Sei sulla pagina 1di 40

Appunti diritto degli enti no profit

La riforma del Terzo Settore

La riforma non ha modificato i soggetti, non ne ha introdotti nemmeno di nuovi. La riforma del terzo settore
ha riconosciuto i soggetti giuridici. Questa riforma è figlia della tradizione giuridica di welfare del nostro
sistema, amplifica e dilata lo spettro d’azione degli enti del terzo settore. La storia italiana è tutta
caratterizzata da una presenza significativa e radicata di aggregazioni “non profit”, già nel Medioevo,
numerose erano le opere e le congregazioni di carità, organizzazioni non profit anti litteram. A partire dal
1600, la progressiva affermazione delle dottrine giusnaturalistiche ed illuministiche contribuì ad introdurre
sospetti e ostilità nei confronti delle congregazioni e ordini religiosi e di tutte le opere che non perseguivano
uno scopo di lucro, il Code Napoleon (Codice civile francese) non faceva alcun riferimento al fenomeno
associativo. Da questa impostazione discendeva che le organizzazioni che non perseguivano uno scopo
lucrativo venivano considerate estranee alle dinamiche produttive e, conseguentemente, furono dapprima
osteggiate e, in seguito, assorbite dall’Amministrazione statale. In Italia invece dopo l’Unificazione, il
Parlamento promulgò la l. 3 agosto 1862 n.753 sulle Opere Pie, l’obiettivo fu quello di sottrarre le opere pie
(organizzazioni volontarie con scopi caritatevoli) all’ingerenza governativa. Questa legge può essere
considerata la prima legge sul non profit in Italia. Successivamente all’approvazione di tale legge, tuttavia si
diffuse nella classe politica dell’Italia post-unitaria, una visione autoritaria e statalista delle istituzioni
pubbliche con l’obiettivo di assorbire la beneficenza privata in quella pubblica. Nel 1890 venne approvata la
legge Crispi che identificò il termine pubblico con il termine statale associando gli enti non profit agli enti
pubblici (tutto doveva essere pubblico). Nel 1948 con la costituzione italiana art 38 ultimo comma è in
contrasto totale con la legge del 1890 perché ci dice che l’assistenza privata è libera, è un comparto dove
possono esserci anche altri soggetti (soggetti non profit) e non soltanto il pubblico, ovvero non possono
esserci solamente gli enti pubblici a erogare welfare ma anche enti del terzo settore. La corte costituzione
del 1988 ha sancito che la legge Crispi non può più stare in piedi perché è in contrasto con l’art 38 della
costituzione.

Il Codice del terzo settore (CTS) favorisce l’apporto degli ETS per il perseguimento di finalità civiche,
solidaristiche e di utilità sociale, anche mediante forme di collaborazione con lo Stato, le Regioni, le
Province autonome e gli enti locali. Si tratta di un cambio di rotta molto importante rispetto al passato: ciò
che rileva è lo scopo cui quelle attività devono essere finalizzate e non le attività per sé. Le finalità di
pubblica utilità individuate nel CTS, in quanto meritevoli di tutela giuridica, giustificano e legittimano le
forme di incentivazione e di sostegno, ivi incluse quelle di natura fiscale. Tale riforma valorizza sia gli ETS
che esercitano attività imprenditoriale sia quelli che svolgono attività di advocacy (supporto e promozione).
Infatti, mentre il Codice civile non ha previsto la possibilità per le organizzazioni non lucrative di svolgere
attività economico-imprenditoriali, poiché quest’ultime dovevano essere esclusive delle società
commerciali , il CTS, al contrario, ha riconosciuto agli ETS la piena legittimità di svolgere attività economico-
imprenditoriali per conseguire le finalità di pubblico interesse che la RTS contempla, tale attività può anche
risultare prevalente ovvero far qualificare l’ETS come impresa sociale. L’obiettivo di questa riforma è che gli
ETS siano protagonisti del sistema di welfare. Prima della riforma non c’era una definizione unitaria di Terzo
Settore.

Il Codice del terzo settore vuole riportare in un unico testo formativo le varie riforme sparpagliate in altre
riforme, contiene tutte le disposizioni che riguardano il Terzo settore, ciò è importante per la certezza del
diritto, perché io devo avere la cornice chiara entro la quale operare.
Che tipo di regolazione è?

La riforma del TS è un intervento normativo di natura regolatoria

Che tipo di regolazione è: vincolistica oppure un enabling legal framework?

Regolazione vincolistica (impone divieti/requisiti) : esempio zone ztl

E’ Enabling legal framework

Gerarchia delle fonti: Gerarchia delle fonti: norme specifiche per categoria giuridica (come ad esempio la
legge 381 sulle cooperative sociali), disciplina del CTS e infine norme del Codice civile

Definizione Enti del Terzo settore e Leps (Livelli essenziali di prestazione sociali)

Gli ETS sono soggetti di diritto privato che perseguono senza scopo di lucro una finalità di interesse
generale anche attraverso lo svolgimento di attività imprenditoriale, spesso in collaborazione con gli enti
pubblici, essi collaborano con gli enti pubblici ad una missione costituzionale: assicurare la fruizione dei
livelli essenziali delle prestazioni civili e sociali, così contribuendo ad innalzare le garanzie per i cittadini,
specie quelli più deboli. Regioni e comuni assicurano l’assistenza sanitaria e sociale: i Leps (Livelli Essenziali
delle Prestazioni Sociali, è l’unico obbligo rimasto in capo allo Stato centrale. Art. 117 c.2 lett. M della
Costituzione. Quella lettera stabilisce che è competenza, funzione dello stato assicurare sul territorio
uniformi e universali livelli essenziali di prestazioni sociali) sono obiettivi di servizio. Il ruolo degli ETS è
tanto importante perché arriva a coprire i livelli essenziali delle prestazioni sociali. In passato, il
soddisfacimento degli interessi generali avveniva attraverso l’assunzione della titolarità del servizio in capo
alle istituzioni pubbliche, le quali provvedevano alla gestione e erogazione dei servizi direttamente. In
epoca moderna, al contrario, le istituzioni pubbliche, e in specie gli enti locali, hanno incrementato la loro
funzione di controllo e di supervisione di un sistema pluralistico di soggetti erogatori. La riforma del Terzo
Settore può infatti contribuire a rafforzare l’azione delle forme giuridico-organizzative non profit nella
gestione e nell’erogazione dei servizi di interesse generale. Oggi, gli ETS sono direttamente impiegati
nell’organizzazione ed erogazione di servizi sociali di interesse generale a favore delle comunità locali.

Il valore della riforma

La riforma del Terzo settore riconosce e definisce T.S nella sua terzietà (originalità e autonomia).

Riconosce il valore e la funzione degli ETS, gli enti pubblici hanno una spinta nel valorizzare il ruolo del terzo
settore (che pre-esiste)

L'originalità del terzo settore si vede in particolare nei rapporti con PA: l'ente esiste a prescindere dal suo
riconoscimento dalla PA. Quando la PA si rapportano con gli organismi del terzo settore, lo fanno in modo
collaborativo/di affidamento a soggetti che già esistono.

Dilata lo spettro dell’imprenditorialità, riconosce la possibilità che gli enti del terzo settore svolgano attività
produttive (economico/imprenditoriali), anche in prevalente (ovvero qualificando l’ETS come impresa
sociale)

Dilata lo spettro dell’azione pubblica, valorizza l’azione dell’ente pubblico sottolineandone alcuni aspetti
diversi dal passato, ad esempio non è più l’ente pubblico produttore di servizi pubblici a livello totale bensì
adesso ha la funzione di coordinatore (costruire un piano di zona richiede professionalità ed esperienza
elevata) e finanziatore di tali servizi. In passato l’ente pubblico organizzava, produceva e offriva il servizio.
Riconosce il valore contributivo della società civile, la capacità di coprodurre e ad innovare da un punto di
vista sociale (es. tantissime attività durante il lockdown sono state create dalle organizzazioni non profit), in
altre parole permettere ai cittadini di essere maggiormente coinvolti, anche nei processi decisionali
pubblici.

Principi generali, ETS e attività di interesse generale

1. Riconoscimento valore e funzione sociale degli ETS


2. Perseguire finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale (riconoscimento della funzione
produttiva di queste organizzazioni, produce un servizio che la pubblica amministrazione o gli utenti
acquistano, ciò non esclude la presenza di volontari all’interno dell’organizzazione)
3. Collaborare con la pubblica amministrazione (finalmente l’ente del terzo settore è considerato un
partner, co-progettare e co-programmare gli enti del Terzo settore, PA e ETS si trovano sullo stesso
piano, non siamo in una piramide in cui la PA è collocata in alto e gli ETS stanno alle sue regole, la
risposta alle esigenze deve scaturire da una collaborazione tra ETS e P.A)
4. Chi può e chi non può essere ETS (tutti gli enti del TS sono enti no profit ma tutti gli enti no profit
non sono enti del TS, come ad esempio i partiti o i sindacati)
5. Art. 5: elenco delle attività di interesse generale (la RTS ha riconosciuto 28 aree di quasi monopolio
per gli ETS, ciò però non esclude del tutto la presenza in questi settori di altre società)

Con la co-progettazione e co-programmazione non c’è un finanziamento (corrispettivo), massimo ci può


essere un rimborso

Le “componenti” della riforma del Terzo settore

Legge delega n.106/2016 (RTS)

D.lgs n.112/2017: impresa sociale

D.lgs n.117/2017: Codice del Terzo settore (CTS).

Attività diverse, raccolta fondi e destinazione del patrimonio

Accanto alle attività dell’art 5 la RTS ammette anche attività diverse, ovvero attività funzionali alla
realizzazione dello scopo principale, un esempio può essere la raccolta fondi. Il patrimonio che l’ETS
raccoglie non potrà mai essere distolto dalle finalità statuarie. Allo scioglimento: patrimonio devoluto ad
altri ETS o FIS (ovviamente deve esserci un controllo del nuovo ETS per verificare se le sue attività possono
essere ricondotte all’art 5, ciò dovrebbe essere facile una volta operativo il RUNTS)

Iscrizione, denominazione sociale e scritture contabili

Iscrizione ETS nel registro unico nazionale

ETS che svolgono attività imprenditoriale prevalente devono essere iscritte nel Registro delle imprese

Obbligo di scritture contabili (ad esempio bilancio) e loro deposito presso il Runts.

ETS con più di 1 milione di euro di ricavi c’è anche l’obbligo di redigere il bilancio sociale
ETS con ricavi superiori a 100.000 euro hanno l’obbligo di pubblicare nel proprio sito internet gli
emolumenti (retribuzioni) ai membri del CdA e di controllo, ai dirigenti e agli associati. (obbligo di
trasparenza esattamente al pari di qualsiasi altra realtà, ad esempio le società pubbliche)

Altri adempimenti, lavoro negli ETS e volontariato

Libro associati

Verbali adunanze dell’assemblea e dell’organo direttivo

Accesso agli atti (diritto riconosciuto dai cittadini che permette a tutti i cittadini di ottenere informazioni
dalla pubblica amministrazione che non sarebbero in grado di ottenere, questo accesso agli atti è riferibile
anche alle associazioni)

Lavoratori degli ETS: trattamento economico e normativo non inferiore ai CCNL (il contratto collettivo
nazionale di lavoro)

Si alla presenza di volontari negli ETS: iscritti in apposito registro e assicurati

Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS)

"Il registro unico nazionale del terzo settore (Runts) serve a dare pubblicità dell’esistenza di un ente di terzo
settore (Ets) e di alcuni dati fondamentali riguardanti la sua struttura e attività. Non c’è un obbligo di
iscrizione al RUNTS. Esso ha quindi una funzione di trasparenza, il RUNTS ha una funzione di monitoraggio
per portare più trasparenza a chi vuole informazioni sulle associazioni iscritte.

E’ istituito presso il Ministero del lavoro e politiche sociali, è gestito su base territoriale in collaborazione
con le Regioni e le province autonome, è composto da diverse sezioni (ad esempio ci potrà essere la
sezione Associazioni, fondazioni ecc) , bisogna iscriversi, il contenuto può essere visibile sui siti
dell’organizzazione in analisi, estinzione o scioglimento dell’ente viene riportata sul RUNTS, anche la
migrazione in altra sezione da parte dell’organizzazione. Un aspetto fondamentale è la revisione periodica
del Registro per vedere se l’ETS sta ancora operando e con quali modalità.

La RTS ha voluto introdurre una normativa a doppio binario, fino all’operatività del RUNTS continuano ad
applicarsi le norme previgenti, si applica infatti la normativa relativa ai singoli albi speciali.

L’iscrizione al RUNTS prevede, da un lato, il riconoscimento di agevolazioni di varia natura (ad esempio di
natura fiscale, come il 5x1000) e, dall’altro, l’adempimento di una serie di obblighi. Tra questi si ricordano la
tenuta di libri sociali e contabili, la redazione dei rendiconti secondo regole predefinite e il deposito
obbligatorio degli stessi presso il Runts, la necessità di nomina di organi di controllo o di revisione oltre certi
limiti dimensionali e la pubblicazione sui siti dell’ente delle retribuzioni erogati agli associati. Questo è stato
voluto dal legislatore per rendere l’azione, le attività e gli interventi degli ETS più trasparenti e accessibili da
parte di tutti i soggetti interessati.

Una volta modificati gli statuti secondo le disposizioni contenute nel CTS, le organizzazioni non profit
richiedono l’iscrizione nel Runts: una volta ottenuta l’iscrizione, esse ottengono la qualifica giuridica di ETS.

Il codice del Terzo settore riconosce la pluralità di forme giuridiche. Non essendo iscritti nel Runts saremo
sottoposti a meno obblighi, come ad esempio il non depositare il bilancio nel Runts. Inoltre non essendo
parte al Runts non potremmo avere agevolazioni fiscali e saremo disciplinati dal Codice civile e non dal CTS.
Se ad esempio decidiamo di non iscrivere la nostra associazione al registro unico del Terzo settore, a quel
punto essa verrà regolata non dal CTS bensì dal Codice civile. Per essere qualificati ETS ai sensi della
riforma, l’organizzazione deve essere iscritta al RUNTS (Registro unico nazionale del terzo settore).
Il Runts non significa trasferire competenze dalle regioni al governo centrale, il Runts ha una valenza
nazionale auspicabile che si fonda sul rapporto tra regioni e governo centrale, la regione sarà sempre quella
che avrà la prima interfaccia con gli ETS.

Chi può e chi non può essere un ETS?

La definizione di Enti del terzo settore ricomprende le seguenti soggettività giuridiche, purchè risultino
iscritte nel Registro unico nazionale del Terzo settore (Runts):

- Associazioni, riconosciute e non riconosciute, che possono assumere la qualifica di odv o aps
- Fondazioni
- Società di mutuo soccorso
- Enti filantropici
- Imprese sociali, incluse le cooperative sociali
- Reti associative
- Altri enti di carattere privato diversi dalle società

Associazioni: rappresentano in termini quantitativi le realtà giuridiche non profit più diffuse, l’associazione
è un contratto pluripersonale tra due o più persone che si uniscono per realizzare uno scopo comune,
impiegando i mezzi patrimoniali ritenuti necessari al raggiungimento del medesimo scopo, nella base
associativa possono rientrare oltre alle persone fisiche anche le persone giuridiche, siano esse altri ETS
oppure società commerciali (lucrative).

Il consiglio direttivo può accettare oppure no la domanda di coloro che vogliono entrare, la riforma ha
introdotto un elemento di garanzia per gli associandi (coloro che fanno domanda per entrare
nell’associazione), grazie alla nuova riforma l’associando anche se viene rifiutato può fare ricorso e
ricorrere al voto dell’assemblea degli associati.

Le finalità dell’associazione sono mutualistiche, di scambio di beni e servizi, nell’associazione è presente il


principio democratico (una testa un voto), volontariato ( alcune associazioni sono chiamate organizzazioni
di volontariato ODV) le organizzazioni di volontariato o APS (associazione di promozione sociale) possono
esistere solo se la maggioranza dei proprio membri è composta da volontari, il volontario è colui che entra
nell’associazione operando per la collettività e può ottenere dall’associazione solo il rimborso delle spese. I
rimborsi hanno due caratteristiche, devono essere documentati e correlati all’attività svolta.

Come associazione posso pagare chi lavora nell’associazione, ad esempio i dipendenti o i collaboratori
retribuiti, l’associazione può assumere e può svolgere un’attività economica imprenditoriale finanche in
forma prevalente, come ad esempio le associazioni che offrono servizi (un servizio per essere tale qualcuno
lo deve pagare) o un’attività economicamente valutabile, quell’associazione produce un’attività che viene
pagata dall’utente o dalla pubblica amministrazione. Basterebbe una persona retribuita per far scattare
l’associazione come attività imprenditoriale. Una volta definita come attività imprenditoriale l’associazione
è obbligata a tutti gli obblighi delle imprese ordinarie. Es. il deposito del bilancio presso il registro delle
imprese. Se siamo in presenza di una ODV le associazioni devono avere in prevalenza volontari, se io invece
non sono ODV posso avere un certo numero di dipendenti, se invece ho in prevalenza lavoratori a quel
punto sarei più simile ad una cooperativa. Nell’associazione non ci mettiamo insieme per darci lavoro, bensì
per perseguire una finalità ideale, mentre nel contesto della cooperativa si.
In un’associazione ci sono delle responsabilità, essendo un contratto ha delle obbligazioni sociali (debiti
contratti in nome della società). Le associazioni possono essere riconosciute o non riconosciute:

- Associazioni riconosciute: un'autorità pubblica (statale o regionale) ha riconosciuto che quella


associazione ha la responsabilità patrimoniale perfetta. In caso di debiti non si risponde con il
patrimonio personale ma con quello associativo. La maggioranza delle associazioni che operano nel
nostro paese sono associazioni non riconosciute (fino ad epoca recente non erano attività
imprenditoriali, c’erano poche entrate e poche uscite, questo è il motivo per cui esse non erano
riconosciute, nelle associazioni non riconosciute manca l’autonomia patrimoniale perfetta, ovvero
eventuali obbligazioni sociali vengono accreditate alla singola persona che ha stipulato il contratto
e non all’intera associazione)

Al giorno d’oggi essendo nella maggior parte dei casi le associazioni attività economico imprenditoriali, è
consigliato essere associazioni riconosciute, perché nelle associazioni riconosciute alle obbligazioni sociali
(debiti) risponde unicamente il fondo/patrimonio comune ( e non la singola persona che ad esempio stipula
il contratto, questo avviene nelle associazioni non riconosciute).

