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Diritto Pubblico Rinaldi (seconda parte)

Istituzioni di diritto pubblico (Università Cattolica del Sacro Cuore)

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DIRITTO PUBBLICO
MODULO 2

LA COSTITUZIONE ECONOMICA
Si intendono diverse cose. Un primo significato è: “formula di sintesi delle disposizioni
costituzionali che riguardano i rapporti economici”, art. da 41 a 47. Seconda
accezione: “insieme di istituti, opinioni e interpretazioni che segnano il mutare
dell’opinione pubblica sulle questioni economiche e sociali”. Questi mutamenti fanno
parte della costituzione economica perché permettono di interpretare il fenomeno
economico e giuridico. Terza accezione: “applicazione di prassi e di regole
giurisprudenziali interne ed europee venendosi così a creare il diritto vivente”.
Quindi la costituzione economica è una formula riassuntiva di questi tre significati.
A questa nozione corrispondono diversi metodi di studio: degli atti amministrativi e
legislativi; delle politiche di settore; del governo dell’economia.
Evoluzione dei rapporti tra Stato e economia
6 macro-periodizzazioni dall’unità d’Italia ad oggi (bisogna precisare che quando si
parla di questi rapporti si fa riferimento a un intervento adottato dallo Stato nei
rapporti economici che crea un confine mai fisso, in relazione al quale cambiamento
gli Stati adottano diverse politiche economiche che possono essere espansive o
restrittive. In base a ciò si differenziano i 6 macro-periodi. Inoltre, a partire dagli anni
’80, con l’espansione dell’UE si parla di intervento pubblico nell’economia non solo
statale ma anche comunitario):
1. Stato liberista (1861-fine 1800): dato di partenza unità d’Italia. Contesto
economico di un Paese arretrato, soprattutto a livello culturale (poca
alfabetizzazione). Classe dominante borghesia, che non si è ancora affermata a
livello economico, struttura economica prevalentemente basata sull’agricoltura
e in particolare sul latifondismo, soprattutto al sud. Dal punto di vista politico
governa la destra storica, che punta a una politica economica liberista e lo fa
attraverso una struttura giuridica unitaria attraverso l’unificazione legislativa
(adozione del Codice civile e del codice del commercio) + estensione della
legislazione piemontese per unificare; dal punto di vista economico si introduce
un protezionismo doganale in funzione protezionistica, l’effetto fu di creazione
di alcuni paradossi: da una parte avevano sbaragliato la concorrenza estera, ma
si crea concorrenza tra le imprese dello Stato stesso, tipo tra quelle del sud e
del nord; privatizzazioni: si voleva consentire ai piccoli proprietari di ricevere in
rendita dei terreni da coltivare: si crea anche qui un effetto paradossale perché
non tutti furono in grado di gestirli e quindi quelli che avevano maggiori risorse
comprano anche gli altri e si crea il latifondo. Pochi ministeri e con poche
competenze.
In sintesi, lo Stato in questo momento non controlla l’economia. Unica
eccezione: nascita della cassa depositi e prestiti che raccoglieva il risparmio.
2. Prima industrializzazione (1900-1920): cambiamento sociale ancor prima che
economico: inclusione delle classi subalterne (classi più sfavorite) nei circuiti
politici e intervento dello Stato nell’economia. Si cerca di risolvere il problema
dell’analfabetismo; a livello economico prima forma di industrializzazione che
avviene attraverso vari strumenti: si rompe il monopolio di uniformità e si crea
una differenziazione legislativa con leggi ad hoc per vari territori; si avvia una
politica generale di lavori pubblici che comporta un’iniezione di liquidità
importante (es.: ferrovie dello Stato); nascono le prime imprese pubbliche
(ferrovie dello Stato) come per esempio l’INA con cui si attribuisce il monopolio
delle assicurazioni sulla vita ad un’impresa pubblica; nascita della previdenza
sociale: iscrizione obbligatoria con contributi obbligatori e si crea un rapporto
tripolare perché non è solo più tra Stato e lavoratori, ma tra Stato, istituti di
previdenza e cittadini lavoratori.

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3. Stato imprenditore e pianificatore (1920-1950): fase collocata nel ventennio


fascista, che ha delle sue caratteristiche non solo sociali ma anche giuridiche.
Fase caratterizzata da: approvazione del Codice civile che diviene la norma
generalmente applicabile nelle relazioni commerciali tra i privati; sul piano
economico sviluppo del monopolio dello Stato che avviene attraverso una
riserva originaria di vari servizi, vengono rilasciate delle autorizzazioni in
funzione di accesso al mercato e quindi in funzione protezionistica (“riserva
originaria”: solo le aziende con autorizzazione possono svolgere attività
economiche); si afferma il dirigismo economico attraverso le pianificazioni,
l’economia vuole essere pianificata dall’alto, in particolare per i beni culturali e
urbanistici; costituzione di enti pubblici in diversi settori e accanto
costituzione di enti di gestione e che erogano servizi di interesse economico
(Agip e IRI: istituto per la ricostruzione industriale, nato per tamponare una
situazione di crisi, ma poi provoca il fatto che lo Stato diventi in qualche modo
banchiere convogliando l’economia italiana in una particolare direzione);
ordinamento corporativo: nascita delle corporazioni, che si uniscono nel
Consiglio Nazionale delle corporazioni, che insieme al partito fascista va a
comporre la camera dei fasci (gli obiettivi erano quelli di risoluzione dei conflitti
lavorativi e dei problemi sindacali -raggiunto- e di governare l’economia -non
raggiunto-).
4. Lo Stato del benessere come prima affermazione dello Stato sociale (1950-
1980): approvazione della Costituzione del 1948. Principali novità:
riconoscimento costituzionale dell’attività d’impresa e dell’iniziativa
economica privata (che incontra delle limitazioni) e riconoscimento della
proprietà che è riconosciuta e garantita dalla legge per raggiugere obiettivi di
tipo sociale; completamento delle partecipazioni statali con introduzione di
enti pubblici economici (ENI), creazione di un ministero delle partecipazioni
statali e quindi economia caratterizzata da un forte intervento pubblico, in più
abbiamo la pubblicizzazione dell’energia elettrica in favore di ENEL (avviene in 2
fasi: prima fase di espropriazione con indennizzo a valore di mercato alle varie
imprese di energia elettrica, seconda fase di disposizione di una riserva
originaria in favore di ENEL che preclude l’esercizio dell’attività a tutte le
imprese private) questa è stata l’unica forma di applicazione dell’art. 43 della
Costituzione; programmazione economica con idea di fondo di avere una
programmazione economia a livello nazionale (non si è mai avuta in generale,
ma solo per determinati settori); inserite diverse forme di sostegno e
finanziamento (cassa per il mezzogiorno); create le istituzioni del
benessere quali sistema di istruzione obbligatoria, sistema sanitario nazionale
e istituzione delle pensioni sociali e della previdenza obbligatoria. Quindi in
sintesi intervento pubblico rilevante.
5. Integrazione europea e riduzione della sfera pubblica (1980-2008): fenomeno
della globalizzazione e inizio del processo di integrazione europea. Principali
fattori del processo di integrazione europea: unificazione dei mercati e
creazione di un mercato unico attraverso la tutela della concorrenza con
abbattimento dei fenomeni ostativi al mercato unico; privatizzazione delle
imprese pubbliche, fenomeno importante a livello quantitativo e qualitativo;
liberalizzazione dei servizi pubblici (vengono aperti diversi servizi alla
concorrenza e vengono sottoposti a regole per la tutela degli utenti e della
collettività); ruolo unificante della giurisprudenza della Corte di giustizia
che costituisce diritto vivente. Questa integrazione europea porta a delle
trasformazioni: diverso ruolo dello Stato nell’economia, lo Stato quindi non è più
imprenditore, ma regolatore esercitando un ruolo indiretto e muta il ruolo dello
Stato anche nella finanza pubblica che da dimensionale diviene allocativo delle
risorse; sul piano generale abbiamo un rapporto multipolare tra cittadino,
singolo Stato e UE e questo comporta anche delle complessità.

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6. Crisi economiche mondiali e riespansione della sfera pubblica (2008-2022): alla


base c’è la crisi del 2008, che quando diventa finanziaria oltre che bancaria
diventa anche crisi a livello di Stato. È stata una crisi profonda e con effetti
devastanti e ha avuto anche forti ripercussioni dal punto di vista sociale. Ha
portato ad un riordino dei rapporti tra Stato ed economia. Ciò comporta:
rafforzamento della globalizzazione e dei rapporti a livello
sovranazionale (G20 e financial stability board) con funzione di monitorare il
sistema finanziario mondiale per ridurre il rischio di crisi finanziarie; a livello
europeo azione congiunta per il controllo della finanza privata (sistema
europeo di vigilanza finanziaria SEVIF), è multilaterale perché intervengono
diversi soggetti volti a sorvegliare il rispetto dei parametri nei confronti degli
Stati membri; negli ultimi 3 anni le cose cambiano ulteriormente perché in
questo contesto si inserisce la crisi pandemica globale che ha ridefinito tutti i
rapporti perché lo Stato riacquisisce il ruolo di intermediario finanziario e
si sviluppa il fenomeno della coopetizione: cooperazione tra soggetti che di
norma sono in competizione, collaborazione tra competitors, come per esempio
l’acquisto dei vaccini a livello europeo e non di singolo Stato. Lo Stato inoltre
acquista anche il ruolo di assicuratore, come per esempio nel risarcire
danni causati dai vaccini. Dequotazione del ruolo delle autority, autorità
amministrative indipendenti, che non dipendono dall’indirizzo politico
governativo, godono di indipendenza e hanno il compito di svolgere funzioni
tecnicamente rilevanti ei settori di riferimento e neutrali dal punto di vista
governativo. L’UE interviene in prima battuta aiutando gli Stati in
difficoltà emettendo propri titoli di debito per fornire fondi con un
rafforzamento dell’UE nello spending power. Quindi in generale abbiamo una
riespansione dell’intervento pubblico, anche a livello globale.

LIBERTA’ E DIRITTI NEI RAPPORTI ECONOMICI


Introduzione storica per comprendere le scelte prese in Assemblea costituente:
abbiamo diverse letture che sono state fatte di queste previsioni nell’ambito dei lavori
dell’Assemblea. Il disegno costituzionale per quanto riguarda la costituzione
economica è aperto e flessibile perché può dare adito a diverse
interpretazioni, ma anche “anfibologico” = contiene in sé dei valori che possono
sembrare antagonisti e risulta quindi difficile trarre delle regole o almeno delle
prescrizioni univoche dai lavori dell’Assemblea. Inoltre, la scienza economica è quella
che muta più velocemente ed è quindi inevitabile che le disposizioni costituzionali
siano quelle che hanno più risentito del passaggio del tempo (esempio: tutela della
concorrenza che prima non era concepita ed è stata introdotta in un secondo
momento). Quindi si risente da una parte del fatto che certe disposizioni siano state
scritte dopo la seconda guerra mondiale, ma dall’altra parte ci sono molte indicazioni
all’interno della costituzione economica che essendo aperte risultano flessibili e
possono dare adito a diverse interpretazioni.
Tra le diverse indicazioni che si possono trarre abbiamo però 2 punti fermi di
partenza:
1. La costituzione in tutte le previsioni pone dei limiti in merito alla possibilità
di incidere sull’attività economica privata da parte dei pubblici poteri.
Quindi l’interferenza dei pubblici poteri è limitata dalla costituzione.
2. In tutte le previsioni emerge un modello di “economia mista”, che da una
parte rifiuta il modello liberale tipico dello Statuto Albertino, ma dall’altra parte
rifiuta anche il modello socialista che prevede un intervento centrale e
predominante da parte dei pubblici poteri. Si prevede quindi un modello di
economia mista nel senso che viene sempre tutelata l’iniziativa privata e a
questa si affianca l’intervento dello Stato, che può operare apponendo vincoli
dall’esterno, oppure può agire anche “dall’interno”, nel senso che attraverso le
imprese pubbliche i pubblici poteri possono svolgere attività economiche.

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La cosa che non dobbiamo tralasciare è che nel modello di economia mista sono
presenti 2 visioni concorrenti: una che è più favorevole alla tutela dell’iniziativa
economica privata, e l’altra più favorevole ad assicurare l’intervento pubblico in
funzione sociale limitando quindi l’iniziativa economica. Queste due diverse visioni
sono presenti negli articoli che andremo ad analizzare, 41, 42 e 43, e potremmo dire
che contrassegnano la scrittura delle previsioni costituzionali. Dalla scrittura di queste
ultime possiamo però trarre delle indicazioni di fondo:
- L’intervento pubblico non può mai svuotare il contenuto essenziale dei diritti
costituzionali e questo lo vedremo sia nell’art.41, che nell’art. 42.
- La costituzione non contiene solo la tutela di diritti e libertà economiche, ma
anche alcune regole procedurali (es.: principio di bilancio senza eccessivi
disavanzi o il principio antinflazionistico).
- Indicazione di tipo metodologico: le disposizioni sulla Costituzione economica
vanno lette alla luce una dell’altra, ma soprattutto alla luce dell’impianto
complessivo della Costituzione e dei principi dei trattati UE e del diritto europeo.

Art. 41 della Costituzione:


Questa previsione è stata integrata dalla legge Costituzionale del febbraio
2022, la quale ha introdotto in riferimento all’ambiente, alla salute e ai fini ambientali
dei limiti all’iniziativa economica e sociale e ha previsto che ci siano dei limiti esterni
che riguardano la tutela dei fini ambientali.
In via generale l’art. 41 al comma 1 riconosce la libertà dell’iniziativa economica
privata e pone poi una serie di limiti di diverso tipo ai commi 2 e 3: al comma 2
afferma che l’iniziativa economia privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità
sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, ala sicurezza, alla libertà o
alla dignità umana (limiti esterni). Al comma 3 invece vengono introdotti altri tipi di
limiti (interni), quali: la legge determina i programmi e i controlli perché l’attività
economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e
ambientali.
Questa attuale formula dell’art. 41 è stata elaborata nella terza sottocommissione
dell’Assemblea costituente e in questa sottocommissione si erano scritte 2 diverse
previsioni: art. 37 e art. 39 che erano diverse nella scrittura e nella filosofia di
fondo ma anche nell’applicazione, perché la prima configurava l’attività
economica come finalizzata al benessere collettivo e ai fini sociali e quindi
introduceva una visione che privilegiava l’intervento pubblico perché prevedeva che
l’iniziativa economica privata dovesse seguire piani e programmi definiti in maniera
vincolante dallo Stato, c’era quindi un vincolo interno già nel fine; al contrario nella
seconda previsione l’iniziativa economica privata era concepita come libera e il fine
era quello di impedire che potesse recare danno al pubblico e ai beni
pubblici (filosofia capovolta), i limiti imposti dovevano essere esterni e l’attività non
poteva essere funzionalizzata dai pubblici poteri.
Tra questi due modelli di filosofia opposta si trovò un compromesso: l’impresa privata
costituisce la regola, in quanto non leda l’interesse pubblico (si è quindi privilegiata la
seconda filosofia), i limiti che possono essere imposti sono esterni e hanno l’obiettivo
di non permettere all’iniziativa privata di recare danno all’utile pubblico.
Nella scrittura dell’art. 41, i commi 1 e 2 riprendono questa impostazione, sono infatti
limiti esterni, mentre il comma 3 è il residuato della prima concezione ed è stato
quindi apposto prevedendo che la legge potesse coordinare tramite programmi e
controlli l’attività economica pubblica e privata (per fini sociali).
Dobbiamo ora trattare 3 aspetti principali riguardanti l’articolo:
1. Qual è l’oggetto tutelato dall’art. 41? Inizialmente la prima interpretazione che è
stata data è stata da Galgano nel 1982 e riteneva che l’art. 41 in senso
restrittivo tutelasse solo l’attività d’impresa svolta in forma tipica e
professionale, ma questa interpretazione è stata considerata recessiva; infatti,
in seguito si è ritenuto che nell’art 41 rientri qualsiasi attività economica

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svolta anche in modo non professionale con esclusione solo del lavoro
subordinato. Quindi possiamo dire che l’art. non tutela solo l’attività d’impresa
in forma tipica.
Tutela solo l’iniziativa economica privata o interamente l’attività economica
privata? Possiamo vedere che i commi 1 e 2 fanno riferimento specificatemene
all’iniziativa, mentre il comma 3 fa riferimento solo all’attività economica.
L’interpretazione che si è data in questo caso è che l’art. si riferisca a tutta
l’attività economica privata nella sua interezza.
L’unico limite che può essere imposto riguarda i modi e le forme.
2. Come possono essere imposti i limiti? Ci sono 2 diversi limiti che l’art. incontra:
limiti interni e limiti esterni (come abbiamo visto prima). Sul comma 2 il
legislatore fa riferimento a delle clausole generali che devono essere riempite di
contenuti. Questi limiti sono posti in un’ottica di bilanciamento tra lo
svolgimento dell’attività e una serie di limiti di diversa natura volti a
proteggere l’utilità sociale e il benessere collettivo. L’opinione prevalente
prevede che l’art. ponga una riserva di legge implicita e quindi l’utilità
sociale e gli altri limiti devono essere previsti da parte del legislatore e
quindi la pubblica amministrazione non può definire direttamente cosa si
intenda per utilità sociale. Questa tesi è stata fatta propria dalla Corte
costituzionale: i limiti devono essere espressi dal legislatore. Inoltre, la Corte ha
previsto che le disposizioni del legislatore siano sindacabili sono nel caso di
irragionevolezza dei fini perseguiti da parte del legislatore. I limiti
possono essere imposti direttamente dalla pubblica amministrazione oppure è
necessario l’intervento del legislatore? L’utilità sociale può essere definita sia
dal legislatore, che dalla Costituzione che impone una diretta protezione (es.:
gioco d’azzardo). In tutte queste circostanze il legislatore può intervenire
indicando una serie di beni che ritiene meritevoli di tutela, indicando i fini
perseguiti e i mezzi e questa disciplina integra l’utilità sociale e costituisce un
limite all’attività economica privata.
Caso limite: caso Alitalia del 2010. L’azienda era in cattive acque e il
legislatore fece una legge speciale dove permise, per salvare l’azienda, la
possibilità che ci potesse essere una funzione di concentrazione da parte di più
imprese (cordata). Questo fu fatto, intervennero varie imprese, Alitalia venne
chiamata Cai e le venne assegnata in via esclusiva la tratta Milano-Roma. Una
società concorrente, Eurofly, impugnò il provvedimento ritenendo l’operazione
di concentrazione illegittima, contraria alla concorrenza e quindi lesiva sia della
concorrenza che dell’art. 41. Il tar Lazio (tribunale amministrativo regionale del
Lazio) solleva questione di legittimità costituzionale della legge che permetteva
l’operazione di concentrazione davanti alla Corte costituzionale, che deve
rispondere alla domanda “l’operazione di concentrazione che è stata autorizzata
è lesiva dell’art. 41 o è ascrivibile all’utilità scoiale? La Corte fa una premessa: il
parametro dell’utilità sociale consente anche la tutela di interessi diversi
rispetto a quelli economici e da questo punto di vista il legislatore può, nei limiti
della ragionevolezza, quelli che sono questi interessi e i conseguenti limiti. La
conclusione che ne trae la Corte è che il legislatore ordinario nel momento in cui
ha dovuto porre rimedio ad una situazione di grave crisi di un’impresa
essenziale per lo Stato, ha fatto una scelta e ha realizzato un intervento volto a
garantire il salvataggio dell’azienda e a scongiurare una crisi occupazionale.
Sulla base di questo assunto, la Corte trae la conclusione che questi interessi,
sebbene attengano alla sfera economica, sono riconducibili alle ragioni di utilità
sociale e giustificano quindi l’intervento (sentenza n. 270 del 2010). La cosa
interessante è che per la prima volta il salvataggio avviene ascrivendo
l’intervento del legislatore all’utilità sociale.

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Inoltre, prendendo in considerazioni i limiti interni del comma 3, si fa riferimento


alla possibilità che il legislatore possa adottare dei piani e quindi delle leggi di
piano per indirizzare l’attività economica privata a determinati fini. Questa
disposizione ha avuto una limitata applicazione, è stata applicata tramite legge
una sola volta. Questa legge prevedeva una pianificazione quinquennale che è
rimasta inattuata. Ci sono state solo programmazioni settoriali che ricercavano
specifiche finalità.
3. Nella sua previsione, l’art. 41 tutela anche la concorrenza? La concorrenza ai
tempi dell’Assemblea Costituente non esisteva. Su questo possiamo dire che in
Assemblea l’esigenza di difendersi da un monopolio c’era, ma
rispecchiava la necessità di evitare che dei privati potessero fruire da soli di
situazioni di monopolio. In quest’ottica era stata prevista la riserva originaria
e la statalizzazione di determinate imprese e categorie di imprese con
riferimento a determinati settori sensibili (servizi pubblici). Questo non veniva
preso come uno scandalo, perché la ratio di questa previsione era quella di
tutelare i cittadini nei confronti del monopolio privato ed era una fonte di tutela
perché lo Stato poteva intervenire in questi settori solo in via sussidiaria. Il
principio di concorrenza, però non esisteva, e possiamo dire che si è
lentamente e progressivamente affermato seguendo 3 tappe
fondamentali: 1) successivamente all’approvazione della carta costituzionale la
concorrenza non era considerata, ma anzi per quasi considerata negativamente
(es.: legge sui prezzi di vendita dei medicinali) come uno strumento che va ad
intaccare la qualità di prodotti e servizi; 2) sotto l’influsso del diritto europeo la
concorrenza adesso viene ritenuta un elemento che integra l’iniziativa
economica privata e come uno strumento che protegge la collettività perché il
confronto concorrenziale produce l’effetto di migliorare la qualità di servizi e
prestazioni. La Corte comincia a ragionare come ragioniamo noi oggi. C’è quindi
stato un progresso sul piano culturale, ma, nonostante ciò, fino al 2001 la
costituzione non prevedeva nessun rinvio al tema della concorrenza; 3)
costituzionalizzazione del principio di concorrenza per opera della legge
costituzionale n.3 del 2001. La tutela della concorrenza è stata riconosciuta
come materia di competenza statale e può quindi essere interpretata in 2 modi
diversi a seconda che siano ambiti materiali o competenze trasversali. La
tutela della concorrenza viene considerata materiale di competenza
statale e trasversale: idonea a disciplinare e intervenire in ambiti di
competenza regionale.
Quindi la concorrenza ha adesso valore costituzionale per quanto detto sopra,
ma anche perché deriva direttamente dal diritto europeo che lo sancisce
all’interno dei trattati.
La Corte in prima battuta ha considerato la concorrenza in senso “largo”, ma
successivamente ha ritenuto che il principio di concorrenza debba sempre
essere applicato e rispettato applicando i principi di proporzionalità
(intervento proporzionale rispetto ai fini) e adeguatezza (con strumenti
adeguati).
Il principio di concorrenza viene applicato anche in relazione ai contratti
pubblici, attraverso la procedura della gara, al termine c’è la stipula del
contratto (struttura bifasica: selezione del contraente e esecuzione del
contratto). Il codice dei contratti pubblici e le direttive europee 23 e 24 sono
state interpretate dalla Corte come norme di tutela della concorrenza e che
possono essere quindi disciplinate dallo Stato e le regioni non possono
introdurre normative derogatorie. Quindi anche l’ambito della contrattazione
pubblica risulta oggi essere presidiato da norme applicative del diritto di
concorrenza.
Il principio di concorrenza può quindi ritenersi oggi costituzionalizzato attraverso
tutto ciò detto sopra.

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Art. 43 della Costituzione:


Articolo che prevede la nazionalizzazione o collettivizzazione di determinate
imprese o categorie di imprese o mediante riserva originaria o mediante
espropriazione fatta previo indennizzo. Questo avviene tramite riserva di legge
rinforzata per contenuto perché la nazionalizzazione può avvenire solo con legge e per
fini di utilità generale. Quindi la pubblica amministrazione non può prevederla con
propri atti.
Le principali categorie a cui ci si riferisce sono i servizi pubblici essenziali, le
fonti di energia o situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente
interesse generale. Questa applicazione in Assemblea era stata formulata a tutela
dei cittadini per evitare un monopolio, quindi ratio di tipo garantista.
C’è stata una sola applicazione di questa legge: pubblicizzazione dell’energia
elettrica (Enel).
Oggi l’art. 43 non è applicato perché i servizi pubblici sono soggetti a una
regolamentazione interamente europea.

Art. 42 della Costituzione:


Regola e tutela la proprietà privata. Anche in questo caso in Assemblea costituente
si è verificata una coesistenza di 2 opposte ideologie: una riteneva la proprietà
privata come l’asse portante dei diritti di libertà, l’altra che ammetteva la
proprietà privata solo se compatibile con la funzione sociale che avrebbe
dovuto perseguire.
Intanto vediamo i principali caratteri dell’articolo:
- Superamento del carattere sacro e inviolabile della proprietà (‘800).
- Equiparazione delle situazioni proprietarie: la proprietà è pubblica o
privata e i beni appartengono allo Stato, ai pubblici o ai privati. C’è quindi
un’equiparazione.
- Riserva di legge (relativa): la Costituzione riserva alla legge il compito di
definire i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale. Inoltre,
riserva di legge anche per definire modi di acquisto, godimento e limiti.
Funzionalizzazione della proprietà ai fini sociali. La riserva di legge sta a
significare che tutte queste cose devono essere definite dal legislatore e la
posizione giuridica soggettiva del proprietario deve essere definita dalla legge.
Per quanto riguarda la concezione funzionale della società, invece, questa viene
rispettata a fini sociali e l’intervento operato dal legislatore deve essere
finalizzato al benessere collettivo. Questo è il motivo per il quale il legislatore
deve sempre definire in maniera precisa nella legge i fini sociali.
Quindi questo articolo garantisce la proprietà sia come istituto, sia il contenuto
essenziale del diritto e quindi ciascun bene nella sua consistenza fisica e tutela le
diverse proprietà come beni specifici.
Due vincoli che incontra il diritto di proprietà:
1. Vincolo di natura conformativa: il proprietario mantiene sempre l’esercizio del
diritto di proprietà, ma vengono imposti dei limiti sul come. In sostanza, nei
vincoli conformativi il proprietario mantiene sempre il diritto di proprietà, ma
l’esercizio del diritto è limitato per l’appunto da una serie di interventi, o del
legislatore statale o regionale o dalla pianificazione regionale o locale, che
intervengono per conformare l’esercizio del diritto in funzione sociale. Vincoli
che sussistono praticamente sempre.
2. Vincolo espropriativo: accade quando c’è un soggetto pubblico che vuole
espropriare il diritto di proprietà a un privato. Per farlo deve però
rispettare dei limiti: l’espropriazione può avvenire solo se c’è una legge che lo

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preveda (riserva di legge); ci deve essere sussistenza di un interesse


generale; e la previsione di un indennizzo.

Problema dell’indennizzo e del giusto indennizzo :


Questo dell’indennizzo è un problema che ha interessato la giurisprudenza sin dal
1865 e dobbiamo fare un approfondimento.
La previsione dell’indennizzo è stata sicuramente nel corso degli anni uno dei problemi
più rilevanti soprattutto per i soggetti privati espropriati. Sin dal 1865 le
espropriazioni sono avvenute e a fronte delle espropriazioni sovente è accaduto
che la pubblica amministrazione abbia corrisposto degli indennizzi alcune volte
decisamente inferiori rispetto al valore economico dei beni espropriati e
addirittura altre volte erano meramente simbolici.
È intervenuta più volte la Corte costituzionale e recentemente sono intervenute anche
due sentenze gemelle della Cedu che hanno ribaltato la posizione che era stata
assunta negli anni dal legislatore italiano e dalla pubblica amministrazione italiana.
Vediamo i vari passaggi:
1) La legge del 1865, che disciplinava le espropriazioni, introduce il criterio del
valore venale del bene. Questo criterio è però puramente teorico perché non
riceve immediata applicazione da parte della pubblica amministrazione
e anche la Corte costituzionale quando interviene tra gli anni 50 e gli anni 60
non interviene in realtà a sanzionare l'illegittimità di uno dei criteri definiti dal
legislatore, ma si limita soltanto a dire che è il legislatore che deve avere la
competenza a definire quelli che sono i criteri in base ai quali deve essere
corrisposto l’indennizzo.
2) Nel 1971 viene adottata la legge sulla casa, che introduce un criterio che è
assolutamente irrispettoso dell’indennizzo corrispondente al valore venale del
bene perché utilizza come criterio di indennizzo per l’espropriazione il criterio
del valore agricolo medio moltiplicato per un coefficiente, questo per
indennizzare i fondi edificabili e le aree urbane.
La legge Bucalossi nel ’77 ha di fatto la stessa impostazione e occorre attendere
3) Un intervento del 1980 della Corte costituzionale, che con la sentenza
numero 5 del 1980 per la prima volta dichiara l’illegittimità della previsione
di legge che indennizzava il proprietario del fondo espropriato con un
indennizzo commisurato sul valore agricolo del terreno. Dunque, la previsione di
legge in sostanza prevedeva che per l’espropriato di un fondo edificabile,
l’indennizzo fosse corrispondente a quello di un valore agricolo.
Qui, quindi, la Corte costituzionale interviene con questa sentenza e dichiara
illegittima costituzionalmente la disciplina di legge precedente per almeno due
ragioni: 1) la prima è la violazione dell’art 42 comma tre della
costituzione perché la Corte afferma la necessità che l’indennizzo non sia
meramente simbolico, ma deve corrispondere a un serio ristoro e deve essere
riferito al valore reale del bene. Quindi, l’individuazione del valore agricolo e del
criterio agricolo per parametrare e corrispondere l’indennizzo è considerata
incostituzionale: deve essere corrisposto un giusto indennizzo.
In secondo luogo, la Corte costituzionale considera la previsione legislativa
violativa dell'articolo tre anche perché corrispondendo un indennizzo al
proprietario del fondo edificabile pari a un indennizzo previsto per un fondo
agricolo, di fatto si opera una disparità di trattamento tra proprietario di
fondo edificabile e tra proprietario di fondo agricolo.
In realtà, però, l’intervento della Corte non sortisce subito l’effetto sperato
perché il legislatore anche successivamente all’intervento della Corte
costituzionale fa orecchie da mercante e nel 1983, qualche anno dopo, la
Corte costituzionale deve nuovamente intervenire richiamando il
precedente intervento del 1980.

