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Si ha un esodo di massa dalle campagne alle città, nei seguenti paesi si è costretti a intervenire:
- A Parigi si sventrano gli edifici e si creano i boulevard
- A Londra viene emanato il Public Health Act per istituire i sobborghi e regolare il sovraffollamento
- In Germania si stabiliscono regole di dimensionamento minimo per edifici e infrastrutture.
Intanto in Italia… abbiamo lo Statuto Albertino del 1848 che entra in vigore nel 1861 e si procede in maniera un po’
diversa:
- Nel 1865 si emanano leggi per espropriare terreni per pubblica utilità (programma di espropri che durerà fino al
1945), restituendo al privato una somma di risarcimento pari al valore iniziale di mercato.
- Dal 1883 si comincia a intervenire in maniera puntuale in piccole porzioni di territorio, a cominciare col PRG di
Roma redatto nello stesso anno
- Nel 1885 si vara una legge per risanare Napoli, espropriando le case più in rovina
- Nel 1889 si sceglie un PRG per ricostruire Messina dopo un maremoto
- Nel 1904 si risana la Basilicata con la stessa legge del 1885
- Nel 1911 viene pubblicato il REGOLAMENTO EDILIZIO COMUNALE, tramite decreto reggio.
- Nel 1934 nasce il TESTO UNICO DELLE LEGGI SANITARIE, affermando così una nuova competenza dei comuni in
materia edilizia che permette così un adeguato distanziamento tra centro abitato e industriale, inoltre nello
stesso anno un altro decreto reggio attesta tramite normative l’agibilità degli edifici in conformità alle leggi
sanitarie.
Tra il 1935-37, si comincia già a parlare del PERMESSO DI COSTRUIRE, che sancisce l’ingresso dei titoli abilitativi edilizi
solo in ambito locale, ma che non conosce particolari procedure di limitazione e di controllo.
Nel 1870, Roma diviene capitale statale, sorgono nuovi quartieri e il legislatore si occupa delle costruzioni singole e
dell’espansione dei centri urbani introducendo nuove norme e procedure.
- Nuovo CODICE CIVILE: riafferma la potestà normativa dei comuni in materia edilizia.
- Legge urbanistica n. 1150 : si occupa della pianificazione di tutto il territorio nell’ambito dell’intera
estensione nazionale, nel senso che viene introdotto il PRG in senso moderno, nettamente diverso da
quelli previsti dalla legge del 1865, poiché identifica le opere storiche e pubbliche e zoonizza il territorio.
Il PRG sarà a disposizione solo per alcuni comuni elencati nella legge, in particolare ne faranno uso le città
metropolitane, altri comuni si muniranno solo del PROGRAMMA DI FABBRICAZIONE.
C’è una volontà di sottoporre a normative più rigorose i centri urbani, allentandosi poi nel territorio extra-urbano,
quasi non disciplinandolo. Il governo fascista usufruirà ampiamente della legge urbanistica anche se avverrà a guerra
inoltrata durante i bombardamenti in Italia.
Nel 1948 viene stilata e messa in atto la Costituzione Repubblicana vigente, che a differenza dello Statuto Albertino, si
occupa in maniera più approfondita delle politiche di settore e tocca ogni singolo punto delle necessità del paese e
dell’uomo, dalla sanità al lavoro e all’edilizia. Gli articoli in totale sono 139, ma dall’1 all’11 della nostra costituzioni
sono definiti fondamentali e pertanto ritenuti immodificabili.
L’articolo 3 della nostra costituzione intanto riconosce l’uguaglianza degli individui di fronte alla legge e i loro diritti
umani, inoltre si pone come obbiettivo di colmare tutte le differenze sociali tra i cittadini per garantirne un equo
sviluppo rendendoli membri attivi della società per portarla avanti.
L’articolo 9 invece pone l’attenzione sulla tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione,
prefissando i vincoli di tutela e su ciò che vengono definite come “cose d’arte”, è vietata la demolizione ma per la loro
modifica o la integrazione con il paesaggio circostante, è richiesto il nulla osta della Sovraintendenza, che va oltre al
titolo abilitativo rilasciato dal comune.
Nell’articolo 9 però non si parla di pianificazione urbanistica, ma di tutela paesaggistica e della preesistenza storica, già
comunque discussa nel Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, anticipato già con 2 leggi a tutela del patrimonio
artistico nel 1938 e 39.
Nell’Italia Sabauda (ovvero quell’Italia monarchica dove ad esser rappresentati erano per lo più gli individui benestanti
di provenienza medio-borghese, per cui il 2-3%) la legge ordinaria valutava l’indennizzo di esproprio pari alla cifra del
valore di mercato, mentre la nostra Costituzione non stabilisce un valore standard di indennizzo ma equo in base al
valore del bene corrente da espropriare.
La legge sul risanamento a Napoli del 1885 è già un primo esempio di esproprio con regola di indennizzo che si basava
non sul valore dell’immobile di per sé, ma sul valore sull’accumulo di affitti, poiché molti di quegli immobili napoletani
valevano molto poco, ma gli affitti erano la principale fonte di guadagno.
La corte Costituzionale ha stabilito adesso che il valore dell’indennizzo deve essere quanto più vicino al valore venale del
bene espropriato. Ciò che vige comunque a livello comunale è il PRG proprio per come è stato detto prima, al di sotto vi
sono i Piani di Attuazione, suddivisi in:
La legge urbanistica fa fatica a coordinare i processi di ricostruzione post-bellici, i PRG sono solo per alcuni comuni, a
Bologna ad esempio il primo PRG verrà approvato nel 1957, uno strumento semi-emergenziale post bellico per cercare
di rimediare ai disastri in tempo utile è il PIANO PER LA RICOSTRUZIONE, che opera colmando i vuoti urbani per via della
guerra.
Piani di Settore:
A inizio degli anni 60’, il legislatore deve fronteggiare 2 esigenze in particolare e chiede ai comuni dunque di:
- Dare rifugio alla popolazione meno agiata tramite i Piani di Edilizia Economica Popolare (PEEP)
- Aumentare la dotazione delle aree industriali tramite i Piani per Insediamenti Produttivi (PIP)
Le aree che faranno parte di questi Piani saranno oggetto di espropri…. I comuni pertanto per riuscire più facilmente
ad espropriare valutano l’indennizzo il 40% in meno rispetto al valore di mercato.
Tutto ciò comincia a comportare un grave fenomeno di pianificazione a cascata, che interessa anche l’Emilia Romagna,
la quale creerà sempre più nuovi strumenti di pianificazione (tra cui questi piani di attuazione) in variante al PRG,
Si parla dei costi di costruzione… il privato fino al 1977 costruisce senza versare alcunchè all’amministrazione
comunale, la quale però deve sostenere gli oneri di urbanizzazione, tutto ciò perché la legge urbanistica vigente del
1942 non prevedeva alcun versamento ai comuni, pertanto così facendo il privato guadagna, ma l’amministrazione
deve pagare i costi.
La riforma della legge urbanistica di fine anni 60 serve a far fronte alla mancanza di servizi pubblici di cui il privato non
si occupava nel momento della commissione, lasciandoli in mano al comune…
Ecco allora che arriva la Legge Ponte del 1967 che disciplina e specifica gli accordi fra pubblico e privato nelle
lottizzazioni, inoltre gli strumenti di pianificazione quale il PRG e gli accordi contrattuali diventano OBBLIGATORI.
Si introduce anche il principio di onerosità dei piani di lottizzazione ma in ampia scala (per il singolo intervento si dovrà
aspettare il 1977).
Il compito della Legge Ponte è garantire:
- Il versamento anticipato di una parte del plusvalore realizzato dal privato al comune.
- La realizzazione parallela di opere private con quella di edifici principali
La Legge Bucalossi del 1977, introduce finalmente il principio di onerosità, sia per l’intero lotto che per il singolo
intervento edilizio.
Un terreno privato ha edificabilità intrinseca, la sua espropriazione dovrà al privato un indennizzo di circa il 60% del
valore venale, se però un terreno non dovesse aver ottenuto il titolo abilitativo edilizio, verrà pagato il 60% del valore
agricolo, non di terreno edificabile.
Trovandoci sul finire degli anni 70, vari partiti politici, tra cui il partito comunista e democrazia cristiana, si accordano
per varare nel 1978 la Legge sul servizio sanitario nazionale.
Da Licenza a Concessione:
Il diritto di edificare appartiene al comune, la Legge Bucalossi semplicemente trasforma la licenza del proprietario
privato al comune, il quale concede se possibile questa facoltà al privato.
Nonostante ciò, più tardi, nel 1980, la Corte Costituzionale, chiarisce che nel diritto di proprietà del terreno, vi è
incluso il diritto di edificare secondo quanto preannunciato nell’articolo 42 della costituzione,
pertanto la Legge Bucalossi viene dichiarata costituzionalmente ILLEGITTIMA.
Nel 2001 esce il Testo Unico sull’Edilizia, trasformando il titolo abilitativo edilizio in permesso di costruire, da qui si
nota come si chiarisca il permesso di poter edificare a priori nel proprio terreno.
Nel 1978 si introducono i Piani di Recupero, la cui problematica era quella dell’inurbamento intensivo ed espansionista
per colmare i vuoti della guerra, tanto che a Bologna a cavallo tra gli anni 60 e 70 si ipotizza un PRG per una città da 1
milione di abitanti, ma Bologna arriverà a massimo 500.000 abitanti nel 1978…. Ma non solo Bologna, anche altre città
negli anni adotteranno piani sovradimensionati che lasceranno troppi volumi inabitati.
- Una costruttiva con attenzione verso le norme antisismiche e sul cemento armato con una legge fatta
nel 1974
- Una di tipo sociale
Condoni edilizi:
La legge n 47 del 1985 (LEGGE GALASSO) vuole guardare avanti e risolvere i problemi del passato, è una legge che
permette il condono edilizio, è un provvedimento grazie al quale i cittadini possono ottenere l’annullamento di una
certa pena o di una sanzione che è derivata dalla commissione di un atto illecito nel campo dell’edilizia avvenuto prima
delle leggi sulle normative vigenti, inducendo così il territorio ad una sanatoria.
Si configura in 2 parti:
- Rinnova la disciplina edilizia rendendola più rigorosa tramite un nuovo strumento: l’asseverazione,
ovvero la dichiarazione di conformità con le normative, fatta da un professionista incaricato garantendo
così la licenza al privato. In Emilia Romagna è chiamata SCEA (Segnalazione Conformità Edilizia e
Agibilità), per richiederla, durante una compravendita, vi si deve rivolgere ad un tecnico esperto come
ad esempio un notaio che aiuti il proprietario a capire che l’edificio sia a norma altrimenti l’atto di
compravendita si può dichiarare nullo. Per far ciò i notai hanno introdotto una pratica facoltativa e non
prevista dalla legge chiamata “relazione tecnica integrata”, questa un tempo veniva spacciata per
obbligatoria dai notai e per giunta con spese a carico di ambedue le parti, ma adesso non è dichiarata
illegittima.
La legge n 47 del 1985 segna uno spartiacque: il legislatore vuole semplificare la normativa in materia di governo del
territorio.
Il Testo Unico sull’Edilizia del 2001, raccoglie le norme statali in maniera edilizia e il titolo abilitativo edilizio ritorna a
chiamarsi Permesso di Costruire.
In questo testo, sono comprese anche le norme di dettaglio, ovvero quelle norme base alle quali le regioni si devono
attenere.
Nello stesso anno viene varato un Testo Unico sull’Espropriazione che semplifica i procedimenti e le normative per gli
espropri, nel 2006 tramite decreto legislativo nasce il Codice dei Contratti Pubblici, riaggiornato poi nel 2016 con un
altro decreto e sicuramente pronto ad essere modificato successivamente.
Durante l’Italia Fascista, l’unico ente regolatore avente potere in ambito edilizio era solo lo STATO, la norma in materia
edilizia del 1942, venne stilata e conformata sulla dialettica tra Ministero dei Lavori Pubblici e Comuni, poi con la
Costituzione Repubblicana del 1948, viene concordata la suddivisione in 20 regioni, ognuna con proprie competenze
legislative a partire dal 1977, ma di queste, 5 sono a statuto speciale e godono di un’autonomia molto più forte.
Le autonomie regionali sono state valorizzate nel 2001, dilatando la competenza amministrativa delle regioni in
materia di governo del territorio.
- Competenza legislativa dello Stato: esplicata nell’articolo 117, dove si esplica la potestà legislativa unica
in materia monetaria, di difesa, estera e di contratti e proprietà.
- Competenza legislativa concorrente: ovvero potestà ripartita, norme di principio o meglio chiamate
“ norme di cornice”, dettate dallo stato che individuano i presupposti fondamentali per disciplinare la
Così facendo le 15 regioni a statuto ordinario possono differenziarsi fra loro e dal modello unico statale.
il profilo edilizio rientra nella potestà concorrente, quello propriamente agricolo in quella residuale regionale, questo
ci fa capire che spesso le materie sono fra di loro connesse e sovrapposte.
Abbiamo già visto che il governo del territorio racchiude urbanistica, edilizia e opere pubbliche.
Immaginiamo che si voglia realizzare una grande nuova opera pubblica nazionale, come un nuovo asse viario o
ferroviario. Chi se ne occupa? Chi legifera sulla materia?
A tal proposito la Corte Costituzionale ha emanato nel 2003 una sentenza in cui esplica che il legislatore statale deve
intervenire con norme di principio e di dettaglio, dunque trovare una sintesi collaborativa tra stato-regione.
A monte di realizzazione un’opera, si deve prevedere quale beneficio ne traggono regione e stato…
Un esempio è l’annullamento della realizzazione di una metropolitana leggera a Bologna poiché non vi era stata
alcuna dialettica di dettaglio con la regione.
Nel 2001 si sono introdotte sulla carta le aree metropolitane e le città metropolitane; si prevede da quel momento
che nei maggiori centri urbani italiani vi sia un livello istituzionale più conformato sulle loro caratteristiche
geografiche e proprie. Le città metropolitane sono state poi costituite con la legge n.56 del 2014, “legge Del Rio”, dal
nome del ministro proponente all’epoca. Si tratta quindi di entità recenti dal punto di vista della loro concreta
istituzione. Se ne prevedono 13, fra cui c’è anche Bologna. La caratteristica della città metropolitana è quella di
sostituirsi alla provincia.
La professione di geometra, Architetto, ingegnere ecc. è una professione estremamente giuridicizzata e principale
motore del diritto per il governo del territorio.
Le Fonti del Diritto, sono tutti gli atti o i fatti che originano o innovano un ordinamento giuridico. La definizione viene
quindi a comprendere sia le produzioni istituzionali fonti atto, ma anche le fonti fatto come le consuetudini o gli usi
che però devono rispondere a principi di doverosità condivisi dalla comunità (“opinio iuris ac necessitatis”).
Le Consuetudini vengono rilevate dalle camere di commercio, le quali non creano diritto.
