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Riassunti di “Diritto Urbanistico – Manuale Breve” di Paolo Stella Richter

CAPITOLO 1 – LA MATERIA

1. La disciplina del territorio


All’epoca dell’entrata in vigore della Costituzione, alla materia “urbanistica”, corrispondeva la sola attività di assetto
e incremento edilizio dei centri abitati. L’ampliamento della nozione ha avuto un riconoscimento con la revisione del
Titolo V della Costituzione, con la sostituzione del termine “governo del territorio” a quello precedentemente usato
di “urbanistica”

2. Dall’urbanistica al governo del territorio


La disciplina dell’uso de delle trasformazioni del suolo fatta eccezione per quel che riguarda l’attività agricola, viene
dunque denominata “governo del territorio”, dall’art.117 della Costituzione.
Lo Stato ha il compito di emanare leggi quadro (normativa di principio) che hanno il carattere di enunciare i principi
cui le Regioni devono attenersi nell’esercizio della loro potestà legislativa (normativa di dettaglio).
La normativa di principio detta i criteri e gli obiettivi, la normativa di dettaglio detta gli strumenti da utilizzare per
raggiungere detti obiettivi. Una norma di principio è una norma che esprime dei valori, delle scelte di fondo sui
diritti dei cittadini e sulle relative garanzie sostanziali, una illegittima invasione della sfera di competenza legislativa
garantita alle regioni, frutto di una eventuale dilatazione oltre misura dell’interpretazioni di materie trasversali, può
essere evitata non tramite la distinzione tra norme di principio e norme di dettaglio, ma con la rigorosa verifica della
effettiva funzionalità delle norme statali alla tutela dell’interesse insito nella materia riservata.
La legge urbanistica fondamentale è del 17/8/1942 n.1150 la quale dettò una disciplina generale e organica della
materia. Altre importante leggi sono:
- N.765 del 6/8/1967 c.d. “legge ponte” destinata nelle intenzioni ad essere assorbita da una disciplina dei
suoli
- N.1187 del 19/11/1968 relativa ai vincoli espropriativi
- N.10 del 28/1/1977 c.d. “Legge Bucalossi” – riforma deludente
- N.47 del 28/2/1985  iniziano i condoni edilizi
- D.P.R. 380 del 6/6/2001 viene approvato il Testo Unico in materia edilizia
- D.P.R. 327 del 8/6/2001 importante in materia di espropri per pubblica utilità
- N.341 del 8/8/1985 c.d. “Legge Galasso” che definisce il vincolo paesaggistico per categorie di immobili,
estendendo le aree tutelate

3. Il rapporto tra piano e proprietà


Nel sistema della legge fondamentale del 1942, il proprietario del terreno è in principio libero di realizzare tutte le
trasformazioni che vuole purché in osservanza delle regole. Il relativo art.4 con lo stabilire che “la disciplina
urbanistica si attua a mezzo dei piani regolatori” configura gli stesi come atti amministrativi con cui vengono
introdotte delle “limitazioni amministrative” al diritto di proprietà. Il rapporto tra piano e il diritto di proprietà
ricalca, all’epoca, lo schema tipico del rapporto autorità-libertà, cioè di un potere del privato in principio libero, che
può subire una più o meno grave compressione a d’opera dell’atto amministrativo autoritativo. Tale rapporto viene
rovesciato dalla “legge ponte” che introdusse rigorose limitazioni alla edificazione per tutti i Comuni sprovvisti di un
piano, ai fini di salvaguardia del territorio non pianificato, di conseguenza da tale momento il piano assume il ruolo
di atto da cui può derivare una possibilità di costruire e non una limitazione. Con tali limitazioni, conosciute come
“standard urbanistici generali” preordinati alla salvaguardia del territorio non ancora pianificato, la prima disciplina
urbanistica è stata dettata direttamente dalla norma, a monte del piano regolatore, modificandone ruolo e
significato.
Gli standard urbanistici generali sono distinti da aree interne al centro abitato e aree esterne al centro abitato.
Nelle prime sono consentiti esclusivamente: manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, restauro,
risanamento conservativo.
Nelle seconde sono consentiti interventi di nuova edificazione, ma per non più di 0,03 m3 per ogni m2 disponibile.

© Tiziano Napoli – giugno 2015 - Università di Economia “Tor Vergata”


Riassunti di “Diritto Urbanistico – Manuale Breve” di Paolo Stella Richter

CAPITOLO 2 – PIANIFICAZIONE E DIRITTO DI PROPRIETA’

4. La Pianificazione
La funzione prioritaria di determinazione della migliore destinazione di ciascuna porzione del territorio si esercita di
regola mediante atti che mirino ad una ottimizzazione delle esternalità positive ed una minimizzazione di quelle
negative. I problemi con cui tali atti, chiamati piani urbanistici, si devono misurare sono molteplici.
Innanzitutto ci sono 2 contrastanti esigenze:
a) dare al piano una dimensione geografica ampia, onde poterne valutare tutte le implicazioni delle scelte da
effettuare.
b) Non allontanarsi eccessivamente dalle specificità di ciascuna porzione di terreno.
Altra coppia di interessi divergenti riguardano l’elemento temporale, di fatti per un verso il piano dovrebbe tendere
a rappresentare un punto di riferimento certo e duraturo, dall’altro non deve diventare una regola rigida che ostacoli
l’adeguamento delle sopravvenute esigenze.
In terzo luogo la diversità delle caratteristiche dei luoghi si oppone alla utilizzazione di un unico tipo di piano, di qui la
competenza di autorità amministrative capillari e non tutto in capo allo Stato.
Tutto ciò ha generato un gran numero di piani.

5. I vari tipi di Piano


Sotto il profilo dimensionale: a) Piani di Area Vasta ; b)Piani di livello Comunale
Sotto il profilo della immediata realizzazione: c) Piani regolatori generali
Sotto il profilo delle finalità perseguite: d) Piani propriamente urbanistici e Piani settoriali
La distinzione più importante è quella che ha riguardo il tipo di e) effetti giuridici dei vari piani.
Infine occorre distinguere a seconda della f) durata dell’efficacia del piano.

6. Il piano di area vasta


Il piano di area vasta competeva al Ministero dei lavori pubblici il quale prevaleva sul piano regolatore emanato dal
Comune, poiché concorre l’idea di una superiorità degli interessi Statali a quelli comunali. La modifica del 2014 ha
dato competenza alle Province, espressamente definiti enti di “area vasta” e alle città metropolitane.

7. Piani generali e piani attuativi


C’è una seconda distinzione da effettuare tra i piani, che consentono di ottenere senz’altro il titolo abilitativo edilizio
per realizzare l trasformazioni previste, cosiddetta “attuazione diretta”, e piani che invece richiedono
necessariamente l’intermediazione di un altro piano detto appunto attuativo.
Di regola il Piano Regolatore Generale (PRG) è un piano attuativo. La legge non stabilisce alcun rigido riparto di
competenze tra PRG e piani attuativi, anzi questi ultimi si rendono necessari allorché la zona non sia già
sufficientemente urbanizzata o comunque non sia direttamente previsto il suo compiuto disegno dallo stesso PRG.

8. La struttura del piano


Il PRG è costituito da due componenti: una parte grafica (le tavole di piano) e una parte composta dalle norme
tecniche di attuazione. Entrambe hanno natura prescrittiva, in caso di contrasto prevale la norma sulle tavole,
purché abbiamo un significato univoco. Quello che non dovrebbe mancare, perché connaturato alla stessa matrice
razionalistica del piano previsto dalla legge del 1942 è la divisione in zone del territorio comunale.