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4) Nel 1992 si introduce un nuovo criterio con la legge 359 che prevede che
l'indennizzo debba corrispondere alla media del valore venale del bene
e del reddito dominicale meno il 40% per le aree edificabili. Questo
stesso criterio viene a essere travasato e recepito nel Testo unico di
espropriazione che è il testo unico 327 del 2001.
Dal momento che l'applicazione pratica da parte delle pubbliche
amministrazioni continuava a essere quella di corrispondere un indennizzo che
nella maggior parte, nel migliore dei casi, corrispondeva più o meno al 50% del
valore venale del bene, allora fu in diverse occasioni presentato ricorso presso
la Cedu:
-C’è un primo intervento nel 2006 nel caso Scordino Italia, con cui la Cedu definisce
l’indennità italiana inadeguata rispetto al fine che deve perseguire la determinazione
dell’indennizzo.
Tuttavia, la Cedu è rispettosa dell’ordinamento interno e quindi lascia comunque la
competenza al legislatore statale di definire la quantità dell’indennizzo. Con due
sentenze gemelle, la Corte costituzionale, con la sentenza 348 e 349, ritiene
l’indennizzo così come definito irragionevole e il criterio definito dalla legge 359
del ’92, che abbiamo ora visto, incostituzionale perché violativo del contenuto del
diritto di proprietà riconosciuto dalla convenzione europea del diritto dell’uomo.
Qui la cosa interessante è che la Corte costituzionale ritiene illegittimo
costituzionalmente l’indennizzo, utilizzando come parametro direttamente la
Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Come lo fa? Lo fa tramite l'articolo 117, comma uno, della Costituzione, che riconosce
quindi valore interno anche alla convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Queste due sentenze sono importanti perché costituiscono una svolta per la prima
volta del modo in cui deve essere parametrato l’indennizzo.
A seguito di queste sentenze, la legge finanziaria del 2008 interviene sul Testo
unico di espropriazione e prevede come principio che l'indennità per le aree
edificabili debba essere uguale al valore venale del bene. Tuttavia, introduce
un’eccezione cui spesso ricorre la pubblica amministrazione in base alla quale questa
indennità così determinata può ricevere una riduzione del 25% allorquando si
tratti di porre in essere interventi di riforma economico e sociale.
Dunque, in conclusione possiamo dire che oggi può ricevere e riceve probabilmente,
dopo le sentenze gemelle della Corte costituzionale del 2007, una prima attuazione la
previsione costituzionale del 42 comma tre che prevede un indennizzo che la corte
definisce giusto e cioè non meramente simbolico e corrispondente al reale valore del
bene (ciò avviene solo dopop l’intervento della Corte Costituzionale del 2007).

LE LIBERTA’ DI CIRCOLAZIONE NELL’UNIONE EUROPEA


Abbiamo terminato l'analisi delle principali previsioni costituzionali e quindi del 41, del
43 e del 42. Adesso però per avere il quadro completo dobbiamo prendere in esame
anche le libertà di circolazione che sono disciplinate all’interno dell’ordinamento
dell’Unione Europea.
Sappiamo che ci sono 4 libertà fondamentali:
- libertà di circolazione delle merci
- di circolazione dei lavoratori
- del diritto di libertà di stabilimento e dei servizi
- di circolazione dei capitali
Il fondamento di queste libertà è rinvenibile nell’art 26 del trattato sul funzionamento
dell'Unione europea che ci dice che il mercato interno comporta uno spazio senza
frontiere nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei
servizi e dei capitali, secondo le disposizioni dei trattati.
Dunque, l’affermazione di queste quattro libertà fondamentali è funzionale alla
creazione di un mercato interno inteso come spazio senza frontiere.

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Ciò comporta che i mercati degli Stati membri per il formarsi del mercato interno
perdono le loro identità nazionali e contestualmente comporta che il singolo
Stato, anche nella regolamentazione non è più solo, ma è affiancato dall’Unione
Europea nella regolazione e nell’applicazione delle regole e delle libertà di
circolazione.
Vediamo ora i casi specifici:
-La circolazione delle merci: è disciplinata dall’art 28 sino all’art 37 del trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea. È sicuramente delle quattro libertà la più
importante perché potremmo dire che le altre tre sono in un certo qual modo
funzionali a questa libertà.
Ci sono diverse modalità e diversi strumenti con i quali il trattato prevede che possa
essere realizzata e possa trovare concreta effettività questa libera circolazione delle
merci.
La prima modalità è sicuramente rappresentata dall’unione doganale che
comporta un divieto di imporre dazi sia all’importazione che all'esportazione
e un divieto di imporre qualsiasi tassa sia all’importazione che all’esportazione con
effetto equivalente. Quindi diciamo che questa libertà è funzionale a una barriera
doganale unica per l'intero spazio giuridico europeo.
Il secondo strumento è dato dal divieto di disposizioni fiscali discriminatorie;
quindi, il singolo paese membro non può applicare ai prodotti di altri Stati delle
imposizioni interne che siano superiori rispetto a quelle che sono applicate nell’ambito
del proprio diritto nazionale e rispetto a quelle applicate ai prodotti nazionali.
Un terzo elemento riguarda l’abolizione delle restrizioni quantitative
all'importazione e all'esportazione e delle misure con effetto equivalente.
Qui si pone una regola da parte del trattato che è quella per cui non vi possono essere
restrizioni di tipo quantitativo e questa regola vale non solo per i prodotti, ma vale
anche per le misure con effetto equivalente. Però come tutte le regole nel trattato,
anche questa riceve un’eccezione all’articolo 36 che contempla dei possibili divieti o
delle possibili restrizioni. Possibili divieti e possibili restrizioni si possono avere per
motivi che sono diversi e cioè per motivi di moralità pubblica, per motivi di
ordine pubblico, per motivi di sicurezza pubblica o di tutela della salute, della
vita delle persone o degli animali o di preservazione dei vegetali o di protezione del
patrimonio artistico, storico, archeologico o nazionale o per la tutela di proprietà
industriale e commerciale. In tutti questi casi è possibile introdurre dei divieti o meglio
delle restrizioni, laddove ricorrano motivi che sono ascrivibili a esigenze che potremmo
definire in via sintetica di ordine imperativo. La giurisprudenza definisce queste
esigenze di ordine imperativo, perché sono esigenze che rispondono non a bisogni di
ordine economico, ma sono esigenze di ordine imperativo in quanto cercano di
soddisfare altri tipi di bisogni. È questo il motivo per il quale abbiamo avuto un
allentamento, anche nell'ambito del diritto europeo e delle regole di concorrenza in
presenza dell’epidemia Covid e della diffusione dell’epidemia Covid: si è venuto a
determinare per effetto di motivi di sicurezza sanitaria e soprattutto di tutela della
salute, della vita e delle persone, una serie di restrizioni alle regole di concorrenza.
Gli altri due strumenti sono poi il riordinamento dei monopoli nazionali, che viene
a essere assegnato ai singoli stati membri, e quello del ravvicinamento delle
legislazioni nazionali (attraverso l'adozione di direttive e regolamenti UE e misure
amministrative, quindi operato direttamente dall’Unione Europea). Qui diciamo che il
ruolo principale viene svolto dall’Unione Europea che cerca un po’ di fare da
collante, unificando gli elementi essenziali delle principali legislazioni.
La libera circolazione delle merci è fondamentale a creare uno spazio giuridico
europeo nel quale non esistano dazi doganali, ma esiste un’unione doganale unica
e quindi a creare una libera circolazione all’interno dello spazio territoriale e
giuridico europeo.

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L’interrogativo rilevante a questo punto è quello di capire quando gli stati possono
applicare i divieti alla libera circolazione delle merci. Abbiamo visto che c’è una
regola che impone il divieto di restrizioni sia con riguardo alle misure quantitative e ai
prodotti e alle quantità di prodotti, sia con riguardo alle misure con effetto equivalenti,
e poi abbiamo un’eccezione posta dall’articolo 36 che riguarda tutte le ipotesi in cui
ricorrono delle esigenze imperative. Dobbiamo quindi capire in quali casi questa
eccezione può essere messa in pratica e dobbiamo tenere presente che ci sono due
diversi approcci che si sono verificati nell’ambito dell’Unione Europea: da una
parte un primo approccio è quello che introduce la nozione di restrizione ad effetto
equivalente secondo la logica dell’ostacolo ed è quindi un approccio che considera
qualsiasi misura nazionale che ostacoli la circolazione o il commercio come restrizione.
Secondo questa logica, che è la logica dell’ostacolo, qualsiasi tipo di restrizione è
di fatto vietata e la ratio è quella di garantire una massima deregulation e
una massima liberalizzazione del mercato e di far sì che il mercato che viene a
formare all'interno dell'Unione Europea sia massimamente liberalizzato. Per converso
però questa logica comporta in realtà poca possibilità per gli Stati di poter
intervenire a regolamentare le diverse situazioni.
Dall’altra parte invece c’è un secondo approccio di diverso tipo: logica della
discriminazione, per cui non tutte le misure imposte dagli Stati sono di per sé
vietate, ma lo sono soltanto quelle che lo Stato adotta in forma
discriminatoria tra il prodotto importato e il prodotto nazionale. Dunque, non
basta che ci sia una restrizione, ma occorre che quella restrizione, secondo questa
logica, produca una discriminazione e produca una discriminazione nei confronti del
prodotto importato. La ratio di questa logica è quella di introdurre una regolazione che
sia più restrittiva.
Mentre la prima logica è molto più volta ad assicurare una deregulation quasi senza
limiti, nella seconda abbiamo una logica che risponde all’esigenza di far sì che ogni
stato membro possa anche adottare una regolazione per meglio applicare la libera
circolazione delle merci e soltanto laddove questa regolazione si traduca in una forma
di discriminazione dei prodotti all’importazione, possa essere sanzionata.
Per quanto riguarda il percorso storico che ci ha portati ad avere questo tipo di
regolamentazione, possiamo dire che la giurisprudenza della Corte di giustizia ha
interpretato in due diversi momenti questi due approcci interpretativi e queste due
diverse istanze.
Inizialmente l’interpretazione era basata principalmente sulla logica dell’ostacolo,
veniva quindi data un’interpretazione molto ampia delle disposizioni che vietano le
restrizioni. Come abbiamo detto, l’unica eccezione secondo questa prima
applicazione si verifica nel caso in cui vi siano delle esigenze imperative.
Soltanto in un secondo momento, a partire dai primi anni 90, c'è stato un
mutamento di approccio della giurisprudenza da parte della Corte di giustizia.
L’orientamento della corte di giustizia che si viene a formare è più elaborato, non fa
un’applicazione del primo o del secondo approccio interpretativo così come li abbiamo
visti adesso, perché la corte di giustizia e la giurisprudenza comunitaria distinguono
due ipotesi: un conto è quando siamo di fronte a restrizioni di carattere
pecuniario o restrizioni che riguardano le caratteristiche fisiche delle merci: in
questo caso si applica sempre la logica dell’ostacolo (si applica il primo approccio,
salve eccezioni di esigenze imperative); un altro discorso, invece, va fatto quando si è
in presenza o di misure regolatorie o di misure che attengono al sistema
tributario, che prevedono un diverso trattamento per i prodotti interni rispetto ai
prodotti da importare. In questo caso, queste misure regolatorie e queste misure del
sistema tributario non sono vietate di per sé, ma sono vietate solo nella misura
in cui si traducano in discriminatorie nei confronti dei prodotti
all’importazione.
Questa distinzione adottata dalla giurisprudenza è importante perché consente agli
stati membri di recuperare uno spazio soprattutto sulle misure regolatorie e sulle

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misure relative al sistema di carattere tributario e di poter disciplinare meglio queste


misure in conformità alle caratteristiche del proprio ordinamento.
In questo secondo caso, quindi, è chiaro che la regolazione interna risulti essere
vietata dal diritto europeo solo nella misura in cui si traduca in una forma di
discriminazione nei confronti dei prodotti esteri.

-La circolazione dei lavoratori: seconda libertà, la quale comporta l’abolizione di


qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità per l’impiego, per la
retribuzione e per altre condizioni di lavoro. Sostanzialmente il lavoratore europeo non
può essere discriminato né per le condizioni di lavoro né per la retribuzione, né tanto
meno per essere impiegato, e può ottenere un posto di lavoro in uno qualsiasi dei
paesi.
Questo comporta secondo il trattato, di poter rispondere a offerte di lavoro presenti
nei vari Paesi degli stati membri, a spostarsi liberamente tra questi e prendere dimora
nel rispetto della legislazione vigente nel luogo di destinazione.
Anche qui però c’è un’area che il trattato individua come un'area di eccezione
rispetto alla regola, nel senso che la libera circolazione dei lavoratori non si applica
in alcuni casi: in particolar modo non si applica agli impieghi nella pubblica
amministrazione, e quindi da questo punto di vista sono escluse dall'ambito di
applicazione dell'articolo 45 tutte quelle attività che possiamo definire come
collegate all'esercizio dei poteri di sovranità (tutte le funzioni di ordine pubblico,
l’essere dipendente della polizia, del comando dei carabinieri, del ministero della
difesa… sono tutte ipotesi che sono escluse dall’ambito di applicazione della libera
circolazione dei lavoratori).
Le uniche attività “statali” ammesse sono quelle dell'insegnamento e dei
trasporti, ma per il resto le principali attività di impiego nelle pubbliche
amministrazioni collegate all’esercizio della sovranità costituiscono eccezione
all'applicazione della libera circolazione.
In positivo c’è una equiparazione anche sotto il profilo, non solo della condizione
retributiva, ma anche per quanto riguarda la condizione della protezione sociale e
del diritto al lavoro e della formazione professionale. Infatti, i lavoratori sono
coperti da questa tutela: per esempio laddove un lavoratore italiano decida di lavorare
in Germania, avrà la possibilità poi di cumulare dei periodi assicurativi che sono
maturati in questo Stato. Se tornerà quindi in Italia a fine carriera potrà
chiaramente cumulare i diversi periodi.
Sono previste poi, per la formazione dei lavoratori, delle azioni dell’Unione Europea: in
particolar modo c’è un fondo sociale europeo per l'occupazione e la mobilità
geografica e professionale.

Tutte le previsioni appena viste si applicano a tutti i Paesi dell’UE. L’unica eccezione
c’è stata nel ’92, quando il Regno Unito, che si era rifiutato di accettare la clausola di
Maastricht che in un certo qual modo era stata inserita nel ’97 sull’Europa sociale,
aveva chiesto il riconoscimento di una esenzione.
Diciamo quindi che da questo punto di vista accanto all’ambito di applicazione
generale che riguarda principalmente il diritto al lavoro nell'ambito dei paesi
dell’Unione Europea, c’è anche un’equiparazione dal punto di vista della protezione
sociale e della formazione professionale a tutto tondo.

-Il diritto di stabilimento e circolazione dei servizi: è la terza libertà. Nel diritto di
stabilimento è vietata qualsiasi restrizione a questa libertà e quindi viene a essere
garantito l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, viene a essere sempre
garantita la costituzione e la gestione di imprese e società in qualsiasi paese
dell’Unione Europea e c’è anche un riconoscimento reciproco dei diplomi.
Sostanzialmente si fa riferimento alla libera prestazione dei servizi e quindi sono
vietate le restrizioni alla libera prestazione dei servizi.

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Che cosa si intende per servizi? È una nozione di carattere residuale perché di fatto
per servizi si intendono chiaramente tutte quelle prestazioni che ricadono
nell'ambito di applicazione di questa libertà e che non ricadono nell'ambito di
applicazione delle altre libertà. In concreto si tratta di tutte le prestazioni che sono
fornite dietro retribuzione e che non sono regolate dalla circolazione delle
merci, non sono regolate dalla circolazione dei capitali, né dalla circolazione
delle persone. Ecco perché si tratta di una nozione residuale, riguarda in sostanza
attività di carattere commerciale e artigianale, più tutte le libere professioni.
Quali sono in realtà gli strumenti con i quali viene a essere garantito il diritto di
stabilimento e di libera circolazione dei servizi? Abbiamo intanto uno strumento di tipo
generale che è dato dalla direttiva Bolkestein 123 del 2006 che si applica a
qualunque servizio che venga reso dietro un corrispettivo economico. Quindi gli unici
servizi sui quali non trova applicazione la Bolkestein sostanzialmente sono i servizi non
economici di interesse generale, i servizi finanziari e quelle attività che abbiamo visto
essere connesse all’esercizio dei pubblici poteri e all’esercizio dei poteri di sovranità.
La Bolkestein pone alcune regole: possono essere ammessi dei regimi di
autorizzazione nazionali purché i requisiti nazionali non siano discriminatori
e siano sempre proporzionali. Anche con riguardo ai destinatari dei servizi non
possono essere mai imposti dei requisiti che abbiano carattere discriminatorio.
L’altro strumento, oltre alla Bolkestein, sono le normative speciali, che si applicano
sia in materia societaria per quanto riguarda gli obblighi societari, la struttura del
capitale e le operazioni straordinarie, ma anche e soprattutto abbiamo delle normative
speciali in materia di contratti pubblici, che danno applicazione al diritto di
stabilimento e alla circolazione dei servizi. In particolare, ci sono due direttive, la 23 e
la 24 del 2014 e il codice dei contratti pubblici.
Però il principio di fondo in questa normativa, qual è? Si realizza per le procedure di
gara che sono indette dalle pubbliche amministrazioni a cui possono
partecipare anche le imprese estere per effetto del diritto di stabilimento e della
circolazione dei servizi.
I contratti pubblici dal punto di vista finanziario occupano sempre una quota rilevante
del PIL di ciascuno degli stati membri. È uno strumento che dal punto di vista
quantitativo è importante per garantire la libera circolazione dei servizi e dell’attività
di impresa.

-La circolazione dei capitali: disciplinata dall’art 63 e sostanzialmente vieta tutte le


restrizioni ai movimenti di capitali tra gli stati membri, nonché tra stati
membri e paesi terzi; quindi, la previsione non riguarda solo i capitali, ma riguarda
anche i pagamenti
Per garantire la previsione, sono considerate illegittime una serie di misure, come ad
esempio i controlli sugli investimenti. Questo e altri comportamenti risultano essere
vietati dall'articolo 63 del Trattato.
Ci sono però delle eccezioni: le eccezioni principali riguardano le disposizioni
tributarie, che si applicano sulla base della residenza dei contribuenti.
Questione: alcune imprese possono pagare meno imposte se sono residenti in alcuni
paesi europei piuttosto che in altri, come mai questo accade? Questo accade perché le
disposizioni tributarie costituiscono un’eccezione all’applicazione diretta della libera
circolazione dei capitali di cui all'articolo 63.
Le altre eccezioni riguardano la materia fiscale e di vigilanza sulle istituzioni
finanziarie e, infine, i motivi di ordine di pubblico.
Questa è l’unica delle quattro libertà che si applica anche ai paesi terzi e quindi è
l’unica che ha di fatto un ambito di applicazione superiore.

Ci eravamo posti il seguente interrogativo: “le trasformazioni dell’economia e quelle


impresse dal diritto dell’UE, come hanno modificato la nostra Costituzione? L’hanno

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svuotata? L’hanno resa in parte inapplicabile? O la Costituzione può essere


interpretata e applicata in modo compatibile con il diritto comunitario?”
Dobbiamo dire che subito dopo l’affermarsi del diritto europeo, si è affermata una
prima tesi che è risultata prevalente, secondo cui la disciplina interna
costituzionale (Art. 41, 42, 43) è entrata in una sorta di limbo perché tutte le regole
applicate in Italia sono di origine europea e alcune regole della nostra costituzione
sono di conseguenza divenute inapplicabili.
Rispetto a questa prima tesi se n’è poi affermata una seconda che era considerata
minoritaria e che riteneva che il rapporto tra il diritto interno e il diritto
europeo, fosse conflittuale perché il modello economico europeo era esterno
rispetto a quello italiano e confliggente con alcune disposizioni
costituzionali. In questo secondo approccio si riteneva che il modello europeo
comporti un contrasto con la costituzione, ad esempio, in tutti i casi in cui le regole di
concorrenza si pongono in maniera antagonista rispetto ad altri valori costituzionali. La
questione del rapporto tra diritto interno e europeo non può essere risolta a tavolino
ma presuppone un cammino e una serie di cause e conseguenze che ci hanno portato
alla situazione odierna.
Quindi, bisogna fare delle considerazioni: intanto il diritto europeo e la
costituzione italiana hanno diverso approccio perché il primo è stato creato con
l’obiettivo di creare un mercato unico (4 libertà viste l’altra volta), mentre la
costituzione italiana ha un carattere aperto ma con dei limiti rappresentati da valori
antagonisti che servono a bilanciare l’iniziativa economica privata con la tutela di altri
fini e quindi il suo approccio è quello di ammettere un bilanciamento tra diverse
situazioni soggettive. Questo bilanciamento, nel diritto europeo non sussiste o è
comunque ineguale. Però bisogna dire che da questo punto di vista il diritto europeo
ha fatto dei passi avanti perché inizialmente l’affermazione della concorrenza è stata
piuttosto unilaterale e fatta in maniera unilaterale. Solo successivamente c’è stato uno
scatto e quindi un avanzamento.

Accanto all’avanzamento nei riguardi delle esigenze della concorrenza c’è stato anche
un avanzamento per quanto riguarda lo sviluppo sostenibile: obiettivo di
sviluppare un’economia sociale di mercato attenta anche a valori esterni quelli del
mercato (sviluppo sostenibile della produzione).
Accanto a ciò, un ruolo importante nell’unificazione (per quanto riguarda la ricaduta
pratica) l’ha avuto la giurisprudenza europea che svolge appunto un ruolo unificante
del diritto europeo, lo vediamo in particolare nelle regole della concorrenza.
Al nostro interno negli ultimi anni, anche grazie all’intervento della Corte
costituzionale, abbiamo visto un’armonizzazione del diritto europeo nel nostro
ordinamento.
Il diritto comunitario trova applicazione in tutti gli Stati membri, ma anche le varie
costituzioni devono tutelare i propri valori nel momento in cui il diritto europeo vada in
contrasto ad essi.

LE DISCIPLINE DELLA CONCORRENZA (integrare con libro)


Bisogna capire come i pubblici poteri regolano la concorrenza, sia dal punto di vista
del diritto europeo, che dal punto di vista del diritto interno del nostro Paese.
Si parla di “discipline” perché abbiamo la normativa europea integrata dalla legge del
’90.
I pubblici poteri che rapporto hanno con la concorrenza e con il mercato? Può essere di
diversi tipi, perché l’intervento dei pubblici poteri può essere contrastante con
la logica del mercato: o perché applicano una legislazione contrastante con le
regole del mercato o perché decidono di tutelare dei valori antagonisti rispetto
a quelli del mercato. Quindi sottopongono questi diritti ad una riserva di tutela
(disciplina che può essere contrastante con la logica del mercato) oppure intervento
suppletivo: i pubblici poteri lasciano fare alle regole del mercato e nel caso queste

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non siano sufficienti intervengono i via suppletiva come per esempio nel caso di
fallimento del mercato; oppure intervento in senso pro-concorrenziale uno degli
indirizzi impresso dal diritto europeo, la legislazione non si limita a prendere atto delle
regole del mercato ma interviene a determinarle meglio per evitare che ci siano
situazioni di abuso o condotta illecita anche per permettere un maggior benessere al
consumatore finale.
Le regole di concorrenza in ambito europeo sono funzionali alla formazione del
mercato unico, ma successivamente a questo primo periodo in cui si affermato il
dogma della concorrenza, in un secondo periodo si è puntato allo sviluppo sostenibile
dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata… (art. 3).
Queste finalità oggi sono parte integrante del diritto dell’unione europea e si
accostano al diritto del mercato e della concorrenza.