La Norma è una regola, che riguarda il comportamento di un soggetto nei confronti dell’altro, non per forza le norme
sono dettate dallo stato, ma possono anche essere riconosciute se derivanti da terzi (come associazioni, aziende,
operatori pubblicitari o mediatici)… esistono le norme giuridiche, ovvero quelle imposte ai cittadini del territorio
tramite precetto (comando legislativo che obbliga all’adesione) … l’infrazione di questa norma determina invece la
sanzione, cioè una punizione che può prevedere una detenzione penale (atta alla rieducazione del reo per
reintegrarlo nella società) o un risarcimento tramite atti amministrativi.
Le norme non giuridiche invece sono quelle dettate dalla morale personale di ciascuno di noi, non sono obbligatorie,
pertanto la loro infrazione è motivo di ripercussione penale o amministrativa.
Per quanto riguarda gli abusi edilizi, anche essi comportano sanzioni, applicabili tanto alla committenza quanto al
professionista. La responsabilità e le sanzioni possono essere concorrenti, cioè sia penali che amministrative
(esempio di infortunio sul lavoro). Le sanzioni hanno lo scopo di rieducare in caso penale, di ripristinare la situazione
dopo l’aggravante per riportarla al suo stato iniziale in caso amministrativo.
Questo tipo di ripristino si chiama Riduzione in Pristino, applicata in edilizia, nei casi di abusi, si procede con un
risarcimento amministrativo e con la demolizione dell’immobile.
Nel caso in cui non fosse possibile ripristinare la situazione originaria (come nel caso dell’infortunio sul lavoro) si
chiede il “risarcimento per equivalente”, il cosiddetto “risarcimento danni”.
Esso può essere richiesto in tutto o in parte (ci può essere una compresenza delle voci risarcitorie). Due saranno le
componenti principali di danno in questo caso:
- Danno patrimoniale:
bisogna risarcire il pregiudizio economico che si è determinato in capo a figli e congiunti di un
defunto sul posto di lavoro, che verranno privati di una fonte di reddito;
Nel nostro sistema le sanzioni scattano NON sulla base della conoscenza effettiva delle norme, ma sull’ astratta
“conoscibilità”: una volta che la norma è pubblicata, il cittadino deve conoscerla. Anche se nel 1988 la Corte
Costituzionale dichiara tramite sentenza l’esenzione della responsabilità, quella che è detta “ignoranza incolpevole”.
La nostra costituzione è detta “rigida” perché richiede questo processo aggravato, mentre quelle
“flessibili” possono essere modificate con un processo ordinario (o leggi ordinarie); per esempio, lo
Statuto Albertino fu ritenuto flessibile e si soppresse col Fascismo.
La fonte suprema è la Costituzione della Repubblica, anche chiamata “super primaria”; essa è composta sia di:
Ogni fonte è gerarchizzata, la fonte super primaria, ovvero la Costituzione, sovrasta le fonti primarie, che a loro volta
sovrastano le secondarie e queste sovrastano quelle di terzo grado; basti ipotizzare una gerarchizzazione piramidale.
Le fonti primarie ruotano intorno alla legge ordinaria, approvata con provvedimento legislativo ordinario a livello sia
statale che regionale.
La costituzione si differenzia dalle leggi primarie/ordinarie (ricordiamo che se dico “Legge”, con la maiuscola, intendo
l’intero corpus specifico, l’ordinamento nel suo complesso; mentre se dico “legge”, tutto in minuscolo, intendo uno
specifico atto normativo)
Le fonti terziarie e secondarie, difficilmente producono dei veri e propri effetti, sono affette dal cosiddetto
“vizio di invalidità”. La Corte Costituzionale deve abrogare tutte le leggi che entrano in contrasto con la Costituzione,
dichiarandone la cosiddetta illegittimità costituzionale.
Per Modificare o Integrare la costituzione si usa il “procedimento aggravato”, dove però è necessaria la doppia
approvazione delle camere (a distanza di 3 mesi l’una dall’altra).
Può essere poi chiesto il verdetto popolare (referendum popolare) da certi soggetti (che possono essere 500000
elettori, cinque consigli regionali o 1/5 dei membri anche di una sola camera). Se viene richiesto, entro 3 mesi, il
referendum si svolge senza quorum, perché è un referendum confermativo, rispetto a cui l’intervento popolare è
una possibilità di controllo. Fino al 2001 vi sono state varie riforme costituzionali per le quali non è mai stato chiesto
il referendum popolare.
La Fonte Costituzionale serve da VINCOLO per le regioni ad autonomia differenziata (statuto speciale) proprio per
evitare che per via della loro potestà a legiferare possano intaccare le norme primarie.
Abbiamo visto che la Costituzione è una di queste, non ne sono esenti nemmeno le leggi di revisione di quest’ultima,
tutte emanate e prodotte tramite procedimento aggravato.
La prima ad essere varata fu la n.1 del 1948, per completare la disciplina sulla corte costituzionale e la disciplina sul
giudizio di legittimità delle leggi davanti ad essa.
Un’altra legge costituzionale molto importante è quella dell’approvazione degli Statuti Speciali approvati con legge
costituzionale.
Le fonti primarie si compongono di: leggi statali e leggi primarie regionali.
I poteri legislativi sono conferiti dagli articoli 76 e 77 della Costituzione al Parlamento e quelli esecutivi di questi
ultimi al Governo.
La potestà legislativa spetta sì al Parlamento, ma in alcune eccezioni, il nostro governo può emanare atti legislativi
aventi forza di legge:
- Decreti legge: anche chiamati “decreti d’urgenza”, nascono per rispondere alle emergenze, esso non ha bisogno
di convocazione parlamentare, può entrare in vigore il giorno stesso, secondo quanto specificato nell’articolo
77 dove si autorizza ciò in via di urgenza, deve essere presentato in Parlamento per la “ratifica”, la conversione
in legge deve essere però convertito in legge in 60 giorni altrimenti si attiva la “retroattività della decadenza”,
per la quale esso coì cessa, inoltre può essere rifiutato o modificato dal Parlamento.
Oltre al Parlamento, anche la Corte Costituzionale può valutare l’effettività di un decreto legge e il presupposto
emergenziale.
Il Ministero dei Beni Culturali ad esempio è stato creato tramite Decreto Legge, poi convertito in Legge.
Dagli anni 60’ fino agli anni 90’ però il governo usa un trucchetto per poter prolungare l’effettività del decreto
legge appena decaduto, ovvero abusa di ulteriori decreti contenenti stessi principi o direttive proprio al 60esimo
giorno di permanenza del precedenza (sullo scadere).
Se si tratta di leggi molto importanti, il governo pone al Parlamento la questione di fiducia, se entrambe le camere
votano a sfavore, allora il governo ha giuridicamente l’obbligo di dimettersi. L’uso della questione di fiducia viene
usata (e spesso abusata) per velocizzare un provvedimento legislativo, ostacolato da molteplici proposte di
emendamento.
Quindi, possiamo dire che si determina una sorta di inversione di ruoli tra parlamento e governo non soltanto
per quanto riguarda l’attività legislativa propriamente intesa ma anche per quanto riguarda i ruoli in generale.
Fra le leggi più importanti che vengono varate nel nostro sistema c’è la legge di bilancio; essa viene varata a
fine anno e deve essere approvata da entrambe le Camere. Essa serve a stabilire entrate e uscite dello Stato
nell’anno seguente, non solo in quanto a saldi, ma anche a ripartizioni delle spese. Il tutto viene presentato a
Settembre, poi a Dicembre il Governo presenta il “maxi-emendamento” (corredato della questione di fiducia),
cioè una proposta di riscrittura completa del testo.
Dalla metà degli anni 90’ gli abusi dei decreti legge cominciano a diminuire.
Le giunte regionali pur rimanendo a fianco delle fonti primarie statali, non hanno potere di decretazione d’urgenza.
Potere normativo minore spalmato dall’ordinamento a vari enti territoriali o generalmente pubblici.
I comuni hanno estese potestà in ambito edilizio, d’igiene e sanità.
Il potere regolamentare è “unificante” laddove ci siano enti senza potere legislativo. In particolare, per quanto
riguarda i comuni, essi hanno estese potestà regolamentari.
Per classificare le fonti si usava un criterio gerarchico che permetteva di invalidare un regolamento contrastante la
Costituzione, adesso si usa il principio di competenza dove una fonte sotto ordinata può disporre diversamente
dalla fonte sovra ordinata (purchè nei suoi limiti).
Sono l’ultima categoria del Diritto, tra queste vi rientrano le consuetudini, che trovano applicazione in maniera del
tutto subordinata alle fonti scritte.
Le sentenze dei Giudici non sono almeno da noi fonte di diritto, anche se nei fatti il diritto giurisdizionale si avvicina
alle fonti del diritto, ma in altri ordinamenti, i cosiddetti Common Law, le sentenze sono effettive fonti di diritto…
Un esempio sono gli Stati Uniti o l’Inghilterra, quest’ultima poi con l’entrata nel 1976 nell’UE, ha subito un processo
di ibridazione con leggi di diritto continentale.
Semmai, il processo di ibridazione delle sentenze da noi si riscontra nel ripetuto avvenimento di alcuni aggravanti,
dove le stesse sentenze emanate precedentemente per fatti simili possono fungere da base per amministrare la
giustizia conseguentemente.
Chi amministra le sentenze, le archivia e le riapplica è la Corte di Cassazione, la quale deve garantire l’omogeneità
nell’interpretazione del diritto, i giudici tuttavia sono l’iberi nell’interpretazione del diritto, sempre motivando
questa dissociazione in base al caso che si trovano davanti.
Le “sentenze di accoglimento della Corte costituzionale”, sono quelle con cui essa accoglie il ricorso su leggi
ritenute incostituzionali. Le sentenze con cui invece la Corte rigetti il ricorso, NON sono fonti del diritto, e la corte
può cambiare idea successivamente, e quindi tali sentenze non vincolano tutti gli operatori del diritto.
Le sentenze nel caso di norme innovative, entrano negli atti degli operatori giuridici che provvedono in questo caso
ad interpretare la Costituzione per verificarne la legittimità.
Il limite delle sentenze di illegittimità costituzionale risiede nel fatto che se ci sono vicende già definite esse non
vengono più messe in discussione. Prendiamo un esempio: c’è stata una causa svolta sulla base di una norma così
come era, e quindi c’è già una sentenza passata ingiudicata. Bene, quest’ultima non può essere più messa in
discussione.
La dottrina è l’opinione degli studiosi del Diritto, che essi siano Accademici-universitari, professionisti in campo o
semplici partecipanti di competenza ai dibattiti pubblici.
In quanto semplice opinione, dunque variabile, non è una consuetudine, tantomeno fonte del diritto.
Semmai una quasi fonte è il contratto, che è uno strumento di regolamentazione di rapporti giuridici tra privati
basandosi sulla parità di soddisfacimento di interesse tra le varie parti, esso prevede delle norme che si attengono
alle fonti primarie, la quale infrazione comporta comunque sanzione amministrativa.
Le circolari sono mandate dalle autorità a tutti gli uffici periferici, essa è un’interpretazione della pubblica
amministrazione, non vincola però il privato, né il giudice. Pur non essendo una fonte del diritto, si avvicina.
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Le ordinanze d’urgenza, vengono emanate nel momento più critico, quando si deve prendere un provvedimento
decisivo che fronteggi l’emergenza… Un esempio di queste sono i DPCM varati in tutta la recente pandemia COVID.
Il potere di emanare queste ordinanze spetta a tutti gli ordini monocratici di vertice delle singole associazioni
(sindaco, governatore regionale, prefetto ecc…).
Un decreto legge abbastanza recente, il n.6 del 2020 ha amplificato i poteri del Presidente del Consiglio,
permettendogli di emanare ordinanze in campo sociosanitario, e in quanto organo monocratico gerarchicamente
superiore alle singole associazioni, esso è decisivo e sicuramente più veloce per tutti.
Il rischio di queste ordinanze è che vengano definite incostituzionali, sono atti con contenuto regolamentare, ma
non formalmente legislativi, pertanto possono derogare anche alle norme sovraordinate….
- Di tipo Emergenziale
- Di Temporaneità e proporzionalità
- Di Conformazione ai principi dell’ordinamento Nazionale ed Europeo
Le fonti del diritto sovra-nazionale, sono leggi dettate da ordinamenti di gran lunga più ampi di una Nazione, nel
nostro caso, l’UE (Unione Europea), la quale ha già dimostrato di saper far valere le proprie direttive in materia di
espropriazione e tutela ambientale e paesaggistica. Esse gestiscono i rapporti tra stati.
Nei rapporti tra stati, lo strumento fondamentale è l’accordo tra stati (praticamente un contratto), essi possono
anche chiamarsi trattati o convenzioni, Il trattato Internazionale è la fonte del diritto internazionale.
Le organizzazioni internazionali nascono tramite i trattati tra più stati, un esempio è l’ONU, oppure ancora l’OMC
(Organizzazione mondiale del commercio), l’OMS (organizzazione mondiale della sanità) ecc…
Esistono poi organizzazioni internazionali così dette “regionali” ovvero quelle riguardanti i continenti, ognuna con
una propria organizzazione, nel caso dell’Europa (non UE), essa si compone del “Consiglio d’Europa” che si occupa
delle politiche interne e sancisce i diritti inderogabili dell’essere umano (se ne occupa la corte europea dei diritti
dell’uomo) e i diritti culturali tramite apposite convenzioni stipulate rispettivamente nel 1950 e 2000.
Il diritto internazionale ovviamente impatta su quello italiano, secondo l’art.117 comma 1 della costituzione si dice
che tutte le leggi interne (statali e regionali) devono rispettare gli ordinamenti internazionali, soprattutto se c’è
stata la trasposizione (ordinamenti resi, così, pienamente efficaci anche nell’ordinamento interno). Le leggi
internazionali vengono trasposte internamente al territorio nazionale, nel nostro caso diventano leggi primarie,
dunque fonti di diritto primarie.
L’UE nasce come costellazione di diverse comunità tra cui ad esempio la CECA (Comunità Europea del Carbone e
dell’Acciaio), la CEE (Comunità Economica Europea) e la EURATOM (Comunità Europea dell’Energia Atomica).
Le comunità europee per finire hanno dato vita all’UE nel 1992 con il trattato di Maastricht.
Le fonti originarie come appena detto sono i trattati i quali vengono poi trasposti e assimilati dalla costituzione della
nazione appartenente all’ Unione Europea. In ordino cronologico il primo trattato fu quello della CECA nel 1950, a
cui poi seguirono gli altri trattati, la caratteristica più importante dell’UE è la previsione delle fonti del Diritto
derivate, significa che l’UE si compone di istituzioni sue proprie che hanno a loro volta poteri normativi, e quindi
stipulano norme (“di diritto derivato” perché a valle rispetto ai trattati).
Direttive:
esse sono meno impattanti sugli stati membri, e con esse il legislatore comunitario (o “euro-unitario”,
“comunitario” si usa in riferimento alla fase delle comunità europee) stabilisce un obiettivo, definisce una
normativa di massima per raggiungerlo e lascia agli stati membri un termine per adeguarsi, per recepire le
direttive. Esse NON sono quindi discipline di dettaglio e contemplano un termine per il recepimento, entro cui
ogni stato detterà delle norme di dettaglio per sviluppare le indicazioni della normativa.
