritti quesiti. Non
manca però la giurisprudenza che afferma il principio contrario: è propria della
funzione del contratto collettivo la sua ultrattività,--> cioè la conservazione della
sua efficacia fino alla sostituzione da parte del successivo contratto, perlomeno per
le clausole retributive.
Il problema non può essere risolto con il richiamo all’art. 2074 c.c. che pure
esplicitamente dispone l’ultrattività dei contratti collettivi, perché tale norma
concerne il contratto collettivo corporativo e, secondo una giurisprudenza
consolidata, non è applicabile anche al contratto collettivo di diritto comune.
In concreto, peraltro, i contratti collettivi di diritto comune contengono spesso
clausole che esplicitamente ne sanciscono l’ultrattività.
Una clausola del genere non sempre, però, è rinvenibile nel testo contrattuale.
Il Protocollo del ’93 e l’Accordo Quadro del 2009 hanno affrontato il problema, ma in
modo indiretto, cioè regolando tempi e procedure negoziali. Queste discipline,
tuttavia, hanno solo il fine di disincentivare comportamenti dilatori e ritardi che,
dunque restano sempre possibili.
Un altro tipo di problema si pone quando il nuovo contratto collettivo contiene
clausole che prevedono la retroattività del nuovo regolamento contrattuale. La
norma preclusiva dettata per i contratti collettivi corporativi non può essere estesa ai
contratti collettivi di diritto comune. Oggi pertanto i contratti possono,
legittimamente contenere clausole che ne facciano decorrere gli effetti da date
anteriori a quella della stipulazione.

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Delicata è l’ipotesi in cui la nuova regolamentazione collettiva, dotata di clausole di 105


retroattività, sia meno favorevole per il lavoratore. La modifica in pejus viene
ammessa dalla giurisprudenza anche con portata retroattiva, purché il diritto
scaturente dalla regolamentazione precedente non sia già entrato nel patrimonio del
prestatore di lavoro.

4.Il concorso-conflitto tra contratti di diverso livello

Un problema particolarmente discusso è il rapporto tra contratti collettivi di diverso


lavoro che genera conflitti di regolazione.
Può accadere che contratti collettivi di diverso livello regolino la stessa materia o
istituto, dettando discipline in contrasto tra loro (per esempio quando il contratto
decentrato introduca su un istituto una disciplina peggiorativa di quella prevista dai
contratti di livello superiore), sì da porre il problema della individuazione di un
criterio risolutore del contrasto stesso.
Il problema si pone allorché singoli lavoratori dissentono dai contenuti dell'accordo
peggiorativo di secondo livello e contestino l'applicazione di quest'ultimo al proprio
rapporto di lavoro, rivendicando quella delle clausole più favorevoli contenute nel
contratto di livello superiore.
Il conflitto di regolazione è disciplinato in via generale dalla legge, che attribuisce un
ruolo ordinante al contratto nazionale e sanziona con la nullità il contratto
decentrato che lo violi.

Va precisato che il conflitto trova più agevole soluzione allorchè nel sistema
contrattuale siano presenti clausole che disciplinano espressamente il rapporto tra i
livelli;
Si pensi al caso in cui il contratto nazionale di categoria contenga una clausola di
uscita,(disciplinano espressamente il rapporto tra i livelli) consentendo che, in
alcune ipotesi, il contratto aziendale o territoriale possa derogarlo in pejus: è proprio
il contratto nazionale, infatti, a disporre che debba trovare applicazione la clausola
del contratto di livello inferiore, a condizione che quest’ultimo rispetti i presupposti e
i limiti eventualmente posti dallo stesso contratto nazionale. In questi casi, nessun
lavoratore, anche non iscritto, potrà sottrarsi alla disciplina peggiorativa di secondo
livello: accettando l'applicazione al proprio rapporto della disciplina e delle tutele del
contratto nazionale di categoria, infatti i lavoratori accettano anche le competenze
derogatorie di quelle tutele che esso riconosce al contratto decentrato e non
possono, dunque, sottrarsi alle deroghe adottate da quest'ultimo; è evidente che

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quanto è più ampia è la possibilità di deroga ammessa dal contratto di livello 106
superiore, tanto meno il problema è destinato a porsi.
Quando i conflitti tra clausole contrattuali di diverso livello hanno cominciato ad
emergere, la giurisprudenza ha affermato il principio dell’inderogabilità in pejus del
contratto nazionale di categoria da parte di quello di livello inferiore, fondando tale
tesi sull’applicazione dell’art. 2077 c.c. anche al rapporto tra contratti collettivi per di
più di diritto comune.
A partire dagli anni ’80 la Cassazione in numerose pronunce ha affermato la
prevalenza della regolamentazione dettata dal contratto posteriore nel tempo, che
fosse di livello superiore o inferiore, ovvero migliorativo o peggiorativo rispetto al
contratto collettivo preesistente.
Un altro criterio per risolvere il conflitto di regolazione, suggerito dalla dottrina, è
stato quello della specialità, secondo cui il contratto prevalente sarà quello più vicino
alla situazione da regolare (dunque quello di livello inferiore). Tale criterio non può,
però, essere applicato indiscriminatamente. Affinché la sua utilizzazione sia corretta
è necessario anche che i diversi contratti siano stati stipulati dalle medesime
organizzazioni.
Alla riflessione giuridica in materia si è interessata anche la regolamentazione
negoziale del rapporto tra livelli contrattuali che, a partire dal Protocollo ’93 e dai
successivi ccnl, ha dato un assetto sistematico al sistema contrattuale,
generalizzando il metodo delle c.d. clausole di rinvio e di non ripetibilità per
determinare le competenze del contratto decentrato.
Il problema del conflitto tra normative contrattuali di diverso livello non può però
automaticamente dirsi risolto con le clausole di non ripetibilità e di rinvio delle
competenze contenute nel ccnl, poiché tuttora è controversa la natura giuridica e
l’efficacia di tali clausole. In particolare, solo una parte minoritaria della dottrina
riconosce ad esse un’ efficacia reale, cioè tale da determinare l’invalidità giuridica
e,quindi, l’inapplicabilità della norma contrattuale di livello inferiore; un’altra parte
ritiene, al contrario, che esse non abbiano una simile efficacia, con la conseguenza
della piena validità ed efficacia della norma del contratto decentrato, seppure lesiva
della clausola di rinvio del ccnl.
La giurisprudenza recente è comunque oscillante a riguardo.
Con riferimento alla più recente evoluzione dei rapporti industriali, si può, poi,
aggiungere che la possibilità di individuare la soluzione del conflitto di regolazione
adottando il criterio dell’interpretazione del sistema contrattuale, invece che gli altri
criteri sopra descritti, è attualmente messa in crisi dall’Accordo Quadro 2009, che ha
sì sostituito con nuovi principi quelli introdotti dal Protocollo ’93, ma nel dissenso
della Cgil. Pertanto, i principi del ’93 e le regole applicative contenute nei contratti

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successivi non vincolano più le parti che hanno aderito all’Accordo del 2009; invece, i 107
nuovi principi introdotti da quest’ultimo non vincolano la Cgil che non ha sottoscritto
il relativo accordo. Dunque se i principi contenuti nell’AQ 2009 vengono attuati
mediante accordi interconfederali e/o nazionali di categoria sottoscritti
separatamente, si può legittimamente dubitare che le regole in essi contenute
possano fungere da criterio di giudizio del concorso-conflitto tra contratti collettivi di
diverso livello, poiché su di esse non converge un consenso sufficientemente
generalizzato. Il contrario può dirsi, invece, ove tali accordi siano stipulati
unitariamente.
Nei casi in cui le regole sul sistema contrattuale siano contenute in accordi
interconfederali e/o in contratti nazionali di categoria sottoscritti separatamente, si
accentua il rischio dello sviluppo di un contenzioso giudiziario attivo da parte di
lavoratori non iscritti ai sindacati firmatari delle intese di livello superiore e dei
contratti derogatori.
Al contrario, l'equilibrio del sistema e la stessa tenuta degli accordi decentrati nel
contenzioso attivato da lavoratori “dissenzienti” appare meglio garantito nei casi in
cui le regole siano dettate in accordi stipulati unitariamente.
Di grande rilievo, in questa prospettiva, è la regolamentazione interconfederale con
la quale, proprio per arginare gli effetti destabilizzanti sul sistema contrattuale
determinati dagli accordi separati, le parti sociali hanno ri-regolato unitariamente il
rapporto tra i livelli contrattuali:
⁃ da un lato, precisando le condizioni alle quali il contratto aziendale prevale su
quello nazionale di categoria;
⁃ dall'altro, stabilendo i presupposti per far acquisire efficacia erga omnes al
contratto stesso.
La capacità di tenuta del sistema e la riduzione del rischio di un contenzioso
giudiziario proposto da singoli lavoratori è strettamente legato al concreto rispetto,
negli accordi decentrati, di tutti i presupposti e limiti, anche procedurali, stabiliti dal
livello superiore nelle clausole di rinvio e in quelle di uscita.
Nella successione di contratti collettivi di diverso livello è consentita la modifica in
peius del trattamento dei lavoratori, sempre che non si incida su disposizione di
legge inderogabili o su istituti regolati sulla base di contratti individuali di lavoro e
fatti pur sempre salvi i diritti quesiti, cioè già entrati a far parte del patrimonio del
lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa.
L'art. 8 D.Lgs. n. 138/2011 ha provveduto a :
⁃ dettare una disciplina dei rapporti tra livelli,
⁃ a stabilire le modalità di estensione dell'efficacia soggettiva del (solo) contratto
decentrato.