9. Piani generali e piani settoriali


La legge fondamentale del 1942 prevedeva solamente piani propriamente urbanistici, cioè preordinati all’assetto
complessivo del territorio, questi piani vengono definiti strumenti urbanistici. Sono poi stati introdotti un grande
numero di piani specialistici tra cui: a) piano settoriale, che si inserisce nella pianificazione urbanistica senza
contraddirla; b) piani che invece si sovrappongono alla pianificazione urbanistica creando problemi del tutto
particolari.
I piani attuativi per l’edilizia economica e popolare conosciuti come “piani di zona” (PdiZ) e i “piani delle aree da
destinare a investimenti produttivi” (PII) costituiscono i primi piani attuativi normati.
Il piano per l’edilizia economica e popolare (PEEP) comprende una o più aree che sono di norma scelte nelle zone
destinate ad edilizia residenziale nei piani regolatori, con preferenza in quelle di espansione dell’aggregato urbano.
Il piano di ciascuna zona estende le sue previsioni anche alle aree di verde pubblico ed ai servizi complementari,
quindi è propriamente un piano urbanistico e non solamente di edilizia. Il tratto più innovativo è però costituito
© Tiziano Napoli – giugno 2015 - Università di Economia “Tor Vergata”
Riassunti di “Diritto Urbanistico – Manuale Breve” di Paolo Stella Richter

dalla previsione di una iniziale espropriazione dell’intero comprensorio, cui segue la concessione del diritto di
superficie sui singoli lotti edificabili per la costruzione delle abitazioni e dei relativi servizi urbani e sociali, per un
corrispettivo pari al costo di acquisizione delle aree nonché al costo delle relative opere di urbanizzazione.
I piani del secondo tipo, sono volti alla tutela dei cosiddetti interessi differenziati, ossia hanno una priorità rispetto a
tutti gli altri interessi. Classici esempi sono l’ambiente, il paesaggio, il patrimonio artistico- culturale, che poi vanno a
scontrarsi con i piani urbanistici. Il rapporto era disciplinato sin dal 1939, ma la Legge Galasso del 1985 ha stravolto la
normativa, assoggettando a vincolo paesaggistico una miriade di immobili, estendendo quindi la tutela da una mera
tutela dei valori estetici (non comune bellezza) ad una semplice posizione geografica dell’immobile.
Oggi sono le Regioni che hanno il potere di adottare un piano paesaggistico esteso all’intero proprio territorio e
contenente diverse prescrizioni.
Ci sono poi altri piani settoriali di area vasta, quali “piano di bacino” (relativo alle acque territoriali), “piani tematici”
(che tutelano i pià vari interessi specifici e che sono per definizione la negazione della pianificazione urbanistica).
Gli interessi differenziati di carattere ambientale sono oggetto delle procedure di valutazione di impatto ambientale
(V.I. A.) e di valutazione ambientale strategica (V.A.S), che sono 2 procedure complementari, chiamate a valutare
realtà diverse per dimensione natura e complessità, la VIA riguarda interventi specifici, la VAS riguarda atti di
pianificazione.

10. Conformazione del territorio e conformazione della proprietà


La disciplina della pianificazione urbanistica italiana è una disciplina di procedure più che di contenuti. L’efficacia del
piano dipende più dalla tecnica con cui è redatto e quindi dalla volontà delle autorità che lo adotta che non dalla
normativa che lo prevede. Al riguardo si distinguono 3 tipi di effetti:
a) Effetti di merda disciplina del potere di ulteriore pianificazione. Sono prescrizioni rivolte all’autorità che
deve pianificare e non ai proprietari degli immobili, i quali potranno però denunciare un eventuale
violazione solamente in sede di impugnativa del piano che si discosti da tali prescrizioni.
b) Effetti di conformazione del territorio e non della proprietà. Le prescrizioni a contenuto conformativo
del territorio si indirizzano direttamente anche ai singoli proprietari ma fanno sorgere negli stessi
interessi legittimi e non diritti soggettivi.
In molti casi , si ritiene che le leggi regionali prodotte abbiano l’effetto di conformazione del territorio sia
proprio del solo piano strutturale e l’effetto di conformazione della proprietà solo del piano operativo.
La finalità della mera conformazione del territorio è quella di attuare egualmente la razionalizzazione
dell’uso del suolo, con previsioni flessibili che consentano di adeguare il progetto alle esigenze del tempo
in cui verrà effettivamente realizzato, distribuendo proporzionalmente oneri e vantaggi della scelta
pianificatoria tra i vari proprietari, a ciascuno dei quali è ancora possibile garantire una quota della
previsione comprensoriale.
c) Effetti di conformazione della proprietà. Le descritte ipotesi di prescrizioni puntuali di un PRG e tutte le
prescrizioni dei piani attuativi producono il vero e proprio effetto conformativo della proprietà , la
determinazione cioè della facoltà del proprietario sul bene sia per quel che riguarda le possibilità di
trasformazione che per quel che riguarda l’uso cui può essere legittimamente destinato. L’effetto di
conformazione della proprietà ha rilevanza direttamente nei rapporti tra proprietari, ciascuno dei quali
ha quindi un diritto soggettivo nei confronti degli altri al rispetto dei limiti cosi stabiliti.

11. L’efficacia temporale delle prescrizioni urbanistiche


Secondo la legge fondamentale del 1942, i piani territoriali di coordinamento e i PRG hanno vigore a tempo
indeterminato, mentre il piano particolareggiato va attuato entro 10 anni.
I primi 2 hanno una durata indefinita, nel senso che mantengono la loro efficacia sino a che non vengono sostituiti da
un nuovo piano o vengono modificati. Caratteristica di questi piani è la mutabilità.
La norma vigente definisce il vincolo preordinato all’esproprio nel termine dei 5 anni dalla dichiarazione di pubblica
utilità. L’esproprio deve avvenire sempre in maniera onerosa come da art 42della Costituzione, la quale richiama a
tale istituto solo nei casi di interesse generale.
La legge ponte aveva già stabilito, attraverso gli standard urbanistici generali, che la facoltà di costruire non preesiste
al piano regolatore se non in misura scarsamente significativa.
Per quel che riguarda il presupposto della configurabilità di una espropriazione sostanziale, si deve osservare che i
procedimenti ablatori reali sono tutti contraddistinti da un duplice effetto, estintivo e acquisitivo.

© Tiziano Napoli – giugno 2015 - Università di Economia “Tor Vergata”


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12. Le limitazioni di carattere non espropriativo


Non si possono espropriare i beni vincolati a causa di una originaria inerenza di un superiore interesse pubblico, in
particolare quei beni di particolare importanza per il Paese, che l’amministrazione tutela con degli atti che non
hanno contenuto espropriativo e quindi non attiva la garanzia di indennizzo dei cui all’art.42 della Costituzione.
Non costituiscono vincoli a contenuto espropriativo i limiti, considerati normali e connaturali alla proprietà, posti
normalmente nei regolamenti edilizi o nella pianificazione urbanistica, quali limiti di altezza, di cubatura o di
superficie coperta, le distanze tra edifici, le zone di rispetto in relazione a talune opere pubbliche.

13. La disciplina delle zone bianche


“Un bene è sottoposto al vincolo preordinato all’esproprio quando diventa efficace l’atto di approvazione del piano
urbanistico generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione di un’opera pubblica o di pubblica utilità.
Il vincolo preordinato all’esproprio ha la durata di 5 anni. Entro tale termine può essere emanato il provvedimento
che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera. Se non è tempestivamente dichiarata la pubblica utilità
dell’opera, il vincolo preordinato all’esproprio decade.”
Il vincolo preordinato all’esproprio può essere reiterato ma solo motivando le ragioni per le quali il vincolo è stato
lasciato decadere senza darvi concreta attuazione.
“In attesa di una organica risistemazione della materia, nel caso di reiterazione di un vincolo preordinato
all’esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo è dovuta al proprietario una indennità commisurata
all’entità del danno effettivamente prodotto”.
Quando decade il vincolo, l’area torna inedificabile, poiché è prevista la possibilità di un reitero del vincolo decaduto
vista l’importanza dell’interesse pubblico, unico rimedio a tale affermazione è che il Comune può colmare il vuoto
creatosi deliberando in ordine alla destinazione dell’area, ovvero con una ritipizzazione della stessa

14. Prescrizione conformativa e prescrizione sostanziale


La distinzione tra prescrizione conformativa e prescrizione avente natura sostanzialmente espropriativa non è chiara.
Un permanente contrasto tra Corte Costituzionale e Corte di Cassazione che vede da un lato la prima affermare che:
in sostanza si contrappongono aree che in origine e per loro natura hanno limitata o nulla possibilità di essere
trasformate a causa della inerenza di uno specifico e superiore interesse pubblico, alle aree in cui la compressione
della edificabilità è invece conseguente ad una scelta discrezionale dell’Amministrazione. In questo ultimo caso
secondo la Corte Costituzionale, non è semplicemente conformata, ma addirittura oggetto di una espropriazione
sostanziale e pertanto di ablazione. La Cassazione ha invece tracciato una linea di confine del tutto diversa tra effetto
conformativo ed effetto espropriativo, limitando enormemente l’ambito delle prescrizioni di natura ablatoria. La
ratio sottesa alla diversa scelta è quella della prevalenza del principio di uguaglianza e non discriminazione rispetto a
quello di un contenuto costituzionalmente garantito del diritto di proprietà. La Cassazione afferma che si ha semplice
conformazione della proprietà, compatibile quindi con una durata indefinita dell’efficacia della previsione di piano, le
quante volte la stessa miri ad una zonizzazione ampia del territorio comunale, si da incidere su di una generalità di
beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i
beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche o del rapporto con un’opera pubblica. Per converso, se per la
previsione non abbia una tale generale natura, ma imponga un vincolo particolare incidente su beni determinati, in
funzione della localizzazione di una opera pubblica, allora e solo allora detta previsione secondo la Cassazione non
sarà solo conformativa ma anche di natura ablatoria.