La legislazione antitrust nasce nel diciannovesimo secolo negli USA per evitare che
una posizione di monopolio del mercato portasse ad una chiusura del
mercato. In una prima fase la visione del diritto antitrust può essere considerata
statica perché volta a delimitare delle posizioni importanti sul mercato di alcuni
operatori. Successivamente si è capito che ciò che danneggia la concorrenza, non è la
posizione dell’operatore economico ma la sua condotta e quindi si è cercato di
disciplinare il diritto antitrust introducendo dei limiti e delle restrizioni ai
soggetti che abusano della propria posizione. Si è passati quindi ad una concezione
dinamica.
Quindi la concorrenza è uno strumento che i pubblici poteri impiegano per garantire il
corretto funzionamento del mercato contro l’uso del’ “potere di mercato” (abuso) da
parte dei privati.
L’intervento dei pubblici poteri è sempre un intervento di regolazione, che mira a
conformare il mercato in una determinata maniera e quindi l’attività è volta a
imprimere una certa regolazione delle diverse situazioni economiche: attività
conformativa (strumenti spiegati più giù).
Aspetti rilevanti della concorrenza di tipo generale:
1) Rapporto tra la disciplina dell’UE e disciplina nazionale: da una parte
abbiamo tutte le disposizioni del trattato sul funzionamento dell’UE
(art.101 e 102, poi integrati da regolamenti 1 e 139), dall’altra a livello di
diritto italiano abbiamo la legge sulla concorrenza (legge 287). Sappiamo
che il diritto europeo opera con carattere di prevalenza rispetto al diritto
nazionale e quindi le norme italiane si applicano per completamento, in
quanto residuali e in quanto compatibili rispetto al diritto europeo in conformità
al principio di decentramento e di sussidiarietà. Se dovessimo pensare
all’evoluzione di questo rapporto potremmo prendere il 2003 come anno di
spartiacque. Però bisogna dire che già prima del 2003 nel caso consorzio
industrie fiammiferi, fu affermato il principio dell’effetto diretto delle norme del
trattato sulla concorrenza nel rapporto tra i singoli all’interno di ogni Stato
membro. La legislazione interna consentiva ad alcune imprese di avere
comportamenti confliggenti rispetto alle regole di concorrenza europea. La corte
di giustizia affermò però che l’applicazione diretta del diritto UE può avvenire
sia da parte delle autorità nazionali (autorità garante della concorrenza e del
mercato), ma anche nel corso dei processi da parte dei giudici nazionali. Ciò che
rileva quindi è che il diritto europeo ha effetto diretto negli stati
membri, nel senso che si applica ai diversi operatori economici direttamente
dalle autorità degli stati membri. Abbiamo detto che il 2003 è come uno
spartiacque perché prima di esso il sistema della concorrenza era
centralizzato in capo alla Commissione perché ciò rispondeva all’esigenza
che il diritto della concorrenza si formasse sulla base di canoni interpretativi
unitari e questi erano assicurati meglio da un unico organo, quale appunto la
Commissione. Dal 2003 si è passati ad un sistema decentrato perché i

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regolamenti errano già pervenuti a tutti gli stati e si voleva liberare la


Commissione dai troppi dossier. Si voleva quindi che le regole fossero
applicati direttamente dagli Stati. Quindi con il regolamento 1 del 2003 si
prevedeva che le disposizioni previste dal trattato sulla concorrenza possano
ricevere applicazione diretta da parte delle autorità nazionali. Gli stati devono
cooperare tra di loro e nei confronti della Commissioni fornendo informazioni e
viene eliminati il sistema della notifica preventiva. Il ruolo della commissione,
quindi, diventa di controllo sull’applicazione uniforme del diritto comunitario.
Restano solo 3 ipotesi concrete in cui la commissione può intervenire: nel caso
di 2 o più intese che possono incidere sulla concorrenza in più di 3 stati
membri; quando occorre affrontare delle questioni nuove o interpretative
sulla disciplina della concorrenza; nel caso di pericolo di decisioni delle
autorità nazionali che possano contrastare con il diritto europeo.
2) Diverse attività di controllo: UE: Commissione; Italia: attività garante
della concorrenza e del mercato (AGCM). La Commissione è un organo di
indirizzo politico, quindi sembra strano che le sia affidato questo ruolo. Il suo
ruolo è stato bilanciato nel tempo dal fatto che la tutela giurisdizionale è
affidato alla corte di giustizia e non alla commissione e dal fatto che poi le leggi
relative alla concorrenza, come abbiamo detto prima, vengono applicate
direttamente dagli stati. Per quanto riguarda l’AGCM, invece, questa tutela la
concorrenza nel nostro ordinamento. Ha una competenza generale in
materia di concorrenza e questo non è scontato perché in passato questa
competenza era frammentata tra vari organi. Alla funzione di garantire
l’uniformità della disciplina europea nel territorio nazionale, il tratto
saliente sta nel fatto di essere un’autorità indipendente tanto dal punto di
vista strutturale e organizzativo, quanto dal punto di vista dell’attività che
svolge. È indipendente rispetto all’indirizzo politico del governo e infatti è
composta da 3 membri nominati dai presidenti delle camere sulla base
della loro competenza tecnica. La durata in carica dei membri è di 7 anni e non
possono essere rinominati. L’AGCM ha autonomia finanziaria che deriva dalle
contribuzioni di soggetti privati.
Inoltre, è indipendente anche sul piano delle funzioni che svolge perché:
1) ha poteri delicati di natura tecnica che devono essere affidati ad un organo
non legato al governo, 2) interviene, per prevenire i conflitti, in una serie di
settori toccati da diversi diritti costituzionali (laddove questa funzione fosse
stata assegnata ad un soggetto politico ci sarebbe stato un conflitto di
interessi). L’AGCM ha potere amministrativo, poteri para normativi (può
adottare dei regolamenti con cui definisce l’entità delle sanzioni amministrative
applicabili nei confronti degli operatori), poteri sanzionatori (quasi para
giurisdizionali perché viene assicurato un contraddittorio ai soggetti privati
prima che si chiuda il processo sanzionatorio) e poteri di segnalazione
(redige annualmente una redazione al parlamento in cui fa un focus dei
principali problemi in materia dell’applicazione delle norme di concorrenza). Nel
corso degli ultimi anni questa autorità ha assunto altre competenze in
materia di tutela del consumatore, in materia di rating di legalità delle
imprese che poi risulta funzionale in più occasioni (gare d’appalto), in materia
di conflitto di interessi e in materia di legittimazione ad agire in
giudizio avverso gli atti amministrativi lesivi della concorrenza
(attraverso parere motivato con segnalazione delle violazioni, comunicazione di
un termine ultimo entro cui l’amministrazione deve tornare in regola e nel caso
ciò non avvenisse, si impugna l’atto lesivo davanti al TAR).
3) Potere di mercato e mercato rilevante: l’attività può essere considerata
illecita solo se l’impresa gode di un potere di mercato che viene valutato
in relazione a due nozioni di mercato: “mercato del prodotto rilevante” e
“mercato geograficamente rilevante”. Il diritto della concorrenza ha come

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destinatari diretti le imprese perché si applica nei confronti dei comportamenti


delle imprese che possono essere lesivi della concorrenza. Il mercato è
funzionale a selezionare i migliori prodotti e le migliori imprese e quando
funziona permette di premiare le imprese che riescono a conquistarsi i
consumatori in un modo o nell’altro. Il meccanismo di mercato può essere
alterato e lo si capisce grazie a 5 variabili: ai prezzi, alle quote di mercato,
qualità e varietà dell’offerta e al grado di innovazione tecnologica. Il
diritto antitrust recepisce l’approccio consequenzialista proprio della logica
economica perché le condotte possono considerarsi anti-competitive quando nel
breve periodo le imprese aumentano i prezzi e diminuiscono la qualità del
prodotto e nel lungo periodo peggiorano qualità, varietà e tasso di innovazione.
Di qui si è elaborata la nozione di potere di mercato: un’impresa gode di potere
di mercato quando per un determinato periodo trae profitto offrendo sul
mercato un bene ad un prezzo superiore rispetto al suo costo marginale.
Il potere di mercato deve essere valutato non in astratto, ma in base al
criterio del mercato rilevante: un mercato può essere rilevante dal punto
di vista del prodotto o dal punto di vista geografico. Per quanto riguarda il
mercato rilevante del prodotto questo comprende tutti i prodotti e servizi
considerati sostituibili e intercambiabili o dal consumatore per le caratteristiche
dei prodotti, per i loro prezzi e per l’uso ai quali sono destinati. Per quanto
riguarda il mercato geografico rilevante, questo comprende l’area in cui le
imprese interessate forniscono e acquistano prodotti o servizi a condizioni di
concorrenza sufficientemente omogenee. Ci serve invidiare questi 2 mercati
rilevanti perché bisogna avere dei parametri con cui valutare le condotte
illecite.
4) La nozione di impresa e le condotte illecite: la nozione d’impresa è molto
ampia perché impresa è quella che produce beni e servizi secondo la logica del
mercato (attività economicamente rilevante, sostenibile e capace di produrre
ricavi). Il diritto europeo guarda molto alla sostanza del fenomeno per definire
ciò che è impresa e considera irrilevante il fatto che un’impresa viene
controllata da una società pubblica o privata. La nozione d’impresa è quindi
molto ampia nell’ambito del diritto europeo ai fini dell’antitrust perché
appartengono alla stessa impresa anche le persone giuridiche soggette al
controllo legale ed effettivo e che non possono perseguire fini diversi da quelli
della società; quindi, rientrano nella definizione di impresa anche soggetti non
portatori di rischio d’impresa… questo ovviamente viene fatto per poter
estendere la disciplina antitrust.
Come abbiamo detto, le condotte che vengono in rilievo sono quelle che
esercitano un certo potere di mercato.
Gli illeciti antitrust sono considerati “illeciti di pericolo” nel senso che è
sufficiente che le condotte siano in grado di produrre un danno, anche se non
l’hanno ancora prodotto. È per questo che le autorità hanno poteri
preventivi. Le condotte posson essere multilaterali (intesa) o unilaterali
(abuso di posizione dominante). Abbiamo diverse forme di controllo che
possono agire ex post o ex ante.

Strumenti previsti dal trattato che vengono utilizzati per supportare l’attività
conformativa:
1. (DOMANDA PRIMO APPELLO) divieto di intese restrittive della concorrenza:
art. 101 ci dice che sono vietate le intese tra imprese che possano pregiudicare
il commercio tra gli stati membri o che abbiano per oggetto o per effetto di
impedire il gioco della concorrenza e individua 5 ipotesi che possono
determinare la violazione delle regole di concorrenza: 1) fissazione dei prezzi 2)
limitazione o controllo della produzione, degli sbocchi, dello sviluppo tecnico,
degli investimenti 3)ripartizione dei mercati 4) applicazione di condizioni

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dissimili per prestazioni equivalenti 5) applicazione di prestazioni supplementari


scollegate dall’oggetto dei contratti.
Le intese restrittive della concorrenza sono rilevanti ai fini antitrust in 3
condizioni: 1) bisogna essere davanti ad un’intesa, 2) l’intesa deve essere anti-
competitiva o per oggetto o per effetto, 3) bisogna che l’intesa non possa
essere considerata lecita ricorrendo ad alcune condizioni di procompetitività.
Spiegazione delle tre condizioni sopra:
1) è considerata intesa qualsiasi forma di collaborazione tra un’impresa in cui
gli operatori economici trovano un accordo con i propri concorrenti a
prescindere dalla forma assunta dall’intesa. Questi accordi possono essere:
accordi (intese in cui le imprese si accordano a limitare il proprio
comportamento commerciale attraverso un programma comune e attraverso
una serie di processi decisionali di attuazione di questo programma), decisioni
di associazioni di imprese (attraverso il loro comportamento unilaterale danno
delle indicazioni che possono essere ritenute violative o restrittive della
concorrenza) e le pratiche concordate (si hanno attraverso uno scambio di
informazioni strategiche in relazione ai comportamenti da tenersi in un
determinato ambito). Perché ci sia intesa però è necessario anche un elemento
soggettivo: è necessario che ci sia la volontà delle imprese di falsare la
concorrenza.
2) Le intese possono essere definite per oggetto o per effetto.
Per oggetto: hanno come unico scopo quello di alterare il funzionamento del
mercato e sono dannose per loro natura; quindi, non si richiede l’accertamento
del potere di mercato. Si parla principalmente di intese orizzontali.
Per effetto: possono essere considerate restrittive della concorrenza, ma è un
caso più delicato perché due imprese possono porre in essere un’impresa che
nella loro logica è di sviluppo economico di entrambe le società, ma non ha la
volontà di falsare la concorrenza, però lo determina. Questo avviene spesso
nelle intese verticali. Gli effetti anti-competitivi devono essere accertati caso
per caso da parte delle autorità che devono valutare specificamente il potere di
mercato e il mercato rilevante. La violazione in questo caso deve essere
accertata.
Quanto detto vale come regola generale ma ci sono 2 eccezioni: 1) intese de
minimis: considerate non rilevanti perché sono poste in essere da operatori
economici che detengono quote quasi irrilevanti di mercato e hanno quindi
impatto minimo sul mercato. Il costo per l’accertamento supererebbe al costo
posto in essere dal comportamento delle imprese. 2) restrizioni accessorie: si ha
quando un’intesa è lecita e non ha né per oggetto né per effetto una restrizione
del mercato, ma che nell’ambito di questa intesa madre vengono poste in
essere delle intese inferiori anti-competitive. Anche in questo caso l’intesa
accessoria non viene considerata illecita perché minimale e accessoria ad
un’intesa non antitrust.
3) Perché le intese siano considerate rilevanti ci deve essere anche una terza
condizione: che un’intesa non possa essere considerata lecita. Negli USA
un’intesa per oggetto è per definizione un’intesa restrittiva della concorrenza,
mentre nell’ordinamento europeo serva che questa intesa non sia giustificabile
a livello di procompetizione.
Quindi può essere ritenuta lecita se soddisfa queste quattro condizioni che
devono sussistere contemporaneamente: deve contribuire a migliorare la
produzione o la distribuzione dei prodotti o a promuovere il progresso
tecnologico o economico; deve consentire ai consumatori di beneficiare di una
parte dell’utile che deriva dall’intesa; non deve imporre restrizioni non
indispensabili (condizione di indispensabilità); non deve dare alle imprese la
possibilità di eliminare la concorrenza (per i prodotti oggetto dell’intesa).

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2. divieto di abuso di posizione dominante: anch’essi disciplinati in


concomitanza da diritto europeo (art.102) e italiano.
È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa
essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento
abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato
interno o su una parte sostanziale di questo.
Bisogna precisare che è vietato lo sfruttamento di questa posizione, ma
non è vietata la posizione dominante in sé che anzi è vista in ottica
positiva. Ci sono 4 pratiche abusive rilevanti:
1)imposizione di prezzi di acquisto o di vendita
2)limitazione della produzione a danno dei consumatori
3)applicazione di condizioni dissimili a prestazioni equivalenti
4)imposizione di prestazioni supplementari
Bisogna considerare che qui si parla di condotta unilaterale. La nozione di
posizione dominante non è diversa dal potere di mercato, è un potere di
mercato significativo per un periodo di tempo considerevole.
La condotta abusiva si ha nel momento in cui l’impresa danneggia gli altri
esponenti del mercato e il compratore finale. Inoltre, può essere
considerata condotta abusiva quando un’impresa non può offrire
giustificazioni procompetitive al proprio comportamento. La condotta
abusiva esercitata dall’impresa può consistere in: condotta di sfruttamento
(imposizione di prezzi iniqui oppure di condizioni contrattuali inique. Fattispecie
di difficile accertamento e che andranno accertate in concreto. Per esempio, per
quanto riguarda il prezzo iniquo, la condizione di iniquità deve essere valutata a
partire da un parametro e va quindi individuato il mercato di riferimento del
prodotto e geografico e va individuato come parametro un prezzo di mercato.
Stessa cosa per le condizioni contrattuali); condotte escludenti (condotte
svolte ad escludere dal mercato i competitors. Sono più facili da individuare
rispetto alle precedenti); o condotte anti-competitive (condotte che incidono
negativamente sul benessere del consumatore o applicando dei sovrapprezzi
diminuendo la qualità e la varietà dei prodotti).
Considerando gli orientamenti applicativi che si sono avuti, possiamo dire che
l’orientamento principale applicativo della giurisprudenza su questo tema, è
sempre stato volto a privilegiare l’applicazione di regole abusive che fossero
volte a tutelare il consumatore, perché si è sempre ritenuto che il diritto
antitrust debba tutelare il consumatore finale e non i concorrenti.
Le cose iniziano a cambiare negli ultimi anni, perché con l’avvento dei giganti
dei media e dell’informatica che entrano in possesso dei dati personali, occorre
compiere degli accertamenti volti a tutelare il consumatore e quindi
l’orientamento che si sta profilando è di una tutela che vada a esaminare i
comportamenti dei competitors in gioco.
3. controllo delle operazioni di concentrazione: art. 5. La concentrazione
presuppone che ci sia un controllo di un’impresa sulle altre e quindi si ha
concentrazione quando vi è una modifica duratura del controllo di
un’impresa a seguito di alcune evenienze (fusioni, acquisto di partecipazioni,
accordi per via contrattuale, tutte quelle pratiche che possano in concreto
determinare un’influenza determinante sull’attività di un’altra impresa).
La normativa in questo caso è interna e l’AGCM svolge un’attività di
vigilanza e controllo anticipata, perché valuta prima l’operazione e verifica
se questa può determinare una concentrazione e nel caso in cui questo potesse
accadere la vieta. Per questo motivo, ci deve essere una notifica preventiva
delle operazioni di concentrazione all’AGCM. In particolare, le operazioni
che vanno notificate sono quelle in cui il fatturato dell’imprese acquisente
superi determinate soglie e possa quindi potenzialmente produrre un effetto

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negativo nei confronti della concorrenza. Soglie: 492.000.000 di totale


fatturato; 30.000.000 impresa singola.
Le operazioni di concentrazione sono vietate solo quando producono una
significativa riduzione della concorrenza e possono quindi provocare la
costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante di un’impresa
oppure possono modificare la struttura del mercato. Anche qui vale la
regola per cui la valutazione deve essere compiuta caso per caso e sulla base di
un’istruttoria attenta a valutare le quote di mercato, il potere finanziario delle
imprese coinvolte, la libertà dei consumatori finali, le eventuali barriere
all’ingresso…
4. limitazione degli aiuti di Stato (strumento indiretto perché bisogna ricordare
che è l’unico che ha come destinatari non gli operatori economici, ma i Paesi
membri che elargiscono gli aiuti di Stato) (spiegazione approfondita più in
basso).

Controllo
La commissione resta l’autorità di controllo nei casi che abbiamo esaminato e ha la
competenza di vigilare che le regole vengano rispettate.
L’attività della Commissione può essere schematizzata in 3 step, quali:
-attività di monitoraggio: attività informale, non procedimentalizzata. In questa
attività la Commissione raccoglie atti e informazioni. Dopodiché può fare una
valutazione e
-procedimento istruttorio, con cui apre un procedimento amministrativo
all’esito del quale compie delle valutazioni e
-decisione: nel momento in cui ritiene che sussistano gli estremi di un’intesa
restrittiva o di un abuso di posizione dominante, pone un termine all’impresa
entro cui porre fine all’infrazione e attende che l’impresa si adegui. A quel punto,
se l’impresa non si adegua, la Commissione, tramite una nuova istruttoria, può
adottare una decisione motivata che conferma nella generalità dei casi l’infrazione.
Poiché la decisione è lesiva nei confronti dell’impresa, è impugnabile dinanzi alla
Corte di giustizia.
Quindi questo procedimento è amministrativo, nella seconda e terza fase para
giurisdizionale, ma non giurisdizionale.

A livello interno invece i procedimenti di controllo vengono posti in essere dall’AGCM:


in questo caso possiamo distinguere 2 macro-tipi di procedimento:
1)controlli effettuati sulle intese e sugli abusi di posizione dominante, che
vengono fatti ex post.
Il procedimento di controllo è amministrativo e garantito dal principio del
contraddittorio e si compone di più passaggi:
-indagini conoscitive con funzione di monitoraggio, anche in questo caso la fase
non è procedimentalizzata.
-procedimento istruttorio: fase preistruttoria, notifica dell’apertura dell’istruttoria
alle imprese interessate, svolgimento dell’istruttoria (richiesta di informazioni,
ispezioni, esami libri contabili), comunicazione delle risultanze istruttorie (CRI),
garanzia del contraddittorio (memorie e audizione) e possibilità di adottare in questa
fase misure cautelari (in caso di rischio di danno grave e irreparabile alla concorrenza).
-decisione: è un provvedimento amministrativo con cui si dispone la cessazione
dei comportamenti vietati (entro un termine) e l’irrogazione di una sanzione
pecuniaria amministrativa (fino al 10% del fatturato realizzato in ciascuna
impresa), impugnabile dinanzi al giudice amministrativo (TAR e CdS).
Una possibile alternativa è la decisione con impegni: le imprese possono
presentare impegni cui si obbligano e l’AGCM può (a sua discrezione) accettarli e
renderli obbligatori, senza accertare l’infrazione. Quindi ovviamente l’interesse
principale delle imprese che propongono impegni è quello di non ricevere la sanzione.

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Comunque, le imprese devono cessare il comportamento lesivo della concorrenza e


mettere in atto gli impegni proposti. Questa è una valutazione eminentemente
discrezionale che spetta all’AGCM, che deve decidere se accettare il compromesso
proposto dall’azienda oppure no. Tendenzialmente nella prassi questo accade
raramente e sono nelle ipotesi in cui l’AGCM ha davvero un interesse a chiudere
con impegni, o perché la fattispecie non si è ancora interamente realizzata,
oppure perché l’impresa può fornire all’autorità una pluralità di informazioni
che questa non potrebbe ottenere in altro modo.
L’AGCM ha anche un potere normativo che viene esercitato con dei regolamenti, che
possono disciplinare non solo il potere sanzionatorio ma anche la decisione per
impegni e recentemente l’autorità ha chiarito che il programma di clemenza si
applica solo alle intese orizzontali segrete e che l’immunità totale è garantita solo
all’impresa che per prima fornisce informazioni all’autorità.
2)controlli svolti sulle operazioni di concentrazione, che vengono fatti ex
ante.
Sono controlli disciplinati solo dall’ordinamento italiano e non europeo.
È un controllo preventivo (ex ante) sulle operazioni che sono state preventivamente
comunicate all’AGCM.
Si compone di più fasi:
-attività preistruttoria: attività informale, in cui entro 30 gg l’autorità deve decidere
o se comunicare il non avvio del procedimento (archiviazione) oppure comunica l’avvio
del procedimento e a questo punto si avvia la seconda fase
-istruttoria formale: l’autorità inizia a prendere in esame le condotte da dover
indicare all’impresa. Istruttoria che dura 45 gg e al termine della quale si passa
all’esito dell’istruttoria
-esito dell’istruttoria: l’AGCM può vietare l’esecuzione dell’operazione se
ritiene che l’operazione sia lesiva della concorrenza, oppure può disporre
l’applicazione di misure di ripristino della concorrenza e anche in questo caso
di una sanzione pecuniaria (dall’1 al 10% del fatturato di imprese oggetto della
concentrazione). Potere discrezionale dell’autorità molto alto. Anche in questo
caso la sanzione può essere impugnata davanti al TAR e al Consiglio di Stato.

Gli aiuti dello stato alle imprese (strumento 4 sopra)


Disciplina normata dagli art. 107-108-109 del TFUE
Salvo deroghe, gli aiuti concessi dagli Stati mediante risorse statali, sotto
qualsiasi forma, che falsino o minaccino di falsare la concorrenza, sono
incompatibili con il mercato interno.
La ratio è quella di evitare che il sostengo che gli Stati forniscono alle imprese possano
alterare la concorrenza. Anche la disciplina degli aiuti di Stato alle imprese è
funzionale ad assicurare la concorrenza, però quando parliamo di aiuti di Stato, a
differenza delle altre discipline, dobbiamo ricordare che questa disciplina ha come
destinatari gli Stati e non anche le imprese, perché vuole evitare che i
finanziamenti da parte dello Stato possano falsare il gioco della concorrenza. Le
condotte da considerare sono quindi solo quelle dello Stato e degli enti pubblici.
Inoltre, non è corretto parlare di divieto assoluto degli aiuti di Stato, ma la
disciplina è limitativa; quindi, gli aiuti sono vietati solo quando ricorrono
determinate condizioni.
Nella giurisprudenza della corte di giustizia sono irrilevanti i motivi per i quali uno
Stato agisce, così come gli effetti che l’aiuto rileva. Siamo in presenza di un aiuto
di stato quando ricorrono 4 elementi cumulativamente:
1. finanziamento di origine pubblica: significa che non deve essere per forza lo
Stato ad aire, ma anche una società o un ente pubblico che indirettamente
gestisce servizi di interesse generale o che opera all’interno dell’economia.
Quello che importa è che vengano utilizzate risorse pubbliche.

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2. conferimento di un vantaggio per i beneficiari: può trattarsi di qualsiasi


tipo di vantaggio, non per forza trasferimento di denaro, ma per esempio anche
esenzioni fiscali o contributi. Un caso trattato (società BWG - seidland) nel 2009
dalla corte di giustizia è quello della vendita di un terreno agricolo sottocosto
che è stato sanzionato. La vendita era una vendita sottocosto di terreni per uso
agricolo. Questa azione, essendo stata fatta da una spa in mano pubblica, è
stata considerata come aiuto di stato.
3. pregiudizio per gli scambi e il commercio tra gli stati
4. pregiudizio per la concorrenza

Tipi di aiuti consentiti dal diritto comunitario:


Aiuti compatibili ex lege con il mercato interno: aiuti a carattere sociale
concessi ai singoli consumatori sempre ammessi a meno che non siano discriminatori;
aiuti destinati a ovviare i danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi
eccezionali.
Aiuti esentabili: possono essere rilasciati, ma predispongono una valutazione da
parte delle istituzioni europee (commissione e consiglio). Possono essere: aiuti per
lo sviluppo economico di regioni depresse; aiuti necessari per realizzare un
programma europeo di interesse comune per lo sviluppo di aree territoriali; aiuti per
porre rimedio ad un turbamento dell’economia di uno stato membro; aiuti a fini
culturali.
Non c’è un’automaticità, ma un’analisi fatta caso per caso da commissione e consiglio.
Aiuti esenti per determinate categorie: la ratio è stata quella di consentire a
determinate categorie che sono state particolarmente colpite dalla crisi del
2008 di rialzarsi. Assegnati a banche, piccole imprese, imprenditoria femminile,
agricoltura, pesca e trasporti.

Abbiamo delle procedure di controllo che hanno come attore principale la


Commissione, che svolge delle procedure di controllo di natura amministrativa,
para giurisdizionale, ma mai giurisdizionale perché quest’ultima viene ad essere
sempre assicurata solo dalla corte di giustizia.
Poiché l’organo preposto al controllo è la commissione, la ratio per la quale si è voluto
delimitare il ruolo della commissione al procedimento di controllo amministrativo è
quella di evitare che si potesse innescare una contrapposizione tra Stati membri e
commissione, evitare un rapporto conflittuale.
Il controllo avviene secondo 2 modalità differenti a seconda di due fattispecie:
1. se gli aiuti sono già esistenti: abbiamo un monitoraggio svolto da parte
della commissione che svolge funzione di vigilanza (procedura informale
e non standardizzata). Nel caso in cui la commissione lo ritenga necessario, può
avviare una procedura di indagine formale e intima la cessazione allo
Stato membro dell’aiuto e fissa un termine entro il quale lo stato deve
conformarsi. È sempre possibile il contraddittorio: lo Stato può interloquire e
far presenti le proprie ragioni.
Lo stato può poi ottemperare oppure no, nella seconda ipotesi la
commissione può operare un ricorso diretto alla corte di giustizia, che
deciderà in maniera definitiva.
2. se gli aiuti sono nuovi: obbligo di notifica preventiva da parte degli
Stati, che devono notificare alla Commissione il progetto di aiuto che tendono
porre in essere. Qui c’è un obbligo di “stand still”: clausola sospensiva per
cui gli stati non possono attuare il processo di aiuto prima che questo
venga dichiarato compatibile da parte della commissione. Spesso però
accade che gli Stati notifichino il progetto e poi lo attuino senza attendere il
controllo da parte della commissione: violazione della clausola di stand still,
sulla quale si pronuncia il giudice nazionale. Il giudice nazionale però non si

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occupa dell’accertamento dell’incompatibilità che viene rimesso alla


commissione.

I SERVIZI PUBBLICI
Evoluzione storica:
più fasi:
1: prima fase (fine ‘800 – si consolida ne primo trentennio del ‘900): lo Stato
quando svolge servizi pubblici lo fa in base ad una riserva originaria e quindi
assume su di sé il compito di svolgere e gestire una serie di servizi pubblici a
tutti gli effetti.
Le ragioni alla base di questo approccio erano due: far sì che molti servizi potessero
essere erogati nei confronti della collettività e di evitare che si potesse
determinare un monopolio privato di un’impresa che poteva produrre effetti
dannosi nei confronti degli utenti. La gestione dei servizi pubblici avviene in questa
prima fase con riserva originaria e con esclusione degli imprenditori privati.
Questo avviene con una gestione diretta da parte dello Stato o da parte delle aziende
speciali in ambito regionale. Rimaneva residuale la gestione indiretta che avveniva
o attraverso enti pubblici economici, oppure tramite privati attraverso
concessione.

C’è un periodo di transizione tra la prima e la seconda fase in cui il passaggio è


graduale: periodo dovuto al fatto che la piena apertura alla concorrenza non si è avuta
subito perché le imprese gestivano diritti esclusivi anche grazie alla concessione.
Punto di svolta: anni ’90. Ci sono 2 punti di svolta che fanno sì che si consideri la
concorrenza anche per i servizi pubblici: applicazione data all’art. 114 del trattato
sul funzionamento dell’UE che dice che è stato dettato per permettere un
avvicinamento delle leggi degli stati e prevede che parlamento e consiglio adottino
misure regolamentari e amministrative aventi per oggetto il funzionamento del
mercato. Dal punto di vista europeo l’art. 114 è stato fondamentale perché i servizi
pubblici dal punto di vista europeo sono stati considerati come dei mercati e
quindi sottoposti alla disciplina europea. Ecco perché questo è stato un fattore
unificante per tutto il diritto europeo. Il secondo fattore riguarda le direttive di
liberalizzazione adottate dai diversi fattori dei servizi rilevanti. Queste hanno
aperto il mercato a più operatori economici.

2: seconda fase (dal 1980 e ancora oggi dominante): inizia ad affermarsi il


diritto europeo e i servizi pubblici si aprono alla concorrenza. Muta la ratio
dell’intervento, perché in questo caso la disciplina europea e quella nazionale sono
volte ad aprire i servizi pubblici alla concorrenza perché sono funzionali a garantire
gli utenti e la posizione giuridica soggettiva degli utenti finali. Questo avviene
soprattutto grazie alle liberalizzazioni.
Le direttive distinguono tra 2 modelli:
- concorrenza nel mercato: concorrenza assicurata attraverso l’azione di più
operatori economici sulla base di un’autorizzazione rilasciata al singolo
operatore economico che può poi svolgere liberamente la propria attività.
Questa autorizzazione viene rilasciata sulla base del possesso di specifici
requisiti. Qui l’autorizzazione ha una valenza di strumento necessario non
discrezionale di entrata nel mercato dell’operatore economico. Qui le
autorizzazioni non sono discrezionali, ma vengono rilasciate solo alla presenza
di requisiti. Pluralità di operatori.
- concorrenza per il mercato: servizio pubblico può essere svolto da un solo
operatore che viene selezionato grazie gara pubblica, dopo la quale c’è una
concessione di cui gode l’operatore per poter svolgere quel servizio. A svolgere

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un determinato servizio è quindi un solo operatore economico. Singolo


operatore.
Questo quadro super le caratteristiche analizzate durante la prima fase.
Quando diciamo che i servizi pubblici sono soggetti ai criteri di concorrenza, questi
si applicano senza eccezioni o ci sono regole specifiche? Presentano delle
specificità.

