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IL SINDACATO

I modelli
Il sindacato è una forma di organizzazione collettiva dei lavoratori nata per contrastare e
riequilibrare la disparità di potere individuale nella quale questi si trovano nei confronti del datore
di lavoro da cui dipendono. Il sindacato svolge fondamentalmente un ruolo di protezione del
lavoro dal libero e incondizionato funzionamento del mercato, tendendo a porre le retribuzioni e
le altre condizioni di lavoro al riparo della concorrenza sia fra gli stessi lavoratori, sia fra i datori di
lavoro.
Le forme ipotizzabili di organizzazione sindacale sono varie, ma è possibile una tipizzazione
empirica. Il primo tipo organizzativo sindacale emerge nei paesi a più antico sviluppo industriale
(Gran Bretagna, Stati Uniti) e nei settori produttivi nei quali maggiore e centrale è la presenza di
operai specializzati. Esso assume il mestiere esercitato dai lavoratori come criterio individuante il
gruppo professionale da organizzare: è il sindacato di mestiere (craft union). Secondo tale modello
organizzativo, in ogni impresa operano tanti sindacati quante sono le professionalità presenti (un
impresa edile avrà un sindacato di muratori, di falegnami, di idraulici, di elettricisti ecc.).
Successivamente la diffusione dell’industria a produzione di massa altamente meccanizzata,
determina la scomparsa dei vecchi mestieri e la dequalificazione della manodopera modificando la
composizione della forza lavoro. Prevalgono operai comuni semi-specializzati e si afferma il
sindacato per ramo di industria. In base a tale modello, il sindacato organizza i lavoratori non più
in base alla professionalità posseduta ma all’attività produttiva esercitata dall’impresa da cui
dipendono e dunque per settore produttivo. Ad esempio in Italia, tutti i lavoratori dipendenti da
imprese metalmeccaniche (anche il perito chimico, l’informatico) saranno rappresentati dai
sindacati dei metalmeccanici.
In Italia furono dapprima costituiti molti sindacati di mestiere ma ben presto fu adottato e
prevalse il secondo dei due modelli perché consentiva di creare tra i lavoratori una solidarietà
maggiore in coerenza con precise opzioni politiche. A partire dagli anni ’70 a seguito della terza
rivoluzione industriale e del massiccio impiego delle nuove tecnologi si sono diffuse nel mercato
del lavoro figure di lavoratori con funzioni professionali più elevate e complesse. Questi lavoratori
ritenendo che i propri interessi fossero sacrificati dalle politiche contrattuali delle Confederazioni,
centrate tradizionalmente sugli interessi dei lavoratori con professionalità medio-basse, hanno
costituito numerose organizzazioni sindacali autonome (cioè che non aderiscono alle tre maggiori
confederazioni). E’ emersa una variante importante del sindacato di mestiere , il cosiddetto
sindacato occupazionale. In Italia sono stati costituiti ad esempio i sindacati per quadri d’industria,
dei macchinisti delle ferrovie, dei medici ospedalieri, degli insegnanti, dei presidi. Nell’ultimo
decennio si è accelerato un modello sperimentale di sindacalismo industriale che attesta come il
criterio del settore produttivo stia sempre di più perdendo importanza. Le soluzioni prevalenti
erano due. La prima consiste nella fusione di organizzazioni di categoria preesistenti e nella
creazione di veri e propri sindacati multi-industriali o conglomerati. Le strutture sindacali di piccole
dimensioni non possono più sostenere l’aumento frequente dei costi determinato dalla riduzione
degli iscritti e dal contemporaneo incremento delle aspettative di servizi da parte dei rimasti. La
fusione dunque consente una razionalizzazione dell’organizzazione e di diminuire i costi e di
potenziare l’offerta dei servizi. La seconda soluzione è quella di creare strutture di rappresentanza
ad hoc prima per i pensionati, poi per i lavoratori occupati con particolari tipologie contrattuali
(lavoratori atipici). A favore di quest’ultima iniziativa ha giocato la totale mancanza di
rappresentanza e di copertura contrattuale collettiva dei lavoratori autonomi e parasubordinati
(collaboratori coordinati e continuativi ed a progetto, lavoratori occasionali, somministrati, ecc.) .
Per essi furono costituiti il Nidil-Cgil (nuove identità di lavoro), il Cpo-Uil (coordinamento per
l’occupazione) e l’Alai-Cisl (associazione dei lavoratori atipici e interinali) sostituita dalla Felsa Cisl
(federazione lavoratori somministrati autonomi ed atipici).