Anche le Sentenze della corte di Giustizia dell’UE sono fonte di diritto, o per meglio dire SUPER FONTI del
Diritto, per tutte le nazioni appartenenti.
Nel nostro caso dunque abbiamo 2 casi di sentenze: quelli che accolgono le questioni di incostituzionalità
emanate dalla Corte Costituzionale e quelle della corte di Giustizia dell’UE.
Oltre la violazione, anche la mancata o tarda ricezione di queste super fonti comporta procedimenti giudiziari
nei confronti dello Stato, di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, da non confondere con la Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo.
Secondo l’articolo 11 della nostra costituzione, l’Italia oltre a ripudiare la guerra, cede una parte di sovranità
agli interessi degli ordinamenti internazionali per il perseguimento della pace.
- Parlamento Europeo:
funziona come un normale parlamento nazionale eletto direttamente dal popolo, i rappresentanti
siedono all’interno del parlamento, in base alle simili o contrastanti ideologie, si fondano i vari
partiti o gruppi.
- Commissione europea:
i componenti sono simili ai nostri ministri, ma non rappresentano gli stati di appartenenza.
- Corte di Giustizia:
già esplicata prima
- Consiglio Europeo:
Composto dai capi di stato e di governo degli stati membri, essi si riuniscono per trovare consenso
sugli indirizzi di sviluppo delle politiche dell’Unione (come la recente crisi sanitaria).
Essa si occupa di AMMINISTRARE il territorio, di approvare i Piani Urbanistici e Paesaggistici, pone i vincoli
archeologici storici e artistici, rilascia titoli abilitativi edilizi e sanziona gli abusi. E’ oggetto di regole e precetti.
La pubblica amministrazione, è composta da parti non politiche del potere esecutivo, l’ambito politico spetta al
consiglio dei ministri, ai ministeri e alle altre amministrazioni come l’agenzia delle entrate.
Le pubbliche amministrazioni hanno poteri imperativi, ovvero possono imporsi ad altri soggetti,
particolarmente i privati, indipendentemente dal loro consenso. Siccome nei rapporti tra i privati la regola
base è la necessità del consenso, esplicato ad esempio da contratto, ciò fa capire come la pubblica
amministrazione bypassi queste formalità.
I poteri unilaterali della pubblica amministrazione sussistono solo se e nella misura in cui sono previsti dalla
legge, esistono norme ad hoc che prevedono quella specifica potestà all’amministrazione, la Legge permette
l’esistenza di questi poteri imperativi, ma solo nella misura in cui essi siano necessari.
L’art.97 della Costituzione esprime i principi fondamentali sull’organizzazione e attività delle pubbliche
amministrazioni. Esso, in particolare, esprime i principi di legalità, imparzialità, buon andamento,
poi esistono altri principi costituzionali come quelli di: responsabilità, trasparenza e concorso.
Il Principio di Legalità attribuisce una responsabilità di rispetto della legge all’amministrazione.
Questa accezione non è così banale poiché fino a poco tempo fa la pubblica amministrazione
godeva di esenzione da molti principi di responsabilità, e in vari casi di violazione della legge erano
considerati da lei “a fin di bene”.
Le regole di macro organizzazione sono rimessi al legislatore.
Per la parte privatistica, il principio di legalità si declina “a maglie larghe”, e si possono usare tutti
gli strumenti previsti tranne eccezioni; al contrario, per la parte pubblicistica, il rilascio di
provvedimenti vede un principio di legalità “a maglie strette”, e la pubblica amministrazione ha
solo i poteri che gli vengono affidati da specifiche leggi.
Dimensione negativa del principio (negativa nel senso dell’accezione del “non fare”):
la pubblica amministrazione non è esente da responsabilità se si viola la legge.
Dimensione positiva del principio (positiva nel senso dell’accezione del “fare”):
ciò che l’amministrazione può fare, si declina diversamente se parliamo di diritto privato o
pubblico.
negativa (consiste nel “non fare”), dove la pubblica amministrazione deve essere
imparziale nel senso che non deve subire condizionamenti impropri di alcun portatore di
interesse;
Economicità: rispetto della regola del pareggio di bilancio, assegnata dal singolo ente o
dallo stato.
Esempio: Se io, comune, decido di contrarre spese per una somma superiore a quella del
bilancio, ho una serie di conseguenze dal punto di vista contabile che inficiano la mia
attività. Va ricordato che i contratti della pubblica amministrazione, una delle principali
voci di spesa, devono avere un’apposita copertura di bilancio, in mancanza della quale
sono illegittime.
NB: efficienza ed efficacia non sono la stessa cosa! Se l’obiettivo dei guariti per una grave patologia in un
ospedale è di 8/10 e ne salvo solo 1/10, in quel caso NON sono efficace, non raggiungo degli obiettivi di
Un’attività a noi nota è il rilascio del Permesso di Costruire firmato però adesso dal dirigente amministrativo
dell’ufficio tecnico, mentre in passato ciò lo deliberava direttamente il sindaco.
Ciò ci fa capire che all’interno dell’amministrazione pubblica è avvenuta una differenziazione dei ruoli tra
organi politici e burocratici; i primi si occupano di deliberare gli indirizzi riguardanti la pianificazione o gli atti
normativi, gli ultimi di firmare gli atti e rilasciarli.
L’organo politico ha forte influenza sull’organo burocratico, poiché con i suoi indirizzi può modificare le
tempistiche e le modalità di rilascio degli atti, e se i funzionari dipendenti della parte burocratica non
dovessero attenersi a queste direttive allora gli verrebbero sottratte quote dallo stipendio fino ad arrivare al
licenziamento. Queste norme, hanno provato ad introdurre nella pubblica amministrazione delle logiche
tipiche dell’azienda privata, il cui dirigente è valutato sulla base dei risultati raggiunti.
I procedimenti amministrativi sono disciplinati con cautela perché vi è un’esigenza di garanzia nei confronti
del privato, che non deve essere alla mercé della pubblica amministrazione.
Mentre nel diritto privato conta la decisione finale (atto di volontà) e non il metodo, nel diritto
amministrativo invece assume rilevante importanza la procedura, tradotta nell’insieme delle attività
istruttorie e preparatorie, dunque se già uno dei passi più importanti per la preparazione di un atto risulta
essere illegittimo, anche il suo risultato finale lo sarà.
Come si fa infatti a dire se una scelta (finale) di pianificazione, per esempio, è intrinsecamente conforme
alla legge oppure no? Lo stesso discorso vale anche per gli atti contrattuali della pubblica amministrazione.
Il modo con cui il nostro ordinamento vuole fare sì che le scelte della pubblica amministrazione non siano
arbitrarie è quello di porre dei paletti o limiti alla sua discrezionalità. Questo significa che il potere deve
essere esercitato in un certo modo, che lo renda più controllabile e che imponga una certa ponderazione,
attenzione e valutazione nel farsi della decisione (esempio dello Zen di Palermo di Gregotti).
Per esempio: sappiamo che in materia di pianificazione esiste la VAS (“valutazione ambientale strategica”);
il legislatore avrebbe potuto benissimo evitarla, ma il suo obbligo ci dice ex-ante che, se facciamo un nuovo
PRG, va fatta una valutazione relativa alle ricadute sull’ambiente di tali scelte di pianificazione. I
pianificatori più attenti si ponevano tale tema già prima dell’obbligo della VAS, ma il legislatore lo ha
introdotto come obbligo per tutti. La VAS è un adempimento procedimentale nell’ambito della formazione
dei PRG.
Sul procedimento amministrativo, vediamo le fasi in cui lo si scompone anche per ragioni di studio. Queste
sono fondamentalmente tre:
Fase dell’istruttoria: è un po’ il cuore del procedimento amministrativo. È in questa fase che si
compiono le attività di valutazione che si tradurranno nel provvedimento finale. Può durare mesi,
anni (casi con grande impatto sul territorio, per esempio), oppure pochi minuti (casi amministrativi
più semplici, come l’iscrizione all’università). A questa fase appartengono atti molto importanti, quali
i pareri, che sono valutazioni di altre pubbliche amministrazioni, esterne rispetto a quella che
conduce il procedimento, che sono spesso richiesti per legge (pareri obbligatori) o dall’ente (pareri
facoltativi). Talora i pareri sono vincolanti, talora no (dipende dalla legge specifica relativa a
quell’ambito;
Fin qua abbiamo fatto una descrizione molto generica. Tentiamo ora di dare un approfondimento dal punto
di vista giuridico attraverso la legge Fondamentale sul procedimento amministrativo (legge n. 241 del
1990), modificata nel corso del tempo. Essa si occupa di due ambiti di disciplina:
Procedimento amministrativo: Per quanto riguarda questo, la legge 241 disciplina una serie di istituti
giuridici che, a seconda dei casi, lo compongono. Ne segnaliamo alcuni, almeno quelli fondamentali:
Art.2 della legge 241: principio per cui tutti i procedimenti amministrativi hanno una durata massima.
Tale “termine del procedimento” è previsto dalla singola legge di settore che prevede quel potere (ad
es. il Testo Unico dell’edilizia per il rilascio del PdC), oppure deve essere previsto da ciascuna singola
amministrazione con il proprio regolamento. Se non si fa ciò, soccorre un termine ulteriore previsto
dalla stessa legge 241 che, a seconda dei casi, è di 30 o 90 giorni (normalmente per i comuni il termine
residuale è di 30 giorni). La violazione del termine può avere varie conseguenze, su cui torneremo;
Art.4-5-6 della legge 241: ci si occupa della figura organizzativa del “responsabile del procedimento”.
Chi è? In molti casi, in passato, era difficile capire quale fosse lo stato della pratica e che ufficio se ne
stesse occupando. Pertanto, ogni singolo procedimento deve avere un funzionario dell’amministrazione
che faccia da interfaccia con l’utente e da coordinatore. Esso viene nominato all’inizio del
procedimento, ed è subito riconoscibile al richiedente o al destinatario.
Trasparenza amministrativa.
Se una pratica viene bocciata per via di cambiamenti della norma di pianificazione lungo il suo
procedimento, si deve rifare l’istanza.
Il procedimento può articolarsi in sub-procedimenti che vanno verso diverse amministrazioni, incardinate in
plessi istituzionali differenti. Ciò significa che, in concreto, è probabile che la pratica si perda o possa
conoscere momenti di difficoltà nella sua gestione. Inoltre, le sovraintendenze sono spesso difficili da
maneggiare, e le loro decisioni sono praticamente insindacabili. Un ruolo di coordinamento all’interno
dell’amministrazione è evidente, anche perché essa, in tutto ciò di cui parliamo, non è muta testimone di
ciò che vuole fare il privato.
Se per esempio si deve riqualificare o recuperare un vecchio stabilimento, il destinatario deve essere a
conoscenza di tutti i procedimenti e una volta presentata la pratica del permesso di costruire, può rivolgersi
al responsabile del procedimento per accedere ai documenti analoghi.
L’intervento di altri privati è comunque ammesso se l’intervento mina alla salvaguardia di un territorio
confinante o mette in difficoltà la produzione di chi ha dei beni agricoli limitrofi.
Al procedimento in caso di confini comunali possono partecipare più amministrazioni oltre alla promotrice
del procedimento.
Se dovessero esserci problemi riguardo il mantenimento dei confini coi privati, subentra il concetto di
vicinitas, per individuare geograficamente i controinteressati al procedimento.
Stra-giudiziale: l’ufficio apicale del comune ha a disposizione la metà del tempo per arrivare ad
una decisione qualora non l’abbia fatto l’ufficio tecnico
Giudiziale: il privato nel giro di pochi mesi può chiedere al TAR il commissariamento
dell’amministrazione, in quel caso allora il giudice nomina il commissario specifico per
prendere decisione su questo tipo di istanze.
Il decreto legislativo n.33 del 2013 ha, poi, previsto il cosiddetto “accesso civico”: si tratta di una possibilità
di accesso ai documenti in possesso della pubblica amministrazione ancora più esteso dell’accesso al
documento, perché prescinde dalla presenza dell’interesse specifico.
Esempio più frequente: infrazione del rapporto di vicinitas tra due fabbricati privati: il privato che vuole
esporre denuncia può rivolgersi direttamente all’amministrazione avvalendosi del principio di autotutela
della stessa, in altri casi, si ricorre al TAR dove il giudice delegato si occupa della ill/legittimità dell’atto
senza limiti di tempo visti nei casi in sede giurisdizionale con giudici della cassazione.
- Interesse collettivo della rimozione dell’intervento illegittimo, poiché ricade sulla sicurezza dei
cittadini.
La legge 240 del 1990 garantisce anche il diritto di accesso ai documenti amministrativi.
La richiesta di accesso a tali documenti è pubblica salvo casi eccezionali, ma deve essere comunque
motivata ( la curiosità non è una motivazione ).
i casi sono:
- Conoscenza di atti riguardanti un mio vicino nel caso in cui questi decida di avviare un intervento
che possa ledere il confinamento col mio territorio, o ostacolarne un intervento mio svolto in
parallelo (quindi giuridicamente rilevante), in questo caso sarà il giudice a deciderne la rilevanza.
L’accesso civico è previsto dal DL 33 del 2013, ma ancor più gratuito e legittimo prima ancora degli interessi
propri è l’accesso ai documenti di materia ambientale.
Nel caso della richiesta di accesso ai documenti privati di altri soggetti al di fuori dei propri,
l’amministrazione oltre a negarne l’accesso, può lasciar passare i 30 giorni di tempo per formare il silenzio
diniego. In questo caso, il privato può fare ricorso al TAR, e otterrà tali permessi solo se cambiano i
presupposti nel tempo (molto difficile che si verifichi).
Pianificazione territoriale:
La costituzione, nel suo Art. 42 comma 2 stabilisce che la legge può limitare la proprietà privata per
garantire la funzione sociale.
Per garantirla, un altro esempio oltre alla pianificazione è l’imposizione di vincoli o qualsiasi potere
dell’amministrazione che collegandosi all’art. 42 consenta di conformare la proprietà e il territorio.
Vi sono discipline statali e regionali, quelle statali si distinguono in discipline di principio (che vincolano i
legislatori regionali) e di dettaglio.
Nella legge urbanistica statale, il nucleo duro è il livello comunale che sfrutta come strumento il PRG che
considera anche il territorio extraurbano.
La zoonizzazione del PRG suddivide il territorio in Zone Territoriali Omogenee, disciplinati dal DM 1444 del
1968 e identificabili in base a:
Le Zone Territoriali Omogenee sono distinte in zona A, B, C, D, E, F (soprattutto nei PRG tradizionali):
A) Centri storici;
B) Zone di completamento;
C) Zone di espansione;
D) Insediamenti produttivi (una volta “industriali);
E) Zone agricole;
F) Zone per attrezzature o impianti di interesse generale.
Per ogni zona il PRG e il DM 1444 precisano le quantità massime di spazi da destinare ai privati.