La prima concezione di servizio pubblico che si è affermata è detta “soggettiva”


e risente del tempo in cui si era affermato il primo modello della riserva originaria
perché presuppone che si identifichi come servizio pubblico qualsiasi attività svolta
dallo Stato o da enti pubblici a fini sociali in forma non autoritativa per
soddisfare bisogni di interesse generale. La concreta gestione del servizio può
poi essere svolta da parte del privato.
Questa concezione è stata poi aggiornata, ma le principali critiche che attirò al tempo
riguardavano le finalità: finalità pubblica è anche sicurezza del territorio che però non
è per forza un servizio pubblico, per esempio, e quindi si è ritenuto che servizio
pubblico sia volto a produrre utilità materiali.
A partire dagli anni ’60 si afferma un’altra concezione di tipo “oggettivo”: qui
l’accento è posto non sul soggetto che organizza e cura il servizio, ma sull’attività
che è finalizzata al benessere della collettività a prescindere che a gestirla sia
un soggetto pubblico o privato. La tesi prevalente era quella di Pototschnig, che
prendendo come fondamento l’art. 41 comma 3, considerava il servizio pubblico
ogni attività pubblica o privata avente fini sociali.
In realtà si è ritenuto che la concezione oggettiva fosse più in linea con il principio di
sussidiarietà orizzontale e con il favorire lo svolgimento di attività di interesse pubblico
da parte di soggetti privati.
Oggi non ha più senso ragionare in termini di contrapposizione frontale
contrapponendo concezione soggettiva e oggettiva, perché queste sono state
superate.
Intanto bisogna dire che la nozione di servizio pubblico si connota per la sua storicità:
ciò che era considerato servizio pubblico al tempo di Giolitti, non per forza lo è ancora
oggi (es.: vendita del ghiaccio era considerata servizio pubblico, oggi no). Alcuni
ovviamente sì, come l’illuminazione della città.
Un’altra considerazione da fare è che la nozione di servizio pubblico si connota anche
per la sua relatività: la nozione muta al mutare del contesto economico, delle
condizioni economiche, di mercato e tecnologiche in cui vengono a essere erogati i
servizi da parte degli operatori economici. Poi nell’ambito dei singoli comuni decide il
consiglio comunale cosa è o meno servizio pubblico. Cambiando il contesto
economico-sociale di riferimento cambiano anche le esigenze e i servizi assunti come
servizi pubblici.
Ciò che si vuole assicurare, però, è che i cittadini possano disporre di determinati
servizi a determinati standard e condizioni e che quindi le imprese nell’erogare i
servizi pubblici, rispettino determinati standard quantitativi e qualitativi, quali per
esempio: la soddisfazione delle domande senza discriminazione, garantire la
continuità delle prestazioni…
Oggi il servizio pubblico, quindi, è retto da una serie di principi che sono stati
elaborati dalla dottrina francese. Il servizio pubblico deve essere sempre retto da 3
principi fondamentali:
- égalité: le imprese che gestiscono i servizi pubblici devono garantire l’accesso
al servizio a parità di condizioni a tutti gli utenti e consentano quindi
l’erogazione del servizio in condizioni di eguaglianza.
- continuitè: svolgimento doveroso del servizio pubblico senza interruzioni.
- mutabilitè: al variare delle condizioni economiche, sociali e tecnologiche di
riferimento devono cambiare anche le prestazioni e i livelli delle prestazioni.

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I servizi pubblici sono di diversi tipi, principalmente abbiamo:


1. Servizi a rilevanza economica: tutti quelli che sono suscettibili di essere
svolti in forma imprenditoriale, e quindi si prestano ad essere gestiti dai
privati in concorrenza. Sono svolti dietro retribuzione.
2. Servizi a rilevanza non economica: servizi svolti prevalentemente dalle
amministrazioni pubbliche, di cui si fanno carico le pubbliche
amministrazioni e che sono a carico della fiscalità generale.
Quando parliamo di servizi a rilevanza economica e non economica, nell’ambito del
diritto europeo si utilizza un approccio sostanzialista; quindi, non si dà un elenco
di quelli che sono i servizi a rilevanza economica, ma si lascia che siano gli stati
membri a qualificare alcuni servizi a rilevanza economica e altri e rilevanza non
economica. Ciò che interessa al diritto europeo, è che alcuni servizi pubblici siano
sì soggetti alle regole di concorrenza ma anche agli obblighi di servizio
pubblico e questo è il motivo per cui da noi la sanità è considerata un servizio di
rilevanza non economica, mentre in altri paesi sì (ogni Paese sceglie quali servizi
hanno rilevanza economica).
3. Servizi a fruizione collettiva necessaria e a fruizione individuale:
necessaria ad es. illuminazione pubblica, mentre individuale il gestore ha una
relazione individuale con l’utente (bolletta telefonica).
4. Servizi a rete: servizi autostradali, ferrovia, elettricità. Sono servizi che
presuppongono che ci siano delle infrastrutture fisse spesso tra loro
interconnesse che consentono ai singoli gestori dei servizi di rendere i servizi
nei confronti degli utenti. Qui abbiamo una prima distinzione tra operatore
di rete e gestore del servizio: gli operatori di rete si occupano della
manutenzione della rete e devono garantirne l’accesso ai diversi
gestori. Questi ultimi sono quelli che si connettono alla rete e che poi
vanno a erogare il servizio nei confronti dell’utente finale. Il ruolo degli
operatori di rete e del gestore sono distinti anche dal punto di vista
giuridico e questo potrebbe essere un problema se la figura di operatore e
gestore è la stessa.
5. SIEG (servizi di interesse economico e generale): sono servizi introdotti
dal diritto europeo e sono disciplinati dall’art. 106 del TFUE e ricevono una
disciplina attuativa anche all’art. 8 della legge italiana 287.
La finalità della disciplina europea risponde a 2 esigenze: i servizi pubblici sono
disciplinati all’interno del trattato perché sono essenziali a garantire la
coesione sociale e sono anche un fattore determinante per realizzare
l’economia sociale di mercato fortemente competitiva. Dal passaggio tra
il primo modello che si è affermato al secondo c’è un passaggio da
un’economia di mercati semplice a un’economia sociale di mercato e
questo trova riscontro all’art. 3 del TFUE.
Partiamo dal presupposto che a seguito dell’affermarsi delle
liberalizzazioni, anche i servizi economici di interesse generale
vengono sottoposti alla concorrenza, ma qui l’applicazione delle regole di
concorrenza non è assoluta, ma è di tipo prevalente e questo lo capiamo
leggendo l’art. 106 del trattato. Le imprese incaricate di gestire i servizi
pubblici, sono sottoposte a seguire le regole di concorrenza, nella
misura in cui seguire queste regole non osti all’adempimento della
specifica missione di servizio pubblico affidata alle singole imprese. La
necessità che ha voluto tenere presente il legislatore europeo è il fatto che i
servizi pubblici devono essere soggetti al rispetto dei principi e degli obblighi di
servizio pubblico. I servizi pubblici devono far sì che l’utente abbia la garanzia
che quel servizio risponda a determinati standard quantitativi e
qualitativi, da parte dell’impresa che quel servizio sia erogato con
continuità e che garantisca sempre l’accesso agli utenti alle

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prestazioni e questi contenuti prendono il nome di obblighi di servizio


pubblico.
I servizi pubblici però appunto sono soggetti agli obblighi di concorrenza, ma ciò
non deve comportare una violazione degli obblighi del servizio pubblico. Quindi
non c’è un automatismo nell’applicazione delle regole di concorrenza, che si
applicano in via prevalente, ma con l’eccezione del caso in cui occorra garantire
la specifica missione affidata al singolo servizio pubblico e quindi qui trovano
una deroga. Bisogna sempre rispettare il principio di proporzionalità, e
quindi le deroghe sono ammesse nella misura strettamente necessaria
per il conseguimento degli scopi di interesse pubblico perseguiti dagli Stati o nel
caso in cui si renda necessario il riconoscimento di alcuni diritti speciali ed
esclusivi (ATTENZIONE: come si può vedere dopo, molti SIEG sono anche
servizi a rete).

Quando si prendono in considerazione i servizi pubblici, bisogna considerare che


esistono dei principi da rispettare per tutti questi servizi. Si tratta di principi che sono
stati recepiti e codificati all’interno del nostro regolamento.
I principi fondamentali da rispettare nell’erogazione dei servizi pubblici:
1. Principio di doverosità: principio che riporta ai pubblici poteri che devono
garantire l’attuazione dei servizi pubblici secondo standard predeterminati
quantitativi e qualitativi. I fornitori dei servizi pubblici sono sottoposti ad
una serie di obblighi di servizio pubblico recepiti nei “contratti di
servizio”
2. Principio di continuità: tipico di questi servizi, implica che l’erogazione non
possa essere interrotta autonomamente o arbitrariamente dal gestore
del servizio. Il Codice penale sanziona penalmente l’interruzione del
pubblico servizio con multa e reclusione.
3. Principio della parità di trattamento: prevede che tutti i soggetti godano del
principio in maniera uguale, l’erogatore è obbligato ad applicare condizioni
omogenee per tutti i destinatori del servizio
4. Principio di universalità: le prestazioni devono essere garantite
universalmente a tutti gli utenti a prescindere dalla fascia di reddito, area
geografica di provenienza (il servizio postale deve essere garantito anche sulle
isole o nelle campagne).
Servizio universale: è una categoria interna ai servizi pubblici, si tratta di
un nucleo più ristretto di prestazioni che deve essere sempre e comunque
garantito.
5. Principio di economicità: prevede che il gestore di servizio pubblico, in
particolare di rilevanza economica, eserciti la propria attività in modo
imprenditoriale.
6. Principio di abbordabilità: il servizio deve essere fornito a prezzi accessibili.

La regolazione per i servizi di rete opera attraverso 2 strumenti:


- Nei servizi a rete vige il principio di separazione tra la gestione della rete
e l’erogazione del servizio (energia elettrica). Abbiamo sempre una rete che
viene gestita da un soggetto, e dei servizi che vengono gestiti da una
pluralità di altri soggetti.
- Obbligo imposto ai gestori delle reti di far interconnettere alle reti gli
erogatori del servizio.
Vi sono diverse misure che consentono di porre in essere la regolazione. Queste
misure vengono definite dai soggetti regolatori e sono principalmente: l’accesso
all’infrastruttura, la fissazione di condizioni economiche e contrattuali, la
definizione delle tariffe che devono tenere conto del costo del servizio ma anche
del principio di abbordabilità e il controllo dei prezzi (controllo a valle, non solo sulla
qualità e quantità dei servizi forniti, ma anche sui prezzi fissati).

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Quindi i pubblici poteri hanno poteri di regolamentazione, controllo e


sanzionatori nel caso di non rispetto dei principi e degli obblighi di servizio pubblico,
per assicurare il raggiungimento degli obiettivi di interesse pubblico e
l’attuazione dei principi di servizio pubblico.
In Italia questi obiettivi sono assicurati tramite:
- Le carte dei servizi pubblici: che definiscono i livelli quantitativi e
qualitativi del servizio e sono redatte sulla base di una direttiva adottata nel
1994, che ha fornito un modello di carta dei servizi. Questi contenuti sono poi
rilevanti, perché i gestori sono obbligati a garantire questi standard.
- Le autorità di regolazione di settore: hanno diversi poteri precettivi di
controllo e risoluzione delle controversie, ma solo in materia di energia e
gas, mancano quindi delle regole che valgano per tutti i tipi di servizi (manca
una disciplina uniforme dei servizi pubblici).

Le forme di gestione dei servizi pubblici


Abbiamo diversi tipi di gestione, principalmente:
1. Gestione diretta: l’ente svolge il servizio o in forma autonoma (in
economia) per quei servizi che hanno rilevanza economica minimale,
oppure tramite aziende speciali (organi particolari utilizzati dall’ente).
2. Gestione indiretta: gestione affidata ad un erogatore pubblico incaricato
del servizio. Gestione storicamente avvenuta tramite enti pubblici economici.
3. Gestione con società in house: si parla di gestione in house providing. Il
servizio viene autoprodotto da parte dei soggetti pubblici, in casa e
quindi si ritiene che in questi casi, il servizio visto che autoprodotto, non
debba essere soggetto a gara, ma debba essere affidato direttamente a
queste società.
La nozione per questa gestione è stata elaborata dall’autorità europea.
Fondamentalmente devono ricorrere 2 requisiti, perché una forma di
organizzazione possa essere considerata interna della pubblica amministrazione
(in house): con una prima sentenza del 1999, la sentenza “Teckal”, si è
creata una regolazione che ha individuate questi 2 requisiti:
1)All’inizio era richiesta una partecipazione totalitaria al 100% da parte
dell’autorità pubblica, che oggi non è più richiesta. Al contrario, oggi alla
società in house possono partecipare anche soggetti privati purché
abbiano quote irrisorie e non abbiano poteri di veto o decisionali
sull’attività pubblica. Inoltre, gli enti che partecipano alla società devono
ricevere un controllo analogo a quello che gli enti esercitano sui propri
uffici e servizi e questo avviene anche grazie al fatto che gli obiettivi
strategici devono essere decisi a monte.
2)Realizzazione della parte più importante della propria attività in
favore delle amministrazioni di riferimento che la controllano: si richiede
espressamente che almeno l’80% del fatturato realizzato dalla società
sia destinato alla pubblica amministrazione.
4. Gestione attraverso società mista: regolata dal regolamento europeo. Sul
piano del servizio europeo è una forma di partenariato pubblico-privato,
che avviene attraverso una forma societaria a cui partecipano sia soggetti
pubblici che privati. Il ruolo del privato non può essere inferiore al 30%.
Il privato deve essere selezionato attraverso gara ad evidenza pubblica.
In passato questa forma di gestione dei servizi attraverso società mista ha
aperto un dibattito: spesso accadeva che si procedeva a effettuare una gara per
la selezione del socio privato, ma poi i servizi venivano affidati direttamente alla
società pubblica. Oggi si è risolto prevedendo che la gara abbia un doppio
oggetto: non solo di selezione del soggetto privato, ma anche per quanto

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riguarda l’affidamento della gestione del servizio tramite una


concessione.
5. Gestione con concessione del servizio a terzi: il servizio viene gestito da
un’autorità privata, scelta tramite gara. Si parla si partenariato
pubblico-privato contrattuale, perché il servizio viene gestito da un privato
che è legato all’amministrazione pubblica solo attraverso un contratto.
Il servizio viene concesso al privato tramite concessione e non appalto. Il
privato si deve assumere il rischio operativo. Il rapporto della
concessione tra il privato e l’amministrazione è regolato da una concessione-
contratto = contratto che riprende gli obblighi di servizio pubblico già
definiti nel bando e viene poi stipulato regolando tutti gli aspetti
economici e contrattuali del servizio compresa la durata.
Distinzione tra concessione e appalto: l’appalto è un contratto regolato dal
Codice civile, con cui una parte assume con organizzazione dei mezzi necessari
il compimento di un’opera o l’erogazione di un servizio. Non c’è rischio
d’impresa.
Per quanto riguarda la concessione, invece, siamo sempre dinanzi ad un
contratto a titolo oneroso, ma i servizi pubblici affidano i lavori riconoscendo a
titolo di corrispettivo, tramite il diritto riconosciuto al privato di gestire le opere
oggetto del contratto, il pagamento da parte dei terzi che usufruiscono del
servizio e eventualmente possiamo avere una forma integrativa di corrispettivo
concesso da parte dell’amministrazione pubblica (doppio introito di diverso
tipo). Il soggetto privato si assume il rischio di realizzare l’opera (rischio
operativo).
Caso emblematico per capire la distinzione: la Asl di Nuoro bandisce una
concessione di lavori pubblici per ristrutturare il presidio ospedaliero di Nuoro e
il concessionario potrà poi gestire tutti i servizi ospedalieri + tutti quelli
collaterali per un tot di anni. Nel bando viene anche introdotto un canone
integrativo per la gestione delle opere e un canone per i servizi prestati
all’azienda. Un soggetto vince la gara e un secondo soggetto impugna la gara
davanti al TAR perché ritiene che nella pratica il contratto non sia di
concessione ma di appalto, perché il corrispettivo corrisposto in forma fissa
annualmente è un corrispettivo in denaro che presuppone l’eliminazione di
qualsiasi rischio d’impresa (nell’appalto non c’è rischio d’impresa). Il TAR
riconosce che si è in presenza di appalto e non di concessione e quindi annulla
l’aggiudicazione e il contratto. La motivazione della pronuncia ci fa
comprendere la distinzione tra appalto e concessione: non si rientra nella
categoria della concessione quando il corrispettivo viene versato in forma fissa
dall’amministrazione al soggetto privato e quando il soggetto privato svolge il
servizio in modo unilaterale solo nei confronti dell’amministrazione.
6. Gestione attraverso autorizzazione: autorizzazione rilasciata a
determinati soggetti che operano in concorrenza tra di loro. I soggetti
operano sia nel rispetto degli obblighi di servizio stabiliti dal regolatore, che
delle condizioni stabilite a monte in relazione agli standard quantitativi e
qualitativi del servizio. Ovviamente l’autorizzazione ha una funzione pro-
concorrenziale (al contrario del passato).

La gestione viene regolata principalmente attraverso 3 strumenti:


1) le carte dei servizi, che sono importanti perché qui sono definiti i livelli qualitativi
e quantitativi del servizio e gli standard prestazionali; quindi, sono definiti gli obblighi
di servizio pubblico.
2) i contratti di servizio: strumento contrattuale che regola i rapporti economico-
finanziari tra la pubblica amministrazione e il gestore dei servizi e prevede anche la
possibile erogazione di un contributo che deve servire solo per coprire i costi di
erogazione del servizio pubblico (compensare le eventuali perdite).

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3) contratto di utenza: altro strumento contrattuale che viene stipulato tra il gestore
e l’utenza (soggetto terzo) e vengono stipulati su base privatistica; le tariffe applicate
sono definite a monte nei contratti dei servizi e individuati dalle autorità di
regolazione.

I servizi pubblici locali


La disciplina è stata riordinata col decreto legislativo del 2022 e prima era
regolata dal testo unico degli enti locali. Nel corso degli anni si era tentato di
riformare la disciplina: nel 2008 con la legge Madia e anche nel 2015.
L’AGCM in una relazione annuale del marzo 2021 prese in esame questo settore
notando che era contrassegnato da un inadeguato livello di concorrenza (troppo
basso) e che in questo settore vi erano una serie di livelli qualitativi e quantitativi
del servizio che andavano migliorati.
Con la legge del 2022, quindi, viene emanata una legge delega al seguito della quale
viene emanato un decreto legislativo con il quale si dispone un complessivo
riordino della disciplina dei servizi pubblici locali. Le finalità che il legislatore
persegue è quella di ottenere un riordino della disciplina coordinandola con quella
dei contratti pubblici e con quella delle società pubbliche per migliorare la qualità
dei servizi e inserire l’erogazione di questi servizi in un ambito concorrenziale.
Vi è anche una seconda finalità: il riordino è stato fatto in attuazione del PNRR
(piano nazionale di ripresa e resilienza) perché si prevedeva che il riordino dei servizi
pubblici locali fosse una condizione necessaria per ottenere gli aiuti del PNRR.
Principali novità del riordino: alcuni principi di riferimento sono già evidenti nella legge
delega. I principali principi direttivi sono:
- Si richiede di differenziare la disciplina dei SIEG dalla disciplina degli
altri servizi pubblici non gestiti tramite la rete
- Si richiede di compiere una separazione tra l’attività di regolazione e
quella di gestione dei servizi pubblici
- So richiede una razionalizzazione delle modalità di gestione del servizio
- Si chiede di rivedere la disciplina per la gestione in house, richiedendo
una specifica motivazione nel caso in cui si decidesse di attuare la gestione
in house
- Si richiedono dei criteri sia per l’organizzazione territoriale dei servizi, sia
per definire i regimi tariffari.

Principali novità introdotte dal decreto legislativo: oggetto della disciplina della
riforma sono i SIEG prestati a livello locale. La disciplina costituisce normativa
generale, che ha carattere di prevalenza su tutte le normative di settore
(uniche eccezioni: energia, gas naturali e trasporto a fune).
Ci sono diverse novità, le più importanti sono:
- Distinzione tra le funzioni di regolazione e gestione dei servizi pubblici
locali a rete: si prevede che per tutti i servizi pubblici locali aventi rilevanza
economica che vengono gestiti a rete occorre separare nettamente le
funzioni di regolazione e quelle di gestione. Le funzioni di regolazione devono
essere esercitate dalle autorità di regolazione che possono esercitarle
attraverso l’indicazione di standard o all’interno degli schemi di contratto
all’interno dei piani economico-finanziari. Le attività di regolazione
svolgono anche funzioni di indirizzo e controllo.
Le funzioni di gestione, al contrario, vengono svolte da soggetti incaricati
tramite una delle modalità spiegate sotto.
Intanto bisogna dire che da questa disposizione derivano 2 corollari: 1) le
autorità di regolazione non possono svolgere autorità di gestione o di
amministrazione attiva: divieto di commistione delle due funzioni. 2) gli
organi di indirizzo politico, i dirigenti e i responsabili degli uffici non

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potranno mai svolgere o assumere né incarichi di gestione del servizio, né


incarichi di amministrazione attiva, neanche per via indiretta.
Per i servizi non a rete gli atti e gli indicatori sono predisposti dal ministero delle
imprese, mentre gli enti locali definiscono con regolamenti le condizioni e gli
standard dei servizi.
- Modalità di gestione che possono essere scelte da parte degli enti
locali: ci sono diverse modalità: affidamento del servizio tramite gara per
ottenere un contratto di concessione, tramite una Spa mista (il socio viene
scelto con gara), affidamento a una società in house (con motivazione
qualificata) (gestioni 3,4,5). Per i servizi non a rete invece gestione diretta:
si prevedono diverse modalità, quali gestione in economia direttamente da
parte dell’ente locale se si tratta di servizi modesti o tramite azienda
speciali, che fanno parte dell’ente locale.
Per scegliere una di queste modalità l’ente locale deve considerare sempre quali
sono le caratteristiche del servizio, se sono previsti degli investimenti
infrastrutturali e quantificare le finanze pubbliche per l’ente locale e deve
considerare i costi di gestione di un eventuale servizio. In ogni caso questa
scelta deve essere motivata attraverso specifica relazione in cui l’ente
locale sceglie di prediligere una forma per tot motivi. Questa motivazione viene
spesso esplicitata all’interno di una relazione sull’affidamento. Accanto a questa
l’ente locale deve anche allegare un piano economico-finanziario che
deve essere asseverato da un istituto di credito. La durata degli
affidamenti è diversificata tra i servizi a rete e quelli non a rete: per i servizi a
rete la durata degli affidamenti non deve andare oltre il periodo
necessario per ammortizzare gli investimenti, mentre per i servizi non a
rete si pone come limite 5 anni. Gli enti affidanti stabiliscono le tariffe
stabilite dalle autorità di regolazione, mentre la vigilanza e il controllo sulla
gestione complessiva è affidato all’ente locale.

SEMINARIO SULLE INTESE RESTRITTIVE DELLA CONCORRENZA (avvocato


Balboni)
Intese anti-competitive: il procedimento dinanzi all’AGCM
Il diritto antitrust nasce negli Stati Uniti nel 1990 e la sensibilità per la concorrenza
nasce da un’esigenza pubblica per contrastare ciò che il mercato non riesce a
regolare.
L’AGCM è indipendente ed è formata da 3 membri.
Public enforcement: la tutela della concorrenza si applica dinanzi all’autorità pubblica.
Il public enforcement è più tipico dell’unione europea, mentre negli USA ci si concentra
di più sul private enforcement.
Ci concentriamo sul public enforcement.
L’antitrust è una normativa concreta: si devono sempre valutare concretamente le
varie situazioni e non ci si può basare solo sulla teoria. La definizione d’impresa
considerata è molto ampia.
Non sono punite solo le intese che effettivamente danneggiano il mercato, ma anche
quelle che potrebbero o che sono create con quell’obiettivo.
Le intese possono originare da:
- Accordi scritti
- Accordi orali
- Decisioni associazioni di categoria
- Gentlemen agreement

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- Scambio di informazioni: quando il futuro andamento della concorrenza è


prevedibile in ragione dello scambio di informazioni sensibili.
- Pratica concordata
Le intese possono essere orizzontali (tra imprese che operano allo stesso livello della
catena del valore -sono le più pericolose-) o verticali (tra imprese che operano ad un
diverso livello della catena del valore).
Abbiamo diverse tappe importanti per l’evoluzione della normativa antitrust:
1957: trattato CEE, 2 norme sostanziali, quali il divieto di intese restrittive e il divieto
di abuso di posizione dominante. Sono norme che riprendono quelle americane, la
differenza sta solo nella modalità di applicazione.
1962: regolamento CE, volontà di creare un mercato unico.
1990: legge 287 del ’90 dell’AGCM.
2002: si è creato un diritto antitrust uniforme a livello europeo. L’Europa ha
modernizzato la normativa antitrust: si passa dal vedere l’antitrust come un modello
accentrato nella figura della Commissione, a un modello caratterizzato dal
decentramento dell’esercizio dell’antitrust agli Stati.
2021: altri aggiornamenti e modernizzazioni, principalmente tramite il decreto
legislativo 1 del 2019 con cui l’Italia recepisce la direttiva UE. Principali modifiche
introdotte: sanzioni a imprese per violazioni “procedurali”, sanzioni e penalità di mora
anche a persona fisiche, trattamento favorevole (“leniency”), non punibilità di figure
apicali e di membri del personale, ampliamento dei poteri ispettivi, prescrizione.

LE PRIVATIZZAZIONI
Privatizzazione = sostituzione del regime di diritto pubblico con un regime di
diritto privato. Può riguardare soggetti, attività o beni.
Noi tratteremo soprattutto i soggetti. Quando si parla di privatizzazioni di soggetti
bisogna distinguere in:
- Privatizzazione formale: quando un ente pubblico dotato di personalità
giuridica di diritto pubblico, viene trasformato in una persona giuridica di diritto
privato sottoposta al controllo pubblico. Si ha con il passaggio da ente
pubblico, a società per azioni. In questa privatizzazione formale, il capitale
sociale rimane però nelle mani dei pubblici poteri.
- Questa privatizzazione formale precede sempre la privatizzazione
sostanziale, con cui il controllo della Spa passa a soggetti privati
attraverso la cessione delle azioni.

Privatizzazione delle attività: si tratta generalmente di attività economiche.


Quando viene privatizzata una attività, essa viene sottoposta a regole di diritto
privato. In seguito, questa attività viene aperta alla concorrenza. Dopo tutto ciò si
ha quindi la liberalizzazione dell’attività. Possono essere privatizzate anche
attività non imprenditoriali o che non hanno grande rilevanza economica
(esempio: attività di liquidazione delle imposte fatta attraverso i CAF -centri di
assistenza fiscale-, che sono soggetti privati ma che operano sotto controllo pubblico e
ricevono un contributo per l’attività svolta). In alcuni casi delle attività possono essere
affidate dalla pubblica amministrazione a privati per questioni di efficienza. Sul
piano economico con il termine “esternalizzazioni” si fa riferimento a qualcosa di più
ampio rispetto a quello che si intende sul piano giuridico.

Torniamo adesso ad analizzare più nello specifico quello che si intende con
privatizzazione formale e privatizzazione sostanziale per quanto riguarda quindi i
soggetti.

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Privatizzazione formale (finalità, cosa avevamo prima, legge 386 ’91 -con
problemi- e 333 del ’92 -risolve i problemi- + legge Bassanini 1 del ’97 e
legge 448 del 2001):
Si hanno quando un ente pubblico o un ente pubblico economico viene
trasformato in Spa. Le privatizzazioni nascono intorno ai primi anni ’90, quando
si afferma un nuovo indirizzo amministrativo che ha una duplice finalità:
riduzione dell’indebitamento pubblico e il fatto di rendere le imprese
pubbliche più efficienti. L’operazione che si avvia è un’operazione di
smantellamento del sistema delle partecipazioni statali che viene ad essere
ritenuto non più compatibile con la normativa comunitaria e in particolare con
la disciplina europea degli aiuti di stato.
PRIMA: Nel sistema delle partecipazioni avevamo alla base un ministero di
partecipazioni statali e poi un comitato per la partecipazione economica dava
gli indirizzi per intervenire sul piano economico generale e poi c’erano le
grandi holding, come l’IRI, che svolgevano da sistema di collegamento tra
sistema statale e società incaricate di svolgere i servizi. Questo sistema viene
eroso con il progressivo affermarsi del diritto europeo.
Nel ’91 e nel ’92 vengono adottate due normative con le quali si perviene alla
privatizzazione formale, quindi al primo passaggio nel processo di
privatizzazioni: la prima normativa 386 del ’91 era un po’ più “blanda”, mentre la
seconda, d. legislativo 333, è stata più incisiva.
Quando si provvede al passaggio dalla forma di ente pubblico alla forma di Spa, si
erano verificati alcuni problemi, principalmente 2 (con la normativa 386):
- Individuazione del capitale e degli azionisti
- Una volta trasformati gli enti in Spa, come assicurare le condizioni di
svolgimento del servizio tramite concessioni
In seguito, il d. legislativo 333 ha previsto:
- La trasformazione in Spa di una serie di enti pubblici economici: IRI, ENI,
INA, ENEL
- Il primo problema viene risolto affidando al ministero del tesoro (oggi
ministero dell’economia e delle finanze -MEF-) il compito di individuare le
azioni per poi emetterle e attribuirle sia al MEF, che al MISE (ministero
economia e finanze e ministero sviluppo economico) che esercitano quindi i
diritti di azionista
- Risoluzione secondo problema: per permettere l’operatività e lo
svolgimento dell’attività di queste Spa, si è previsto che queste potessero
svolgere il servizio attraverso apposita concessione assegnata ex lege
per la durata di 20 anni (ovviamente in concomitanza si ha la cessione
della riserva originaria).
Per altri enti invece (come ferrovie dello Stato) si è disposto che la trasformazione
in Spa non avvenisse con previsioni della normativa diretta, ma con delibera del
CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo
sostenibile) e questa delibera si prevedeva che avesse i medesimi effetti di legge.
Per dare attuazione all’indirizzo della normativa, si era previsto un
complessivo programma di riordino delle partecipazioni statali da parte del
ministero del tesoro, in ragione del fatto che queste partecipazioni statali venivano
considerate superate da parte del diritto europeo.
E quindi ci sono stati altri 2 step per il completamento delle privatizzazioni formali:
un primo step si è avuto nel ’97 con la legge delega Bassanini 1 che delega il
governo a trasformare in associazioni o in persone giuridiche di diritto privato
(in Spa) enti pubblici che non svolgono funzioni di rilevante interesse
pubblico o enti per i quali non è necessaria la personalità giuridica di diritto
pubblico.
Un ultimo step riguarda altre disposizioni che sono state adottate dalla legge 448
del 2001 e poi dalla modifica 296 del 2006: anche in questo caso si è previsto che

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enti che non svolgessero più funzioni di rilevante interesse pubblico


venissero trasformate in Spa e quindi l’ANAS venne trasformato in Spa.

