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DIRITTO URBANISTICO

Capitolo I
IL DIRITTO URBANISTICO

Il diritto urbanistico è una materia che studia il territorio sotto il profilo giuridico, ovvero analizza l’insieme
di norme che regola l’utilizzo del territorio (Diritto Positivo), ovvero aspetti come la sua trasformabilità, la
sua conservazione, la sua intoccabilità, e la sua funzione da parte delle persone che ci vivono (che ne
usufruiscono).

La disciplina giuridica regola il rapporto che si instaura fra i soggetti pubblici e i soggetti privati rispetto
alla possibilità di utilizzo del terreno. Si possono individuare due grandi soggetti che si contendono il
territorio:
• Poteri pubblici (Comuni, Regioni, Ministero dell’Ambiente e della Infrastrutture), che hanno poteri
autoritativi (a loro sono affidati compiti, funzioni)
• Soggetti Privati (dal più piccolo proprietario di un’area agricola al più grande proprietario immobiliare)

Da una parte il Comune, tramite l’utilizzo del PRG, cerca di raggiungere il soddisfacimento sia pubblico che
privato, dall’altra parte i soggetti privati, che possono essere sia proprietari o anche utilizzatori (o aspiranti
tali) del terreno in questione, vogliono sviluppare la loro capacità imprenditoriale (o altro) sul territorio.
Naturalmente questo binomio quasi sempre si trasforma in un contrasto di intenzioni, in quanto il volere
privato spesso entra in conflitto con quello pubblico, che funge da garante della comunità. Ci sono infatti un
alto numeri di regole che devono cercare di mediare fra due voleri così opposti fra di loro.

Il territorio, nonostante abbia diversi livelli di lettura su diverse posizioni, rimane sempre ed in ogni caso
territorio. La costituzione lo suddivide in:
- Comuni (con competenze nel territorio comunale)
- Province (con competenze nel territorio provinciale)
- Regioni (con competenze nel territorio regionale)
- Stati (con competenze nel territorio nazionale)

Tutti questi soggetti sono soggetti elettivi, ovvero vengono scelti direttamente dagli stessi cittadini, che li
eleggono per scopi di amministrazione e rappresentanza.
I territori apparentemente sono tutti uguali, ma dal punto di vista della disciplina dell’uso del territorio,
questi soggetti pubblici sono tanti e diversi poiché i compiti e gli interessi che svolgono e curano hanno pesi
e dimensioni diverse.
Questo perché il territorio fondamentalmente è una risorsa limitata, e deve quindi esser utilizzato con
cognizione di causa e non in maniera indiscriminata, pena danni irreversibili al territorio stesso e alla
comunità che ne usufruisce.

Le leggi che riguardano il territorio hanno come oggetto la sua utilizzazione in correlazione con la sua
sostenibilità (se quella attività può esser svolta), in quanto le attività umane sul territorio superano i confini
amministrativi: ad esempio l’inquinamento atmosferico non rimane certo circoscritto al territorio dove viene
prodotto.

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Capitolo II
LA PIANIFICAZIONE

La Pianificazione del Territorio è un’attività ordinata nel tempo e nello spazio, al fine di ottenete un
risultato. Con Pianificazione si possono intendere Pianificazione del Territorio, dell’Ambiente, dello
Smaltimento dei Rifiuti solidi: c’è una disciplina per ogni cosa, in quanto l’utilizzo della tecnologia ha messo
in condizione l’uomo di poter fare qualsiasi cosa (quindi anche danni irreparabili) anche in brevissimi lassi di
tempo (es: con una motosega si può distruggere una foresta in una notte).

La Pianificazione ha bisogno preventivamente di una fase di Programmazione: con la Pianificazione si


determina l’assetto di un territorio, perché si vogliono ottenere risultati da quell’assetto, ma per far si di
raggiungere queste condizione, c’è appunto bisogno di una programmazione, in cui le attività umane possano
svolgersi tranquillamente per il raggiungimento di questa pianificazione, quindi di questo assetto, e infine dei
risultati previsti all’inizio.

Se gli interessi possono esser diversi, le modalità con cui si conseguire tali attività pubbliche si riuniscono
sotto il nome di Piano, che si può riassumere in: Prevedere, Prevenire, Programmare e Pianificare.
Prevedere significa tener conto delle possibili implicazioni; introduce anche il concetto di precauzione, di
prudenza: la complessità dei problemi porta a far si che il tutto non possa esser fatto nell’isolamento, ma
deve trovare momenti di confronto con altri soggetti che hanno interesse settoriale, ovvero le
amministrazioni devono cooperare fra di loro e più la pianificazione sarà di vasto raggio, più i soggetti che
devono cooperare fra di loro aumenteranno di numero. La Pianificazione di bacino si spalma di norma su 30
comuni, e più questa pianificazione sarà scarna di leggi, più il rischio di danni, dovuto a questa
pianificazione, sarà alto.

Nella pianificazione bisogna tener grande conto dei vincoli: l’utilizzazione di determinati beni siti sul
territorio è ristretta (in alcuni casi anche negata), in quanto bisogna tener conto che quei beni possono non
esser rigenerabili (ovvero unici e non riottenibili dopo determinati interventi). Appunto per questo motivo,
che riguarda sia la sfera fisica che temporale, c’è un continuo bisogno di specializzazione, che deve esser
sottoposta a un continui lavoro di aggiornamento, appunto per garantire, dove possibile, la rigenerazione dei
beni.

Particolari beni godono della riconoscibilità, e allora interviene un vincolo detto Vincolo Paesaggistico-
Naturale, che impone quindi interventi compatibili con il rispetto di tale vincolo, tenendo conto anche della
sostenibilità ambientale (bellezze naturali, sia singole che di insieme). L’utilizzo del Territorio, in sintesi, è
fortemente legato ai suoi aspetti ambientali, con cui si misura costantemente.

Il Diritto di Proprietà
Il Diritto di Proprietà è un diritto soggettivo, in base al quale i proprietari economici di un bene fanno ciò che
vogliono di quel bene, nei limiti delle leggi in vigore. È un diritto riconosciuto dalla Costituzione (139
articoli), definita anche Carta Fondamentale, perché è l’insieme dei principi fondamentali del nostro
ordinamento giuridico ai quali il legislatore deve rifarsi nell’esercizio del suo lavoro. L’articolo più
importante è l’Articolo 42 della Costituzione, intorno al quale ruota tutta la disciplina urbanistica,
fondamentale nella Pianificazione, e che è dedicato al Diritto di Proprietà, dove per proprietà, nel Diritto
Urbanistico, si intende la proprietà di suoli e di beni immobili.

Il Diritto di Proprietà è suddiviso in :


• 1° parte del 2° comma (i comma sono i paragrafi in cui è articolato, e in questo caso sono 3): “La

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proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge” (è un diritto violabile)
• 2° parte del 2° comma: “La legge ne determina i modi di acquisto e di godimento ed i limiti, al fine di
assicurarne la funzione sociale” (pone dei limiti nel godimento e nell’utilizzo del bene di nostra proprietà).

Il diritto di proprietà è a tutela del proprietario, ma è limitato: ovvero il proprietario può fare ciò che vuole
del suo bene, purché questo non pregiudichi gli interessi degli altri cittadini e non danneggi il territorio
stesso, tenendo presente in particolar modo l’interesse ambientale, paesaggistico e idrogeologico. Da qui
l’esistenza di proprietari “sfortunati”, che vedono il loro territorio assegnato al verde attrezzato, e quindi
impossibilitati nell’edificare (e quindi nel lucrare sul proprio bene), in quanto non si possono soddisfare tutti
i proprietari. È proprio da queste premesse che nasce il Contenzioso fra Pubblica Amministrazione e Privati:
l’amministrazione può contraddire i privati perché la legge gliene dà sia il diritto che il dovere di farlo,
benché una pianificazione già rispettosa delle leggi debba esser fatta in primis dall’architetto stesso. Il
comune deve ponderare tutti gli interessi che riguardano il territorio, e può limitare l’interesse del singolo in
favore dell’interesse della comunità. Con queste premesse, può quindi emanare il famoso PRG.

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Capitolo III
TIPI DI PIANI

I Piani sono diversi, e di diversa natura, poiché si dedicano con cura a precisi interessi, differenti fra di loro,
ma sono accomunati da 2 elementi:
• L’esercizio del potere conformativo, che avviene attraverso Prescrizioni;
• La Pianificazione, ossia l’esistenza di un piano

Sono tre la macro famiglie dei paini: Piani Territoriali, Piani Regolatori Generali e Piani Attuativi.
I Piani territoriali (o di I Livello) sono formati dai Piani di direttiva, cioè piani che danno indicazioni
generali sulle quali dovrà confrontarsi chi realizza il PRG, ma non indicono direttamente sul territorio, che
sono:
• Piano territoriali di coordinamento regionale, che non è stato approvato da nessuna delle regioni italiane
dal 1942
• Piano territoriale paesistico che si occupa della tutela del paesaggio;
• Piano territoriale di bacino, che si interessa della tutela dell’assetto idrogeologico del territorio;

Il Piano Regolatore Generale (o di II Livello), è il Piano con il quale ci si confronta più spesso e riguarda il
comune.
I Piani Attuativi (o di III Livello) attuano le prescrizioni del PRG, hanno quindi valenza prescrittiva.

Questo è il criterio gerarchico dei piani a cui fa riferimento la Legge Urbanistica Fondamentale o Legge
1150 del 1942; i livelli stessi (I, II, III) indicano la loro importanza, e regola anche il loro ordine: se infatti un
PA è difforme dal PRG, si applica il PRG perché nell’ambito della piramide è osto ad un livello superiore

Nonostante questa piramide si alla base del Diritto urbanistico, ci sono delle lacune, che impongono quindi
l’utilizzo di specifiche varianti che intervengono quando un piano di grado inferiore modifica le norme di un
piano di grado superiore (la legge lo permette), e il criterio che di solito si adotta nell’efficacia dei piani è un
criterio temporale i cronologico, ovvero fa riferimento alla data di adozione del piano. Ad esempio se il PRG
è vecchio di anni, il PA ne modifica alcuni aspetti ritenendoli superati . In tutto ciò non c’è una
contraddizione in quanto tutte le modifiche sono approvate dalla pubblica amministrazione.

Ritornando al Potere conformativo di cui sopra: ci sono due tipologie di conformazione (conformare dare
forma)
• La conformazione del territorio che è la zonizzazione (ovvero determinare l’assetto, disciplinare egli
usi, ottimizzare nel caso del PRG) ed avviene quando l’amministrazione pubblica limita i diritti di proprietà,
ma non incide direttamente sul singolo vincolando sul proprio diritto di proprietà, ma colpisce tutti i
cittadini, la comunità;
• La conformazione della proprietà, ovvero quando la prescrizione di un piano incide direttamente sul
singolo diritto di proprietà, ossia colpisce puntualmente il singolo soggetto. Un esempio è il vincolo
urbanistico, per la realizzazione di un opera pubblica.

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Capitolo IV
FUNZIONE AMMINISTRATIVA

La Funzione amministrativa è l’esercizio da parte della pubblica amministrazione di un potere diretto al


soddisfacimento di un determinato interesse pubblico; è stata identificata dal legislatore e può essere di vario
tipo.

1. Funzione principale di Pianificazione


Può esser del comune, della provincia, della proprietà del bacino, etc. (vedi 2° Capitolo).