Vengono introdotte anche delle Sotto-zone e anche dei Sotto-usi, un esempio è la microzona in cui
destinare edifici che operano nel campo mediatico, come le stazioni radio, le centraline della linea
telefonica ecc.
C’è anche poi il tema degli “usi complementari” o “usi compatibili”. Cosa significa? Ci sono utilizzi del
territorio che si fa fatica ad associare a una o all’altra delle ZTO (es. alberghi o distributori di carburante).
Sono per lo più strumenti di ausilio a queste zone, un albergo può avere diverse ubicazioni in base alla sua
funzione, in diverse ZTO.
La micro-zoonizzazione esiste per far fronte alle proposte di vincoli alberghieri, però rischia di non
rispettare l’omogeneità delle Zone Territoriali Omogenee.
Dal punto di vista urbano, il PRG consente di fare un po’ tutto, poiché il privato potrebbe comprare un
immobile e trasformarlo da albergo a edificio di interesse privato, ciò contribuisce alla desertificazione del
centro storico.
C’è una sentenza del Consiglio di stato del 1992 che, ad esempio, annulla un PRG nella parte in cui
prevedeva delle microzone del tutto avulse dal contesto di riferimento. Quindi, in teoria, la micro-
zonizzazione incontra dei limiti giuridici. Un’altra sentenza del Consiglio di stato, la n.200 del 2005, annulla
una micro-zonizzazione fatta su singoli edifici, proprio perché non corrispondente al criterio di omogeneità
delle ZTO.
Decreto-legge n.69 del 2013, “decreto del fare” (convertito poi in legge n.98 del 2013), ha stabilito che le
regioni possano derogare in generale, anche “in peius”, in peggio, rispetto all’esigenza di evitare l’aggravo
del carico urbanistico. A partire dal 2013, quindi, quelle soglie minime sono valide, quindi, solo dove le
regioni non se ne discostano (prima erano vincolanti ad eccezione di miglioramenti o modifiche “in meius”,
con maggiore tutela del territorio).
L’obbiettivo del PRG è l’ubicazione delle opere infrastrutturali anche ad uso sportivo, sanitario o scolastico.
Il tema dei Vincoli di edificabilità ci pone davanti al problema della previsione degli spazi da destinare a
infrastrutture che non necessitano di variante, inoltre il terreno posto a questo vincolo, ha una durata
quinquennale e se non viene sfruttato, il vincolo si può comunque rinnovare, in caso di mancato rinnovo, il
proprietario terriero ha con se una “zona bianca” da poter ripianificare a piacimento, a meno che non sia
una zona territoriale omogenea. Il comune può sempre ripianificare questa zona bianca, ma deve
ovviamente provvedere con un indennizzo, ristorando la perdita del bene e anche (se successo nel primo
quinquennio) il mancato utilizzo con conseguente situazione di stallo ai danni del proprietario. L’indennizzo
quantificato secondo la legge della Valle d’Aosta, corrisponde al 4% in più per ogni anno di posto vincolo di
inedificabilità.
Per l’art. 40 della legge urbanistica, però, nel caso in cui una zona in cui intendo edificare dovesse essere
posta in Zona E secondo classificazione del PRG, allora non ho diritto all’indennizzo.
Il Piano Regolatore Generale viene varato nel corso degli anni, parte con un raggruppamento di membri
che provvedono al lavoro su ampia scala definendo le linee guida in base agli interessi della società locale,
si passa poi alla delibera di giunta che approva la bozza del PRG, il consiglio comunale lo revisiona e una
volta conforme con le normative si fa una delibera di preadozione. La pubblicazione del PRG viene
mantenuta nell’albo pretorio per 30 giorni. In questi 30 giorni, gli enti privati o pubblici possono intervenire
raccogliendo consensi o dissensi sull’adozione, ed il giorno della stessa, l’amministrazione valuta le
osservazioni.
L’Adozione però non coincide con l’Approvazione, quest’ultima spetta invece alle Regioni (un tempo
spettava al Ministero dei Lavori Pubblici).
Per l’adozione, in Emilia Romagna, si delegano altri enti territoriali provvisoriamente, come ad esempio le
provincie, stessa cosa vale per l’approvazione.
Tra la Pubblicazione del PRG e la sua approvazione si ha tempo limite di un anno, nel caso di mancato
adempimento, si ricade anche qui nel silenzio-inadempimento, il quale non è indice né di approvazione né
di negazione, ma semplicemente obbliga gli enti di competenza ad ultimare obbligatoriamente il
procedimento.
Gli atti di pubblica amministrazione come il PRG, vanno sempre motivati con presupposti di fatto, di diritto
o decisione vera e propria.
Tuttavia, la giurisprudenza ritiene che gli obblighi di motivazione, in questo caso, possano essere perseguiti
in una forma meno rigorosa rispetto a quando c’è un destinatario ben determinato.
Immaginiamoci una variante, come quelle “in diminuzione dei carichi/indici urbanistici” (es. rendo un
terreno prima edificabile non edificabile, o comunque riduco gli indici pur rimanendo nell’ambito della
stessa ZTO, agendo su altezze, densità, distanze…).
Il problema che si è cercato di mettere a fuoco è fino a che punto le varianti debbano essere motivate:
motivazione più lasca se non ci sono legittimi affidamenti,
motivazione più precisa, argomentata e circostanziata se, invece, sussistono tali affidamenti
Se faccio la contro-variante e:
la motivo efficacemente, il privato ha diritto solo all’indennizzo, perché ho un legittimo
utilizzo del potere di revoca;
la motivo male, il privato ha diritto all’indennizzo e anche al risarcimento dei danni,
perché avrei un puro inadempimento.
NB: Il legittimo affidamento normalmente è ravvisato nella stipula di un accordo.
L’accordo di programma:
La disciplina che lo regola si rinviene nel Testo Unico sugli Enti Locali.
E’ un intervento che implica la pluralità di enti pubblici, riunisce una pluralità di soggetti con varie
competenze che possano intervenire per realizzare quanto concordato agli interessi di tutti.
L’accordo riunisce più pubbliche amministrazioni quando si tratta di realizzare un’opera pubblica come ad
esempio un ospedale, richiedendo poi una localizzazione ad hoc della suddetta.
L’accordo di programma è un atto para-contrattuale (non è un vero e proprio contratto, ma stabilisce gli
stessi vincoli analoghi), le conseguenze di chi non adempie a ciò sono di tipo sancitorio.
Se un Ente pubblico non adempie al suo regolamento e non funziona burocraticamente, gli altri enti
possono fargli causa, innescando un meccanismo sostitutivo, dunque sostituendo l’ente inadempiente.
Solitamente a ciò rimedia il Collegio di Alta Vigilanza.
Gli enti privati fiancheggiano gli accordi di programma ma non sottoscrivendolo formalmente.
Prima degli anni 90’, si verificava un effetto navette dove nonostante la maggioranza di approvazione delle
amministrazioni comunali, quelle poche che rifiutavano e chiedevano la modifica obbligavano l’ente privato
a revisionare il proprio progetto per poi cercare la riapprovazione unanime delle amministrazioni.
Dagli anni 90’ in poi il legislatore per evitare questo effetto, decide di raggruppare tutti i procedimenti
autonomi in uno unico che li accoglie come sub-procedimenti.
Gli accordi pubblico-privato sono accordi amministrativi, che riconoscono il ruolo del privato in una materia
in cui il faro di riferimento è di interesse pubblico (normalmente NON si chiamano “accordi di programma”,
ma “accordi tout-court” o “amministrativi”).
In ambito giuridico e urbanistico, questi accordi non sono ben visti, in quanto fanno subito pensare alla
privatizzazione di un bene pubblico.
Ma per pianificare, bisogna anche investire, dunque il dialogo tra pubblico e privato è necessario ed
implicito.
Ad oggi tutte le varianti del PRG o le costruzioni di iniziativa pubblica, ne hanno richiesto l’accordo con il
privato. Ciò è previsto anche nell’art.11 della legge 241 del 1990 intesa come norma madre della
negoziazione tra le 2 parti anche in materia di pianificazione, questa norma tiene insieme due esigenze:
- Esigenza di stabilità: pone il problema di tutela del privato, concordando l’interesse da rispettare
tra le parti. È un atto vincolante come comune contratto, anche se non si tratta di contratti
disciplinati dal codice civile. In caso di cambiamenti voluti da una delle due parti, l’ente
svantaggiato può chiedere il risarcimento danni (per spese e non per mancato guadagno) al suo
corrispettivo.
- Esigenza di flessibilità: perseguita in casi eccezionali se subentra un evento di forza maggiore dopo
la stipula dell’accordo. In pratica essa altro non è che l’annullamento unilaterale dell’accordo per
sopravvenienze di diritto che consentono di recidere il contratto senza pagare alcuna penale.
La peculiarità degli accordi è proprio la previsione dell’accordo pubblico-privato, che negli anni ha avuto
particolare centralità nel diritto del governo del territorio, questo perché il legislatore ha ampliato il regime
giuridico degli accordi, ridefinendolo mediante la stessa legge 241 del 90’ tutelando la stabilità, la
flessibilità e il privato in materia di accordi.
L’indennizzo (ristoro per attività legittime) si ha in caso di nocumento (interruzione o danno) di un fatto
naturale o previsto da legge, il risarcimento è invece il ristoro per attività illegittime causato da altri.
Le valutazioni amministrative con un privato sono arbitrarie, dunque la pubblica amministrazione deve
adempiere a queste ultime secondo criteri di proporzionalità, ragionevolezza, doverosità e profitto
dell’interesse pubblico.
Gli accordi tra enti pubblici sono normati dall’articolo 15 della legge 241.
Si deve applicare la regola di presidio della stabilità, per la quale sussiste la natura para-contrattuale
dell’accordo, pertanto in caso di inadempimento sono doverosi dei risarcimenti.
Due comuni che si accordano per la realizzazione di un’infrastruttura pubblica, coordinano i rispettivi piani
tramite un PROTOCOLLO D’INTESA.
Negli accordi tra enti pubblici vale sempre la regola dell’effetto vincolante di tipo para-contrattuale, è
possibile però revocare a fronte di sopravvenienza di fatto o diritto.
Pertanto il diritto edificatorio sarebbe meglio attribuirlo a chi è proprietario di certe aree comunali
catalogate per densità e destinazione.
Se si possiede un terreno, si può rapportare la capacità edificatoria con la rendita del suddetto eliminando
la concezione della Legge Bucalossi riguardante il rilascio del titolo edilizio, dicendo che su un terreno
edificabile non si dispone di tutti i diritti edificatori ad esso legati, che sono concretamente distribuiti tra
tutti i cittadini, in base a come sono assegnati dal PRG.
Per far sì che un terreno edificabile e quello prettamente agricolo vengano messi sulla stessa importanza e
abbiano lo stesso valore, allora si procede con l’effetto perequatorio, ovvero di imputazione dei diritti
edificatori a tutti i cittadini, senza distinzione di zona, se poi un proprietario vuole aumentare il valore, deve
acquistare terreno in più dal pubblico o da altri cittadini.
L’indice Fondiario (capacità edificatoria o indice fondiario) di un terreno indica la cubatura realizzabile su
una certa porzione di territorio. La cessione di cubatura, intesa anche come cessione dei diritti edificatori,
è una pratica disponibile già dal 2011 ma essa salvo successive ripianificazioni, avviene a valle della
pianificazione, non retrocede, quindi non cambia regime di ZTO. Tuttavia i diritti edificatori si separano dalla
proprietà del fondo di appartenenza iniziale.
Viene introdotto pertanto un elemento di flessibilità per ridistribuire i diritti edificatori, ma per fare ciò va
consultata la legge regionale e il PRG che ne prevede:
La possibilità solo tra terreni nello stesso comune (fondo cedente e cessionario devono avere questo
legame);
La possibilità solo fra terreni relativamente vicini (requisito che viene introdotto dalla giurisprudenza).
Si vuole evitare che la pianificazione venga completamente travolta (torna il concetto della “vicinitas”);
L’esclusione del superamento di determinati livelli dell’indice fondiario del lotto ricevente
(i PRG, se fatti bene, contemplano una serie di regole che rendono maneggevole lo strumento,
prevedendo anche distanze massime fra le aree e indici massimi).
La monetizzazione degli standard è uno strumento ancor meno perequativo, rende ancora più flessibile
delle prescrizioni del PRG, e fa sì che, laddove nell’area oggetto di un intervento edificatorio il privato non
riesca a reperire le aree per realizzare questi standard, possa pagare una somma corrispondente al comune
affinché esso realizzi tali servizi in zone limitrofe.
E’ di 2 tipologie:
Intervento indiretto: sfrutta il PRG mediato dal piano attuativo che rilascia un titolo abilitativo.
Intervento diretto: il PRG opera direttamente nelle porzioni di territorio normate ma rilascia i titoli
abilitativi senza bisogno di mediazione da parte di un piano attuativo.
- “piani particolareggiati”, piani di iniziativa pubblica. Normalmente vengono usati per le opere
come la viabilità minore e altre opere pubbliche minori rispetto a quelle gestite e previste già nel
PRG;
- “piani di lottizzazione”, piani di iniziativa privata. Si chiama così perché originariamente era usato
per disciplinare porzioni di terreno volte ad un uso residenziale. Normalmente questi piano sono
anche detti “piani convenzionati”, poiché non c’è solo la presentazione di un’istanza da parte del
privato e di un’approvazione da parte del comune, ma c’è quasi sempre la stipula di un accordo
che disciplina i reciproci impegni, e che cambia la consistenza giuridica del rapporto, rendendolo
più proiettato nella sfera contrattuale e quindi suscettibile di risarcimento danni, più stabile dal
punto di vista giuridico e di vincolo per le parti. In effetti, fin dal 1967 il legislatore ha introdotto,
per questi piani, le “convenzioni di lottizzazione”, accordi che li accompagnano (applicazione dello
strumentario disciplinato dall’art.11 della legge 241 del 1990).
Questi piani attuativi si compongono di una fase di preadozione, di una fase di pubblicazione e dopo della
fase di approvazione, ma queste sono state semplificate nel 1985 dalla legge n 47 che attribuisce la fase
finale al comune. Questa semplificazione però attenua il ruolo dell’ente terzo.
Si prende quindi atto il PRG è o era una pianificazione generale e che poi, in concreto, la pianificazione si fa
per progetti su singole porzioni del territorio, partendo da strumenti attuativi che, però, alla fine possono
anche derogare al PRG!
Questa legge è quindi uno dei primi sintomi di quel fenomeno di crisi della pianificazione tradizionale,
perché così facendo il PRG tende a diventare solo un canovaccio secondo un processo inverso di
ridefinizione tramite i piani attuativi, quindi la pianificazione tradizionale si inverte partendo dal basso verso
l’alto.
Un altro strumento di pianificazione è la VAS (Valutazione Ambientale Strategica) che segna il punto di
confluenza tra problematiche ambientali e di pianificazione urbana. E’ prevista tramite DL n 152 del 2006.
Essa è obbligatoria per legge per gli strumenti di pianificazione comunale e principalmente provinciale, se la
VAS viene esclusa dal piano urbanistico allora il suddetto viene dichiarato illegittimo.