Privatizzazione sostanziale:
avviata la privatizzazione formale a questo punto si doveva procedere attuando una
disciplina per la privatizzazione di tipo sostanziale con la vendita delle
partecipazioni delle Spa ai soggetti privati. Interviene quindi la normativa
generale 332 del 1994 (prima decreto-legge e poi legge), che disciplina
complessivamente questo passaggio e quindi la vendita delle partecipazioni ai
privati.
La disciplina però in questo caso non è unica: si prevede una prima disciplina
applicabile in via generale per le privatizzazioni sostanziali di enti pubblici
che svolgono funzioni di interesse economico all’interno del sistema, e una
seconda disciplina speciale che è dedicata al settore dei servizi pubblici.

Disciplina generale: disciplina prevista dal decreto-legge 332 del ’94 che prevede 3
punti centrali, quali:
1) le norme sulla contabilità dello Stato non si applicano alle alienazioni e
dismissioni delle partecipazioni dello Stato e di enti pubblici.
2) le modalità di alienazione vengono predeterminate da parte della legge: si
prevede che le modalità di alienazione siano definite tramite DPCM in seguito a
proposta del ministero dell’economia e delle finanze insieme al MISE (ministero dello
sviluppo economico). Le modalità di alienazione erano principalmente 3: offerta
pubblica di vendita con asta pubblica; cessione delle quote mediante trattativa
privata; procedere in maniera “mista” da una parte tramite asta pubblica e
dall’altra tramite trattativa privata. Una volta che venivano espletate queste
procedure, venivano poi individuati gi azionisti di riferimento.
3) Il governo doveva costituire un nucleo stabile di azionisti, e infatti la
finalità in questo caso era quella di richiedere un impegno giuridicamente
vincolante degli acquirenti. Viene fatto tramite step: definire con un accordo le
condizioni finanziarie e prevedere il divieto di cessione delle partecipazioni
per un determinato periodo e a prevedere delle sanzioni in caso di violazione di
questo divieto.
Queste norme sono del ’94 e vanno coordinate con la normativa vigente e in
particolare con il decreto legislativo 175 del 2006 del TUSP (testo unico sulle società
pubbliche), che ha adeguato la normativa ai principi di riferimento stabiliti
dalla normativa europea, per esempio oggi la scelta dei soci privati e l’alienazione
delle partecipazioni devono avvenire nel rispetto di pubblicità e trasparenza e nel
rispetto dei principi di concorrenza e quindi sempre nel rispetto dei principi di
evidenza pubblica. Analogamente si prevedono degli obblighi di revisione
periodica delle partecipazioni societarie.

Disciplina speciale dedicata al settore dei servizi pubblici: sono state introdotte
delle regole aggiuntive rispetto alla normativa generale. In particolare, si sono
previste 2 macro-regole:
1. Costituzione di organismi indipendenti laddove vi fossero autorità
amministrative indipendenti per regolare le tariffe e controllare la qualità
delle prestazioni
2. Introdurre dei limiti all’autonomia privata. In questo secondo caso, questo
è avvenuto attraverso l’assegnazione di poteri speciali assegnati in favore
ei pubblici poteri (MEF); volti ad assicurare il controllo della società, pur non
essendo il soggetto pubblico socio di maggioranza della società. Attraverso
delle clausole speciali che possono essere inserite negli statuti si sono quindi
assegnati una serie di poteri speciali in favore del MEF.
Qui abbiamo due diversi strumenti che sono stati introdotti:

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-la golden share: quota minoritaria in ragione della quale il MEF poteva
esercitare una serie di poteri speciali che non gli sarebbero derivati dalla
sua posizione effettiva all’interno della società. Questi poteri gli venivano
attribuiti attraverso clausole, che vengono poi recepite negli statuti e che
riguardano principalmente quattro fattispecie: si prevede la possibilità
di opposizione all’assunzione di partecipazioni superiori alla ventesima
parte del capitale sociale; potere di veto in senso lato su tutte le
operazioni straordinarie (fusione, scissione…); opposizione a patti o
accordi di tipo parasociale che possano coinvolgere almeno la
ventesima parte del capitale sociale; nomina di un amministratore
senza diritto di voto. La ratio di questa golden share è quella di garantire che
il MEF possa esercitare ancora un controllo sulle società senza averne la
proprietà.
-la poison pill: dà la possibilità di inserire nello statuto della società delle
azioni che attribuiscono il potere di deliberare aumenti di capitale
riservati, che accrescono la posizione di maggioranza dello Stato. È
una forma che consente al soggetto pubblico di recuperare terreno in tutti i casi
in cui il controllo pubblico stesse venendo meno.
Nel 1999 la legge 488 circoscrive questi 2 strumenti (golden share e poison pill)
e dice che possono essere esercitati solo nei casi in cui sussistano rilevanti
motivi di interesse generale: nel caso di ordine pubblico, interesse pubblico, di
difesa…, quindi quando esiste un motivo di interesse generale che prescinde da
interessi economici e che è volto a tutelare la sovranità dello Stato membro.
In sede europea ci si è però posti un interrogativo: i poteri di golden share e di poison
pill, sono conformi al diritto europeo? Nel 2000 la Commissione avvia una
procedura di infrazione nei confronti dell’Italia che viene accusata di limitare la
libera circolazione dei servizi, il diritto di stabilimento e la libera circolazione
dei capitali e dei pagamenti. Per porre rimedio a questa procedura di infrazione,
l’Italia ha adottato tramite DPCM dei correttivi per circoscrivere questi strumenti
ai motivi di interesse generale e per far sì che questi poteri fossero esercitati
solo per un periodo temporale determinato. Nonostante ciò, la corte di giustizia
interviene nuovamente nel 2009 dichiarando incompatibili i criteri fissati
dall’Italia perché contrastanti sempre con ciò che abbiamo detto prima,
perché riconoscono allo Stato un potere troppo ampio. In seguito alla sentenza del
2009, con un DPCM del 2010 sono stati abrogati i DPCM del 2000 e del 2004.

La disciplina sulla Golden Power (per operazioni che incidono sugli assetti
societari)

È introdotta formalmente nel 2012 con il decreto-legge 21 poi convertito in legge


nel 2012. Si tratta di norme volte a regolare dei poteri speciali di controllo
attribuiti al governo in contesti societari in settori rilevanti, quali la difesa, la
sicurezza nazionale, l’energia, i trasporti e le telecomunicazioni. La ratio è
diversa rispetto a quella della golden share, perché in questo secondo caso si vuole
assicurare che il controllo straniero fatto tramite investimenti stranieri in
Italia non sia tale da pregiudicare l’interesse nazionale e quindi da pregiudicare
questi settori strategici a livello nazionale. Si vuole quindi far sì che in caso di
acquisizione/acquisto da parte di investitori stranieri, si prevedono dei
controlli che devono essere azionati da parte del Consiglio dei ministri al fine di
capire se queste operazioni possano essere consentite e se debbano essere introdotte
delle cautele.

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Dal 2019, questa disciplina è stata ampliata tramite interventi normativi, che sono
avvenuti sia da parte del regolamento comunitario e poi anche in ambito
nazionale.
La disciplina nel 2019 è stata estesa alle reti di comunicazione elettronica a
banda larga (5g) e sul piano europeo una tappa importante è rappresentata dal
regolamento 452 che ha disciplinato il controllo sugli IED: investimenti esteri
diretti in UE da parte operatori economici extra UE.
Dopo è stata emanata anche una direttiva per regolare come debba essere applicato il
regolamento negli stati membri.
Pandemia, con cui è stata rafforzata ulteriormente la disciplina del Golden
power soprattutto per arginare gli effetti negativi della pandemia.
Guerra in ucraina che porta crisi di materie prime e energetica e viene quindi
emanato un decreto che poi viene convertito in legge che amplia l’ambito di
applicazione della disciplina sostanziale e ha portato una serie di innovazioni sul
piano procedimentale.
Alla fine della crisi energetica c’è stato poi un ultimo provvedimento che ha
introdotto delle misure urgenti nei settori strategici nazionali e ha inserito
delle regole per garantire continuità nella produzione dell’energia all’interno
di questo settore.

Analizziamo in primo luogo la disciplina italiana (quando, poteri, procedura con


misure, procedimento rafforzato, prassi applicativa):
I poteri speciali che possono essere attivati dal Governo non sono poteri tipici perché
in tutti i casi in cui ci si trovi in situazioni relative a operazioni che incidono sugli
assetti societari in questi settori rilevanti, il Governo può sempre attivare i
poteri di Golden power, che però non sono attivabili solo in situazioni tipiche, ma
possono essere applicati in diversi casi, non specificati all’interno della disciplina, non
sono catalogabili o tassativi.
Le società destinatarie della disciplina sono tutte le società private o
pubbliche europee o extra europee che svolgono attività di rilevanza strategica e
che possono quindi acquisire o controllare aziende italiane.
Con DPCM vengono individuate le specifiche attività di rilevanza strategica e gli atti
esclusi. Il presupposto per cui possano scattare i poteri del Golden power è la
minaccia di un grave pregiudizio agli interessi essenziali della difesa e della
sicurezza nazionale da valutare con criteri oggettivi e non discriminatori.
Il governo può esercitare poteri di natura prescrittiva (condotte da tenere e
misure da adottare, adozione di specifiche condizioni); potere di veto; può
adottare misure di tipo oppositivo annullando l’acquisizione (nel caso in cui
l’acquisizione fosse già stata attuata).
Quando un’impresa estera compie un’operazione societaria volta ad acquisire il
controllo di una di queste imprese, questa operazione deve essere comunicata 10
giorni prima del suo compiersi alla presidenza del Consiglio dei ministri con
tutte le informazioni necessarie per la valutazione da parte del Governo. Nel caso in
cui i 10 gg fossero già trascorsi, bisogna comunque comunicare quanto prima e
comunque prima che l’acquisizione avvenga. Una volta comunicata la notizia, il
Consiglio dei ministri apre il procedimento istruttorio che dura 45 giorni,
termine che però viene spesso prorogato.
Il procedimento si può concludere o adottando un provvedimento di archiviazione
(oppure se il procedimento arriva oltre il termine ultimo si conclude con il silenzio
assenso), oppure si adottano delle misure nei confronti dell’impresa estera.
Le misure possono essere di vario tipo:
- Se l’operazione è in corso si adottano misure che riguardano le condizioni in
cui deve svolgersi questo tipo di operazione (spesso misure di sospensione dei
diritti di voto o disposizione di condizioni) o il governo può applicare un diritto
di veto sull’operazione.

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- Se l’operazione è già arrivata a un livello di sviluppo avanzato si può


procedere con la nullità degli atti e/o ripristino status quo ante,
sospensione dei diritti di voto, sanzione di natura pecuniaria (mai
inferiore all’1% realizzato nell’ultimo esercizio da parte dell’impresa e può
arrivare al doppio del guadagno che si poteva trarre dall’acquisizione).
Questo procedimento è stato rafforzato sotto l’ambito pratico con il decreto
ucraino e sono state quindi apportate alcune novità:
1. Nell’ambito della materia di sicurezza nazionale c’è un’estensione
dell’ambito di normativa di golden power a tutte le delibere di modifica di
titolarità, del controllo e della disponibilità degli attivi
2. Estensione degli obblighi di notifica preventiva: è ampliato l’obbligo di
notifica all’acquisizione perché l’impresa estera ha l’obbligo di notificare i
contenuti dell’operazione non solo al Consiglio dei ministri, ma anche
all’impresa target. La ratio è quella di far sì che anche l’impresa target
possa presentare il suo punto di vista sull’operazione al consiglio die
ministri. Si estendono gli obblighi di notifica anche ai soggetti UE, anche
alle imprese europee in tutti i casi in cui questi procedano ad acquisiti rilevanti
in alcuni settori.
3. Semplificazione dei procedimenti: obbligo di pre-notifica per compiere
un’operazione di controllo preliminare prima di avere tutte le informazioni con la
notifica formale. L’istruttoria è stata affidata al nucleo di valutazione di
analisi strategica all’interno del Consiglio dei ministri. È una
semplificazione perché quado i membri del nucleo di valutazione concordano sul
fatto che non ci sia pericolo, la notifica non deve essere trasmessa al Consiglio
dei ministri.
Nella prassi applicativa questa normativa ha seguito un cammino a step:
- Nel primo biennio di avvio (2012-2014), l’applicazione è stata modesta
- Nel 2017 c’è stata una svolta: scalata di Vivendi nei confronti di Telecom.
Vivendi non aveva notificato nulla e si apre quindi un caso. A seguito di questo
caso, l’applicazione che viene fatta dei controlli della golden power è
maggiore e vengono ampliati i settori di controllo (estesi ai settori ad alta
intensità tecnologica) e vengono disposte più sanzioni in caso di mancata
notifica. Si passa quindi ad avere molte più notifiche: cambia il ruolo del
Governo, che assume il ruolo di interlocutore nei confronti di operatori stranieri.
Complessivamente si è avuto un uso temperato di questi poteri da parte del
Governo: solo in 1 caso su 10 si è avuto divieto di svolgere l’operazione.

Ambito europeo:
svolta nel 2019 con modifica del quadro di riferimento europeo relativamente
alla golden power. Regolamento UE applicabile dal 2019 che introduce una
disciplina unitaria per il controllo degli IED. La ratio è duplice: si vuole far sì che
gli investimenti esteri diretti non siano preclusi agli Stati membri e si vuole
operare un controllo perché investimenti esteri diretti possono rappresentare
una minaccia per gli interessi strategici dei singoli stati membri.
Il regolamento fornisce un quadro comune di poteri di controllo e obbliga tutti gli
stati membri a dotarsi di meccanismi di controllo e quindi le autorità nazionali sono
deputate a compiere i controlli in sede decentrata all’interno di ciascun stato
membro. In questo quadro si prevede che le autorità nazionali debbano sempre
raccordarsi con gli altri stati e soprattutto tenere sempre conto dei pareri delle
autorità europee.
I principali contenuti del regolamento sono:
- Detta un quadro giuridico comune europeo per il controllo e lo estende
ai settori delle infrastrutture critiche, ambito di energia, salute,
comunicazioni e tecnologie critiche.

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- Dal punto di vista procedimentale si prevede un allungamento del


procedimento perché si vuole creare un’uniformità nell’applicazione delle
regole e con tempistiche troppo strette si rischierebbe di impedire un
recepimento delle regole da parte degli Stati membri. Una delle finalità del
regolamento è quindi proprio quella di consentire un coordinamento tra i
paesi membri e tra questi e le autorità europee.
- Meccanismi di controllo preventivo.

Con lo scoppio della pandemia, vengono consegnati agli stati una serie di
orientamenti di controllo sugli IED che hanno la finalità di vigilare e assicurare gli
interessi degli Stati membri e dell’UE.
Le principali linee attuative della direttiva esprimono un invito formale a tutti gli stati
membri di dotarsi di meccanismi di controllo.
La novità principale sta nell’estensione del golden power, a seguito della
pandemia, all’ambito della sanità pubblica che include la salvaguardia
dell’equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale e il conseguimento di
obiettivi di politica sociale. Queste misure sono applicabili in conformità al principio
di proporzionalità.
In Italia il rafforzamento di queste misure si ha con il decreto-legge 23 proprio
per contrastare gli effetti negativi del covid. Principali novità:
- Estensione dei settori sottoposti al controllo e alla verifica da parte
dello stato perché vengono inclusi il settore creditizio, assicurativo e
bancario, le tecnologie critiche e dual use e la sicurezza
nell’approvvigionamento dei fattori produttivi critici. Viene inserita nella
disciplina sia la disciplina dell’energia, sia la questione relativa alla fornitura
delle materie prime e dei beni primari e tutto ciò che riguarda la sicurezza
alimentare. La ratio di questa estensione è il voler salvaguardare non solo gli
asset strategici dell’economia nazionale, ma anche la fornitura dei beni
essenziali nella vita dei cittadini.
- Rafforzamento e ampliamento dei controlli prevedendo un aumento dei
poteri e delle sanzioni nel caso di violazione degli obblighi di notifica.
Ampliamento dei poteri ispettivi laddove si operasse un controllo sulle
operazioni di azionariato diffuso.
Ultimo provvedimento votato è il decreto-legge 187 del 2022 convertito in legge nel
2023: introduce delle misure urgenti e introduce anche delle misure di sostegno
per le imprese che operano soprattutto nel settore dell’energia. La finalità è
quella di contenere gli impatti della crisi energetica. Questo provvedimento
persegue un’altra finalità rispetto alla disciplina vista fino a questo momento perché
la ratio è quella di sostenere le imprese che operano nel settore energetico e che con
la crisi potrebbero interrompere la continuità nella produzione determinando dei rischi
per la società. Si vuole quindi introdurre una fattispecie secondo la quale le imprese
che operano in questi ambiti debbano comunicare al Consiglio dei ministri i
potenziali rischi e si applichino nell’assicurare la continuità di produzione. In
secondo luogo, nel caso in cui ci sia un rischio che possa minare l’attività
produttiva e non consenta alle imprese di proseguire, viene prevista
l’applicazione di una procedura di amministrazione temporanea che può essere
applicata sotto richiesta dell’impresa, dura 12 mesi e può essere prorogata
una sola volta. Si prevede che sia nominato un commissario straordinario che
provvede alla gestione in sicurezza attuando tutti gli atti di ordinaria
amministrazione volti alla continuità produttiva. In questo periodo non può
esserci ripartizione degli utili e questa procedura consente di assicurare per un
determinato periodo la continuità produttiva nei settori di energia e idrocarburi.
Il procedimento può essere attuato anche d’ufficio da parte del ministero delle
imprese, nel caso di grave pericolo di interruzione dell’attività produttiva.

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Per tirare le fila possiamo dire che a livello europeo a seguito della pandemia,
ciò che registriamo è un cambio di approccio che è volto a favorire il controllo sugli
IED per assicurare la vigilanza sugli interessi dell’UE e degli stati membri.
Questo è stato fatto prestando attenzione agli interessi pubblici di carattere
essenziale. Quello che fa la differenza è aver inserito l’ambito della sanità nella
disciplina della golden power e questo fa presumere che la commissione avrà un
atteggiamento di maggiore tolleranza nell’interpretare le normative nazionali che
introdurranno un controllo nell’ambito della sanità.
Sul piano nazionale, la legislazione italiana ha avuto un’evoluzione volta ad
estendere l’ambito della disciplina e ha esteso anche una serie poteri e ha
ampliato i procedimenti. Spesso però questa estensione non è fatta in maniera
precisa ed è chiaro dall’esito dei procedimenti. La normativa sotto questo profilo
potrebbe imporre una serie di notifiche per essere più precisa nell’individuazione
dei settori.
I possibili scenari che si possono verificare sono 2: da una parte potrebbe esserci la
creazione di nuove regolamentazioni con la creazione di un neo-
protezionismo a livello europeo e la difesa di alcuni settori sensibili
essenziali dell’UE e degli stati membri, dall’altra potrebbe proseguire una crisi a
livello europeo e mondiale e questo potrebbe suggerire il mantenimento di un
ambito più aperto nella disciplina del golden power.

LA POLITICA MONETARIA
Vediamo in primo luogo la politica monetaria a livello europeo (a chi è affidata
oggi, strumenti, com’era in passato e evoluzione, motivi dell’evoluzione,
comitato Delors):
La politica monetaria è affidata all’eurosistema composto da BCE e banche
nazionali dell’area euro. C’è poi il SEBC: sistema europeo delle banche centrali,
composto dall’eurosistema e dalle banche nazionali che non hanno adottato
l’euro.
Gli strumenti con cui si agisce in politica monetaria sono: la determinazione dei
tassi d’interesse a breve termine e la regolazione della base monetaria che è
quel complesso di attività liquide emesse dall’autorità monetaria attraverso operazioni
di compravendita dei titoli delle autorità monetarie.
Oggi la politica monetaria è pensata staccata rispetto alla finanza pubblica, ma
per lungo tempo sono state governate insieme provocando bassa indipendenza
delle due politiche.
C’è quindi stato un procedimento di separazione che ha visto la separazione di
banca Italia rispetto alla politica monetaria attraverso 3 tappe:
1. Nel 1981 lettera del ministro del tesoro a Ciampi direttore di banca
Italia, in cui ci si lamentava della scarsa autonomia di Banca Italia. A
questa lettera Ciampi rispose dicendosi concorde nello staccare la politica
monetaria dal controllo governativo e porla sotto controllo bancario.
Ciò provocò una crisi politica
2. Nel 1992 sono stati attribuiti poteri importanti a banca d’Italia, quali il
controllo degli strumenti di politica monetaria
3. Dal 1999 le funzioni di governo della moneta sono state trasferite a
livello sovranazionale
L’esigenza era quella di creare un’area valutaria comune tra Paesi in vista
della creazione di un mercato comune a livello europeo.
Comitato Delors: opera fino al 1989 quando redige il suo rapporto finale che
contiene i tratti essenziali dell’unione economica e monetaria che viene ritenuta
fondata principalmente sulla stabilità monetaria (obiettivo principale) e sul
coordinamento delle politiche nazionali.

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Entrambe dovevano avvenire in modo negativo: si pende in considerazione


principalmente la nuova macroeconomia classica con l’obiettivo di mantenere
moderata l’inflazione per evitare che uno squilibrio finanziario potesse incidere
sull’equilibrio monetario dell’intera UE. Per questo motivo, si prevede che le regole di
politica monetaria debbano incidere in senso negativo e cioè debbano limitare la
possibilità di politiche fiscali espansive che possano avere ricadute negative
sull’intero sistema europeo.
Su queste basi il trattato di Maastricht pone il governo della moneta al centro
della politica economica europea, attraverso diverse regole:
1. Stabilità monetaria, che è l’obiettivo principale e assume quasi valore di
norma superiore perché assume carattere preclusivo nei confronti di
altre finalità della politica monetaria, che sono ammesse se non vanno a
pregiudicare la stabilità dei prezzi (regola della “dominance reasoning”).
2. Come corollario abbiamo il divieto per le banche centrali degli stati di
concedere agli stati qualunque forma di facilitazione creditizia che
possa essere ritenuta lesiva della stabilità monetaria. Divieto di
concessione di scoperti di conto, di acquisito dei titoli di debito, di
misure che offrano accessi privilegiati alle istituzioni finanziarie e di farsi
carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali.
3. Posizione di autonomia e indipendenza che le banche centrai hanno
rispetto al decisore politico: principio che pone una separazione tra banche
centrali, che devono essere garantite nello svolgimento della loro azione
attraverso una sfera di autonomia, e il potere politico. Né BCE né banca Italia
possono accettare soluzioni dai governi degli Stati membri: operatività
autonoma. Questo perché la BCE e le banche centrali adottano
provvedimenti che incidono sulla stabilità dei prezzi, rispetto alla
quale il decisore politico deve essere tenuto fuori (negli USA la Federal
Reserve svolge funzioni anche in forma indipendente, ma in modo differente
rispetto alla BCE perché la stabilità dei prezzi in America non è l’obiettivo
principale come per noi, ma è solo una delle politiche perseguibili, posta sullo
stesso piano di altre. In UK invece il modello è diverso, perché c’è un raccordo
maggiore tra il Governo e il Tesoro che adottano azioni con logica cooperativa,
pur essendo la banca centrale comunque indipendente).
Il governo europeo, quindi, prova a compendiare le diverse logiche degli Stati
e si fonda su un coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri in
ambito europeo con un meccanismo di sorveglianza multilaterale. Se ci sono
situazioni di criticità per la situazione economica di uno Stato, il parlamento
europeo può emanare regolamenti ad hoc nei confronti dello Stato.
Il controllo europeo attraverso la primazia della stabilità monetaria si
ripercuote anche sulla finanza pubblica, sono stati posti 2 parametri + un
divieto:
- rapporto deficit/PIL che non può essere superiore al 3% e il
- rapporto debito pubblico/PIL non superiore al 60% che sono le
implicazioni della logica messa in atto, insieme al
- divieto di “bail out” (salvataggio delle istituzioni in stato di
insolvenza).
Questo quadro si è poi evoluto in una diversa direzione a seguito della crisi del 2008
e della pandemia, attraverso 2 fenomeni:
- La progressiva acquisizione di autonomia di banca Italia rispetto al
governo
- Acquisizione di autonomia sempre maggiore dell’ordinamento europeo
rispetto agli ordinamenti nazionali dei singoli Stati membri.

Evoluzione ruolo Banca d’Italia:

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nasce nel 1893 come società di diritto speciale, nel periodo fascista viene
trasformata in istituto di diritto pubblico con proprio statuto, nel 2005 viene
qualificata come parte integrante del SEBC e prevede che agisca secondo gli
indirizzi della BCE.
Struttura interna:
- Governatore: nominato con DPR su proposta del presidente del
consiglio. Carica di 6 anni, può essere rinnovato ma solo una volta. Può
essere revocato in particolari condizioni
- Direttorio: composto da 5 membri (Governatore, direttore generale e 3
vicedirettori generali), dura 6 anni e adotta decisioni a maggioranza, in
modo collegiale e hanno sempre rilevanza esterna.
Le funzioni svolte da Banca Italia sono analoghe a tutte le funzioni svolte
dalle banche centrali degli altri stati membri:
1. Contribuisce tramite il Governatore a determinare indirizzi e scelte di
politica monetaria e del cambio per l’intera area euro
2. Partecipa alle decisioni della BCE sull’emissione di banconote ed emette
banconote in euro
3. Gestisce le riserve ufficiali del Paese in valuta e una quota delle riserve
della BCE e le investe secondo le direttive della BCE
4. Gestisce con la BCE il sistema dei pagamenti e svolge la relativa
sorveglianza
Altre funzioni solo di banca Italia conferitele da leggi nazionali:
- Vigilanza sugli istituti di credito e su altri intermediari finanziari in
funzione di sana e prudente gestione dei soggetti vigilati
- Funzioni di tesoreria dello Stato eseguendo operazioni disposte dal
Tesoro
- Funzioni di consulenza in materia di debito pubblico per l’emissione dei
titoli di Stato (cura le operazioni di collocamento e riacquisto dei titoli).

Anche per il sistema monetario, il percorso dell’UE è stato graduale, varie tappe:
- Dal ‘79 al ‘92 il sistema monetario europeo era fondato sull’euroscudo.
In seguito, manovre speculative mandano in crisi il sistema precedente e
- Dal ’92: si assegna l’obiettivo di ottenere un’unione economica
monetaria fondata sulla parità dei prezzi con l’obiettivo finale di creare una
moneta unica. Anche questa fase ha visto diversi step:
- tra il ’90 e il ’93 completamento del mercato unico;
-tra il ’94 e il ’98 preparazione delle condizioni di convergenza
macroeconomica e istituzionale attraverso l’istituto monetario europeo;
-tra il ’99 e il 2001 inizia a operare la BCE e diviene operativo il SEBC: in
questa fase vengono quindi fissati irrevocabilmente i rapporti di
conversione delle monete dei paesi aderenti, si trova un accordo di
scambio con i Paesi rimasti fuori, si prevede come moneta scritturale
l’euro e si prevede un periodo di transizioni prima dell’entrata in
circolazione della moneta

BCE (struttura interna, meccanismo di voto, modifiche 2011, modifiche 2014)


In questo contesto un ruolo fondamentale è svolto dalla BCE che svolge funzioni
rilevanti.
È formata da:
- Consiglio Direttivo: comprende i membri del Comitato Esecutivo e i
governatori delle banche centrali. Opera con diritto di voto “a
rotazione”. Forma la politica e le direttive principali dell’economia
monetaria per tutta l’area euro e prende decisioni rilevanti che riguardano:
gli obiettivi monetari intermedi; i tassi d’interesse di riferimento;

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l’offerta di riserve e la definizione degli indirizzi per l’attuazione della


politica monetaria.
- Comitato Esecutivo: organo gestionale di iniziativa, che ha il compito di
attuare la politica monetaria. Composto da presidente, vicepresidente e
altri 4 membri nominati dai governi. I membri hanno voto permanente.
Impartisce istruzioni alle banche centrali nazionali, attua la politica
monetaria deliberata dal Consiglio e gestisce l’attività corrente della
BCE.
All’interno della BCE il sistema si è modificato dopo il 2015 e si è introdotto un
meccanismo di diritto di voto a rotazione. Nel Consiglio Direttivo abbiamo 2
gruppi di governatori che appartengono a diversi paesi europei. Un primo gruppo
è costituito da 5 paesi e ha la possibilità di esprimere 4 voti. Secondo gruppo
composto da 14 paesi e possono esprimere 11 voti. È un meccanismo a rotazione
perché ci sono turni mensili e si consente circolarmente il diritto di voto a
turni. Questo meccanismo di voto assicura la collegialità.
Il modello è quindi fondato sull’accentramento delle decisioni e sul
decentramento operativo, perché l’operatività viene assicurata dalle singole
banche nazionali. Questo consente di conciliare la politica monetaria unica e il
principio di sussidiarietà.
Dopo il 2011 a causa della crisi del 2008 si ha maggiore accentramento
soprattutto in ambito europeo e vengono costruite 3 autorità di vigilanza europea:
- ESMA (Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati)
- ABE (Autorità bancaria europea)
- EIOPA (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e
professionali)
Svolgono funzioni regolatorie a livello europeo.
Dal 2014 il sistema si è evoluto ancora perché è entrato in vigore un unico sistema
di vigilanza su scala europea, che comprende la BCE e le autorità di vigilanza e
esercita un controllo significativo sulle banche più importanti e può porre in
essere azioni di vigilanza e misure correttive o di regolamentazione.
Per riassumere: il modello europeo complessivamente segue quindi il modello
originario, affermato in sede del trattato e fondato sul principale obiettivo della
stabilità dei prezzi, distinzione delle autorità garantendo autonomia e
indipendenza alle banche centrali e sulla separazione tra politica monetaria e
vigilanza bancaria e infine il modello si è accentrato sempre di più ed ora è
soggetto ad un sistema di vigilanza unico.