Con la riforma del terzo settore c’è un’altra novità, fino a ieri la per quanto riguarda il riconoscimento c’era
molta discrezionalità (ovvero ogni regione poteva introdurre una soglia minima per diventare associazioni
riconosciute), grazie alla riforma invece si è introdotta una soglia minima (devo dimostrare di avere 15000
euro in deposito, mentre per le fondazioni 20000, si chiama riconoscimento normativo) con la quale
automaticamente ottengo la personalità giuridica diventando quindi un’associazione riconosciuta.

La governance delle associazioni:

Assemblea degli associati: è composta da tutti gli associati (in regola con il pagamento della quota
associativa, che non è obbligatoria, ma se prevista lo diventa. La quota associativa deve essere pagata un
po' prima dell’assemblea, perché sennò durante l’assemblea potrebbe essere che molte persone pagano la
quota associativa solo per avere il diritto di voto. La quota associativa deve essere pagata ogni anno),
esprime l’organo sovrano, attraverso il quale si esprime il principio democratico dei singoli associati ai
processi decisionali interni. L’art 25 CTS indica le competenze inderogabili dell’assemblea, tra le quali
rientrano l’approvazione delle linee di indirizzo generali dell’associazione, l’elezione degli organi sociali,
l’approvazione del bilancio d’esercizio, e talvolta se ci sono le condizioni anche del bilancio sociale

Se l'associato non paga la quota associativa decade il suo essere socio. Gli statuti devono istituire le cause
che portano a perdere la personalità di socio, queste possono essere: il recesso (decisione di lasciare
volontariamente l’associazione), il decesso, l’esclusione (ovvero il consiglio direttivo può richiedere
l’esclusione di alcuni soci se essi non rispettano le regole imposte nel contratto di adesione oppure per altre
cause)

Organo di amministrazione: eletto dall’assemblea ed è espressione della stessa. Tra i poteri assegnati
all’organo di amministrazione rientrano le attività relative ai rapporti di lavoro e a quelli di supervisione e di
vigilanza sull’operato dei volontari, tenendone un registro e provvedendo alla copertura assicurativa
obbligatoria. Inoltre è l’organo che si interfaccia con i creditori.

A questi due organi obbligatori la riforma ne ha aggiunto un altro, ovvero l’organo di controllo (se ricorrono
certi requisiti). Il revisore deve attestare la correttezza dei documenti contabili. Organo di controllo
obbligatorio se per due anni consecutivi sono superati due dei seguenti limiti: 1. Attivo patrimoniale
superiore a 110.000 euro; 2. Ricavi, vendite superiori a 220.00 euro; 3. Dipendenti occupati in media
durante l’esercizio: 5 unità (organo di controllo sempre obbligatorio nelle fondazioni)
Revisione legale dei conti: obbligatoria al ricorrere di talune condizioni. Oltre all’organo di controllo
certificano la bontà e la veridicità del bilancio. Accade anche per grandi società pubbliche e private,
soprattutto se quotate. Ciò che è tipico di imprese for profit diventa obbligatorio, al ricorrere di
determinate condizioni, anche per ETS (di grandi dimensioni, livello nazionale ed europeo)

Le associazioni si dividono in due grandi insiemi:

Organizzazioni di volontariato (ODV), Le ODV sono ETS in forma associativa finalizzati a svolgere attività di
interesse generale in favore di terzi avvalendosi in modo prevalente del volontariato dei propri associati.
esistono a partire dalla legge 266 del 1991, adesso con la RTS è stata abrogata. Esclusi i casi eccezionali, le
odv e aps attualmente iscritte all’elenco regionale delle organizzazioni di volontariato trasmigreranno nel
runts. L’elenco Regionale delle ODV NON ci sarà più: potremmo trovare tutte le ODV che operano a livello
regionale nel RUNTS in apposita sezione loro dedicata. NB! Molti pezzi della RTS riguardano il futuro,
entreranno in vigore una volta adottato il RUNTS

Le ODV sono ets , sotto forma di associazione, riconosciuta o non riconosciuta.

Costituzione: non meno di 7 persone fisiche o 3 organizzazioni di volontariato.

Svolgono in via prevalente una delle attività di interesse generale (delle 28 imposte dalla RTS) avvalendosi
in modo prevalente di volontari.

Si ai lavoratori retribuiti ma non possono essere più del 50% del numero dei volontari (il contrario di quanto
avviene nelle cooperative sociali). ODV possono avere anche personale retribuito

Gli amministratori non possono essere retribuiti, salvo il rimborso delle spese.

Devono indicare entrate come ad esempio quote associative, attività produttive/convenzioni con ente
pubblico, donazioni, raccolta fondi.

Le odv sono supportate dai centri di servizio per il volontariato (realtà composte da altri ets che hanno
come mission istituzionale quello di sostenere le organizzazioni non profit) e ONC (organismo nazionale di
controllo).

L’art 56 dispone che la P.A attivi il convenzionamento diretto con le OdV (e le ASP), iscritte da almeno sei
mesi nel Runts, soltanto se ciò è più favorevole rispetto al ricorso al mercato

Associazioni di promozione sociale (APS):

Sono ETS, in forma di associazione riconosciuta e non

Costituzione: idem per le ODV ( 7 soci persone fisiche o 3 soci che siano a loro volta APS). La base
associativa può essere costituita anche da altri ETS a condizione che sia specificato nell’atto costitutivo e
solo se il loro numero non sia superiore al 50% del numero delle APS.

Le APS svolgono le loro attività di interesse generale a favore dei propri associati (differenza tra aps e odv),
con volontari come ad esempio i circoli ARCI o frammenti, il beneficio è che non pagano le imposte

Esse di norma non fanno concorrenza sleale, ciò avviene soltanto se non sono correttamente gestite,
perché devono essere soci veri e non solo strumentali. Se l’associazione è gestita correttamente invece la
de-commercializzazione ha senso e non si tratta di concorrenza sleale. La seconda differenza è che nel caso
delle APS, in casi molto eccezionali, solo se necessario, anche gli associati possono essere lavoratori (al
contrario delle ODV). Alle APS possono essere concessi spazi pubblici per lo svolgimento delle loro attività.

Fondazioni:

La fondazione è un patrimonio destinato ad uno scopo di pubblica utilità. L’atto di fondazione è un atto di
disposizione patrimoniale, mediante il quale un privato (o un ente pubblico) si spoglia, in modo definitivo e
irrevocabile, della proprietà di beni che destina ad uno scopo di pubblica utilità. Tale patrimonio è gestito
da un consiglio di amministrazione, il consiglio di amministrazione viene nominato dal fondatore, oppure
può dare delle indicazioni sulla scelta dei membri da selezionare.

L’ente che supervisiona le fondazioni è l’ente pubblico (prefetture o regioni in caso non sia riconosciuta
quale ETS), oppure nel caso di fondazioni ETS le competenze riconosciute in capo a prefetture o regioni
vengono assegnate al Runts. La governance delle fondazioni di diritto comune è formata dal CDA (consiglio
di amministrazione) e dall’organo di revisione, quest’ultimo ha il compito di controllare il rispetto dello
statuto e l’operato degli amministratori, nonché la veridicità dei conti presentati dal CDA. Il CDA invece
gestisce il patrimonio, redige il bilancio, provvede ad assumere gli eventuali lavoratori dipendenti, approva i
regolamenti interni ecc. In aggiunta a questi organi gli statuti delle fondazioni comuni possono prevedere
l’istituzione di altri organi, quali ad esempio: il comitato tecnico-scientifico oppure l’assemblea dei
patroni/promotori.

La Fondazione può fare attività economico imprenditoriale (quindi possono partecipare alle gare d’appalto),
può organizzare volontariato e accettare volontari (grazie alla nuova riforma) tramite un registro di
volontari (che non sono soci e quindi non possono partecipare ovviamente al consiglio di amministrazione).
Le fondazioni possono anche ricevere donazioni.

Nelle fondazioni di partecipazione possono esserci più fondatori (più soggetti giuridici, tra i quali
possibilmente anche gli enti pubblici, organizzazioni private for profit e non profit che collaborano
aggregando i propri patrimoni e danno vita alla fondazione), le fondazioni di partecipazione che registrano
la presenza di enti locali non assumano la qualifica di enti pubblici. In questo tipo di fondazioni ci sarà
un’assemblea dei soci formata dai fondatori, i quali provvederanno ad eleggere il consiglio di
amministrazione. La dinamica è associativa perché abbiamo i soci che eleggono il consiglio di
amministrazione mentre nelle fondazioni tradizionali il fondatore sceglie il consiglio di amministrazione.
Nelle fondazioni di partecipazione invece i soci possono costituire un patrimonio, ogni anno quelli stessi
soci possono essere convocati dal consiglio di amministrazione per dare linfa (aggiungere denaro) al
patrimonio, sempre vincolato allo scopo della fondazione. Può succedere che in queste fondazioni alcuni
soci, mettendo una quota più alta, abbiano un potere maggiore nella scelta del CDA.

Associazioni e fondazioni: costituzione e patrimonio

Atto costitutivo e statuto contengono gli elementi essenziali richiesti dal RUNTS: finalità e attività

La personalità giuridica di ETS è ottenuta a seguito dell’iscrizione nel registro unico nazionale

Il patrimonio minimo per riconoscimento della personalità giuridica: 15.000 euro per le associazioni; 30.000
per le fondazioni.

Cooperative sociali

Le cooperative sociali sono regolate da normative speciali ( L.381/1991), tale normativa ha dato un impulso
importante alle cooperative sociali perché è intervenuta a favorire e a promuovere le cooperative sociali,
ha inteso riconoscere la cooperazione sociale quale formula giuridico-organizzativa che permette alle
cooperative tradizionali di svolgere funzioni di tipo sociale, superando i confini della mutualità interna. Le
cooperative sociali nascono come evoluzione storico organizzative di cooperative di produzione e lavoro,
nacque l’idea che le persone svantaggiate potessero trovare una piccola occupazione nei laboratori
protetti, ciò ha dato vita ad un fenomeno che ha portato al riconoscimento della cooperazione sociale,
quelle cooperative iniziarono ad avere un’influenza verso l’esterno grazie alle loro attività sociali e tali
attività sono state poi riconosciute grazie alla legge 381 nel nome di cooperative sociali. E’ l’unica formula
che permette alle persone con disabilità l’inserimento lavorativo (tranne la legge 68 del 1999 che obbliga
enti pubblici le imprese di grandi dimensioni a dare impiego ad un certo numero di persone con difficoltà).
La cooperativa sociale deve inserire nel mondo produttivo le persone svantaggiate attraverso anche
processi di formazione. Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della
comunità e l’integrazione sociale attraverso l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.

Novità introdotte dalla legge 381/1991

I soci di una cooperativa sociale non operano solo per il proprio vantaggio cooperativo (mutualistico) ma
operano anche per il conseguimento di una finalità di solidarietà, la seconda novità è che non ci sono
soltanto soci retribuiti (classico di una cooperativa) perché viene riconosciuto anche il lavoro non retribuito,
ovvero vengono riconosciuti i volontari. Questi volontari (soci) non percepiscono retribuzione ma al pari
degli altri soci partecipano al rischio di impresa, siamo pertanto di fronte a persone che offrono
disinteressatamente non solo il loro tempo, ma anche (seppure spesso in maniera limitata, in quanto
trattasi di quote di capitale sociale solitamente di dimensione modesta) i loro capitali. E' la prima volta che
viene inserito il volontariato in una forma d'impresa. Siccome lavorano, pur non essendo pagati, gli si
applicano tutte le norme previdenziali e di sicurezza che si applicano ai soci lavoratori. Differenza enorme
con i volontari delle associazioni. Il volontariato però partecipa alle assemblee e ha diritto di voto. Nelle
cooperative sociali la mutualità interna diventa mutualità esterna perché viene perseguita una finalità di
interesse generale.

Tipologie di cooperative sociali:

cooperative sociali di tipo A: gestiscono attività/servizi di carattere socio-sanitari ed educativi. Producono


un servizio che poi viene acquistato dalla pubblica amministrazione o dagli utenti.

cooperative di tipo B: possono svolgere qualsiasi tipo di attività purché inseriscano nel processo produttivo
persone svantaggiate (almeno il 30%).

Il ministero del Lavoro ha ammesso la possibilità che le cooperative sociali siano contemporaneamente di
tipo A e di tipo B, purchè il collegamento funzionale fra le attività di tipo A e di tipo B risulti chiaramente
indicato nello statuto sociale.

Categorie di soci nelle cooperative sociali

Soci volontari: operano in modo personale, gratuito, senza ricevere alcun compenso. Non possono essere
più del 50% dei soci, si applicano le norme in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali.

Soci lavoratori: ricevono utilità economiche a seguito dell’attività svolta nella cooperativa.
Soci utenti: beneficiano dell’attività della cooperativa (ad esempio gli ospiti delle case di cura)

TUTTI I SOCI PARTECIPANO AL RISCHIO D’IMPRESA

Queste tre categorie di soci partecipano all’assemblea (anche in queste assemblee vale il principio one
head one vote) e al consiglio di amministrazione, ogni categoria avrà i propri interessi, per questo possono
entrare in conflitto. E’ molto difficile gestire cooperative sociali.

Volontari non soci sono ammessi

Sono ammessi anche lavoratori non soci che, a differenza dei soci lavorativi, sono legati alla cooperativa
non dal contratto sociale ma da quello di lavoro (molte volte non vogliono essere soci perché non vogliono
assumersi il rischio d’impresa).

Favore legis Cooperative tipo B: lo Stato scarica le cooperative sociali di tipo B di tutti gli oneri contributivi
per favorire l’inserimento di persone svantaggiate.

Benchè le coop sociali di tipo B sono iscritte in appositi albi regionali, gli enti pubblici possono sottoscrivere
convenzioni direttamente con le coop sociali di tipo B senza passare dal mercato (massimo 40000 euro).
Questa scelta deve essere motivata. In questo caso posso scegliere io come ente pubblico a chi
sottoscrivere le convenzioni, nel caso di quote maggiori di 40000 euro si utilizzano gli appalti. Va ricordato
che anche negli affidamenti che riguardano le cooperative sociali di inserimento lavorativo (B) deve essere
rispettato il principio di rotazione. Il principio di rotazione può subire delle deroghe in ragione delle finalità
sociali cui l’affidamento dei servizi è vincolato:

- particolare natura del servizio offerto


- struttura del mercato di riferimento
- situazione di svantaggio in cui versano i beneficiari/utenti dello stesso

Infine, si segnala che il principio di rotazione non si applica alle “concessioni” spazi, esso si applica soltanto
in caso di affidamento ed esecuzione di lavori, servizi e forniture.

Sono regolate dalle fonti:

Codice civile

l. 381/1991

d. lgs. n. 112/2017

Organizzazioni non governative (ONG)

Le organizzazioni non governative sono, in larga parte e di norma, costituite nei paesi maggiormente
industrializzati per realizzare e gestire interventi e progetti di natura umanitaria nei Paesi in via di sviluppo.
Esse però non risultano più soltanto impegnate ad affrontare un’emergenza umanitaria, ma sono chiamate
a realizzare una articolata e complessa gamma di azioni e di servizi “a terra”, riconducibili all’assistenza
sanitaria dei migranti. L’espansione delle aree di azione delle ONG ha affermato la progressiva influenza
nell’erogazione di servizi socio-sanitari. Da ciò consegue che le ONG possono essere coinvolte dalle autorità
nazionali ed internazionali nell’organizzazione, nella gestione e nell’erogazione di servizi socio-sanitari.
Nello svolgimento delle loro attività le ONG devono confrontarsi con le normative dei singoli stati membri.
Le ONG di norma si costituiscono in forma di associazione o fondazione, esse, oltre alla presenza di
volontari, provenienti dalle comunità locali in cui esse originano, possono assumere personale dipendente
e gestire attività economico-imprenditoriali per la realizzazione delle loro finalità statuarie. La loro azione
deve essere tuttavia caratterizzata dal vincolo di non distribuzione degli utili eventualmente conseguiti, i
quali devono essere obbligatoriamente reinvestiti nelle attività statuarie. Le ONG devono ottenere uno
specifico riconoscimento di idoneità concesso dal Ministero degli Affari Esteri, questo titolo permette alle
ONG di essere collocate nel sistema italiano di cooperazione allo sviluppo, stabilire rapporti preferenziali
con gli enti pubblici (che ricomprendono la concessione di contributi) e accedere ad una serie di
agevolazioni fiscali. Tale autorizzazione concede alle ONG la libertà di operare, a condizione che: a)
perseguano uno scopo non lucrativo; b) non distribuiscano alcun profitto tra i loro membri; c) si avvalgano
di un professionista; d) presentino un bilancio annuale; e) si impegnino a presentare al Ministero degli
Esteri un rapporto specifico sulla loro attività; f) accettino la supervisione e le ispezioni da parte di
funzionari.