15. Il procedimento di formazione del piano. Le misure di salvaguardia del piano adottato
Il PRG e il Piano Particolareggiato sono di iniziativa del Comne, il piano di lottizzazione è di regola di iniziativa dei
proprietari delle aree interessate. Nei primi due casi la predisposizione di un progetto può essere redatto da un
ufficio tecnico comunale o da professionisti esterni all’amministrazione, con conseguente appalto di servizi soggetto
alle procedure di affidamento previste dal codice dei contratti pubblici. PRG e PP vengono adottati con deliberazione
del consiglio e quindi depositati con ogni allegato presso la segreteria comunale per la fase di partecipazione degli
interessati.
Fino a 30 giorni dopo la scadenza del periodo di deposito possono presentare osservazioni le associazioni sindacali e
gli altri enti pubblici ed istituzioni interessate al PRG.
Il Comune si esprimerà motivatamente con apposita deliberazione consiliare di controdeduzioni su tutte le
osservazioni. La delibera non ha valore di modifica del piano adottato, ma rappresenta solo il presupposto di possibili
modifiche da parte della Regione in sede di approvazione del piano.

© Tiziano Napoli – giugno 2015 - Università di Economia “Tor Vergata”


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Il piano adottato pur essendo un semplice atto del procedimento, produce effetti esterni come le misure di
salvaguardia.
Il PP rende obbligatoria la sospensione di ogni domanda di permesso di costruire (PdC) che risulti in contrasto con il
piano adottato e ciò fino all’emanazione del relativo decreto di approvazione, pertanto nel caso più frequente in cui
vi sia un precedente piano in vigore la domanda: dovrà essere respinta se il progetto contrasta con lo stesso, dovrà
essere accolta se conforme alle previsioni tanto del piano in vigore quanto di quello adottato; dovrà infine dare
luogo a sospensione di qualsiasi decisione nel caso di compatibilità col piano precedente ma non con quello adottato
Dopo la delibera consiliare di controdeduzioni alle osservazioni, il piano viene trasmesso alla Regione, cui spetta la
competenza all’approvazione. Si ricorda che il potere di formazione del piano è in capo al Comune e che solo in
predeterminati casi la Regione può apportare modifiche d’ufficio come segue: con lo stesso provvedimento di
approvazione possono essere apportate al piano, sentito il Comune, “le modifiche che non comportino sostanziali
innovazioni, tali cioè da mutare le caratteristiche essenziali del piano stesso ed i criteri di impostazione, le modifiche
conseguenti all’accoglimento presentate al piano ed accettate con deliberazione del Consiglio comunale, nonché
quelle che siano riconosciute indispensabili…”
Nel caso in cui la Regione ritenga il piano non approvabile, potrà motivatamente restituirlo al Comune, ma, qualora
questi, al termine di un nuovo iter procedimentale, ne confermi l’adozione, l’approvazione non potrà essere
ulteriormente rifiutata.
Per quel che riguarda il PP, la legge prevede che dopo l’approvazione sia i proprietari di immobili compresi nei piani
che le associazioni sindacali interessate, possano apportare opposizioni. Questo perché l’approvazione del PP
equivale ad una dichiarazione di pubblica utilità delle opere in esso previste, costituendo il presupposto per
l’espropriazione delle aree occorrenti per l’urbanizzazione. Il PP ha un termine fissato per legge in 10 anni ma
solamente per le previsioni espropriative, per il resto rimane a tempo indeterminato.

16. I piani attuativi


All’unico piano attuativo previsto dalla legge del 1942, il PP, se ne sono poi aggiunti altri nel tempo. Andiamo ad
analizzare il piano di lottizzazione, disciplinato ex novo dalla legge ponte. In precedenza la lottizzazione era una
semplice pre-licenza edilizia, una autorizzazione, che assicurasse l’ordinata suddivisione dei lotti edificabili
nell’ambito di una zona già oggetto di PP, nella quale quindi la trama delle opere di urbanizzazione fosse già
delineata. Con la riforma del 1967 diviene un vero e proprio Piano attuativo ad iniziativa privata, alternativo a quello
ad iniziativa pubblica; è altresi divenuta uno strumento con il quale accollare ai proprietari gli oneri di urbanizzazione
della zona. I tratti salienti della disciplina sono cosi elencati:
o Il piano viene presentato al Comune dal proprietario dell’area, l’efficacia del piano è subordinata alla
stipula di una convenzione, con la quale il proprietario si obbliga a cedere gratuitamente al Comune
le aree necessarie per le opere di urbanizzazione primaria e di una quota per le opere di
urbanizzazione secondaria, assumendosi gli oneri della realizzazione di suddette opere, fornendone
congrue garanzie finanziarie.
o La lottizzazione ha un termine fissato in 10 anni, posto per la realizzazione delle opere di
urbanizzazione poste a carico del proprietario.
L’importante innovazione rappresentata dalla lottizzazione nell’accollare i costi ai proprietari, ha 2 gravissimi
inconvenienti: il primo è rappresentato dalla incertezza dei presupposti in presenza dei quali è da ritenersi
necessaria, l’altro è rappresentato dalla creazione di un ulteriore causa di diseguaglianza nell’ambito di una materia
che ha già nella disparità di trattamento il suo tratto insopprimibile e caratterizzante: la diseguaglianza tra chi,
essendo soggetto alla lottizzazione, deve darsi carico degli oneri dell’urbanizzazione e chi invece, proprietario di un
lotto già urbanizzato a cura del Comune, è soggetto al solo pagamento dei contributi dovuti per il rilascio del
permesso di costruire.

CAPITOLO 3 – LA DISCREZIONALITA’ DEL PIANIFICATORE

17. La discrezionalità del potere di pianificare. La perequazione.


Siamo giunti al problema centrale, non è possibile pianificare l’uso del territorio senza differenziare le varie sue parti,
valorizzandone alcune e mettendone altre più o meno direttamente al loro servizio, in altri termini poiché il piano ha
come oggetto principale quello di attribuire destinazioni di aree, che non possono essere ovunque le stesse, esso
riveste necessariamente un carattere discriminatorio. Queste destinazioni possono esercitare una profonda
influenza sul valore dei suoli e generare quindi grandi disuguaglianze tra i proprietari fondiari.
L’urbanistica è dunque materia diseguagliante e in cui la regola è la disparità di trattamento.
© Tiziano Napoli – giugno 2015 - Università di Economia “Tor Vergata”
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La Corte costituzionale ha poi definito una certa discrezionalità nel ripartire le zone, a favore del Comune, che ha
discrezionalità tecnica, ovvero condizionata da elementi di carattere tecnico. In realtà il potere discrezionale insito
nelle scelte di piano è quanto di più ampio si a possibile immaginare, qualsiasi amministratore locale non ha dubbi
nel qualificare il piano come un “atto politico” e la giurisprudenza ha sempre escluso la possibilità di sindacare le
scelte relative e quindi l’esistenza di un obbligo di motivazione. La discrezionalità c’è è ampissima e non potrà mai
essere eliminata, potrebbe essere fortemente limitata, ma mai eliminata.
Non potendo rispettare il principio di legalità, non rimangono che 2 possibilità: riservare al Comune la facoltà di
edificare, così parificando “al basso” le posizioni proprietarie, oppure distribuire equamente i vantaggi
dell’edificabilità attraverso un sistema di perequazione. Vista l’impraticabilità della prima via, non rimane che la
perequazione, concretamente perseguita dagli urbanisti nella redazione dei piani degli ultimi anni e da quasi tutte le
leggi regionali.
La disciplina urbanistica ha sempre una duplice valenza, da una parte incide nelle scelte dell’amministrazione
finanziaria nella pianificazione, dall’altra incide sui rapporti tra privati proprietari e quindi sul contenuto stesso del
diritto di proprietà. La perequazione consiste nell’attribuire, anche ad aree qualificate dal piano non edificabili, una
cubatura potenziale da realizzare altrove cioè su aree qualificate come edificabili.
L’ambito entro il quale attuare la perequazione può variare da un minimo costituito dal singolo isolato
(perequazione parziale), fino ad un massimo, rappresentato dall’intero territorio comunale.
La differenza tra perequazione parziale e perequazione non è solo quantitativa, ma qualitativa, infatti la prima non
ha nulla della vera e propria perequazione che si attua attraverso la previsione di una legge emanata nell’esercizio
della potestà legislativa statale esclusa che la disciplini compiutamente e che è ancora mancante.
La perequazione per essere correttamente attuata presuppone che ci sia una integrazione della pubblicità
immobiliare, per garantire sia la sicurezza degli acquisti che un efficiente controllo comunale, ma soprattutto una
compiuta disciplina da parte di una legge dello Stato.
La perequazione generalizzata incide sul contenuto astratto del diritto di proprietà, attribuendo una potenzialità
edificatoria che ha ragione nel diritto di proprietà di un’area, ma che può essere trasferita come diritto a sé stante ad
altro proprietario.