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Essa attribuisce la facoltà di introdurre deroge peggiorative alle regolamentazioni dei 108
contratti nazionali di categoria a intese decentrate che abbiano talune caratteristiche
specificamente individuate dal legislatore.
Tali intese:
⁃ devono avere ad oggetto una o più materie rientranti in un elenco
⁃ devono rispettare la Costituzione e i vincoli derivanti dalle normative
sovranazionali
⁃ devono perseguire una tra le numerose e articolate finalità selezionate
⁃ devono essere realizzate nel contesto di contratti collettivi di lavoro, a livello
territoriale o a livello aziendale.
La disposizione individua attori e funzioni dei contratti collettivi e disciplina i rapporti
tra
contratti di diverso livello, sovrapponendosi all'autonomia delle parti.
Infatti, il legislatore:
→ verifica l'obiettivo di introdurre una derogabilità controllata del contratto
nazionale di
categoria.
→ amplia a dismisura, al di là di ciò che le organizzazioni sindacali erano disposte a
concedere, gli spazi per le possibili deroghe al medesimo CCNL.
→ La legge non solo ha aperto la strada ad un decentramento contrattuale
disorganizzato,
ma si è anche sovrapposta alla regolamentazione autonomamente definita dalle
parti sociali.
Conflitto di regolazione e P.A. : è necessario dar conto della specifica
regolamentazione
dei rapporti tra livelli dettata per la contrattazione nella P.A.

C)La contrattazione e la legge.

1.L’inderogabilità unilaterale della legge.

La regolamentazione del rapporto di lavoro: il risultato della combinazione delle


regole
dettate dal contratto individuale, dai contratti collettivi e dalla legge.
L'autonomia privata è subordinata alla legge.
Le norme di legge predispongono un livello di tutela minima per i lavoratori
mediante norme unilateralmente inderogabili e il contratto collettivo, al pari del
contratto individuale di lavoro, in linea generale può apportare deroghe migliorative

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al trattamento dei lavoratori, ma non può dettare disposizioni peggiorative della 109
tutela predisposta dalla legge.
In sintesi anche il rapporto tra contratto collettivo e legge, salvo diversa
disposizione, è ispirato alla regola della derogabilità in melius / inderogabilità in
peius e la clausola del contratto collettivo che detti una disciplina contrastante e
peggiorativa rispetto alla norma di legge sarà nulla.
Questo schema classico non è però privo di eccezioni, ovvero:
⁃ per rispondere ad esigenze economiche e di governo del mercato del lavoro;
⁃ numerosi interventi legislativi vi hanno apportato deroghe sotto un duplice profilo:
1. ''Autorizzando'' il contratto collettivo ad integrare, sostituire o derogare in pejus
quanto da essi stabilito (flessibilità contrattata o contrattazione delegata)
2. sia imponendo al contratto collettivo di non disporre trattamenti migliorativi di
quelli da essi indicati (c.d. tetti).

2.I rinvii legali alla contrattazione collettiva


La prima ipotesi è quella del ‘garantismo collettivo’. Con essa si vuole sottolineare il
passaggio da una tutela rigida(in quanto imposta direttamente dalla legge)del
singolo lavoratore come contraente debole, a forme di tutela più flessibili, perché la
legge prevede che il contratto collettivo possa attenuarle. Questa più stretta
integrazione funzionale tra legge e contratto collettivo viene realizzata mediante il
ricorso a tecniche diverse:
a. La norma legale pone una regola e, contemporaneamente, consente al contratto
collettivo di derogarla: è il caso dell’art. 2120 c.c. (come modificato dalla l. 29 maggio
1982 n. 297), il quale prevede che, ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto,
siano considerate tutte le
voci non occasionali della retribuzione annua ma contemporaneamente autorizza i
contratti collettivi a disporre diversamente;
b. La norma legale pone una regola suppletiva, da applicare quando la materia non
sia disciplinata da un contratto collettivo: è il caso dell’art. 5,l. 23 luglio 1991, n. 223
sui criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità;
c. La norma legale pone una regola di massima e attribuisce al contratto collettivo il
compito di integrarla: per esempio, in materia di contratto di inserimento, il
legislatore detta una disciplina quadro della materia e affida la regolamentazione
delle modalità di definizione dei piani
individuali di inserimento ai contratti collettivi;
d. La norma legale pone una regola di massima e attribuisce al contratto collettivo il
compito di integrarla, ovvero pone una regola e attribuisce al contratto collettivo la

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possibilità di derogarla, ma con l’aggiunta che, se le parti non raggiungono l’accordo, 110
l’integrazione viene disposta dal
Ministro del Lavoro.
e. La norma legale affida al contratto collettivo la regolamentazione di una materia
ma, contemporaneamente, affida ad un’autorità amministrativa indipendente (non
subordinata al potere politico) sia il controllo del rispetto dei vincoli da essa stessa
posti, sia un potere sostitutivo nel caso le parti non realizzino l’accordo.
Questa è la tecnica normativa utilizzata per la determinazione, nei servizi pubblici
essenziali, delle prestazioni indispensabili che devono essere garantite agli utenti in
occasione di
scioperi.
Va sottolineato che l’ipotesi d) implica un potenziale ridimensionamento del ruolo
della contrattazione collettiva. La possibilità di richiedere l’intervento del Ministro
del lavoro, può indurre l’una o l’altra parte negoziale a preferire l’atto amministrativo
agli incerti esiti della contrattazione collettiva, disincentivando il ricorso a
quest’ultima.

3. Segue l'art 8, d.l.n. n.138/2011

Tale articolo ha introdotto un'innovazione rispetto all'ipotesi a).


Tale norma si segnala per due fondamentali novità:
1--> attribuisce ai contratti collettivi di secondo livello la facoltà di derogarla in pejus
alle discipline legislative e alle previsioni dei contratti nazionali di categoria, con
potenziali effetti di ridimensionamento delle tutele sinora riconosciute.
2--> Riconosce ai contratti di secondo livello efficacia erga omnes.
La ratio è quella di consentire la flessibilizzazione e la diversificazione della
disciplina dei rapporti individuali di lavoro ad opera dei contratti decentrati e di
garantire la loro applicazione generale, neutralizzando, sul piano giudiziario e del
conflitto collettivo, il dissenso di singoli lavoratori e di gruppi organizzati.
L'art. 8 sancisce anzitutto l'efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati di
“specifiche intese”, realizzate nel contesto di contratti collettivi di lavoro sottoscritti a
livello aziendale o territoriale.
Tale efficacia è condizionata al fatto che le intese siano “sottoscritte sulla base di un
criterio maggioritario relativo alle predette rappresentanze sindacali” e che siano
“finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro,
all'adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro
irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi
aziendali e occupazionali, agli investimenti e all'avvio di nuove attività”.

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Secondo l'interpretazione più condivisibile, tali effetti possono essere prodotti solo 111
dalle intese sottoscritte nel rispetto dei presupposti e dei limiti dettati dall'art. 8 e dai
soggetti in esso selezionati, e cioè dai contratti collettivi che siano stipulati:
- a livello territoriale, “da associazioni dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale o territoriale”
- a livello aziendale, da queste stesse associazioni o dalle loro rappresentanze
sindacali operanti in azienda .
Vanno certamente ricomprese anche le (sole) RSA, escluse quelle che non siano
costituite nell'ambito di associazioni dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale o territoriale.
Criterio maggioritario: le intese, al fine di acquisire efficacia erga omnes, devono
essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette
rappresentanze sindacali.
Tale criterio è però ambiguo, una parte della dottrina ha proposto di recuperare i
criteri previsti a questo fine dall'AI Confindustria; un'altra parte della dottrina,
invece, ritiene rispettato il criterio maggioritario ove l'accordo sia sottoscritto dalla
maggioranza dei componenti delle RSU o, in mancanza di queste, mediante il
necessario ricorso al referendum tra i lavoratori interessati.
Relativamente alle materie sulle quali le intese possono incidere, va sottolineato che
l'elenco va interpretato in senso restrittivo.
Inoltre, le intese derogatorie dovranno essere adottate nel rispetto della
Costituzione e dei vincoli derivanti dalle normative sovranazionali.

4.I limiti legali alla contrattazione collettiva.