2. Funzione di Salvaguardia
Un insieme di attività svolte dalla pubblica amministrazione che si affianca alla pianificazione, quando
questa non c’è o non è affidabile, ed è diretto alla salvaguardia del territorio in caso di trasformazione senza
regole.
Con la Legge Ponte 765/67 (una legge che doveva servire da ponte ad una nuova legge, ma è rimasta
identica), in particolare con l’articolo 41, alcuni giuristi corressero la Legge Urbanistica Fondamentale
1150/42, in cui non c’era l’obbligatorietà del PRG per tutto il territorio, introducendo appunto la
salvaguardia. Questa legge impone all’amministrazione di disciplinare l’uso del territorio.

Le Norme di Salvaguardia si applicano quando non appartengono ad un Piano, e sono Standard Ope
Legis, ossia unità di misura imposte dalla legge che si applicano sul territorio, secondo indici di edificabilità
che regolano la costruzione. Praticamente costituiscono un Piano regolatore fittizio, in quanto non è un piano
fatto dall’amministrazione, ma è un piano fissato dalla legge (a cui quindi le amministrazioni devono esser
subordinate).
L’art. 17 distingue il centro storico dal centro abitato e utilizza standard diversi: ad esempio nel centro
storico gli standard di edificabilità sono molto ristretti (1,5 m³/m²), gli edifici non possono comprendere più
di tre piani, e oltretutto viene vietata la nuova edificazione, ma solo opere di consolidamento e restauro,
mentre le aree libere sono edificabili solo dopo l’approvazione del PRG.
Questo articolo viene perfezionato nel 1967 con la Legge Bucalossi 10/77, che elimina la distinzione fra
centro storico e centro abitato, rendendo il centro abitato trattabile nello stesso modo (di cui sopra) del centro
storico. Vengono oltretutto ridotti ulteriormente gli standard. Al di fuori del centro abitato si può edificare,
ma con un indice molto basso, apri al 0,03 m³/m², le superfici coperte non possono essere più di 1/10
dell’area di produttività, e decadono quando il piano adottato è passato alla regione per l’approvazione ,
secondo la legge 291/71.

Le Misure di Salvaguardia si applicano quando appartengono già ad un PRG vigente approvato, ma


contemporaneamente se ne sta approvando un altro, e il privato richiede la concessione (il permesso di
costruire, e le sue richieste sono conformi al PRG esistente ma difformi da quello adottato. Sono leggi che
hanno la funzione di salvaguardare le prescrizioni del nuovo PRG, che devono essere diverse da quelle del
piano vigente. Il dirigente dell’amministrazione comunale (il sindaco) può soprassedere (negare il consenso
all’edificazione) in base a queste misure di salvaguardia.
Queste leggi sono state dettate dalla Legge 1902/52 per due motivi:
1. Per regolare il rilascio da parte del sindaco della concessione edilizia, assicurando il suo operato a
norma di legge
2. Per l’introduzione dei Piani di Ricostruzione delle città bombardate dopo la guerra, che prevedevano
funzioni diverse, ma si dovevano conciliare con quello precedente, tutt’ora vigente.
Le Misure di Salvaguardia hanno una durata di 3 anni, ma possono arrivare a 5 nel caso in cui il PRG passi
dal Comune alla Regione per l’approvazione, e si classificano in Ordinarie (sono le più comuni e bloccano
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la concessione) e Straordinarie (si applicano quando la concessione è già stata rilasciata, ma i lavori
pregiudicano in maniera rilevante l’assetto del nuovo piano, non ancora adottato al momento della
concessione).

3. Funzione di Disciplina Sostanziale


Interviene mediante un Legislatore che limita la disciplinarietà del comune nella pianificazione del territorio
imponendo degli standard quantitativi. Quest’ultimi sono Regole Minime Comuni Inderogabili che
devono garantire una base minima omogenea nella pianificazione urbanistica generale. Questi standard sono
diversi dagli standard Ope Legis delle norme di salvaguardia, e sono regolati dalla legge ponte 765/67,
articolo 17. Sono fissati al decreto ministeriale D.M. 1444/8, che conferisce attuazione tecnica specifica
alla norma generale, ma possono esser rivisti dall’amministrazione comunale in relazione a densità edilizia,
altezza di fabbricati, distanza dai fabbricati, rapporti fra spazi residenziali e produttivi e spazi ad uso
pubblico.
Questo decreto ministeriale attua la zonizzazione, ovvero la suddivisione del territorio comunale in 6 zone
omogenee, individuate per lettere, ognuna con una specifica caratteristica, e secondo cui l’individuazione
può avvenire secondo due profili, uno quantitativo ed uno qualitativo. Queste zone sono:

A. Centro storico (profilo qualitativo degli edifici)


B. Zona di completamento (profilo quantitativo, IF= 2 m³/m²)
C. Zona di espansione (profilo quantitativo, IF= 2 m³/m²)
D. Zona produttiva (profilo qualitativo)
E. Zona agricola (profilo qualitativo, IF= 0,03 m³/m²)
F. Verde attrezzato e Attrezzature pubbliche (profilo qualitativo)

Le zone B e C sono zone prevalentemente residenziali, ma mentre nella zona B la concessione edilizia è
immediata, nella zona C c’è bisogno dell’autorizzazione del Piano Attuativo, poiché la zona è vasta e va
urbanizzata.
Il comune deve fare un calcolo preventivo degli abitanti che andranno ad insediarsi nel corso del tempo in
una data zona e deve quantificare su questa previsione i rapporti tra le aree destinate ad attività residenziali,
opere di urbanizzazione primaria e secondaria quali il verde, le scuole, i parcheggi, le piazze e le strade,
ossia gli standard quantitativi. Questi rapporti avvengono su 100 m2 di area disponibile per ogni abitante, di
cui 18 m2/ab è lo standard urbanistico base, ripartito in:
- 9 m²/ab di verde
- 4,5 m²/ab di istruzione
- 2,5 m²/ab di parcheggi
- 2 m²/ab di attrezzature comuni (sociali, mediche, religiose)

L’area su cui calcolare la volumetria dell’edificio sarà quindi di 82 m² (100 m² - 18 m²). La Legge Tognoni
122/89, accanto allo standard pubblico, ha previsto uno standard per il parcheggio privato, che indica 1 m³ di
parcheggio per ogni 10 m³ di costruzione.
Date queste premesse, si può notare come lo spazio destinato all’abitazione si assottigli sempre di più. Nella
zona D lo spazio destinato alla realizzazione della struttura è ancora più restrittivo: su 100 m², solo 20 m²
sono dedicati alla struttura e 80 m² ai servizi (di cui 40 m² ai parcheggi); nella zona B se non ci sono spazi
per i 18 m², gli standard vengono recuperati nella zona adiacente (ossia nella C).

Queste prescrizioni sono vincolanti per l’amministrazione comunale e quindi anche per il progettista che,
nella definizione del quadro, dovrà rispettare i rapporti come definito nel D.M 1444/68. Un esempio della
restrittività delle regole è il caso di Brescia: qui infatti le’excursus ministeriale venne bocciato in quanto non
rispettava lo standard di 18 m² per abitante, in quanto si riteneva che la zonizzazione fosse un concetto

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superato. Brescia è ancora senza PRG e applica gli standard Ope Legis che hanno un indice di fabbricabilità
molto basso.

Alcune regioni italiane quali Lombardia e la Calabria hanno deciso di discostarsi dal D.M. 1444/68, nel
rispetto però di determinate leggi regionali:
• La standardizzazione degli edifici privati che consiste nel considerare come standard pubblici anche le
opere private che possono essere usate nel computo degli standard (una piscina privata può essere
contemplata come uso dello standard sportivo);
• La monetizzazione degli standard, che consiste nel dare un valore monetario agli standard. Se un
proprietario terriero decide di destinare alcune aree per opere pubbliche, lo può fare secondo gli standard del
D.M. 1444/68. A questo punto l’amministrazione regionale può decidere di non eseguire gli standard in
quell’area, ma di pagare, e sarà poi l’amministrazione comunale a identificar egli standard per quella zona.
Anche l’Abruzzo sta lentamente passando alla monetizzazione degli standard.

4. Funzione di Controllo dell’Attività edilizia


Con la quale il Comune controlla che il progetto sia conforme al PRG e rilascia la concessione edilizia, dopo
che la Provincia controlla che il PRG sia conforme al Piano Territoriale Regionale (PTR);

5. Funzione di Sanzionatoria o Ripristinatoria della Legalità (o dell’ordine esistente)


In cui alcuni soggetti valutano la pena, ovvero la sanzione, per chi costruisce abusivamente, ed è una
funzione stratificata: ci si può fermare alla sanzione pecuniaria o si può avere una sanzione dal comune.

6. Funzione di Gestione, un complesso di attività che si occupa della parte attuativa del piano, e della
gestione stessa del piano, una funzione che si è sviluppata in maniera sempre più determinante. (ved. relativo
capitolo).
Queste sono le Funzioni urbanistiche in senso stretto (ove l’urbanistica è intesa come disciplina dell’uso dei
suoli al fine della trasformazione e in alcuni casi della conservazione.

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Capitolo V
IL PIANO REGOLATORE GENERALE (P.R.G.)

Il Piano Regolatore Generale (P.R.G.) è il principale strumento di Pianificazione Urbanistica, il più datato
ma anche il più collaudato e più resistente, e costituisce l’osservatorio migliore. Esso disciplina l’attività di
trasformazione e l’edificabilità della aree, per evitare la prepotenza dei singoli cittadini. L’attività di
pianificazione non è libera ma subordinata ad una attività di pianificazione che viene redatta dal comune:
infatti è quasi impossibile modificare il proprio terreno senza tener conto del PRG, perché la Norma di
Salvaguardia enuncia che l’edificabilità senza PRG è penalizzata perché ridotta ai minimi termini.
Ma ci sono opere, prevalentemente pubbliche, come autostrade, caserme, palazzi di giustizia che non
dipendono dal comune e possono prescindere quindi dal PRG.

Il PRG nasce in Germania nel 1800 per dare un ordine alla crescita delle attività agricole e residenziali, ossia
per separare le classi del costruito, per operare una vera e propria discriminazione tra tipologie edificatorie.
Viene ripreso dagli USA per creare una separazione di classi fra residenze. Questo primitivo PRG ha portato
ad una razionale sistemazione del tessuto urbano, ma ha anche portato al fenomeno della speculazione
edilizia, perché ha fatto lievitare i prezzi delle aree edificabili a discapito di altre. Tutto ciò può esser visto
come un tentativo di discriminazione di classi sociali, ma anche di razionalizzazione delle distribuzioni delle
attività. Ma l’aspetto forse più preoccupante fu il suo utilizzo come strumento di lievitazione dei costi delle
aree edificabili, tramite amministratori compiacenti che rendevano edificali zone per il loro stesso interesse.

Con la sua evoluzione, il PRG si basa attualmente sul concetto della discrezionalità, ovvero un’attività
esercitata dall’amministrazione per trovare la soluzione migliore per il caso concreto, ponderando gli
interessi pubblici e privati. Tale discrezionalità è massima, ma non è libera, in quanto vincolata e subordinata
alla legge, per cui l’amministrazione non può operare oltre i limiti di essa, ma le sue scelte possono
comunque essere sindacate.