18. Gli standard urbanistici speciali


Gli standard urbanistici speciali sono dei limiti e rapporti da osservare ai fini della formazione di nuovi strumenti
urbanistici o della revisione di quelli esistenti. La finalità è quella di garantire che nei PRG sia assicurata una riserva di
spazi da destinare a usi collettivi o a servizi pubblici, proporzionata alle previsioni insediative. L’elemento
caratteristico di tale normativa è quello dei destinatari, che sono gli organi stessi della pianificazione. Essa quindi non
ha diretta incidenza sulle proprietà e sulla sfera giuridica dei proprietari. L’osservanza degli standard è assicurata
dalla sanzione della invalidità (annullabilità) dei piani eventualmente elaborati senza rispettarli e prima ancora dal
potere-dovere della Regione di introdurre d’ufficio tutte quelle modifiche che siano riconosciute necessarie al
ripristino della loro osservanza. Le Regioni possono, con legge, introdurre limiti più severi ma non diminuirne la
portata, perché siamo in presenza di un’ipotesi di determinazione dei livelli essenziali di servizi che devono essere
garantiti su tutto il territorio nazionale.
Le disposizioni più significative sono: Per gli insediamenti residenziali deve essere assicurata, per ogni abitante, la
dotazione minima di mq.18 per spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde pubblico o a parcheggio, con
esclusione degli spazi destinati alle sedi viarie. Non potendo regolare l’effettiva presenza delle persone in ciascuna
zona si ricorre ad assumere che ogni mq.25 di superfice lorda sia calcolato un abitante.

19. Il limite degli interessi differenziati


Altro limite è rappresentato dal recepimento da parte del piano urbanistico dei vincoli posti a tutela dei cosiddetti
interessi differenziati (vincolo paesaggistico, vincolo archeologico, difesa del suolo, vincolo idrogeologico). Per tali
interessi la legge prevede distinti procedimenti i cui effetti condizionano la pianificazione urbanistica: l’autorità deve
infatti recepire i vincoli preesistenti alla formazione del piano, pena l’illegittimità della previsione; nel caso in cui
l’apposizione del vincolo sia successiva, la previsione preesistente contrastante diviene inefficace.
Si parla di contenuto eteronomo del piano, cioè di un contenuto determinato dall’esterno, da autorità diversa da
quella cui il piano è imputato, ovvero il pianificatore non ha alcun margine di discrezionalità, al contrario v’è una
sostituzione nella decisione, dalla quale il Comune non può discostarsi.

© Tiziano Napoli – giugno 2015 - Università di Economia “Tor Vergata”


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CAPITOLO 4 – L’ATTUAZIONE DEL PIANO

20. Piani attuativi e attuazione per accordi


Nel sistema delineato dalla legge urbanistica del 1942 il PRG del Comune era attuato unicamente a mezzo di PP di
esecuzione cioè di piani attuativi di iniziativa pubblica, contenenti una disciplina dettagliata della singola zona ed
equivalenti a dichiarazione di pubblica utilità delle opere di urbanizzazione previste. Il compito di effettuare le
necessarie espropriazioni nel termine di efficacia del piano (10 anni) era del Comune così come quello della effettiva
realizzazione di dette opere. Con la legge ponte del 1967 la lottizzazione viene completamente ridisciplinata. Essa
assume carattere di “lottizzazione convenzionata” e il ruolo di piano attuativo di iniziativa privata alternativo al PP.
L’importanza della introduzione della lottizzazione convenzionata è rappresentata dall’essere strumento di accollo ai
privati dei costi della trasformazione di un’area ancora non urbanizzata in area utilizzabile per l’edificazione. Sia
l’onerosità per il Comune del PP di esecuzione e sia le finalità perequative, compensative o premiali, hanno portato a
prevedere un’ampia gamma di strumenti attuativi, basati sulla collaborazione tra PA e privati.
E’ questo il diffuso fenomeno dell’urbanistica consensuale o “per accordi”, le cui motivazioni risiedono dunque per
un verso nell’esigenza di raggiungere, attraverso la partecipazione del privato il miglior assetto degli usi del territorio
e per altro verso nella possibilità di soddisfare così, contemporaneamente alle trasformazioni, alla domanda di opere
di urbanizzazione che le amministrazioni locali non sono in grado di finanziare. Si ha un capovolgimento del rapporto
con il PRG, nel senso che non è più il PRG a vincolare la fase attuativa, ma è l’attuazione a modificare, per quanto
occorrente, il piano. Tale modo, sempre più frequente di procedere sposta il peso del governo del territorio dal
piano al progetto, agevolando certamente l’attuazione delle stesse alle esigenze del momento in cui vengono
effettuate, presentando 2 ordini di problemi:
o Il pericolo di asservimento eccessivo dell’interesse pubblico all’interesse dei privati
o La perdita della visione pianificatoria di più ampio respiro, con il rischio di una inadeguata
valutazione delle esternalità negative rispetto alla zona di intervento.
Al primo problema si può rispondere inserendo limiti alle concessioni e una oggettiva valutazione dell’accettabilità
delle proposte dei privati. Alla seconda può invece ovviarsi imponendo almeno una previa relazione in ordine
all’incidenza del progetto alle altre previsioni del piano e quindi sulla compatibilità delle eventuali varianti con la
pianificazione del contesto, nonché richiedendo un’adeguata motivazione sul tema appunto dell’armonico
inserimento del progetto. Rimedi questi mai attuati dalla prassi.

21. La programmazione temporale


Per quanto riguarda la programmazione temporale ci sono 2 istituti da esaminare:
o Il programma triennale delle opere pubbliche, ha una finalità eminentemente finanziaria essendo
rivolto ad assicurare che gli interventi infrastrutturali pubblici abbiano la relativa copertura. Esso
identifica le esigenze da soddisfare e i lavori ad esse strumentali per il successivo triennio e deve
essere accompagnato da un “elenco annuale” delle opere da avviare prioritariamente. Per
l’inserimento nel programma è sufficiente uno studio di fattibilità, per l’inclusione nell’elenco
annuale è necessario un progetto preliminare per lavori > 1MLN di €
o Il programma pluriennale di attuazione (PPA), riguarda le costruzioni private, le quali per un periodo
stabilito dal programma stesso tra i 3 e i 5 anni, possono essere realizzate solo nell’ambito delle zone
individuate, salvo che si tratti di interventi diretti al recupero del patrimonio edilizio esistente o di
aree in zone già compiutamente urbanizzate o di piani di edilizia residenziale pubblica. Il PPA è stato
ridimensionato nel 1999 alla sola formazione di piani di nuovi insediamenti o di rilevanti
ristrutturazioni urbanistiche.

22. La progettazione
La realizzazione delle opere di urbanizzazione del Comune comporta 3 adempimenti beni distinti:
- Progettazione dell’opera
- L’acquisizione dell’area su cui la stessa dovrà essere costruita
- La stipulazione del contratto di appalto con l’impresa che dovrà realizzarlo
La progettazione si articola in 3 livelli:
- progetto preliminare, che individua l’opera e consente l’inserimento nell’elenco annuale dei lavori;
- progetto definitivo, necessario per tutte le autorizzazioni amministrative e comportante la dichiarazione di
pubblica utilità;
- progetto esecutivo, da porre a base della gara d’appalto
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Riassunti di “Diritto Urbanistico – Manuale Breve” di Paolo Stella Richter