L’ipotesi dell’inderogabilità in melius della legge da parte dei contratti collettivi
e nel corso del tempo ha sollevato molteplici problemi di costituzionalità, specie in
relazione ad una possibile violazione dell’art. 39 Cost. : il porre limiti alla
contrattazione collettiva implica, infatti, una restrizione della libertà sindacale, che
comprende anche la libera determinazione dei contenuti della contrattazione.
Si sostiene, tuttavia, che l’illegittimità costituzionale di norme che pongono limiti alla
contrattazione collettiva deve essere esclusa quando l’intervento legislativo sia il
risultato finale di un procedimento nel quale l’intervento dell’autonomia collettiva
stessa sia stato essenziale.
La Corte Costituzionale non ha dato una soluzione definitiva al problema della
legittimità di interventi legislativi limitativi della contrattazione collettiva. La
questione rimane aperta, ma almeno due punti possono dirsi acquisiti: da un lato,
che non esiste una riserva normativa in favore della contrattazione che escluda la
legittimità di interventi legislativi su materie regolate dai contratti e,

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dall’altro, che la contrattazione collettiva trova una tutela costituzionale di principio 112
nel comma 1 dell’art. 39 Cost.
Infine nello scorso decennio, la norma legale ha disposto, talvolta, che la
contrattazione collettiva non possa regolare alcune materie; ma è lecito dubitare
della legittimità costituzionale di simili normative.

CAPITOLO 11 – L’AUTOTUTELA E IL DIRITTO DI SCIOPERO –

1. L’autotutela degli interessi collettivi


L’autotutela degli interessi collettivi costituisce una delle manifestazioni essenziali
della coalizione sindacale.

Essa può esprimersi in una varietà di comportamenti Lo sciopero dei lavoratori è
la forma più tipica.
Il denominatore comune di tutte le manifestazioni di autotutela è l’esercizio di una
pressione a difesa di interessi collettivi tale pressione è indirizzata nei confronti
della controparte del conflitto sindacale.

L’ordinamento giuridico però non valuta nello stesso modo tutte le manifestazioni
di autotutela:
 Vi sono forme che costituiscono un diritto parliamo dello sciopera come
accade in Italia;
 Vi sono forme che sono solo espressione di libertà come la serrata dei datori
di lavoro;
 Vi sono forme vietate dalla legge e la violazione del divieto può costituirsi:
- Illecito civile;
- Illecito disciplinare;
- Illecito penale;

2. Sciopero e diritto: i tratti storici


Nel nostro ordinamento ottocentesco, lo sciopero era considerato un reato.
Infatti il codice penale sardo puniva tutte le intese degli operai allo scopo di
ostacolare l’attività lavorativa senza una ragionevole causa.
La repressione penale dello scioperato era conseguenza dell’ostilità dell’ordinamento
giuridico verso le colazioni per la tutela di interessi economici che potessero
riesumare le antiche corporazioni.

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IL CODICE ZANARDELLI Nel 1889, con l’emanazione del codice penale (c.d. codice 113
Zanardelli) venne abrogato il divieto di e lo sciopero non fu più considerato un fatto
perseguibile penalmente parchè posto in essere senza violenza e minaccia.

SCIOPERO O ORDINAMENTO CORPORATIVO Con l’ordinamento corporativo si


ritornò alla repressione penale e furono create alcune figure di reato che poi
passarono nel codice penale del 1931 (c.d. CODIECE ROCCO) tuttora vigente.
Dagli art. 502-508 il c.p. sanziona come delitti contro l’economia pubblica tutti i
mezzi di lotta sindacale come:
- serrata ai fini contrattuali e non;
- sciopero;
- coalizioni;
- boicottaggio;
- sabotaggio;
- occupazione arbitraria dell’azienda;
Con gli art. 330-333 si considerava reati contro la PA:
- l’interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità;
- l’abbandono individuale di un pubblico servizio, ufficio o lavoro.
Queste norme dopo la promulgazione della Costituzione italiana non furono
abrogate dal legislatore.

3. Lo sciopero nella Costituzione


Nella Carta Costituzionale, la norma fondamentale in materia di conflitti di lavoro è
l’art.40 che garantisce l’esercizio del diritto di sciopero nell’ambito delle leggi che lo
regolano.
IL NESSO TRA ART 39 e 40 Cost. il riconoscimento del diritto di sciopero conferisce
al principio di libertà di organizzazione sindacale (art. 39 Cost.) un potente
strumento di effettività in quanto proprio la garanzia dello sciopero consente
all’organizzazione sindacale di esistere e di operare nell’ambito di un sistema
economico incentrato sul mercato e sull’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.).
Si può affermare quindi che l’art.40 della Cost. svolge un ruolo quasi di garanzia della
libertà personale.

Nella Costituzione italiana quindi, mentre:


 Lo sciopero costituisce l’esercizio di un diritto;
 La serrata, come mezzo di lotta nel conflitto collettivo, non trova una
qualificazione giuridica specifica;

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L’art.40 è la norma costituzionale nella quale più si rileva il conflitto tra lo Stato 114
sociale contemporaneo e lo Stato liberale.

STATO LIBERALE si fondava sulla base del principio dell’uguaglianza formale del
cittadino di fronte alla legge;

STATO SOCIALE tende alla realizzazione di un’uguaglianza sostanziale.


Il diritto alla sciopero quindi è uno strumento finalizzato a rimuovere la
disuguaglianza sociale nei rapporti tra il lavoratore e il datore di lavoro.

DIRITTO ALLO SCIOPERO è un mezzo per la promozione dell’effettiva


partecipazione dei lavoratori alla trasformazione dei rapporti economico-sociali.

LA SENTENZA CHE DICHIARO’ INCOSTITUZIONALE IL REATO DI SERRATA O


SCIOPERO facciamo rifermento alla sentenza della Corte costituzionale n.29 del
1960 che dichiarò illegittimo l’art 502 del c.p che prevedeva a puniva il reato di
serrato o sciopero per fini contrattuali a causa dell’incompatibilità con gli art. 39 e 40
della Cost.

LA PRECETTIVITA’ IMMEDIATA DELL’ART 40 COST.  inoltre, sempre nella sentenza


n.29 del 1960, la corte riconobbe la percettività immediata dell’art.40 affermando
che quella norma avesse un carattere programmatico e non avesse efficacia cogente
sino all’emanazione di leggi di regolamentazione.

Anzi, la corte affermò l’incompatibilità del divieto penale di sciopero e serrata con il
nuovo ordinamento democratico in quanto l’art.502 c.p. nega la libertà sindacale
garantita nell’art. 39Cost.
La Corte sottolineò la stretta connessione tra l’art. 40 e l’art.39 della Cost.
Affermando che sebbene enunciati in 2 distinte norme:
- Il principio della libertà di sciopero;
- Il principio della libertà sindacale
Non sono coniugati e quindi di conseguenza il significato dell’art. 39 non può essere
circoscritto entro i limiti di una mera libertà organizzativa mentre l’art. 40 si presenta
come un’affermazione integrale alla libertà di azione sindacale.

4. Lo sciopero nel diritto dell’UE

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LA CARTA DI NIZZA Il riconoscimento dello sciopero come diritto fondamentale 115
viene operato anche nell’ordinamento dell’UE.
La carta di Nizza riconosce una pluralità di diritti fondamentalifra questi il diritto di
negoziazione collettiva e di sciopero.
Infatti, l’art 28 afferma che i lavoratori e i datori di lavoro o le rispetti organizzazioni
sindacali hanno il diritto di:
- Negoziare e concludere contatti collettivi;
- Diritto di sciopero;
La Carta ha acquisito un valor giuridicamente vincolante con il Tratto di Lisbona
(entrato in vigore il 1/12/2009) che rinnova il contenuto dell’art.6 del TUE che
sancisce che l’UE riconosce i diritti e le libertà sancirti dalla Corte dei diritti
fondamentali dell’UE adottata nel dicembre del 2007.

L’UE riconosce quindi come diritto fondamentali il diritto di azione collettiva ma non
fornisce una sua regolamentazione che rimette alla competenza dei legislatore degli
stati membri.
Infatti, l’art. 153 del Trattato, all’interno dei diritti sociali fondamentali definisce
quelle che sono le materie fuori dalla competenza dell’UE:
- Retribuzione;
- Diritto di associazione;
- Diritto di sciopero;
- Serrata;

5. Lo sciopero come diritto: conseguenza


La qualificazione dello sciopero come diritto costituzionalmente garantito
determina implicazioni in varie direzioni.
Fin dall’inizio, la dottrina sottolineò come lo sciopero dovesse essere inteso come
diritto pubblico di libertà questo significa che la orma opera nei rapporti tra lo
Stato e il cittadino.

Il diritto di sciopero esplica i suoi effetti anche nei rapporti intersoggettivi privati,
inibendo al datore di lavoro la possibilità di compiere nella gestione del rapporto di
lavoro, atti diretti a modificare l’esercizio del diritto.

La partecipazione ad uno sciopera in quanto esercizio di un diritto, costituisce un


fatto giuridicamente lecito e non un inadempimento contrattuale anche se
naturalisticamente consiste in una mancata esecuzione ella prestazione lavorativa.

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È proprio a tal fine che si superano i principio dello Stato liberala quindi non si parla 116
più di libertà di sciopero diritto di sciopero.