Il PRG è disciplinato dall’Articolo 7 della legge 1150/42 che per primo fissò le competenze dei comuni nel
redigere il PRG. Il PRG deve indicare per tutto il territorio:
• La rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviari e navigabili;
• La divisione delle zone del territorio comunale in base alla loro destinazione ed utilizzo (regola quindi
l’espansione urbana), e pone limiti e vincoli a tale azione;
• Individuazione della ree destinate all’uso pubblico;
• Aree destinate ad ospitare edificato di uso pubblico, nonché ad opere ed impianti sempre di uso pubblico;
• Determina i vincoli da osservare e rispettare, a carattere storico, ambientale e paesistico;
• Definisce le norme d’attuazione del piano.

Il PRG viene ampliato dal DM 1444/68 che interviene con una norma fondamentale delle la Legge Ponte
‘67 decisiva per la costruzione del PRG: tutti comuni devono osservare degli standard (quantitativi) relativi
a:
- densità edilizia, altezza e distanza fra fabbricati (limiti inderogabili)
- rapporti tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi, e spazi pubblici e riservati ad
attività collettive, al verde pubblico e al parcheggio (rapporti massimi)

Limiti e vincoli sono determinate in base a zone territoriali omogenee, rispetto alla funzione che devono
svolgere (il RPG stabilisce la zonizzazione delle aree (conforma il territorio) e pone i vincoli (conforma la
proprietà). Il DM 1444/68 è l’incipit con cui si indica il contenuto delle diverse zone , ossia per ciascuna di
esse si da la definizione, si definisce la tipologia edilizia e si determinano gli standard.

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Per quanto riguarda le zone:
• Zone A (centro storico - conservazione)
• Zone B (residenziali - di completamento con superficie coperta del 12,5% -1/8, e densità maggiore di 1,5
mc/mq)
• Zone E (zone agricole)

queste zone sono destinate ad essere immediatamente usate dal cittadino come disciplinate dal piano, ossia
qui il PRG si determina definitivamente: non ci sono ulteriori impedimenti al che le aree sono
definitivamente conformate da altri piani, ovvero le prescrizioni, che in queste sono prescrizioni
conformative della proprietà. Invece le zone:
• Zona C (residenziale di espansione con superficie di coperture minore di 12,5%)
• Zona D (industriali - artigianali( zone produttive)
• Zone ERP (destinate all’edilizia residenziale pubblica)

Sono zone soggette ad un vincolo di inedificabilità assoluta, detto Vincolo di Rinvio ai Piani Attuativi:
fatto il PRG, occorre che si proceda ad un’ulteriore pianificazione di dettaglio con piani volumetrici, e se
manca il piano attuativo non c’è possibilità di procedere.
Le Zone C, destinate all’espansione edilizia, avevano in passato due modalità attuative:
• Piani di lottizzazione di iniziativa privata (i proprietari dell’area in base alla volumetria annessa
propongono all’amministrazione un disegno dettagliato di urbanizzazione, e tale operazione non crea un
discriminazione tra i proprietari;
• Piani di lottizzazione di iniziativa pubblica (il comune fa il Piano Particolareggiato o lo propone al
privato).

Nella Zone D abbiamo il P.I.P., il Piano di Insediamento Produttivo, e nelle zone ERP abbiamo il
P.E.E.P., ovvero il Piano di Edilizia Economica e Popolare, con cui le opere di urbanizzazione sono a
carico del comune. Con questi piani attuativi si obbliga ai proprietari dei suoli di non edificare nelle zone in
maniera arbitraria, e sono piani che vengono visti dannosi per i suddetti proprietari, che si vedono vincolati
dagli standard e dal vincolo di rinvio

Per quanto concerne il PEEP per le zone ERP: Nel ’62, in occasione del boom economico, si è cominciata la
produzione massiccia di case per lavoratori, ovvero Case di Edilizia Popolare. Si varò i quegli anni il Piano
Decennale di Edilizia Popolare, ma c’era penuria di aree su cui edificare, per cui, per cui è stata introdotta
una norma nel PRG che impone di riservare il 40% dei territori comunali alla costruzione di case popolari
(Edilizia Economica Popolare), zone scelte prettamente in zone periferiche. Ma la continua mancanza di
fondi monetari (più per acquistare i terreni che per l’edificazione vera e propria) ha creato negli anni
parecchie situazioni di contenzioso.

Riassunto del Capitolo dedicato al P.R.G.


Le zone si dividono in:
• Zone che contengono Prescrizioni formative della Proprietà (vincoli urbanistici)
• Zone che contengono Prescrizioni formative del Territorio (zonizzazione)
ed a ciascuna zona devono esser garantiti, tramite il PRG, degli standard urbanistico-edilizi, per garantire le
giusta edificabilità.
L’elemento della differenza fra i vincoli urbanistici e la zonizzazione è nei destinatari della misura

Nella zonizzazione (conformazione del territorio) tutti i cittadini vengono coinvolti nella stessa misura,
ossia la zonizzazione non riguarda il singolo ma una collettività indifferenziata di cittadini, senza differenze
di sorta (es. nella zona B, tutti noi subiamo la prescrizione conformativa del territorio, ossia tutti noi avremo
un territorio di proprietà con quella destinazione
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Nel vincolo urbanistico (conformazione della proprietà) solo uno risente della misura, ossia il vincolo
agisce singolarmente, svuotando il significato del Diritto di Proprietà: quando un’area è vincolata, lo stesso
proprietario è impossibilitato nello svolgerci qualsivoglia attività, anche le più banali, come se nell’effettivo
non fosse proprietario del terreno. Questo nella Zonizzazione non succede, in quanto il rispetto del diritto di
proprietà esiste, sempre tenendo conto del norme del piano e delle norme della zona.
Il vincolo è maggiormente lesivo rispetto alla zonizzazione, in quanto pregiudica maggiormente le
condizioni e la libertà del privato, in quanto nella zonizzazione qualcosa si può fare (sempre nel rispetto delle
destinazioni d’uso), a meno che l’amministratore non intervenga con una misura puntuale.
Dal punto di vista teorico la zonizzazione è più limitativa del vincolo, in quanto limita la libertà del
collettivo, di tutti.

L’articolo 42 della costituzione riconosce il diritto di proprietà,ma anche l’utilità sociale di tale diritto. Nel
caso della zonizzazione si applica l’articolo 42 in maniera differenziata, tutti ne vengono coinvolti e quindi
nessuno ne è pregiudicato. Nel caso del vincolo invece di applica il diritto di proprietà, ma solo nei confronti
di un singolo che ha esposto delle lamentele, ad esempio, verso la ostruzione di un opera nel suo territorio.
Quindi la legittimità della zonizzazione sta nel fatto che limita la libertà di tutti, non del singolo, mentre il
diritto di proprietà limita la libertà del singolo: infatti nella zonizzazione non possiamo chiedere un
risarcimento, nel vincolo si, un quanto vige questa differenza teorica.

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Capitolo VI
I VINCOLI

I vincoli si differenziano in tre categorie fondamentali: vincoli strumentali, vincoli sostanziali e vincoli
morfologici.

Vincoli Strumentali
I vincoli strumentali rappresentano la conformazione della proprietà e sono indennizzabili. Si dividono a loro
volta in:
• Vincoli localizzativi (anche nei piani particolareggiati)
• Vincoli preordinati all’Esproprio (trasferiscono la l’attività dal privato all’amministrazione pubblica).
Sono vincoli con i quali l’amministrazione pubblica localizza una opera pubblica (tramite il PRG) su un’area
privata, e la va a realizzare senza bisogno di un piano attuativo
• Vincoli di Rinvio al Piano attuativo, con i quali l’amministrazione pubblica individua un’area privata su
cui realizzare un’opera pubblica, ma rinvia il tutto ad un successivo piano attuativo, che individuerà le
condizioni per realizzare quest’opera. La differenza con il vincolo precedente è quindi che l’opera pubblica
non può esser realizzata immediatamente: serve un Piani attuativo aggiornano, la differenza è temporale e
sostanziale.

Vincoli Sostanziali
Rappresentano la conformazione del territorio, ossia la zonizzazione (destinazione del verde, etc.), ossia
riguardano tutti. Vengono emessi dalla pubblica amministrazione attraverso il PRG, come i vincoli
strumentali.

Vincoli Morfologici
Sono vincoli che non vengono imposti, ma esistono per le particolari condizioni intrinseche di un bene
(condizioni storiche o ambientali), tali da essere vincolanti per la natura stessa del bene. Sono: vincoli
paesistici, vincoli idrogeologici, vincoli delle bellezze naturali, vincoli dei beni storici, artistici e culturali.
Sono posti dall’amministrazione senza discrezionalità, a differenza dei vincoli urbanistici (strumentali e
sostanziali), che sono artificiali, ossia possono esser localizzati dalla pubblica amministrazione dove vuole.
Il Piano Paesistico che sostanzialmente già esiste. Se non esiste la pianificazione, non è un bene vincolato.
La caratteristica di questi vincoli è che l’amministrazione non può porre un vincolo morfologico se l’area
non presenta un bene che abbia caratteristiche particolari.
La legge 81/’95 ha ritenuto vincolati come bellezze naturali tutti i beni riconducibili alle 12 categorie di
bellezze naturali, quali ghiacciai, fiumi, montagne etc. Non sono indennizzabili.

Secondo gli standard del 1968, i vincoli rappresentano un aspetto degenerativo del PRG, in quanto il PRG è
nato nella legge 1150 come Piano di Direttiva di massima, ossia doveva dare indicazioni generali che
dovevano esser attuate tramite i piani attuativi. In definitiva il PRG non doveva porre dei limiti, dei vincoli,
anche se l’amministrazione ha ritenuto opportuno farlo quando se ne presentava la necessità.
Il PRG ha durata temporale indeterminata, ossia resta in vigore finché non viene sostituito mentre il Piano
attuativo ha valenza per 10 anni. Anche il Vincoli Localizzativi avevano durata indeterminata, e quindi senza
una scadenza il proprietario non poteva mai usufruire dell’area di sua proprietà, veniva cioè svuotato del
diritto di proprietà a tempo indeterminato.
Con il continuo aumentare di lamentele da parte dei privarti, la corte costituzionale, con la sentenza 5/1968,
sancì l’illegittimità costituzionale della legge 1150/’42 che stabiliva che i vincoli potevano esser apposti
senza una scadenza temporale, e impose quindi di stabilire una durata del vincolo urbanistico. La Legge
Tampone 1187/1968 stabilisce che il vincolo urbanistico localizzativo non può avere una durata superiore ai
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5 anni, durante i quali il vincolo è legittimo, ovvero si può svuotare di contenuto il diritto di proprietà e non è
previsto indennizzo; superati i 5 anni se il vincolo persiste, e l’opera non è ancora stata realizzata, il vincolo
si può reiterare (cioè confermare), ma in questo caso diventa illegittimo e l’Amministrazione è tenuta ad
indennizzare il proprietario per i 5 anni futuri. Se l’opera viene realizzata viene effettuato l’Esproprio, che
implica un ulteriore indennizzo (risarcimento) del territorio espropriato. Se l’opera non viene realizzata, dopo
10 anni il vincolo scade per la seconda volta, ma non può essere reiterato per la seconda volta a 15 anni,
purché verrebbe meno la legge 1187(1968 che poneva una durata determinata per i vincoli. Caso diverso è se
l’opera viene iniziata e non terminata: in questo caso la procedura espropriativa viene terminata, e
l’amministrazione pubblica diventa a tutti gli effetti proprietaria dell’area, rendendo inutile una reiterazione
del vincolo.
In sintesi, il vincolo ha quindi una durata massima di 10 anni (e minima di 5). Solo in casi straordinari,
previo l’utilizzo di una specifica variante del PRG, il vincolo può essere rinnovato per la terza volta (15
anni).
L’Espropriazione Larvata (vincolo reiterato) non è una espropriazione nel senso canonico del termine, ma
raggiunge gli stessi effetti, senza che questa sia avvenuta. Sarebbe un esproprio senza indennizzo.