23. L’acquisizione dell’area occorrente per l’opera pubblica


L’acquisizione dell’area su cui l’opera deve essere realizzata dovrebbe di regola avvenire mediante esproprio, il quale
presuppone che l’opera sia prevista nel PRG e che sul bene da espropriare sia stato apposto il vincolo preordinato
all’esproprio(termine di 5 anni), che sia stata dichiara la pubblica utilità (5-7 anni), e che sia stata determinata, anche
in via provvisoria, l’indennità di esproprio da corrispondere al proprietario dell’immobile.
Per quanto riguarda il decreto di esproprio esso rientra nella categoria dei provvedimenti ablatori reali, i quali, sono
tutti contraddistinti dal contenuto dell’effetto che è sempre duplice: l’uno estintivo, l’altro acquisitivo.
L’espropriazione va annoverata tra i modi di acquisto della proprietà a titolo originario.
Il bene si acquista libero da ogni vincolo, posto che l’espropriazione comporta l’estinzione automatica di tutti gli altri
diritti reali o personali gravanti sul bene espropriato. Il diritto di proprietà si acquista indipendentemente dalla
titolarità dell’espropriato, poiché l’esproprio avviene in capo al soggetto che risulti proprietario secondo i registri
catastali, il quale può non coincidere con il reale proprietario.
Le fasi necessari e per l’acquisizione dell’area sono: apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, dichiarazione
di pubblica utilità, determinazione in via provvisoria dell’indennità e decreto di esproprio.
24. L’indennità di esproprio
L’indennità di esproprio va ricondotto ad una guerra tra i proprietari di aree ed il legislatore statale, il quale ne è
uscito sempre sconfitto. Partiamo dalla possibilità offerta alla PA come a qualsiasi altro soggetto dell’ordinamento, di
acquistare i beni di cui ha bisogno. Nel caso di un’area specificamente individuata l’Amministrazione potrebbe essere
esposta al ricatto di una richiesta eccessiva da parte del proprietario. L’istituto dell’espropriazione si accompagna
alla corresponsione di una indennità commisurata al valore di mercato del bene. Quando però si tratta di
espropriazione fabbricabile, poiché la trasformabilità edificatoria, che ha tanta rilevanza sotto il profilo economico,
non deriva da una qualche caratteristica intrinseca del bene, ma da una gratuita attribuzione effettuata
dall’Amministrazione con il PRG, sembra del tutto ingiustificato far pagare la stessa espropriante ciò che ha in
precedenza concesso gratuitamente. Altresì è illegittima la commisurazione dell’indennizzo al solo valore agricolo in
casi in cui l’espropriazione avesse riguardato aree aventi vocazione edificatoria.
Il legislatore ha poi stabilito una nuova regola per cui l’indennità dovesse essere determinata in base alla media
aritmetica tra il valore venale dell’are a e il reddito domenicale di cui al T.U. delle imposte sui redditi, ulteriormente
ridotta del 40%.
L’indennizzo secondo la Corte Costituzionale, era sufficiente non fosse meramente irrisorio o simbolico, costituendo
invece il massimo impegno economico compatibile, secondo la discrezionale valutazione del legislatore, con
l’equilibrio della finanza pubblica. Al contrario la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) andava condannando a
più riprese la Repubblica Italiana per violazione del diritto di proprietà. Successivamente con la legge di revisione
costituzionale del 2001, la potestà legislativa è stata assoggettata al rispetto degli obblighi internazionali derivanti
dalle convenzioni internazionali. La legge finanziaria del 2007 ha pronunciato la dichiarazione di resa, stabilendo che
: “l’indennità di espropriazione di un’area edificabile è determinata nella misura pari al valore venale del bene” e che
in caso di cessione volontaria essa è aumentata del 10% (indennizzo superiore al prezzo che si sarebbe ottenuto in
una libera contrattazione)

25. L’occupazione d’urgenza (acquisitiva) (altrimenti detta Accesione Invertita)


L’immissione nel possesso dell’area su cui l’opera deve essere realizzata dovrebbe di regola avvenire dopo
l’emanazione del decreto di esproprio. Eccezionalmente la PA può disporre, con decreto motivato, la cosiddetta
occupazione d’urgenza preordinata all’espropriazione. La funzione originaria era quella di anticipare i lavori di
realizzazione delle opere pubbliche, oggi è divenuta una prassi costante nel processo di esproprio. La nuova
disciplina prevede la corresponsione al privato di un indennizzo pari al valore venale del bene aumentato del 10%.

26. Il contenuto del diritto di proprietà secondo la Costituzione


A livello costituzionale, non è chiaro oggi se il diritto di proprietà sia o meno un diritto fondamentale della persona.
Secondo la Costituzione, tale diritto è inserito tra i semplici rapporti economici, disponendo che la proprietà privata
è riconosciuta e garantita dalla legge che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di
assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. L’art 42 stabilisce solo una mera riserva di legge.
La CEDU attribuisce alla proprietà natura di diritto fondamentale della persona, recepito dalla riforma del 2001.
La riaffermazione del diritto di proprietà come un diritto dell’individuo, comporta necessariamente un
ridimensionamento del peso del potere amministrativo e una riespansione della normativa di diritto privato.
Le conseguenze sono:
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a) La commisurazione dell’indennità al valore venale del bene espropriato


b) La valorizzazione della facoltà di godimento del proprietario, con possibilità del mutamento della
destinazione d’uso
c) La disciplina degli interventi sulle costruzioni come forme di garanzia degli interessi degli altri proprietari del
medesimo immobile
d) L’affermazione di una esigenza di certezza in chi opera trasformazioni immobiliari, con superamento della
regola che il titolo abilitativo non rileva nei rapporti tra privati né garantisce dall’intervento sanzionatorio
penale.

27. Sistemi alternativi all’esproprio


Le opere a scomputo, disciplinate dal legislatore nel 1977, sono quelle che comportano un riconoscimento di un
contributo commisurato all’intervento di urbanizzazione apportato, a scomputo totale o parziale della quota di
contributo relativo agli oneri di urbanizzazione, il richiedente possa obbligarsi a realizzare direttamente le opere di
urbanizzazione, con conseguente acquisizione a titolo gratuito da parte della PA. Meno frequente a causa della
sconvenienza nel dover attenersi alla impossibilità di scegliere il progettista di fiducia né la possibilità di eseguire
l’intervento direttamente, viene meno il risparmio connesso.

28. La c.d. “compensazione”


In alternativa all’accollo in capo ai privati del compito di realizzare a loro spese le opere di urbanizzazione si è
sviluppato un sistema alternativo all’esproprio chiamato compensazione. La compensazione consiste nella possibilità
di stipulare una convenzione con la quale il proprietario di un’area vincolata cede la stessa al Comune ottenendo in
cambio la disponibilità di una cubatura su di un’altra area. Sfruttando questa ricchezza il Comune può indurre i
privati a cedere volontariamente le loro aree destinate a qualsiasi opera di urbanizzazione in cambio
dell’attribuzione di una congrua volumetria fabbricabile. La prassi della compensazione è legittimata dalla previsione
legislativa della possibilità di farvi ricorso per l’acquisizione di aree o immobili da destinare a edilizia residenziale
sociale.

29. La premialità edilizia


L’accorgimento di prevedere nel PRG specifici ambiti in cui è consentito far “atterrare” della cubatura, all’avverarsi di
determinati eventi è alla base di un altro istituto, quello della premialità edilizia. Per incentivare i privati a tenere
comportamenti ritenuti utili per la collettività, si è nella prassi fatto ricorso alla concessione dell’unico bene che il
Comune può elargire senza oneri finanziari: la facoltà di edificare. Il comune può nell’ambito di previsioni degli
strumenti urbanistici, consentire un aumento della volumetria premiale nei limiti di incremento massimi della
capacità edificatoria prevista per le cubature offerte in compensazione.

30. L’appalto pubblico


Una volta progettata l’opera pubblica e acquisita l’area su cui realizzarla (mediante esproprio, compensazione,
premialità edilizia) occorre scegliere l’impresa di costruzioni e affidarle la relativa attuazione. L’appalto pubblico è
volto ad assicurare la PA il contratto economicamente più conveniente e a garantire alle imprese un accesso
concorrenziale ai lavori. La normativa può riassumersi in poche regole. Salvo casi eccezionali è esclusa la possibilità di
perfezionare un contratto di appalto mediante semplice trattativa privata, è necessario cioè scegliere il contraente
della PA mediante una gara pubblica. Le fasi sono:
- pubblicazione di un bando contenente un invito alle imprese aventi i richiesti requisiti di capacità
economico-finanziaria e tecnica a manifestare la propria volontà di concorrere;
- pubblicazione del disciplinare di gara e del capitolato speciale di appalto;
- presentazione delle offerte da parte dei concorrenti in forma anonima e con buste distinte per la
documentazione amministrativa, l’offerta tecnica e l’offerta economica;
- valutazione delle offerte, con attribuzione del relativo punteggio ad opera di una commissione giudicatrice
appositamente creata;
- formazione della graduatoria e aggiudicazione provvisoria da parte della medesima Commissione;
- aggiudicazione da parte dell’Amministrazione appaltante dopo le necessarie verifiche amministrative.
Una specifica verifica di congruità, volta ad accertare la sostenibilità economica da parte dell’offerente viene fatta a
garanzia della serietà dell’impegno che l’impresa deve assumere e quindi della prevedibile corretta esecuzione del
lavoro. Parametri a garanzia della regolarità e della tempestività della realizzazione dell’opera pubblica è poi il
regime delle contestazioni che l’appaltatore può avanzare una volta stipulato il contratto; regime per il quale esse
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non possono mai giustificare l’interruzione o il solo ritardo dei lavori, ma devono essere oggetto di apposizione di
riserve, cioè di domande il cui esame viene differito ad un momento successivo al collaudo dell’opera. Il regime delle
riserve è altresì preordinato a consentire all’Amministrazione di conoscere in ogni momento i maggiori costi cui
rischia di andare incontro e di potere conseguentemente adottare tempestivamente i provvedimenti necessari a
garantire il relativo finanziamento o, al limite, a interrompere l’esecuzione.