L’organizzazione
La struttura organizzativa delle maggiori Confederazioni sindacali in Italia (Cgil Confederazione
generale italiana del lavoro, Cisl Confederazione italiana sindacati liberi, Uil Unione italiana del
lavoro) si articolano in due linee organizzative, una cosiddetta verticale basata sul criterio della
categoria produttiva e cioè dell’attività produttiva svolta dall’impresa in cui operano i lavoratori
iscritti e l’altra orizzontale, basata sul criterio territoriale (in genere provinciale e regionale) e
perciò definito intercategoriale. In base alla linea verticale, l’unità di base di ciascuna
organizzazione di categoria (metalmeccanici, per esempio) + costituita dagli iscritti presenti in
ciascuna azienda o unità produttiva (in mancanza il lavoratore può aderire alla struttura di
categoria più alta) e, quindi, in quelle regionali e nazionali di categoria. In base alla linea
organizzativa che abbiamo definito orizzontale il sindacato si articola in strutture territoriali,
provinciali ( chiamate Camere del lavoro nella Cgil, Unione sindacale territoriale nella Cisl e
Camera sindacale nella Uil) e regionali intercategoriali. Esse infatti rappresentano tutti i lavoratori
che operano in ciascun ambito territoriale, indipendentemente dal settore produttivo di
appartenenza. Ad esempio la Camera del lavoro di Roma rappresenta tutti gli iscritti Cgil dell’intera
provincia, qualunque sia il settore produttivo in cui opera il datore di lavoro da cui i lavoratori
dipendono. Infine le strutture orizzontali regionali e le federazioni nazionali di categoria formano
la Confederazione. La linea organizzativa prevalente in Italia è quella verticale. Quella orizzontale
non ha molti riscontri a livello comparato, ma nella tradizione storica italiana ha peso come
riflesso delle profonde radici di solidarismo di classe del movimento sindacale. Le strutture
relative, infatti, hanno soprattutto compiti di coordinamento interno e di rappresentanza politica.

Sindacalismo unitario e pluralità di sindacati


Una variabile importante dell’organizzazione sindacale è quella relativa alla situazione di unità o di
pluralità sindacale. Ferma restando la libertà giuridica di costituire organizzazioni di qualunque
orientamento o struttura, di fatto in molti paesi esistono confederazioni che raggruppano tutti, o
quasi, i sindacati esistenti. Il sindacalismo unitario è proprio della Gran Bretagna, della Germania e
Svezia per esempio. Situazioni di pluralità, ciò di coesistenza di confederazioni con diverse
culturalità finanziarie esistono invece in Francia, Paesi Bassi, Italia, Spagna e Portogallo.
In Italia mel 1944, quando ancora la liberazione dal fascismo non era compiuta, la Democrazia
Cristiana, il Partito Comunista e il Partito Socialista stipularono un accordo, Patto di Roma, per
farrinascere il sindacalismo libero creando un’unica Confederazione, la Cgil, che avrebbe
organizzato tutti i lavoratori, indipendentemente dal loro orientamento politico e confessionale.
Nel 1948 dalla Cgil unitaria uscì la corrente democratico-cristiana e, nell’anno successivo, quelle
socialdemocratica e repubblicana che, nel 1950, costituirono la Cisl e la Uil. Fin dal momento della
scissione della Cgil unitaria, non sono mancati momenti di asprapolemica e divisioni tra le nuove
tre confederazioni ma sempre è stata forte la tensione verso la cosiddetta unità d’azione per la
ragione che il potere contrattuale del movimento sindacale verso le controparti aumenta in misura
esponenziale con l’unità delle diverse organizzazioni. Da questo punto di vista il punto più caldo si
raggiunse nel 1969 durante “l’autunno caldo”, Nel 1972 le tre organizzazioni stipularono un patto
con il quale fu creata la Federazione delle confederazioni, denominate Federazioni Cgil, Cisl e Uil.
Gli organi di questa erano composti pariteticamente da rappresentanti dei corrispondenti organi
delle tre organizzazioni federate si riconoscevano reciprocamente pari peso nelle decisioni, a
prescindere dalla proprio effettiva consistenza associativa; in cambio, e contemporaneamente,
cisacuna rinunziava alla possibilità di stipulare accordi separati ovvero si impegnava ad assumere
tutte le decisioni unitariamente. Questo equilibrio resse fino alla rottura causata dal mancato
accordo unitario con il governo del 1984 che portò allo scioglimento delle federazione. La prassi
unitaria ha continuato a trovare ostacoli non solo determinate alle profonde diversità tra le
confederazioni , ma anche dal quadro politico (i governi di centro-destra hanno esplicitamente
legittimato gli accordi separati). Esempi di disunità sono gli accordi collettivi sottoscritti da Cisl eUil
e non dalla Cgil come il Patto per l’Italia stipulato con il governo nel 2002 o l’Accordo quadro slla
riforma del sistema contrattuale del 2009.

