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IL DIRITTO URBANISTICO TRA DIRITTO PUBBLICO E DIRITTO PRIVATO,

IL DIRITTO URBANISTICO TRA DIRITTO ED ECONOMIA

DISTINZIONE TRA DIRITTO PUBBLICO E PRIVATO


Il diritto pubblico è quella parte del diritto finalizzata a regolare questioni attinenti alla collettività nei
diversi rapporti che si possono instaurare tra Stato e cittadini; in quanto tale il diritto pubblico si contrappone
a quello privato, che invece è finalizzato a regolare i rapporti interpersonali.
Definizione: Il diritto urbanistico è la classica materia difficile da collocare in una di queste due categorie:
infatti da un lato gli interessi in gioco sono sia di natura privata che pubblica, dall’altro i destinatari delle
alternative finalizzate a regolamentare la materia sono talvolta soggetti privati, talvolta pubblici.
Nel diritto urbanistico trova spazio anche la componente “contrattualistica”, che è condizionata però da
diverse legislazioni come le leggi europee, nazionali e regionali e da altre diverse normative territoriali
come il PGT. Il contratto è quella manifestazione di volontà finalizzata a disciplinare le relazioni giuridiche
tra due o più parti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, ma anche nella singola sfera di
autonomia di ciascuna delle parti.
IL GOVERO DEL TERRITORIO NELL’AMBITO DEL SISTEMA ECONOMICO
La Costituzione non sposa né il modello capitalistico, né il modello collettivista o comunista, quindi
praticamente sposa quello misto o keynesiano. Il modello collettivista è di ideologia comunista o di
socialismo reale e l’iniziativa economica è esclusivamente pubblica partendo dal presupposto che la
proprietà è pubblica, quindi è lo Stato che decide quali beni e sevizi produrre senza lasciare alcuno spazio
all’iniziativa privata. Il capitalismo puro al contrario ammette soltanto l’intervento privato in economia,
ovvero la libera iniziativa escludendo qualsiasi ruolo dello Stato in ambito economico.
Negli anni’30 a seguito della crisi del ‘29 si comprese che il modello capitalistico puro non avrebbe avuto
possibilità di affermarsi completamente, cominciò a farsi strada una terza via propugnata in particolare
dall’economista Keynes. Egli teorizza la necessità di un modello economico misto a metà tra il capitalismo
puro e il collettivismo, in cui ci possa essere sia l’intervento pubblico che privato, cosi come la proprietà, sia
pubblica che privata. Nei decenni successivi, in particolare con la caduta del muro di Berlino, anche il
modello collettivista è imploso dimostrando la sua incapacità a dare soluzioni concrete alle relazioni
economiche all’interno di uno Stato. Infine, la recente crisi economica iniziata nel 2008 e purtroppo non
ancora superata che coinvolge la maggior parte dell’economie del pianeta dimostra ancora una volta come
Keynes avesse ragione.
In Italia questo modello fu applicato già nel ’48 con la Costituzione per svariate ragioni. La scelta di sposare
il modello misto attuata dalla costituente (art. 41, 42, 43) si giustifica per più motivi: da un lato ha avuto
sicuramente una influenza decisiva l’assenza di un’ideologia o una posizione culturale predominante, quindi
dovendo trovare un compromesso tra i diversi filoni culturali alla fine si determinò la scelta per un modello
misto. Un’altra ragione è riconducibile alla sfera economica del nostro Paese: dall’inizio del XX secolo e
anche durante la dittatura fascista in Italia si sono sostanzialmente create le condizioni di un’economia sia
pubblica che privata, ovvero mista. Il cosiddetto capitalismo corporativo realizzato dal fascismo, pur tra
mille contraddizioni derivate dal carattere del regime fascista, è stato una sorta di tentativo di terza via, tanto
è vero che, ad esempio, ha realizzato un grande piano di intervento pubblico a sostegno delle economie
private attraverso la creazione dell’IRI (Istituto di Ricostruzione Industriale).