CAPITOLO 5 – LA FUNZIONE DI CONTROLLO E LE SANZIONI

31. La nozione di attività edilizia


La funzione di controllo delle PA delle iniziative edilizie è affidata in via primaria ai Comuni, si articola in un controllo
preventivo ed una vigilanza post operam, la quale prevede 3 tipi di sanzioni: amministrative, penali e civili.
Il Testo Unico non definisce l’attività edilizia ma definisce quali interventi siano espressione di attività edilizia libera e
quali siano subordinati al permesso di costruire. Partiamo dalla definizione di edilizia(=aedes=casa) attività del
costruire e conservare gli edifici. Le regioni stabiliscono con legge quali mutamenti connessi o non connessi a
trasformazioni fisiche dell’uso di immobili o di loro parti sono subordinati al PdC o DIA, come da art.10 c2 del TU,
l’attività edilizia è di regola necessariamente legata a trasformazioni fisiche.
L’attività edilizia consiste in una modifica del suolo, non nel solo uso poiché possibile oggetto di una altra disciplina,

32. La classificazione degli interventi di individuazione dei titoli abilitativi


I titoli abilitativi sono quelli definiti unicamente dalla legge statale, essendo precluso alla legislazione regionale di
crearne di nuovi. I titoli abilitativi, all’atto dell’approvazione del T.U. erano:
- Edilizia libera (art.6)
- Subordinati al Permesso di Costruire (PdC) (art.10)
- Dichiarazione di inizio attività per attività residuali di cui non c’è riferimento né all’art.6 né al 10. (art.22)
Con il Dlgs 301 del 27/12/2002 è stato previsto che la DIA possa essere utilizzata, con scelta rimessa al diretto
interessato , in alternativa al PdC, dando luogo alla ipotesi nella prassi chiamata SuperDia, ciò può avvenire nei casi di
ristrutturazione edilizia di maggior impatto per nuova costruzione il cui progetto è già presente nel piano. Con la DIA
è il privato ad imporre all’amministrazione quale procedimento sia da seguire e non più il contrario.
Con la Legge 106 del 12/7/2011 art. 5 c.2 la DIA viene sostituita dalla Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA)
ma è rimasta operante la SuperDia (Dia non onerosa, SuperDia è onerosa).
Titoli abilitativi sono quindi ad oggi:
- EDILIZIA LIBERA
- PDC
- SCIA
- SUPERDIA

33. La rilevanza del titolo abilitativo


I titoli abilitativi sono sottoposti al controllo della PA che può riscontrare 2 tipologie di illecito.
Irregolarità formale, ovvero un difetto del titolo abilitativo. Irregolarità sostanziale, ossia una violazione della
disciplina del PRG. Queste due tipologie di illecito hanno poi rilevanza di tipo amministrativo, penale o civile in base
alla fattispecie.

34. La disciplina sostanziale e le misure di salvaguardia


La disciplina sostanziale di ciascuna area è dettata dai regolamenti edilizi e dai PRG. Ciascun Comune dovrebbe
essere dotato di un regolamento edilizio e di un PRG, in difetto di quest’ultimo si applicano gli standard generali.
L’istituto delle misure di salvaguarda ha lo scopo di evitare che nel periodo intercorrente tra l’adozione e
l’approvazione avvengano trasformazioni del territorio tali da compromettere l’assetto urbanistico previsto dagli
strumenti adottati.

35. Gli ulteriori presupposti del titolo abilitativo: opere di urbanizzazione e inserimento nel PPA
La regolamentazione dell’attività costruttiva comprende altri 2 principi oltre alla normativa vigente e alle misure di
salvaguardia, ovvero le opere di urbanizzazione primaria a carico dell’esecutore dell’opera cui è stato concesso il
PdC, poiché quest’ultimo è subordinato alla realizzazione delle opere di urbanizzazione primaria, che potranno poi
essere portate a scomputo parziale o totale della quota dovuta per il contributo di costruzione, e il PPA programma
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pluriennale di attuazione, con cui l’attività costruttiva di maggior rilievo viene temporizzata, al fine di consentire al
Comune il coordinamento tra sviluppo dell’edilizia e programmazione economico strutturale del territorio.

36. Le conseguenze del difetto di titolo abilitativo nel rapporto tra proprietario e Comune
Qualora si presentino degli illeciti nell’attività del costruire, si rientra in campo di diritto penale, mentre se l’illecito si
riscontra sul risultato della costruzione si è in ambito di diritto privato o amministrativo. Di regola se i titoli abilitativi
sono conformi, allora la disciplina sostanziale non rileva illeciti, ma qualora non ci fosse conformità si configura un
illecito e di conseguenza si incorre nell’applicazione di sanzioni.
Le sanzioni amministrative vengono applicate sul risultato della costruzione a ripristino dell’equilibrio. In caso di
assenza o dalla difformità della SCIA, cui viene applicata una sanzione pecuniaria, mentre in caso di assenza o
difformità del Permesso di Costruire si possono configurare 3 situazioni:
a) Assenza o difformità totale del PdC  Riduzione in pristino o cessione gratuita al Comune dell’immobile
b) Parziale difformità o ristrutturazioni Riduzione in pristino o acquisizione immobile o sanzione pecuniaria
c) Permesso di Costruire annullato  Restituzione in pristino o rimozione del vizio amministrativo, altrimenti
viene applicata una sanzione pecuniaria

37. Le ipotesi di sanatoria


Le ipotesi di sanatoria, previste dalla legge, sono i provvedimenti con cui è possibile regolarizzare gli interventi
attuati in assenza o comunque al di fuori del necessario titolo abilitativo. Il sistema consente di sanare tutto ciò che è
stato realizzato senza titolo, ma in conformità a quanto stabilito dalla disciplina sostanziale, quindi ciò che in
definitiva rileva nei rapporti tra proprietario e autorità amministrativa che il controllo della trasformazione stessa
non contrasti con la normativa di zona. Le sanatorie straordinarie si sono verificate nel 1985, 1994 e 2003 aventi ad
oggetto le opere realizzate abusivamente prima di una precisa data di riferimento. La sanatoria a regime, consentita
in ogni caso cui ricorrano i relativi presupposti, può essere di due specie:
a) Sanatoria per accertamento di conformità, che opera sul piano amministrativo, sul piano dell’attività e sul
piano penale con l’estinzione del reato edilizio tramite ablazione
b) Sanatoria giurisprudenziale delle costruzioni difformi dalla disciplina vigente al momento, fondata sulla
considerazione della illogicità della sanzione demolitoria di un immobile, che ben potrebbe essere, subito
dopo, nuovamente edificato in quanto la sua realizzazione sarebbe ormai suscettibile di venire regolarmente
autorizzata.

38. Le trasformazioni rilevanti e il problema dei mutamenti di destinazione d’uso


Il mutamento di destinazione d’uso rientra per regola generale nell’ambito delle facoltà di godimento spettante al
proprietario. Se il mutamento è attuato senza opere a ciò preordinate, manca anche di quel carattere di non
precarietà che, solo, giustifica una disciplina pubblicistica e un controllo preventivo. Non c’è alcun dubbio che l’uno o
l’altro uso di un immobile possano comportare un peso urbanistico diverso e quindi dar luogo ad un aggravio di
servizi, viabilità, parcheggi, smaltimento rifiuti, quindi il problema esiste e non può essere negato. La facoltà di
godimento non è necessariamente libera ma può essere disciplinata dalla legge come previsto dall’articolo 42 della
Costituzione.