Affiliazioni internazionali
Con il progresso del processo di integrazione dell’Unione europea l’influenza di questa sulla
condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori è in continua espansione. Nonostante le difficoltà
derivanti dal forte radicamento nelle loro esperienze nazionali dei sindacati dei Paesi aderenti
all’Ue, nel 1973 è stata costituita la Confederazione europea dei sindacati (CEs) che svolge
un’intensa attività politica nei confronti degli organi della Comunità europea. Tutte e tre le
maggiori Confederazioni sindacali italiane aderiscono ad essa, come pure alla Confederazione
internzionale dei sindacati liberi (Cisl internazionale).

L’associazionismo sindacale degli imprenditori


Dal lato degli imprenditori vi è una frammentazione maggiore delle strutture associative che, a
differenza di quelle dei lavoratori, non svolgono esclusivamente funzioni di tipo sindacale ma
anche funzioni economiche (promozione di politiche economiche, erogazione di servizi, ecc.). I
datori si raggruppano in genere in confederazioni che si distinguono per grandi settori economici
e, su questa base, si diversificano ulteriormente in relazione alla natura (pubblica o privata) del
datore di lavoro, all’orientamento politico, alla dimensione delle aziende e così via. Le maggiori
organizzazioni sono: la Confindustria per l’industria e i servizi, la Confcommercio per il commercio,
Confagricoltura per l’agricoltura. La legge, invece, assegna all’ Aran la rappresentanza negoziale
delle pubbliche amministrazioni quali datrici di lavoro. Negli stessi settori operano anche
organizzazioni concorrenti, che rappresentano in particolare le imprese di medie e piccolissime
dimensioni: nell’industria opera la Confapi, la Confesercenti nel commercio, la Coldiretti in
agricoltura e la Cia (confederazione italiana agricoltori) che organizzano in particolare i coltivatori
diretti. Per le banche e assicurazioni abbiamo (Abi e Ania) ecc…

L’organizzazione sindacale non associativa


La forma associativa del sindacato non è l’unica. La rappresentanza dei lavoratori all’interno dei
luoghi di lavoro ha quasi sempre assunto forme non associative; ma, talvolta, anche al di fuori di
essi, l’attività sindacale viene svolta da coalizioni provisori idonee ad esprimente una volontà
collettiva. Sia la contrattazione collettiva che lo sciopero possono essere posti in essere anche da
coalizioni che non abbiano la natura e la struttura di associazioni. Ciò si riscontra soprattutto ai
primordi della storia sindacale, allorchè operavano formazioni e gruppi professionali labili e fluidi
che solo in seguito si consolidarono in un sindacato; ma si è verificato anche successivamente in
fasi di particolare risveglio conflittuale, quando le iniziative di lotta non sono canalizzate attraverso
le associazioni sindacale ma da soggetti diversi: comitati di agitazione , delegazione di lavoratori.
Basti pensare all’esperianza dei Comitati di base Cobas dei macchinisti ferroviari o degli insegnanti
prima che assumessero una loro stabilità organizzativa.

La mancata attuazione dell’art. 39 Cost.