L’esercizio del diritto di sciopero inoltre produce la sospensione delle due


obbligazioni fondamentali del rapporto di lavoro:
- Il lavoratore ha la facoltà di non prestare il lavoro e quindi viene meno
l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere la retribuzione.
Se lo sciopero non fosse riconosciuto come diritto, alla mancata retribuzione
corrisponderebbe anche una sanzione disciplinare per il lavoratore e l’eventuale
licenziamento.

6. La titolarità del diritto di sciopero


Dal legame emergenza tra l’art.3 comma 2 e l’art 39 della Cost. possiamo dire che la
titolarità del diritto di sciopero spetta:
- Ai lavoratori organizzati in un sindacato;
- Ai lavoratori non organizzati in un sindacato;
Inoltre, il diritto di sciopero può essere definito come un diritto individuale ad
esercizio collettivo la sua titolarità spetta ad ogni singolo lavoratore anche se il suo
esercizio si esplica collettivamente.

7. Gli scioperi dei lavoratori parasubordinati e le astensioni degli autonomi


Un problema distinto lo abbiamo qualora i titolari del diritto di sciopero siano solo i
lavoratori subordinati o il lavoratori che hanno stipulato un contratto diverso.

A tal fine è necessario dire che una sentenza della corte costituzionale del 1975
dichiarò illegittima la serrata per gli esercenti delle piccole industrie e commerci privi
di lavoratori alla proprie dipendente (art. 506 c.p.) per contrasto con l’art.40 Cost.

Infatti era errato considerare la serrata come una protesta degli imprenditori in
quanto si tratta di un comportamento che non influisce sul rapporto di lavoro in
quanto svolgono un’attività di impresa solo con il loro lavoro e non sono qualificabili
come datori di lavoro.
Successivamente la Corte di cassazione riconobbe la titolarità del diritto di sciopero
ai lavoratori in condizioni di para-subordinazione.

Nel caso affrontato dalla corte costituzionale, si faceva riferimento si medici


convenzionati che con la loro astensione al lavoro, miravano a costringere il sistema
sanitario nazionale a concedere delle condizioni di lavoro più favorevoli.

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117
NBLo sciopero è storicamente uno strumento di lotta di gruppi sociali che mirano
a riequilibrare il loro deficit di forza sociale quindi se la disuguaglianza non sussiste:
 Né l’astensione al lavoro può configurarsi come sciopero;
 Né può trovare applicazione nell’art. 40 Cost.
In conformità a questo, è necessario dire che la corte costituzionale ha escluso che
potesse qualificarsi come sciopero l’estensione alle udienza degli avvocati e non ha
esteso la validità della propria sentenza agli imprenditori con uno e due lavoratori
alle sue dipendenze.

8. Natura giuridica del diritto di sciopero


Alcuni autori hanno definito il diritto di sciopero come un diritto potestativo del
lavoratore.
L’esercizio di questo diritto costituirebbe un negozio giuridico che produce l’effetto di
far venir meno il diritto del datore di lavoro alla prestazione lavorativa.

Sarebbe così legittimo solo lo sciopero motivato da interessi connessi allo


svolgimento del rapporto con l’imprenditore da cui il prestato dipende.

In questa costruzione denominata disponibilità della pretesa, lo sciopero per essere


legittimo, deve essere praticato solo a sostegni di rivendicazioni che possano essere
soddisfatte dal datore di lavoro.

Tale dottrina lascia però fuori molti fenomeni dello sciopero come quello nei
confronti della pubblica autorità o lo sciopero di solidarietà.

Cosi facendo quindi, il diritto di sciopero non è più visto come diritto potestativo ma
come diritto assoluto della persona, condizionato all’esistenza di un contratto ma
non inerente necessariamente al rapporto giuridico con il datore di lavoro.

È più convincete parlare quindi dello sciopero come negozio si può notare che nel
comportamento del lavoratore che attua lo sciopera non si nota alcun intento
negoziale.
Questi intento potrebbe essere individuato nella proclamazione della sciopero d
parte dell’organizzazione sindacale che assumerebbe la natura di negozio di
autorizzazione a scioperare.

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In questo modo però la legittimità dello sciopero discenderebbe dalla sua 118
proclamazione da parte di un sindacato ma la titolarità dello sciopero è dei
lavoratori.

SCIOPERO COME FATTO GIURIDICO quindi dal punto di vista della natura
giuridica, è necessario dire che lo sciopero viene trattamento come un
comportamento rilevante e quindi come fatto giuridico.

Infatti, nell’ordinamento viene assunto come rilevato il fatto che i lavoratori si


astengano per la difesa di un interesso collettivo ricollega l’effetto giuridico della
sospensione del rapporto di lavoro.
Lo sciopero quindi può essere definito come un comportamento non attuativo di
una prestazione di lavoro.
A tal fine quindi è possibile risorse il problema tra lavoratori e associazione sindacale
non è necessaria la proclamazione della sciopero da parte di quest’ultima.

La proclamazione assume solo il significato di un invito a scioperare.


Affinché quindi vi sia l’esercizio del diritto di sciopero è necessario che un gruppo di
lavoratori attui l’estensione dal lavoro.

9. Sciopero e retribuzione
L’effettuazione di uno sciopero sospende, per il lavoratore che vi abbia partecipato il
diritto sulla retribuzione.

A tal fine però è necessario fare una serie di precisazioni:

LO SCIOPERO NON SOSPRENDE I DIRITTI SINDACALI Tale sospensione non si


estende a diritti diversi da quelli relativi alla retribuzione.
La giurisprudenza ha sottolineato che essa non incide sulla sfera dei diritti sindacali.

EFFETTI SUGLI ELEMENTI ACCESSORI ALLA RETRIBUZIONE la giurisprudenza ha


affermato che la sospensione della retribuzione deve essere riferita a tutti gli
elementi che hanno carattere retributivo come la tredicesima mensilità e altre
mensilità aggiuntive.
In questi casi sarà legittimata la trattenuta operata in misura proporzionale alla
durata dello sciopero.

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EFFETTO SLLE FERIE Si ritiene che anche il periodo di ferie vado ridotto 119
proporzionalmente alla durata dello sciopero.

A tal fine è necessario dire che l’argomentazione è che il diritto alla ferie retribuite
vada a rispondere all’esigenza di reintegrare le energie del lavoratore spese durante
un anno di lavoro, ma non avendo durate il periodo di sciopero speso alcuna energia
collegabile alla prestazione di lavoro, ne consegue che il periodo di ferie deve essere
congruamente ridotto.
Nbla gratifica natalizia, le ferie e il TFR sospendono solo le prestazioni di lavoro ma
non sospendo il rapporto di lavoro.
SCIOPERI BREVI E UTILITA’ DELLA PRESTAZIONE nel momento in ci parliamo degli
scioperi brevi facciamo riferimento a quelli di durata inferiore alla giornata di lavoro.

È stato sostenuto che in questi casi la trattenuta sulla retribuzione deve essere
operata non in proporzione alla durata della sciopera ma alla diminuita utilità della
prestazione.
Quindi il lavoratore deve realizzare un prestazione che non sia utile per sé ma che
realizzi l’utilità economia finale a cui l’organizzazione produttiva è proposta.
Quindi al lavoratore non spetta nulla nel momento in cui il datore di lavoro abbia
trovato poco utile l’utile economia finale a cui l’organizzazione produttiva è preposta
che dipende:
- Tipo di organizzazione predisposta dal datore di lavoro;
- Natura dell’attività produttiva;

Si può anche parlare di un’unità tecnico-temporale in frazionabile, al di sotto della


quale l’attività lavorativa non ha alcun significato, esaurendosi in un’erogazione di
energia senza scopo.

Ex. Interruzione del servizio di trasporto in località in ci non è possibile ripartire.

Quindi l’utilità del risultato deve essere misurata in relazione alla natura della singola
prestazione e non tenendo conto del risultato che il l’imprenditore intende
realizzare.
Tale utilità sarà tanto più ridotta tanti più è accentuata la parcellizzazione del lavoro
al di sotto di tale utilità, non essendoci prestazioni, non nascerà il diritto alla
controprestazione retributiva.

10.Attività strumentali all’esercizio dello sciopero

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Il riconoscimento del diritto di sciopero implica il riconoscimento del diritto a porre 120
in essere comportamenti strumentali rispetto all’estensione del lavoro.

Quindi l’ordinamento giuridico, nel omento in cui riconosce il diritto di sciopero, non
può negare la propria tutela a quei comportamenti che l’esperienza mostra essere
strettamente collegati con l’effettiva possibilità di esercizio di quel diritto.

Ex. Attività di propaganda finalizzata a far aderire allo sciopero tutti componenti del
gruppo professionale coinvolto nell’azione sindacale (trova già tutela nell’art 14 dello
Statuto dei lavoratori).

PICCHETTAGGIO parliamo dell’organizzazione da parte dei sindacati odei


lavoratori in sciopero di una vigilanza all’ingresso dei luoghi di lavoro.
Il picchettaggio è considerato lecito a condizioni che non si traduca in
comportamenti rilevati
- Piano penale;
- Piano civilistico;

La giurisprudenza ha affermato che non rientra il picchettaggio nei diritto di sciopero


ed è legittimata la condotta diretta ad impedire con violenza o minaccia l’esecuzione
della prestazioni da parte dei lavorati non scioperanti.
Inoltre, non rientrano nel diritto di sciopero comportamenti di rilevanza penale posi
in esser nei confronti non di colleghi ma di altri cittadini.