39. Titolo abilitativo e diritto privato


I titoli abilitativi hanno rilevanza nei rapporti tra privati?
Il titolo abilitativo è del tutto irrilevante nei rapporti tra privati, non incide se non nell’ambito pubblicistico tra PA e
privato richiedente.
Se la normativa applicabile in un giudizio civile è la medesima come si procede?
Secondo la giurisprudenza, non tutte le norme cui è subordinato il rilascio del titolo abilitativo costituiscono “le
regole da osservarsi nelle costruzioni” di cui può essere denunciata la violazione in una controversia tra privati. Non
tutti i presupposti per il conseguimento del titolo abilitativo sono altresì presupposti perché la costruzione sia ai fini
civilistici considerata regolare, ma quelli soli che attengono alla disciplina sostanziale dei distacchi, dell’altezza, della
volumetria e forse della destinazione d’uso.
A quale momento ci si deve riferire pe stabilire la disciplina del rapporto?
Il momento cui far riferimento per stabilire quale sia la disciplina di zona applicabile alla singola costruzione è quella
del momento in cui il permesso di costruire viene rilasciato.
Quale tipo di condanna può essere richiesta dal giudice ordinario?

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Riassunti di “Diritto Urbanistico – Manuale Breve” di Paolo Stella Richter

Colui che per effetto della violazione ha subito danno deve esserne risarcito, salva la facoltà di chiedere la riduzione
in pristino quando si tratta della violazione di norme contenute nella distanze nelle costruzioni di cui all’art.873 del
Codice Civile, il quale stabilisce che le costruzioni su fondi finitimi, se non sono unite o aderenti devono essere
tenute a distanza non minore di 3 metri. Nei regolamenti locali può essere definita una distanza maggiore.

40. Titolo abilitativo e diritto penale


Le sanzioni penali sono dettate a tutela di due distinti interessi: l’interesse previo controllo dell’Amministrazione dei
progetti e l’interesse all’osservanza della disciplina sostanziale. Il primo interesse è protetto con la previsione di una
più grave sanzione, ma è limitato agli interventi soggetti a permesso di costruire,, la fattispecie comprende infatti
solamente i casi di esecuzione dei lavori in totale difformità o assenza del PdC o di prosecuzione degli stessi
nonostante l’ordine di sospensione. Rientrano in questa fattispecie anche le SCIA con più ampie o ridotte casistiche
elaborate dalle leggi regionali, che comunque rientrano nelle sanzioni penali previste dalla legge statale. Il reato può
essere estinto con il pagamento di una oblazione nel caso di sanatoria del PdC.
L’interesse rispetto alla disciplina sostanziale è autonomamente tutelato con la previsione di una sanzione penale
per l’ipotesi di inosservanza di quanto prescritto dagli strumenti urbanistici e dal regolamento edilizio. La fattispecie
prescinde dalla esistenza o meno del PdC.

41. La lottizzazione abusiva


La norma sul reato di lottizzazione abusiva è di particolare delicatezza perché i presupposti devono essere desunti
indirettamente dalla fattispecie del reato. La lottizzazione è necessaria in tutti i casi di intervento edilizio complesso,
e non è invece richiesta nel caso in cui il lotto su cui si intenda costruire risulti inserito in un contesto urbanistico già
compiutamente organizzato. La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva
dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite, sanzione accessoria che
la giurisprudenza ritiene applicabile sul solo presupposto dell’oggettivo riscontro della fattispecie anche se
l’imputato viene assolto per dolo o colpa e anche se il processo si chiude con la dichiarazione di non doversi
procedere per l’intervenuta prescrizione del reato. L’unica limitazione è di carattere soggettivo, perché la confisca
non deve essere disposta nei confronti dei soggetti estranei alla commissione del reato e venuti in buona fede in
possesso del terreno o dell’opera edilizia oggetto di abusiva lottizzazione.
Si delinea la fattispecie di lottizzazione abusiva quando:
- La lottizzazione abusiva cosiddetta “materiale”: la realizzazione di “opere che comportino la trasformazione
urbanistica o edilizia dei terreni in violazione degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque
stabilite da leggi statali o regionali o senza la prescritta autorizzazione”.
- La realizzazione di costruzioni radicalmente difformi da quanto previsto nel piano di lottizzazione approvato,
indipendentemente dal PdC.
Con la lottizzazione abusiva negoziale, la legge intendeva prevenire la trasformazione urbanistica non autorizzata, in
modo tale da identificare in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio dei singoli lotti,.
La finalità è quella di colpire sul nascere la speculazione immobiliare.

42. Il permesso di costruire


Il PdC costituisce il momento di verifica del dimensionamento in concreto della facoltà di edificare al fine di attuare
compiutamente le scelte degli strumenti urbanistici. Esso è prescritto per gli interventi di nuova costruzione e per
alcuni interventi di ristrutturazione edilizia. Il PdC presenta un carattere sostanziale. Con tale diritto si costituisce una
componente naturale della proprietà edilizia, cioè della proprietà che abbia ricevuto la sua conformazione. Il PdC si
presenta come un provvedimento a contenuto autorizzatorio e a carattere naturalmente oneroso, “la
corresponsione di un contributo commisurato all’incidenza delle spese di urbanizzazione nonché al costo di
costruzione” , finalizzato a garantire, mediante una preventiva verifica da parte dell’Amministrazione, che l’opera da
costruire sia conforme alla disciplina urbanistica della zona i cui dovrà sorgere e che siano altresì sussistenti gli altri
presupposti di legge. Un etero-controllo preventivo appare necessario in tutti i casi in cui l’innovazione assuma una
portata rilevante , concretandosi nella creazione di nuove volumetrie che modifichino il peso urbanistico
complessivo dell’edificato, e sia assoggettata ad una seppur limitata valutazione discrezionale dell’Amministrazione,
di cui la semplice SCIA precluderebbe l’esercizio.

43. La discrezionalità del permesso


Il permesso di costruire è un atto sostanzialmente dovuto, nel senso che per regola non possa essere rifiutata
l’approvazione a un progetto redatto in modo del tutto conforme alle previsioni del piano. Tuttavia poiché il
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permesso è comunque subordinato alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte
del Comune delle stesse entro i 3 anni, non può negarsi anzitutto un profilo di discrezionalità tecnica
nell’accertamento di tale presupposto. Relativamente al PdC al Comune è riservata una valutazione di adeguatezza
da un punto di vista estetico dell’inserimento nel contesto urbanistico, ciò nonostante questo non giustifica la
reiezione di una domanda, ma la sola imposizione a prescrizioni da seguire nella modifica del progetto, che vincolano
il progettista a una rielaborazione o che possono dar luogo a condizioni aggiuntive in sede di realizzazione.

44. Il contributo di costruzione


Il PdC costituisce un provvedimento a carattere oneroso, con il quale il responsabile competente dell’ufficio
comunale, conclusa la fase istruttoria ed entro 30 giorni dalla formulazione della proposta del responsabile di
procedimento, approva il progetto di un’opera e ne autorizza l’esecuzione. Sempre nello stesso momento viene
emessa la richiesta di pagamento del contributo che il richiedente è tenuto a pagare per gli oneri di urbanizzazione e
per il costo della costruzione, qualora dovute. La quota di contributo relativa agli oneri di urbanizzazione deve essere
corrisposta al Comune, all’atto del rilascio del PdC. A scomputo totale o parziale della stessa, il titolare del PdC può
impegnarsi a realizzare direttamente le opere di urbanizzazione con le modalità e le garanzie stabilite dal Comune
che né disporrà. Lo scomputo attribuisce alla convenzione quel carattere di onerosità che caratterizza l’appalto.
L’obbligo della gara è escluso ne caso di esecuzione diretta per un importo inferiore alla soglia comunitaria.
La quota di contributo relativa al costo di costruzione deve essere comunque corrisposta in corso d’opera non oltre
60 giorni dalla ultimazione delle opere cui si riferisce. La restituzione di quanto versato è ammessa nel caso in cui il
PdC decada, venga annullato per vizi di legittimità al quale segua la riduzione in pristino e ove il versamento richiesto
risulti illegittimo oppure maggiore rispetto a quanto in realtà dovuto.

45. Caratteristiche del permesso: la legittimazione a richiederlo


L’art. 11 del t.u. richiama le caratteristiche, tra le quali non rientra l’onerosità, aspetto soltanto naturale. Per quanto
riguarda la legittimazione a richiedere il provvedimento, la norma afferma che “il permesso è rilasciato al
proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo a richiederlo”. Si può notare come non solo il permesso non sia
riservato unicamente al proprietario, ma soprattutto come il profilo soggettivo abbia una rilevanza del tutto
secondaria e limitata. Tale provvedimento ha infatti carattere reale: suo presupposto è una situazione soggettiva
attiva del richiedente in relazione ad un bene; esso viene rilasciato in considerazione della conformità di un progetto
alla disciplina urbanistica della zona, senza che la sua emanazione possa essere influenzata dai profili soggettivi del
richiedente. Ciò è tanto vero che esso è dalla legge espressamente definito “trasferibile, insieme all’immobile, ai
successori o aventi causa”. Chiunque può richiedere il PdC? Evidentemente no, ma è sufficiente che abbia la
disponibilità dell’area su cui edificare e soprattutto che abbia il consenso o la non opposizione del proprietario,
poiché è sull’oggettiva consistenza del suo diritto che la trasformazione viene ad incidere.