Molte amministrazioni hanno dovuto indennizzare per anni i proprietari perché questi venivano svuotati del
diritto di proprietà. Con la vecchia Licenza edilizia si aveva già il diritto di edificare, ed era gratuita. Ma la
Legge Bucalossi n. 10/1977, con sol cambio di denominazione (da Licenza Edilizia a Concessione Edilizia)
ha stabilito che il proprietario, pur avendo il diritto di proprietà, non ha il diritto di edificare (Ius Aedificadi),
che solo l’Amministrazione può concedere (appunto concessione edilizia) dietro retribuzione (si parla in
questo caso di Oneri Concessori). Questa legge risolve quindi risulta una Forma Elegante (???) per evitare
che l’amministrazione paghi l’indennizzo in caso di reiterazione del vincolo. E difatti nel 1978 la corte
costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale di questa legge, poiché lo Ius Aedificadi è parte
integrante del Diritto di Proprietà.

Se il vincolo decade e l’opera non è stata realizzata, il suolo riacquisisce la destinazione d’uso prevista
inizialmente dal PRG. Ma esistono delle zone del PRG che non hanno una destinazione o una disciplina
urbanistica: sono le cosiddette Zone Bianche (o Zone di Confine del Piano), e in questo caso il Consiglio di
Stato con una sentenza del 9 Ottobre 2003 ha stabilito che si applichi la disciplina adottata per i comuni
sprovvisti di PRG, ovvero gli Standard Ope Legis (Norme di Salvaguardia), che sono restrittivi per il
proprietario, perché hanno un indice di edificabilità molto basso :”Tuttavia solo il PRG privo dei contenuti
essenziali può rendere un ‘area assimilabile ad una zona bianca, disciplinata alla stregua delle aree prive di
disciplina urbanistica. Il criterio per le zone bianche non può invece trovare applicazione se manca il
presupposto essenziale della lacuna nella normativa edilizia.”

Una sentenza del 1 Ottobre 2003 ha stabilito che gli Standard Ope Legis devono avere una durata
promissoria poiché il comune è obbligato ad una nuova pianificazione del’area non normata. Con una
variante del PRG si è stabilito però che, in caso si inerzia da parte del comune, il privato può intervenire in
due modi:
1. Può promuovere lui stessi gli interventi sostitutivi della regione, che nomina un Commissario Adacta,
ossia un tecnico per l’adozione di quegli interventi
2. Può agire per vie giuridiche, secondo il procedimento del “Silenzio-Rifiuto”: il privato con delle
semplici raccomandate obbliga il comune ad approvare gli interventi entro 60 giorni. Nel caso in cui
l’Amministrazione non lo faccia, si forma il cosiddetto “Silenzio-Rifiuto”, e la legge consente di impugnarlo
dinanzi al TAR, che obbliga l’Amministrazione a procedere nei tempi imposti, perché se non lo dovesse fare
commetterebbe un reato perseguibile penalmente.

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La sentenza n. 179 del 20-05-1999 della Corte Costituzionale (ovvero l’organo che giudica se una legge del
Parlamento sia incostituzionale o meno), riassume il discorso dei vincoli e stabilisce se sono indennizzabili o
meno.

Vincoli indennizzabili
1. Sono i vincoli espropriativi (ovvero si dedicano all’espropriazione), che svuotano di contenuto il Diritto
di Proprietà mediante imposizione. Sono vincoli che non riguardano la generalità dei cittadini, ma un ristretto
gruppo di essi, agendo su beni determinati (beni precisamente individuati). Il vincolo espropriativo è
• particolare: fa riferimento al soggetto;
• determinato: fa riferimento al bene.
Il vincolo urbanistico strumentale è sostanzialmente espropriativo perché soggettivamente differenzia alcune
proprietà da altre, in base al loro valore, e deve imporsi su un bene specificatamente individuato.
2. I vincoli indennizzabili sono quei vincoli che hanno una scadenza temporale determinata (5 anni), oltre i
quali il privato viene, appunto indennizzato.
3. Sono oltretutto quei vincoli che superano la normale tollerabilità secondo una concezione della
proprietà, per quanto riguarda i modi di godimento ed i imiti imposti dalla funzione sociale.

Vincoli non indennizzabili


1. I vincoli morfologici, in quanto per la stessa natura del bene, non hanno carattere espropriativo
2. I vincoli legati agli standard urbanistici (come altezza massima, distanza massima fra fabbricati etc.),
ovvero limiti posti per zone territoriali omogenee. Regolano l’edilizia, per cui se non vengono rispettati
l’opera costruita deve esser demolita dall’Amministrazione, senza alcun risarcimento (ecco perché anche
questo non è un vincolo espropriativo)
3. I vincoli attuati su iniziativa privata, che importano una destinazione realizzabile ad iniziativa privata o
promiscua (pubblico-privata), che non comporta necessariamente l’espropriazione o interventi ad esclusiva
iniziativa pubblica (quindi realizzabili anche dal soggetto privato).

Per quanto riguarda l’ultimo punto: il PRG necessita di piani attuativi che possono essere di origine pubblica
(il primo passo lo deve fare l’Amministrazione, con tempi di attesa massima di 10 anni), o di origine privata
(dove è il privato che presenta il progetto all’Amministrazione, che lo deve valutare e eventualmente
approvare).
Nel caso in cui il privato persiste nel non presentare la sua iniziativa all’Amministrazione, e vengono
superato i 5 anni, lo stesso privati paga le conseguenze di questa inerzia perché il vincolo non scade ma viene
reiterato con il conseguente indennizzo (praticamente: il privato per sua scelta viene messo alla stregua
dell’Amministrazione stessa, con doveri e oneri che gli competono).
Anche nel caso di iniziativa pubblica, una volta passati 5 anni, il vincolo può esser reiterato senza
indennizzo, se ci sono particolari condizioni come il fatto che il piano di iniziativa pubblica rigurada intere
categorie di proprietari, e questo piano non è totalmente insopportabile per cui il privato può continuare a
godere della sua proprietà.

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Capitolo VII
IL PROCEDIMENTO DI FORMAZIONE DEL P.R.G.

È un procedimento amministrativo, ovvero un insieme di atti e fatti attraverso cui si arriva all’emanazione
di un provvedimento amministrativo, che è l’atto conclusivo, e che contiene tutte le decisioni e le
motivazioni per giustificare la qualità della stesura del PRG. E’ un procedimento che ha una precisa
sequenza cronologica e temporale, suddivisa in 4 fasi, individuate dalla legge 241/1990 sul Procedimento
Amministrativo.

1. Fase dell’Iniziativa
E’ l’iniziativa che bisogna prendere per un provvedimento, che a seconda dei casi può essere privata o
pubblica (di norma nel PRG l’iniziativa è pubblica, ed dovrebbe esser il comune a predisporre il progetto
tramite il proprio Ufficio Tecnico, ma spesso ciò non avviene, affidando l’incarico a tecnici esterni
all’Amministrazione).. Questa fase può esser Autonoma (l’amministrazione che inizia il procedimento deve
esser la stessa che lo conclude) o Eteronoma (l’amministrazione che inizia il procedimento non è la stessa
che lo conclude - rilascia il provvedimento).

2. Fase Istruttoria
Fase in cui si acquisiscono tutti i dati e le informazioni della situazione reale necessarie, e sulla quale si
andrà ad intervenire. Gestisce anche il rapporto fra pubblico e privato: il privato infatti può intervenire
proponendo alcune modifiche nel suo interesse, che sta all’Amministrazione valutare.

3. Fase Decisoria
E’ l’emanazione (o adozione) da parte dell’Amministrazione del provvedimento amministrativo (che esprime
quindi la fase decisoria del PRG), attraverso un esercizio di discrezionalità amministrativa, con lo scopo di
raggiungere una costante di equilibrio fra gli interesse pubblici e privati, che spesso si contrappongano.
Contiene anche le decisioni e le motivazioni, con cui vengono emesse e spiegate le ragioni prese nei
confronti dell’istanza privata.

4. Fase integrativa dell’Efficacia


Serve a dare efficacia al provvedimento che viene emanato (un provvedimento emanato è si valido, ma non
può produrre effetti), senza aspettare alcuna delibera. Consegna al provvedimento efficacia immediata, che
sia legittimo o meno, dando la responsabilità ai privati di “giudicarlo”: nel caso il privato espone le sua
motivazioni al TAR, che è l’unico organo che può bloccare il provvedimento.

La legge n. 1150/1942 (art. 8, 9, 10) stabilisce a sua volta 4 fasi, per quanto riguarda l’Approvazione del
PRG:
1. Fase di Adozione: compete al consiglio comunale e termina con la pubblicazione nell’Albo pretorio in
un giorno festivo;
2. Fase di Pubblicazione: consiste nel deposito della delibera di adozione presso la segreteria comunale per
50 giorni, durante i quali ognuno può prenderne visione.
3. Fase di Osservazioni: che possono essere presentati da chiunque entro 60 giorni dalla data della delibera
4. Fase di Approvazione: che inizia dalle osservazioni fatte, che il comune raggruppa per tematiche
omogenee, per evitare di rispondere singolarmente a tutte le osservazioni, ed esprimendo in ogni caso solo
dei pareri, non prendendo quindi decisioni, che spettano invece alla Regione.

La Regione infatti, esamina il piano adottato dal consiglio comunale e può agire a sua volta in tre direzioni:
1. Approvazione Immediata (tout-court): la regione approva in toto il piano presentato, ritenendolo perfetto

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(un’ipotesi forse mai accaduta nella realtà)
2. Approvazione Lenta: la Regione fa le proprie osservazioni e modifiche, che in ogni caso non possono
stravolgere il piano originario, ma possono solo correggerlo (art. 10 della legge1150), e propone modifiche
che possono essere qualificative (modifiche fatte per salvaguardare l’ambiente, o interessi superiori come il
Piano territoriale di Coordinamento, o per salvaguardare standard urbanistici quantitativi e qualitativi. In
pratica corregge il Piano dove esso non rispetta determinati punti.) o generiche (ovvero osservazioni generali
che non hanno particolare interesse, che trasmette al Comune –è questa l’ipotesi più frequente nella realtà-
che ha 90 giorni per giudicarle e approvarle. Se non le approva si ritorna tutto daccapo: si manda il nuovo
piano con le osservazioni del comune sulle osservazioni della Regione e così via, un procedimento che dura
mediamente 7-8 anni.
3. Approvazione Parziale: la regione può approvare una parte del piano proposto dal Comune (cos’ da
rendere effettivo almeno quello) e mandare le sue osservazioni sulla parte avanzante. Si adotta in genere per
evitare i tempi lunghi di approvazione.

La Legge Regionale n. 11/1999 sull’Auto Approvazione del PRG, detta anche Legge Urbani (il
professore del corso) è stata introdotta per semplificare questo procedimento. La Regione al vertice ha
delegato il meccanismo di approvazione alla Provincia, distaccandosi dalla legge fondamentale
dell’Urbanistica, e le Province a loto volta hanno semplificato il meccanismo di approvazione del PRG.
In sintesi, il Comune, prima di redigere il Piano, fa un accordo con la Provincia sui contenuti minimi che il
PRG deve contenere. Una volta fatto il PRG (con le 4 fasi sopra elencate: Adozione, Pubblicazione,
Osservazioni e Approvazione), il piano diventa subito effettivo, cioè decisorio. Alla Regione spetta solo il
compito di controllare il Piano per evitare la mancanza di rispetto di alcune regole o norme, ma non può fare
osservazioni. Questa legge velocizza di molto la stesura del PRG, in quanto è il Comune stesso che,
praticamente, lo auto - approva.