Ex. La corte di cassazione ha ritenuto sussistente il delitto della violenza privata nella
condotta di alcuni scioperanti che avevano effettuato un blocco stradale e avevano
posto in essere comportamenti intimidatori nei confronti dei passanti che
chiedevano di transitare.

Capitolo dodicesimo
I LIMITI AL DIRITTO DI SCIOPERO / LIMITI ALLO SCIOPERO
1.La tecnica definitoria
L’art. 40 Cost. recita: “Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo
regolano”.
-Fino alla legge 146/1990 è MANCATA quasi del tutto un’attività del legislatore
ordinario, ma la giurisprudenza ha individuato una serie di limiti.

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- In effetti, fino al 1980 si è utilizzata la cosiddetta “TECNICA DEFINITORIA”, dando 121


appunto una definizione di sciopero limitata da alcuni elementi. La dottrina aveva
definito lo sciopero come “astensione concertata dal lavoro per la tutela di un
interesse professionale collettivo”; altri elementi furono aggiunti in funzione
restrittiva:
- ad un rapporto subordinato,
- la “completezza” dell’astensione dal lavoro sia nella dimensione temporale
(sciopero singhiozzo), sia in quella del coinvolgimento dei lavoratori partecipanti
(sciopero a scacchiera),
- la funzionalizzazione della azione di sciopero alla contrattazione collettiva (invece
dello sciopero di solidarietà o politico), ecc.
- tutte quelle forme di lotta sindacale in cui mancasse uno o più di questi elementi
erano considerate estranee alla nozione di “sciopero”;
-Critiche da parte della dottrina alla tecnica definitoria: si fingeva di dire ciò che lo
sciopero è, ma in realtà si diceva ciò che lo sciopero deve essere, attraverso
l’individuazione dei requisiti giuridici che lo sciopero deve avere per essere
legittimo.
-Con la sentenza 711/1980 della Cassazione, la linea interpretativa
giurisprudenziale cambiò
drasticamente, avvicinandosi a quella dottrinale:
-La Corte chiarì che parlando di sciopero si dovesse prendere in considerazione il
significato della parola all’interno del contesto sociale, ossia nella PRASSI, e non la
nozione fornita dalla tecnica definitoria, ovviamente, senza fare in modo che per
sciopero s’intendesse qualsiasi manifestazione di lotta che i soggetti designassero
come tale (per esempio l’occupazione di fabbrica o l’ostruzionismo), in quanto
forme diverse dalla nozione consolidata di sciopero.
-Fino alla sentenza del 1980 i limiti dello sciopero dovevano essere distinti in esterni
ed interni:
1. esterni sono quelli derivanti dalla necessità di coordinare il riconoscimento del
diritto di sciopero con gli altri valori costituzionali.
2. interni sono quelli che la giurisprudenza argomentava sulla base della tecnica
definitoria.
Tale distinzione, ovviamente in forza della sentenza di cui sopra, è stata superata.

A)I LIMITI AL DIRITTO DI SCIOPERO RIDEFINITI DALLA CORTE COSTITUZIONALE

1.La manipolazione delle norme sullo sciopero del codice penale

Gli articoli del codice penale che qualificavano lo sciopero come reato non sono stati
mai
abrogati o riformulati dal legislatore.

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Per molti anni la perdurante vigenza degli articoli 502 e ss c.p. apparve una grave 122
contraddizione nell'ordinamento: erano formalmente in vigore sia la norma
costituzionale che riconosce la legittimità del conflitto sindacale e, in questo ambito,
il diritto di sciopero; sia le norme penali che negavano tale legittimità.
Solo l'art. 502 cp che puniva la serrata e lo sciopero per fini contrattuali fu
integralmente eliminato dalla Corte Costituzionale.
Nonostante l'ovvia possibilità di estendere il ragionamento seguito a questo
proposito a tutte le altre norme penali sullo sciopero, la Corte costituzionale scelse
di non dichiararle integralmente incostituzionali, ma di manipolarle attraverso
dichiarazioni d’incostituzionalità parziale, in modo da cambiarne profondamente il
significato.

2. Lo sciopero politico / SCIOPERO ECONOMICO POLITICO

Questa tecnica fu adottata in particolare per lo sciopero politico. Inizialmente,


l’astensione dal lavoro per fini politici , venne considerata illegittima,
• da un lato, per l’impossibilità di qualificare come economico-professionale
l’interesse degli scioperanti;
• dall’altro, perché la rivendicazione degli stessi non è nella disponibilità del datore
di lavoro.

La conseguenza era la compatibilità dell’art. 40 della Cost. degli art artt. 503 e 504
c.p.:
Art. 503: prevede come reato lo sciopero per fine “politico”,
Art. 504: prevede come reato lo sciopero “volto a costringere l’autorità a dare o
omettere un provvedimento, o comunque ad influire su di essa”.

Secondo la tecnica definitoria giurisprudenziale sopra descritta e in forza


dell’orientamento dottrinale secondo cui lo sciopero potesse essere posto in essere
solo come diritto potestativo nei confronti del datore di lavoro, gli artt. 503 e 504
c.p. erano pienamente legittimi e compatibili con l’art. 40 Cost.

Un’ altra dottrina superò questa impostazione RESTRITTIVA (distinguendo il


problema dell’accertamento dell’interesse economico-professionale da quello della
disponibilità del soddisfacimento dell’interesse dei partecipanti allo sciopero da
parte del datore di lavoro) e concepì la DISTINZIONE tra:
sciopero politico IN SENSO STRETTO, ossia inerente alle linee politiche generali di
un Governo in materie differenti da quelle del lavoro,

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sciopero ECONOMICO-POLITICO, posto in essere al fine di ottenere/contrastare gli 123


interventi della pubblica autorità e al fine di rivendicare i diritti dei lavoratori e
riguardante le condizioni socioeconomiche degli stessi.
Inizialmente la Corte costituzionale abbracciò questa nuova teoria sullo sciopero
ECONOMICO-POLITICO, prevedendo che legittimo fosse lo sciopero politico posto in
essere al fine di tutelare gli interessi collettivi dei lavoratori, per spingere, quindi,
lo Stato ad intervenire su una materia o ad evitare interventi sulla stessa.
Quindi costituiscono legittimo esercizio del diritto di sciopero ex art. 40 Cost anche
gli scioperi attuati contro proposte di modifica legislativa che riducano il livello di
protezione dei lavoratori (es: in materia di licenziamenti) o contro la riduzione dei
servizi sociali (es: l’aumento dei ticket sanitari) ovvero per sollecitare interventi per
l’occupazione o per altri fini analoghi. Questi scioperi sono caratterizzati dal fine di
tutelare interessi di natura economica, che possono essere danneggiati o soddisfatti
da atti legislativi o di governo centrale o locale;
L’individuazione dei “FINI ECONOMICI” , anche se notevolmente incerta sulla linea di
confine con lo sciopero politico ‘cd puro’, è molto rilevante in quanto la Corte
costituzionale riconosce solo ad essi la natura di DIRITTO SOGGETTIVO. Ma
neanche lo sciopero politico puro costituisce di per sé reato: infatti la Corte Cost.
giunse a dichiarare quasi totalmente incostituzionale l’art. 503 c.p., abrogato con
(sentenza n 290/1974); quindi nel mutato regime costituzionale, lo sciopero trova il
suo titolo di legittimità – prima ancora che nell’art 40 Cost – nei fondamentali
principi di libertà che caratterizzano il nuovo ordinamento.

Insomma, anche lo sciopero POLITICO “ in senso stretto” sebbene NON è


direttamente tutelato dall’art. 40 Cost., e quindi (non è oggetto di un puntuale e
specifico diritto), tuttavia come specifico strumento di tutela degli interessi dei
lavoratori, è ugualmente un mezzo di partecipazione all’organizzazione politica,
sociale ed economica del Paese, di rilievo cost. → di conseguenza, è illegittima la
norma penale come reato. E non essendo dunque, né oggetto di un diritto, né di
una fattispecie penale, deve essere considerato come oggetto di LIBERTA’.

Lo sciopero politico “non può essere penalmente compresso se non a tutela ultima
di interessi cha abbiano rilievo costituzionale”; quindi la Corte lasciò in VIGORE l’art
503 c.p. per i soli casi in cui lo sciopero sia diretto a “sovvertire l’ordinamento
costituzionale” oppure quando, “oltrepassando i limiti di una legittima forma di
pressione, si converta in uno strumento atto ad impedire od ostacolare il libero
esercizio di quei diritti e poteri nei quali si esprime la sovranità popolare”.
La questione rimane, tuttora, incerta, in quanto non si è ben capito, in quanto non
precisato, cosa si intenda per libero esercizio, e quali siano i diritti e i poteri in cui si
esprime la sovranità popolare. Non basterebbe inoltre che l’azione avesse
oggettivamente tale effetto impeditivo, ma occorrerebbe un dolo specifico in tal

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senso →(es. è certo che uno sciopero del settore dei trasporti può impedire una 124
riunione parlamentare: ma non è detto che esso miri a tale obiettivo, potendo
essere rivolto a rivendicazioni economiche non c’è dolo, quindi il reato non
dovrebbe sussistere). Inoltre, vi è da chiedersi in quali ipotesi possano ritenersi
‘oltrepassati i limiti di una legittima forma di pressione’. Si è affermato che ciò
avviene quando lo sciopero sia in grado di turbare il processo di formazione della
volontà pubblica, inducendo a scelte che liberamente, senza quella pressione, non
sarebbero state adottate.