Dipende dal loro impatto e da ciò che dice la legge regionale può essere obbligatoria anche per le varianti.
Abbiamo un tipo di pianificazione “intercomunale” o anche detta “associata”. In realtà, con queste
etichette ci riferiamo a due ipotesi che possono poi essere ulteriormente separate: il contesto generale è
quello della collaborazione tra più comuni, normalmente dello stesso contesto territoriale. Il punto è infatti
che le esigenze del territorio faticano a rimanere all’interno di un solo comune.
Per far fronte a ciò procediamo in 2 modi:
Pianificazione più lasca: sulla base dell’ art.15 della legge 241 del 1990, prevede accordi tra comuni
che vengono chiamati “accordi di pianificazione” e servono ad armonizzare/coordinare i rispettivi
strumenti urbanistici. Possono riguardare tutto il territorio o solo parti specifiche.
Pianificazione più integrata: il PRG diventa più ampio, i comuni rimangono autonomi ma creano un
Ufficio di Piano comune, che svolge una funzione associata a tutti i comuni.
per completezza, diciamo che i piani di attuazione normalmente sono di competenza comunale, ma a
volte, per attuazioni minori, si ritiene basti soltanto l’approvazione della giunta.
Negli ultimi anni si è cercato di sburocratizzare riducendo la vastità della frammentazione dei comuni in
comuni-polvere (con numeri di abitanti molto ridotti).
La risoluzione sussiste nella fusione di comuni unendo così le competenze ed acquisendone altre, da ciò si
può passare anche al Super-Comune ( un esempio è il comune della Valle di Samoggia vicino Bologna).
Gli step sono dunque: collaborazione PRG unione Fusione.
Passiamo ora a parlare della “pianificazione sovracomunale”, nel senso che promana da livelli istituzionali
“sovraordinati”, essa prevede secondo la legge n.1150 del 1942 la formazione di “piani territoriali di
coordinamento”.
Con la cosiddetta “legge Galasso”, o legge n.431 del 1985, infatti, si prevede che le regioni debbano
adottare atti di pianificazione paesaggistica, o come piani autonomi o come ambito e/o specifica dei loro
piani territoriali generali.
Il sistema della pianificazione sovracomunale comincia ad articolarsi fra gli anni ’70 e ’80, inizialmente come
“pianificazione regionale”.
Si arriva al 1990, che segna un’importante valorizzazione delle province, con 2 leggi:
- Legge n.241 che disciplina l’attività amministrativa, il procedimento amministrativo e l’accesso agli
atti, quindi la trasparenza amministrativa.
Von la legge n.56 del 2014, “legge Del Rio”, dal nome del ministro dell’epoca proponente, vengono
ridimensionate le province ma si annoverano tra le loro funzioni fondamentali la pianificazione territoriale
provinciale di coordinamento (rimane il PTCP e con esso la funzione di pianificazione del territorio a questo
sotteso). Vengono istituite così le 13 Città Metropolitane in sostituzione di alcune province.
- Direttive: indirizzi recepiti dai piani comunali ma che non conformano il territorio.
- Prescrizioni: indicazioni che superano il PRG conformando il territorio.
La città metropolitana NON elimina l’autonomia dei singoli comuni preesistenti. Viceversa, essa eredita da
un lato le competenze della provincia. Si introducono:
Ricordiamo che l’articolo 118 della costituzione, ripartisce le funzioni amministrative a Stato e Regione.
C’è da dire anche che alcune regioni si discostano dalla pianificazione a cascata prevista, un esempio ne è la
Toscana sulla fine degli anni 90’ e l’Emilia Romagna con la legge 20 del 2000, la quale affronta 2 tematiche
importanti quali: “Pressione degli interessi” che deve soddisfare le esigenze di plusvalore per proprietari in
zone edificabili o no; ”Responsabilità politica per le scelte di pianificazione del territorio”, il che vuol dire
che tutto dipende dall’amministrazione vigente e dalle loro scelte che possono variare i tempi di attuazione.
Questa legge 20 inoltre introduce 3 strumenti in sostituzione al PRG:
Il RUE è un momento di unificazione tra le norme distribuite nel regolamento edilizio e nel NTA; ha
valore a tempo indeterminato;
Il PSC non zonizza, ma pone soltanto dei macro-indirizzi sull’uso del territorio, basati sulla distinzione
tra “ambiti di conservazione/riqualificazione” e sui “distretti di trasformazione”. Si valorizza più il
quadro dello studio dell’esistente del ragionamento sulle linee di sviluppo future. È uno strumento più
conoscitivo che pianificatorio in senso stretto (conformazione del territorio). Ha valore a tempo
indeterminato (mantiene questa caratteristica tipica del PRG);
il POC pensa alla conformazione del territorio e, nel rispetto dei macro-indirizzi posti dal PSC, zonizza le
singole porzioni del territorio, disciplinando nel dettaglio le destinazioni d’uso (dura 5 anni).
La legge 20 del 2000 però induceva ad un consumo cospicuo di suolo, fu così che per rimediare a ciò, venne
varata la legge n.24 del 2017, la quale persegue le finalità di:
- consumo minore di suolo (salvo che si tratti di costruzione di edifici con funzione sociale secondo
quanto scritto nell’art.5 comma 3) incentivando la rigenerazione e il riuso dell’esistente (si
abbandonano dunque PSC, POC e RUE).
Si va così a braccetto con gli accordi europei che decretano la riduzione del consumo di suolo fino
allo 0% entro e non oltre il 2050. Dal 2018 è permesso solo consumare il 3% del territorio
urbanizzato (art. 6 comma 5), ma sono esenti da questa limitazione le nuove costruzioni riguardanti
le dotazioni ecologiche e ambientali.
I principali interventi edilizi riconosciuti dalle sentenze del TAR e del consiglio di stato e grazie al
decreto n. 380 del 2001 (con annesse leggi regionali quali la n.15 del 2003 in Emilia Romagna) sono:
- Restauro e risanamento conservativo: vengono eliminati gli elementi estranei che impattano
sull’edificio esistente, si ha una manutenzione straordinaria completa
- il PdC (permesso di costruire): è un atto di formazione pubblica ad opera del comune, devono
essere indicati al suo interno una serie di dati tra cui l’impresa appaltatrice, gli elaborati di progetto,
l’asseverazione del professionista (ovvero la conferma della legittimità dell’immobile).
La presentazione del permesso dà inizio al procedimento con annesso RESPONSABILE DEL
PROCEDIMENTO al quale il richiedente si rivolgerà. Il responsabile svolge un’istruttoria con la
proposta di provvedimento entro 60gg dalla domanda e ha max 30 gg per rilasciarla. Se i progetti
sono molto complessi si può prorogare il termine fino a 180 giorni (ad esempio in Emilia Romagna
la legge n.15 del 2013 lo prevede con sola comunicazione del privato).
Nel caso in cui il comune non risponde con un atto esplicito entro il termine allora si parla di
silenzio assenso, il che vuole dire che è approvato, ma ciò non è sempre un bene dal momento che
sarebbe buono possedere un atto esplicito che attesti la proprietà e conformità dell’immobile
quando lo si deve dichiarare o bisogna venderlo.
Secondo la Legge Bucalossi, i provvedimenti di durata del PdC anche se non revocabili possono
essere annullati qualora sussista l’illegittimità del bene edilizio. Se il PdC viola le nuove norme
urbanistiche entrate in vigore, per non annullarlo, il fabbricato si deve realizzare entro 3 anni dal
rilascio del PdC. Dal 1977 vi è un dovere di onerosità da parte del privato nel richiedere il PdC
versando una tassa.
Esistono 2 tipi di PdC:
PdC convenzionato: prevede la stipula tra pubblico e privato, dove entrambi gli enti
devono adempiere ad obblighi nella realizzazione dell’opera. Questo strumento viene usato
spesso per disciplinare meglio il PRG in caso di interventi diretti. Si pone a metà tra titolo
edilizio e pianificazione.
- la SCIA (Segnalazione certificata di inizio Attività), prima chiamata DIA (Denuncia Inizio Attività) è un
atto di formazione privata, ex ASSEVERAZIONE nel 1985 secondo la Legge Galasso, basata sulla
comunicazione da parte del privato, richiesto nella ristrutturazione e nel restauro/risanamento.
L’attuale nome è stato introdotto nel 2013. Gli interventi sottoposti a SCIA sono
“deregolamentati”, ovvero gli atti autorizzatori provengono dal privato per poi sono verificati a
valle dall’amministrazione una volta presentati.
Si distinguono poi:
NB: Non è possibile fare ricorso al TAR contro la SCIA. Pertanto, il privato deve rivolgersi in prima e seconda
battuta contro il comune, facendo un esposto sulla illegittimità. Se si pregiudicano interessi pubblici, ci si
Dunque questi 2 strumenti non sono interscambiabili, pochè il PDC è per nuove costruzioni, la SCIA per i
restauri o interventi minori del privato.
Prima ancora di questi titoli abilitativi però, abbiamo degli interventi a valle: le “licenze di agibilità”.
L’unica attività edilizia che non richiede nessuna di queste pratiche amministrative è l’attività edilizia libera
come la manutenzione ordinaria, altri 2 invece pur non richiedendo alcun permesso devono comunque
essere presidiati da comunicazione al comune, è il caso di CIL (comunicazione inizio lavori) e CILA
(Comunicazione inizio lavori Asseverata) e questi sono necessari per la manutenzione straordinaria.
- Oneri di urbanizzazione:
Vanno pagati al momento del ritiro del titolo abilitativo. Sono somme che il privato riconosce al
comune per concorrere nelle spese che l’amministrazione deve esperire per realizzare le opere di
urbanizzazione (o dotazioni territoriali) che si distinguono in:
Primarie, opere pubbliche indispensabili per collegare il costruito alla rete dei servizi
(comprendono strade, spazi di sosta, fognature, rete idrica, rete di distribuzione
dell’energia elettrica e del gas, pubblica illuminazione, spazi di verde attrezzato, etc.);
Secondarie, opere pubbliche necessarie per dotare il territorio di una serie di attività che
valgono a elevare la qualità della vita delle persone.
- Costo di costruzione:
si effettua a fine lavori, è quasi un sovrappiù economico che il privato versa alle casse comunali
pertanto ritenuto “para-fiscale”
- Contributi straordinari:
somme ulteriori rispetto a quelle obbligatorie di costruzione e urbanizzazione.
Non è così semplice, l’acquisto si ripartisce in varie fasi, iniziando da un accordo preliminare di
compravendita (compromesso) e si finisce con il contratto definitivo di compravendita (rogito).
All’inizio l’acquirente si chiama “promissario acquirente”, poiché non lo è ancora a tutti gli effetti ma ha già
iniziato le procedure d’acquisto. Per arrivare alla fase finale (rogito) si deve versare inizialmente una somma
chiamata Caparra, la quale certifica l’impegno preso nel voler comprare l’immobile.
Il lasso di tempo di acquisto è molto ampio per permettere solitamente all’acquirente di accumulare il
mutuo da versare.
Nel 1985 è stata introdotta una norma per cui tutte le compravendite di immobili, il contratto di
compravendita debba indicare a pena di nullità gli estremi del titolo abilitativo edilizio, a meno che si
dichiari che la costruzione dell’edificio è anteriore al 1985.
Il legislatore, in questo modo, non vuole che vengano commerciati immobili non a norma . Ma c’è
un’importante eccezione: caso in cui compriamo un immobile non da normale compra-vendita ma da
un’asta giudiziaria (vendita immobili di soggetti pignorati o falliti). A questo punto, il trasferimento del bene
è totalmente valido anche nel caso in cui manchi l’indicazione del titolo abilitativo edilizio. Non ho problemi
dal punto di vista della validità della compravendita, ma se c’è un abuso esso andrà comunque sanato o
eliminato!
Sono ad esempio la comunicazione di fine lavori e non possono essere prorogati a differenza degli
interventi a monte.
L’immobile può essere considerato abusivo se la sua costruzione avviene dopo la decadenza del PdC.
Il certificato di agibilità è pure un adempimento a valle che certifica la conformità dell’edificio con le norme
igienico sanitarie.
Esso nasce con il Testo Unico delle leggi sanitarie del 1934, si distingue in:
- Agibilità obbligatoria:
casi in cui va fatta assolutamente quando si parla di nuove costruzioni o ricostruzioni o
sopraelevazione (la manutenzione non richiede la pratica di agibilità).
- Agibilità facoltativa:
posso non farla in particolar modo se parlo di ristrutturazione di edifici preesisteni e storici, posso
comunque richiederla al comune per togliermi i dubbi.
L’agibilità va chiesta entro 15 giorni dall’ultimazione dei lavori di finitura, e la pratica deve essere rilasciata
dall’amministrazione entro 30 giorni con proroga massima a 60 se si richiede anche l’asseverazione.
In caso di mancata risposta, prevale il silenzio assenso.
Il termine può essere inferiore ai 30 giorni se sono preventivamente munito di certificato da parte
dell’AUSL, se invece mi affido ad un privato non sarei molto attendibile e dunque ritornerei ad aspettare il
comune. L’asseverazione in Emilia Romagna come sappiamo è chiamata SCEA e ha i suoi pro e i suoi contro
dal momento che si affida a strumenti privati come la “relazione tecnica integrata”.
Il legislatore è intervenuto sulla materia con il “decreto semplificazioni”, decreto-legge varato nel mese di
luglio e convertito in legge in settembre, n.76 del 2020, prevedendo una specie di pratica urbanistico-
edilizia nuova che prevede, se richiesta, un’apposita asseverazione di conformità valevole come pratica
amministrativa ed edilizia, che ha aspetti legali indipendentemente dalla volontà di adesione delle due
parti.
Si intende qualsiasi intervento edilizio non conforme o in difformità rispetto al titolo abilitativo edilizio.
La normativa di riferimento in Emilia Romagna è la legge regionale n. 23 del 2004.
Un edificio ritenuto abusivo ma attualmente in uso non può essere oggetto di altri interventi edilizi, deve
essere prima dichiarato abusivo e poi indotta una risoluzione tramite: sanatoria o demolizione.
- Sanatoria ordinaria: che può essere fatta sempre per sanare abusi di maggior impatto e a sua volta
si divide in:
Sanatorie giurisprudenziale (solo nelle regioni che l’hanno adottata) : nell’ipotesi in cui
un’immobile all’inizio non è conforme ma poi lo diventa in seguito, si procede dunque con
l’oblazione anche in questo caso.
Il primo condono edilizio consentiva di sanare ogni tipo di abuso, i seguenti hanno ristretto maggiormente
l’ambito del legittimabile. Al momento, comunque, non ci sono condoni edilizi aperti.
Va ricordato che soltanto il legislatore statale può introdurre condoni (ai legislatori regionali è precluso, in
quanto visto come principio fondamentale). Molto spesso gli immobili, se si va a vedere nel dettaglio,
contengono abusi minori storicizzati, ossia spesso non recenti, ma al tempo stesso non sanabili con
sanatorie ordinarie, perché non conformi alla normativa attuale e nemmeno che rientrino nella sanatoria
per doppia conformità.