Oggi dobbiamo chiederci se ha ancora senso parlare di un sistema economico nazionale. Probabilmente la
risposta più giusta è che l’economia globalizzata impone delle esigenze diverse che non possono essere
affrontate dai singoli Paesi. È probabilmente giunto il momento di proiettare in avanti questo problema
individuando come unica soluzione possibile quella di realizzare un sistema economico europeo capace di
confrontarsi con le grandi economie che caratterizzano il nostro secolo. Se dovesse mancare questa unione,
altissimi sono i rischi di una disgregazione economica e sociale. Il settore del governo del territorio, in
particolare, è un settore in cui è del tutto evidente come gli interessi pubblici e privati, cosi come l’intervento
pubblico e privato è necessario che coesistano. Le esigenze della collettività, la tipologia di interessi
economici presenti portano inevitabilmente a soluzioni di tipo misto, nelle quali occorre trovare la migliore
sinergia possibile tra il settore pubblico e privato. In sintesi il settore del governo del territorio richiama per
definizione un quadro di economia mista: la difficoltà sta nel capire quali sono i migliori strumenti e le
strategie possibili per fare coesistere al meglio pubblico e privato.
LA STORIA DEL DIRITTO URBANISTICO
Il diritto urbanistico, come già detto, può definirsi disciplina a contenuto oggettuale nel senso che si occupa
di materie e forme di tutela riconducibili al diritto amministrativo, ma anche al diritto civile e a quello
processuale. L'urbanistica non è soltanto tecnica e cultura del territorio e delle sue trasformazioni ma è anche
una funzione pubblica tra le altre esercitate dai pubblici poteri.
Pianificazione: il termine indica una tecnica di ordinazione di un'attività, riferita ad un oggetto e a degli
obiettivi prefigurati, sulla base di criteri temporali e/o spaziali. Risolvendosi in una tecnica è agevole
comprendere che la pianificazione assume connotati giuridici solo ove ciò sia prescritto da una norma. I
principali ambiti di attività cui essa si applica, dal punto di vista dei pubblici poteri, sono l'economia ed il
governo del territorio.
DISTINZIONE TRA PIANIFICAZIONE E PROGRAMMAZIONE
Non è possibile operare una netta distinzione fra “pianificazione” e “programmazione”; nonostante
l'ambiguità dei termini e l'uso spesso promiscuo che di essi viene fatto va però notato che nella prassi
l'espressione programmazione, è per lo più riferita alle risorse economiche, secondo un criterio ordinatore
temporale, mentre il termine pianificazione è prevalentemente usato con riferimento a beni fisici, sulla base
di un criterio ordinatore spaziale.
CENNI SULL’EVOLUZIONE STORICA
A differenza della programmazione economica, che è fenomeno prevalentemente di questo secolo, la
pianificazione urbanistica si è sviluppata in particolare nella seconda metà dell'Ottocento sotto la spinta
dell'urbanesimo e la necessità di governare l'espansione degli insediamenti provocata dalla rivoluzione
industriale e, conseguentemente, sulla base del nuovo rapporto determinatosi tra città e campagna.
COME NASCE L’URBANISTICA MODERNA E CONTEMPORANEA
Le tappe principali di questo percorso sono:
a) le prime leggi urbanistiche di natura prettamente igienico-sanitaria (Public Health del 1948, in
Inghilterra; legge Melun 1850, in Francia);
b) la rivalutazione del regolamento edilizio, pur in un'ottica ancora dominata dall'intangibilità del diritto
di proprietà, nell'intento di disciplinare le altezze e le distanze tra le costruzioni, i distacchi, gli
allineamenti, gli standards igienico-ambientali;
c) l'affermarsi dell'urbanistica moderna, basata principalmente sulla suddivisione di tipo funzionale del
territorio urbano (zoning).
La fase, che segna la nascita e lo sviluppo del periodo più maturo dell'urbanistica moderna, è caratterizzata:
 da una opportuna valutazione dei rapporti tra centri urbani e territorio;
 da una più spiccata valorizzazione del ruolo dei pubblici poteri nei confronti della proprietà privata
(art. 42, co. 2, Costituzione);
 da una più raffinata articolazione del sistema della pianificazione urbanistica attraverso diversi livelli
di piani sovra-ordinati, sotto-ordinati o equi-ordinati.