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Capitolo VIII
IL NUOVO MODELLO DI P.R.G.

Questo nuovo modello opera solo dove c’è una legge regionale che lo prevede, e dal 1995 è stato adottato in
5 regioni (Lombardia, Toscana, Umbria, Basilicata ed Emilia Romagna). Nasce dalla necessità di superare le
defaiance del vecchio PRG, che sono sostanzialmente due.

Una è la sostanziale rigidità della Pianificazione razionale, basata su una rigida divisione in zone
monofunzionali, e basata su rigidi standard, non adatti alla continua dinamica dei processi sociali ed
economici. Questo meccanismo ingessa il territorio comunale e le esigenze abitative e di sviluppo, ma
soprattutto opera una pianificazione virtuale, che non tiene conto delle esigenze concrete di trasformazione
(testimonianza il fatto che bisogna ricorrere ai Piani Attuativi). Una legge del 1985 porta sostanziali novità:
la possibilità che il Piano Attuativo possa andare in variante al PRG, con un’unica delibera comunale: questo
nasce dalla consapevolezza che il Piano deve esser flessibile, cioè deve dare indicazioni strategiche senza
scendere nel dettaglio.

Il seconda defaiance riguarda l’apposizione di vincoli localizzativi sulla proprietà privata che genera una
forte conflittualità e disparità di intervento tra i diversi proprietari coinvolti. Negli anni 80 e 90, quando le
città medie erano tutte coperte dal PRG, si sentì l necessità di cambiare destinazione d’uso a determinate
zone, in quanto quelle previste col PRG non erano più adatte, dato lo sviluppo stesso della città, ma tutto ciò
risultò impossibile per tre motivi principali:
• in nessun PRG è previsto la multifunzionalità di una qualsiasi zona (ogni zona deve avere una ed una sola
destinazione d’uso)
• l’Amministrazione non può determinare la destinazione d’uso autonomamente, senza consultare il
provato.
• è molto difficile variare dei piani per casi particolari, in quanto intervengono all’interno svariati poteri, sia
politici, sociali ed economici.

Si pone così una dicotomia tra il Piano Strutturale e il Piano Operativo.

Piano Strutturale (P.S.)


E’ adottato direttamente dall’Amministrazione comunale e ha durata indeterminata come il PRG. Il suo
compito è dare indicazioni generali sul territorio, lasciando al Piano Operativo la disciplina concreta.
Oltretutto non prevede la suddivisione del territorio in zone omogenee (ovvero evita la zonizzazione con
conseguente uso dei Vincoli Urbanistici), ma in Ambiti Territoriali (AT) d’Intervento (che la Toscana
chiama Unità Organiche e la Liguria chiama Distretti).
Gli AT sono ambiti di riferimento non omogenei che prevedono una pluralità di destinazioni d’uso, ognuna
delle quali non vincolante. Comportano oltretutto una lettura del territorio più approfondita (con Indagini di
Supporto) rispetto a quella che veniva fatta prima per le Zone. In sostanza la lettura è la stessa, ma si hanno
esiti diversi in quanto in precedenza il risultato era la zonizzazione, in questo caso ci si preoccupa di valutare
la sostenibilità del suolo, ovvero la sua capacità di trasformazione, per ospitare alcune funzioni, ma non si
parla dell’effettiva trasformazione in zone. Praticamente si analizzano e catalogano le possibilità di
trasformazione che quel territorio offre, lasciando aperta la possibilità di una Pianificazione di Dettaglio.
Forse il principale vantaggio che genera questo PS è che non è conformativo né del territorio né della
proprietà: non pone quindi problemi di risarcibilità (allo scadere dei 5 anni) e di godimento da parte del
proprietario, che non vede limitate in nessun modo le sue possibilità di esercitare il suo Diritto di Proprietà.
Il PS può presentare le norme del Regolamento Urbanistico (RU) solo nelle zone A, B e C , ovvero le zone in

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cui la trasformazione è irrilevante, in quanto zone non sono modificabili nelle destinazioni d’uso (non si può
modificare la destinazione d’uso di un centro storico, ad esempio).

Piano Operativo (P.O.)


E’ la fase immediatamente successiva al PS, ovvero la fase attuativa, detto anche Piano del Sindaco, in
quanto ha una durata quinquennale, come la carica del Sindaco. E’ un Piano attuativo di Prescrizioni
Concordate col Privato, essendo infatti il terreno di coltura della cosiddetta Urbanistica Consensuale, che si
incentra un accordo specifico fra Pubblico e Privato: non è quindi un piano Autoritativo, in quanto si incentra
appunto sull’accordo pubblico-privato, andando incontro in special modo alle richieste del privato, per
permettere quindi lo sviluppo dei quell’Ambito territoriale ed evitare i lunghi tempi di attesa (che in alcuni
casi portano al congelamento dell’intervento) delle modalità che comporta l’uso del vecchio PRG.
L’Amministrazione comunale promuove un programma di sistemazione dei territori per ambiti territoriale,
convoca quindi tutti gli interessati a quell’Ambito e concorda con loro le forme di attuazione del PS. In
questo modo il privato non interviene più con delle semplici osservazioni, ma è parte integrante del progetto,
si accorda con l’amministrazione in Consorzi e predispone il Progetto di Piano, senza che l’amministrazione
vincoli nulla, perché allo scadere dei 5 anni, decade di conseguenza anche il PO (che viene approvato con i
privati stessi). Nel caso in cui i privati non trovassero un accordo, allora l’Amministrazione comunale agisce
autoritariamente.
Ovviamente il Piano del Singolo deve andare incontro alla collettività: se l’Ambito territoriale prevede una
volumetria massima o altri Standard urbanistici, il privato, nel fare le sue proposte, deve tener conto di questi
limiti, pena la mancata riuscita dell’accordo con l’Amministrazione comunale, in quanto stanno realizzando
un Piano di Dettaglio (il PO, appunto).
Rimangono de pianificate le zone dove non c’è domanda, ossia dove i privati stessi non manifestano la
volontà di intervenire. Quindi il vero Piano è previsto quando si presenta una domanda.
Il Piano Operativo in definitiva specifica il vero progetto urbanistico di pianificazione del territorio dettando
tutte le prescrizioni operative, determinando l’esatta destinazione d’uso del territorio, individuando le opere
pubbliche e di urbanizzazione, definendo gli standard urbanistico - edilizi, gli indici di edificabilità, e
localizza il verde.

Questo nuovo modo di trattare col PRG si presenta, quindi, molto più flessibile e rapido, e la flessibilità
permette di trovare un accordo di pianificazione il più soddisfacente possibile fra pubblico e privato, che non
entrano in contrasto fra di loro, ma anzi tendono a soddisfare reciprocamente i propri interessi (in caso di
contrasti, il vecchio PRG bisognava rifarlo). C’è da dire che in alcuni casi questo nuovo modo di redigere il
PRG ha in ogni caso causato problemi: in Toscana, ad esempio c’è un altro numero di Piani Strutturali che
non rispondo alle esigenze di flessibilità.

Questo nuovo modello di PRG lega inoltre sempre più il processo di pianificazione con quello di attuazione,
ma non è il piano delle destinazioni d’uso a condizionare il progetto di trasformazione, bensì l’esatto
opposto, è il progetto stesso che conferisce la destinazione d’uso.

Particolare importante sono le opere di Urbanizzazione Primaria e Secondaria, che devono esser garantite. La
legge 847/1964 elenca differenzia questi due tipi di urbanizzazione:
• l’Urbanizzazione Primaria è legata alla concreta realizzazione dell’area inerente la sua organizzazione:
prevede quindi la costruzione di strade, impianti fognari, rete idrica ed elettrica, parcheggi, verde attrezzato
etc.
• l’Urbanizzazione Secondaria è più puntuale, dedicandosi alla costruzione di edifici o aree dalla
funzione sociale quali asili nido, scuole, edifici religiosi, verde di quartiere, impianti cimiteriali e così via.
Queste realizzazioni sono strettamente collegate con gli standard urbanistici, che devono essere garantiti
dalla pianificazione, in quanto la Legge 1150/42 (art. 31) enuncia chiaramente che: “la concessione edilizia è

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legata alla realizzazione di opere di Urbanizzazione Primaria” e devono esser inserite nel Piano Triennale
delle Opere Pubbliche (o Piano dei Servizi), indispensabile affinché l’opera possa esse costruita in quando
ne sancisce il tempo massimo di realizzazione e il costo della realizzazione stessa per poterne accertare la
fattibilità. Questo Piano Triennale di Opere Pubbliche è oltretutto sancito dalla Legge n. 109/1994 (articolo
14) sui lavori Pubblici di Urbanizzazione che si preoccupa di crear criteri e regole per la determinazione
delle opere da realizzare, e per garantire a tutte le imprese di partecipare, con un sistema di trasparenza (o
almeno queste sono le buone intenzioni...).
E’ stato ribattezzato da alcune regioni (ad esempio la Lombardia) come Piano dei Servizi in quanto permette
la identificazione delle opere di cui la regione necessità, senza però l’obbligo di doverle localizzare, e quindi
di creare fastidiosi vincoli, rispettando il concetto primigenio che vede questo nuovo PRG come uno
strumento di individuazione dei risultati che si devono perseguire, senza creare però vincoli specifici con
conseguenti contrattempi elencati nel capitolo dedicato al PRG.
Queste opere possono esser realizzate utilizzando un Capitale Privato attraverso una Contrattazione
negoziata, ossia uno scambio edificatorio (che sta alla base dell’Urbanistica consensuale):
l’Amministrazione concede i diritti edificatori al privato, che urbanizza l’area. In questo modo di persegue
l’obbiettivo di fornire la città delle opere di cui si sente la necessità.
L’Iter procedurale è il seguente: 1) i Comuni propongono un programma; 2) i privati presentano una
proposta e ne stabiliscono i contenuti progettuali; 3) l’Amministrazione può intervenire sulla proposta, ma
occorre un Accordo Preparatorio o Preliminare.
L’Accordo Preparatorio o Accordo Preliminare è sancito dall’Art. 11 della legge n. 241/1990, e riguarda
le opere di Urbanizzazione mancanti che il privato accetta di fare in cambio del mantenimento del Diritto di
Proprietà. Determina una variazione dello Strumento Urbanistico e si inserisce nel Procedimento del Piano
Operativo (nel caso in cui il comune approvi questo PO, pena la bocciatura dell’Accordo Stesso).
In questo caso l’Amministrazione si è auto vincolata: ha deciso di individuare una Disciplina flessibile in
modo che possa accordarsi col privato.
L’Amministrazione deve oltretutto tener conto di diversi fattori, fra cui il più importante è la Redditività
dell’Intervento sul Piano Finanziario - Economico. Infatti il Calcolo del Progetto è legatissimo all’Equilibrio
Economico - Finanziario dell’iniziativa (per questo i progettisti devono avere competenze specifiche di
Estimo e di Diritto).