1. Assenza di titolo (ci riferiamo ai titoli abilitativi in senso proprio, in particolare PdC e SCIA, ma per
quest’ultima solo nei casi in cui è alternativa al primo, “super-SCIA”);
2. Totale difformità dal PdC. Si realizza, come dice la legge, un organismo edilizio totalmente diverso
rispetto a quello fatto oggetto del permesso, o si realizzano volumi oltre i limiti elencati nel
progetto;
3. Variazione essenziale rispetto al progetto approvato (PdC). È il caso più delicato. Qui la norma
(art.32 del Testo Unico sull’Edilizia) dà alcune coordinate che vanno specificate dalla legislazione
regionale. Comunque si intendono la violazione delle norme in materie di antisismica, un
mutamento delle destinazioni d’uso che preveda la variazione degli standard, la variazione della
cubatura…
L’abuso però non riguarda solo ed esclusivamente un singolo edificio, può esserne coinvolto un intero
stralcio urbano e in quel caso parliamo di lottizzazione abusiva che non è stata prevista tramite apposito
piano di lottizzazione.
L’illecito in questo caso si suddivide in:
Per risolvere l’abuso tramite sanatoria o demolizione, il privato ha 90 giorni di tempo dall’intimazione del
comune, dalla legge regionale è possibile però richiedere una proroga.
Se invece il privato non è d’accordo con questa situazione, egli può fare ricorso al TAR entro 60 giorni, ma
ciò non inficia sul termine dei 90 giorni (il ricorso NON sospende il termine). Il privato deve chiedere e
ottenere una cosiddetta “sospensiva”, provvedimento urgente da parte del TAR che congeli la situazione
mediante un’ordinanza cautelare.
Se passato il tempo limite di termine per risolvere l’abuso, non è stato fatto nulla, allora il comune confisca
gratuitamente il bene e l’area su cui è costruito, per la sanatoria o demolizione, le spese saranno comunque
a carico del privato e per privato in questo senso intendiamo: il proprietario e il responsabile dell’abuso.
Per quanto riguarda il responsabile dell’abuso, posso avere una triade di figure/soggetti:
- Committente, privato che commissiona l’intervento;
- Impresa, che esegue i lavori;
- Professionista, tecnico che accompagna i lavori dal punto di vista delle prestazioni professionali.
Nell’ intervento edilizio, il professionista può intervenire in due ambiti: progettazione e/o direzione lavori.
Un caso frequente: professionista a cui viene commissionato un progetto di per sé non a norma
(proprietario di terreno non edificabile che si sta adoperando per renderlo tale e chieda un progetto in linea
di massima). Posso commissionare un progetto non conforme a norme e piani in vigore perché l’attività
progettuale non ha limiti di espressione dati dalle norme in vigore! C’è la libertà costituzionale di
manifestazione del pensiero, però conviene sempre precisare che è un progetto di natura intellettuale
(magari in un angolo degli elaborati), perché se poi il privato realizza quel progetto (es. corpo di fabbrica
aggiuntivo rispetto a una villa presente), in tal modo siamo tutelati.
Per altri interventi con abusi minori, subentra la “disciplina delle tolleranze” : non si considera difformità
dal titolo abilitativo se non si eccede il 2% delle misure di progetto nelle aggiunte. Si tratta di un aspetto
molto importante, norme super-restrittive avrebbero causato il proliferarsi di tali abusi. Peraltro, in Emilia-
Romagna, la legge n.15 del 2013 con le successive modifiche, è ancora più tollerante, ossia ha in più altre
clausole che vanno al di là delle misurazioni: non si considera abuso un intervento che non aumenti
eccessivamente le dimensioni, indipendentemente che sia più del 2%.
Gli interventi in parziale difformità dal PdC (abuso di media gravità), possono prevedere eventualmente un
risarcimento tramite sanzione amministrativa pari al doppio del costo di produzione solo ed esclusivamente
della parte abusiva, non dell’intero fabbricato.
Infine, abbiamo gli abusi di minore gravità, che sostanzialmente attengono alla SCIA semplice e non super-
SCIA.
In questi casi ho direttamente una sanzione pecuniaria amministrativa, pari al doppio dell’aumento di
valore dell’immobile (stima che va fatta da un perito). È comunque previsto un minimo, anche nel caso in
cui non vi sia un aumento di valore: 516 euro.
Oltre all’amministrativo, per quanto concerne gli abusi si può scadere anche nel penale, soprattutto negli
abusi di maggior gravità, con reclusione fino a 2 anni.
Un reato ancora più grave dell’abuso è il “reato in falso” o “reato di truffa” che sussiste qualora il
professionista rappresenti il falso cercando di far sembrare la ricostruzione dell’esistente conforme.
NB: Nel nostro sistema sono previste anche altre sanzioni, come una per i notai che stipulano atti nulli di
tale genere; c’è anche un divieto per le aziende erogatrici di servizi pubblici di somministrare le loro forniture
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per immobili abusivi (anche se nella prassi si fa fatica a capire se un immobile sia abusivo o meno, se non a
fatto conclamato).
Una volta dichiarato l’abuso in corso d’opera, la pubblica amministrazione ha il potere di sospendere i
lavori in via d’urgenza, una misura cautelare che dura massimo 45 giorni.
C’è anche un altro aspetto o problema che si pone con grande frequenza: costruzione da parte di un
privato su un terreno pubblico. Ciò capita per quanto riguarda spiagge, boschi o altre aree non di proprietà
privata ma normalmente pubblica. In questi casi, indipendentemente dal fatto che il privato abbia o no
ottenuto un titolo abilitativo edilizio, l’edificio è comunque abusivo, perché costruito su un area di un ente
pubblico, che, come il comune, può decretarne la demolizione (se l’ente proprietario non ne autorizza la
costruzione).
Discipline di tutela:
Per tutelare i beni paesaggistici, la Soprintendenza ha stilato un provvedimento di vincolo per via del pregio
delle bellezze naturali della zona, in particolar modo se protette anche sotto proprietà privata.
Il riferimento è una legge apposita varata nel 1938.
Per i Beni Culturali, la tutela nasce con una legge del 1939.
L’articolo 9 della costituzione prevede una competenza di tutela dei suddetti derogata alle regioni.
A livello comunale, quando si vara un PRG, ci i deve accertare che all’interno siano inserite le “tutele
documentali”, o anche, nella prassi, “vincoli di PRG”. Questi ultimi sono ancora più agevoli da verificare,
poiché li posso trovare direttamente nello strumento urbanistico, anche se spesso i PRG esagerano a porre
queste tutele.
Queste due discipline procedono, in qualche modo, parallelamente, fino a quando non vengono racchiuse
in un contenitore attualmente in vigore, che è “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, approvato con
Decreto legislativo 42 del 2004, anche definito “Codice Urbani”.
Per decidere se ci troviamo di fronte a un bene culturale, lo si deve attestare tramite dichiarazione di
notevole interesse, detto provvedimento di vincolo.
È un compito che spetta alle sovraintendenze, ovvero articolazioni dello stato che devono porre dei vincoli
riguardanti gli immobili o parti di territorio, attualmente sono uffici periferici del Ministero dei beni e
attività culturali (che nasce nel 1974 raggruppando questi che erano uffici periferici del Ministero
dell’istruzione).
Una volta decretato lo stato di tutela dell’immobile, anche se sotto gestione privata, ci sono dei limiti:
Il sistema di tutela dei beni paesaggistici, ruota intorno alle dichiarazioni di interesse o più correntemente
chiamati “provvedimenti di vincolo” composti da:
sono individuati dalla Legge Galasso (1985), si basano su vincoli imposti a tutela delle riserve
naturali non per bellezza o importanza storica, quanto per contributo ambientale.
Dal 1985 sono stati creati degli strumenti di pianificazione del paesaggio, quali i piani paesaggistici, i quali
si occupano secondo il Codice Urbani dei vincoli ex-actu. Regione e sovraintendenze decidono insieme le
modalità di esplicazione del regime di tutela per quel territorio.
I vincoli ex actu, vengono inizialmente definiti “vincoli nudi”, i piani paesaggistici li articolano tra ufficio
ministeriale competente e regione.
Riguardo le norme tecniche per le costruzioni riportanti materiali e analisi carichi, sono contenute nel Testo
Unico dell’edilizia.
Per il Cemento armato bisogna attenersi all’articolo 64 e seguenti, le competenze sono ripartite solo alle
figure professionali di ingegneri e architetti.
Secondo la legge, per opere in CA, devo adempiere a 3 passaggi:
Deposito progetto:
si tratta di un adempimento che va in parallelo alla formazione del titolo abilitativo, si deve
depositare all’ufficio tecnico regionale competente. Non si può presentare il progetto in fase di
sanatoria, altrimenti si commette reato.
Collaudo:
forse è l’adempimento più importante. I delegati a stilare un “certificato di collaudo” sono
ingegneri o architetti iscritti all’albo da almeno 10 anni e che non abbiano in carico la suddetta
commessa da sottoporre a collaudo, così che si possa preservare il principio di imparzialità.
le opere si dicono pubbliche poiché soddisfano servizi per la comunità, ma si distinguono in:
“oggettivamente pubbliche”
perché si tratta di una infrastruttura a servizio della collettività (come normalmente lo sono
tutte le strade aperte al pubblico transito);
“soggettivamente pubbliche”
perché di solito le strade sono, nella grande maggioranza dei casi, di proprietà pubblica
(comunali, provinciali, raramente regionali e semmai spesso statali).
Un comune può espropriare un terreno per pubblica utilità, conviene di più l’espropriazione rispetto
all’acquisto di un terreno, per vari motivi: il riuso dell’esistente, la possibilità di negoziare col proprietario.
La pubblica amministrazione ha una generale capacità di diritto privato.
Se sono un comune e voglio acquisire le aree per una nuova circonvallazione, ho un duplice strumentario:
Strumentario del Codice civile: come se fossi un privato, posso comprare le aree;
Strumentario di diritto pubblico: posso espropriare le aree (trasferimento coattivo della
proprietà).
L’espropriazione è piuttosto complessa nel suo insieme, e in particolare si caratterizza per essere una
sommatoria di sub-procedimenti con una relativa autonomia. Questi sono normalmente individuati in 4+1
(i primi sempre necessari, uno eventuale):
L’accessione invertita/acquisizione sanante è una modalità di acquisto della proprietà avente nei casi in cui
il privato costruisca a sua cura e spese un’opera su un terreno altrui. La proprietà dell’opera pubblica
prevale sulla proprietà del fondo, e comporta quindi che, anche laddove il procedimento di esproprio non si
sia svolto correttamente o sia stato in seguito annullato, il soggetto pubblico espropriante, o privato
beneficiario dell’espropriazione, divenga comunque proprietario dell’area. Purtroppo per molto tempo
questa accessione non prevedeva né un decreto, né il pagamento di un’indennità, pertanto l’accessione
invertita viene chiamata anche espropriazione sostanziale, ma negli ultimi 20 anni la Corte Europea dei
Diritti dell'Uomo (CEDU), ha stilato un trattato in cui condanna l’accessione e sostituendola con
l’acquisizione sanante, dove in caso di realizzazione di un bene da parte della pubblica amministrazione su
terreno privato, si commette un illecito e si è tenuti a demolire l’opera e risarcire i danni.
Esiste però una legge ad hoc che consente alla pubblica amministrazione di trattenere nella sua proprietà
l’immobile costruito su terreno altri: trasferire ex-post l’opera pubblica realizzata su terreno privato
pagando oltre all’indennità di esproprio anche l’interezza del risarcimento danni.
(E’ un evento abbastanza raro).
Parlando del tema degli appalti, ampliamo la conoscenza dei contratti della pubblica amministrazione.
Essi si distinguono in contratti Attivi (da cui si guadagna) e contratti passivi (da cui si spende).
Le discipline e le normative in materia sono:
- “Regolamento contratti”:
Lo ha ciascun ente al di sotto delle leggi settoriali. Vale ulteriormente a specificare la disciplina in
relazione a come viene applicata presso quell’ente.
Per appalti pubblici intendiamo dei contratti passivi presso cui l’amministrazione esegue:
Mentre il privato può vendere a chi vuole e alle condizioni di prezzo che preferisce, l’ente pubblico statale
non può porre le sue condizioni, ma deve ricorrere all’asta per vendere il suo bene valutato secondo
un’apposita base di asta di partenza. Così facendo si tutela l’interesse pubblico e la garanzia di parità di
trattamento tra privati.
I contratti hanno varie forme, anche quella verbale o di semplice acquisto in cambio di un servizio al bar o
ristorante ma la forma obbligatoria vigente per l’acquisto di immobili è quella scritta, pena: la nullità.
Nel caso del contratto privatistico, normalmente, la proposta e l’accettazione possono essere separate. Nel
caso dei contratti della pubblica amministrazione, normalmente e salvo casi particolari, essi non possono
essere conclusi mediante semplice scambio di corrispondenza, ammesso solo in alcuni casi. Va sempre
posta particolare attenzione, perché la modalità normale in questo caso è quella del “contratto a doppia
firma” o “contratto a firma contestuale”, che si è quindi sottoscritto nello stesso luogo e tempo sia dal
contraente pubblico che da quello privato. Tornando a un aspetto relativo alla durata, attenzione perché
negli appalti della pubblica amministrazione il fatto di prevedere una durata certa non significa che non sia
ammesso il rinnovo di un contratto, tuttavia questa possibilità va prevista fin dall’inizio.
Abbiamo già accennato al fatto che la disciplina interna attuale, che si impernia sul “Codice dei Contratti” (o
meglio “degli appalti”, perché riguarda per lo più questi) approvato con decreto legislativo n.50 del 2016,
vede la ricezione di normative comunitarie, in particolare di direttive dell’Unione Europea.
L’Unione Europea, fin da quando eravamo nella fase comunitaria, si fonda sulla realizzazione di un mercato
unico che consenta a tutti i prestatori di attività nell’ambito dei singoli paesi di concorrere a quel settore di
mercato in altri paesi, senza particolari filtri doganali, dazi o misure tipiche dei rapporti fra stati sovrani.
Il mercato è tendenzialmente aperto alla concorrenza, l’UE ha stipulato accordi che consentano
l’equiparazione ai paesi e agli operatori/imprese dell’UE con soggetti internazionali.
Il diritto degli appalti pubblici è in gran parte di matrice sovrannazionale, prevalentemente comunitaria, o
meglio “euro-unitaria”, ma il diritto comunitario non ha lo stesso spessore in tutti i Paesi.
Vigono i principi di concorrenza e il divieto di discriminazione.
La soglia comunitaria è stata introdotta perché le imprese si spostano in altri paesi se gli importi sono
significativi, gli importi della soglia sono differenti in base al tipo di lavoro:
La pubblica amministrazione può chiedere che la sede amministrativa sia in quel luogo, ma non può
imporlo nel bando come condizione a monte, ma scriverlo solo come condizione successiva alla vittoria
dell’impresa.