LA LEGGE FONDAMENTALE
La legge urbanistica fondamentale 17 agosto 1942, n. 1150, elaborata da un'apposita commissione
governativa già tra il 1932 e il 1933, segna il passaggio da una disciplina urbanistica embrionale e
frammentaria, sostanzialmente basata sulle prescrizioni dei regolamenti edilizi e delle licenze nonché sullo
strumento, oneroso e poco proficuo, dell'espropriazione per pubblica utilità (legge 25 giugno 1865, n. 2359),
ad una disciplina urbanistica assai più matura, incisiva e innovativa rispetto alla stessa cultura giuridica.
Lo scopo della legge è quello di disciplinare non solo l'assetto e l'incremento edilizio dei centri abitati ma
anche “lo sviluppo urbanistico in genere nel territorio” sicché già si afferma una concezione normativa
dell'urbanistica avente per oggetto il territorio e non soltanto lo sviluppo dei centri urbani. Il principale
fine della legge era quello di sottrarre lo sviluppo urbano dalle mani dei privati per ricondurre nell'ambito
dell'attività dei pubblici poteri il governo degli interessi economici, sociali e culturali insediati sul territorio
anche a costo di oltrepassare la soglia della tradizionale concezione dell'intangibilità della proprietà privata.
FATTORI DI CRISI DEL SISTEMA DELINEATO DALLA LEGGE 1150/1942
Le cause: ciò che in concreto è avvenuto è noto: è fallita l'articolazione del sistema di comandi, dai piani
regionali e dai piani territoriali di coordinamento (inattuati) agli strumenti urbanistici generali ed ai piani
esecutivi. In sostanza, si è avuta una progressiva concentrazione della strumentazione attorno al piano
regolatore generale che ha finito per riassumere i connotati propri di mappa delle destinazioni generali e
degli usi territoriali e quelli di normazione prescrittiva e di dettaglio. Si è determinato un uso eccessivo
dell'espropriazione. Si è avuta inoltre una sostanziale modifica dei rapporti intercorrenti tra previsione
urbanistica e attuazione nel senso che i lunghi tempi necessari per l'esecuzione degli interventi e le difficoltà
che si registrano nella prassi (flussi finanziari, individuazione degli operatori, contenzioso giurisdizionale
ecc.) fanno sì che spesso nel momento dell'attuazione la realtà risulti mutata e l'assetto degli interessi
coinvolti, differente rispetto al momento della previsione.
IL DIRITTO URBANISTICO E LA COSTITUZIONE
Prima della Costituzione alla materia urbanistica corrispondeva la sola attività concernente l’assetto e
l’incremento edilizio dei centri abitati. Con la Costituzione si delinea la nozione di “urbanistica” ai sensi
dell’art. 117 (delineamento della competenza concorrente). Con la riforma del Titolo V della Costituzione si
è avuto un ampliamento della nozione, a cui si accompagna la sostituzione del termine urbanistica con
quello di governo del territorio.
Si possono evidenziare due caratteristiche di questa riforma:
1. La competenza regionale concorrente si affianca a quella esclusiva dello Stato, disegnando una
normativa uniforme, nei principi, a tutto il territorio nazionale e in parte differenziato,
nell’attuazione, a seconda delle Regioni.
2. Il territorio non può essere oggetto di una sola disciplina ma di una pluralità di discipline pubbliche
volte ad assicurare al tempo stesso la conservazione e la trasformazione, la fruizione pubblica e
l’ottimale utilizzazione da parte dei singoli proprietari.
DALL’URBANISTICA AL GOVERNO DEL TERRITORIO
La disciplina dell’uso e della trasformazione del territorio viene denominata “governo del territorio” dall’art
117 C. e inserita nelle materie di potestà legislativa concorrente delle Regioni, che sono tenute a rispettare i
principi fondamentali desumibili dalle leggi statali.