Ci sono comunque regole precise sulla trasformazione, e rapporti che rendono ben visibile l’operato del
pubblico e quello del privato. Oltretutto l’Amministrazione potrebbe prevedere in alcuni casi una Premialità
Edificatoria (P) al privato, se si impegna ad edificare delle opere che vanno oltre il PA, ma ciò deve esser
fissato dal Piano ed indicato con P.
Un esempio di ciò è il caso che è avvenuto a Barcellona, dove alcuni imprenditori si sono offerti di
finanziare una ristrutturazione del lungo mare; grazie a ciò i privati hanno ottenuto il permesso di creare dei
locali, in quanto il costo dell’operazione era di un certo peso. Oltretutto hanno realizzato anche due
grattacieli, creati per dare verticalità all’area, creando anche dei collegamenti con la Sagrada Familia. Sono
stai creati grazie allo Scambio Edificatorio, nell’accordo pubblico-provato: in cambio dei diritti edificatori
che servono per compensare l’edificazione dei piccoli locali, l’Amministrazione ha ottenuto una
trasformazione urbana attraverso una premialità concordata con i privati.
Altro caso è quello di Montesilvano, in cui ogni proposta di Trasformazione da parte dei privati prevede un
premio di cubatura, ossia un opera da realizzare ad esclusivo utilizzo del privato, e grazie a questo
meccanismo di Predeterminazione, utilizzando Criteri Selettivi, si sono potute realizzar opere di
Infrastrutture in altre parti di città, non nelle aree destinate alla trasformazione urbana. Il PRG di
Montesilvano è stato modificato in maniera brusca con delle opere che non sarebbe stato possibile realizzare
con le direttive del piano precedente.
Nelle zone di Edilizia Economica e Popolare (ad esempio Rancitelli) non è stato attuata questa metodologia

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perché all’epoca la legislazione non lo prevedeva. Queste zone infatti presentano una defaiance nelle opere
di Urbanizzazione Secondaria: mancano infatti strade ben pavimentate, spazi di ritrovo, centri sociali e
attrezzature sportive e sanitarie. Si è avuta quindi una scissione predeterminata tra edifici e opere di
urbanizzazione, perché mancavano i fondi pubblici, e ciò ha reso alcuni quartieri marginali.

Il Piano di Lottizzazione Convenzionata (archetipo nell’art. n. 28 della Legge n1150/19422) stipula un


convenzione che obbliga il privato a cedere gratuitamente le aree necessarie alle opere di Urbanizzazione e
ad assumere l’onere della realizzazione di queste opere. Il privato fa quindi una convenzione: un accordo con
l’Amministrazione, e in seguito verrà realizzato un Piano Particolareggiato.

L’Urbanistica Consensuale è sempre stata ritenuta lecita, in quanto non vi è niente di illegittimo nel caso in
cui l’Amministrazione tratta la cessione e la contrattazione per il miglior aspetto urbanistico dei suoli per il
quale il passaggio decisivo è la contemporaneità tra Pianificazione (funzione prescritta) e Attuazione
(funzione di Gestione), ossia lo scambio immediato che costringe il privato a costruire subito, cosa che il
PRG non prevede in quanto il su compito è quello di dare l’assetto dei suoli.

Le opere possono essere realizzate tramite Project Financing (Finanza di Progetto), nel caso in cui il
comune non disponesse dei fondi necessari. In questo caso il privato realizza le infrastrutture con le sue
capacità monetarie, rifacendosi però del costo dell’opera tramite il pedaggio che si paga per utilizzarle (ad
esempio Autostrade, Parcheggi), fino ad ottenere un guadagno. Viene valutato anche il tempo che occorre
per ripagare l’opera al privato. In questo caso non ci sono termini che prefissano il guadagno: questo affare
può risultare svantaggioso per il privato nelle stesse possibilità in cui può risultare vantaggioso. Proprio
rispetto al concetto di rendita monetaria che un’pera può garantire al proprietario che la costruisce, le opere
si possono dividere in:
• calde: cioè si prospetta una forte potenziale monetario, e sono ovviamente le opere più ambite dai privati,
con relativa creazione di un contenzioso fra i privati stessi
• fredda: opere che non assicurano un potenziale accettabile di rendita monetaria. In questo caso la legge
permette alle amministrazioni di intraprendere una di queste due strade, : 1) o l’integrazione del prezzo,
ovvero di consegnare dei capitali propri; 2) o la cessione di beni che non servono, come un’area industriale,
con l’aggiunta della possibilità di trasformarla in un’Area di Edificazione, cambiandone quindi la
destinazione d’uso (in questo caso l’opera diventa bollente perché crea una trasformazione edificatoria).

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Capitolo IX
FUNZIONE DI GESTIONE

Completa la Funzione Precettiva nella quale vengono posti i Precetti, ovvero le regole (e a cui appartiene il
PRG perché pone le regole di disciplina del territorio). Questa Funzione di Gestione indica gli strumenti che
permettono al privato di attuare le regole poste dal PRG, che si suddividono in 1) Comparti, 2) Società di
Trasformazione Urbana (STU), 3) Piani Attuativi (PA), 4) Accordi di Programma (incentrati sul consenso
Pubblico - Privato)

1. Il Comparto
E’ uno strumento urbanistico attuativo previsto dall’Art. 23 della Legge Fondamentale 1150/1942, mai
attuato. Il Comparto rappresentava graficamente un ritaglio, un’unità territoriale a cui viene dato a sua volta
un indice territoriale (indice di edificabilità da cui si ricava lo standard), che è uguale per tutti (oltre per chi
possiede già una casa), cercando di garantire l’Indifferenza dei Proprietari.
Il Comparto era incentrato sul consenso dei privati che potevano realizzare un consorzio, ossia un’entità
giuridica (e non una persona fisica) che all’inizio necessitava che i ¾ del comparto fossero d’accordo, poi
con la legge n. 166/2002, la quota dei ¾ è stata modificata in 50%+1 (come nei quorum referendari) dei
proprietari per l’approvazione del comparto. In questo caso l’altro metà ha poca scelta: o aderire al
consorzio, o vedersi espropriare le proprie terre dall’Amministrazione, che li obbliga praticamente a venderle
al consorzio.
Il Comparto può essere formato solo se ha alle spalle un Piano Attuativo. La legge 1150/1942 ha infatti
stabilito la seguente scaletta di Tripartizione dei Piani: PRG  Piano Attuativo  Comparto. Ma alcune
regioni come l’Abruzzo hanno modificato questa scaletta: in Abruzzo, con la Legge Regionale Abruzzo n.
18/1989 è stata abolita l’intermediazione del Piano Attuativo, attuando direttamente il PRG per Comparti,
senza la necessità di Piani Particolareggiati.
Nel caso di mancata formazione del Consorzio, interviene l’Amministrazione con la sua autorità,
espropriando i terreni e mettendoli all’asta. La cosa totalmente irrazionale, è che a questa asta possono
partecipare gli stessi proprietari dei terreni espropriati, costretti a “riacquistarli”. Nel caso in cui i proprietari
rifiutino questa scelta illogica, intervengono delle terze parti esterni al comparto (in generale una cordata di
imprenditori). Riassumendo, la tecnica del Comparto prevede:
- Indifferenza dei Proprietari;
- Cessione gratuita delle Aree;
- Realizzazione delle aree da parte di privati;
- Superamento della Zona.

Il Comparto è quindi l’anticipatore della Perequazione, che non è altro che un fenomeno che agisce
all’interno del Piano Operativo (PO), un meccanismo di ripartizione dei diritti e dei doveri che tutti i
proprietari nella medesima condizione. La Perequazione può esser di due tipi: Classica o Generalizzata.
La Perequazione Classica crea una situazione di estrema uguaglianza a tutti i proprietari all’interno del
comparto, dando i medesimi benefici (stesso indice di edificabilità territoriale -non fondiario- svincolato
dalla suscettibilità dell’area, la trasferibilità della volumetria realizzabile in un’altra area del comparto non di
proprietà del privato in questione) ma anche gli stessi aggravi (vincoli localizzativi, standard urbanistici per
la realizzazione di opere pubbliche). Come già accennato, la Perequazione Classica permette, nel caso di area
vincolata, di non perdere la volumetria, ma di trasferirla in un’altra area del comparto a destinazione
residenziale (diritto), secondo il Piano di Attuazione del Comparto stesso, predisposto dal consorzio,
destinando quindi una parte della propria area agli Standard Urbanistici (dovere). Ciò fa si che, in pratica,
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vengano annullati i vincoli, in quanto grazie a questo Scambio di Volumi, viene stabilita una proporzione
all’area di ogni proprietario in cui si può costruire, utilizzando il diritto di trasferibilità della volumetria
edificabile che spetta ad ogni privato.
La Perequazione Generalizzata è svincolata dal comparto, quindi si attua nelle zone del PRG.
L’Amministrazione Comunale prevede per l’area in questione una determinata volumetria di cui si riserva
una parte, per usi futuri. In questo caso questo surplus di volumetria viene quindi svincolato dal comparto, ed
è quindi possibile affidarne la gestione ad una terza persona che prima di allora era perfettamente estranea al
comparto (di norma questa terza persona deve soddisfare determinati interessi, come la realizzazione di
opere pubbliche necessarie secondo l’Amministrazione). Ma questo meccanismo priva di fatto il proprietario
di una parte della sua volumetria. La Perequazione Generalizzata è si prevista dalla legge, ma appunto per le
contraddizioni insite è contemporaneamente rifiutata dalla Giurisprudenza, che ritiene non legittimo privare i
cittadini di una parte della sua proprietà a vantaggio di terze persone.

2. Società di Trasformazione Urbana (S.T.U.)


Intono agli anni 60, a causa della ripresa economica, si è cercato di ovviare alla continua crescita
demografica con la costruzione di abitazioni e complessi residenziali. Oggi la situazione si è capovolta: la
crescita demografica si è arrestata, per cui la vera necessità adesso è quella di riqualificare questi complessi,
la maggior parte dei quali conservati in pessime condizioni (basti analizzare alcuni complessi di case
popolari). Alla Riqualificazione Urbana dell’Esistente si rivolge la STU, Società di Trasformazione Urbana,
uno strumento introdotto di recente (art. 17, comma 59 della Legge Bassanini Bis n. 127/1997 -oggi trasfusa
nell’art. 120 del T.U.E.L., Testo Unico Enti Locali, del D.L. 267/2000), che prevede la creazione di società
miste volte alla Riqualificazione, Realizzazione e Commercio di Aree Dismesse e da Riqualificare ,
rendendole visibili e usufruibili sia al pubblico che al privato. Di norma queste società miste sono delle
Società per Azioni (S P.A.), ovvero società con capitale sociale pubblico-privato riportato in azioni.
La STU prevede che l’Amministrazione Comunale (una volta appurato che non dispone dei fondi necessari)
costituisce una STU, dandogli un capitale per azioni, che viene comprato dall’Imprenditore che versa una
quota minima di 1000 €, necessaria alla STU per avviare il processo di riqualificazione che altrimenti non
potrebbe avviarsi per via dei limitati fondi monetari del Comune. E’ bene precisare che, almeno sulla carta,
la STU è un’operazione pubblica e non privata: il privato infatti, in questo modo si procura
dall’Amministrazione il permesso di edificare su altri terreni, ossia ottiene una Concessione di Volumi ed
Aree (Scambio Edificatorio) che in altre situazioni non gli potrebbero competere, ma non ottiene dei soldi da
essa, in quanto (appunto) non ne ha (la STU viene messa su appunto per ovviare all’assenza di fondi
comunali). Il guadagno del privato è vincolato a quanto ha investito, rispetto a tutti i guadagni che questa
STU ottiene: se investe per il 60% del capitale azionario, otterrà un guadagno del 60% del guadagno totale
della STU (che a volte non risulta paritario, in quanto il privato ottiene più del capitale investito rispetto
all’Amministrazione Comunale). In ogni caso è sempre e comunque la STU a riqualificare e modificare le
aree, e non l’imprenditore, che entra a far parte dell’operazione partecipando al capitale iniziale.