Le esigenze principali della presa in carico di una commessa di appalto pubblico sono:
- Esigenza di trasparenza/concorrenza,
a favore della pubblica amministrazione e dei concorrenti rispettivamente per quanto riguarda:
Ampliare le possibilità di scelta per la pubblica amministrazione;
tutela dei concorrenti pubblici, dimensione che riguarda i diritti degli operatori.
- Esigenza di fiduciarietà,
magari conosco già un’impresa con cui ho precedentemente collaborato e che mi può dare delle
garanzie in più rispetto a imprese che non conosco;
- Esigenza di politicità,
le pubbliche amministrazioni possono volere utilizzare la leva degli appalti anche nella prospettiva
di dare risposta a determinati bisogni politici, per cui si possono ipotizzare scelte che favoriscano
alcune imprese, magari perché vogliamo aiutarle e tutelarle (imprese di zone meno solide del paese
o la piccola-media impresa).
La disciplina sulla contabilità di stato (1923) prevedeva che gli appalti vengano affidati dall’amministrazione
tramite meccanismi pubblicitari (pubblicazione di bandi).
Il principio di trasparenza e concorrenza è già intrinseco al diritto tradizionale italiano, fino agli anni 90 la
concorrenzialità era un principio che riguardava solo poche imprese fortunate.
Un terzo principio ovvero La fiduciarietà si può avere in casi molto limitati, come in quello di alcune
commesse militari, ma solo laddove vi siano specifici profili di riservatezza, ma non è una prerogativa del
diritto europeo, pertanto la sua applicazione è molto relativa e a volte non sufficiente per affidare una
commessa.
Questa situazione è stata peraltro la madre di gravi fenomeni anche criminali (oltre ¼ di secolo fa), come
ricordiamo la cosiddetta “Tangentopoli”, fenomeno di corruzione su larga scala emerso nel 1992 a Milano.
In quei casi si trattava, per lo più, di corruzione legata agli appalti pubblici: essi venivano, cioè, affidati senza
applicare le regole di trasparenza o cercando di pilotare le gare (quindi con una trasparenza falsificata). Più
di recente, qualcosa di simile lo abbiamo visto per la cosiddetta “Mafia Capitale” (nella città di Roma, in
particolare), che in gran parte riguardava la corruzione di pubblici funzionari per avere affidamenti di
appalti. La prassi spesso dimostra questo tipo di criticità.
In quanto ente amministrativo, non posso frazionare la commessa, il frazionamento è stato uno degli
escamotage di TANGENTOPOLI, è perseguibile penalmente.
Ciò si fa per evitare un aggiramento del sistema, in modo tale che se non partecipa la pubblica
amministrazione, questi enti hanno comunque contatti con essa, pertanto non possono aggirare le regole
dal momento che diventano anch’essi “organismi di diritto pubblico” o nello specifico: enti della pubblica
amministrazione “a geometria variabile”.
Quando parliamo di CONTRATTO FINANZIARIO, parliamo di un contratto d’appalto che presenti una quota
maggiore della metà dell’importo, questo riguarda soggetti che non abbiano rapporti stretti con la pubblica
amministrazione ma comunque affidano commesse fondate su denaro pubblico.
- L’accordo quadro:
si tratta sostanzialmente di un contratto di appalto che indica un minimo e un massimo di
prestazioni, la cui concreta esecuzione viene rimessa alle esigenze che si manifestano nel tempo . Si
può stabilire che, per esempio, che ci si avvarrà di un appaltatore fino a un importo massimo, una
certa decorrenza massima.
- La centrale di committenza:
si tratta più che altro di una modalità organizzativa. Se più pubbliche amministrazioni devono fare
uno stesso acquisto, si possono aggregare per fare un unico acquisto o appalto che consentirà
tendenzialmente di maturare certi risparmi di spesa (> importo commessa, > probabilità di sconti
dal fornitore). Le stazioni appaltanti che si aggregano tra loro fungono da centrale di committenza,
ma le figure specifiche che ne rivestono il ruolo sono ad esempio la CONCIP a livello statale o
l’INTERCENT-ER nel caso dell’Emilia Romagna.
La “programmazione della domanda” è uno strumento che la pubblica amministrazione DEVE usare per
programmare in previsione del periodo successivo (3 anni).
I concorrenti/operatori economici delle gare d’appalto possono essere sia imprese o professionisti che
privati e pubbliche amministrazioni, inoltre anche le università possono, ma anche lì si deve vedere se
soddisfano i requisiti di partecipazione alla gara:
La legge impedisce poi l’ipotesi che un’attività fallita possa partecipare a una gara, perché spesso
questa impresa, anche se autorizzata ad “esercizio provvisorio”, non ha soldi in cassa!
Se un’impresa si è aggiudicata l’appalto ma fallisce nel durante allora la stazione appaltante può
trasferire l’incarico o al secondo classificato o deve bandire una seconda gara d’appalto.
In materia di lavori pubblici c’è da sempre un interesse da parte della criminalità organizzata ad
insinuarsi come appaltatori o subappaltatori. La legge n.55 del 1990 ha introdotto questo sistema
concernente la certificazione antimafia, per evitare che vi siano fenomeni di contiguità con tali
organizzazioni. In realtà, di recente, anche in concomitanza con eventi tragici (ad es. la
ricostruzione post-sisma del 2012 in Emilia), è stato introdotto, per alcune tipologia di appalti, un
sistema di “White List”, in cui il tutto è ancora più rigoroso: devo dimostrare di possedere una serie
di quesiti di correttezza che mi consente di essere iscritto in questa lista per partecipare ai concorsi.
I soggetti troppo giovani o piccoli per partecipare e concorrere, possono raggrupparsi per raggiungere tutti i
requisiti appena descritti in associazioni temporanee.
Abbiamo 2 categorie: ATI (associazioni temporanee d’imprese) e RTP (raggruppamenti temporanei di
professionisti).
E’ richiesto che almeno un soggetto dei gruppi abbia il 30% dei requisiti, non sono ammessi ATI puntiformi.
La responsabilità è unanime, la stazione appaltante in caso di illecito deve chiedere il risarcimento a ogni
membro del gruppo secondo il principio di solidarietà.
Le problematiche di questi gruppi sono: la scelta del capogruppo e del leader coordinatore (dal momento
che il capogruppo spesso è solo un portavoce) e la differenziazione dei requisiti in intese restrittive interne
all’ATI.
- “Consorzio”:
Previsto esclusivamente dalla legge italiana, in alcuni casi è molto simile all’ATI, in altri casi assume
una struttura autonoma (dà luogo a un soggetto distinto dai singoli partecipanti);
Avvalimento operativo:
si ha quando il concorrente, che si candida per l’aggiudicazione di una certa commessa,
grazie ad esso si procura gli strumenti operativi per potere realizzare le prestazioni in caso
di aggiudicazione della gara.
Procedura aperta:
in essa i concorrenti che si ritengono in possesso dei requisiti di partecipazione previsti
dal bando possono presentare la propria domanda che si compone
contemporaneamente sia della domanda di partecipazione (candidatura pura e
semplice in cui si dichiara il possesso dei requisiti), sia della vera e propria offerta
Procedura ristretta:
Le modalità di valutazione dell’offerta possono avvenire come sull’elemento PREZZO anche sulla
QUALITA’. Pertanto abbiamo 2 metodi:
Aggiudicazione a ribasso:
si valuta l’offerta prettamente economica, non c’è possibilità di rilanciare in aumento.
nei due casi di partecipazione, e soprattutto in quella aperta, si hanno (le nominiamo così solo nella
prassi):
Busta A: contiene le dichiarazioni generali, quindi la richiesta di partecipazione alla gara e la
dimostrazione mediante apposite dichiarazioni del possesso dei requisiti.
contiene l’offerta economica;
Busta C: (eventuale) contiene l’offerta tecnica (nei casi in cui la procedura si svolga secondo il
metodo dell’offerta economicamente più vantaggiosa).
3) Procedura di gara:
Si svolgono in seduta pubblica le fasi relative all’apertura delle buste. Tuttavia, per quanto riguarda
la valutazione dell’offerta tecnica, solo l’apertura delle buste (inizio del momento valutativo in sé)
deve avvenire in seduta pubblica (ossia con la possibile partecipazione dei delegati dei
rappresentanti dei concorrenti);
Le successive attività, che possono essere anche molto lunghe si svolgono in seduta riservata.
Si valutano in ordine: requisiti di partecipazione, offerta tecnica (qualità), offerta economica.
Si redige così una graduatoria provvisoria, da cui emerge una aggiudicazione provvisoria.
A questo punto non si ha ancora l’effettiva conclusione della gara, ma ci sono 2 verifiche da
effettuare:
- Anomalia: se obbligatoria per verificare la motivazione dell’offerta vantaggiosa
- Congruità: se non obbligatoria
4) Aggiudicazione definitiva:
normalmente non è fatta dalla commissione aggiudicatrice, che conclude il suo compito con la
graduatoria provvisoria e, in alcuni casi, con la verifica di anomalia o congruità (che può essere
affidata anche ad un altro organo). Dopo la verifica, infatti, la commissione consegna gli atti agli
uffici ordinari della stazione appaltante, che ne verificano la legittimità fino a quel punto. Con
questo più o meno si conclude la gara d’appalto. Normalmente quest’ultima non è già produttiva di
effetti o del tutto efficace.
Se una impresa si scosta dalle tabelle ministeriali, dichiarando un costo del lavoro differente,
questa azione andrà giustificata.
Si parla di “consegna dell’appalto in via d’urgenza”, nel momento in cui la stazione appaltante
affida immediatamente i lavori passando alla fase esecutiva senza attendere l’esito dei controlli
delle dichiarazioni per ragioni di urgenza e/o celerità.
Il bando normalmente è un atto di alcune pagine che riporta i contenuti essenziali della commessa
(importo, tipo di prestazione, metodo di aggiudicazione), ma per il resto rimanda a una serie di allegati (che
non vengono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale ma sono reperibili sul Profilo di Committenza, sul sito
internet della pubblica amministrazione o direttamente presso essa), definiti assieme al bando “discipline
di gara” o “lex specialis” della gara. I documenti più particolari sono:
Schema del contratto di appalto: normalmente allegato al bando; non si tratta di un atto
sottoposto a negoziazione, ma anticipa soltanto quale sarà il contratto che andrà firmato, senza
future modifiche;
Disciplinare di gara: sostanzialmente una precisazione del bando sulle modalità di svolgimento
della gara. Ad esempio, in esso si precisa come si svolgono le sessioni, come avvengono le
comunicazioni e altri aspetti sulla meccanica della gara;
Capitolato d’appalto: normalmente “capitolato speciale di appalto”, quando ci si riferisce ad un
documento che individua le specifiche prestazioni che sono oggetto di quell’appalto.
L’appaltatore ha diritto ad essere tutelato dalla perdita di guadagno, pertanto si procede con la
revisione prezzi per verificare eventuali aumenti dei costi di produzione.
la materia degli appalti pubblici prevede anche strumenti riconducibili alla categoria delle ADR
(“risoluzione alternativa delle controversie”). Si tratta della risoluzione fatta al di fuori dei tribunali, con
strumenti differenti. Non si applica solo negli appalti pubblici, ma in questo ambito il sistema delle ADR ha
un rilievo maggiore, perché, in questa materia c’è un contenzioso enorme, e si vorrebbero trovare degli
strumenti che favorissero una maggiore snellezza.
- Accordo bonario: Il codice degli appalti prevede la possibilità che, ove siano state scritte delle
“riserve”, queste debbano sfociare, auspicabilmente, in un cosiddetto “accordo bonario”,
stragiudiziale e riconducibile alla figura contrattuale della “transazione”.
- Arbitrati: processi svolti dinanzi a un giudice privato, la cui pronuncia è paragonata a una sentenza
(il cosiddetto “lodo arbitrale”)
- Media conciliazione: procedura per risoluzione di controversie civili svolta tramite organismi terzi.
- “Procedura di negoziazione assistita”: si cerca di raccogliere l’accordo tra le parti, come nel caso
precedente, ma con la differenza che non c’è bisogno del mediatore.
L’ISTAT (“indice di rivalutazione”) fa rilevazioni annuali per gli appalti pubblici, nel caso in cui questi dati
dovessero mancare allora si applicano le rilevazioni del FOIL (“famiglie operai impiegati”), questa revisione
è frutto dell’inflazione elevata successa negli anni 70’.
La legge ha inoltre previsto una “ritenuta alla garanzia”: un pagamento ex poste da parte della stazione
appaltante ad ogni formazione del SAL (“stati di avanzamento lavori”) che attesta i lavori fatti fino a quel
momento con relativa fattura.
Questo sistema esiste per evitare che si paghi in acconto come successo negli anni 70’ con conseguente
fuga dei soggetti che incassavano, ma l’appaltatore può ottenere un acconto fino al 20% se fornisce
un’apposita garanzia.
Secondo il decreto legislativo n.231 del 2002, i termini di pagamento previsti per la pubblica
amministrazione sono di 30 giorni con proroga massima a 60.
Il privato ha come strumento di garanzia la “remunerazione del ritardo”, dunque una restituzione somma +
interessi che secondo il tasso di interessi impenna fino all’8% annuale inteso come tasso “di interesse
moratorio/punitivo”, anche se comunque è difficile recepire questo denaro dalla pubblica
amministrazione, dal momento che la legislazione è spesso a favore di essa dal momento che offre servizio
pubblico tramite i suoi beni.
Dalla sua parte l’amministrazione ha come garanzia la “cauzione”, prevista nella partecipazione alla gara da
parte del privato in caso di illecito.
- Provvisoria: prevista qualora il concorrente abbandoni la gara d’appalto appena aggiudicatasi senza
giustificata ragione venendo meno alla stipula del contratto.
- Definitiva: è unita alla provvisoria ma garantisce una copertura delle spese preliminari della gara.
Per gli appalti dei lavori pubblici si intendono le opere ex-novo o interventi sul costruito.
La disciplina di questi appalti prevede:
Requisiti di partecipazione:
per gli appalti dei lavori i requisiti invariati dono quelli di capacità morale, per gli altri requisiti
sono previste le cosiddette “attestazioni SOA” (“società organismo di attestazione”). Si basano
Fino ad ora abbiamo parlato degli appalti sovra-soglia, spostiamoci ora sul tema degli appalti sottosoglia.
Anche per il sottosoglia si tende ad applicare le regole del sovra-soglia.
Per gli appalti minori, si declina in un “principio di rotazione”, per cui non posso riferirmi sempre allo stesso
soggetto.
L’articolo 36 del Codice degli appalti prevede dei sotto-scaglioni:
1) Appalti (indifferentemente di lavori, servizi o forniture) del valore fino a 40’000 euro:
si tratta di un ambito molto limitato, con previsto affidamento diretto.
2) Appalti (ambito dell’affidamento dei lavori) del valore fra 40’000 e 150’000 euro:
in questo caso, è consentita una procedura negoziata con, sostanzialmente, l’acquisizione di
almeno tre preventivi, ossia la consultazione di almeno tre operatori economici. Qui abbiamo
l’effetto di un decreto-legge del 2019, il “decreto sblocca-cantieri”, che venne fatto per cercare di
facilitare gli affidamenti dei lavori di importo minore.