Il medesimo ragionamento, comunque, venne adottato dalla Corte costituzionale


anche per l’art. 504 c.p.: anche lo sciopero di coazione sulla pubblica autorità che
non sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale o ad impedire od
ostacolare il libero esercizio dei poteri legittimi nei quali si esprime la sovranità non
può costituire reati (sentenza n 165/1983).
-Concludiamo dicendo che, comunque, i due articoli sono ancora in VIGORE
all’interno del nostro ordinamento, sebbene PARTICOLARMENTE MANIPOLATI
dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.

3.Lo sciopero di solidarietà

In base alla considerazione che non è condizione di legittimità dello sciopero il fatto
che lo stesso sia attuato per fini contrattuali (per sostenere pretese nei confronti
del datore di lavoro con il quale intercorre il rapporto), la Corte costituzionale ha
riconosciuto la legittimità anche del cosiddetto sciopero di SOLIDARIETÀ (sentenza n
123/1962) prevista all’art 505 cp e che ricorre quando alcuni lavoratori si pongono in
sciopero senza avanzare alcuna pretesa che influisca sul loro rapporto di lavoro, ma
per “solidarizzare con le rivendicazioni di altri gruppi oppure contro la lesione degli
interessi di un singolo lavoratore”.
La Corte costituzionale ha affermato che lo sciopero di solidarietà è forma di lotta
sindacale legittima a condizione che sussista una COMUNIONE DI INTERESSI tra i
due gruppi di lavoratori. Infatti, lo sciopero di solidarietà, secondo la Corte, “non
può non trovare giustificazione, ove sia accertata l’affinità delle esigenze che
motivano l’agitazione, tale da far fondatamente ritenere che, senza l’associazione di
tutti in uno sforzo comune, esse rischino di rimanere insoddisfatte”.
All’interno del nostro ordinamento risulta ancora in vigore l’art. 505 c.p., ma non si
applica nell’ipotesi di “COMUNIONE DI INTERESSI” in quanto ricorre
l’ESIMENTE(esclusione) dell’esercizio di un diritto (art. 51 c.p.). Centrale dunque è
la valutazione della sussistenza della Comunanza di Interessi, che la Corte demanda
al giudice di merito; e ciò appare in netto contrasto con il principio di
autodeterminazione dell’interesse collettivo

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B) SCIOPERO E LIBERTÀ D'INIZIATIVA ECONOMICA

1. Le forme anomale di sciopero

Altro importante problema è relativo ai danni che lo sciopero produce all’attività


produttiva dell’imprenditore:

EVOLUZIONE STORICA
Dal dopoguerra fino al 1980 (anno in cui fu emanata la sentenza 711 della Corte di
Cassazione che segnò l’abbandono della tecnica definitoria e dei conseguenti limiti
imposti alla definizione di sciopero), la giurisprudenza ha affermato l’illegittimità
dello sciopero praticato secondo
modalità particolari, immediatamente qualificate come “ANOMALE”: si tratta degli:
o scioperi a SINGHIOZZO (astensione dal lavoro frazionata nel tempo in periodi
brevi) o scioperi a SCACCHIERA (astensione dal lavoro effettuata in tempi diversi da
differenti gruppi di lavoratori, le cui attività siano interdipendenti
nell’organizzazione del lavoro).
Queste due forme di sciopero nella prassi sindacalee prendono anche il nome di
SCIOPERO ARTICOLATO: sono volte ad alterare i nessi funzionali che collegano i vari
elementi dell’organizzazione produttiva e a produrre il massimo danno per la
controparte con la minima perdita di retribuzione per gli scioperanti;(quest’ultima
caratteristica li distingue dagli scioperi brevi ) di contro però, queste forme di
sciopero richiedono una notevole compattezza tra i lavoratori e un’organizzazione
del lavoro con un alto grado di rigidità, perciò questi mezzi di lotta sono utilizzati
solo in fasi particolarmente acute del conflitto.

2. Sciopero articolato e danno ingiusto

Sullo sciopero ARTICOLATO ( singhiozzo o a scacchiera), la giurisprudenza elaborò la


teoria del cd. danno ingiusto o della corrispettività dei sacrifici, con la quale
tracciava un limite al diritto di sciopero che poneva queste modalità fuori dall’area
della legittimità. Tale elaborazione utilizzava la tecnica già esaminata e criticata in
precedenza, di definire a priori la nozione di sciopero, inserendo nella definizione
stessa l’ elemento della‘totalità’→ (intesa sia come contemporaneità
dell’astensione dal lavoro da parte di tutti gli scioperanti, sia come continuità
temporale dell’astensione). Ricorrendo questo elemento della totalità al danno
subito dall’imprenditore ‘corrisponde’ la perdita della retribuzione da parte dei
lavoratori; al contrario, questo rapporto di corrispettività viene meno nello sciopero
articolato, in quanto il danno subito dal datore di lavoro è ingiusto perché si tratta
di un danno più grave da quello che deriverebbe dalla sospensione collettiva

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dell’attività lavorativa. Con lo sciopero inteso nella teoria definitoria i lavoratori si 126
assumono i loro rischi e le loro responsabilità rinunciando alla retribuzione, mentre
con queste forme ‘anomale’ di sciopero, il lavoratore non subisce alcun danno
perché non si priva del suo guadagno giornaliero. (e provoca un turbamento
sostanziale nell’organizzazione delle aziende e nello svolgimento della produzione).

Questo orientamento non si faceva carico di argomentare perché fosse ingiusto il


danno prodotto dallo sciopero articolato, ma si limitava ad utilizzare l’espressione ‘
diverso e più grave’ di quello scaturente da uno sciopero totale. In realtà il punto di
distinzione tra ‘sciopero anomalo e danno ingiusto’ e ‘sciopero normale e danno
normale’ è meramente quantitativo ed assolutamente indeterminato, sicché risulta
affidato alla mera arbitrarietà dell’interprete.
E nemmeno il diritto positivo è riuscito a rinvenire questo criterio di valutazione:
in particolare, ai principi di ‘correttezza e di buona fede’ più volte richiamati, è stato
opposto che essi operano nel momento dell’esecuzione del contratto e non possono
essere estesi allo sciopero che costituisce un momento di ‘non esecuzione’ della
prestazione. (e produce la sospensione degli effetti del contratto).

3. Sciopero e responsabilità aquiliana


Un passo avanti negli strumenti concettuali con i quali veniva affrontato il problema
in questione fu compiuto da una parte della dottrina che pervenne ad una più
adeguata impostazione sulla base dei principi che governano la responsabilità
aquiliana (art. 2043 c.c.); secondo questa dottrina, sui partecipanti allo sciopero, al
pari di ogni altro soggetto estraneo al rapporto obbligatorio, grava l’obbligo di
rispetto della sfera giuridica altrui, nella quale deve essere ricompreso →anche
l’interesse del datore di lavoro alla conservazione dell’organizzazione aziendale, in
vista della ripresa dell’attività produttiva (e tale interesse deve essere distinto da
quello attinente allo svolgimento dell’attività produttiva, il quale soccombe senza
residui all’esercizio del diritto di sciopero).

Il danno ingiusto sarebbe quello che lede l’interesse del datore di lavoro alla
CONSERVAZIONE DELL’ORGANIZZAZIONE AZIENDALE.
Tale teoria venne elaborata dalla dottrina (Ghera) ed accettata dalla giurisprudenza
della Cassazione nella sentenza 711/1980, la quale negò che la legittimazione o
meno di uno sciopero dipendesse dalla distribuzione temporale o della
partecipazione allo stesso. Inoltre, respingendo la tecnica definitoria, ha specificato
che il significato di “sciopero” va ricavato dal suo uso comune e ha affermato che
l’entità del danno non è elemento di qualificazione dello sciopero come legittimo o
meno ed ha negato che l’interprete possa ricavare tale qualificazione in via
sistematica dalle regole di inadempimento delle obbligazioni, essendo lo sciopero
una non esecuzione dell’obbligazione scaturente dal contratto di lavoro.