Il Procedimento di Formazione della STU si articola in più parti. Il primo passo p la delibera del Consiglio
Comunale, con la quale viene ratificata la scelta di un socio, individuato tramite una procedura concorsuale,
ossia una gara indetta dal comune che prevede in sequenza:
- Pubblicazione del Bando di Gara, per rendere nota la formazione della STU
- Presentazione della Domanda di Partecipazione dell’Imprenditore al Comune
- Costituzione della Commissione da parte del Comune che deve valutare la proposte arrivate, e scegliere
l’Imprenditore (o gli Imprenditori) più attendibile ed affidabile, che una volta scelto diventa socio della STU
Gli unici organi pubblici che possono indire alla partecipazione di una STU sono le Regioni, le Province e i
Comuni.
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Costituita la STU e individuate le aree su cui intervenire, il Consiglio Comunale adotta un programma di
Riqualificazione Urbana (e ne rimanda al realizzazione alla STU), che equivale ad una Dichiarazione di
Pubblica Utilità che precede il meccanismo di esproprio (T.U. 327/2001), in quanto se un’area è dichiarata
di pubblica utilità è vincolata, per cui il comune può avvalersi del diritto espropriativo. Il privato, in base
all’art. 5 comma 5bis del D.L. 327/2001 può procedere secondo due alternative:
1) Cessione volontaria: il privato cede volontariamente la sua area, e ne verrà risarcito dell’intero valore
di mercato dell’immobile;
2) Cessione non volontaria: il privato non cede volontariamente la sua area, e quindi si aziona il
meccanismo della Procedura Espropriativa, con un abbattimento del 40% del valore di mercato
dell’Immobile.
Una volta impossessatasi dell’Area, la STU avvia il suo programma di Riqualificazione.
La STU si differenzia dal Piano Integrato di Intervento (P.I.I., di cui tratta il capitolo successivo) per il
soggetto coinvolto che realizza l’opera: nella STU il soggetto è una Società, che fa capo all’Amministrazione
Pubblica e ad uno come a più imprenditori. Inoltre le aree di cui la STU prevede la riqualificazione non
prevede che le aree siano necessariamente del Comune: possono esser aree privata, di cui il Comune di
impossessa tramite il meccanismo dell’Espropriazione.
Nel PII invece il soggetto è direttamente un imprenditore privato, che deve essere necessariamente già
proprietario delle aree interessate (o si deve impegnare nell’acquisto di queste aree), in quanto nel PII non è
previsto il meccanismo di Espropriazione.

Esempi
- Portanuova 2000: l’amministrazione comunale di Pescara ha ceduto a De Cecco delle aree con volumetrie
alte, nelle quali egli costruisce rifacendosi di tutte le spese;
- Riqualificazione del Centro storico di Fermo: il bilancio dell’intervento era di 16.000.000 €, il Comune
realizza un PII, contatta il privato dell’Impresa di Costruzione e si accorda per uno scambio con un suolo
edificatorio per realizzare uffici, residenze e locali commerciali.

Programma Integrato di Intervento (P.I.I.)


E’ uno strumento di grande rottura nel sistema di pianificazione del territorio, sancito dall’art. 16 della Legge
179/1992: “al fine di riqualificare il territorio, i comuni propongono P.I. caratterizzati da: 1) pluralità di
funzioni; 2) integrazione di diverse tipologie di intervento; 3) una dimensione tale da incidere su quella
urbana; 4) interesse pubblici e privati.”

Il PII risolve le defaiance del PRG, modificandone i criteri generali:


1. Perfetta legittimità che il piano si possa variare, senza motivi politici (infatti il PII permette di andare in
variazione del Piano);
2. Superamento della Monofunzionalità delle Zone Omogenee, con la creazione di Zone Miste nelle quali
si possono collocare una pluralità di Funzioni;
3. Superamento dei Vincoli Urbanistici, in quanto il PII è il frutto di un accordo fra pubblico e privato, per
cui quando il privato ristruttura realizza a suo carico le opere di ristrutturazione e si impegna a cedere quelle
aree che servono per gli Standard.
4. Individuazione della Destinazione d’Uso, in seguito all’Accordo fra Pubblico e Privato.

Al primo avvio il PII ha riscontrato delle difficoltà da parte dell’Amministrazione che ha quindi deciso che il
processo fosse regolato e non improvviso, ed ha lavorato sul piano delle Perimetrazioni Provvisorie ,
prevedendo nel piano la possibilità che i privati possano intervenire con il PII conoscendo già le aree sulle
quali pianificare, che sono sfrangiate, ampie, e non devono coprire tutta la perimetrazione per rendere ancora
più flessibile la possibilità di intervento. I comuni hanno preso atto di questa eventualità, indirizzando la
domanda di trasformazione attraverso le delibere.

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3. Piani Attuativi (P.A.)
I Piani Attuativi possono esser sia di iniziativa pubblica che privata. Sono gli strumenti per l’attuazione di
uno specifico obbiettivo, messo in evidenza dalla pianificazione del piano e in determinate circostanze questa
specificità può permettere una variante alle prescrizioni del PRG. I PA non sono sempre gerarchicamente
subordinati al PRG (PTPRGPA), ma sono collegati funzionalmente.
Il loro procedimento di formazione prevede l’adozione da parte del Comune: i PA contengono delle
prescrizioni nei confronti dei Proprietari e l’adozione del piano è considerata un’opera di pubblica utilità
(quindi può prevedere il meccanismo di Esproprio). Successivamente vengono pubblicati (resi pubblici) e i
privati possono fare delle osservazioni su cui l’Amministrazione delibera. In seguito vengono approvati dal
comune e vengono notificati al privato che ha 60 giorni dalla notifica per impugnare il Piano dinanzi al
T.A.R. (nel caso di mancata notifica, la loro efficacia persiste ma non decorrono i 60 giorni per
l’impugnazione).
I PA hanno una durata massima di 10 anni (a differenza del PRG, che ha durata indeterminata). Se entro
questi 10 anni i PA non vengono attuati, oppure decadono, e non ne viene fatto un altro, viene applicata la
Disciplina Urbanistica delle Norme di Salvaguardia (Capitolo IV), cioè gli Standard Ope Legis (in quanto
viene a mancare la disciplina attuativa), anche se la zona sostanzialmente non viene modificata.
Tuttavia in una zona integralmente urbanizzata non vengono applicati gli standard, anche se il privato può
teoricamente costruire. Oltretutto in una Zona B (di Completamento) non c’è bisogno del PA per il rilascio
della concessione edilizia: non si applicano gli Standard Urbanistici in quanto essendo una Zona di
Completamento ha già una sua conformazione, quindi il privato continuerà a costruire seguendo questa
conformazione, regolarizzata dalle prescrizioni del PRG.

I Piani attuativi sono essenzialmente:


• Piano Economico di Edilizia Popolare (P.E.E.P.), obbligatorio per i comuni al di sopra dei 50.000
abitanti, prevede la realizzazione di edifici destinati ad abitazioni popolari, ed è stato introdotto dall’art. 9
della Legge 167/1962.
• Piano di Insediamenti Produttivi (P.I.P.), introdotto dall’Art. 27 della Legge 167/1962, stabilisce
l’ubicazione sul territorio di impianti industriali, commerciali, artigianali e turistici.
• Piano di Recupero Edilizio e di Riqualificazione Urbana (P.d.R.), introdotto dalla Legge 457/1978,
pone l’obbiettivo di riqualificare singoli immobili e di riqualificare l’intero tessuto urbano. Prevede a sua
volta una forma più complessa del PEEP e del PIP, articolata sostanzialmente in tre punti:
1) Individuazione delle Zone di Degrado, che equivale ad una dichiarazione di pubblica utilità, che vincola
la zona a determinati tipi di intervento (1° Vincolo)
2) Individuazione dell’esatto perimetro delle aree di intervento (2° Vincolo)
3) Adozione del Piano di Recupero.
Il vincolo posto sulla Perimetrazione potrebbe anche essere omesso, ma se viene assunto, il Piano dovrà
essere adottato entri i 3 anni,altrimenti decade.
Questo piano di recupero viene adottato esclusivamente nelle aree del centro storico, ed ha bisogno del
consenso di una pluralità di individui. Può essere una iniziativa Pubblica o Privata, ma è pressoché inattuato.

4.Accordi di Programma
Sono accordi stipulati dal Comune che da un preventivo assenso al programma redatto dalla Provincia, dalla
Regione, e dagli altri eventuali soggetti pubblici competenti, e con il loro accordo unanime si può arrivare
all’Adozione del Programma.

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Capitolo X
PIANO TERRITORIALE PAESISTICO-DI BACINO-DEL PARCO

Il Piano Paesistico Territoriale è stato previsto dalla Legge n. 1497/1939, ma solo come strumento di
adozione, ed è diventato obbligatorio con la Legge Galasso n. 431/1985, anche se attualmente è un Piano di
Settore, che non ha molto a che vedere con l’aspetto urbanistico classico, in quanto si dedica solo ad una
parte del territorio che interessa al piano specifico, e si riferisce al soddisfacimento di esigenze particolari
quali la Salvaguardia e la conservazione di qualunque elemento che abbia una sua identità, che sia una
testimonianza di civiltà. Per “Paesaggio” si intende quello giuridicamente da tutelare, da conservare, quindi
con valore da conservare e tramandare ai posteri (il paesaggio urbano, o industriale, è considerato come una
contaminazione).
E’ un piano il cui grado di vincolo è sensibilmente maggiore, in quanto impedisce l’effettiva edificazione nel
suolo interessato. Inoltre i vincoli posti sul territorio devono essere controllati, in quanto non sempre tutto il
paesaggio può esser vincolato, e sono vincoli che ricadono sul PRG.
Quando questo Piano diventa vigente, i contenuti prevalgono sulla pianificazione comunale sottostante e ne
costituiscono un impedimento. E’ un Piano che spetta alla Regione fare, e viene redatto su iniziativa della
Soprintendenza ai Beni Culturali.

Il Pianificazione di Bacino appartenente alla Legge 183/1989, ed è relativamente recente, ma in ogni caso
prima che diventasse effettivo sono passati diversi anni. Si occupa della Difesa del Suolo e dell’Acqua, ossia
della’Asseto idrogeologico.

Il Piano del Parco, previsto dalla Legge Quadro n. 394 del 6 Dicembre 1991, tutela le Aree Naturalistiche
(ad esempio il Parco nazionale del Gargano), e stabilisce che in questi parchi non si può costruire, data la
loro incompatibilità con i molteplici meccanismi di urbanizzazione.
Definisce gli Obbiettivi e i Procedimenti di Istituzione delle singole aree protette, “proclamando” 6 nuovi
parchi nazionali. Ha come contenuti obbligatori:
1) l’organizzazione generale del territorio
2) i vincoli e le destinazioni d’uso
3) gli accessi e i percorsi
4) le attrezzature e i servizi
5) le direttive per interventi su flora e fauna.

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Capitolo XI
PIANO TERRITORIALE DI COORDINAMENTO PROVINCIALE (P.T.C.P.) e PROGRAMMA DI
RIQUALIFICAZIONE URBANA E DI SVILUPPO SOSTENIBILE DEL TERRIOTRIO
(P.R.U.S.S.T.)