Insieme alle autorità sanitarie nazionali e locali, e spesso in partenariato con esse, le ONG sono oggi
chiamate a fornire servizi di assistenza sanitaria ai migranti, soprattutto irregolari, all'interno dei singoli
Stati membri in cui l'organizzazione è formalmente registrata.

Le ONG svolgono le loro attività in un ambiente sociale e politico che è caratterizzato da una crescente
domanda di immigrazione più severa che ha portato con sé anche un'accanita critica al coinvolgimento
delle ONG nelle attività di salvataggio dei migranti. Le ONG operano anche a fronte di un costante
diminuzione delle risorse pubbliche disponibili per i servizi sanitari, soprattutto a causa dell'austerità e delle
politiche fiscali.

La prima ONG nasce nel 1832 (The British and Foreign Anti Slavery Society), dopo la Conferenza di pace di
Parigi del 1919 che pose fine alla guerra mondiale Io, le ONG erano attive in una serie di questioni
internazionali, come ad esempio la protezione dell'ambiente e i diritti umani, compreso il diritto alla salute.

L. 49/1987: PRIMA LEGGE SULLE ONG IN ITALIA

- Alle ONG è stata riconosciuta la possibilità di disporre di volontari e di personale retribuito

- Legittimità di svolgimento di attività imprenditoriale per realizzare le proprie finalità statutarie

- Richiesta idoneità da parte del Ministero Affari Esteri.

Nel 2005, la Commissione Europea ha proposto di definire un approccio equilibrato alla gestione della
migrazione sviluppando una politica comune di immigrazione che affronti la migrazione legale a livello
dell'Unione. Tuttavia, dato il regime di responsabilità all'interno del quadro giuridico europeo, la
Commissione ha dichiarato che la questione relativa alle modalità e alla misura in cui i migranti hanno
diritto ai servizi sanitari resta di competenza dei singoli governi. Negli ultimi due anni, l'Europa è stata
testimone del maggior afflusso di rifugiati e richiedenti asilo dalla seconda guerra mondiale. Un fenomeno
sociale così tremendo non poteva che travolgere le autorità nazionali, superare il sistema di decentramento
del potere dell'UE e alla fine richiedere soluzioni internazionali e transnazionali. In primo luogo, queste
risposte affrontano la questione dei diritti fondamentali dei migranti, come il diritto alla salute, tra gli altri, e
le modalità concrete con cui questo diritto deve essere applicato. In virtù di queste caratteristiche, le ONG
hanno ampiamente beneficiato dei finanziamenti dell'UE, essendo così coinvolte in molte politiche
comunitarie. A livello comunitario, il primo documento ufficiale che riconosce il ruolo delle ONG e
l'importanza della loro cooperazione con le istituzioni europee risale al 2000. Dal 2000, l'Unione europea ha
sviluppato un partenariato costante e crescente con le ONG, che si sono impegnate ad attuare le politiche
dell'UE, sia a livello nazionale che internazionale. In particolare, le ONG sono riconosciute come essenziali
per combattere la povertà, per affrontare le sfide della migrazione e per coordinare e sviluppare le reti della
società civile.
L. 125 dell’11 agosto 2014: DISCIPLINA GENERALE SULLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE PER LO
SVILUPPO

Nuova norma che non modifica l’assetto giuridico delle ONG, ma descrive la cornice istituzionale dentro le
quali le ONG operano.

Gli obiettivi fondamentali che la nuova legge intende perseguire al fine di rafforzare l’attività di
cooperazione internazionale del nostro Paese sono i seguenti:

a) sradicare la povertà e ridurre le disuguaglianze, migliorare le condizioni di vita delle popolazioni e


promuovere uno sviluppo sostenibile;

b) tutelare e affermare i diritti umani, la dignità dell'individuo, l'uguaglianza di genere, le pari


opportunità e i principi di democrazia e dello Stato di diritto;

c) prevenire i conflitti, sostenere i processi di pacificazione, di riconciliazione, di stabilizzazione post


conflitto, di consolidamento e rafforzamento delle istituzioni democratiche.

Tuttavia, l'aspetto più importante che il Regolamento n. 233/2014 e l'insieme delle politiche dell'UE
riguardanti le ONG sottolineano è il partenariato tra le ONG e le autorità sanitarie nazionali e locali. Di
conseguenza, nonostante la loro missione e visione internazionale, le ONG che forniscono servizi sanitari ai
migranti svolgono le loro attività a livello nazionale, regionale e locale. Ciò richiede che le ONG siano
consapevoli dell'organizzazione del sistema sanitario del paese in cui sono coinvolte, soprattutto per
quanto riguarda le modalità di erogazione dei servizi sanitari. Le ONG di solito svolgono servizi di assistenza
sanitaria attraverso accordi di partenariato piuttosto che sulla base di gare d'appalto pubbliche.

Le ONG sono quindi in grado di fornire servizi sanitari sia direttamente sia attraverso accordi di partenariato
con le autorità sanitarie locali. Il sistema giuridico italiano prevede un quadro normativo favorevole in cui le
ONG possono realizzare progetti innovativi e sperimentali in collaborazione con le autorità pubbliche.
Queste disposizioni consentono alle ONG di presentare le proprie proposte ai consigli comunali e alle
autorità sanitarie locali, che a loro volta, accettandole, possono decidere di sostenerle ed eventualmente
finanziarle.

Nel corso degli anni, questo ha anche introdotto nel sistema giuridico la creazione di partenariati pubblico-
privati tra le autorità sanitarie locali e le ONG per la fornitura di servizi sanitari. Quindi, sia che le
partnership con il pubblico autorizzato siano contrattuali o istituzionalizzate, le ONG diventano una parte
essenziale del sistema sanitario nazionale nel suo complesso. Questo ruolo essenziale delle ONG è stato
recentemente evidenziato dalle Linee guida sulla programmazione delle azioni di cura e riabilitazione a
favore dei migranti vulnerabili emanate dal governo italiano il 22 marzo 2017. Questo documento ufficiale
stabilisce le procedure e la metodologia per affrontare e i bisogni e i disturbi specifici dei migranti in
materia di salute, mentale e sociale.

Società di mutuo soccorso

Società di mutuo soccorso fanno parte del RUNTS, hanno lo scopo di assicurare ai soci un sussidio, in caso
di malattia, di impotenza lavorativa o vecchiaia e venire in aiuto alle famiglie dei soci defunti. Possono
offrire prestazioni socio-sanitarie (talvolta sono quelle che permettono a chi non ha soldi di accedere al
servizio sanitario, la sms è un ets che rivolge le attività soltanto ai propri associati (mutualità interna). In
aggiunta allo scopo sociale principale le società di mutuo soccorso possono cooperare all’educazione dei
soci e delle loro famiglie oppure dare aiuto agli stessi per l’acquisto degli attrezzi del loro mestiere, in
queste attività secondarie rientrano anche la concessione di prestiti a condizione di favore attraverso la
creazione di appositi fondi e convenzioni con istituti di credito. Prima del 1978 con l’istituto del servizio
sanitario nazionale, il servizio sanitario era organizzato su basi mutualistiche. Adesso queste società
integrano i servizi offerti dalla sanità pubblica (non è che la sostituiscono). I soci sono tenuti al versamento
di un contributo annuo predeterminato in funzione delle prestazioni sottoscritte e la somma dei contributi
di tutti costituisce il patrimonio di risorse da cui derivano le prestazioni destinate a sostenere il singolo
socio in situazioni di bisogno, sulla base di regole condivise. In alcuni territori non hanno niente da invidiare
alle assicurazioni tradizionali, le società di mutuo soccorso hanno bisogno di certe professionalità. Favor
fiscale riconosciuto dal legislatore: sono detraibili, nella misura del 19% dell’imposta lorda IRPEF (imposta
sul reddito delle persone fisiche), i contributi associativi di importo non superiore a 2,5 milioni di vecchie
lire versati dai soci alle società di mutuo soccorso. A differenza delle assicurazioni non c’è il rischio di
selezione avversa, i soci pagano in base alle prestazioni e non alla loro situazione di salute.

Gli enti religiosi

Agli enti religiosi civilmente riconosciuti (ovvero si sono iscritti nel registro delle persone giuridiche istituito
presso le prefetture) le norme del CTS si intendono applicate limitatamente allo svolgimento delle attività di
interesse generale descritte dall’art. 5, a condizione che per tali attività gli enti:1. adottino un regolamento
che recepisca le norme del CTS e sia depositato nel Runts, 2. Costituiscano un patrimonio destinato e
tengano le scritture contabili previste dal CTS, da ciò consegue che l’ente potrà segregare un patrimonio da
utilizzare per gestire una o più attività del Terzo settore, senza dover necessariamente procedere alla
costituzione di un nuovo soggetto giuridico.

Reti associative

Molte realtà associative aderiscono a realtà regionali le quali a loro volta possono aderire anche a realtà
nazionali o internazionali creando così delle vere e proprie reti. Un esempio di rete può essere ARCI o ACLI.
Il d.lgs n. 117/2017 riconosce quindi in via definitiva i cosiddetti enti federativi di secondo livello,
assegnando anche ad essi la qualifica di ETS ed imponendo per la loro costituzione la forma giuridica
associativa, riconosciuta o meno.

Le reti associative possono essere solamente associazioni, riconosciute e non che:

- associano, anche indirettamente, un numero non inferiore a 100 ETS o in alternativa almeno 20
fondazioni, le cui sedi legali siano presenti in almeno 5 province
- Reti associative nazionali: numero non inferiore a 500 ETS o almeno 100 fondazioni

Funzioni: Le prime possono svolgere attività di coordinamento, tutela, rappresentanza, promozione o


supporto in favore agli enti associati. Le seconde invece possono svolgere anche attività di monitoraggio
interno delle attività degli enti associati (affinché questi rispettino sempre le condizioni che sono state
definite all’ingresso e rendendo più trasparente l’azione degli ETS aderenti).

Le reti possono anche siglare protocolli d’intesa/partenariato con la P.A e con i soggetti privati, tale accordo
ricadrà a cascata anche sui singoli enti.

L’adesione alla rete è volontaria.

L’assemblea sarà costituita da persone fisiche rappresentanti dei vari ETS che partecipano alla rete.

La rete può svolgere delle attività per conto delle aderenti, può svolgere anche attività economico. Essa
infatti, essendo di grandi dimensioni, avrà un peso maggiore nelle contrattazioni con i contraenti.
Enti filantropici

Sono associazioni riconosciute o fondazioni che devono avere personalità giuridica per poter essere enti
filantropici.

Erogano denaro, beni e servizi a sostegno di persone svantaggiate o di attività di interesse generale (in
passato potevano finanziare anche ETS)

L’art 38 stabilisce che le risorse economiche degli enti filantropici possono derivare da: contributi pubblici e
privati, donazioni, lasciti testamentari, rendite patrimoniali e raccolta fondi.

Obbligo di bilancio sociale

Il trust per soggetti deboli

Da dove nasce questa esperienza? È anglosassone, sono quelle che gestiscono i college. Com’è costituito il
trust? È un negozio giuridico, Non è soggettivizzato il trust, mentre è soggettivizzato il trustee. Nel Trust C’è
un disponente (fondatore nella fondazione), che decide di destinare una quota del suo reddito a qualcun
altro, un fiduciario (trustee), affinchè utilizzi queste risorse, amministri, gestisca, a favore di un beneficiario.
Questa triangolazione può prevedere una sorta di guardiano, una persona che controlla il comportamento
del trustee, ovvero che il trustee amministri le risorse a favore dei beneficiari.

Qual è la grande differenze tra trust e fondazione? Il disponente, ricorrendo alcune condizioni, tra tutte la
morte del beneficiario con disponente ancora in vita, quei beni tornano nelle mani del disponente.
Differenza: nel trust il disponente può tornare in disponibilità della quota, la fondazione no
(tendenzialmente perpetuamente). Se si realizza lo scopo della fondazione non torna nelle mani del
fondatore, a chi va? A un soggetto similare. Siamo in una situazione diversa. Nel trust sono le condizioni che
indico nel negozio giuridico, a decidere la sorte del patrimonio messo a disposizione.

Chi non può entrare nel Runts e quindi non può essere ETS

Dagli ETS sono esclusi le pubbliche amministrazioni, le società private (non imprese sociali) partiti e
sindacati e altri enti non profit.

Fondazioni di origine bancaria

Impresa sociale

Il decreto legislativo 112/17 è uno dei decreti che discendono dalla legge delega 106 del 2016, la quale
identifica l’impresa sociale quale contenitore giuridico in cui si conciliano finalità sociali, agire
imprenditoriale e coinvolgimento degli stakeholders. E’ un fenomeno che ha una grande diffusione a livello
europeo. La legge delega del 2016 ha voluto collegare le specificità dell’impresa sociale a sostegni
economici e misure fiscali, in grado di potenziare e sviluppare le potenzialità di intervento delle
organizzazioni non profit. L’impresa sociale non è una forma giuridica, non è un nuovo soggetto giuridico
bensì è una nozione giuridica, è un vestito che i vari ETS possono indossare.

Nel 2011 la Commissione europea ritiene che sia maturo il tempo di condividere con gli stati membri una
certa posizione, comunicazione della commissione europea del 25 ottobre 2011 “Iniziativa per
l’imprenditoria sociale. Costruire un ecosistema per promuovere le imprese sociali al centro dell’economia
e dell’innovazione sociale”, l’unione europea non fornisce una definizione secca di impresa sociale, bensì
fornisce alcune caratteristiche:
- le imprese sociali si caratterizzano per avere un obiettivo sociale connesso ad un’azione
imprenditoriale
- Gli utili siano principalmente reinvestiti nell’organizzazione
- Un assetto di governance democratico, la partecipazione dei portatori di interesse nei processi
decisionali, partecipazione della gestione (co-gestione).

Queste 3 caratteristiche sono identiche a quelle delle cooperative sociali, per questo le cooperative sociali
sono imprese sociali di diritto. Le finalità da esse perseguite e le modalità gestionali-organizzative
concretamente realizzate per conseguire quelle finalità sono ritenuti elementi sufficienti per identificare le
coop sociali come imprese sociali. La cooperativa sociale come è, è già un’impresa sociale. Il d.lgs 112 per le
coop sociali ha mantenuto in vita la legge 381, non l’ha abrogata.

I tratti essenziali da un punto di vista giuridico organizzativo delle imprese sociali:

- Devono essere organizzazioni private


- Senza scopo di lucro (possono distribuire una limitata quota di utili, non è un senza scopo di lucro in
assoluto)
- esercitano in via stabile e principale un’attività economica di produzione o di scambio di beni o di
servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale. E’ la produzione di beni e
servizi che caratterizza l’impresa sociale. La natura imprenditoriale delle imprese sociali permette
alle stesse di poter realizzare tutte le operazioni cui sono abilitate le società lucrative (fusione,
scissione, trasformazione).
- Deve prevedere attività di gestione responsabile e trasparente, attraverso il coinvolgimento attivo
dei portatori d’interesse. L’impresa sociale personifica un modello di governance detto
“shareholder democracy”. Si tratta di un modello in cui si ha la partecipazione e deliberazione
diretta da parte di tutti gli stakeholders. Gli statuti devono contemplare le modalità di
partecipazione dei lavoratori, degli utenti e degli altri portatori di interesse.
- In termini di governance interna, l’impresa sociale deve garantire che le cariche sociali siano
espressione dell’assemblea dei soci.
- In caso di cessazione dell'impresa, infine, il patrimonio residuo deve essere devoluto ad altri Enti
del Terzo Settore, costituiti ed operanti da almeno tre anni o a particolari Fondi previsti dall'articolo
16, comma 1 del D.lgs. 112/2017
- Obbligo di bilancio sociale

Cogestione: è previsto l’obbligo di coinvolgimento dei lavoratori e dei beneficiari, coinvolgimento si attua
nella consultazione o partecipazione di queste parti nel consiglio di amministrazione. Il coinvolgimento non
è facile da attuare, ad esempio nei casi in cui invece del CdA ci sia un amministratore unico (amministratore
delegato). Trattasi di incidenza fondamentale perché gli stakeholders sono posti in grado di influenzare le
decisioni dell’impresa, mediante forme di consultazione stabili. La partecipazione di diversi portatori
d’interesse appare orientata a rendere le imprese sociali organizzazioni in cui il principio democratico,
tipico dell’agire associativo (es. OdV), si deve conciliare con la tutela delle condizioni di lavoro e con la
ricerca della migliore qualità dei beni e servizi prodotti. La partecipazione è una caratteristica che non tutte
le attività non profit hanno (ad esempio le fondazioni, perché non ci sono assemblee). Come fanno le
fondazioni a diventare imprese sociali? Attraverso la partecipazione di chi?

Società benefit, società con fini di lucro che dedicano parte degli utili (ad esempio il 2%) ad obiettivi sociali,
queste società però non sono imprese sociali.
Chi può essere I.S.?

- Organizzazioni del libro I del codice civile (associazioni e fondazioni)


- Società del libro V del codice civile (comprese le società di persone), ad esempio la srl può
assumere la veste di impresa sociale sotto il profilo giuridico (deve perseguire un’attività di
interesse generale, coinvolgere i dipendenti e i portatori d’interessi, totale o parziale vincolo di
distribuzione degli utili). Inoltre, l’impresa sociale consente alla P.A e alle imprese private di
partecipare al capitale sociale.
- Cooperative sociali e loro consorzi sono I.S. di diritto

Condizione: esercizio in via stabile e principale di un’attività economica organizzata al fine della produzione
e dello scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale,
partecipazione portatori d’interesse e senza scopo di lucro. Impiegando al meglio la struttura non lucrativa
dell’impresa sociale e agendo sul contenimento dei costi, le imprese sociali potranno offrire i beni e servizi
in oggetto a prezzi maggiormente sostenibili dai cittadini, in particolare quelli meno abbienti.