La legge più importante in materia di governo del territorio è la L. n. 1150 del 17 agosto 1942;
Modifiche ed integrazioni furono introdotte con la L. n. 765 del 6 agosto 1967 (legge Ponte:
integrazione legge 1150, introduce limiti di edificabilità, piano di lottizzazione); a cui segue Decreto
interministeriale n. 1444 del 2 aprile 1968 attuativo degli standard urbanistici. La L. n. 1187 del 19
novembre 1968 si occupò, a seguito di una pronuncia della Corte Costituzionale, dei vincoli
espropriativi;
Riforma del 28 gennaio 1977 n. 10 (legge Bucalossi: diritto di proprietà ──> prima di questa
legge si considerava il diritto di edificare intrinseco al diritto di proprietà; oggi per poter edificare
bisogna prima ottenere il permesso di costruzione);
La L. 28 febbraio 1985 n. 47 riscrive il sistema sanzionatorio e i condoni edilizi ──> prima legge
del condono edilizio;
Con il D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 è stato approvato il Testo Unico dell’edilizia, cioè di quella
parte dell’urbanistica che disciplina l’attuazione dei singoli interventi di trasformazione immobiliare;
Testo Unico sulla espropriazione per pubblica utilità (D.P.R. 8 giugno 2001 n.327);
D. Lgs. 50 del 2016: codice degli appalti pubblici, che ha integrato il D. Lgs. 12 aprile 2006,
n.163);
Per ciò che riguarda il paesaggio, è indispensabile ricordare la legge Galasso (vincoli paesaggistici)
(L. n. 431dell’8 agosto 1985) e il codice Urbano dei beni culturali e del paesaggio (legge
Bassanini) (D. Lgs. 22 gennaio 2004 n. 42).
RAPPORTO TRA PIANO E PROPRIETÀ
L’art. 4 della L. 1150 del 17 agosto 1942 nello stabilire che la disciplina urbanistica si attua mediante piani
regolatori, configura gli stessi come atti amministrativi con cui vengono introdotte limitazioni al diritto di
proprietà. ──> atto autoritativo. Con la legge ponte del 1967 si rovescia la visione piano-diritto di proprietà:
con l’introduzione delle limitazioni alla edificazione per tutti i Comuni sprovvisti di piano, questo
ultimo acquista il ruolo non di un atto che comprime la libertà ad edificare ma che amplia le facoltà dello
stesso. Dopo D.P.R. del 6 giugno 2001 n. 380 si modifica il ruolo del piano e il suo rapporto con diritto di
proprietà. Nell’art. 9 si fa riferimento e si distingue tra aree esterne ed interne del perimetro del centro
abitato, evidenziandone i limiti negli standard urbanistici generali preordinati alla salvaguardia del territorio.
Nelle aree interne sono consentiti esclusivamente la manutenzione ordinaria e straordinaria nonché il
restauro ed il risanamento conservativo (art.3 Testo Unico). Nelle aree esterne sono consentiti interventi di
nuova edificazione ma con particolari limiti (esempio fabbricati a destinazione produttiva che limita la
superficie coperta ad un decimo dell’area di proprietà). La norma riprende i limiti fissati dalle leggi regionali,
che riducono e non ampliano le facoltà originarie del proprietario, soprattutto nella fase anteriore
all’approvazione del piano.
LA PIANIFICAZIONE E IL DIRITTO DI PROPRIETÀ
I piani o strumenti urbanistici sono atti con cui si esercita la funzione di migliorare una porzione del
territorio.
Bisogna ottemperare tra diverse esigenze, cioè:
1. dare al piano una dimensione geografica ampia, perché solo così è possibile valutare tutte le implicazioni
delle scelte da effettuare, pur non allontanandosi dalle specificità del territorio.
2. Il piano deve essere un punto di riferimento certo e duraturo, quasi immutabile, ma al tempo stesso capace
di adeguarsi alle esigenze sopravvenute;
3. La diversità dei luoghi contrasta, poi, con l’utilizzo di un solo tipo di piano emanato da una medesima
autorità competente.
Per far fronte a questa difficoltà (pluralità dei piani destinata a disciplinare lo stesso territorio) sono stati
introdotti due criteri:
1. Quello gerarchico che privilegia le scelte effettuate dal piano di area più vasta (più rispondente a valutare
gli interessi del territorio);
2. Quello cronologico che riguarda il fluire degli interessi, al mutare degli interessi muta la disciplina.
TIPOLOGIE DI PIANO
Sotto il profilo dimensionale si distingue tra piani di area vasta e piani di area comunale. Sotto il profilo della
possibilità immediata di trasformazioni previste si distingue tra piani generali ed attuativi. Sotto il profilo
funzionale si distingue tra piani strategici (o strutturali) e piani operativi. Secondo le finalità perseguite,
distinguiamo tra piani propriamente urbanistici e piani settoriali (aventi una finalità specifica, esempio tutela
del paesaggio, creazione di un centro industriale). Bisogna considerare, infine, anche gli effetti giuridici del
piano e la durata dell’efficacia del piano stesso.