46. L’efficacia temporale


La rilevanza del decorso del tempo e della ratio della relativa normativa, si evidenzia dall’art. 15 del t.u., il quale
stabilisce che “nel permesso di costruire sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori. Il termine di inizio
dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo; quello di ultimazione, entro il quale l’opera deve
essere completata, non può essere superiore a 3 anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere
prorogati con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso”.
C’è limitazione temporale nel momento in cui “il permesso decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni
urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine dei 3 anni dalla data di inizio”.

47. L’irrevocabilità del permesso di costruire


Un’ultima caratteristica è l’irrevocabilità del PdC. In considerazione sia del limitato ambito di discrezionalità insito nel
potere di rilasciare il PdC e sia dell’affidamento che si ingenera col suo ottenimento nel richiedente, la legge ha
sancito opportunamente la sua assoluta irrevocabilità.

48. Decadenza
Il PdC resta soggetto a 2 diversi eventi incidenti sulla sua efficacia, che non vanno confusi con la revoca: la decadenza
e l’annullamento.
La revoca si verifica con il decorso dei tempi fissati per inizio e fine lavori, non si può rifare l’iter per il PdC poiché è
mutata la situazione ambientale e urbanistica. La decadenza si verifica automaticament, per il decorso dei termini di

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efficacia. Può essere richiesto un nuovo PdC poiché la decadenza opera ex nunc e viene dichiarata attraverso un
opportuno provvedimento esplicito.

49. Annullamento
L’annullamento opera ex tunc, cioè retroattivamente in quanto ha come presupposto un vizio di legittimità dell’atto.
Le ipotesi più importanti di annullamento sono quello giursidizionale e l’auto-annullamento. Quest’ultimo
presuppone uno specifico interesse pubblico meritevole di prevalere all’interesse privato che era stato
precedentemente autorizzato.

50. La segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)


L’ordinamento prevede che l’intervento di trasformazione immobiliare sia sempre soggetto ad una verifica, che può
assumere la forma semplificata della SCIA. Tale istituto nasce come DIA, dichiarazione di inizio attività, con riguardo
ad interventi c.d. “minori” che avevano la caratteristica di incidere limitatamente sul territorio. Nel 2002 la DIA è
stata estesa a fattispecie di rilevante trasformazione del territorio, al punto tale che si è arrivati ad utilizzare la DIA in
alternativa al PdC, per interventi di ristrutturazione maggiore che portano ad un organismo edilizio in tutto o in parte
diverso dal precedente e addirittura per interventi di nuova costruzione o ristrutturazione urbanistica qualora siano
disciplinati da piani attuativi in ogni dettaglio. La sostituzione della SCIA alla DIA è avvenuta nel 2010. Prima di tale
data il privato una volta presentata la DIA allo sportello unico doveva attendere 30 giorni per poter effettuare l’inizio
dei lavori, inoltre era previsto un ulteriore termine di 30 gironi in cui la PA poteva interrompere i lavori e rimuovere
gli effetti. Ad oggi rimane solamente la SUPERDIA che ha come caratteristica quella della onerosità.
La SCIA consente l’immediato inizio dell’attività denunciata, una volta depositata l’onerosa documentazione presso
lo sportello unico, la PA ha 30 giorni per interrompere i lavori e rimuovere gli effetti di quanto eseguito. E’ prevista
una autocertificazione che assimila il processo della SCIA al PdC. Il ruolo centrale nella SCIA è ricoperto dal
progettista poiché è il garante della regolarità tecnica e urbanistica del progetto. Ha responsabilità penale.
L’amministrazione nel termine di 30 giorni dalla presentazione della SCIA può sempre disporre il divieto di
prosecuzione dell’attività.

51. Caratteristiche della DIA e della SCIA


Andiamo ad analizzare la natura giuridica della DIA. Nelle intenzioni del legislatore, essa si caratterizzava per la
mancanza di un provvedimento amministrativo anche tacito, risolvendosi nell’esercizio da parte del privato di una
sua facoltà non assoggettata ad alcuna autorizzazione, ma condizionata soltanto all’onere di particolari
adempimenti. Secondo il Consiglio di Stato, la DIA si tradurrebbe direttamente nell’autorizzazione implicita
all’effettuazione dell’attività, in virtù di una valutazione legale tipica, con la conseguenza che i terzi potrebbero agire
innanzi al giudice per chiedere l’annullamento della determinazione formatasi in forma tacita. La vera ragione di tale
contrasto va ricercata nella esigenza di tutela del terzo che possa essere leso dall’intervento edilizio.
La soluzione preferibile è che la DIA viene riconosciuta come un semplice atto del privato, ma che al terzo sia
eccezionalmente consentita, in questo caso, un’azione di accertamento dell’insussistenza dei presupposti
legittimanti l’attività progettata. La SCIA e la DIA non sono direttamente impugnabili in quanto non costituiscono
provvedimenti taciti, ma l’interessato può sollecitare l’amministrazione ad effettuare delle verifiche.

52. Il certificato di agibilità


Al termine agibilità vengono ricondotti tutti i controlli e le verifiche, attinenti alla sicurezza dell’immobile, introdotti
nel tempo dalla normativa. Il certificato viene rilasciato dal dirigente o dal responsabile del competente ufficio
comunale con riferimento a nuove costruzioni o sopraelevazioni a interventi sugli edifici esistenti, che possano
influire sulle condizioni di igiene, salubrità, sicurezza e risparmio energetico. Risulta rilevante la sua qualità-entità e i
riflessi di esso sulla condizione di salubrità della costruzioni o di sue parti. L’obbligo del rilascio del certificato non
riguarda soltanto gli immobili a uso strettamente abitativo, ma anche quelli adibiti a scopi diversi, purché l’attività
che in essi si dovrà svolgere comporti comunque la frequentazione da parte delle persone, attese le finalità che la
legge si prefigge e che consistono nell’opportunità di evitare danni a persone che si trovino ad intrattenersi in locali
non sufficientemente sicuri e igienici. L’istituto risale al 1934, ove la legge prevedeva che una volta costruiti gli edifici
o parte di essi non potessero essere abitati se non dietro l’autorizzazione del podestà, il quale era tenuto il controllo
al solo profilo igienico-sanitario (mura asciugate). Con la legge del 1993 n.493 i controlli da effettuare ai fini del
rilascio del certificato di abitabilità e agibilità sono stati estesi alla conformità urbanistico-edilizia, sono eseguiti
dall’ufficio comunale competente e affinché gli edifici possano essere abitati è necessario il certificato di abitabilità
rilasciato dal Sindaco, allegando alla richiesta il certificato di collaudo, la dichiarazione della presentazione
© Tiziano Napoli – giugno 2015 - Università di Economia “Tor Vergata”
Riassunti di “Diritto Urbanistico – Manuale Breve” di Paolo Stella Richter

dell’iscrizione al catasto immobiliare, una dichiarazione del direttore dei lavori che certifichi la conformità rispetto al
progetto approvato, l’avvenuta prosciugatura dei muri e la salubrità degli ambienti.
La possibilità di chiedere l’agibilità parziale, limitatamente cioè a una parte dell’edificio ancora in costruzione, è stata
prevista con la legge del 9/8/2013 n.98. Oggi il procedimento di rilascio del certificato di agibilità è regolato
dall’art.25 del T.U. dell’edilizia, che mantiene per lo più inalterato l’iter precedentemente fissato, seppur con
l’introduzione dello sportello unico. Il certificato di agibilità costituisce l’unico momento di controllo sistematico
dell’attività costruttiva successivamente al suo svolgimento. Fino ad oggi nel T.U. in materia edilizia degli edifici,
prevedeva che l’agibilità potesse essere conseguita attraverso il rilascio del certificato da parte dell’amministrazione
comunale ovvero mediante la formazione del silenzio-assenso. Il legislatore del 2013 ha previsto che il privato,
anziché depositare la domanda di rilascio del certificato di agibilità, possa limitarsi a presentare la dichiarazione del
direttore dei lavori o di un altro professionista abilitato, attestante la conformità dell’opera al progetto presentato e
la sua agibilità, corredata dai documenti già richiesti dal medesimo art.35 per la procedura ordinaria. Siffatto
procedimento alternativo consente quindi di conseguire immediatamente l’agibilità, senza necessità di attendere il
rilascio del certificato comunale o la decorrenza del termine per la formazione del silenzio-assenso.

© Tiziano Napoli – giugno 2015 - Università di Economia “Tor Vergata”

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