Misure straordinarie adottate in Europa per fronteggiare le crisi:


Punto d’avvio cronologico: crisi del 2008, molto importante e che si sviluppa a livello
mondiale. Parte dai mutui subprime ma si estende alle banche e agli Stati. Da crisi di
mercato settoriale, si estende a crisi economica dei diversi Paesi.
Colpisce in modo indifferenziato diversi Paesi soprattutto in Europa: in particolare
Grecia, Portogallo, Spagna, Italia per vari motivi collegati ai diversi Paesi (per
l’Italia mal gestione del debito pubblico).
Tutti i Paesi si trovano disarmati perché il quadro degli strumenti di politica
monetaria era cambiato in sede europea e gli stati membri avevano rinunciato alla
propria politica di cambio; la politica monetaria è definita prevalentemente in sede
europea e gli stati non possono giovare neanche di interventi di sostegno
diretto da parte dell’UE (divieto di facilitazioni creditizie e quindi anche divieto di
poter fruire di aiuti diretti da parte dell’UE). In più gli Stati sono tenuti a rispettare i
parametri del patto di stabilità e di crescita (3% deficit/PIL e 60% debito/PIL).
Il sistema ha quindi dovuto mutare l’approccio spingendo la BCE ad adottare
misure non convenzionali e di carattere straordinario. Queste misure sono
principalmente:

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- Misura del 2009 adottata attraverso il Security Market Program -SMP- poi
lanciato nel maggio 2010: si tratta di un programma di acquisto dei titoli di
Stato dei Paesi in difficoltà
- Misura che ha avuto grande rilevanza dal punto di vista economico: Fondo
europeo di stabilità (EFSM- European Financial Stability Mechanism)
(fondo salva Stati): nasce nel 2010, introdotto dal regolamento 107. Dal
punto di vista giuridico il fondo è una società di diritto privato, è una società
veicolo (SPV) che è interamente nelle mani degli Stati europei. Gli Stati
partecipano a questa società nella stessa proporzione in cui partecipano
le banche degli Stati membri alla BCE (che avviene in base ai criteri della
popolazione e del peso economico di ciascuno Stato). Viene finanziato
tramite garanzie. La ratio del fondo è quella di assicurare un intervento
allo Stato che si trova in difficoltà. L’intervento non avviene d’ufficio, ma
è giuridicamente subordinato alla richiesta che deve fare lo Stato in difficoltà
per ottenerlo. L’intervento è inoltre subordinato all’approvazione di uno
specifico piano, che viene concordato con la BCE e con il fondo
monetario internazionale e ha per oggetto il ripristino della capacità dello
Stato assistito: il fine è quello che lo Stato in questione dopo l’intervento possa
vedere ripristinata la propria capacità di stare sul mercato
autonomamente.
La caratteristica del fondo europeo di stabilità sta nella sua temporaneità:
l’aiuto allo Stato è temporaneo e le passività sono garantite da parte degli
Stati azionisti (per questo motivo è necessaria l’approvazione dei ministri
delle finanze che compongono l’EFSM).
Da un punto di vista giuridico l’EFSM trova fondamento nell’art. 122 del
TFUE, che consente una possibile assistenza finanziaria nei confronti
dello Stato in difficoltà laddove ricorrano difficoltà causate da calamità
naturali oppure laddove ricorrano circostanze eccezionali che sfuggono al
controllo del singolo Stato (anche quelle che riguardano un ciclo economico
imprevedibile). In questi casi il Consiglio dei ministri, su proposta della
Commissione può concedere a determinate condizioni un’assistenza
finanziaria dell’UE allo Stato membro interessato. Viene poi informato il
Parlamento europeo.
Questa è la prima misura importante adottata.
- L’EFSM è poi stato superato dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Il
MES è un soggetto diverso rispetto all’EFSM. Il MES, a differenza dell’EFSM, è
una istituzione finanziaria internazionale avente natura pubblicistica i
cui soci sono gli Stati membri e che è stata creata con apposito trattato.
Il MES ha un capitale sottoscritto di 740 miliardi di euro da parte di tutti gli
Stati che ne fanno parte, di versati fino a questo momento sono stati 80,5
miliardi e gli Stati concorrono in percentuali diverse. La finalità principale
del MES è quella di fornire sostegno finanziario agli stati che versano in
gravi situazioni finanziarie, ma anche quella di garantire la stabilità dei
Paesi nella zona Euro, perché si parte dal presupposto che dove ci siano gravi
problemi finanziari per uno Stato membro, visto che anche gli altri Stati hanno
investito nello Stato membro, questi problemi possano ripercuotersi sugli
altri Stati membri e sull’intera stabilità della zona euro. A differenza del
fondo salva stati lo strumento non ha carattere temporaneo, ma
permanente ed è finanziato direttamente da parte degli Stati e non
tramite garanzie (come succedeva prima). Per questo motivo è stata
necessaria una modifica dell’art. 136 del TUF: questo prevede la
possibilità di istituire un meccanismo di stabilità da attivare per la
stabilità della zona euro nel suo insieme e prevede che la concessione di
qualsiasi assistenza finanziaria nei confronti di uno Stato in difficoltà sia
soggetta a una rigorosa condizionalità (vedi sotto).

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Il MES è governato da un Consiglio dei Governatori: consiglio a cui


partecipano tutti i ministri delle finanze e dell’economia di ciascuno
Stato (i 19 ministri delle finanze dell’area euro). Questo Consiglio è affiancato
da un Direttore Generale nominato e che dura in carica per 5 anni e da
un Board of Directors, formato dai direttori generali del Tesoro dei
singoli Stati membri o dagli esperti tecnici.
Il Consiglio dei Governatori è in assoluto l’organo più importante del MES
perché assume tutte le decisioni più importanti (richieste di adesione al
MES, gli aiuti finanziari, le condizioni degli aiuti…). Queste decisioni vengono
assunte all’unanimità, con una eccezione: viene richiesta una maggioranza
qualificata dell’85% in caso di minaccia per la stabilità dell’euro e in
casi di decisioni urgenti che devono essere prese quando viene appunto
minacciata la stabilità dell’euro. In questi casi il peso che hanno Italia
Germania e Francia, che sono i Paesi che più di tutti hanno contribuito
economicamente al versamento di capitale di 80,5 miliardi del MES, è tale da
comportare un potere di veto nei confronti della maggioranza dell’85% di
cui abbiamo parlato. Questo perché i tre Paesi superano il 45% come
partecipazione al MES.
Anche il MES come il fondo salva Stati può essere erogato
subordinatamente ad una condizionalità rappresentata dalla
sottoscrizione di un memorandum di intesa che deve essere
sottoscritto tra gli Stati interessati e il MES. Quindi succede che la BCE
svolge i negoziati con il MES e poi firma il memorandum di intesa
anche per gli Stati. Tendenzialmente in queste circostanze la decisione
spetta al Consiglio dei governatori e può accadere che vi sia una
controversia tra i membri e nei casi insanabili si prevede che possa
intervenire la Corte di giustizia.
Nel 2013 è stato introdotto un meccanismo rafforzato di sorveglianza che
prevede che lo Stato dia informazioni sullo stato di attuazione
dell’intesa sottoscritta, la Commissione e la BCE svolgano delle verifiche
nei confronti dello Stato e poi che il Consiglio possa dare delle
raccomandazioni per ottemperare agli obblighi e agli obiettivi definiti nel
memorandum.
Il MES dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo è uno strumento
molto rilevante, probabilmente il più rilevante, ha infatti concesso svariati
miliardi di euro ai Paesi in difficoltà (in particolare alla Grecia).
Condizionalità: questo tema è quello che impatta di più dal punto di vista
concreto. La condizionalità richiesta è l’approvazione di questa intesa o
memorandum che contiene una serie di condizioni prescrittive e
obbligatorie per lo Stato al quale viene concessa l’assistenza finanziaria.
Queste condizioni sono spesso incisive e talvolta invadenti nella sfera
politica dello Stato (per la Grecia, per esempio, una delle condizioni è stata
quella di forte processo di privatizzazioni). In ottica giuridica quindi il Mes è
come se avesse una doppia anima: anima solidaristica per sostenere Stati in
condizioni finanziarie insostenibili e anima negativa che è un’anima
tecnocratica e che si traduce in forti condizioni che possono incidere
sull’autonomia politica dei singoli Stati e su segmenti di sovranità dei
singoli Stati. Dobbiamo sempre tener conto di questa seconda anima quando
parliamo del MES.
Nel 2021 si è avviata la riforma del MES: viene sottoscritta un’intesa dai
19 paesi dell’area euro. I principali contenuti di questa riforma (che
agisce solo su alcuni punti specifici e non incide sui poteri di BCE, Commissione
o in generale sull’equilibrio dei poteri) sono:

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1) La prima area di modifica riguarda l’introduzione di una rete di


sicurezza finanziaria per le banche e quindi al fondo di risoluzione
unico nell’ambito del sistema di gestione delle crisi bancarie.
2) La seconda area riguarda la linea di credito precauzionale che può
essere erogata nei confronti dei singoli Stati membri. Già il MES in versione
originaria prevedeva una linea di credito precauzionale, ma qui si crea un
doppio binario e vengono previste due differenti linee di credito
precauzionali: la prima è la PCCL, che opera avendo come destinatari i
Paesi che hanno parametri in linea con il patto di stabilità. Per
accedere a questa linea basta una semplice intesa, non è necessario
sottoscrivere un memorandum o un’intesa stringente perché il presupposto
è che il Paese abbia bisogno di sostegno ma non si trovi in gravi condizioni.
La seconda è la ECCL, che è una linea rafforzata prevista per i Paesi
che non sono in grado di rispettare i parametri del patto di stabilità
(adesso il patto è sospeso e riprenderà dal gennaio del 2024). In questo
secondo caso c’è una condizionalità per ottenere la linea di credito
rafforzata, che prevede che all’interno del Paese ci sia un debito
considerato sostenibile sul piano economico e che ci sia la possibilità
concreta di procedere alla restituzione del prestito.
In Europa si è creato un dibattito sulle regole di ristrutturazione del
debito che ha portato all’ECCL. La tesi della Germania era quella di
concedere la possibilità di accedere a una linea di credito rafforzata solo a
Paesi che potessero vantare una sostenibilità del debito sulla base
di parametri oggettivi. Questo però avrebbe creato difficoltà ai Paesi in
crisi: i mercati lavorano anche in senso speculativo dove gli operatori
economici ci possono guadagnare e quindi se si pone come precondizione
una sostenibilità del debito senza valutarne i contenuti, questo approccio
avrebbe messo in difficoltà il Paese che richiede l’aiuto che si sarebbe
trovato sotto attacco speculativo senza poi poter neanche accedere alla
linea di credito rafforzata. La tesi che è prevalsa quindi è stata quella
dell’analisi della sostenibilità del debito. Questo resta comunque un
punto critico del dibattito.
Come abbiamo detto, il MES per essere recepito deve essere ratificato dagli
Stati membri e le modifiche che sono state apportate al MES sono state
ratificate da tutti i Paesi dell’UE tranne l’Italia. La Germania non ha
ratificato il MES per lungo tempo perché ha sottoposto alla Corte
costituzionale tedesca una verifica di legittimità e ha posto dal punto di
vista sostanziale la questione del trasferimento dei poteri sostanziali che la
Germania avrebbe fatto nei confronti del MES. La Corte costituzionale tedesca si
è pronunciata negativamente ritenendo non provata la tesi e non provato il fatto
che ci possa essere un trasferimento dei poteri nei confronti del MES perché non
risulta provato che ci sia un pregiudizio economico nei confronti della Germania.
Quindi anche la Germania adesso ha ratificato.
Per quanto riguarda l’Italia, unico Paese che ancora non ha ratificato il MES, il
precedente Governo Draghi avrebbe voluto ratificare il MES, ma siccome
la maggioranza era nelle mani dei 5stelle e loro si sono sempre opposti, il MES
non è stato ratificato. L’Europa ha concesso 6 mesi al nuovo Governo
italiano per decidere se ratificare il MES che però non è stato ancora
ratificato. Al momento il Governo Meloni ha richiesto che prima di
procedere alla ratifica del MES, siano riviste delle regole europee: in particolare
ha richiesto che ci sia un completamento delle norme sull’Unione
bancaria, che venga preventivamente definita la riforma del patto di
stabilità e crescita e che ci sia una semplificazione della normativa
europea per quanto riguarda gli aiuti di Stato. La mancata ratifica da
parte dell’Italia può risultare odiosa, perché le modifiche del MES non possono

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entrare in funzione se non viene ratificato il nuovo meccanismo anche dall’Italia.


C’è un punto sul quale l’attuale Governo ha ragione: la ratifica del MES
può essere opportuno farla dopo che sono state definite le nuove regole
relative al patto di stabilità e di crescita. È in corso ora un dibattito
riguardante l’interpretazione dei numeri (3% e 60%) di cui abbiamo
parlato prima. Da questo punto di vista, quindi, è utile definire prima il quadro
delle regole prima di ratificare il MES, perché se la concessione di entrambe
le linee di credito dipende dall’applicazione dei parametri del patto di
stabilità, diventa centrale prima definirli in via definitiva.
Questo ha innescato un braccio di ferro in Europa, soprattutto da parte della
Germania. I possibili scenari sono: ottenere la definizione dei patti di
stabilità e crescita e procedere poi alla ratifica del MES, oppure se il
Governo punta i piedi per ottenere anche le altre due condizioni può venirsi a
creare una contrapposizione che non giova a nessuno in Europa.
- Misura del 2015 che riguarda il Public Sector Purchase Program:
programma esteso all’acquisto di titoli pubblici. Con questo programma
la BCE ha acquistato molti titoli pubblici compresi i BOND sovrani ma non
al di sotto del tasso BCE (-0,20%). La ratio di questo intervento era quella
di abbattere l’inflazione.
- Programma partito nel 2020 e portato a compimento nel 2022: PEPP
(Pandemic Emergency Purchase Program): programma straordinario di
acquisto di titoli pubblici e privati per l’emergenza pandemica. Si tratta di
un programma importante (750 mld di euro + 135 mld). I titoli acquistabili
sono titoli di organizzazioni internazionali e di banche multilaterali (al
10%) e i titoli di stato e le obbligazioni emesse dalle amministrazioni
statali e locali (al 90%). I titoli sono stati acquistati sul mercato
secondario al 10% dalla BCE e al 90% dalle banche centrali nazionali.

IL CONTROLLO DELLA FINANZA PUBBLICA


Il ruolo dello Stato nel controllo della finanza pubblica è legato al contesto
europeo, ma ovviamente per lungo tempo non è stato così: il ruolo dello Stato nel
controllo della finanza pubblica ha avuto un mutamento perché oggi per effetto dele
progressivo affermarsi del diritto europeo, il controllo dimensionale del bilancio
viene effettuato in ambito europeo (i parametri vincolanti sono definiti in
sede Europea). Il controllo che spetta allo Stato è di allocazione delle risorse
nell’ambito dei parametri già definiti dall’UE. La funzione, quindi che il fisco e i
pubblici poteri svolgono può essere definita allocativa o distributiva. Vengono in
rilievo in questo senso 2 profili: se consideriamo il profilo esterno i soggetti
rilevanti sono lo Stato, i cittadini che pagano le tasse e i fruitori dei pubblici
servizi (quindi in questo senso il ruolo dello Stato è politico e la sua funzione è
spesso asimmetrica: rapporto triangolare. Tutte le volte che lo Stato compie delle
azioni allocative di risorse compie delle scelte politiche); se consideriamo il profilo
interno, lo Stato svolge una funzione allocativa interna quando distribuisce
mezzi finanziari tra i diversi rami della pubblica amministrazione (funzione che
lo Stato svolge in senso allocativo e che si distingue dalla funzione di regolazione che
svolgono i pubblici poteri quando devono definire regole all’interno di mercati e settori
economici per garantire l’espletamento dei servizi. In questo caso la funzione
distributiva ha sempre una cadenza annuale e risente molto dei cicli economici e
dell’andamento dell’economia).
Il principale problema che hanno avuto i vari ordinamenti, ma soprattutto l’Italia,
è quello del controllo della spesa pubblica. Questo per una serie di fattori che
vanno di pari passo con l’affermazione di una serie di diritti sociali che prima
lo Stato non garantiva (servizio scolastico, sanità…).
La materia del controllo della finanza pubblica in Italia è disciplinata dall’art.81 e
dalle leggi di contabilità pubblica (2449 del ’23 sulla disciplina riguardante il

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patrimonio e la contabilità dello Stato; leggi di contabilità e finanza pubblica del 2009
e del 2011; le leggi che danno attuazione all’art. 81 della Costituzione: legge 243 del
2012 e la legge 163 del 2016).
I principali problemi della spesa pubblica e gli strumenti che possono
contenerla sono:
1. A causa del problema della spesa sommersa si prevedeva con legge
l’istituzione di qualcosa, per esempio, di un ufficio ma poi non si consideravano
le risorse economiche necessarie per lo svolgimento dell’attività dello stesso. Si
è cercato di risolvere il problema prevedendo che qualunque disegno di
legge governativo comportante nuovi o maggiori oneri dovesse essere
accompagnato da una relazione tecnica sulla quantificazione degli
oneri. Questo obbligo era insoddisfacente in ragione de fatto che era
previsto solo per l’esercizio in corso; quindi, venivano considerati solo gli
oneri dell’esercizio senza considerare quelli futuri. Il problema è stato
affrontato sia dalla giurisprudenza pubblica, che dalla Corte
costituzionale.
I paletti fissati, quindi, nel tempo dalla giurisprudenza Costituzionale
sono: l’obbligo di copertura va rispettato con puntualità nell’ambito
dell’esercizio che è in corso di svolgimento e la copertura deve
riguardare non solo l’esercizio in corso ma complessivamente l’intera
durata dell’intervento; gli obblighi di copertura appena descritti sono stati
poi estesi anche alle leggi regionali.
Inoltre, in sede legislativa sono stati fatti 2 interventi:1) introduzione del
DEF (documento di economia e finanza) con cui il legislatore ha previsto
che si dovesse avere una previsione dei flussi di entrata, si dovesse
fare riferimento agli obiettivi che il sistema statale e le pubbliche
amministrazioni volevano conseguire e si dovesse tener conto della
situazione dei redditi e dell’occupazione (strumento di programmazione
dei flussi di entrata); 2) introduzione di uno strumento di emergenza e
cioè la clausola di salvaguardia, che trova applicazione in tutte le ipotesi
di previsione di spesa insufficiente e opera quindi in maniera
automatica ed effettiva. La clausola deve già indicare a monte le misure
di riduzione della spesa oppure le misure che consentono di aumentare
le entrate senza però ricorrere ai fondi di riserva. Questi strumenti non
sono però sufficienti a contenere i disavanzi pubblici.
2. (DOMANDA PRIMO APPELLO) Per questo motivo è stata dettata una disciplina
europea per il controllo dei disavanzi eccessivi: facciamo riferimento ai
contenuti del patto di stabilità e di crescita, che trovano la loro prima
affermazione nel trattato di Maastricht, perché in esso si pone come condizione
necessaria per poter avere il passaggio alla monta pubblica, la sostenibilità
della situazione finanziaria di ciascuno Stato membro. Si pone quindi un obbligo
di risultato. Questa regola risulta oggi essere recepita dall’art. 126 del TFUE
dicendo “gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi”. I due
criteri fissati da Maastricht sono quello sul rapporto tra disavanzo pubblico,
previsto o effettivo, e il PIL (non superiore al 3%) e quello sul rapporto tra debito
pubblico e PIL (non superiore al 60%). Nel caso di superamento di questi
parametri, sono previsti dei controlli da parte della Commissione e poi delle
sanzioni da parte del Consiglio. Sistema di multi-vigilanza con braccio
preventivo e braccio correttivo. Il controllo sul rispetto di questi parametri e le
eventuali sanzioni all’inizio degli anni ’90 risulta molto complicato perché incide
una componente politica (la Germania ha superato i limiti ma non è stata
sanzionata). Si è quindi posta la necessità di fissare regole più stringenti, e
quindi a partire dal ’97 e poi nel 2005 e nel 2011 si sono introdotte le “regole
del patto di stabilità e di crescita” che è stato introdotto da 2 regolamenti
CE (1466 e 1467) poi modificati. Il patto di stabilità e crescita ha un carattere

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preventivo e dissuasivo perché introduce una serie di misure correttive che gli
Stati devono cercare di ottemperare perché altrimenti scatta una procedura per
disavanzi eccessivi.
Il PSC introduce una serie di obblighi quali: gli Stati sono tenuti a rispettare
l’obiettivo, indicato nei loro patti stabilità o convergenza, di ottenere un saldo di
bilancio a medio termine prossimo al pareggio o positivo; gli Stati devono
adottare le misure correttive del bilancio laddove questo sia necessario per
conseguire gli obiettivi dei programmi di stabilità.
Rispetto a questi si prevede un meccanismo di vigilanza multilaterale delle
posizioni di bilancio degli Stati membri che si compone di un braccio preventivo
(art. 121 TFUE) e di un braccio correttivo (art. 126 TFUE).
Questi obblighi generali hanno avuto una diversa interpretazione nel corso degli
anni.
In particolare, nel 2005 c’è stata l’introduzione dell’OMT e del concetto di saldo
strutturale. Infatti, nei primi anni 2000 l’applicazione dei principi del PSC è stata
problematica. Per questo motivo nel 2005 si è sentita la necessità di riformare il
PSC attraverso l’introduzione del saldo strutturale: era necessario delimitare la
discrezionalità nella definizione dei parametri, ma anche evitare dei formalismi
legati al rispetto del saldo nominale. Si introduce quindi il concetto di saldo
strutturale con cui si tiene conto dell’indebitamento netto corretto per il ciclo
economico (saldo nominale -correzione) al netto di una serie di misure una
tantum. Possiamo quindi dire che il saldo strutturale corrisponde al saldo
nominale corretto per il ciclo economico al netto delle misure temporanee.
Quindi l’attenzione viene spostata sul miglioramento delle finanze pubbliche in
termini strutturali dato che il saldo nominale non permetteva di cogliere la
realtà nella sua concretezza e di poter svolgere una valutazione adeguata.
Si comincia quindi a utilizzare l’OMT = obiettivo di medio termine. Si tratta di un
valore prestabilito del saldo di bilancio strutturale che ciascuno stato membro
deve adottare per rispettare i parametri di Maastricht del 3% e del 60%. L’OMT
non viene individuato solo in base al livello del rapporto debito/PIL, ma anche in
base ad altre condizioni: condizioni cicliche normali di un sistema economico;
fattori esterni quali spesa per le pensioni, per la sanità… Gli Stati membri sono
quindi di fatto chiamato a conseguire un saldo di bilancio strutturale pari
all’OMT nazionale.
Tra il 2010 e il 2013, si sono avuti poi dei nuovi provvedimenti che tendono a
rafforzare il controllo sulla finanza pubblica dal punto di vista procedimentale:
costituzione del “semestre europeo” per il coordinamento delle politiche
economiche; costituzione del Six pack e del Two pack che sono misure di
accelerazione delle procedure di disavanzo; introduzione di indicatori di rischio
cui si può fare riferimento.
Il secondo step determinante nell’ambito della disciplina del PSC è
l’introduzione del Fiscal compact (trattato di stabilità: TSCG). Questo impone il
pareggio di bilancio e consente deficit solo temporanei se il ciclo economico è
negativo o per periodi di gravi crisi.
Dal punto di vista giuridico, ci sono alcuni contenuti importanti: obbligo
generale riguardante il fatto che tutti gli Stati membri debbano dare attuazioni e
recepire le disposizioni all’interno delle proprie costituzioni entro 1 anno; il fiscal
compact è come un patto di bilancio con il quale gli Stati si impegnano a
mantenere in pareggio o in avanzo la posizione delle proprie pubbliche
amministrazioni = la regola risulta rispettata se il saldo strutturale anno delle
pubbliche amministrazioni è pari all’OMT dichiarato da ciascun Paese nel PSC.
Sono consentiti dei deficit ma solo a condizione che il ciclo economico sia
negativo, per periodi di grave crisi e in via temporanea.

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Più nello specifico la regola fissata dal Fiscal compact (che è nella pratica un
patto di stabilità) prevede che in ogni Paese il saldo strutturale annuo delle
pubbliche amministrazioni = OMT, che è specifico per ciascun Paese.
Inoltre, quando il rapporto debito/PIL dello Stato superi il valore del 60%, lo
Stato dovrà applicare un percorso di rientro basato sulla riduzione annua di 1/20
all’anno. Nel caso in cui uno Stato non rispettasse questo parametro, si passerà
poi alle procedure di riduzione dei disavanzi eccessivi (braccio preventivo
e correttivo).
Le procedure per la riduzione dei disavanzi eccessivi sono sostanzialmente 2 e
sono state introdotte con due diverse finalità:
- Braccio preventivo (art.121 TFUE…): operazione che si svolge ex-ante, la
funzione principale riguarda il controllo sui parametri del patto di stabilità
(rapporto deficit/PIL e debito/PIL), quindi funzione di sorveglianza preventiva.
Ogni Stato ogni anno deve consegnare un proprio programma di stabilità sia al
Consiglio che alla Commissione e poi una volta presentato scatta un
meccanismo di sorveglianza multilaterale perché ad essere coinvolti sono il
Consiglio e la Commissione che svolgono diverse attività.
Il programma di stabilità consegnato dagli Stati deve indicare l’OMT, che deve
tener conto di ipotesi di andamento dell’economia che possono essere costanti
o divergenti rispetto alla situazione attuale e quindi occorre considerare
eventuali deviazioni e le ragioni per cui potrebbero verificarsi. Il criterio
principale utilizzato dagli Stati deve essere quello di considerare lo scenario
macro-finanziario e macroeconomico più plausibile, utilizzando sempre il criterio
di prudenza al fine di garantire la sana gestione.
Come abbiamo detto poi la sorveglianza viene svolta in maniera multilaterale:
nel corso del semestre europeo il Consiglio elabora gli indirizzi di massima per le
politiche economiche dello Stato e dell’Ustionane che definisce in formali
raccomandazioni che spesso possono contenere misure specifiche nei confronti
dei singoli Stati membri. Su queste misure viene ad essere attuata un’azione di
monitoraggio rafforzata perché in prima battuta è la commissione che svolge
un’istruttoria raccogliendo tutti i dati e le misure di rilievo che sono state
adottate dagli Stati per seguire le indicazioni dell’UE: nel caso in cui la
Commissione dovesse rilevare dati che portano a una divergenza rispetto ai
parametri indicati e quindi nel caso non ci sia solo una divergenza, ma proprio
una deviazione significativa, allora la Commissione può porre in essere un
avvertimento nei confronti dello Stato membro che se non agisce, il Consiglio
può intervenire con una formale raccomandazione in cui viene fissato un
termine entro il quale lo Stato deve attuare una serie di misure. Può darsi che lo
Stato membro non tenga conto neanche di questa raccomandazione e scade il
termine: in caso di inosservanza, quindi, viene adottata da parte del consiglio
una decisione con la quale il consiglio constata l’assenza di attuazione di misure
efficaci da parte dello stato e può chiedere allo Stato di tenere determinati
comportamenti e può soprattutto richiedere allo Stato un deposito fruttifero pari
allo 0,2 del PIL annuo che verrà depositato alla Commissione.
- Braccio correttivo (art. 126 TFUE e regolamento 1467): interviene in 2 ipotesi: o
quando il disavanzo si è verificato (ex-post) o quando il disavanzo sta per
verificarsi (ex-ante). In entrambi i casi, la procedura prevede 2 fasi: una prima
fase riservata di interlocuzione preliminare con ogni singolo Stato membro e
una seconda fase pubblica nella quale si richiedono degli impegni più seri e si
può arrivare all’applicazione di sanzioni e eventuali ammende.
Nella fase riservata anche in questo caso abbiamo vigilanza multilaterale da
parte di Consiglio e Commissione. La Commissione in prima battuta sorveglia
l’evoluzione della situazione del bilancio del singolo stato e se sono superati i
parametri prepara una relazione informando lo Stato membro e il Consiglio. Nel
caso in cui lo Stato non adotti alcun tipo di misura, il Consiglio adotta una

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raccomandazione in forma privata e inviata il singolo Stato a risolvere la


situazione con un termine entro il quale dover provvedere. Nel caso in cui lo
Stato lasci trascorrere questo termine, la raccomandazione può essere resa
pubblica da parte del consiglio è vi è un’intimazione formale allo Stato da parte
del Consiglio che può contenere una serie di misure suggerite per correggere la
situazione, può contenere la richiesta di costituire un deposito fruttifero, può
contenere la richiesta di informazioni supplementari, si può richiedere alla
banca europea di riconsiderare la politica di prestiti verso lo Stato interessato e
si può infliggere delle ammende adeguate e di entità adeguata rispetto allo
sforamento e rispetto all’entità del disavanzo determinato. Il ricavato di
interessi e ammende confluisce nel meccanismo europeo di stabilità.