Chi non può essere I.S.?

- Pubblica amministrazione non è un’impresa sociale (anche se può essere socia di un’impresa
sociale, ovvero possono partecipare al capitale sociale)
- Società con un unico socio
- Organizzazioni la cui attività è rivolta soltanto ai soci (ad esempio aps o società di mutuo soccorso)
- Fondazioni bancarie perché la loro attività si caratterizza per essere grant-making, ossia di
finanziamento a progetti e programmi. Una simile attività non presenta dunque i caratteri
dell’impresa, atteso che le fondazioni bancarie non producono né tantomeno erogano beni e servizi
destinati al mercato.

Tutte queste attività per prendere il titolo di impresa sociale devono rispettarne le regole che la
caratterizzano. Un esempio, qualora l’srl decida diventare impresa sociale dovrà rispettarne le regole come
l’assenza di scopo di lucro (parziale o totale), ecc

L’ordinamento giuridico non valorizza l’impresa sociale perché svolge un’attività imprenditoriale ma perché
con l’attività produttiva vado ad avere una finalità sociale (ciò che importa non sono le attività ma la finalità
sociale). Le agevolazioni fiscali riconosciute agli ets e alle imprese sociali oggi non sono attive, cioè le
possiamo costituire ma non abbiamo nessun beneficio fiscale (ciò avverrà soltanto grazie alla decisione
della commissione europea). Fino a quando la Commissione Europea non si sarà espressa sulle agevolazioni
fiscali previste dalla RTS le agevolazioni alle I.S. rimangono «congelate»

Agevolazioni fiscali e sostegno economico (in sospeso)

- Utili e avanzi di gestione non costituiscono reddito imponibile (reddito sul quale si pagano le
imposte) ai fini delle imposte dirette, sono invece imponibili gli utili e gli avanzi di gestione
distribuiti
- Detrazione (sottrazione) pari al 30% della somma investita nel capitale sociale di un’i.s.
- 30% della somma investita nel capitale sociale di un’i.s. da parte di società non concorre alla
formazione del reddito dei soggetti passivi
Lavoro e volontariato

- é imposto l'obbligo del rispetto dei contratti collettivi (Il diritto italiano individua nel Contratto
Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) la fonte normativa attraverso cui Organizzazioni sindacali dei
lavoratori e le Associazioni dei datori di lavoro definiscono concordemente le regole che
disciplinano il rapporto di lavoro. Normalmente i CCNL regolano sia gli aspetti normativi del
rapporto, sia quelli di carattere economico).
- é ammesso il volontariato (limiti)

Imprese sociali e cooperazione allo sviluppo

Le imprese sociali possono svolgere attività di cooperazione allo sviluppo in conformità alle disposizioni
della “Disciplina Generale sulla cooperazione internazionale per lo sviluppo”

Per quanto riguarda i soggetti non profit idonei a svolgere attività di cooperazione allo sviluppo, l’art 26
della l.n 125/2014 individua i seguenti: 1) le organizzazioni non governative (ONG) specializzate nella
cooperazione allo sviluppo e nell’aiuto umanitario, 2) le organizzazioni di commercio equo e solidale, della
finanza etica e del microcredito, 3)le organizzazioni e associazioni delle comunità di immigrati che
mantengono rapporti di cooperazione con i paesi di origine, 3) le imprese cooperative e sociali, 4) le
organizzazioni con sede legale in Italia che godono da almeno quattro anni dello status consultivo presso
l’ECOSOC.

L'art. 26 della Legge del 2014 prevede che qualsiasi impresa sociale e organizzazione non profit, anche
straniera, che abbia sede in Italia e a cui sia stato riconosciuto lo "status consultivo" del Consiglio
Economico e Sociale dell'ONU nei quattro anni precedenti, possa essere riconosciuta come ONG.

Dal punto di vista fiscale, preme evidenziare che la legge stabilisce che le attività di cooperazione allo
sviluppo e aiuto umanitario svolte dai soggetti iscritti nell’Elenco si considerano, ai fini fiscali, di natura non
commerciale (e quindi non tassabili).

Il d.lgs n 112/2017 e la l.n 125/2014 costituiscono una piattaforma legislativa favorevole all’azione delle
imprese sociali nelle attività di cooperazione allo sviluppo.

Questa legge prevede che le ONG, insieme ai consigli comunali, attraverso specifici accordi di partenariato
con questi ultimi, siano impegnate in progetti finanziati dall'UE volti a migliorare le condizioni di vita dei
migranti. Infine, il ruolo delle ONG è stato riconosciuto dalla legge del terzo settore del 2017, che prevede
che le organizzazioni non profit possano essere impegnate in attività umanitarie e nell'integrazione dei
migranti. In questo quadro giuridico, alle ONG è affidato il compito di svolgere una missione pubblica
attraverso la fornitura di servizi sanitari ai migranti in cooperazione.

Imprese sociali e fondazioni ex IPAB (Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza)

Nelle imprese sociali si è visto che l’ente pubblico non può prenderne il controllo, questo principio giuridico
ha chiesto una interpretazione specifica per le IPAB, trattasi di fondazioni che hanno mantenuto la
partecipazione maggioritaria e, in taluni casi, finanche totalitaria dei rappresentanti degli enti locali in seno
ai consigli di amministrazione. Il legislatore considera la nomina di rappresentanti pubblici nei consigli di
amministrazione delle fondazioni ex IPAB non equivalete ad identificare il controllo da parte degli enti
pubblici che provvedono alla nomina.

Decreto legislativo correttivo n.105/18

Il decreto correttivo prevede:


- che le attività di interesse generale devono essere svolte dagli ETS in via esclusiva o principale,
questa precisazione è di notevole importanza per individuare il terreno nel quale gli ETS intendono
operare e perseguire le finalità di interesse generale.
- Che qualora le organizzazioni , per ragioni diverse, dovessero uscire dal Runts, esse
continuerebbero a mantenere la personalità giuridica assicurata dall’iscrizione nel registro delle
persone giuridiche cui originariamente si sono rivolti per l’ottenimento della medesima personalità.
- Se successivamente il numero degli associati diviene inferiore a quello stabilito (7 persone fisiche o
3 organizzazioni), esso deve essere integrato entro 1 anno, trascorso il quale l’odv o aps viene
cancellata dal Runts
- L’attività degli enti filantropici non risulta più finalizzata al sostegno di altri ETS, ma unicamente
orientata a sostenere progetti rivolti a persone svantaggiate o nell’ambito di attività di interesse
generale

I controlli sugli ETS

Controlli Pubblici

Fino a quando l’organizzazione, la gestione e l’erogazione dei servizi a favore della comunità
rappresentavano funzioni attribuite allo Stato e agli enti pubblici territoriali, i controlli si esaurivano
essenzialmente all’interno della Pubblica Amministrazione. La progressiva privatizzazione dell’azione
pubblica ha contribuito a spostare i controlli sui soggetti privati incaricati di realizzare le finalità di pubblica
utilità, anche in funzione di prevenzione della corruzione e promozione della trasparenza amministrativa.
Tra i soggetti sottoposti al controllo pubblico rientrano anche gli ETS, i controlli pubblici debbono verificare
se gli ETS posseggono i requisiti formali richiesti per potersi qualificare come tali.

La parte più significativa dei controlli pubblici è affidata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il
Ministero esercita le proprie funzioni attraverso l’Ufficio del Runts. L’attività di controllo degli organismi
pubblici sugli ETS non si esaurisce nella valutazione dei requisiti ex ante, principalmente finalizzata
all’iscrizione del Runts, ma si realizza anche nell’attività di verifica in itinere della permanenza dei requisiti e
dell’adempimento degli obblighi derivati da tale iscrizione. Con l’Ufficio centrale del Runts collabora il
Consiglio nazionale del Terzo settore, il quale è chiamato a : 1) dare pareri non vincolanti dove richiesto
sugli atti normativi che ineriscono al TS, 2) esprimere parere sulle linee guida utilizzati sui modelli di bilancio
degli ETS (bilancio sociale, valutazione d’impatto ecc), 3) svolgere funzioni di vigilanza, monitoraggio e
controllo. Le funzioni di monitoraggio e vigilanza affidate sia all’Ufficio del Runts sia al Consiglio nazionale
del Terzo settore debbono svolgersi in collaborazione con le autonomie locali, le Regioni, per espressa
delega dello Stato, hanno competenza in materia di vigilanza e controllo e in materia di riconoscimento
della personalità giuridica (d.p.r n.361/2000), nelle fondazioni il controllo regionale trova la propria
giustificazione nell’assenza di un controllo interno analogo a quello esercitato nelle associazioni dei
membri o da appositi organi a ciò deputati. Alle Regioni è altresì riconosciuta la competenza di adottare
proprie leggi in molteplici ambiti di interesse generale, tra questi rientrano: servizi socio-sanitari, servizi
educativi, il turismo sociale, le attività culturali ecc. La RTS, pur rispettando e valorizzando le competenze
specifiche delle autonomie regionali, riconosce allo Stato un ruolo di coordinamento particolarmente
incisivo, le sue funzioni sono: la tutela della concorrenza, il sistema tributario (l'insieme delle norme di uno
Stato che regolano i tributi, intesi come entrate dello Stato e degli altri enti pubblici prelevate ai privati
cittadini contribuenti in modo coattivo, nell'esercizio di pubblici poteri), determinazione dei Leps che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.
Controlli privati

Oltre ai controlli pubblici gli ETS sono chiamati ad implementare un sistema di controlli interni, il CTS ha
infatti affidato agli statuti dei singoli enti il compito di disciplinare le regole di funzionamento degli organi
chiamati ad assolvere alle funzioni interne di controllo, monitoraggio e vigilanza.

Il CTS ha inteso rafforzare il ruolo di organo sovrano dell’assemblea prevedendo una duplice azione:
un’azione collettiva, esercitata dal gruppo degli associati e un’altra, riconosciuta in capo ai singoli associati.
L’assemblea degli associati è tenuta ad approvare il bilancio d’esercizio e il bilancio sociale, tra i poteri
riconosciuti ai singoli associati invece si segnala la possibilità di ispezionare i libri sociali e quella di verificare
le informazioni contenute nel libro dei volontari, potendo così valutarne l’apporto all’attività associativa e
l’entità dei rimborsi delle spese ad essi riconosciuti.

L’organo di controllo nell’esercizio delle proprie funzioni svolge una funzione di costante monitoraggio sulle
attività degli ETS, all’organo di controllo il CTS affida compiti di vigilanza, di monitoraggio e di attestazione
che eccedono la tradizionale dimensione contabile-finanziaria. L’organo di controllo, infatti, svolge anche
un’attività di monitoraggio sull’osservanza delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Nelle
fondazioni l’organo di controllo è sempre obbligatorio indipendentemente dalla dimensione patrimoniale,
mentre nelle associazioni l’obbligo scatta al ricorrere di taluni requisiti considerati cumulativi (Organo di
controllo obbligatorio se per due anni consecutivi sono superati due dei seguenti limiti: 1. Attivo
patrimoniale superiore a 110.000 euro; 2. Ricavi, vendite superiori a 220.00 euro; 3. Dipendenti occupati in
media durante l’esercizio: 5 unità (organo di controllo sempre obbligatorio nelle fondazioni).

Nell’ottica di rafforzare i presidi di legalità, rendicontazione e monitoraggio degli ETS, oltre agli organi
interni, il CTS ha legittimato un’attività di controllo e vigilanza effettuata dalle reti associative, le quali
possono svolgere attività di monitoraggio e autocontrollo sugli ETS aderenti. Tale attività è finalizzata ad
accertare la sussistenza e permanenza dei requisiti necessari all’iscrizione nel Runts, il rispetto degli obblighi
derivanti dalla medesima iscrizione, nonché a verificare l’effettivo perseguimento delle finalità civiche,
solidaristiche o di utilità sociale. L’attività di autocontrollo da parte delle reti associative si sovrappone a
quella attribuita all’Ufficio del Runts, con l’unica differenza che mentre la prima è facoltativa, la seconda è
obbligatoria.

Un’interazione tra controlli interni ed esterni si realizza in particolare tra enti pubblici ed ETS. Gli ETS
devono dimostrare di possedere determinati requisiti formali e sostanziali, sulla base dei quali le pubbliche
amministrazioni procedono all’individuazione del/dei soggetto/i con cui attivare le diverse forme di
partnership.

L’analisi condotta ha evidenziato come la complessità del sistema dei controlli sugli ETS risulti finalizzata ad
assicurare la tutela e la promozione dei principi costituzionali, oltre ad avere una funzione di garanzia del
rispetto dei principi europei. I controlli possono infine conseguire un ulteriore obiettivo affatto marginale,
individuabile nella potenziale riduzione degli oneri a carico degli enti controllati. A ciò si aggiunga la facoltà
riconosciuta alle reti associative territoriali di farsi carico di taluni oneri amministrativi cui i singoli ETS
devono assolvere.

I rapporti di collaborazione tra ETS ed enti pubblici

La RTS è collegata al diritto europeo, se non capiamo la dimensione eurounitaria non riusciamo a
comprendere la novità del Terzo settore.
A livello europeo è stata condivisa la nozione di Servizi di interesse generale (categoria di servizi la cui
regolazione è riconosciuta in capo agli Stati membri, proprio in ragione delle particolari finalità perseguite
da tali servizi e delle loro caratteristiche organizzative), si indicano dei servizi che sono a favore della
comunità (non comprende solo quelli erogati dall’ente pubblico ovvero i servizi pubblici, ma anche i servizi
erogati dagli ETS che rimangono soggetti privati), quali i sistemi scolastici obbligatori, i sistemi sanitari, i
sistemi di protezione sociale, sicurezza, giustizia ecc.

I servizi di interesse generale sono vicini ai bisogni degli utenti, sono servizi market e non market (possono
avere una rilevanza di mercato o non di mercato come ad esempio il sistema pensionistico che è
incardinato nello stato, nel caso market possiamo parlare di servizio sanitario privato o assistenza agli
anziani come le rsa private (attività acquistabili).

L’UE ha fatto una declinazione degli SIG affermando la categoria dei servizi sociali di interesse generale
(SSIG), tali servizi rendono concreti i diritti fondamentali previsti dalla carta dei diritti fondamentali (nota
anche come Carta di Nizza). L’UE è impegnata ad assicurare i diritti sociali e i servizi, l’UE incoraggia il
pluralismo degli attori (non profit), gli stati membri devono assicurare l’esigibilità dei diritti fondamentali. La
carta dei diritti fondamentali dell’unione europea (2000) ha un impatto sulle legislazioni nazionali. Da esso
discendono le linee guida per i singoli Stati per l’erogazione dei servizi essenziali e per i LEA (I livelli
essenziali di assistenza indicano, in Italia, l'insieme di tutte le prestazioni, servizi e attività che i cittadini
hanno diritto a ottenere dal Servizio sanitario nazionale, allo scopo di garantire in condizioni di uniformità, a
tutti e su tutto il territorio nazionale). L’obiettivo della carta da parte del Legislatore è quello di cercare di
rendere tutti i servizi di cui stiamo parlando universalistici e accessibili secondo il modello europeo. Questa
carta ha una funzione e un’importanza molto rilevante, proprio perché diventa un punto di riferimento per
gli Stati (nelle loro legislazioni nazionali).

Commissione europea: relazione biennale sui servizi sociali di interesse generale SEC (2010) 1284, è stata
una relazione che è andata a studiare come funzionano i vari SSIG nei paesi europei. Questa relazione
esprime un orientamento molto preciso:

- non è accettabile la privatizzazione, deregolamentazione, liberalizzazione dei servizi sociali ( i servizi


sociali in qualsiasi stato membro non sono ne privatizzati (servizi pubblici venduti sul mercato), ne
deregolamentalizzati, ne liberalizzati). I servizi sociali non devono essere messi in gioco secondo
logiche di mercato.
- no alle gare al massimo ribasso (ovvero al minor costo), difficilmente al massimo ribasso riesca ad
offrire una certa qualità dei servizi, assegnazione delle gare non sono più soltanto sul prezzo
- Possibili diritti di esclusiva (che va contro il principio di concorrenza, nell’ambito di gioco è fin anche
riconoscere alcuni servizi di esclusiva). L’accreditamento è una concessione che un ente pubblico
concede ad un soggetto privato di erogare un servizio in nome e per conto della sanità pubblica
(accreditamento è solo socio-sanitario, mentre concessione è più generico)

Una direttiva importante dell’UE è la 123/2006 ha sancito la libertà di movimento dei capitali, delle
persone, degli stabilimenti imprenditoriali oltre confine al fine di contribuire alla realizzazione del mercato
interno libero e concorrenziale, che è uno dei principi cardine su cui si fonda Unione Europea. I servizi
sociali e i servizi sanitari sono esclusi dalla direttiva, quindi vuol dire che sono esclusi dal principio della
libertà di concorrenza, a quei servizi non si applicano le regole della concorrenza (quindi niente appalti),
l’esclusione di tali servizi stabilisce anche la legittimità di procedure di assegnazione e affidamento degli
stessi servizi diversi dalle regole di mercato. l’esclusione dei servizi sanitari di cui trattasi dal campo di
applicazione della direttiva 2006/13 comprende le attività direttamente e strettamente connesse alla salute
umana e non riguarda pertanto quelle destinate unicamente a migliorare il benessere o a fornire relax,
quali i centri sportivi o i centri fitness.
Le direttive devono essere recepite nell’ordinamento interno, si oppongono dai regolamenti che non hanno
bisogno di una legge nazionale per essere recepita, è già legge per tutti i paesi cosi com’è. Questa direttiva è
stata recepita da un d.lgs 59 del 2010 affermando che i servizi socio-sanitari sono esclusi dai principi della
concorrenza. La riforma del TS si colloca puntualmente in questa riflessione, legittimando gli enti pubblici
ad utilizzare altri strumenti giuridici oltre gli appalti (co-programmazione e co-progettazione).