D’art 39 Cost può dunque ricavarsi la più ampia autonomia del gruppo sindacale, abilitato a
scegliere liberamente il proprio campo di azione attraverso la determinazione di quale tipo di
lavoratori vuole organizzare (cioè, la categoria). Però i commi successivi prevedono anche che i
sindacati siano sottoposti alla registrazione; che condizione per la registrazione sia la
democraticità degli statuti; che attraverso la registrazione ssi acquistino la personalità giuridica e,
infine, che i sindacati registrati, rappresentanti unitariamente in proporzione dei loro iscritti,
possano stipulare contratti collettivi dotati di efficacia generale. Questa formulazione costituì il
frutto di una convergenza tra diverse posizioni: quella della parte più tradizionalista della
democrazia cristiana, quella della sinistra di tale partito e quella dei due partiti di sinistra Psi e Pci.
Il compromesso si attestava su una linea per cui, da un lato e in primo luogo, sia affermava con
forza il principio di libertà sindacale; dall’altro però si creava un meccanismo per il quale, col
minimo possibile di intervento dello Stato, veniva attribuito ai sindacati il potere di porre in essere
norme generalmente vincolanti. Contrariamente al principio sancito dal primo comma, che
assunse subito un rilievo di norma cardine del sistema, il meccanismo delineato dai commi 2, 3 e 4
necessitava, per diventare operativo di una serie di specificazioni da parte della legislazione
ordinaria (es. bisognava determinare gli uffici competenti per la registrazione; soprattutto er
necessaria la creazione di un meccanismo che consentisse la predeterminazione della categoria
professionale nell’ambito della quale procedere all’accertamento del numero degli iscritti). Ma il
legislatore non è mai intervenuto e di conseguenze quelle disposizioni rimasero lettera morta. Le
ragioni della mancata attuazione sono di varia natura:
1) Il timore che il procedimento di registrazione con i relativi controlli sul numero degli iscritti
e soprattutto sulla democraticità dell’organizzazione, diventasse uno strumento di
intromissione dello Stato nella vita interna del sindacato.
2) La dottrina giuslavoristica si è progressivamente depurata dalle incrostazioni corporative,
che ponevano la personalità giuridica e il contratto collettivo erga omnes come categorie
necessarie di un sistema sindacale di diritto. Dall’altro lato si è andato consolidando un
sistema sindacale di fatto che, a partire dagli anni sessanta, acquisiva un alto grado di
potere contrattuale e politico ed al quale il legislatore rispondeva, anzichè in termini di
attuazione costituzionale con la legislazione di sostegno, che presupponeva il sistema
sindacale di fatto esistente e ne attuava un indiretto riconoscimento.
La mancata attuazione non costituisce però un inadempimento costituzionale: tutto il
meccanismo dei commi 2,3,4 dell’art. 39 è diretto ad attribuire ai sindacati che sia
assoggettano al controllo della registrazione il potere di stipulare contratti collettivi con
efficacia erga omnes, non a disciplinare in sé il soggetto sindacale, Pertanto rientra nella
discrezionalità politica del legislatore ordinario ritenere o no questo risultato utile od
opportuno o valutare se una disciplina eteronoma del soggetto sindacale sia o meno un
prezzo troppo elevato da dover pagare a questo fine.
Il significato della mancata attuazione dell’art. 39 assume un significato non contingente: lo Stato
apparato non deve interferire con l’attività autonoma dei gruppi. La tradizione in termini giuridici
comporta il rifiuto di soluzioni che collochino l’esperienza sindacale all’interno del diritto pubblico
pe agganciarsi saldamente al diritto privato.
Art 39 Cost. “L'organizzazione sindacale è libera Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo
se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge.
E` condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a
base democratica.
I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in
proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti
gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.”

L’associazione non riconosciuta


Un primo corollario di questo inquadramento del sindacato nel diritto privato è la sua
qualificazione giuridica come associazione non riconosciuta. Come è noto l’associazione non
riconosciuta qualifica normativamente fenomeni organizzativi diversi, dai più modesti circoli
ricreativi o culturali ad organismi complessi e di grandi dimensioni e con gestione di notevoli mezzi
finanziari. A tale ampiezza del referente sociale non corrisponde una normativa adeguata: il che si
spiega tenendo conto che proprio due tra le formazioni sociali più importanti, ossia i partiti e i
sindacati, che oggi rientrano nella categoria delle “associazioni non riconosciute” erano estranei al
campo visuale del legislatore del ’42. La regolazione del c.c. del ’42 pur scarsa e sommaria, costituì
un’innovazione legislativa notevole: il codice del 1865, infatti, ispirato alla codificazione
napoleonica, ignorava del tutto questo tipo di organizzazione sociale. Ed infatti, una delle idee
centrali dei sistemi giuridici ispirati dalla Rivoluzione francese è la riduzione del rapporto tra
individuo e Stato a termini essenziali e schematici. Sotto tali regimi, l’attività associativa era
certamente lecita, ma non era di per sé atta ad imputare le relative responsabilità patrimoniali
direttamente all’associazione agente; esse, al contrario erano imputate a tutti i singoli associati.
Ciò nonostante, il fenomeno associativo acquistava sul piano sociale un’importanza crescente.
Da tali elementi è dato pervenire alla conclusione che l’associazione non riconosciuta è soggetto di
diritto, perché costituisce un centro autonomo di imputazioni giuridiche. Notevoli sono lei
insufficenze della disciplina ora descritta.
L’art. 36 c.c. : “ L’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute
come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati. Dette associazioni possono
stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi è conferita la presidenza o
la direzione”.
(da rivedere e trovare un sunto su internet)