IL PIANO DI AREA VASTA
Nella legge fondamentale del 1942 si evidenzia la distinzione tra area vasta (piani territoriali di
coordinamento = piani di area vasta di competenza del Ministero dei lavori pubblici) e piani regolatori
comunali (a loro volta distinti in piani regolatori generali e piani particolareggiati di esecuzione). Tra i due si
delinea un rigido rapporto di gerarchia, in base al quale il piano di ambito territoriale più limitato è vincolato
al rispetto delle previsioni di quello più esteso.
GLI EFFETTI DEL PIANO
Piani ad attuazione diretta: PIANI REGOLATORI GENERALI

 Piani attuativi: SE LA ZONA NON è SUFFICIENTEMENTE URBANIZZATA E BISOGNA


REALIZZARE LE GIA’ PREVISTE OPERE DI URBANIZZAZIONE ANCORA MANCANTI
Il piano regolatore generale si compone di una parte grafica (tavole) e di una parte lessicale (Norme tecniche
di attuazione)
Ciò che nel piano non deve mancare è la divisione in zone del territorio comunale. (oggi non più zone
omogenee monofunzionali, così come voleva la teoria de Le Corbusier e che aveva ispirato la normativa
──> decreto sugli standard 1968, ma zone miste- plurifunzionali).
PIANI SPECIALISTICI DI SETTORE
Sono quei piani preordinati alla realizzazione di uno specifico interesse pubblico, considerato prioritario
dalla norma. Tra di essi:
TIPO A
Piani settoriali che si ineriscono nella pianificazione urbanistica senza contraddirla, ma solo introducendo
particolari modalità di attuazione ──> Piani attuativi di edilizia economica e popolare (PEEP)conosciuti
come piani di zona
TIPO B
Piani che invece si sovrappongono alla pianificazione urbanistica che tutelano gli interessi differenziati ──>
In particolare gli interessi particolari e paesaggistici

… PEEP (TIPO A)
L. 167 del 1962 per la realizzazione di alloggi pubblici. Si introducono due novità egualmente importanti: la
programmazione di realizzazione e il passaggio dall’edilizia all’urbanistica. Si predispone un piano
complessivo delle aree occorrenti per soddisfare il bisogno di abitazioni economiche prevedibile per il
successivo decennio. Tale piano (PEEP) comprende una o più aree che sono scelte nelle zone destinate ad
edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti. Il piano di ciascuna zona, oltre alle costruzioni, estende
obbligatoriamente le sue previsioni anche alle opere e servizi complementari, urbani e sociali, ivi compresi le
aree a verde pubblico.
È un vero e proprio piano urbanistico, così articolato:
1. Espropriazione dell’intero comprensorio;
2. Concessione del diritto di superficie per la costruzione delle abitazioni e dei relativi servizi
urbani e sociali;
3. Per un corrispettivo pari al costo di acquisizione delle aree più al costo delle opere di
urbanizzazione. Lo stesso procedimento anche per le opere destinate ad insediamenti
produttivi.
… VINCOLI PAESAGGISTICI TIPO B
Nel sistema tradizionale (prima della legge Galasso del 1985) si tutelavano i valori estetici insiti in aree
individuate mediante uno specifico procedimento accertativo dei presupposti per l’imposizione del vincolo.
Oggi il vincolo è imposto di diritto su intere categorie di aree e quindi ha un’estensione enormemente
maggiore (anche al di fuori delle zone vincolate. Ambiti territoriali compromessi). (Codice dei beni culturali)
La nozione di paesaggio, inoltre, è mutata: da entità territoriale connotata da non comune bellezza
(soprattutto naturalistica), diviene l’insieme delle porzioni di territorio da conservare (indipendentemente
dall’eventuale pregio estetico). Alle Regioni si attribuisce il potere di adottare un piano paesaggistico esteso
all’intero territorio.