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4.Il danno alla produttività

La decisione della Cassazione nella sentenza 711/1980 segnò l’abbandono della


tecnica definitoria e l’abbandono della tradizionale prospettiva dei c.d. LIMITI
INTERNI al diritto di sciopero, cioè quelli definiti come coessenziali alla sua nozione,
senza rinunciare a dettare regole all’esercizio di esso sotto il profilo della sua
relazione con l’organizzazione del lavoro.
In tal modo il problema viene collocato all’interno della tecnica dei limiti c.d.
Esterni che vengono desunti dal raffronto tra l’interesse tutelato dall’art. 40 Cost. e
gli altri interessi costituzionalmente protetti. Se questi ultimi appaiono di rango
superiore o perlomeno paritario, deve operarsi un contemperamento tra il diritto di
sciopero e l’altro diritto coinvolto.
Tra i beni che lo sciopero non deve ledere viene posta anche la LIBERTÀ
ALL’INIZIATIVA ECONOMICA tutelata dall’art. 41 Cost., la quale per assumere una
particolare forza di resistenza nei confronti di esso, non deve essere intesa come
libertà di realizzare profitto, <8perchè altrimenti l’unico sciopero possibile sarebbe
quello che non produce alcun danno all’imprenditore),ma come attività
imprenditoriale che trova la sua garanzia non solo nell’art. 41 Cost., quanto nell’art.
4 comma 1 Cost. sotto due distinti profili:
 perché l’attività imprenditoriale è una forma di lavoro che gode di questa garanzia;
e perché è attraverso l’insieme delle attività imprenditoriali che si può promuovere
il diritto al lavoro di tutti i cittadini.
In base a tali principi lo sciopero, secondo la Cassazione (sentenza 711/1980), non
deve causare danno alla produttività: deve essere esercitato con modalità tali da
non “pregiudicare in una determinata ed effettiva situazione economica,
irreparabilmente (non la produzione), ma la produttività → (la capacità produttiva)
dell’azienda, cioè la possibilità per l’imprenditore di (continuare a) svolgere la sua
iniziativa economica”.
Viceversa, è AMMESSO, perché coperto da legittimo esercizio del diritto di sciopero,
il danno alla produzione, cioè, la possibilità di trarre ricavo/guadagno dall’iniziativa
economica, che invece può essere arrecato proprio per danneggiare l’imprenditore
al fine di ottenere una maggior tutela dei diritti dei lavoratori.

5. Precisazioni sulla distinzione tra danno alla produzione e danno alla produttività

Tuttavia, nonostante questa definizione abbia il pregio di delineare un CRITERIO DI


DIFFERENZIAZIONE QUALITATIVO (e, di conseguenza, di distinguere tra sciopero
legittimo e illegittimo) è difficile distinguere il danno alla produttività dal danno alla
produzione. Né vale identificare quest’ultimo nel danno derivante dai mancati utili.

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Quando il danno alla produzione dell’impresa si trasforma in un danno alla
produttività dell’impresa, lo sciopero diviene illecito. Il danno alla produttività → si
configura come qualsiasi fatto doloso o colposo che cagioni all’impresa un danno
ingiusto che si proietta nel futuro, essendo destinato a danneggiare l’impresa nella
sua attitudine produttiva nel lungo termine. E tale danno quindi si verifica quando
ad es. l’azione di sciopero non comporta soltanto uno stop della produzione o un
rallentamento del n. dei pezzi lavorati (danno alla produzione), bensì lo sciopero
pregiudica la normale produttività aziendale, per cui scaturisce una
disorganizzazione così rilevante da pregiudicare anche la capacità produttiva
dell’azienda.

Un caso particolare è quello degli IMPIANTI (siderurgici e chimici) SPECIE quelli a


ciclo continuo che→ NON POSSONO ESSERE FERMATI, pena la loro degradazione
o il deperimento del materiale; il problema è risolto con le c.d. COMANDATE, cioè
attraverso accordi, formali o informali, tra imprenditori e sindacati in forza dei quali
una certa quantità di lavoratori continua a prestare in tutto o in parte la propria
opera per evitare che lo sciopero produca gli effetti indicati, ma con modalità tali da
non far perdere di efficacia all’azione di lotta.

In mancanza di simili accordi, cautele analoghe dovranno comunque essere prese


unilateralmente dai lavoratori (attraverso un piano di lavoro per alcuni lavoratori)
per evitare di incorrere nella responsabilità aquiliana (responsabilità
extracontrattuale, a norma dell’art.2043 c.c) per i danni eventualmente inflitti alla
produttività; anche l’imprenditore avrà l’onere di predisporre le misure di sua
competenza necessarie per realizzare queste finalità.

C) I LIMITI AL DIRITTO DI SCIOPERO NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI


GIUSTIZIA EUROPEA

1. Le sentenze del caso Viking e sul caso Laval


In questo paragrafo l’autore prende in considerazione il rapporto tra libertà
economiche previste all’interno dell’Unione europea e diritto di sciopero,
analizzando 2 differenti decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione europea.
-Caso VIKING: una società di trasporti marittimi finlandese, la Viking appunto, al
fine di applicare la
contrattazione collettiva di un altro Paese membro e di poter retribuire in maniera
inferiore i propri dipendenti, cambia bandiera alle proprie navi, registrandole in
Estonia. La FSU, sindacato finlandese dei marittimi, coinvolgendo la Federazione
internazionale dei lavoratori nel settore dei trasporti (ITF) promuove un’azione
sindacale, invitando gli affiliati della stessa ITF a non avviare trattative con la
Viking. L’impresa instaura una controversia giudiziaria e Il caso finisce dinanzi ad un

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giudice inglese, che sospende il giudizio e rimette alla Corte di Giustizia la questione 129
pregiudiziale volta a stabilire <SE il Trattato intenda vietare di un’azione
sindacale,nel caso in cui la stessa abbia lo scopo di impedire ad un datore di lavoro
di avvalersi della libertà di stabilimento.

Caso LAVAL: una società lettone, la Laval appunto, distaccò alcuni dipendenti in
Svezia presso un’altra società (la Baltic), svedese, ma controllata al 100% dalla
Laval. I sindacati svedesi degli edili intrapresero un’azione per ottenere
l’applicazione a questi lavoratori del contratto collettivo svedese a tali lavoratori.
Ma la trattativa non ebbe successo, e i sindacati posero in essere un’azione di
autotuela consistente in un blocco dell’accesso delle merci in cantiere e
nell’impedire ai lavoratori lettoni di entrarci. In seguito il sindacato svedese degli
elettrici, tramite un’azione di solidarietà, impedì alle imprese di installatori elettrici
di fornire servizi alla
Laval. Quest’ultima ricorre dinanzi ad un giudice, che sospende il giudizio e rimette
alla Corte di giustizia europea , la questione pregiudiziale di stabilire la compatibilità
dell’azione sindacale con la libera prestazione di servizi, nelle mani della Corte di
Giustizia.

Le sentenze esaminate, sebbene con alcune differenze, fanno una serie di


affermazioni convergenti, che hanno suscitato grandi
critiche in dottrina e in sede politica. Entrambe limitano fortemente il diritto di
azione sindacale quando entri in conflitto con la libertà di stabilimento (caso
Viking) o con il diritto alla prestazione dei servizi (caso Laval). Un problema di
portata sistematica è quello della competenza della Corte di Giustizia a fissare limiti
al diritto di sciopero.

* Dal momento che il legislatore comunitario non ha tale competenza, ci si è chiesto


come la Corte possa intervenire così incisivamente su una delle materie, che in base
al TFUE, spettano in via esclusiva ai legislatori degli Stati membri.
* Altro punto discutibile sulle 2 decisioni è quello relativo all’ambito di estensione
delle norme del Trattato che prevedono il diritto di stabilimento e di libera
prestazione di servizi. è discutibile in dottrina, che tali norme oltre a vincolare gli
Stati membri e le loro normative, vincolano anche l’autonomia dei soggetti privati e
siano opponibili da un privato ad un altro privato. (la Corte riconosce anche questo
effetto). Largamente condivisa è invece l’affermazione contenuta in entrambe le
decisioni→ che il diritto di intraprendere un’azione collettiva (compreso il diritto di
sciopero), costituisca un diritto fondamentale facente parte integrante dei principi
generali del diritto comunitario di cui la Corte garantisce il rispetto. La Corte ha
afferma che <la Comunità non ha solo finalità economica, ma anche finalità sociale>
MA poi nel bilanciamento finisce per privilegiare la libertà economica.

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Nella sentenza Viking, si afferma che una restrizione alle libertà economiche è
possibile qualora si persegua un obiettivo compatibile con il Trattato e la restrizione
sia giustificata da ragioni imperative di interesse generale (ammettendo che il diritto
di intraprendere un’azione collettiva rientri tra tali ragioni). Ma comunque l’azione
intrapresa dai sindacati deve essere adeguata e non deve andare al di là di ciò che è
necessario per perseguirlo.
Nella sentenza Laval si afferma che anche la libertà di prestazione di servizi è
principio fondamentale della Comunità e che una restrizione a tale libertà può
essere ammessa soltanto se essa persegue un obiettivo legittimo e compatibile con il
trattato ed è giustificata da ragioni imperative di interesse generale purchè essa non
vada al di là di ciò che è necessario per raggiungere l’obiettivo.
È evidente che il bilanciamento è tutto a favore della libertà di stabilimento e di
prestazione di servizi : l’azione collettiva a tutela delle condizioni di lavoro viene
ammessa come eccezione, se ed in quanto inquadrabile nelle restrizioni consentite
in generale dalle 2 norme che regolano tali libertà.