Disciplina costituzionale e del codice civile


Alcune dottrine hanno argomentato che tra associazioni non riconosciute e associazioni
riconoscite come persone giuridiche vi sarebbe identità di struttura e quindi, per le associazioni
non riconosciute troverebbero applicazione, oltre che l’art 16-28, anche “tutte quelle norme
sull’associazione riconosciuta che non si ricolleghino, in modo immediato oppure mediato, al
riconoscimento della personalità giuridica”. Gli accordi tra gli associati, pertanto, nonostante la
lettera dell’art. 36 non sarebbero la fonte esclusiva o primaria dell’ordinamento interno delle
associazioni; l’associazione non riconosciuta, per questa via m verrebbe ad essere regolata da un
complesso di norme legali esauriente, anche sotto il profilo dell’organizzazione interna.

La disciplina delle forme organizzatorie non associative


L’organizzazione sindacale può assumere una veste diverse da quella associativa. Anche in tal caso,
la sua regolamentazione giuridica dovrà essere reperita nelle forme organizzatorie del diritto
privato, in quanto compatibili con il principio fondamentale della libertà sindacale. Accade infatti,
che i lavoratori conducano azioni conflittuali anche attraverso delegazioni occasionali ( comitati di
sciopero, comitati di base ecc.) che vengono investite di un mandato per organizzare le forme di
lotta e per condurre le eventuali trattative. Al termine del conflitto, la coalizione esaurisce il suo
mandato e si scioglie. In essa, mancando l’elemento della stabilità, non può certo ravvisarsi
un’associazione, bensì un nucleo organizzativo che, int termini giuridici, può probabilmente
inquadrarsi nella figura del comitato di cui agli art. 39 e ss. C.c., mentre il rapporto con i lavoratori
può ricondursi alla figura del mandato collettivo.
Forme di questo tipo si riscontrano anche tra i datori. Non solo la delegazione temporanea, ma
anche la delegazione con mandato permanente possono costituire una forma organizzatoria di
esercizio dell’attività di autotutela. Così fu nel 1958 quando le società a prevalente partecipazione
statale si sganciarono dalle organizzazioni dei datori di lavoro privati e si costituirono in una
delegazioneintersindacale che operò in virtù di un mandato collettivo fino a che nel 1960 nonfu
costituita un’associazione vera e propria, L’Intersind (poi sciolta nel 1998).

Interessi collettivi, individuali e generali


Il sindacato è l’organizzazione di un gruppo di lavoratori che ne esprime gli interessi; per quanto
possa essere grande e numeroso questo gruppo, esso non viene mai a coincidere con la società nel
suo complesso e cioè pur sempre una parte della società ed il suo è pur sempre un interesse di
parte. Se non si deve confondere l’interesse collettivo di cui è portatore il sindacato con l’interesse
pubblico generale, lo stesso non deve esser e confuso neanche con l’interesse individuale dei
singoli lavoratori aderenti. Secondo una fortunata formula “ l’interesse collettivo non è la somma
di interessi individuale, ma la loro combinazione ed è indivisibil, nel senso che voiene soddisfatto
non già da più beni atti a soddisfare bisogni individuali, ma da un unico bene atto a soddisfare il
bisogno della collettività”. Il solidarismo classista a cui si ispira una grande parte del movimento
sindacale europeo induce quest’ultimo ad agire in favore anche dei secondi. L’interesse collettivo
viene infatti determinato non attraverso un’astratta e impossibile media tra gli interessi individuali
ma dalla concreta mediazione tra i diversi componenti del gruppo che si svolge attraverso i
procedimenti di formazione della volontà collettiva. L’interesse collettivo, come d’altronde quello
pubblico o generale, non è , in conclusione, un’essenza ontologica, bensì una convenzione
linguistica che designa l’esito di un processo di formazione della volontà di una pluralità
organizzata di persone. Anch’esso dipende , perciò, da una scelta vlontaristica, come quella che dà
origine al gruppo professionale.
Nel linguaggio giuridico per interesse collettivo ci si riferisce in modo più o meno fungibile
all’interesse diffuso.

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