3) Appalti (ambito di servizi e forniture) del valore fra 40’000 euro e soglia unitaria:
si prevede un meccanismo di acquisizione di preventivi e consultazione di operatori stabilendo che
se ne acquisiscano almeno 5.
4) Appalti (ambito dell’affidamento dei lavori) del valore tra 150’000 e 350’000 euro:
deve aversi l’acquisizione di almeno 10 preventivi, la consultazione di almeno dieci operatori
economici;
5) Appalti (ambito dell’affidamento dei lavori) dal valore tra 350'000 e 1 milione di euro:
c’è la necessità di consultare almeno 15 operatori economici (formulazione di 15 preventivi);
6) Appalti (ambito dell’affidamento dei lavori) dal valore tra 1 milione di euro e soglia unitaria:
il legislatore fa una scelta di importante comunitarizzazione delle procedure anche se non
obbligato.
le stazioni appaltanti possono avvalersi di albi o di elenchi fornitori per formulare gli inviti a procedure di
questo tipo, normalmente “negoziate”.
Il legislatore dedica anche leggi ad hoc per gli appalti di servizi di ingegneria e architettura del sottosoglia.
Il subappalto è disciplinato dall’art.105 del Codice degli appalti, consente, in linea di massima, per quote
variamente indicate a seconda degli ambiti, all’impresa a cui ho affidato l’appalto, di affidare una parte di
appalto ad un altro soggetto (sostanzialmente e attualmente il subappalto è ammesso fino a un 30% delle
prestazioni, dell’oggetto del contratto principale). Ci sono però delle regole da rispettare:
Il subappaltatore non può avere partecipato alla procedura per l’affidamento dell’appalto
Il subappaltatore deve essere in possesso dei requisiti per svolgere le prestazioni del bando
Nell’offerta vanno indicate fin dall’inizio le parti dei lavori che si intende subappaltare
L’esecuzione di operazioni da parte del subappaltatore deve essere verificata e autorizzata dalla
stazione appaltante
Vige l’obbiettivo di tutela in giudizio dei privati. n qualche modo si consente la tutela in giudizio solo per
uno spazio di tempo molto limitato. Bisogna dire anche che molti contestano questa scelta del legislatore,
perché in realtà, in materia di gare di appalto, c’è un grosso problema di rispetto della legalità (fenomeni di
abusi, corruzione e collusione).
Fra l’altro, questo tipo di deterrente viene perseguito dal legislatore anche con la previsione del “contributo
unificato”: in materia di contenziosi nelle gare di appalto si sono stabiliti importi altissimi per fare ricorso (per
esempio, per una gara di appalto di 2 milioni di euro, solo per fare ricorso bisogna pagare 6'000 euro). In realtà,
per ragioni tecniche su cui non ci soffermiamo, può capitare che questa tassa venga pagata più volte
Spesso le stazioni appaltanti fanno gare di appalto enormi, i limiti di tempo e la tassazione sono spesso deleterie
per le piccole imprese.
Opere Pubbliche:
Posso decidere di affidare la realizzazione della nuova strada a un soggetto privato che proceda con gli
espropri e con la progettazione, dunque la concessione dei lavori pubblici e la gestione dell’opera pubblica
va tutta all’ente privato.
L’amministrazione non si limita quindi a chiedere al privato l’esecuzione dei lavori, ma gli conferisce la
responsabilità globale della realizzazione dell’opera, già a partire dagli espropri e anche la gestione
dell’opera per un certo periodo di tempo, il concessionario si assume anche la responsabilità della
manutenzione dell’opera pubblica.
Per capire se è appalto o concessione, va analizzato e osservato chi paga:
Il concessionario è un soggetto privato, ma che per determinati aspetti della sua attività viene equiparato
alla pubblica amministrazione (ad es. gli atti di esproprio vanno impugnati al TAR come quelli dell’ente
concedente). Dunque, la concessione di opera pubblica è uno strumento che viene fatto sostanzialmente
perché la pubblica amministrazione possa realizzare, o meglio fare realizzare un’opera senza disporre di
tutte le risorse necessarie. Al netto di tutti gli aspetti procedurali, è questo che differenzia la concessione
dall’appalto:
- La stazione appaltante che affida una concessione non necessariamente deve avere per l’intero
soldi e/o risorse per pagare l’opera; il concessionario anticipa in tutto o in parte le risorse, che
riacquista dalla gestione dell’opera realizzata (tariffe percepite dall’utente).
Collaborazione pubblico-privata:
come nel caso della concessione, qui la collaborazione è nel senso che le risorse vengano dal
privato.
1) Innanzitutto, è chiaro che il sistema delle concessioni tende a comportare una distinzione (secondo
alcuni addirittura una discriminazione) tra opere pubbliche cosiddette “calde” e cosiddette
“fredde”:
Opere pubbliche “calde”: opere che possono essere appetibili per un privato/concessionario
perché è atteso un flusso di risorse che dia un interesse che deriva dall’utilizzo da parte degli
utenti, ad esempio se devo realizzare un nuovo asse stradale tra due città molto ricche con
molti traffici e scambi, questo sarà con molta probabilità un’opera pubblica calda, per cui il
guadagno deriva dalle tariffe;
Opere pubbliche “fredde”: opere che non presentano questa attitudine ad autofinanziarsi.
Se ipotizzo la realizzazione della stessa strada tra due centri minori, essa sarà in linea di
massima un’opera fredda (flusso di traffico e di cassa minori).
2) Un altro tipo di problema è legato a concreti fenomeni di gestione delle concessioni. Le concessioni
sono spesso scritte in modo tale da tradire il principio teorico di partenza, ovvero l’assunzione del
Rischio di impresa. Ad esempio a seguito del crollo del ponte Morandi, a Genova nel 2018, si è
posto il problema della revoca della concessione per inadempimento. La convenzione della
concessione, in tal caso, era stata scritta in modo tale che se si verificava tale inadempimento e
quindi la revoca, tuttavia doveva esserci un indennizzo pari a quello che l’autostrada avrebbe
guadagnato per tutta la concessione. (se sbaglio, quindi, mi si revoca la convenzione ma ricevo un
indennizzo, è questo il senso). In tal caso, quindi, il privato NON si assumeva il rischio di impresa!
Sia il BIM che il fascicolo sono strumenti che garantiscono una conoscenza più approfondita del ciclo di vita
dell’opera, e ogni anno sembrano radicarsi obbligatoriamente nella progettazione delle opere pubbliche,
mentre non sono necessarie nel privato.
Da questo punto di vista con un successivo regolamento di attuazione del Codice degli appalti, ossia con il
decreto ministeriale del MIT (ministero delle infrastrutture e dei trasporti) n.560 del 2017, è stata precisata
e scaglionata nel tempo l’obbligatorietà dell’uso delle tecniche BIM per la progettazione di lavori pubblici e,
in particolare, si è stabilito anche un periodo massimo per la realizzazione e utilizzo di tali tecniche per tutti
gli appalti di lavori: il recepimento concreto di questo obbligo scatterà dal primo gennaio 2025, mentre fino
ad ora è obbligatorio per tutte le opere con importo > 5.3 milioni di euro (siamo dunque nel sopra-soglia).
Qualità architettonica;
Qualità tecnico-funzionale;
Inserimento dell’opera nel contesto.
Anche dopo la progettazione, si deve attestare il ciclo di vita delle opere pubbliche, pertanto la
progettazione segue diversi step:
3) Progetto definitivo:
secondo la legge, individua compiutamente i lavori da realizzare, già tratteggiati a monte nei livelli
visti fino a qui, e, in particolare, gli elaborati grafici arrivano a un livello di dettaglio maggiore.
Bisogna che vi siano in esso tutti gli elementi necessari per il rilascio delle eventuali autorizzazioni e
approvazioni.
4) Progetto esecutivo:
per la legge, esso determina in ogni dettaglio i lavori da realizzare, il relativo costo e il
cronoprogramma. Rispetto al livello precedente, è uno sviluppo al dettaglio dei suoi elementi (si
introducono dettagli o, per esempio nel cronoprogramma, alcune sotto-scansioni per ciascuna
fase). Per legge, esso deve essere accompagnato da un apposito “piano di manutenzione
dell’opera”, in relazione al ciclo di vita atteso.
Le stazioni appaltanti possono ricorrere agli appalti misti, che comprendono a volte realizzazione, forniture
e servizi (tutti assieme), l’appalto misto che racchiude in sé progettazione ed esecuzione dei lavori prende il
nome di “appalto integrato”.
Si applica un “criterio di prevalenza economica”: si applica, salvo apposite integrazioni da parte del
legislatore, la disciplina riguardo ai lavori per cui si stanzia il maggior numero di fondi.
per le gare sopra-soglia, la stazione appaltante deve ricorre alla procedura aperta o ristretta, tuttavia, sono
ammesse procedure differenti, che vengono ricondotte essenzialmente all’ambito della “procedura
negoziata”:
con pubblicazione di un bando: si ha nei casi in cui la legge consente che si abbia una modalità
un po’ meno estesa di partecipazione dei concorrenti. Il bando può essere modellato dalla
stazione appaltante per avere una procedura non aperta alla generalità;
Normalmente comunque NON è però ammesso l’affidamento diretto a un soggetto, anche se vedremo
esserci alcune eccezioni, che sono ammesse quando vi sono delle esigenze specifiche, come lavori da
realizzare in via d’urgenza.
Sicurezza di cantiere:
Per quanto riguarda la sicurezza nei cantieri, questa disciplina è attualmente racchiusa nel decreto
legislativo n.81 del 2008, che è il Testo Unico sulla disciplina in materia di sicurezza sul lavoro. Noi, di
questo ambito molto esteso, ci occuperemo della parte relativa alla sicurezza nei cantieri.
Secondo l’art.89 del decreto in esame, si intende per cantiere, in particolare “cantiere temporaneo o
mobile”, qualunque luogo in cui si effettuino lavori edili, o di ingegneria civile. Nell’ambito di questa
disciplina, vengono individuate, in particolare, alcune figure di riferimento:
Il committente:
soggetto (pubblico o privato) che commissiona i lavori. NON deve essere necessariamente un
soggetto professionale. Egli si assume una serie di obblighi e responsabilità. Peraltro, il
committente può incaricare un soggetto diverso da sé, ossia il responsabile dei lavori, per
attribuirgli parte dei compiti che gli sono stati assegnati dalla normativa che stiamo
esaminando.
Egli deve sempre considerare le regole generali di tutela, poste dall’art.15 del Testo Unico
sulla Sicurezza, vigilare affinché queste e altre regole vengano applicate già nel momento
delle scelte architettoniche, tecniche e organizzative, si occupa innanzitutto di un
adempimento, che è la “notifica preliminare”, che è disciplinata dall’art.99 del Testo Unico
sulla Sicurezza ed è la notifica che va fatta all’AUSL di competenza indicando che si sta per
attivare un determinato cantiere e nel caso in cui ci siano più di due imprese in cantiere,
contemporaneamente o non, il committente o il responsabile dei lavori devono effettuare la
nomina delle altre due figure, i due coordinatori della sicurezza.
Il CSE, in caso di violazione delle regole dei piani citati, ha poteri di contestazione allo stesso committente e
alle imprese presenti in cantiere, e può intimare al committente l’allontanamento delle imprese che
infrangono le regole dal cantiere stesso. Nei casi più gravi, egli può anche sospendere il cantiere.
secondo l’art.33 comma 5 della costituzione, è previsto un esame di stato per l’abilitazione all’esercizio
professionale.
La figura professionale, a differenza di quella imprenditoriale, produce servizi e non fallisce se non riesce a
sostenere le spese per i sui dipendenti dal momento che il suo titolo è irrevocabile dal momento che ci ha
studiato per anni, pertanto il professionista è generalmente più tutelato dalla legge.
La legge n.1395 del 1923 recepisce questi principi e li modella per quanto riguarda l’ordine degli architetti
con un suo “Consiglio dell’ordine”.
NB: l’albo è un elenco dei professionisti che possono svolgere tale attività in un dato territorio. La funzione
degli albi, che sono pubblici e solitamente pubblicati online, è quella di rendere conoscibile il fatto che un
determinato professionista è effettivamente tale, in possesso di tutti i requisiti che gli consentono di svolgere
la propria professione. L’albo ha quindi funzione di attestazione e pubblicità.
1) Tenuta dell’albo:
abbiamo già detto che l’albo è tenuto dall’ordine, che lo aggiorna, in base alle nuove iscrizioni e
cancellazioni.
Sanzioni minori:
sporcano il curriculum professionale ma non hanno immediate conseguenze pratiche. Si tratta
solitamente delle sanzioni dell’ammonimento e/o della censura, che sono sostanzialmente
richiami fini a se stessi con cui l’ordine dice all’iscritto di aver fatto qualcosa di sbagliato. Queste
sanzioni possono essere il presupposto di successive sanzioni più gravi. Ad esempio, se ne ho
tre di questo tipo all’anno, sulla base del principio della recidiva, mi si può comminare una
sanzione più grave;
Gli architetti hanno da qualche anno il “Consiglio di disciplina”, presso cui si svolgono i procedimenti
disciplinari di cui stiamo parlando. Va detto che, vista la gravità degli effetti di tale procedimento, è ispirato
a criteri garantistici, e in particolare c’è l’obbligo di mettere l’accusato nelle condizioni di esercitare a pieno
il suo diritto di difesa; ha il diritto di essere ascoltato e di acquisire, mediante l’accesso agli atti, tutta la
documentazione in possesso del consiglio di disciplina e sulla quale viene mossa la contestazione o
addebito.
Fino a qualche anno fa, il legislatore si occupava solo del momento iniziale della formazione del
professionista. Da qualche anno, invece, il legislatore ha previsto, e poi le singole organizzazioni
professionali ordinistiche hanno conformato nei dettagli, un sistema di cosiddetta “formazione
professionale continua”. Quest’ultima prevede l’obbligo dell’iscritto all’albo di conseguire un certo numero
di crediti professionali (all’anno, nel biennio o nel triennio, in dipendenza dai casi), frequentando corsi
organizzati dagli ordini o da soggetti privati (però riconosciuti dagli ordini) in modo tale da potere attestare
e dimostrare che si sta continuando a studiare e curare il proprio aggiornamento professionale.
Fino a poco fa vigeva un vecchio piano tariffario per architetti e ingegneri, approvato con la legge n.143
del 1949. Questa normativa, sostanzialmente, non escludeva del tutto la possibilità di accordo tra
committente e professionista per determinare il compenso, ma poneva dei limiti all’autonomia delle parti.
In particolare, infatti, si prevedevano dei minimi e dei massimi con la peculiarità che i massimi potessero
essere derogati per accordi delle parti, ma i minimi, viceversa, fossero considerati fissi e inderogabili. Ma se
in concreto, invece, le parti avessero negoziato un compenso inferiore, l’accordo sarebbe stato nullo per
quella clausola, e l’architetto avrebbe potuto chiedere la differenza fra la somma pattuita e il minimo
tariffario in un secondo momento.