Capitolo quattordicesimo
B) LA SERRATA E LE ALTRE FORME DI AUTOTUTELA DEL DATORE DI LAVORO
1.Il silenzio della Costituzione
La serrata è il mezzo di lotta sindacale più utilizzato dagli imprenditori, che consiste
nella totale o parziale chiusura dell'impresa e cioè nel RIFIUTO DI ACCETTARE LA
PRESTAZIONE DI LAVORO E DI PAGARE LA RETRIBUZIONE.
All'interno della nostra Costituzione non è previsto in alcun modo, la libertà di
serrata da parte dei datori di lavoro. Si è più volte rilevato che l'art 40 riconosce lo
sciopero come diritto, ma non menziona la serrata che è un forma di autotutela degli
imprenditori.
In realtà la Costituzione l'ha volutamente esclusa, in quanto non voleva in alcun
modo porre sullo stesso piano i datori di lavoro e i lavoratori, tutelando in tal modo
questi ultimi come categoria sottoprotetta e degna di un apposito strumento di
autotutela.
2.Serrata e mora del creditore
Non essendo tutelata costituzionalmente, la serrata, soggiace alle norme civilistiche
in tema di MORA DEL CREDITORE (artt.1206 e ss) che rifiuta la prestazione

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lavorativa, ossia l’adempimento della controparte contrattuale(rifiuta 131


l'adempimento della prestazione da parte del lavoratore-debitore);
Il datore di lavoro, in tal caso, secondo il codice civile, deve corrispondere il
risarcimento del danno provocato al debitore.
Secondo una parte della dottrina, non può essere inferiore alle retribuzioni che
avrebbe dovuto
corrispondere qualora avesse accettato la prestazione lavorativa.
Inoltre dal risarcimento che il datore di lavoro è tenuto a dare dalla mancata
prestazione lavorativa sarebbero detraibili i guadagni del lavoratore fatti
altrove(attività estranee).

Un’altra teoria dottrinale, invece, prevede che l’obbligazione retributiva permanga


anche in stato di mora
credendi e, pertanto, il datore di lavoro dovrebbe ugualmente corrispondere le
retribuzioni. Questa ipotesi
sembra più convincente e le retribuzioni sono dovute non come risarcimento del
danno(quindi in misura del danno da risarcire) ma come oggetto della relativa
obbligazione.

3.La serrata di ritorsione

L’art.1206 c.c., in tema di mora credendi, prevede che il creditore(cioè il datore) non
sia in mora nel momento in cui rifiuta la prestazione per un MOTIVO LEGITTIMO: è
il caso della c.d. serrata di RITORSIONE detta anche messa in libertà-->cioè il rifiuto
del datore di lavoro di ricevere le prestazioni, quando i lavoratori pongano in
essere uno sciopero articolato(a singhiozzo(l’interruzione e la ripresa del lavoro
vengono effettuate per brevi e consecutivi periodi)o a scacchiera(si assiste ad
un’adesione allo sciopero da parte dei diversi lavoratori interessati, che si configura
come una staffetta(ad esempio, avviene che si alternino nell’astensione differenti
reparti)).
Infatti nella prassi italiana la serrata non è mai stata posta in essere per rivendicare
qualcosa, ma solo come risposta a forme di lotta sindacale dei lavoratori.
Si è cercato in vari modi di giustificare la serrata dei datori di lavoro nel caso di
sciopero articolato: un
orientamento giurisprudenziale ha sostenuto che la legittimità della serrata
derivasse dall’illegittimità dello
sciopero, di fatto prevedendo una responsabilità collettiva dei lavoratori che nel
nostro ordinamento non esiste(poichè legittimo); un altro orientamento ha valutato
la legittimità della serrata, precisando che, nel momento in cui al datore viene
offerta la prestazione lavorativa, egli non ha interesse ad ottenerla in quanto non

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più utilizzabile e non proficua: questo, però, comporterebbe il passaggio del rischio 132
della produttività sul lavoratore, da sempre, invece, gravante sull’imprenditore.
L'unica conclusione giuridicamente corretta sembra perciò essere nel senso che la
sospensione
dell'attività produttiva(la serrata di ritorsione è ammissibile) sia legittima solo in due
ipotesi :
1. quando la prestazione offerta nell'intervallo di uno sciopero a singhiozzo sia tanto
breve
da non consentire alla prestazione di lavoro di realizzare la sua minima unità tecnico-
temporale, ovvero, quando, in uno sciopero a scacchiera, l'astensione di un gruppo
di lavoratori impedisca
ad altri di effettuare la propria prestazione nonché le prestazioni esigibili ex art. 2103
c.c .

2.Nella seconda ipotesi, l'offerta della prestazione non è reale perché ha ad oggetto
una
prestazione impossibile;
-nella prima, il rifiuto è legittimo perché l'offerta ha ad oggetto una prestazione
parziale (art. 1181 c.c.) o, meglio, diversa da quella pattuita (art. 1197 c.c.).
Nei casi in cui, al contrario, lo sciopero articolato abbia solo diminuito la convenienza
per il datore di lavoro (la proficuità di cui parla la giurisprudenza) o reso più difficile
l'utilizzazione, allora il rifiuto
della prestazione di tali lavoratori non potrà trovare giustificazione e l'imprenditore
dovrà essere
considerato in mora.

4. Il reato di serrata e la giurisprudenza costituzionale


Anche per la serrata la Corte costituzionale è stata chiamata a svolgere un'opera di
adeguamento del codice penale. In particolare il problema fu affrontato
nell'importante sentenza
del 1960, n. 29, che abrogò il reato di sciopero per fini contrattuali e dichiarò
incostituzionale anche la parte in cui prevedeva il reato di serrata per fini
contrattuali-->e cioè quella attuata
sospendendo il lavoro 'col solo scopo di imporre ai dipendenti modificazioni ai patti
stabiliti o di
opporsi alla modificazione di tali patti, ovvero di ottenere o di impedire una diversa
applicazione
dei patti o usi esistenti'; così esposto dall'art. 502 cod.pen.)
La Corte ebbe modo di chiarire come la serrata, pur non ricevendo dall'art. 40 della
Cost la stessa tutela costituzionale dello sciopero, rientrasse ugualmente nella libertà

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sindacale di cui all’art.39 Cost. e pertanto non fosse in alcun modo perseguibile 133
penalmente.
In modo del tutto opposto si pronunciò in merito alla serrata di solidarietà o per
protesta, contenuto nell'art. 505 c.p.(serrata compiuta solo per solidarietà con altri
datori di lavoro), con la sentenza 141/1967, precisando che la libertà di serrata si
innestasse all’interno del rapporto tra datore di lavoro e prestatore(lavoratore) e che
non avesse motivo di esistere al di fuori di esso, lasciando in vigore l’art. che
continua, tuttora, a vietarla.
Stesso ragionamento vale per la serrata a fine politico, art.503 c.p.,e per la serrata di
coazione della pubblica autorità, art.504 c.p, i cui divieti continuano ad operare.
Una diversa conclusione vale per la serrata di esercenti di piccole industrie o
commerci che
non abbiano lavoratori alle loro dipendenze (art. 506 c.p.) parificata allo sciopero.

5. La sostituzione dei lavoratori in sciopero


un altro tema da affrontare è quello delle reazioni del datore di lavoro diverse dalla
serrata di ritorsione: a fronte di uno sciopero, il datore di lavoro spesso si organizza
in modo tale da annullare o limitare gli effetti dell'astensione dal lavoro, sostituendo
i lavoratori in sciopero con altri lavoratori per l’intera durata dell’astensione.
Egli può attuare una simile soluzione, adoperando alla sostituzione dei lavoratori in
sciopero con i dipendenti che abbiano scelto di non partecipare all'astensione dal
lavoro o che li sostituisca con altri lavoratori appartenenti ad unità produttive non
interessate dallo sciopero o ancora, con altri lavoratori con contratti a tempo
determinato.-->Quest'ultimo caso è espressamente previsto da alcune norme di
legge: il dlg che disciplina il contratto a tempo determinato VIETA l'utilizzazione di
questo tipo di contratto per la sostituzione dei lavoratori che esercitano il diritto di
sciopero.
Ritornando, a riguardo della sostituzione dei lavoratori, con altri sostituendo gli
scioperanti con quelli a cui non interessa e che dunque non si astengono dal lavoro,
il datore di lavoro è chiamato al rispetto dell’art.2103 c.c. in merito alle mansioni:
si deve trattare di mansioni equivalenti tra loro,
qualora si tratti di mansioni superiori ci deve essere una diversa retribuzione;
non può mai trattarsi, tra l’altro, di mansioni inferiori.

*Il datore di lavoro, inoltre, potrebbe sostituire i lavoratori in sciopero con prestatori
di lavoro assunti a tempo determinato o tramite un contratto di somministrazione--
>(Il contratto di somministrazione è il contratto con cui una parte si obbliga, verso
corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell'altra, prestazioni periodiche o
continuative di cose)

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