Sentenza della corte 11 luglio 2013

La sentenza di cui trattiamo adesso ha fatto storia, è un precedente importante, non riguarda l’Italia bensì il
Belgio. Sentenza della corte 11 Luglio 2013, oggetto della decisione della corte è la direttiva di cui abbiamo
parlato prima (123 del 2006, la quale afferma che i servizi sociali e i servizi sanitari sono esclusi dal principio
della libertà di concorrenza, a quei servizi non si applicano le regole della concorrenza).

La corte europea deve decidere su questo argomento, decidendo se i centri di accoglienza diurni e notturni
per assistenza e cura alle persone anziane (tipologia specifica di servizio in Belgio, in particolare nella
regione di Bruxelles) rientrano nelle categorie dei servizi sociali e sanitari e quindi non devono sottostare al
principio della libertà di concorrenza. La corte è chiamata a decidere se, sulla base di un ricorso presentato
da una associazione senza scopo di lucro (Fermabel) contro l’unione dei comuni della provincia di Bruxelles,
questa tipologia di servizio rientri o meno nella categoria dei servizi sociali e sanitari di cui parla la direttiva
123/2006, perché se così fosse questo servizio sarebbe escluso dall’applicazione delle regole sulla
concorrenza.

L’associazione senza scopo di lucro lamenta che il comune di Bruxelles avrebbe dovuto fare una gara (una
procedura ad evidenza pubblica) in cui chiamare tutti quelli che sarebbero stati in potenza disponibili ad
offrire il servizio, perchè l’associazione ricorrente ha sostenuto che quei servizi non sarebbero, secondo suo
giudizio, rientrati nella definizione che la direttiva dà di servizi sanitari sociali esclusi dalla concorrenza.

Essendo un atto amministrativo si trova di fronte al giudizio del Consiglio di Stato che, nel recuperare
questa istanza ha ritenuto di non essere in grado di esprimersi del tutto. Questo perchè ha ritenuto che ci
fossero in questione dei principi che travalcassero l’aspetto amministrativo e quindi ha chiesto l’intervento
della Corte costituzionale belga. La Corte costituzionale si trova in un vicolo perchè da un lato ha una
materia che è nazionale, su cui potrebbe intervenire. Tuttavia, l’oggetto travalica le competenze perchè c’è
un tema di diritto europeo, questo è il motivo per il quale tira in causa la corte europea di giustizia. La Corte
Europea di Giustizia, analizzando tutti i fatti e tenendo conto del considerando 27 della direttiva il quale da
la definizione dei servizi socio-sanitari esclusi da tale direttiva, introduce i seguenti elementi di valutazione.
Prima di tutto, è un tema che riguarda il diritto alla salute, non si tratta di semplice benessere fisico, di
massaggi. Inoltre, afferma che, l’erogazione di tale servizio avviene attraverso dei professionisti accreditati
da un punto di vista della loro professione. Dunque, la Corte Europea di Giustizia dice: “Giudice belga
valutalo tu, ma stiamo attenti perchè il servizio sanitario, per la direttiva, è questo”. Perchè la Corte
Europea si rifà alla corte costituzionale ? L’UE non ha una competenza propria in materia di sanità, tale
competenza è in carico agli Stati membri. È importante sottolineare che per la Corte è indifferente la
qualificazione giuridica dell’erogatore: può essere privato o pubblico, non cambia nulla. Anche la
prevalenza è importante, infatti solo gli enti che svolgono questa attività a titolo principale si dicono esclusi
dalla direttiva in questione. Tali enti devono essere riconosciuti dalla Stato, ma in particolare devono
rispettare certi requisiti previsti per il servizio, e quindi c’è un obbligo di solidarietà. Il punto dirimente è
proprio l’ultimo, perchè se non ci fosse il mandato (diciamo quest’incarico che noi chiamiamo
accreditamento), avrebbe avuto ragione l’associazione ricorrente. La Corte UE ribadisce con forza
l’esclusione dei servizi sociali e sanitari dall’applicazione della direttiva 123/2006, affermando che è
responsabilità degli Stati membri assicurare un adeguato livello di protezione sociale e sanitaria.
Sentenza 29 novembre 2007, -119/06

Il trasporto del servizio sanitario è offerto dalle ODV, in tutta Europa funziona come in Italia, ovvero c’è un
accordo pubblico privato per la gestione del servizio del trasporto sanitario, di emergenza e di urgenza.

In questa sentenza accadde che la regione toscana concorda con le odv (misericordia e anpas) di assicurare
il trasporto del servizio sanitario di emergenza e di urgenza, a fronte di questo servizio le odv possono
ottenere in cambio solo ed esclusivamente il rimborso delle spese solitamente basato sui chilometri
effettuati. Questo sistema giunge alle orecchie della commissione europea e contesta il comportamento
tenuto dall’Italia (secondo loro quell’accordo lede la concorrenza perché la regione non ha fatto una gara di
appalto ma ha chiamato a raccolta (ha fatto una convenzione) le odv che storicamente svolgono l’attività di
servizio di trasporto sanitario). La commissione si chiese se questo accordo fosse legittimo, secondo la
commissione europea questi accordi chiudono il mercato perché non permettono agli altri operatori
economici europei di partecipare, la commissione quindi si rivolge alla corte europea di giustizia chiedendo
di valutare se questo assetto è compatibile/coerente con l’impianto del diritto unitario (ci puoi dire se
quello che hanno fatto è un’azione anticoncorrenziale?). La regione toscana si difende dicendo che non
possono essere anti-concorrenziali perché per definizione quegli enti sono senza scopo di lucro, la regione
toscana dice che quegli enti non sono imprese e per questo non valgono le regole di appalto. La corte non
ragiona con l’occhio dell’ordinamento nazionale bensì con quello europeo, dicendo che l’assenzo di scopo
di lucro non è sufficiente ad escludere il carattere imprenditoriale di quelle organizzazioni. Questo
approccio della corte si chiama approccio sostanzialistico, la definizione d’impresa non è fatta discendere
da presupposti soggettivi (assenza di lucro) ma da elementi puramente oggettivi, se un’organizzazione è
dedita all’offerta di beni e servizi da scambiare con altri soggetti (la corte europea vede le odv come
distributori di servizi), questo è sufficiente a qualificare quell’attività come attività d’impresa, finanche
quando l’attività considerata non sia quella principale. La corte si rende conto che il sistema italiano
configuri le odv in un certo modo, ma a livello eurounitario questo non è sufficiente a escludere la
qualificazione d’impresa ai sensi dell’ordinamento comunitario. Alla fine, nonostante queste presunzioni di
colpevolezza la corte ha fatto salvo l’accordo perché ha capito che si trattava di rimborso delle spese (non è
il pagamento di un corrispettivo) e l’attività non aveva un chiaro interesse transfrontaliero (cioè ad esempio
non è che una odv tedesca avrebbe partecipato all’appalto per assicurarsi quel servizio perché non è
conveniente).

I servizi socio-sanitari nell’ordinamento giuridico italiano

La disciplina normativa dei servizi sociali e sanitari in ambito europeo ha trovato una propria declinazione
nell’ordinamento giuridico italiano nelle disposizioni contenute nel d.lgs 59/2010 recante “Attuazione della
direttiva 2006/123 CE relativa ai servizi nel mercato interno”. Il decreto in parola ha implementato anche
nel nostro paese l’erogazione dei servizi “free of barriers”, ossia la libertà di prestazione dei servizi
medesimi, in quanto fondati sul principio della libera concorrenza. Tuttavia, come già disciplinato dalla
direttiva del 2006, il decreto legislativo esclude dall’ambito di applicazione delle disposizioni ivi contenute i
servizi sociali e quelli sanitari.

Sia le riforme succedutesi nel corso degli anni ’90 sia la legge di riforma dell’assistenza del 2000 (l.n. 328) e
il d.p.c.m 30 marzo 2001 contengono numerose disposizioni volte alla valorizzazione dell’apporto delle
organizzazioni non profit in sede programmatoria, organizzativa e gestionale dei servizi socio-assistenziali e
socio-sanitari. Il d.p.c.m 30 marzo 2001 ha vietato l’affidamento dei servizi sociali e socio-sanitari con il
criterio del massimo ribasso bensì ha introdotto il concetto di offerta economica più vantaggiosa.
Il d.p.c.m. 30 marzo 2001 di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona (ai
sensi dell'art. 5 della legge 8 novembre 2000, n. 328):

 valorizza la capacità progettuale delle ONP(organizzazioni non profit) prevedendo il coinvolgimento


degli enti non profit tanto nella fase di programmazione quanto nella fase di produzione dei servizi;

 mette in luce particolare il ruolo delle OdV con le quali gli enti pubblici possono stipulare le
“convenzioni” (ex L. 266/91);

Rapporti pubblico-privato

i rapporti tra enti no profit e pubblica amministrazione sono plurimi, variegati, c’è una pluralità di rapporti.
Questo è quello che oggi mette un po’ in crisi la PA, che non è formata ad interpretare ruoli che non siano
quelli degli appalti. Queste partnership tra P.A e enti non profit non è basata su logiche di mercato bensì su
rapporti di carattere collaborativo, cooperativo. Il partenariato pubblico-privato può diventare espressione
della sintesi delle caratteristiche di garanzia del pubblico e di efficienza del privato.

Ci sono alcune ragioni che militano a favore di questa rinnovata necessità di trovar formule alternative ai
soli appalti:

1) c'è un'esigenza di maggiore stabilità nell'erogazione dei servizi. Non è pensabile che nell'ambito
socio-assistenziale una comunità che accoglie minori abbia ogni tre anni uno stravolgimento degli
operatori (principio di rotazione degli appalti)
2) esigenza di superare dei paradigmi che sono tipici del passato, non esiste soltanto l’appalto,
accanto alle logiche di mercato oggi ci siano anche logiche ci cooperazione, di collaborazione.
3) vi è la necessità di trovare formule flessibili, agili, compatibili con il diritto eurounitario.
4) Risparmi spesa pubblica
5) Cambio di pelle della PA. La PA deve sempre di più concepirsi non soltanto come il committente,
cioè l'acquirente di servizi o di beni; ma soprattutto come la piattaforma che mette nelle condizioni
la società civile di realizzare essa stessa o attraverso sistemi di sostegno, finanziamento, contributi,
locali i beni o servizi

Differenze codice degli appalti e CTS

Qual è la fonte per eccellenza dei rapporti di mercato? Il Codice dei contratti pubblici (o Codice degli
appalti) – decreto legislativo 50 del 2016. La novità dell'art. 117 del 2017 è che ha introdotto il CTS accanto
al Codice degli appalti – come vedremo nella sentenza 131 di quest'anno della Corte Costituzionale il
giudice costituzionale ha detto che il Codice degli appalti è una cosa, il CTS un'altra: convivono e coesistono.
Questo è fondamentale perché significa aver riconosciuto e aver dato valore pieno anche ai rapporti
collaborativi, affermando che non esiste soltanto il codice degli appalti. La logica competitiva quindi il
Codice degli appalti differisce dal CTS oltre per l’onerosità del servizio anche per la tipologia e la durata del
rapporto con le persone. Per la logica competitiva, io ti devo comprare i monitor e una volta comprati il
nostro rapporto finisce, abbiamo parlato solo di prezzo e qualità tecniche. La collaborazione del CTS
troviamo invece un dialogo, che di solito è in tempo dato: può a un certo punto terminare ma può anche
continuare sulla base dei risultati. Bisogna darsi il tempo. Fare una coprogettazione, una co-
programmazione, un accreditamento richiede del tempo. Negli Istituti collaborativi non c’è il corrispettivo,
c’è il riconoscimento di un contributo più o meno largo che esso sia.
Principio di sussidiarietà

Il principio di sussidiarietà è un principio che, partendo dalla prescrizione costituzionale: art.118 ultimo
comma, ci dice che gli enti locali tutti promuovono e valorizzano l’apporto degli ETS per realizzare finalità
di interesse generale. Al recepimento nel nostro ordinamento del principio di sussidiarietà si è giunti con
l’obiettivo di dare più piena attuazione al principio autonomistico, sancito dall’art 5 della Costituzione. Una
prima accezione (in senso verticale) del principio di sussidiarietà si registra nella legge 1997 n 59 la quale
stabilì la devoluzione di funzioni e compiti amministrativi dal centro alla periferia, prevedendo, in questo
modo, che l’esercizio delle responsabilità pubbliche spettasse alle autorità più vicine ai cittadini, con le leggi
Bassanini del 1997/98 le autonomie locali hanno guadagnato maggior peso nell’assetto istituzionale
nazionale. La sussidiarietà orizzontale (implica una pluralità di soggetti o meglio la coesistenza di soggetti
pubblici e privati nell’erogazione di servizi di interesse generale) si è sviluppata anche grazie al processo di
decentramento amministrativo (sussidiarietà verticale): la devoluzione delle funzioni amministrative dal
centro alla periferia avviene anche al fine di favorire l’assolvimento di funzioni e compiti di rilevanza sociale
da parte di famiglie, associazioni e comunità.

Il principio di sussidiarietà orizzontale deve la sistematizzazione concettuale all'enciclica del 1931 di Papa
Pio XI: non è lecito togliere agli uomini quello che essi possono compiere con le loro forze e non è giusto
rimettere a una più alta società quello che dalle minori comunità può essere fatto. Dice sostanzialmente
che la comunità superiore non deve fare quello che la comunità inferiore può fare. Questa lettura, questo
principio è sempre stato letto con l’idea che la comunità superiore non debba fare nulla rispetto alla
comunità inferiore, ma non è vero, perché se quella inferiore non è in grado di operare, quella superiore
deve intervenire. Questa cosa significa che lo stato con il principio di sussidiarietà non è messo all’angolo
come qualcuno pensa, perché lo stato ha l’obbligo di intervenire qualora gli enti intermedi non siano in
grado di intervenire. Questo è capovolgere il ruolo del terzo settore, che nel nostro ordinamento è, fino alla
riforma, sempre stato sussidiario al contrario: interveniva perché lo stato non ce la faceva, non aveva le
risorse e tappava i buchi.

Questo ci fa dire che gli enti locali hanno una funzione fondamentale, soprattutto i comuni che hanno una
responsabilità enorme: assicurare e garantire l’organizzazione di certi servizi, oltre ad avere una piena
autonomia organizzativa e regolamentare nelle dinamiche collaborative con gli ETS. Gli enti locali (e le ASL)
possono scegliere tra un ventaglio di possibilità (ad esempio co-progettazione, co-programmazione,
affidamento) anche da combinare insieme per garantire l’esigibilità dei livelli essenziali delle prestazioni
sociali e civili. Gli enti locali potrebbero dotarsi di un apposito regolamento (comunale) in cui versare i
contenuti delle modalità, procedure e processi che essi intendono attivare nei rapporti collaborativi con gli
ETS.

In ultima analisi la sussidiarietà apre nuove frontiere di azione e di intervento sia per gli enti territoriali sia
per le organizzazioni di Terzo settore.

Il principio di sussidiarietà inteso in senso europeo vuol dire che l’unione europea non intervenga dove gli
Stati membri Agiscono, dove hanno la competenza, più che principio di sussidiarietà potrebbe essere
chiamato decentramento amministrativo.

Le partnerships pubblico-private nel diritto europeo

Nel quadro generale delle possibili forme di cooperazione tra enti pubblici territoriali ed imprese non profit
contemplate dall’ordinamento giuridico europeo si collocano le public-private-partnerships (PPPs). Si tratta
di formule giuridico-organizzative attraverso le quali le amministrazioni pubbliche e soggetti privati non
profit e for profit possono organizzarsi per l’erogazione di servizi rivolti alla comunità locale. Sono definite
dalla capacità di ridurre i costi, introdurre tecnologie innovative e moderni approcci di management e di
risk management. Le PPPs, rispetto agli appalti pubblici, implicano la presenza di capitale privato, il quale
solitamente finanzia almeno una parte del progetto, sopportandone il rischio inerente. Nel contesto
giuridico europeo, un primo inquadramento delle PPPs è rinvenibile nel Libro Verde relativo ai “Partenariati
pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni” elaborato dalla
Commissione europea nel 2004.

In particolare, la Commissione ha riconosciuto che la cooperazione tra enti pubblici e soggetti privati per la
realizzazione di finalità di pubblica utilità può distinguersi in PPP di tipo puramente contrattuale, nei quali la
partnership tra settore pubblico e privato si fonda su legami esclusivamente convenzionali e PPP di tipo
istituzionalizzato (PPPI), che implicano una cooperazione tra i due settori all’interno di una entità giuridica
distinta (creazione di una nuova società con capitale detenuto sia da soggetto pubblico e privato o
attraverso l’ingresso di un socio privato in una società pubblica).

Le PPPs hanno trovato una loro disciplina giuridica nelle direttive del 2014, una prima espressione del
partenariato pubblico-privato può essere rintracciata nell’art 31 della direttiva 2014/24, la quale disciplina i
partenariati dell’innovazione. Attraverso il partenariato per l’innovazione l’amministrazione aggiudicatrice
ha la possibilità di individuare uno o più partner privati non profit con i quali creare dei servizi o realizzare
dei lavori nel comparto dei servizi socio-sanitari. Il dialogo che si instaura tra pubblico e privato consente di
definire in modo appropriato le formule gestionali ed organizzative ritenute più efficaci ed efficienti per la
realizzazione del servizio oggetto di partnership. Le condizioni fondamentali per la realizzazione sono la
chiarezza degli obiettivi, il rispetto dei ruoli e la consapevolezza di rispondere a finalità collettiva o di
pubblica utilità.