GLI EFFETTI GIURIDICI DEI PIANI


La distinzione riguarda, in realtà, non gli effetti giuridici dei piani ma le prescrizioni contenute nei piani
stessi:
 Gli effetti di mera disciplina del potere di ulteriore pianificazione (prescrizioni rivolte all’autorità e
non anche ai proprietari; esempio piani territoriali di coordinamento, piani paesaggistici)
 Gli effetti di conformazione del territorio e non della proprietà
 Gli effetti di conformazione della proprietà.
Riguardo alla conformazione del territorio, si ottiene stabilendo dei risultati da raggiungere rispetto all’uso
del territorio. La conformazione della proprietà avviene anche attraverso la successiva adozione di uno o più
atti vincolati all’osservanza delle finalità stabilite nell’atto di conformazione del territorio. Le prescrizioni a
contenuto conformativo del territorio si indirizzano direttamente anche ai singoli proprietari.
Leggi regionali hanno introdotto:

 Piano strutturale: contenente le grandi scelte della pianificazione urbanistica ──> stabilisce i risultati
da conseguire;
 Piano strategico: destinato al raggiungimento di obiettivi in un arco di tempo limitato ──> stabilisce
come effettuare i risultati.
L’EFFICACIA TEMPORALE DELLE PRESCRIZIONI URBANISTICHE
Piani regolatori generali e piani territoriali di coordinamento hanno vigore a tempo indeterminato (Legge
fondamentale del 1942), il Piano particolareggiato ha un tempo limite di 10 anni entro il quale il piano deve
essere attuato.
LA FORMAZIONE DEGLI STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE
Tutti i piani urbanistici sono di competenza del consiglio comunale; il piano regolatore generale (PRG) e il
piano particolareggiato sono di iniziativa del Comune stesso, il piano di lottizzazione è di regola di iniziativa
dei proprietari delle aree interessate.
I documenti del piano
Per redigere il PRG e il piano particolareggiato, occorre la predisposizione di un progetto, che può essere
redatto dall’ufficio tecnico comunale o da professionisti esterni all’amministrazione (appalto di servizi con
procedure tipiche e con opportuna motivazione). Questi piani vengono adottati con deliberazione del
consiglio e quindi depositati con ogni allegato presso la segreteria comunale per la fase di partecipazione
degli interessati.
PRG
Trascorsi 30 gg dopo il deposito, le parti interessate possono presentare delle osservazioni; il Comune in
seguito si esprime motivatamente con apposita deliberazione consiliare di controdeduzioni alle osservazioni.
Il piano viene così trasmesso alla regione, a cui spetta la competenza per l’approvazione o eventuali
modifiche.
Queste ultime non devono comportare sostanziali innovazioni, tali da mutare le caratteristiche essenziali del
piano e devono assicurare:
a) Il rispetto delle previsioni del piano territoriale di coordinamento (piano regionale);
b) La razionale e coordinata sistemazione delle opere e degli impianti di interesse dello Stato;
c) La tutela del paesaggio e di complessi storici, monumentali, ambientali ed archeologici;
d) L’osservazione degli standard urbanistici.
Se la Regione ritiene il piano complessivamente non approvabile, potrà motivatamente restituirlo al Comune,
ma, qualora questo, al termine di un nuovo iter procedimentale, ne confermi l’adozione, l’approvazione non
potrà essere ulteriormente rifiutata.
Piano Particolareggiato
Dopo il deposito possono essere presentate opposizioni dai proprietari di immobili compresi nei piani e
osservazioni da parte delle associazioni interessate. Ciò è importante perché la sua approvazione equivale a
dichiarazione di pubblica utilità e costituisce il presupposto per l’espropriazione delle aree occorrenti per
l’urbanizzazione. Per questi motivi, la legge dispone che il piano perde efficacia con il decorso di dieci anni
per ciò che riguarda le previsioni espropriative. Decorso il termine, il Comune è tenuto ad adottare un nuovo
piano.