Il 25 aprile, la Commissione ha avanzato pubblicamente una proposta di


riforma del patto di stabilità (che torna ad essere applicato dal 1° gennaio
2024): questa proposta cambia i modi e i criteri per conteggiare i
parametri del 3% e del 60% che invece rimangono gli stessi. In particolare, si
prevede che ciascun Paese e in particolare quelli più indebitati, debba
presentare dei piani di riduzione del debito. Devono presentare questi
piani seguendo il criterio della spesa pubblica primaria netta, cioè, sia al
netto degli interessi che al netto di altre variabili. Il coefficiente
numerico fisso di riduzione del debito che viene preso in
considerazione è fissato al 0.5% del PIL annuo. Questo coefficiente è una
soglia di base per tutti i Paesi il cui deficit risulta superiore alla soglia
del 3%.
Come si è arrivati a questo: la posizione di Germania e Olanda era
abbastanza rigida perché entrambe avevano proposto un coefficiente
numerico fisso di riduzione del debito pari all’1% del PIL/anno. Questo
ha innescato un dibattito e la Commissione per il momento ha individuato una
soluzione di compromesso che prevede che il coefficiente numerico sia
fisso nella misura dello 0,5% PIL/anno e che questo coefficiente debba
essere applicato come coefficiente minimo in tutti i casi in cui il Paese
abbia un deficit al di sopra del 3%.
Qui però la commissione prevede due diverse ipotesi applicative: in linea
generale si prevede che i piani di riduzione del debito abbiano durata di
4 anni, ma seguendo la seconda ipotesi si prevede che i piani possano
estendersi sino ai 7 anni. Nella prima ipotesi il coefficiente base rimane
dello 0,5 ma può aumentare per consentire il ripianamento, nella
seconda ipotesi è ammesso che il coefficiente dello 0,5 possa scendere
a condizione che il Paese garantisca che entro 7 anni ci sia un rientro
entro i parametri fissati. Quindi, nel caso in cui per l’Italia ci fosse un piano
di 4 anni dovrebbe fissare un coefficiente del 0,85%, se invece l’Italia dovesse
adottare un piano di 7 anni dovrebbe adottare un coefficiente di 0,45%. Può
quindi essere più conveniente per un Paese molto indebitato prospettare
un piano di riduzione del debito più lungo per consentire una maggiore
sostenibilità.
Il criterio che viene attuato nel concreto deve essere ancora definito e si
dovrà trovare un punto di mediazione politico. Questo tipo di proposta,
con il fatto che prevede una doppia applicazione, doppia durata e doppio
binario, lascia un’enorme discrezionalità alla Commissione e questo
potrebbe rappresentare un problema.
3. Articolo 81 della Costituzione: innanzitutto quando ragioniamo di bilancio
pubblico, ragioniamo sempre di bilancio preventivo perché a differenza di
quanto accade per le imprese private, si prevede che lo Stato e gli enti
pubblici abbiano sempre un bilancio preventivo.

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In secondo luogo, quando parliamo di legge di stabilità e di legge di


bilancio, le inquadriamo negli atti di indirizzo e controllo. Il parlamento
quando approva il bilancio esercita solo formalmente un’azione legislativa,
perché nella realtà realizza una funzione di indirizzo e controllo nei
confronti del Governo. L’iniziativa procedimentale per dare avvio alla
manovra spetta al governo perché l’esecutivo è quello che è più in grado di
tener conto dell’amministrazione della spesa presso ciascun dipartimento…
l’iniziativa legislativa del Governo è obbligatoria e riservata. Le Camere hanno il
compito, invece, di approvare la manovra presentata dal Governo. Con
l’approvazione del bilancio, le Camere danno autorizzazione al governo ad
accertare e incassare/pagare le entrate e le spese. L’autorizzazione è valida
per un anno ed è coincidente con l’anno solare.
L’articolo 81 della Costituzione è stato scritto ispirandosi ad una
cultura di tipo liberale e quindi ispirato a inserire in costituzione delle regole
che potessero assicurare una chiarezza nell’approvazione della
manovra finanziaria e allo stesso tempo che potessero essere manovre
prudenziali volte a consentire il pareggio di bilancio.
In origine l’art.81 nella sua versione originaria conteneva 4 regole
Costituzionali fondamentali: 1) le Camere approvano ogni anno i bilanci e
il rendiconto presentati dal Governo; 2) l’esercizio provvisorio del
bilancio non può essere concesso se non per legge per periodi non
superiori a 4 mesi; 3) con la legge di approvazione del bilancio non si
possono stabilire nuovi tributi e nuove spese; 4) ogni altra legge che
importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte
(necessaria copertura delle spese).
Per quanto riguarda il punto 3, questa norma costituiva un caposaldo della
disciplina previgente. Se rileggiamo gli atti dell’Assemblea costituente,
questa norma veniva indicata come una norma di “…”, cioè la ratio era quella
di mantenere distinta la legge di bilancio da tutte le legge tributarie e
che la legge di bilancio potesse essere libera da contenuti eterogenei
ulteriori che potevano inquinare la sua funzione principale. Nella prima
applicazione di questo articolo, ci si ispirava alla legge di pareggio di
bilancio (cultura di stampo liberale ispirata a garantire la legge di bilancio). Per
questo motivo si è stabilita con tanta chiarezza la regola del punto 4 con la
quale si è assicurata una norma di garanzia che ha come finalità ultima quella
della tendenza al pareggio di bilancio. Quindi questa norma veniva definita
proprio come una norma di garanzia. Questa lettura ispirata al pareggio
di bilancio ha ricevuto applicazione fino agli anni ’60, poi con
l’affermazione di una serie di diritti sociali che hanno avuto un costo
sulla finanza pubblica, è mutato l’orientamento interpretativo da parte
della politica e da parte del legislatore delle regole dell’art. 81 e si è iniziato
ad ammettere che vi potesse essere l’introduzione di nuove spese.
Visto che questo non era consentito alla legge di bilancio, è stato
necessario affidare questa funzione alla legge finanziaria, che aveva la
funzione di poter prevedere delle nuove spese e di poter operare delle
variazioni sia in entrata che in uscita rispetto alla legge di bilancio.
Poiché dal punto di vista sostanziale si violava la regola al punto 3, fu
poi vietato di operare queste operazioni alla finanziaria, ma di lì a poco venne
introdotto un nuovo strumento dei “collegati alla finanziaria”, con cui si
ripropose lo stesso meccanismo. Questo meccanismo ha portato ad un
progressivo aumento della spesa pubblica e le cose sono cambiate solo
con le nuove regole costituzionali e con l’approvazione del trattato del
fiscal compact. I nuovi principi sono stati inseriti nell’art. 81 ma anche
negli art. 97 e 119. Alla modifica dell’art.81 è seguita la legge di

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attuazione approvata con maggioranza qualificata e poi si è dato


attuazione alle nuove previsioni dell’art. 81 della Costituzione.
Il primo dato che dobbiamo tenere a mente è che nel nuovo art. 81 viene ad
essere costituzionalizzato il principio dell’equilibrio di bilancio che si
misura con il saldo. In sede europea rileva il saldo strutturale, che deve
quindi essere computato al netto degli effetti del ciclo economico. Il saldo
strutturale netto viene misurato senza tenere conto degli effetti negativi del
ciclo economico e si può quindi ricorrere in alcuni casi all’indebitamento
senza che questo determini un saldo negativo. Questo ricorso
all’indebitamento viene presidiato da una legge di autorizzazione per
cui si prevede una riserva di legge e cioè deve essere approvata dalla
maggioranza dei componenti (non dei votanti). Seconda regola che viene
stabilita dall’art.81 è che questa riserva di legge è necessario che ricorra
anche per definire il contenuto della legge di bilancio, le norme
fondamentali rinvenibili nella legge e i criteri volti ad assicurare
l’equilibrio.
Per quanto riguarda gli art. 97 e 119, questi prevedono che le regole
esaminate all’art. 81 vengano estese a tutte le pubbliche
amministrazioni e quindi anche alle amministrazioni che dipendono
dalle regioni e dagli enti locali.
Viene quindi costituzionalizzato il principio dell’equilibrio di bilancio che
si misura in termini di saldo strutturale al netto degli effetti del ciclo economico
e il ricorso all’indebitamento è l’eccezione alla regola che può essere
innescata solo se ricorrono alcuni presupposti (ciclo economico negativo,
verificarsi di eventi eccezionali) e previa autorizzazione a maggioranza
assoluta dei componenti di ciascuna camera.
La legge 243 del 2012 ha individuato una serie di contenuti, in particolare ne
vediamo 3:
1) l’equilibrio di bilancio è considerato raggiunto alla luce dei
parametri definiti in sede europea e cioè quando non si discosta
dall’OMT; 2) gli eventi eccezionali in presenza dei quali si può attivare
il ricorso all’indebitamento sono i periodi di grave recessione
economica, crisi finanziaria, calamità naturali; 3) introduzione di un
ufficio parlamentare per il bilancio, che è un organismo indipendente
introdotto con funzione di vigilanza. Questo organismo ha funzione di
vigilanza sulla finanza pubblica e quindi svolge una funzione di
monitoraggio sui conti per verificare l’osservanza delle regole di
bilancio e può poi indicare delle misure correttive che devono poi essere
adottate.

Ciclo del bilancio integrato Italia-UE:


Tutte le politiche di bilancio sono operate e formate in stretta collaborazione
con gli indirizzi dati da parte dell’UE. I principali atti che compongono questo
ciclo integrato sono:
- la Commissione UE adotta le linee guida sulle priorità strategiche della
politica economica per tutti gli Stati membri;
- alla luce di queste linee guida, il Governo presenta alle Camere il
documento di economia e finanza (DEF), che deve contenere gli obiettivi
per il triennio e per ciascun anno, gli obiettivi di riduzione del debito
pubblico e le modalità per conseguire questi obiettivi e deve considerare lo
stato di avanzamento delle riforme.
Se dovessimo analizzarlo dal punto di vista strutturale, il DEF è composto
di 3 sezioni che sviluppano questi obiettivi: la prima sezione è quella
relativa al programma di stabilità e contiene tutti gli elementi richiesti
dall’UE per il patto di stabilità, la seconda sezione è costituita dalle

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previsioni e le informazioni sull’andamento della spesa dell’Italia, la


terza sezione è costituita dal programma nazionale di riforma e in
questa sezione devono essere messe in programma le riforme strutturali
necessarie per poter rispettare i parametri finanziari richiesti in sede
europea. Una volta che il DEF è predisposto da parte del Governo, viene
trasmesso alle Camere e ognuna di esse si pronuncia con una
risoluzione sul documento e infine
- il 30 aprile il documento viene trasmesso a Bruxelles per il monitoraggio
da parte dell’UE. Il Consiglio dell’UE prende in esame il documento e adotta
e trasmette delle raccomandazioni entro luglio a ciascuno degli Stati.
Queste raccomandazioni hanno ad oggetto ciascuno dei contenuti di cui si
compone il DEF (sia programma di stabilità, sia correzioni sull’andamento della
spesa…).
- Ricevute le raccomandazioni, viene predisposta la nota di aggiornamento
del DEF che ha la finalità di adeguare la manovra e recepire le
raccomandazioni del Consiglio. Il Governo predispone quello che viene
definito disegno di legge di bilancio entro il 20 ottobre. Legge di bilancio è
redatta sia in termini di cassa che in termini di competenza. È necessario
procedere all’approvazione della legge di bilancio entro il 31 dicembre.
Laddove non si procedesse all’approvazione, può essere avviato l’esercizio
provvisorio (per massimo 4 mesi e deve esserci l’autorizzazione da parte
della legge). Questa regola è rimasta immutata dal vecchio testo costituzionale
ed è rinvenibile oggi nel quinto comma dell’art.81.
Generalmente è meglio non andare in esercizio provvisorio, ma non è una
tragedia. Sono poi previsti dei possibili disegni di legge collegati alla
manovra finanziaria, che però hanno come vincolo temporale quello di essere
approvati entro il 31 gennaio dell’anno successivo.

IL CONTROLLO DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE


Il diritto delle pubbliche amministrazioni risale convenzionalmente al 1872 e al
caso dell’arresto Blanco. Blanco, una bambina, viene investita da 4 operai
dell’azienda statale dei tabacchi perdendo la vita e i genitori della bambina
promuovono una causa per il risarcimento del danno contro l’azienda statale dei
tabacchi. Il prefetto, non sapendo di chi potesse essere la competenza, solleva la
questione al tribunale dei conflitti che dice che spetta al giudice amministrativo e non
al giudice ordinario valutare la questione relativa alla responsabilità dei 4 agenti che
appartenevano all’azienda statale, perché i soggetti appartenevano ad un’azienda che
apparteneva alla pubblica amministrazione.
Nasce quindi il diritto amministrativo come corpo di regole applicabile in tutti
i casi in cui è parte di un rapporto la pubblica amministrazione. Questo
presuppone che il giudice in questione sia il giudice amministrativo.
Il diritto amministrativo nasce quindi come applicazione di regole speciali rispetto
al diritto privato, la cui giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo e non al
giudice ordinario.
Quando usiamo il termine amministrazione, facciamo riferimento a qualcosa che ha un
potere di supremazia nei confronti dei privati perché può adottare dei comandi a
prescindere dalla volontà del privato cittadino. L’amministrazione in questo primo
senso è quindi autoritativa. Studiando poi altri settori del diritto dell’economia
vediamo che l’amministrazione è anche servizio (servizi pubblici…), possiamo in
questo senso definirla di prestazione (svolge una funzione in termini di erogazione di
servizi a beneficio della collettività).
Inoltre, l’amministrazione può essere inquadrata da noi sia in senso oggettivo
(amministrazione intesa come cura di interessi generali della comunità. Viene
considerata amministrazione pubblica anche se viene svolta da un privato)

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che soggettivo (appartenente ad un apparato soggettivo della pubblica


amministrazione).
Possiamo distingue diverse elencazioni per quanto riguarda la definizione di
amministrazione:
- Prima elencazione nel decreto legislativo 165 del 2001, che regola le norme
sul lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione e che ha
amministrato normativamente la privatizzazione. In questo decreto legislativi si
dice che per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni
dello stato comprese le scuole, le aziende, le regioni, le province, i
comuni… questa definizione non può essere considerata esaustiva.
- Altra definizione rinvenibile nell’elenco individuato dall’ISTAT: tutte le
amministrazioni dello Stato, le regioni, gli enti locali, gli enti pubblici
non economici…
In ogni caso tutte le elencazioni potrebbero essere incomplete e inoltre in molti casi
è difficile distinguere se un ente sia pubblico o privato. Per questo motivo la
giurisprudenza ricorre agli indici sintomatici (più giù) per distinguere gli enti
pubblici dagli enti privati.

I principi costituzionali in tema di pubbliche amministrazioni


Le previsioni costituzionali in tema di pubblica amministrazione possono essere in
linea generale raggruppate in 4 macroaree:
1. Previsioni sull’organizzazione e sull’attività della pubblica amministrazione
2. Previsioni sulla responsabilità della pubblica amministrazione e in
particolar modo sulla responsabilità dei pubblici funzionari
3. Previsioni sull’amministrazione diversa da quella Statale (regionale e
locale)
4. Previsioni sulla tutela del privato nei confronti della pubblica amministrazione

Quando facciamo riferimento a previsioni costituzionali del primo gruppo (1),


facciamo riferimento in particolare agli art. 97 e 98 della P.A. inoltre, un’altra
previsione rilevante è quella dell’art. 95 della Cost. dove si fissa un principio di
derivazione politica degli organi di vertice degli apparati amministrativi, che
derivano appunto dagli organi politici.
Partendo dall’art. 97 della Cost., esso è stato modificato dalla legge costituzionale 1
del 2012 e quindi il primo principio introdotto per tutte le pubbliche amministrazioni è
quello di assicurare l’equilibrio di bilancio e la sostenibilità del debito
pubblico, principio esteso a tutte le pubbliche amministrazioni. Questo articolo
fissa un principio che richiama dei canoni e pone una riserva di legge: i
pubblici uffici sono organizzati secondo disposizione di legge in modo che
siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Questi sono
i due canoni, principi di riferimento: buon andamento e imparzialità
amministrativa. Qui siamo anche in presenza di una riserva relativa: la legge
definisce le linee generali di disposizione della PA e poi il Governo può
determinare concretamente l’assetto dei singoli uffici. In realtà spesso si fa
riferimento anche ai regolamenti delegati, che possono anche essere oggetto di
applicazioni incostituzionali. Riprendendo i 2 principi di riferimento, questi criteri
sono diversificati perché: quando si fa riferimento al buon andamento della
pubblica amministrazione ci si riferisce ad un concetto che deriva dalla scienza
dell’amministrazione, mentre quando si parla di imparzialità no. Per buon
andamento si considerano i risultati, gli obiettivi e i mezzi a disposizione, infatti,
nell’ambito della scienza dell’amministrazione si dice che il buon andamento è volto
ad assicurare l’efficienza (rapporto tra mezzi che si hanno a disposizione e
risultati conseguiti) e l’efficacia (rapporto tra obiettivi che si intendono conseguire
e i risultati che sono stati conseguiti).

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Per quanto riguarda invece l’imparzialità amministrativa, essa non è soltanto un


canone guida che riguarda la materia dell’organizzazione dell’amministrazione,
ma anche l’attività amministrativa. Per imparzialità amministrativa si intende che
la pubblica amministrazione tutela in via primaria un interesse pubblico, ma
nel tutelarlo deve farlo in maniera imparziale e quindi col divieto di porre in essere
favoritismi nei confronti di alcuni soggetti. Da questo punto di vista pone quindi un
principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla pubblica amministrazione
(diverso dall’imparzialità del giudice). In realtà, sappiamo che l’azione
dell’amministrazione in alcuni casi è discrezionale e in questi casi
l’imparzialità è fondamento del principio di proporzionalità amministrativa e
della distinzione tra indirizzo politico e gestione amministrativa. Questo
principio implica che agli organi politici spettino sempre la definizione degli
obiettivi da raggiungere, mentre l’individuazione dei mezzi e delle modalità
concrete con cui raggiungere gli obiettivi spettano alla pubblica amministrazione.
Conseguenza: gli organi politici non rispondono degli atti amministrativi che
sono adottati sotto la diretta responsabilità dell’apparato amministrativo.
Sono quindi gli apparati amministrativi e i dirigenti ad essere responsabili
degli atti compiuti. Questo ha un risvolto, nel senso che in molti casi può creare
effetti paradossali perché vengono dati input evidenti dai politici ma poi le
responsabilità vengono addossate esclusivamente all’apparato
amministrativo.
L’articolo 97 pone poi un’altra regola: il reclutamento dei pubblici dipendenti
deve avvenire tramite pubblico concorso.
L’articolo 98 riguarda invece lo status giuridico dei pubblici funzionari e in
particolari si prevede che essi debbano agire sempre al servizio esclusivo della
nazione e questo è il motivo per cui se sono parlamentari non possono
conseguire promozioni e possono subire limitazioni che vengono stabilite
con legge.

Previsioni costituzionali del secondo gruppo (2): responsabilità della


pubblica amministrazione e dei pubblici funzionari.
Il funzionario è responsabile per atti compiuti in violazione di diritti. Art 28 cost,
è personalmente obbligato
a risarcirlo. Si apre una regola di risarcimento per l’impiegato che abbia cagionato
un danno ingiusto, ossia
rilevante a violazione dei diritti dei terzi che l’impiegato abbia commesso per
dolo o colpa grave.
La responsabilità che ricorre sull’impiegato e l’amministrazione è asimmetrica,
in quanto la P.A. risponde
anche quando il danno sia stato fatto con colpa lieve. La giurisprudenza ha
sempre ritenuto che nel caso in
cui l’atto sia stato compiuto con dolo dall’impiegato, questo spezza il nesso di
immedesimazione organica,
quindi la PA non risponde. Un’altra cosa da dire sulla responsabilità è che
storicamente in giurisprudenza si
è faticato a riconoscere la responsabilità civile, si è sempre ritenuto che
l’amministrazione godesse di una
situazione di privilegio, quindi non si è mai sanzionata attraverso
risarcimento del danno, come invece
accade nei confronti di qualsiasi altro soggetto privato. Ciò è stato modificato negli
anni ’90: ampliamento della sfera dei danni risarcibili dall’amministrazione.
Si è esteso l’art. 1337 anche nei confronti della PA. C’è stata una progressiva
affermazione della responsabilità della PA a fini risarcitori.

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Altri principi costituzionali riguardano l’amministrazione diversa da quella


statale, terzo gruppo (3), e cioè l’amministrazione decentrata e policentrica.
Esistono più amministrazioni,
accanto a quella statale c’è quella delle regioni, comuni, province ecc. che sono
dislocate sul territorio e
caratterizzate in maniera differente dalla distinzione statale. Autonomia e
decentramento.

Altri principi che hanno rilevanza nel nostro ordinamento come principi generali
sono quelli relativi al quarto gruppo (4), che riguardano la tutela del privato
nei confronti della pubblica amministrazione. Possiamo distinguere diverse
tipologie all’interno di questa quarta categoria:
-pubblicità e trasparenza, che ha due macroaree di applicazione. È riconosciuto
dall’art 15 del TFUE,
che richiede che gli organi europei operino in modo trasparente nei confronti
del cittadino e dei
destinatari. Si pone un principio di open governance, le autorità devono essere
accessibili da
chiunque abbia un interesse. Art 41 della carta dei diritti fondamentali in cui si
riconosce il diritto di
accedere al fascicolo per ogni cittadino che ha interesse ad accedere al fascicolo.
La prima area è la totale accessibilità delle informazioni. Il decreto legislativo ha
imposto che una serie di
informazioni sull’attività delle pa siano sempre accessibili.
La seconda area riguarda il diritto di accesso ai documenti amministrativi che
può essere esercitato dal singolo cittadino o accesso civico. In tanti casi
abbiamo l’accesso agli atti amministrativi. La giurisprudenza riconosce che il diritto di
accesso deve
essere contemperato con altri diritti come la privacy ecc. Non è un diritto
soggettivo l’accesso ma
un interesse legittimo in quanto può essere limitato e escluso in presenza di
altri interessi
antagonisti e prevalenti sul piano costituzionale. La pa ha l’obbligo di
pubblicare
una serie di dati che riguardano l’organizzazione dell’amministrazione; la
legittimazione di accesso
civico è estesa a chiunque abbia un interesse. Questo principio c’è anche nel
diritto europeo.
-proporzionalità, è un principio riconosciuto dalla giurisprudenza della corte
di giustizia; quindi, ha pieno
ingresso nel nostro ordinamento come principio direttamente applicabile. Si applica
ogni volta che
la pa esercita un potere discrezionale.
È articolato in tre passaggi: idoneità dello scopo, non eccessiva onerosità del
mezzo
utilizzato, necessarietà dell’azione. L’amministrazione deve usare il mezzo meno
oneroso e
impattante per il privato.
-ragionevolezza, le scelte non possono essere irrazionali o violative.
-legittimo affidamento, che non consente al decreto-legge che perde effetto
di travolgere le
situazioni antecedenti in via retroattiva (alla base c’è il principio di certezza del
diritto).
-precauzione, si tratta del principio che si applica in modo immediato per la tutela
della salute o

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dell’ambiente. Le pa possono adottare misure protettive in via anticipata, anche


prima del
verificarsi del danno.
-obbligo di motivazione, fondamento dell’esercizio del potere. L’amministrazione
deve rendere
conto del suo operato. Quando adotta un atto lo deve fare motivando le
ragioni di fatto e di diritto
per cui ha adottato quell’atto.
-contradditorio, è il principio del giusto procedimento. Non è sancito in
costituzione ma costituisce
un principio generale dell’ordinamento giuridico che le amministrazioni devono
rispettare e
temperare nell’esercizio della loro azione amministrativa. Presuppone l’avvio del
procedimento e
l’amministrazione deve chiedere all’interessato il proprio punto di vista e ha
l’obbligo di esaminarlo
prima di concludere il procedimento.

La Costituzione presuppone diversi modelli di amministrazione.


3 modelli generali:
-come apparato statale, che si caratterizza per il fatto che l’amministrazione statale
è organizzata in
maniera verticistica e sul principio di gerarchia. Prevede un modello di
responsabilità di tipo
piramidale. Art 95 cost. è tipica dell’apparato di amministrazione dello stato MA non
è tutta
l’amministrazione.
-come apparato indipendente, dal potere politico e dall’indirizzo del governo.
Sono amministrazioni regolate direttamente dalla legge queste amministrazioni
e sottratte all’indirizzo politico del governo.
Godono di un certo grado di indipendenza. Art 28 cost. è un modello che prevede
una regolazione
diretta dalla legge e una scissione rispetto all’indirizzo politico governativo.
-PA come apparato decentrato: amministrazioni territorialmente dislocate e
strutturate in maniera differente

L’organizzazione amministrativa statale


Vediamo gli istituti principali: è formata dal Consiglio dei ministri e ministeri che
sono portatori delle principali funzioni amministrative.
I ministeri sono strutturati in dipartimenti (il capo è di nomina fiduciaria o politica,
operano in grandi aree)
o direzioni generali (settori specifici di competenza con a capo un segretario
generale). Il modello
organizzativo è uniforme e si replica in tutti i ministeri. È improntato sul
principio di gerarchia.
Azienda (autonoma): organo che opera nel ministero e con una speciale
organizzazione. Ha il proprio bilancio e personale.
Agenzia: a differenza delle aziende le agenzie sono le strutture amministrative
speciali che hanno
personalità giuridica e svolgono delle funzioni tecniche. Sono sottoposte
all’indirizzo politico ma hanno una propria autonomia.
Organi di controllo: in cui c’è l’ufficio di bilancio, che ha il controllo della spesa e
delle scritture contabili di
ogni ministero. È parte della ragioneria dello stato, che è parte del mef.

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Organi consultivi: sono di ausilio all’amministrazione attiva. Rilasciano consulti


o pareri. Sono formati da
consigli superiori di tecnici esperti della materia.
Organi di consulenza giuridica: avvocatura dello stato. Difende tutte le
amministrazioni dello stato in
giudizio. Ha importanza sostanziale perché il funzionario non si deve
assumere la responsabilità.

Enti pubblici non economici – nascono per seguire determinati fini in maniera
più autonoma rispetto alle
amministrazioni dello stato. Sono dotati di personalità giuridica di diritto
pubblico e hanno una propria
organizzazione e alcune caratteristiche.
-hanno uno scopo specifico. Non hanno dei fini generali come hanno ad es comuni
province e
regioni.
-sono sottoposti alla vigilanza dello stato
-atipicità degli enti pubblici, cioè che non corrispondono a un modello tipico unico
ma possono
essere diversamente strutturati. Possono essere organizzati come istituzioni
o come enti pubblici
associativi. Oppure si possono distinguere per le attività che possono essere
sicurezza, benessere,
istruzione ecc.
-regola – legge n 70 prevede che nessun ente può essere istituito o
riconosciuto se non per legge.
Quindi ogni ente pubblico doveva essere creato o istituito per legge. Questo ha
posto un problema
perché occorreva capire in assenza di una norma di legge che creasse un
ente pubblico quando si
fosse in presenza di un ente pubblico o di uno privato.
La giurisprudenza ha individuato la teoria degli indici sintomatici, quando ci sono
questi indici cumulativamente si è in corrispondenza di un ente pubblico. Questi
indici sono principalmente: attività, rapporto di servizio con la pa,
sottoposizione al controllo pubblico, finanziamento, poteri ... Gli enti pubblici a
volte sono stati riconosciuti con atto amministrativo e ciò ha reso
difficile riconoscere se si era in presenza di enti pubblici e privati, ecco perché indici.