Criticità: ingenti costi per la fase di preparazione del bando, set di competenze specifiche nella P.A. richieste
e non sempre rinvenibili, richiesto impegno politico a lungo termine e volontà di coinvolgere il settore
privato nella realizzazione di progetti, necessità di garantire ai privati un utile proporzionato al rischio
assunto. I rischi sono condivisi e di conseguenza anche gli utili sono ugualmente ripartiti, in questo senso i
processi di gara devono risultare competitivi e presentare un adeguato apparato regolatori e finanziario a
livello nazionale.

Le direttive europee in materia di concessione e appalti

La materia degli appalti e delle concessioni è stata oggetto dell’intervento normativo da parte del
legislatore europeo che, con l’approvazione delle direttive 2014/23 (concessioni), 2014/24 (servizi, lavori e
forniture) e 2014/25 (acqua, energia e trasporti), ha innovato, anche in modo significativo, le modalità
attraverso cui le amministrazioni aggiudicatrici nazionali possono esternalizzare servizi, lavori e forniture. Le
direttive del 2014 hanno inteso realizzare tre obiettivi principali:

- Semplificare, snellire e rendere flessibili le procedure


- Promuovere un utilizzo strategico degli appalti e delle concessioni
- Favorire la crescita e lo sviluppo delle piccole e medie imprese (tra le quali sono ricomprese anche
le imprese non profit)

Le direttive del 2014, inoltre, stabiliscono “corsie preferenziali” per l’aggiudicazione di alcuni servizi
particolari, tra cui rientrano i servizi sociali e sanitari, accanto a quelli culturali e ricreativi, riconoscendo per
queste tipologie di servizi la necessità di prevedere norme più leggere e di lasciare agli stati membri più
libertà su come regolare l’aggiudicazione. Le direttive UE/2014 non sono ancora state recepite all’intento
della normativa nazionale. Occorre quindi l’atto di recepimento formale, le direttive non sono self-
executing.

La direttiva 2014/23 (sulle concessioni) esprime chiaramente che il concessionario deve assumersi un certo
grado di rischio operativo nel caso in cui non sia garantito il recupero degli investimenti effettuati o dei costi
sostenuti per la gestione dei lavori/servizi oggetto della concessione, il secondo tratto distintivo di questa
direttiva è relativo ai criteri di aggiudicazione ,o per meglio dire, all’assenza di criteri: la direttiva non indica
criteri specifici, ma stabilisce che quelli individuati dalle stazioni appaltanti debbano avere uno stretto
collegamento con l’oggetto del contratto (la direttiva 2024/23 lascia molto spazio all’autonomia
procedurale delle singole stazioni appaltanti). Un altro aspetto degno di nota riguarda la procedura di
aggiudicazione, la direttiva conferma che debba esperirsi nel rispetto dei principi di parità di trattamento,
non discriminazione, trasparenza e proporzionalità. A ciò si aggiunga che nell’esecuzione dei contratti di
concessione, gli operatori economici devono rispettare gli obiettivi vigenti in materia di diritto ambientale,
sociale e di lavoro stabiliti dall’UE.

La direttiva 2014/24 (appalti pubblici) stabilisce le soglie al di sopra delle quali gli Stati membri sono
obbligati ad applicare la direttiva medesima (€5.350.000 per appalti pubblici o concessione, €214.000 per
appalti di servizi e forniture). Viene confermata e rafforzata la particolare attenzione ai servizi sociali e
sanitari: essi rientrano nella piena competenza degli Stati membri (guardare considerando 6 e 28 della
direttiva in basso). Art 18, comma 2 —> richiama gli stati membri al rispetto degli obblighi in materia di
diritto ambientale, sociale e del lavoro stabiliti dal diritto UE, nazionale, contratti di lavoro, disposizioni
internazionali. L’applicazione di tali criteri ambientali e sociali diventa quindi obbligatoria. Questo è
coerente con l’articolo 56 che prevede che l’amministrazione possa decidere di non aggiudicare un appalto
all’offerente che presenta l’offerta più vantaggiosa ma che non soddisfa gli obblighi applicabili all’art 18.
L’art. 20, intitolato “Appalti riservati” prevede di riservare il diritto di partecipare alle procedure di appalto
a laboratori protetti o ad operatori economici il cui scopo principale sia l’integrazione sociale e
professionale delle persone svantaggiate. E’ stata introdotta una modificazione quantitativa della
percentuale minima di lavoratori disabili o altrimenti svantaggiati impiegati dalle imprese destinatarie della
riserva, che passa da almeno il 50% ad almeno il 30% dei lavoratori con disabilità o svantaggiati.

Le nuove direttive tendono a marginalizzare il criterio di aggiudicazione al prezzo più basso, ne consegue
che la P.A è chiamata a privilegiare le modalità di aggiudicazione volte a premiare non solo l’elemento
economico (prezzo offerto) ma anche e soprattutto quello qualitativo (progetto tecnico). Il criterio
dell’offerta economicamente più vantaggiosa è ritenuto il criterio-guida per l’assegnazione degli appalti,
marginalizzando quello relativo al prezzo più basso, in quest’ottica nella valutazione dei profili dell’offerta
viene superato il concetto di convenienza economica finanche preferendo offerte che possono risultare più
costose ma definite da finalità di carattere sociale e ambientale. E’ questa una opzione indubbiamente che
può favorire il coinvolgimento delle imprese non profit.

Considerando della direttiva 2014/24/UE

Considerando 6: la direttiva non incide sulle discipline degli SM in materia di sicurezza sociale, vuol dire che
il Welfare è affare degli Stati membri, non può intervenire l’unione europea. Gli Stati membri sono
autonomi anche nel decidere che cos’è un servizio di interesse generale.

Considerando 28 ci interessa perché afferma l’esclusione dalla direttiva di alcuni servizi attinenti al non
profit, riguarda il trasporto sanitario di emergenza e urgenza. A livello euro unitario c’è il riconoscimento
per tutti i 27 Stati membri, che il trasporto sanitario di emergenza ed urgenza è escluso dall’applicazione
delle regole del mercato perché affidato esclusivamente (Il nostro codice dirà in via prioritaria) agli enti del
terzo settore, nel nostro ordinamento in particolare alle organizzazioni di volontariato.

Questa direttiva è posteriore alla sentenza 29 novembre 2017, -119/06 (di cui abbiamo parlato in
precedenza concernente le odv in Toscana). Se noi prendessimo quel caso e lo potessimo mettere oggi, il
riferimento alla premessa, considerando 28 lo destituirebbe delle sue fondamenta perché c’è una
dichiarazione, un diritto positivo, perché questo considerando Poi diventa un articolo della direttiva, e ci
dice che quel trasporto sanitario è escluso. Nel 2006 la corte europea dovette un po’ arrampicarsi per dare
un esito alla sentenza.

A differenza del passato questa direttiva riconosce che l’esito della gara, chi risulta vincitore non può
esserlo soltanto della base del prezzo, ed è stato sempre quello che ha determinato le gare, ovvero del Max
ribasso. Con le nuove direttive finalmente, si mette il divieto di affidare gli appalti al max ribasso soltanto e
si introduce il concetto dell’offerta economicamente piu vantaggiosa.

I servizi sociali disciplinati dagli art. 74-77 della direttiva 2014/24/UE (come servizi sociali e altri servizi
specifici) sono assoggettati all’applicazione della direttiva soltanto al ricorrere di talune condizioni previste.
Solo grazie alle direttive di ultimo conio del 2014 l'UE ha inserito come leva di sviluppo locale anche
l'inserimento di clausole sociali negli appalti. L’art 74 afferma che si applicano le direttive europee sugli
appalti e in parte anche sulle concessioni, quindi vuol dire che si deve fare in termini tecnici una gara
europea, nel caso di servizi sociali e sanitari, solo nel caso in cui l’importo di questi servizi supera i 750.000€
se io sto sotto questa cifra significa che non sono obbligato ad esperire una procedura livello europeo, vuol
dire che se anche rimanessi nel mercato posso circoscrivere il mercato a quello nazionale. Questa soglia qui
era molto più bassa per tutti i servizi, per i servizi sociali e sanitari è stata aumentata. Questa decisione
sottende il lasciare una discrezionalità agli Stati membri di decidere sulla valutazione cioè su come affidarli
(più autonomia agli Stati membri). In altre parole, perché sotto quella soglia non c’è un interesse
transfrontaliero nell’aggiudicarsi quel servizio da parte dei paesi esteri.

L’articolo 77 della direttiva stabilisce che le pubbliche amministrazioni possono riservare determinati
appalti per taluni servizi sociali soltanto ad organizzazioni che rispettano determinati requisiti:

 Missione di servizio pubblico

 Reinvestimento di profitti

 E presentare una struttura di gestione fondata sui principi partecipativi ‘’ la cooperativa sociale’’ o
l’impresa sociale

Che cosa affermiamo per concludere sul codice degli appalti?

- Non esaurisce la modalità di gestione dei servizi perchè introduciamo gli strumenti dell’art 55 e ss.
- Ma lo stesso codice degli appalti lascia in alterato le discipline esistenti o pre-esistenti o quelle che
si sono succedute nel codice del terzo settore. Mentre i servizi sociali nelle precedenti direttive
erano esclusi totalmente come ha affermato la direttiva 123 del 2006, nel codice degli appalti vi è
un regime alleggerito, cioè si devono rispettare tutte le regole e la trasparenza procedura, pero si
mette la condizione della pubblica amministrazione di fare degli appalti un pò più leggeri, cioè di
considerare meno requisiti di quelli che servirebbero per fare ‘’ il malto stradale ‘’ in ragione della
specificità dei servizi.
Il fatto che il sistema di appalti in questo settore sia alleggerito non mette in contrasto le due direttive?

Sì, nella 123 abbiamo l’esclusione di servizi dall’applicazione delle regole concorrenziali. Se lo stato membro
riconosce che questi servizi rientrino nella dinamica di mercato, benché rientrino possiamo applicare
procedure semplificate, e quindi tutto dipende dalle politiche dei singoli paesi in materia di servizi sociali e
sociosanitari.

Concessione:

le concessioni sono simili agli appalti, sapendo però che le concessioni hanno però una durata più lunga e
richiedono in particolare l’assunzione operativa in capo al soggetto economico

Tipologie di collaborazione e partnership

Il principio di sussidiarietà ha trovato una declinazione negli art. 55, 56, 57 e 71 del d.lgs. n. 117/2017
(Codice del Terzo settore). Essi si collocano su un piano di alternatività o, quanto meno, di complementarità
rispetto alle ordinarie procedure ad evidenza pubblica previste dal d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei contratti
pubblici). Il CTS ha disegnato una cornice normativa nell’ambito della quale si possono attivare i percorsi
cooperativi (e non solo competitivi) attraverso i quali selezionare i soggetti (non profit) ritenuti più idonei
allo svolgimento delle attività di interesse generale individuate dal CTS.

l’elenco delle possibilità di collaborazione:

- co-progettazione

- co-programmazione

- accreditamento.

Le condizioni per utilizzare i vari strumenti di collaborazione:

- Deve trattarsi di ETS (iscritti al Runts)


- Attività art 5 CTS
- Competenze dell’ente locale (possiamo dire in linea generale che le attività all’art. 5 rientrano in
larghissima parte nelle competenze degli enti locali.)

Le cooperative di tipo A normalmente partecipano agli appalti, essendo anche imprese sociali potranno
partecipare anche agli strumenti collaborativi. Gli strumenti collaborativi a differenza degli appalti non si
fondano sull’onerosità e quindi sul corrispettivo.

Piano di zona

L'articolo 19 della legge 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e
servizi sociali - GU n. 265 del 13 Novembre 2000 ) assegna ai comuni associati il compito di tutelare i diritti
della popolazione attraverso la definizione - d'intesa con l'azienda unità sanitaria locale - di un Piano di
Zona degli interventi sociali e socio sanitari.
Il PDZ è uno strumento di programmazione territoriale concertata e partecipata. Gli attori coinvolti in
questo processo di progettazione sono molteplici: il Comune, le ASL, la provincia, il Terzo settore, gli enti
gestori dei servizi sociali, i soggetti espressione dell’associazionismo, i cittadini che intendono contribuire al
processo di elaborazione del piano, le istituzioni scolastiche e della formazione, le amministrazioni
giudiziarie. Con il PDZ il Comune, con la partecipazione di tutti questi soggetti, disegna il sistema integrato
degli interventi e dei servizi sociali  nell’ambito territoriale di competenza².  Il piano di zona viene adottato
attraverso uno specifico strumento giuridico: l’accordo di programma, con il quale i soggetti coinvolti si
assumono la responsabilità di realizzare quanto è stato concordato insieme.

Art. 55

Legge 241 del 1990 è quella su cui si basa l’art 55, ovvero questa norma stabilisce i processi e gli atti
amministrativi.

Per poter realizzare un’efficace co-progettazione ci deve essere una definizione condivisa dei bisogni a cui
rispondere, questa è la fase più delicata perché insieme pubblico e privato devono definire le esigenze.

Questo articolo introduce qualcosa di innovativo perché pur rimanendo una responsabilità istituzionale
dell’ente locale, il percorso per arrivare a quella decisione è un percorso che, invece di essere deciso solo
dagli enti pubblici, è in condivisione tra gli ETS e l’ente pubblico. Nella co-programmazione (art 55 comma
2) Le valutazioni degli ETS diventano parte integrante della programmazione pubblica, l’ente pubblico deve
decidere poi a quali bisogni dare priorità. E’ solo l’ente locale che sulla base di quei dati (forniti dagli ETS),
ovvero dopo la consultazione con gli ETS radicati in quel territorio (i quali conoscono i bisogni e le esigenze),
prenderà una decisione sulle attività da fare. Quindi, quello che è importante sottolineare, come ci ha
ricordato il Tar Campania nel 2012, la partecipazione degli ETS non toglie la responsabilità all’ente locale. Il
primo vantaggio è che il comune viene a conoscenza di esigenze e bisogni che senza gli ETS non sarebbe
venuto a conoscenza, il secondo vantaggio è che gli ETS possono decidere di collaborare mettendo
anch’essi risorse finanziarie (oltre a quelle fornite dall’ente pubblico), Quindi, la giunta può dire. ‘riteniamo
che questo intervento valga 30.000 euro, ma ne mettiamo 20.000.’ Gli ETS dicono ‘ci mettiamo noi gli altri
10.000’.

La co-progettazione (art 55 comma 3) La co-progettazione è finalizzata all’individuazione, da parte della


P.A. insieme agli enti non profit, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle
modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili. Queste procedure devono sempre rispettare
i principi fondamentali dell’azione amministrativa come la trasparenza o il principio di non discriminazione
(ovvero costruisco un invito dove possono partecipare tutti i soggetti che sono potenzialmente interessati).
L’art 55 trasforma una funzione tipicamente pubblica in una dimensione condivisa con gli ETS. Attraverso la
co-progettazione gli ETS sono coinvolti nella fase di definizione delle politiche d’intervento, anche se la
responsabilità ultima rimane in capo alla P.A. La co-progettazione ai sensi del CTS può essere utilizzata per
tutte le attività dell’art 5, non più solo al sociale come definiva la legge 328. Gli enti locali possono creare un
regolamento comunale che disciplini i rapporti tra P.A e ETS (attraverso questi strumenti collaborativi).

Il numero di ETS che si mettono insieme lo decide l’amministrazione pubblica, non gli ETS?”
Risposta: ”Certo, l’amministrazione pubblica sulla base dell’offerta degli ETS. Nella manifestazione di
interesse si può anche dire che si valorizza maggiormente quei progetti risultato di aggregazione. “

Io potrei fare anche una co-progettazione bypassando la co-programmazione se conosco già benissimo i
bisogni su cui agire, anche se l’esperienza ci insegna che la co-programmazione è fondamentale per
conoscere le esigenze e i bisogni sui quali poi poter agire attraverso la co-progettazione.
Art 55 comma 3 la co-progettazione è finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di
specifici progetti di servizio o d’intervento a finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti
di programmazione di cui al comma 2. I due soggetti condividono la modalità d’intervento. La co-
progettazione innanzitutto è la definizione dell’intervento, poi penseremo a come realizzare l’attività. Al
termine del percorso collaborativo ci potrà essere un progetto verrà gestito da un raggruppamento di
organizzazioni e non per forza soltanto da una sola. Questa rete diventa il gestore di quel servizio. Si
differenzia dagli appalti perché non per forza deve vincerne uno solo. La co-progettazione è molto più
impegnativa di un appalto, sia da parte dell’ente pubblico sia da parte dell’ETS. A fine di tale percorso le
varie parti si siederanno ad un tavolo e valuteranno i risultati raggiunti, decidendo poi se proseguire oppure
no quel percorso. Ne consegue che la co-progettazione supera il tradizionale rapporto committente-
fornitore per diventare strumento di realizzazione di forme di collaborazione e partnership tra P.A. ed ETS
basate sul continuo e costante confronto e dialogo tra le parti coinvolte.

Il progetto può essere realizzato dagli enti che hanno partecipato alle fasi di co-programmazione e co-
progettazione oppure la P.A. può procedere con un confronto concorrenziale.

Con il dpcm 30 marzo 2001 che nel primo caso la coprogettazione era riservata solo al sociale e per progetti
innovativi specifici, la coprogettazione dell’articolo 55 del Codice del Terzo Settore riguarda tutte le attività
dell’articolo 5 e quello che potremmo definire anche a regime cioè la coprogettazione è utilizzabile per
definire proprio interventi di questo genere.