I piani attuativi
La legge del 1942 prevedeva come piano attuativo il piano particolareggiato di esecuzione; con il tempo se
ne sono aggiunti altri con diverse finalità. In particolare, il piano di lottizzazione, disciplinato ex novo dalle
leggi successive. Inizialmente tale piano di lottizzazione altro non era che una semplice autorizzazione che
assicurava l’ordinata suddivisione dei lotti edificabili. Con la riforma del 1967 esso è divenuto un piano ad
iniziativa privata, cioè uno strumento con il quale accollare ai proprietari gli oneri di urbanizzazione della
zona.
Disciplina del piano di lottizzazione
Il piano viene presentato al Comune dal proprietario delle aree e approvato dal Consiglio comunale
(attraverso una vera e propria autorizzazione). L’efficacia del piano è però subordinata alla stipula di una
convenzione. Con tale convenzione il proprietario si obbliga a cedere gratuitamente al Comune le aree
necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e una quota parte delle opere di urbanizzazione
secondaria, assumendosi tutti gli oneri per la realizzazione delle opere e fornendo congrue garanzie
finanziarie.
La convenzione di lottizzazione ha un termine decennale.
LA DISCREZIONALITÀ
La perequazione
Ampio potere discrezionale nelle scelte del Comune per ciò che riguarda la pianificazione.
Per limitare questo potere bisognerebbe distribuire equamente i vantaggi dell’edificabilità attraverso un
sistema di perequazione. La perequazione consiste nell’attribuire anche ad aree qualificate dal piano non
edificabili una cubatura potenziale da realizzare altrove, cioè su aree qualificate come edificabili.
In caso in cui l’edificabilità potenziale risulta inferiore a quella attribuita, è possibile acquistare la cubatura
necessaria per eguagliare l’edificabilità potenziale a quella effettiva riconosciuta dal piano.
Gli standard urbanistici
Sono limiti e rapporti da osservare nella formazione di nuovi strumenti urbanistici o nella revisione di quelli
esistenti, tali da assicurare una riserva di spazi da destinare ad usi collettivi o a servizi pubblici.
Per applicare gli standard, l’intero territorio comunale è diviso in zone territoriali omogenee. L’osservanza
degli standard è assicurata dalla sanzione della invalidità dei piani eventualmente elaborati senza rispettarli e
prima ancora dal potere/dovere della Regione di introdurre d’ufficio, in sede di approvazione dei piani stessi,
tutte quelle modifiche che siano riconosciute necessarie al rispetto della loro osservanza.
L’ATTUAZIONE DEL PIANO
Negli ultimi anni nasce e si sviluppa l’urbanistica consensuale o per accordi (strumenti attuativi dei piani)
attraverso l’accordo di programma e la conferenza di servizio.
Vantaggi dell’urbanistica contrattata
Utilizzando questi accordi, si raggiunge il miglior assetto degli usi del territorio, attraverso la partecipazione
del privato interessato, e si soddisfa la domanda di opere di urbanizzazione che le amministrazioni locali non
sono in grado di finanziare con capitale pubblico.
Rischi dell’urbanistica contrattata
Asservimento eccessivo dell’interesse pubblico all’interesse dei privati.
Perdita della visione pianificatoria più ampia, con il rischio di una inadeguata valutazione delle effetti
negative rispetto alla zona di intervento.
Programmazione temporale
Consiste nella:
1. Programmazione triennale delle opere pubbliche;
2. Programma pluriennale di attuazione.
Programma triennale delle opere pubbliche: deve assicurare che gli interventi infrastrutturali pubblici
abbiano la relativa copertura; identifica le esigenze da soddisfare ed i lavori ad esse strumentali per il
successivo triennio e deve essere affiancato da un elenco annuale delle opere da avviare prioritariamente.
Programma pluriennale di attuazione riguarda le costruzioni private che, per un periodo stabilito dal
programma stesso tra i 3 e i 5 anni, possono essere realizzate solo nell’ambito delle zone individuate, salvo
che si tratti di interventi di recupero del patrimonio edilizio esistente o di aree in zone già. Il programma è
obbligatorio per i comuni con una popolazione superiore a 10.000 abitanti e per quelli individuati da un
apposito provvedimento regionale.