Enti pubblici economici – svolgono un’attività in modo imprenditoriale


producendo beni o servizi.
L’organizzazione è pubblicistica, anche se possono instaurare rapporti di
diritto privato e agire con atti di diritto privato per operare con maggiore
duttilità. Anche questa categoria è in parte superata. Gli amministratori risultano
pubblici amministratori anche in sede penale.

Amministrazione statale decentrata. Il decentramento è una modalità di


dislocazione di servizi che non presuppone un diverso indirizzo politico. Le
prefetture erano così, però ora sono stati trasformati in UTG = Uffici territoriali del
governo, che svolgono sul territorio (che è la provincia) le funzioni
dello stato in maniera decentrata di sicurezza pubblica, ordine ecc. anche il
sindaco svolge alcune funzioni
come ufficiale di governo. C’è un’ulteriore eccezione: le ordinanze contingibili
urgenti per garantire
l’incolumità pubblica.

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Autorità amministrative indipendenti – sono le autorità affermate in altri


ordinamenti e indicano una serie di pubblici poteri che agiscono con alcune
specifiche finalità, per tutelare ed esercitare dei poteri neutri
rispetto alla politica. La finalità è esercitare questi poteri al riparo
dall’indirizzo politico del governo. Poi hanno la finalità di tutelare settori
sensibili e di esercitare in maniera imparziale la propria attività per impedire
che ci potessero essere dei conflitti quando lo stato assume il ruolo di
imprenditore. Sono caratterizzato da
un grado specifico di indipendenza dall’indirizzo politico governativo e si
caratterizzano per esercitare delle
funzioni neutrali in settori sensibili costituzionalmente e si caratterizzano per
un alto grado di
specializzazione. Es consob agcm ivass ecc. i soggetti devono avere altissime
competenze tecniche ed
essere autonomi rispetto alla politica. L’indipendenza si ha sia sul piano
soggettivo che oggettivo.
L’indipendenza sotto il profilo soggettivo è tale perché questi soggetti devono
operare senza avere
condizionamenti dall’ip del governo. Rispondono al parlamento, non al
governo. Le autorità redigono
annualmente una relazione con le criticità del settore in cui operano così che
il parlamento possa tenerne
conto per una futura legge.
Sul piano oggettivo esercitano in maniera neutrale, come indifferenza rispetto
agli interessi
pubblici o privati, e imparziale – senza discriminazioni arbitrarie nei confronti
dei destinatari
dell’azione amministrativa, operando in piena autonomia di giudizio.
C’è una commistione di poteri nella aai. Hanno poteri di regolazione,
prescrittivi, interdettivi, ecc. Accanto a questi ci sono dei poteri para
normativi, regolamentari. Poi esercitano poteri amministrativi e sanzionatori e
para giurisdizionali, che pur essendo amministrativi sono sanzionatori dal
punto di vista sostanziale. Infine hanno poteri di advocacy, di segnalazione al
parlamento.
Un fondamento costituzionale è rinvenibile in 47 41 cost ma anche nella regolazione
indipendente che
svolgono queste autorità che si è affermata sia in ambito interno che a
livello europeo. Il fondamento del
loro potere è rinvenibile nella regolazione interna a livello interno e ue.
Devono sempre garantire la legalità procedurale, il giusto procedimento.

Disciplina relativa al personale


La disciplina oggi diamo per scontato che sia stata privatizzata. Inizialmente non
era così, fino al 93 la
disciplina che reggeva il rapporto di lavoro degli impiegati pubblici era pubblicistica,
con disciplina del
giudice amministrativo. Si ha avuto la privatizzazione del pubblico impiego e
estensione degli istituti a
tutela delle libertà collettive e individuali del lavoratore. Il funzionario
pubblico si è ritenuto dovesse essere riconosciuto di certi diritti sul piano di
lavoro. La fonte regolatrice del rapporto non è la legge di pubblico impiego ma è
la contrattazione collettiva, al pari del settore privato. È una regola prevalente nel
settore pubblico, che significa che il rapporto di lavoro è regolato da settori
collettivi. L’unica eccezione che si ha sono alcune categorie di personale che

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rimangono fuori dalla trattazione collettiva. Sono gli avvocati dello stato, il
personale militare, i prefetti, la polizia, magistrali ecc.
I contratti collettivi sono stipulati previo parere del settore interessato e
controllo della Corte dei conti tra
ARAN (agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni) e organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
In caso di controversie sono decise dal
giudice del lavoro. L’implicazione sul piano generale è la separazione tra
direzione
politica e direzione amministrativa. Si crea una scissione tra indirizzo politico e la
sfera politica e la gestione
amministrativa. Tutti i compiti che riguardano la sfera amministrativa sono di
competenza dei dirigenti.
Inizialmente la distinzione è stata blanda tra indirizzo politico e amministrativa. Nel
2009 si è voluta
assicurare l’autonomia prevedendo che i dirigenti sono revocabili solo per
motivi di responsabilità e solo a seguito di un procedimento puntuale e
motivato dal dirigente. Quindi si è avuta una seconda fase in cui si è avuta una
distinzione marcata.

Categorie di beni pubblici:


-demaniali: non possono essere alienati e espropriati
-disponibili
-patrimoniali indisponibili: non modificabili nella loro destinazione

Organi ausiliari (previsti dalla Costituzione con funzioni di controllo):


-Corte dei conti, art 100 cost. svolge un controllo preventivo di legittimità sugli
atti del governo; controllo successivo sul bilancio dello Stato; controllo sulla
gestione finanziaria degli enti contribuiti dallo Stato e sulla gestione della
PA. Ha giurisdizione contabile o di consulenza
-Consiglio di stato, organo di secondo grado della giustizia amministrativa. Si
esprime con una serie
di pareri che sono facoltativi, obbligatori o vincolanti.
-CNEL: pareri + esercita iniziativa legislativa

ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA
Tutta l’attività amministrativa deve essere informata in base al principio di legalità:
principio che trova la sua affermazione innanzitutto in ambito europeo perché lo
stesso trattato dell’UE ci dice che l’unione europea è una comunità di diritto
fondata sullo Stato di diritto. Lo stato di diritto informa quindi tutto l’ordinamento
europeo.
Con lo stato di diritto (caratterizzato dal principio di legalità) si afferma come
prioritario il principio del governo della legge su tutti gli altri soggetti che
fanno parte dell’ordinamento e quindi anche la pubblica amministrazione deve
rispettare il principio di legalità nell’esercizio della sua attività.
Il principio di legalità ha una duplice funzione: 1) funzione di legalità garanzia:
tutte le posizioni giuridiche soggettive dei cittadini trovano fondamento nella
legge, che quindi costituisce il fondamento di queste posizioni giuridiche e le tutela.
Ciò comporta che gli atti amministrativi non possano incidere in senso
contrario alle disposizioni di legge. 2) legalità indirizzo: l’azione
amministrativa è ancorata alla legalità perché la legge è espressione della
sovranità popolare e della rappresentanza politica.
Il principio ha anche 2 significati giuridici: 1) principio di preferenza della legge
rispetto agli atti del governo (e ad altri atti pubblici). Questo principio è ben
espresso nella legge 2248 del 1865 (LAC), che ci dice che i regolamenti del governo

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non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge; quindi, nessun atto
può contrastare con la legge. L’origine storica del principio nasce dall’ambito
dello Statuto albertino (e di tutte le costituzioni ottocentesche), in cui il potere che
spettava al re di adottare regolamenti, era un potere antagonista rispetto a quello del
Parlamento e quindi il re poteva adottare regolamenti senza la preventiva
autorizzazione da parte del parlamento e quindi in tutti questi ordinamenti liberali si è
voluto porre il principio di preferenza della legge, con cui si è voluto segnare un
confine oltre il quale i regolamenti non avrebbero potuto andare: questi atti
non possono incidere sulle previsioni di legge o derogare alle stesse. Le posizioni di
legge sono le posizioni giuridiche dei cittadini e la legge è stata stabilita dal
Parlamento. Quando il giudice ordinario si trova a dover decidere su una
questione in cui vengono coinvolti atti amministrativi contrari alla legge, lo
strumento che ha il giudie è quello di disapplicare gli atti amministrativi
illegittimi. 2) il principio di legalità costituisce il fondamento del potere
amministrativo che viene esercitato; quindi, nessun atto amministrativo può
essere adottato laddove non abbia un fondamento nella legge. Il principio di
legalità in questo senso può avere due accezioni: principio di legalità in senso
formale o in senso sostanziale. In entrambi i casi la legge costituisce il fondamento
del potere amministrativo, ma il rapporto tra potere amministrativo e legge è
diverso nei due casi. Senso formale = la PA agisce ma nei limiti della legge e
quindi il potere amministrativo può essere applicato con il limite esterno della
legge. Senso sostanziale = la PA non deve limitarsi ad agire non in contrasto
rispetto alla legge, ma deve agire conformemente alla legge e soprattutto sulla
base di una norma attributiva del potere specifica.
Il principio di legalità in quanto tale non è espressamente
costituzionalizzato; tuttavia, abbiamo studiato come il potere regolamentare e
amministrativo del governo riceva una limitazione attraverso gli istituti della riserva di
legge che abbiamo detto può essere assoluta (il legislatore disciplina interamente la
materia) o relativa (il legislatore definisce solo le linee guida della materia e ammette
l’intervento dei regolamenti del governo a completare la disciplina della materia).
Se sovrapponiamo la struttura della riserva di legge relativa con il principio
di legalità sostanziale, ci accorgiamo che la struttura è molto simile: perché il
potere regolamentare e amministrativo possa essere esercitato occorra che ci sia una
previsione di legge specifica alla base. Possiamo quindi dire che il principio di
legalità sostanziale risulta applicabile in tutti i casi e laddove la costituzione
preveda una riserva di legge relativa (art. 43-42-52…).
In definitiva:
- quando il principio di legalità ricade negli stessi ambiti delle riserve di
legge relative, allora vige il principio di legalità sostanziale
- in tutti gli altri casi vige il principio di legalità formale

La discrezionalità amministrativa
Intanto bisogna dire che è diversa rispetto all’autonomia dei privati e rispetto
alla discrezionalità dei giudici. Infatti, l’autonomia dei privati, nell’ambito del
Codice civile è assunta come regola e sappiamo infatti che i privati possono
utilizzare tutte le forme tipiche e atipiche, anche contrattualmente, per realizzare quei
tipi contrattuali meritevoli di tutela e che possono garantire meglio la forma giuridica
dei loro interessi. L’autonomia dei privati, quindi, è la regola e il rispetto di norme
inderogabili (norme di ordine pubblico…) è l’eccezione.
Diversamente avviene per la discrezionalità dei giudici e per la discrezionalità
amministrativa. Per quanto riguarda la discrezionalità del giudice, quando il giudice
esercita la propria attività, esercita un’attività giurisdizionale e ha il compito di
applicare la legge nel caso concreto risolvendo quindi le varie controversie che
avvengono di volta in volta. Il giudice ha sempre come parametro i criteri definiti
nella legge: non possiamo quindi parlare di una discrezionalità in senso proprio del

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giudice, ma di una funzione giurisdizionale di dare applicazione alla legge nel


caso concreto.
Quando parliamo di discrezionalità amministrativa, invece, il caso è diverso perché
alla base la pubblica amministrazione quando esercita un potere deve rispettare il
principio di legalità e quindi il potere deve sempre trovare il proprio riferimento
nelle disposizioni di legge e inoltre la PA deve curare degli interessi pubblici nel
caso concreto: li cura su singole situazioni specifiche. La discrezionalità in linea
generale può essere definita come quel margine di libertà che la legge lascia
all’amministrazione per poter curare l’interesse pubblico in concreto.
L’esercizio dei poteri amministrativi è sempre vincolato nel fine e quindi di fatto
all’amministrazione viene lasciata una libertà di apprezzamento su una serie di
modalità con le quali viene esercitato il potere. Per rendere più concreto il
meccanismo possiamo ricorrere a 2 schemi di riferimento:
- schema norma fatto: vi sono alcuni casi in cui vengono attribuiti dalla
norma di legge dei poteri alle autorità amministrative, ma la noma nella
sua fattispecie contiene già tutti gli elementi della fattispecie concreta e
quindi gli effetti non sono imputabili all’esercizio del potere
amministrativo, ma sono imputabili direttamente a quanto disposto dalla
norma di legge. Quando per esempio la PA deve compiere accertamenti tecnici
previsti dalla norma di legge, non compie un atto discrezionale, ma un atto
vincolato da quanto disposto dalla norma e anche i suoi effetti sono già vincolati
dalla legge.
- schema norma potere fatto: in questi casi la norma di legge non
definisce tutta la fattispecie completa, ma solo una parte e lascia il
compito all’autorità amministrativa di poter discrezionalmente decidere
alcuni elementi, quali: an (se esercitare il potere), quid (contenuto del
potere), quomodo (in che forma esercitarlo) e il quando. Tanto più la legge
lascia potere quanto più è ampio il potere discrezionale della PA. Per esempio, in
caso di calamità naturali il prefetto o il sindaco può decidere se azionare delle
ordinanze, come quando e in che modo. In altri casi invece la
discrezionalità può essere limitata solo ad alcuni di questi elementi e
non a tutti.
Non è necessario che la pubblica amministrazione o il soggetto che agisce
discrezionalmente possa agire senza alcun tipo di regole, ma deve sempre agire
comparando gli interessi in gioco: valutazione comparativa tra interessi
pubblici e privati in gioco. Deve comparare gli interessi in gioco attraverso il
principio di ragionevolezza (in modo razionale e non contraddittorio, la decisione
deve essere motivata) e attraverso il principio di proporzionalità (limite al
potere discrezionale, perché richiede sempre che vengano fatti 3 test: idoneità
dello scopo, congruità rispetto al fine e non eccessiva onerosità e quindi scelta
del mezzo meno oneroso).
Inoltre, la discrezionalità può essere oggetto di auto vincolo da parte della PA:
ci sono dei casi in cui la Pa deve esercitare i poteri ma decide di auto-vincolarsi a
monte. Per esempio, nel caso di appalto (gara pubblica).

Merito amministrativo
Riguarda l’opportunità o il contenuto della scelta compiuta da parte della PA:
esempio, scelta di merito di collocare un impianto rifiuti nella periferia est o ovest di
una città.
In tutti i casi in cui abbiamo ipotesi in cui la scelta della PA riguarda valutazioni
che attengono il contenuto e l’opportunità di adottare o meno un atto, siamo
in presenza di una scelta di merito. È importante distinguere discrezionalità e
merito perché il giudice non può sindacare una scelta di merito: applicazione
del principio di separazione dei poteri.

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Discrezionalità tecnica
Non è un termine corretto, ma è stato lungamente usato in dottrina per
individuare un’area in cui le autorità amministrative devono adottare alcuni
atti sulla base di concetti giuridici indeterminati che rinviano ad alcune
valutazioni tecniche che in sede applicativa presentano margini di opinabilità.
Quindi quando vengono in rilievo valutazioni tecniche che possono essere opinabili
sulla base di regole scientifiche. Sono diverse dalla discrezionalità
amministrativa, perché quest’ultima richiede una ponderazione degli
interessi, mentre la discrezionalità tecnica no, richiede una valutazione e un
esercizio del potere sulla base di regole scientifiche che presentano margini
di opinabilità. Le valutazioni tecniche sono diverse anche rispetto agli
accertamenti tecnici: in questi casi l’esito è certo e predeterminato dalle
regole scientifiche che stanno alla base.
Il problema della discrezionalità tecnica è capire quanto possa essere
sindacata da parte del giudice: in un primo momento la giurisprudenza
pensava che non fosse possibile sindacare le valutazioni tecniche se non nei
limiti della manifesta irragionevolezza, nel 1999 c’è stata un’apertura della
giurisprudenza amministrativa che ha ritenuto che il controllo del giudice
amministrativo sulle valutazioni tecniche è accettabile, ma è un controllo che
non può riguardare il merito della decisione, ma solo il procedimento e
l’attendibilità e correttezza del criterio utilizzato (attraverso consulenze
tecniche d’ufficio).

Il procedimento amministrativo
Disciplina generale 241 del ’90 che ha introdotto la legge sul procedimento
amministrativo.
A partire dagli anni ’90 il diritto amministrativo è stato completamente
trasformato perché entra in vigore proprio la legge 241. Le finalità generali di
questa legge sono:
1. democraticizzare il rapporto tra amministrazione pubblica e cittadino:
assicurare una partecipazione democratica dei cittadini al farsi del
potere.
2. combattere la lentezza dell’esercizio del potere: far sì che l’esercizio del
potere potesse essere cronologicamente limitato. Il provvedimento finale
va adottato entro 30 giorni dall’inizio del provvedimento
amministrativo.
Quando si parla dell’attività amministrativa si parla sempre di procedimento
amministrativo e di atto amministrativo. Quest’ultimo è la risultante finale
dell’intero procedimento amministrativo e tendenzialmente si è sempre data
più importanza all’atto piuttosto che al procedimento per una ragione di tipo
pratico perché l’atto è quello che comporta effetti giuridici per il destinatario ed
è quello impugnabile da parte del cittadino per ricevere tutela. Da quando è
stata adottato la legge sul procedimento amministrativo, però, le cose sono
cambiate perché tutto il procedimento amministrativo ha acquisito rilevanza
giuridica perché ha consentito al cittadino singolo di partecipare al procedimento,
esprimere il suo punto di vista e l’amministrazione ha l’obbligo di prenderlo
in considerazione-.
Dal punto di vista giuridico quando parliamo di procedimento amministrativo
facciamo riferimento a 3 principali concezioni:
- Concezione formale del procedimento amministrativo: concatenazione di
atti giuridici precedenti e successivi che sono coordinati tra loro in una
serie preordinata e sono finalizzati all’emanazione di un effetto giuridico
finale che viene conseguito mediante un atto espresso finale. Nella
concezione formale si sottolinea che l’unico atto produttivo di effetti
giuridici è l’atto terminale del procedimento, e tutti gli atti precedenti

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se viziati trasmettono il vizio all’atto successivo. Questa è una


concezione che da un certo punto in avanti è stata abbandonata.
- Concezione funzionale del procedimento amministrativo: il procedimento è
lo strumento della funzione amministrativa e la funzione è ciò che
forma un potere in un atto giuridico. Nel corso dello svolgimento de
procedimento il privato può avvantaggiarsi ed essere garantito di una
serie di prerogative di partecipazione al procedimento in modo da
concorrere a definire il contenuto del provvedimento finale.
- Concezione para giurisdizionale: il procedimento dal punto di vista teorico si
caratterizza perché replica le stesse caratteristiche che si verificano
nell’ambito del processo (il privato può intervenire in forma scritta).
Principi del procedimento amministrativo:
1. Imparzialità
2. Buon andamento
3. Pubblicità e trasparenza
4. Ottemperanza dei principi previsti nel diritto europeo: proporzionalità, buona
fede e trasparenza
Un’applicazione del principio di trasparenza riguarda l’obbligo di
motivazione: si prevede che tutti i provvedimenti amministrativi conclusivi del
procedimento debbano essere adeguatamente motivati. La motivazione deve
indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la
decisione dell’amministrazione. L’unica eccezione prevista riguarda gli atti
normativi e gli atti a contenuto generale: per gli atti normativi la ratio è quella
di esonerare l’amministrazione da un obbligo di motivazione perché i
destinatari sono multipli e si ritiene svolto l’obbligo nel contenuto della legge;
per quanto riguarda gli atti a contenuto generale, essi sono per esempio i
procedimenti di pianificazione dove generalmente c’è una partecipazione
consentita ai cittadini secondo regole specifiche e ci sono quindi motivazioni in
quella sede che sono specifiche all’adozione dell’atto pianificatorio. L’ultima
regola stabilita sulla motivazione è quello di rendere la motivazione nel caso di
motivazione per relationem: in alcuni casi può capitare che la PA adotti un
provvedimento amministrativo e lo motivi con riferimento a un altro atto
amministrativo, quindi non spiega le motivazioni: se la motivazione è fatta
attraverso il richiamo a un altro atto, bisogna allegare all’atto anche l’atto in
cui è rinvenibile la motivazione.

Fasi del procedimento:


1) Iniziativa: può essere avviata non solo d’ufficio (da parte della PA), ma
anche da privati perché non tutti i procedimenti sono finalizzati a
conseguire un interesse privato, ma anche personale.
2) Istruttoria: viene individuata per legge l’unità organizzativa
responsabile del procedimento e dell’adozione dell’atto finale. In alcuni
casi possono coincidere e nell’istruttoria si individua il funzionario
preposto: persona fisica che nell’ufficio ha la responsabilità dell’istruttoria
la deve curare e deve verificare le condizioni di ammissibilità, i
presupposti rilevanti per l’adozione del provvedimento, raccogliere
tutti gli atti necessari… deve acquisire tutti i pareri entro 20 giorni, in caso
non gli bastassero può disporre una sospensione del procedimento che
deve essere a termine.
3) Partecipazione al procedimento: una volta avviata l’istruttoria il RUP deve
dare la comunicazione di avvio al procedimento a 3 tipologie di
soggetti: 1) soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è
destinato a produrre effetti diretti; 2) a quelli che per legge devono
intervenirvi; 3) ai soggetti diversi dai diretti destinatari individuati o
facilmente individuabili. Queste 3 tipologie hanno diritto di intervenire

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nel procedimento, e oltre a loro anche chiunque atro portatore di un


interesse pubblico o privato a cui il provvedimento finale può recare
pregiudizio. L’amministrazione una volta che ha recepito le memorie
scritte deve valutarle prima di adottare il provvedimento finale.
4) Decisione finale: entro 30 giorni deve essere adottato il provvedimento
finale, che deve essere espresso e motivato. Questo è un atto unilaterale
che di per sé è valido ed efficace, non necessita di altre condizioni per
esplicare la propria efficacia ed è caratterizzato dall’imperatività perché la
PA esercita un potere che produce degli effetti giuridici a prescindere
dalla volontà del destinatario. Gli effetti giuridici possono essere di tipo
ampliativo, o restrittivo. Inoltre, è caratterizzato dalla tipicità e
esecutorietà: la PA può portare ad esecuzione forzata un atto senza dover
ricorrere a un giudice e anche da inoppugnabilità: sono impugnabili ma con
un termine di 60 giorni, trascorsi i quali il provvedimento non è più
impugnabile e il privato non può più ricevere tutela. Nel caso in cui ciò non
avvenga è concesso esercitare il potere sostitutivo superiore.
Ci sono altre modalità di conclusione del procedimento amministrativo,
che può concludersi con 3 diverse modalità: 1) provvedimento espresso e
motivato; 2) silenzio (solo per i casi previsti dalla legge), ha diversi
significati: può essere silenzio assenso o rigetto; 3) accordi amministrativi
pubblico-privato (accordi di diritto pubblico che possono essere di 2 tipi:
integrativi o sostitutivi del procedimento), accade spesso in materia di
pianificazione urbanistica; le caratteristiche di questi accordi pubblico-privato:
forma scritta, si applicano i principi generali in materia di contratti, può
esserci un recesso unilaterale da parte dell’amministrazione che però
deve corrispondere un indennizzo, rientrano nella giurisdizione del
giudice amministrativo.

Elementi che caratterizzano l’atto amministrativo:


- Soggetto: organo titolare del potere amministrativo
- Oggetto: oggetto determinabile su cui si producono gli effetti dell’atto
(determinato o determinabile)
- Causa: interesse tutelato
- Forma
- Motivazione
Quando si vengono ad alterare questi elementi o risultano viziati, si vengono a
determinare le cause di invalidità dell’atto amministrativo.

Cause di invalidità dell’atto amministrativo:


Possono essere 2:
1) Nullità (art.21 legge 241), sanzione più radicale che ci può essere. Abbiamo
nullità quando ricorrono 4 ipotesi:
-mancano gli elementi essenziali: se manca uno degli elementi essenziali si
può addirittura parlare di inesistenza dell’atto.
-è viziato da un difetto assoluto di attribuzione: si ha incompetenza
assoluta quando un atto ammnistrativa viene adottato da un’autorità che non
appartiene al potere amministrativo.
-è adottato in violazione o elusione del giudicato: sentenza non più
impugnabile
-nei casi che sono espressamente previsti dalla legge
La caratteristica della nullità è che può essere eccepita da chiunque ne
abbia interesse. Ha un effetto insanabile: un atto nullo non può essere
sanato.
2) Annullabilità: le cause di annullabilità ricorrono quando ci sono vizi di
legittimità:

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-vizio di incompetenza: l’atto è emanato da un organo cui non era attribuito


quel determinato potere. Questo tipo di incompetenza è relativa perché l’organo
in questione fa comunque parte di quel potere.
-vizio di violazione di legge: nel caso in cui ci sia una mancata
applicazione di una norma di legge che avrebbe dovuto essere applicata
inderogabilmente, oppure mel caso in cui ci sia falsa applicazione; quindi, la
PA applica una norma piuttosto che un’altra.
-vizio dell’eccesso di potere: vizio che attiene ai precetti di logica,
imparzialità, ragionevolezza e proporzionalità e nasce in giurisprudenza
prima in Francia e poi viene elaborato in Italia già alla fine dell’800. Vizio che
tende a censurare l’esercizio di un potere amministrativo che svia dalla
causa tipica (finalità che deve perseguire), ci sono una serie di figure
sintomatiche che rappresentano i sintomi di illegittimità dell’esercizio del
potere e in presenza delle quali il giudice può ritenere che la PA abbia posto in
essere un eccesso di potere. Queste figure sintomatiche sono: lo
straripamento di potere; lo sviamento dalla causa tipica; aver
esercitato il potere con illogicità o travisando i fatti oppure in maniera
contraddittoria con precedenti manifestazioni di volontà in cui il potere
è stato esercitato in maniera diversa.
In presenza delle cause di annullabilità, il cittadino può fare ricorso, in
primo luogo, al tribunale amministrativo regionale richiedendo al
giudice amministrativo l’annullamento del provvedimento. Prima che
venga richiesto l’annullamento, se l’amministrazione è consapevole di aver
posto in essere un provvedimento amministrativo viziato, la PA può agire in
auto-tutela: attraverso la revoca del provvedimento o attraverso
annullamento d’ufficio o attraverso sanatoria (sanando con strumenti
correttivi).

Forme di tutela contro l’attività amministrativa illegittima


Due tipi generali:
1. Ricorsi amministrativi: rivolti all’amministrazione. Hanno la finalità di
ottenere o l’annullamento o il riesame del provvedimento.
Sono di 3 tipi:
-ricorso in opposizione: viene indirizzato allo stesso organo che ha emanato
l’atto. Ha un carattere tassativo, è un rimedio previsto elle ipotesi indicate
dalla legge. Difficilmente trova fortuna.
-ricorso gerarchico: viene indirizzato all’organo sovraordinato rispetto a quello
che ha emanato l’atto e viene deciso in un’unica istanza entro 30 giorni e
può riguardare sia motivi di merito, che di legittimità. Rimedio che
possiamo definire generale, perché può essere sempre azionato dal privato.
-ricorso straordinario al Presidente della Repubblica: si chiama così perché
il provvedimento finale viene adottato col decreto del Presidente della
Repubblica, che recepisce un parere dal Consiglio di Stato che ha natura
decisoria. Le caratteristiche sono che anche questo è un rimedio generale,
quindi si può sempre ricorrere, ma solo per motivi di legittimità e non di
merito. Ha un termine molto ampio per poter essere azionato: 120
giorni. Molto spesso viene utilizzato proprio perché ha termine ampio di
impugnazione. Il lato negativo è che viene deciso in grado unico, non c’è
appello.
2. Ricorsi nei confronti dell’autorità giudiziaria: il privato può agire o
davanti al giudice amministrativo o davanti al giudice ordinario. Il
criterio generale di scelta è quello della lesione della posizione
giuridica soggettiva: si va davanti al giudice amministrativo in tutti i casi
in cui il privato lamenti la lesione di un interesse legittimo (posizione
giuridica soggettiva sostanziale che viene riconosciuta a un soggetto da un

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provvedimento amministrativo. Consiste nell’attribuzione di poteri al privato che


siano idonei ad influire sul corretto esercizio del potere); si va davanti al
giudice ordinario quando il privato lamenti la lesione di un proprio
diritto soggettivo da parte della PA. Quindi il privato che si ritiene leso nei
propri diritti soggettivi può sempre agire davanti al giudice ordinario, che non
potrà mai annullare l’atto amministrativo ma solo disapplicarlo. Al
contrario, chi ritiene di essere leso nei propri interessi legittimi, può promuovere
azione davanti al giudice amministrativo e può agire per l’annullamento
del procedimento amministrativo e anche per il risarcimento del danno.
La giurisdizione amministrativa si distingue in: generale di legittimità
(spetta al giudice amministrativo); giurisdizione esclusiva (casi tassativi in
cui il privato si ritiene leso sia del diritto soggettivo che di quello legittimo);
giurisdizione di merito (ipotesi eccezionali per cui il giudice amministrativo
può sostituirsi all’amministrazione).

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