Nel 2016 la delibera dell’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) aveva confermato la bontà di questo
processo sancendo una delibera per le Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle
cooperative sociali. Ad un certo punto, a fine luglio del 2018, il consiglio di Stato (dopo essere stato
convocato dall’ANAC) si riunisce e afferma che la co-progettazione deve riguardare soltanto rapporti di
carattere gratuito (ma sappiamo benissimo che anche i servizi sociali implicano una certo contenuto
economico), ciò che ha fatto più scandalo è stato che secondo il consiglio di Stato l’impianto del CTS lede il
principio di concorrenza perché questo modo di agire, questo modo di coinvolgere gli enti del terzo settore
in verità non è compatibile con un disegno unitario che invece prevede che tutti possano partecipare. Quel
parere ha letteralmente congelato tali attività, bloccando tutto il percorso della riforma. Il Consiglio di Stato
è arrivato addirittura a dire all’Anac che secondo il suo giudizio siccome è primario il Codice degli Appalti
che deriva dalle direttive europee, l’art.56 che riguarda le Convenzioni, doveva essere disapplicato dal
giudice italiano perché contrario ai principi europei. In altre parole, il consiglio di Stato (organo supremo
della giustizia amministrativa) ha detto che quello che vale di più è il codice degli appalti, ovvero il codice
degli appalti è più importante rispetto al CTS.

Procedura della co-progettazione definito dall’ANAC:

- Pubblicazione di un avviso di interesse con cui si rende nota la volontà di un ente pubblico di
procedere alla co-progettazione, indicando un progetto di massima, nonché i criteri e le modalità
che saranno utilizzati per l’individuazione del progetto o dei progetti definiti ( questo non è detto
perché può essere che il progetto viene poi definito insieme all’ETS )
- individuazione del soggetto o dei soggetti partner (rispetto agli appalti in cui c’è solo un partner)
dell’ente mediante una selezione volta a valutare i seguenti aspetti: requisiti di ordine generale
tecnici, professionali e sociali. Caratteristiche della proposta progettuale. Costi del progetto (è sulla
base di quei costi che l’ente locale deciderà l’entità del rimborso che non coprirà mai tutti i costi,
ed è il motivo per cui L’ETS ci mette del suo).
- Accreditamento libero (modalità per gli enti locali di avere un database solido di enti del terzo
settore a cui attingere per poter operare attraverso la co-programmazione e coprogettazione)
- Avvio dell’attività vera e propria di co-progettazione, con la possibilità di apportare variazioni al
progetto presentato
- Stipula la convenzione (è un atto simile ad un contratto che non prevede la retribuzione)

Nel 2019, il consiglio di Stato si corregge affermando che non esistono soltanto gli appalti per l’affidamento
dei servizi sociali ma anche altri strumenti collaborativi.

L’ANAC con la delibera del 13 marzo 2019 ha detto agli enti locali che se fanno ricorso agli istituti
collaborativi non possono impostarli come appalti. Il TAR Lombardia (fece ricorso un’associazione, questa
sentenza fa riferimento ai centri antiviolenza) ha confermato tale principio perché ha richiamato un
comune che durante un programma collaborativo di co-progettazione utilizzò elementi comuni
dell’appalto, come ad esempio l’utilizzo di punteggi. Il TAR Lombardia ha confermato che la scelta degli enti
locali deve essere chiara e netta: o è un percorso d’appalto oppure un percorso collaborativo. Quando c’è
una predeterminazione degli elementi e il versamento di un corrispettivo allora ci ritroviamo nel campo
degli appalti.

Sentenza n.131/2020

E’ una sentenza che ci arriva dalla corte costituzionale, ha messo nell’angolo il consiglio di stato, la sentenza
ci dice CTS e appalti sono due mondi diversi perché negli istituti dell’articolo 55 l’obiettivo non è selezionare
un soggetto. Se proprio la P.A intenda fare delle gare d’appalto lo può far, potrà riservare la partecipazione
a taluni soggetti del Terzo settore. In definitiva, con l’intervento del giudice costituzionale si chiude un
periodo di incertezza e di ambiguità intorno al valore giuridico degli istituti di cooperazione tra enti pubblici
e ETS. Gli enti locali, le aziende del servizio sanitario, le società partecipate e tutti gli altri enti di diritto
pubblico possono (ora) senza più alibi definire i percorsi più adeguati per realizzare le finalità di cui all’art. 1
del CTS.

Decreto semplificazioni 76/2020, conferma la sentenza della corte costituzionale, dice che gli art. 55 e 56
del CTS fanno parte del patrimonio ordinario con cui gli enti pubblici possono rapportarsi con gli ETS. Gli
istituti disciplinati da quegli articoli diventano gli strumenti che naturalmente la P.A e gli ETS adottano per
definire i loro progetti, azioni ed interventi. Nel codice degli appalti con l’art 140 viene fatta rientrare la
possibilità, per alcuni servizi, di utilizzare strumenti collaborativi, in altre parole riconosce la piena
legittimazione del CTS

RICOSTRUZIONE:

1. siamo partiti da un intervento di ANAC nel 2016, che ci da delle linee guida per gli affidamenti, nate
come linee guida ( non erano cogenti, ovvero obbligatorie), elaborate perchè un anno prima il caos
di MAFIA CAPITALE.

2. Poi interviene il CTS il quale stabilisce agli art 55 e ss, che un altro mondo è possibile, per cui non
solo appalti ma anche co-progettazione e co-programmazione convezioni ed accreditamento.

3. Poi interviene il Consiglio di stato nel 2018 è dice ANAC fai capire che questi istituti non vanno
bene, perche sono contrari al principio di concorrenza. E in piu dovrebbero essere gratuiti se
proprio vogliamo dirla tutta in quanto sono del terzo settore.
4. Poi arriviamo nel 2019 il Consiglio di stato cambia idea ( cambiato il clima politico evidentamente )
e dice ad ANAC fai il tuo mestiere , stai nel tuo posto perche anac non si deve occupare del terzo
settore, perche non è appalto e in piu non hai nemmeno piu la legittimazione per farlo. ( nel
fratempo era uscita un’altra norma che aveva confinato l’anac un po nell’angolo).

5. Arriviamo nel 2020, viene pubblicata la sentenza 131, e qualche settimana fa viene pubblicato il
decreto semplificazione. E gli ultimi 2 atti, ci dicono che gli art 55 e 56 del codice del terzo settore
sono perfettamente legittimi, anzi è un invito alle pubbliche amministrazioni a farne più uso perché
non sono piu dei momenti eccezionali lasciati nell’angolo se proprio non riusciamo a fare gli appalti.
Mentre sono istituiti che hanno una propria dignità dei proprio percorsi ( legge 241 del 90).

6. Il segretario comunale che dovesse dirmi ma qual è la fonte? Ne abbiamo tantissime, abbiamo
fonti che legittimano il rapporto non di appalto tra ETS e P.A.

Anche durante la pandemia di Covid-19, enti pubblici e ETS collaborano per assicurare i livelli essenziali
delle prestazioni, ciò può trovare fondamento nell’art 48 del d.l 17 marzo 2020 n. 18 (cosiddetto “Decreto
Cura Italia”), tale decreto ha stabilito alcune norme per ri-definire i rapporti collaborativi in essere tra P.A
ed ETS. L’art 48 è finalizzato a garantire la continuità dei servizi. L’art 48 ha legittimato le P.A a dialogare
con gli ETS al fine di individuare le modalità più adeguate per rispondere ai bisogni. Possibilità di convertire i
servizi e le prestazioni standard, oggetto degli accordi tra ETS e P.A., in prestazioni e servizi a distanza;
ovvero rimodulare, tramite co-progettazioni, i suddetti servizi e prestazioni rispettando le misure protettive
sanitarie a tutela di lavoratori e utenti (ai fini del contenimento del contagio da Covid-19). A causa
dell’emergenza i progetti oggetto di dialogo formalizzato in procedure di co-progettazione, necessitano di
essere rimodulati, tarati, rivisti in base alla temporanea impossibilità di erogarli in presenza e l’obbligo di
rispettare tutte le prescrizioni in materia di contenimento del contagio. Si tratta solo di obbligazioni già
contrattualizzate, che richiedono di esser adeguate alle nuove esigenze. La priorità del legislatore è la
continuità dell’erogazione dei servizi oggetto dell’articolo 48, comma 1 del d.lgs. 17/2020. L’art. 48 prevede,
inoltre, tenuto conto delle diverse forme di collaborazione, che la P.A. riconosca agli ETS i pagamenti dovuti
anche in assenza di prestazioni.

Art 55 comma 4 Accreditamento

E’ immaginata per aiutare l’ente locale, perché l’accreditamento (cosiddetto libero) permette agli enti locali
di avere un database solido di enti del terzo settore a cui attingere per poter operare attraverso la co-
programmazione e coprogettazione. Attraverso l’accreditamento l’ente locale fa una pre-selezione, dei
soggetti del terzo settore disponibili a co-programmare e co-progettare. Allo scopo di essere efficace
devono essere previste sia verifiche periodiche in ordine ai risultati conseguiti sia verifiche del
mantenimento dei requisiti delle condizioni di accreditamento.

La mia fondazione riceve una pec, che mi dice ‘’ la sua fondazione è disponibile a partecipare al processo di
co programmazione co progettazione che eventualmente questo comune metterà in campo per i servizi e le
attività?, per poterlo fare la fondazione si impegna a dichiarare che lei ha questi requisiti quali ad esempio
essere iscritti al RUNTS ( una serie di criteri), questo modulo rinviato all’amministrazione che me l’ha
mandato e si viene inseriti in un database.
Questo elenco di soggetti accreditati viene formulato per aree, quindi ho un elenco informatizzato
(digitale) dal quale posso pescare i vari ETS disponibili per partecipare a programmi di collaborazione, per
entrare in questo elenco ci devono essere dei requisiti come ad esempio la partecipazione al Runts.

L'accreditamento istituzionale invece è il processo con il quale la Regione riconosce alle strutture sanitarie e
socio-sanitarie, pubbliche e private, la possibilità di erogare prestazioni sanitarie e socio-sanitarie per conto
del Servizio sanitario regionale.

Art 56 Convenzioni

Possono essere stipulate soltanto con le Odv e le APS iscritte da almeno 6 mesi nel Runts (oggi negli albi
regionali) per disciplinare rapporti collaborativi nella realizzazione di attività e servizi sociali di interesse
generale se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato (non si tratta solo di convenienza economica ma
anche e soprattutto di maggiori benefici che da tale scelta possono discendere a favore della comunità
locale). La P.A. non deve selezionare le OdV e le APS su base concorrenziale ma considerando le proposte
progettuali, La scelta delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale con cui
stipulare la convenzione non può derivare da scelte arbitrarie dell’amministrazione, ma deve rispettare
i principi di imparzialità, pubblicità, trasparenza, partecipazione e parità di trattamento. Le convenzioni
possono prevedere soltanto il rimborso delle spese, nessun tipo di corrispettivo. Il soggetto per essere
convenzionato deve rispettare determinati principi (descritti al punto 3 dell’articolo) come ad esempio il
rispetto all’assenza di specifici reati commessi dagli amministratori. La procedura non è meno complessa e
articolata rispetto alla procedura dell’appalto, perché ci sono moltissimi principi da rispettare.

Nello specifico, l’ente pubblico si impegna a conferire le risorse concordate (economiche, strumentali,
spazi, di personale, ecc.) e l’ente del terzo settore a svolgere le attività.

A seguito di una raccomandazione da parte dell’Antitrust è stato inserito nell’art 56 “se più favorevoli
rispetto al ricorso mercato“. Questa è una scelta politico amministrativa, più favorevoli non intende
l’aspetto economico ma anche quello sociale. Questa scelta richiede una adeguata motivazione. Cosa
significa allora “più favorevole”? Se “favorevole” fosse stato identificato con il termine “conveniente”
avremmo pensato solo al dato economico – quindi avremmo ragionato in una logica di risparmio di spesa.
“Più favorevoli” tuttavia significa fare delle considerazioni anche di carattere sociale – di impatto. Potrebbe
anche costare di più, per es. perché l'inserimento nel processo produttivo di una persona svantaggiate
costa di più.

La convenzione rimane una facoltà e non un obbligo, è stato precisato che stiamo parlando di un certo tipo
di servizi.

Durante questi processi di collaborazione ci deve essere un monitoraggio e una valutazione in itinere delle
attività e dei risultati raggiunti, in caso di comportamenti errati o illegittimi la verifica può portare anche
all’annullamento della collaborazione. il CTS identifica alcuni strumenti (quali, per tutti, la misurazione
dell’impatto sociale delle attività svolte e realizzate) che può, unitamente agli altri controlli invalsi
all’interno delle singole pubbliche amministrazioni, costituire un efficace strumento per monitorare
l’andamento delle attività oggetto delle convenzioni. Ciò non accade invece nella procedura degli appalti.
Nel caso dei requisiti che potrebbero venire a mancare, nelle convenzioni, hanno una spia che si accende
subito proprio per il monitoraggio continuo.

L’art 56 prevede convenzioni dirette soltanto per quelle attività per le quali si possa dimostrare l’assenza di
un mercato contendibile.

La concezione della convenzione, differisce dal contratto – da quello di appalto in particolare – perché non
ha il corrispettivo in sé. È importante quindi indicare tutto ciò che è capacità e obbligo (es. il Comune è
obbligato a rimborsare le spese). Rimborso delle spese effettivamente sostenute.
Gli elementi che devono essere rispettati nelle convenzioni sono tantissimi. Sono impegni che quantomeno
equivalgono le condizioni che bisogna rispettare in un appalto:

– obbligazioni

– oggetto del servizio

– modalità che assicurino i diritti degli utenti

– definizione degli standard organizzativi

– il contenuto e la modalità dell'apporto dei volontari

– l'assicurazione dei volontari

– la durata del rapporto

– le forme di verifica

– la modalità di rimborso

– coperture assicurative (normalmente coperte dalle regioni).

La RTS ha inteso prevedere plurimi rapporti tra P.A. ed ETS, considerando l’appalto un’ipotesi residua. Tali
diverse modalità collaborative sono individuate nell’art. 55 del CTS, il quale conferma e allarga l’impianto
normativo della l. 328/00 e del d.p.c.m. 30/03/2001. La RTS lascia ampio spazio di manovra alle regioni, a
questo proposito è bene analizzare la l.r. Toscana del 22/07/2020 n. 65 recante “Norme di sostegno e
promozione degli ETS toscani”. Questa legge ha inteso ribadire il perimetro di azione degli ETS indicando
nella co-programmazione, co-progettazione e convenzionamento diretto gli strumenti a disposizione della
P.A. per la definizione di percorsi, azione interventi degli ETS. Altro aspetto importante della l. Regionale
riguarda le disposizioni sui rapporti tra P.A. ed ETS (contenute nel Capo IV): art 9, c. 1 dispone che gli enti
pubblici devono assicurare il coinvolgimento degli enti non lucrativi, confermando che la collaborazione con
questi ultimi non è un “second best” bensì la modalità ordinaria di partnership; La legge prevede che gli ETS
possano formulare proposte progettuali al pari dell’iniziativa pubblica. Questo potere di iniziativa era già
concesso ma nella pratica poco applicato. Inoltre la legge regionale individua i principi che devono
informare la relativa procedura, tra i quali la durata del partenariato che è elemento fondamentale della
configurazione giuridica della co-progettazione in particolare per le valutazioni in itinere e al termine.

La convenzione in senso lato indica il rapporto tra un ente pubblico e un ente non profit (anche prima della
RTS), la RTS specifica la nozione di convenzione, l’art 56 caratterizza solo odv e aps e riguarda quelle attività
in cui l’ente pubblico può dare soltanto il rimborso delle spese.

Dopo il percorso di co-progettazione la P.A stipulerà una convenzione, che può non essere solo il rimborso
delle spese ma può tenere anche altre voci di spesa che riguardano per esempio l’erogazione di quel
servizio. Mentre la P.A nell’art 56 sa già i contenuti di servizi presenti nel territorio, mentre nell’art 55 la P.A
e gli ETS non sanno gli esiti del percorso. Nell’art 55 la convenzione disciplina un rapporto che viene
costruito progressivamente, nell’art 56 le convenzioni riguardano attività servizi o interventi che sono già
presenti nel territorio, per l’art 56 l’ente locale è più avvantaggiato perché conosce già i bisogni.
Art 57 Trasporto sanitario di emergenza e di urgenza

Solo ed esclusivamente per il trasporto sanitario di emergenza e urgenza quella OdV può essere
convenzionata direttamente dalle regioni attraverso le ASL. In moltissimi territori del nostro paese le OdV
fanno anche il trasporto sociale (tipo trasporto di persone anziane però non di urgenza e di emergenza), ciò
non può essere soggetto di un percorso di convenzione diretto con le OdV, dal punto di vista del mercato il
trasporto sociale potrebbe avere altri enti volti a partecipare al servizio. Se è soltanto una prestazione di
trasporto, il trasporto è un tipico servizio a mercato (quindi volta all’appalto), ciò vuol dire che possono
partecipare anche altri enti. Possiamo vedere che il trasporto sanitario di urgenza ed emergenza è
disciplinato sia nel Codice dei contratti pubblici sia nel CTS

I servizi di trasporto sanitario di emergenza ed urgenza possono essere, in via prioritaria, oggetto di
affidamento in convenzione alle organizzazioni di volontariato, iscritte da almeno sei mesi nel Registro
unico nazionale del Terzo settore, aderenti ad una rete associativa ed accreditate ai sensi della normativa
regionale.