Procedura di realizzazione
La realizzazione delle opere di urbanizzazione da parte del Comune comporta tre adempimenti:
1. La progettazione dell’opera;
2. L’acquisizione dell’area occorrente per la sua realizzazione;
3. La stipulazione del contratto d’appalto con l’impresa che dovrà realizzarla.
La progettazione
Si articola attraverso tre livelli di successivi approfondimenti tecnici:
1. Il progetto preliminare, che individua compiutamente l’opera e consente l’inserimento nell’elenco
annuale dei lavori;
2. Il progetto definitivo, necessario per tutte le occorrenti autorizzazioni amministrative e che comporta
la dichiarazione di pubblica autorità
3. Il progetto esecutivo (che limita fortemente le varianti in corso d’opera), da porre a base della gara di
appalto.
L’acquisizione delle aree
Si realizza attraverso la procedura di esproprio.
Si presuppone che:
1. L’opera da realizzare sia prevista nello strumento urbanistico generale, o in un atto di natura ed
efficacia equivalente, e sul bene sia stato posto il vincolo preordinato all’esproprio.
2. Vi sia stata la dichiarazione di pubblica utilità;
3. Sia stata determinata, anche se in via provvisoria, l’indennità di esproprio.
L’indennità di esproprio
In passato (L. 22/10 1971 n.865) commisurata al valore agricolo medio; in seguito (L. 28/01/1977 n. 10) si
stabilì che qualsiasi nuova concessione doveva essere subordinata alla concessione (con cui il Comune
concedeva al proprietario una facoltà).
Nel 1992 con decreto legge n. 333, poi convertito nella legge n.359, si stabilì che l’indennità dovesse essere
determinata in base alla media aritmetica tra il valore venale dell’area e il reddito dominicale di cui al testo
unico delle imposte dei redditi. La corte Costituzionale è sempre intervenuta in merito all’indennità
sostenendo che l’indennizzo non doveva essere irrisorio, ma il massimo possibile.
Anche la Corte Europea ha condannato l’Italia per violazione del diritto di proprietà (che rappresenta un
diritto fondamentale garantito dalla Convenzione internazionale istituita dalla Corte stessa). Con la legge di
revisione costituzionale (2001) la potestà legislativa (art.117, comma 1) è stata assoggettata al rispetto, oltre
che alla Costituzione anche all’ordinamento comunitario ed internazionale, portando così alla dichiarazione
di illegittimità del criterio di esproprio. Con la legge finanziaria del 2007 si è stabilito che l’indennità di
esproprio è determinata nella misura pari al valore venale del bene e che in caso di cessione volontaria è
aumentata del 10%.
Sistemi alternativi all’esproprio
La particolare onerosità sia dell’indennità occorrente per l’acquisizione dell’area e sia del prezzo occorrente
per la realizzazione dell’opera di urbanizzazione ha fatto elaborare da tempo sistemi alternativi
all’espropriazione e all’esecuzione diretta da parte del Comune.
La compensazione
Consiste nella possibilità di stipulare una convenzione con la quale il proprietario di un’area vincolata cede
la stessa al Comune ottenendo in cambio la disponibilità di una cubatura su un’altra area.
La premialità edilizia
Per incentivare i privati a tenere comportamenti ritenuti utili alla collettività; in caso di interventi finalizzati
alla realizzazione edilizia residenziale sociale, il Comune può consentire un aumento della volumetria
premiale nei limiti di incremento massimi della capacità edificatoria prevista.
L’appalto pubblico
Dopo aver progettato l’opera pubblica e acquistata l’area su cui realizzarla (con esproprio o con sistemi
alternativi) occorre scegliere l’impresa di costruzioni e affidarle la relativa attuazione. Diritto urbanistico si
avvale del diritto interno (assicurare alla P.A. il contratto economicamente più conveniente) e del diritto
comunitario (garantire alle imprese un accesso concorrenziale alle imprese).
La normativa è racchiusa in un unico testo e può riassumersi nelle regole seguenti:
1. Salvi casi eccezionali non si può ricorrere alla trattativa privata
2. E’ necessario scegliere il contraente mediante gara pubblica, nella forma dell’asta pubblica o della
licitazione privata.

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