Il servizio di trasporto sanitario di emergenza e urgenza trova un fondamento normativo espresso nell’art
57 del CTS, laddove si legge che l’attività in parola può costituire “in via prioritaria” oggetto di affidamento
diretto in convenzione alle organizzazioni di volontariato iscritte da almeno sei mesi nel Runts, aderenti ad
una rete associativa ed accreditate ai sensi della normativa regionale. “In via prioritaria” è stato scritto per
evitare che l’ente sanitario nazionale dovesse chiamare gli OdV solo nei casi di emergenza e urgenza e non
per trasporto sociale. Ancora oggi questa è una materia da affrontare perché secondo la legge le OdV
hanno una convenzione diretta solo per servizi di trasporto sanitario di emergenza e di urgenza. L'art. 57
dice con chiarezza che vale esclusivamente per i servizi di trasporto sanitari di urgenza ed emergenza. Il
problema che potrebbe sorgere ed è sorto si verifica nel momento in cui le associazioni fanno entrambe i
trasporti: trasporto sanitario di emergenza e urgenza e trasporto sociale.

Tale principio può essere ritrovato all’interno di alcune sentenze come ad esempio quella del TAR Puglia del
29 Giugno n 537.

Una o più ETS si può rivolgere al comune per avviare progetti collaborativi, la proposta non deve essere
per forza essere dichiarata dall’ente pubblico, l’iniziativa può avvenire anche dall’ETS.

Concessione in uso di edifici e locali pubblici

L’ordinamento giuridico italiano conosce da tempo la possibilità che gli enti pubblici concedano in uso
gratuito propri spazi a favore di organizzazioni non profit, in linea con questa previsione gli art 70 e 71 CTS
delineano un quadro giuridico favorevole alla concessione di beni pubblici da parte degli enti locali agli ETS.
Ne consegue che gli enti locali possono, per un periodo massimo di 30 anni, concedere in comodato beni
mobili e immobili di proprietà agli ETS, escludendo le imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività
produttive. Gli ETS che operano in ambito culturale, a fronte della presentazione di un progetto, possono
utilizzare gli spazi pubblici per la durata massima di 50 anni.

I titoli giuridici che abilitano gli ETS a collaborare con la P.A.

L’autorizzazione risulta essere il provvedimento con cui viene consentito l’esercizio di attività sanitarie a
soggetti pubblici e privati. La validità dell’autorizzazione è soggetta a verifiche periodiche. L’autorizzazione è
il titolo abilitativo che deve essere posseduto dalle strutture private che intendono erogare prestazioni
socio-sanitarie. L’autorizzazione al funzionamento costituisce il primo livello di inserimento delle strutture
private nel sistema di welfare socio-sanitario.
L’autorizzazione segue un duplice percorso, che coinvolge, da un lato , i Comuni e, dall’altro, le Regioni. Il
Comune è responsabile di valutare la conformità dell’attività proposta alle norme urbanistiche ed edilizie
autorizzando l’esercizio dell’attività. Le Regioni invece devono valutare le compatibilità dell’attività da
svolgere con il fabbisogno socio-sanitario complessivo, le Regioni inoltre devono controllare i requisiti di
abitabilità e di igiene dei locali da adibire all’attività e la professionalità degli operatori coinvolti. In altre
parole, Comuni e Regioni sono chiamati a collaborare al fine di ”immettere” nel sistema strutture affidabili.
L’autorizzazione ha natura strettamente personale, essa non può essere liberamente ceduta.

L’accreditamento, come già esplicitato, è il provvedimento con il quale viene riconosciuto, alle strutture già
in possesso di un’ autorizzazione, lo status di potenziali erogatori di prestazioni sanitarie nell’ambito e per
conto del Servizio Sanitario Nazionale. L’accreditamento socio-sanitario segue necessariamente
all’autorizzazione. Ma mentre l’autorizzazione non richiede necessariamente l’accreditamento ,
l’accreditamento implica necessariamente l’autorizzazione.

l’iter procedurale di accreditamento:

 Autorizzazione alla realizzazione: la realizzazione di nuove strutture sanitarie e sociosanitarie è


subordinata all’autorizzazione del comune.

 Autorizzazione all’esercizio: possesso dei requisiti minimi

 Accreditamento: erogazione di attività sanitarie per conto del Servizio Sanitario Nazionale

 Accordi contrattuali: la regione e le aziende sanitarie locali definiscono accordi con soggetti pubblici
e contratti con soggetti privati relativamente ai servizi sanitari che questi potranno offrire.

I soggetti autorizzati che vogliono operare nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale, possono presentare
istanza di accreditamento alla regione di appartenenza. . L’accreditamento istituzionale è rilasciato dalla
Giunta Regionale a chi ne fa richiesta entro 30 giorni dalla domanda, purché il richiedente possieda i
requisiti (L'accreditamento istituzionale viene rilasciato a seguito dell'attestazione del possesso dei requisiti
organizzativi di livello aziendale (di cui all'all. D al Reg. n.79/R) e dei requisiti di processo, comuni e
specifici.

L’accreditamento istituzionale è il riconoscimento, da parte della Regione, della possibilità che un soggetto,
già autorizzato all’erogazione di prestazioni sanitarie, possa svolgere la propria attività per conto del
Servizio Sanitario Nazionale (SSN). L’accreditamento è un percorso obbligatorio per le strutture pubbliche
(ASL, Aziende Ospedaliere), è invece facoltativo e volontario per i soggetti privati che però, se privi di
accreditamento, non possono erogare le prestazioni in convenzione con il SSN. Ottenere l’accreditamento,
tuttavia, non consente automaticamente di ottenere il diritto, per il soggetto privato accreditato, di
svolgere prestazioni per conto del SSN; è infatti necessario che intervenga, fra soggetto accreditato e
Azienda Sanitaria/Ospedaliera un accordo che specifichi tempi, costi, modalità e quantitativi di prestazioni
erogabili in convenzione con il SSN. Senza questo ulteriore passaggio contrattuale, l’essere accreditati
garantisce al soggetto privato solo una potenzialità e non un diritto al convenzionamento. L’accreditamento
istituzionale non è attribuito a tutte le prestazioni erogate da una struttura sanitaria, ma solo alla struttura
organizzativa funzionale per il quale è richiesto. Nella stessa struttura sanitaria, pertanto, possono
convivere sia unità organizzative accreditate (e quindi convenzionabili con il SSN) che altre semplicemente
autorizzate (e quindi eroganti prestazioni a pagamento a totale carico del paziente). L’accreditamento
istituzionale ha validità per 5 anni e può essere rinnovato, su richiesta, con la stessa procedura con cui è
stato rilasciato la prima volta. In attesa del rinnovo la struttura sanitaria accreditata continua comunque ad
operare in regime di proroga senza alcuna interruzione del servizio. L’eventuale decisione della P.A. di
revocare l’accreditamento implica il riconoscimento di un risarcimento a favore della parte privata.
L’accreditamento garantisce i livelli essenziali delle prestazioni.

Quindi l’accreditamento istituzionale è quell’accreditamento che consegue ad una valutazione


discrezionale dell’ente regione.

Perche discrezionale ? perche deve verificare il fabbisogno, vi deve essere una corrispondenza tra
fabbisogno regionale e strutture accreditate.

Il sistema binario costituito da autorizzazione e accreditamento è stato recepito anche nella riforma
dell’assistenza del 2000: la l. 328 ha inteso estendere l’istituto dell’autorizzazione e dell’accreditamento dal
settore sanitario anche a quello sociale.

Carta di servizi e contratto di servizi

L’ordinamento giuridico prevede in capo ai soggetti erogatori, l’obbligo di sottoscrizione del contratto di
servizio e l’adozione della carta dei servizi sociali

La Carta dei servizi è il mezzo attraverso il quale qualsiasi soggetto che offre un servizio di interesse
generale (può essere sia P.A che soggetto privato) individua gli standard della propria prestazione,
dichiarando i propri obiettivi e riconoscendo specifici diritti al cittadino. Ogni ente erogatore deve fornire ai
propri utenti questo documento dove sono descritti finalità, modi, criteri e strutture attraverso cui il
servizio viene attuato, diritti e doveri, modalità e tempi di partecipazione. La Carta è anche lo strumento
fondamentale con il quale si attua il principio di trasparenza, attraverso la esplicita dichiarazione dei diritti
e dei doveri sia del personale, sia degli utenti. Attraverso la carta dei servizi0, gli utenti-consumatori-
beneficiari sono in grado di conoscere in modo trasparente le attività e i processi decisionali degli enti
erogatori. Tramite la carta dei servizi, l’ente erogatore assume una serie di impegni, le previsioni contenute
nelle carte dei servizi vincolano l’ente erogatore a rispettare determinati livelli di prestazioni
nell’erogazione del servizio a favore degli utenti. Essa trova il proprio fondamento normativo nell’art. 13
della legge 328/2000, la quale ne prevede l’obbligo di adozione per ciascun ente erogatore dei servizi di
welfare. Per ultimo, la carta dei servizi prevede per gli utenti la possibilità di attivare ricorsi nei confronti dei
responsabili preposti alla gestione dei servizi. La carta dei servizi è condizione necessaria per essere
accreditati.

contratto di servizio è uno strumento giuridico che si ha sempre quando c’è in ballo un rapporto tra un
ente pubblico e un soggetto privato che eroga un servizio. Dunque, se il comune di Forli affida alla propria
società in house la gestione dei rifiuti (Hera), con quella società l’ente sottoscrive un contratto di servizio in
cui ci dev’essere scritto: il servizio (di che cosa stiamo parlando), le tariffe, le modalità (per esempio se
parliamo di rifiuti dobbiamo indicare se è porta a porta differenziata ecc.), professionalità richieste. Mentre
la carta dei servizi è intesa quale presidio della qualità, efficienza ed efficacia del servizio erogato, in specie
nei confronti del cittadino-utente, il contratto di servizio disciplina e regola il rapporto tra l’organizzazione
affidataria di quel servizio e l’ente locale affidante. Si può definire contratto di servizio il contratto mediante
il quale un ente pubblico affida ad un erogatore (il gestore) lo svolgimento di determinati servizi pubblici,
con contestuale trasferimento di pubbliche funzioni, nonché di beni pubblici strumentali allo svolgimento
del servizio affidato. Il contratto di servizio non contiene soltanto i diritti e gli obblighi delle parti: esso deve
anche bilanciare prestazioni e risorse disponibili.

Adesso possiamo recuperare tutto quello che abbiamo detto, trattasi di ETS autorizzato, accreditato con il
quale conseguentemente l’ente regione a mezzo dell’azienda sanitaria stipula un contratto, un accordo
contrattuale. In quel contratto saranno scritti tutti gli elementi necessari. Questo contratto è un contratto
con il quale l’ente pubblico che ha riconosciuto come accreditata quella struttura, conferisce Cioè disciplina
I dettagli di regolazione di quell’attività che rimane però con una forte impronta pubblicistica.
La responsabilità ai sensi del decreto legislativo 231/2001

Nel nostro ordinamento giuridico la pena è individuale: chi si macchia di un reato è una persona fisica. Nel
corso degli ultimi decenni si è riflettuto sul fatto che alcune persone possono agire dentro
un'organizzazione non tanto e non solo in modo illecito, ma lo fanno in quanto agiscono per arrecare un
vantaggio all'organizzazione a cui appartengono – fanno quindi qualche cosa di illecito per procurare un
vantaggio/beneficio/utilità all'organizzazione alla quale appartengono. Il d.lgs. n 231/2001 mira a evitare e
sanzionare comportamenti non etici. Il modello 231 si applica anche agli ETS in quanto possono svolgere
attività economico-imprenditoriale (NB: il modello 231 è inoltre applicabile anche alle associazioni non
riconosciute).

se la pena è personale e individuale come si può giudicare colpevole l'organizzazione?


Attraverso l’introduzione del modello 231 anche le organizzazioni possono essere ritenute colpevoli (Per
esempio la condanna della ThyssenKrupp (gli amministratori tedeschi della ThyssenKrupp sono stati ritenuti
colpevoli perché anni fa alcune persone sono rimaste uccise in un processo lavorativo, fa riflettere che essi
siano stati condannati ai sensi di questo decreto legislativo ma che magari non erano neanche lì al
momento dell'accaduto, oppure esempio della monte di paschi di Siena condanna per aggiotaggio e false
comunicazioni ha da una parte condannato i direttore della mps e dall’altra ha invece apportato una
sanzione di 800.000 euro alla mps). Questo decreto prevede la responsabilità degli enti giuridici non
soltanto delle società, ma anche delle associazioni, fondazioni, ETS (tant'è che il CTS lo prescrive), perché
sono ritenuti – al pari di una società – responsabili di quello che può accadere all'interno
dell'organizzazione. Quella responsabilità penale individuale volta ad apportare beneficio all’organizzazione
diventa una responsabilità oggettiva e quindi si mette la responsabilità in capo all’organizzazione (ovvero il
presidente). Ma il presidente viene chiamato a rispondere per l’organizzazione. La sanzione interdittiva
viene applicata non al presidente ma alla organizzazione. È un doppio livello di responsabilità, cioè
l’ordinamento con il decreto leg 231 ha ammesso alla pena una realtà che prima sfuggiva ovvero
l’organizzazione.

Il modello di organizzazione e gestione (o "modello ex d. lgs. n. 231/2001), ai sensi della legge italiana,
indica un modello organizzativo adottato da persona giuridica, o associazione priva di personalità giuridica,
volto a prevenire la responsabilità penale degli enti. Tutte le aziende, anche le piccole imprese, se
ritengono di essere esposte al rischio di contestazione delle violazioni citate nella norma, possono adottare
un modello di organizzazione e gestione 231. Il modello 231, se correttamente applicato, permette all’ente
di tutelarsi e di chiarire il grado del proprio coinvolgimento in un illecito, senza rischiare pesanti
conseguenze qualora la responsabilità fosse della persona fisica.

cosa bisogna provare?

- Innanzitutto che ci sia un soggetto, una persona fisica, che abbia un rapporto con l'ente e che
questa persona svolga un'attività a favore dell'ente per poter provare la responsabilità
amministrativa oggettiva in capo all'amministrazione.

Prima di aver commesso il reato l'organizzazione deve poter dimostrare di aver adottato delle misure
idonee a prevenire. I modelli delle misure di prevenzione devono essere non solo adeguati ma anche
idonei.
L'organizzazione deve aver provato anche di aver vigilato sul funzionamento e l'osservanza di questi
modelli: non è sufficiente dichiarare di aver adottato delle misure preventive; le quali magari sono state
adottate 10 anni fa e nel frattempo il mondo è cambiato. Bisogna quindi dimostrare di aver monitorato,
supervisionato, aggiornato il modello.
Vigilanza sul funzionamento vuol dire che il modello deve prevedere anche l'organismo di vigilanza,
quindi di aver affidato la supervisione ultima del modello a un organismo dotato di poteri di
indipendenza, autonomia e professionalità.
Il modello non è obbligatorio e deve essere adeguato alle esigenze della struttura.
I reati possibili possono essere: Delitti contro la pubblica amministrazione (corruzione ai danni dello stato),
reati societari (false comunicazioni sociali), ricettazione e riciclaggio di denaro, corruzione tra privati.
Qual è il rischio?
• Sanzioni pecuniarie molto alte,

• sanzioni interdittive, significa che il giudice dichiara che quell'organizzazione per almeno 5 anni non
può più contrarre accordi con la PA.

• confisca dei beni (integrale o parziale)

Quali sono i benefici dell'adozione di un modello 231?


1. migliora la reputazione degli ETS nei confronti della comunità
2. migliora l'organizzazione interna → si riducono tanto i dispendi di energia
3. migliora i controlli interni

chi l’organo all’interno di un ETS che si deve preoccupare che il modello 231 sia implementato? I revisori
cioè l’organo di controllo. ( NON CONFONDETE CON L’ORGANO DI VIGILANZA).
L’organo di controllo è l’organo interno, che noi sappiamo essere obbligatorio nelle fondazioni e per le
associazioni una volta che scattano una certa soglia dimensionale.
Quindi la scelta che ha fatto il legislatore nella riforma è quello di affidare ai revisori contabili la verifica
sull’adeguatezza del modello.

I due organi devono dialogare (organo di controllo e organo di vigilanza), devono coordinarsi come previsto
da molti modelli per verificare quali sono le situazioni. Ad esempio ‘’ l’organo di controllo nella verifica di
cassa, si accorge di avere delle entrate non documentante o delle fatture false… fatturazioni per servizi non
resi… ho fatto 3 fatture al comune di forli ( mi sono messo d’accordo) per servizi che non ho mai prestato’’
l’organo di controllo è il primo che va a verificare, lo segnala immediatamente all’organismo di vigilanza il
quale ha il dovere di intervenire e di segnalare alla giustizia.

Il modello 231 diventa una condizione per ottenere degli incentivi.

Quanto più le organizzazioni, gli ets, si auto organizzano in termini di prevenzione dei reati, e quindi hanno
delle procedure efficienti ed efficaci , tanto meno è il costo della pubblica amministrazione. Cioè e come se
la P.A Scaricasse taluni costi sull’auto responsabilità di codici etici codici condotti ecc..

Tu hai il modello 231 e ti considero più affidabile, la P.A sarà maggiormente disposta a collaborare con
quegli enti che adottano tale modello.
Attraverso il modello 231 le organizzazioni adottano un sistema di controlli e procedure interne il cui scopo
ultimo è quello di impedire ovvero di sanzionare i comportamenti organizzativi difformi dalla legge, dalla
corretta politica aziendale o che non siano aderenti all’etica economica.

La locuzione “in house providing” è utilizzata per designare quelle ipotesi nelle quali la pubblica
amministrazione decide di ricorrere all'autoproduzione di beni, servizi e lavori, anziché rivolgersi al
mercato rispettando procedure di evidenza pubblica

Potrebbero piacerti anche