Piano territoriale di Coordinamento Provinciale (PTCP)


E’ un piano di media area, a metà fra un Piano di Settore e un Piano Urbanistico, infatti agisce ad una scala
elevata, in quanto riguarda il territorio della Provincia, ed è meno dettagliato del PRG, perché non deve
occuparsi di alcuni elementi puntuali, quali l’edificabilità delle aree. Ha la funzione di coordinare gli
interessi del territorio della Provincia, leggendo il territorio in maniera unitaria, un’operazione che non può
essere svolta dal Comune, che ha una visione parziale (come è normale) del territorio. E’ caratterizzato da 3
contenuti:
1. Indirizzi: consigli rivolti ai comuni che servono a dar conto di alcune esigenze del territorio provinciale
che emergono in seguito ad una valutazione dello sviluppo dello stesso (può, ad esempio; suggerire
l’ubicazione degli insediamenti industriali in un posto piuttosto che in un altro)
2. Direttive
3. Prescrizioni: comandi
E’ un piano debole, più programmatorio che pianificatorio (è, in sintesi, un piano di politiche urbanistiche),
che cerca di tutelare in particolar modo aspetti quali quello ambientale e paesaggistico. E’un piano di
Dettaglio della Tutela, essendo una sorta di Piano Paesaggistico (o di Bacino) di livello inferiore, in quanto
può dettar meglio le condizioni di trasformabilità delle aree sottoposte al vincolo paesaggistico.
Si deve occupare delle opere a carattere provinciale, quali strade, infrastrutture di rango provinciale, ma non
può stravolgere assolutamente il PRG. Non è un piano molto vincolante, in quanto serve a dare delle
direttive, in base alle esigenze del territorio, e non ha effetti prescrittivi, almeno nei casi ordinari: può infatti
porre degli effetti prescrittivi che mirano, in casi specifici, a preservare e conservare alcuni suoli,
stabilendone l’utilità.
Ad esempio, a Napoli, la Gazzetta Ufficiale dichiarava che il PTCP locale riteneva alcune aree agricole
edificabili, ma ciò si è manifestato in tutta la sua insensatezza, in quanto il compito più importante del PTCP
è proprio quello di identificare le aree di notevole patrimonio agricolo da proteggere, mantenendone la
funzione agricola e impedendo categoricamente la loro edificazione. Quelle aree infatti le aveva vincolate,
togliendo in sintesi alla potestà del comune la libertà di decisione sulla loro eventuale edificabilità.
Questo episodio dimostra come si necessiti di una collaborazione ottimale fra Comuni e Provincia e Enti
Locali, ma essendo un piano sostanzialmente debole, i Comuni hanno poco da temere.

Programma di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio (P.R.U.S.S.T.)


E’ un programma che agisce sullo sviluppo del territorio, dotandolo di infrastrutture e servizi, con il preciso
intento di ricollegare tessuti urbanistici frammentati o disomogenei a causa di interventi passati non
completati o errati.

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Capitolo XII
FUNZIONE DI CONTROLLO DELL’ATTIVITA’ EDILIZIA

E’ probabilmente una delle funzioni più importante e allo stesso tempi più controverse delle pubbliche
istituzioni locali: la Funzione di Controllo dell’Attività Edilizia è un’attività svolta in generale
dall’Amministrazione Comunale, svolta dagli Uffici Tecnici dell’Amministrazione stessa, che devono
controllare se il progetto presentato sia conforme alle prescrizioni del piano. Gli uffici tecnici disciplinano
l’uso dei suoli, ossia fissano le misure di edificabilità (volumi, altezza, distanza, tipologia): sono loro infatti a
rispondere ad un privato che chiede la possibilità di poter edificare sul suo suolo.
La Funzione di Controllo dell’Attività Edilizia deve garantire il rispetto delle regole, dette anche comandi
(ad esempio su un suolo agricolo posso svolgere solo attività agricole). L’infrazione delle suddette regole
comporta la realizzazione di opere abusive che sono in contrasto con le prescrizioni.

Quello dell’abusivismo è un problema molto sentito e dibattuto in Italia: nel nostro paese non c’è una
disciplina esatta che permetta di bloccare direttamente l’abusivismo, riconosciuto dal nostro Ordinamento
Giuridico come reato penalmente perseguibile. In Italia si è giunti alla 3° legge sul Condono Edilizio (1985-
Governo Craxi, 1995-Governo Berlusconi, 2003-Governo Berlusconi), una norma che aliena i principi stessi
del diritto urbanistico, in quanto costituisce una misura perdonistica rispetto a chi in precedenza ha infranto
le prescrizioni, che commettendo il reato di abusivismo edilizio, può sanare la sua posizione e quella del suo
immobile abusivo pagando una somma versata direttamente nelle casse dello stato e non nelle casse
comunali.

I comandi che controllano e regolano l’Attività Edilizia risultano immodificabili dal momento in cui sono
state poste. Per poterle modificare occorre infatti modificare anche il Piano, a meno che le modifiche
richieste siano minime. In molti casi, per favorire lo sviluppo economico, quindi favorire i mercati e
l’iniziativa dei privati, il PRG diventa sempre più flessibile, ossia non risulta più un piano prescrittivo, non
fissa le prescrizioni, che vengono concordate direttamente col privato, ma che dovranno esser rigorosamente
rispettate da quest’ultimo, pena il pagamento di sanzioni.

La facoltà edificatoria dei privati è un’attività estremamente vincolata, in quanto la discrezionalità


dell’Amministrazione non c’è, si riduce a zero, in quanto il comportamento che deve assumere
l’Amministrazione è chiaramente enunciato dalle prescrizioni, ed è implicita l’impossibilità di favorire o
anche solo prendere in considerazione gli interessi privati. Oltretutto l’Amministrazione non rilascerà mai la
concessione edilizia se non è prima il privato a richiederla (Procedimento ad Iniziativa di Parte).
L’attività edilizia non è libera, ma sotto controllo dell’Amministrazione Comunale, e non solo per il semplice
fatto che il privato si deve attenere alle prescrizioni, ma anche perché il privato deve prima ottenere
un’Autorizzazione a Costruire dall’Amministrazione stessa, un Provvedimento Abilitativo che permette
l’apertura del cantiere.

Ci sono 2 casi in cui, nonostante il privato presenti un progetto a norma di legge, l’Amministrazione può non
rilasciare l’autorizzazione a costruire, e ciò succede per far recuperare all’Amministrazione la
discrezionalità, ovvero quel minimo di diritto di intervento all’interno della decisione.
I CASO: art. 31 della Legge 1150/1942, così come notificato dalla Legge Ponte: “Il rilascio della
concessione edilizia è subordinato all’esistenza delle opere di urbanizzazione primaria”. L’Amministrazione
è autorizzata a non rilasciare la concessione in questo caso: se dovesse chiedere la privati di realizzare quelle
opere in cambio della concessione, commetterebbe Abuso d’Ufficio.
II CASO: quando il provvedimento abilitativo si riferisce ad un PRG vigente, ma nel frattempo se ne è
adottato un altro. Se il progetto è conformare al PRG vigente (ma non a quello adottato), entrano in gioco le
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Norme di Salvaguardia che salvaguardano il piano adottato, se il progetto presentato è in contrasto col piano
vigente.

La funzione di controllo dell’attività edilizia ha cambiato tipologia nel corso degli anni. Già nel 1942, con
l’art. 31 della Legge 1150/1942, viene introdotta la Licenza Edilizia (gratuita) che nell’ambito del territorio
comunale permette di eseguire nuove costruzioni, ampliarle, modificarle o di demolire costruzioni già
esistenti, ovvero procedere all’esecuzione di opere di urbanizzazione del terreno. Questa legge rilasciava una
serie di Attività prive di disciplina: essendo attività non contemplate dalla legge, erano quindi
pericolosamente libere.
Con l’Art. 1 della Legge Bucalossi n. 10/1977 il nome della Licenza Edilizia viene modificato in
Concessione Edilizia, ed introduce delle importanti modifiche: innanzitutto la rende onerosa (comporta
quindi un costo), e deve esser chiesta per qualsiasi attività che comporti la trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio comunale (quindi anche muretti, cancellate etc.). Si amplia così di molto lo spettro delle
attività sottoposte a concessione, e questo crea numerose perplessità rispetto a quali attività di preciso siano
subordinate al rilascio della concessione, in quanto con questa legge praticamente qualsiasi attività non è più
libera e per giunta diventa anche onerosa.
Fino al 1977 il Diritto di Costruire era interno al Diritto di Proprietà: i vincoli urbanistici non potevano avere
l’ultima parola sulla volontà dei privati di poter costruire sui propri terreni, comprimendo la loro facoltà di
costruire e prefigurando una sorta di Esproprio larvato (esproprio senza indennizzo), in contrasto con l’Art.
42 della Costituzione, con cui l’Amministrazione rimane solo il limite all’esercizio dello Ius Aedificandi
(Diritto edificatorio) che il privato ha sulla propria area. Fino al ‘77 l’amministrazione rilascia solo una
licenza, che è un’autorizzazione.
Ma dal 1977 il Diritto di Costruzione viene a conti fatti separato dal Diritto di Proprietà. I vincoli urbanistici
potevano avere durata molto lunga, in quanto la proprietà era nuda e quindi il comune non era costretto ad
indennizzare i vincoli in caso di reiterazione, e il proprietario si vedeva costretto a chiedere la concessione di
tale diritto. Con la Concessione Edilizia, l’Amministrazione quindi concede dietro pagamento qualcosa che il
cittadino non possiede più, lo Ius Aedificandi, appunto.
Ed infatti, nel 1978, la Corte Costituzionale sancisce come incostituzionale la Concessione Edilizia, in
quanto il Permesso di Costruire è insito nel Diritto di Proprietà, ma in ogni caso la Corte riconosce che il
Privato ha bisogno di un Provvedimento che rimane comunque la Concessione, ma con valore autorizzativo.
Nel 2011 la Concessione Edilizia diventa così Permesso di Costruire che è un provvedimento vincolato, in
quanto l’accertamento da parte della Pubblica Amministrazione. Manca oltretutto la discrezionalità da parte
della Pubblica Amministrazione, in quanto questa è obbligata a rilasciare il permesso se il progetto
presentato rispetta le norme urbanistiche del PRG, e può esser annullata se c’è un errore nell’applicare una
norma ma non può esser in ogni caso revocato se c’è un cambi odi destinazione d’uso (una formula che cerca
di tutelare il cittadino).

L’art. 31 della Legge 457/1978 da una definizione degli interventi edilizi ed in particolare di:
• manutenzione ordinaria e straordinaria
• restauro e risanamento conservativo
• ristrutturazione edilizia e urbanistica
L’art. 48 della Legge 457/1978 introduce l’Autorizzazione edilizia gratuita per le opere di manutenzione
straordinaria ed il restauro e il risanamento conservativo, la ristrutturazione è invece soggetta a concessione.
L’art. 7 della Legge 94/1982 (convertita nel D.L. 9/1982) introduce:
• ulteriori attività edilizia gratuite che prima erano libere, quali l’eliminazione di barriere architettoniche,
gli scavi, le occupazioni di suolo mediante deposito di materiale a cielo aperto, demolizioni, annessi
tecnologici
• il concetto di silenzio-assenso: presentata la domanda, e depositato il progetto, se l’Amministrazione non
risponde entro 90 giorni, si possono iniziare i lavori. E’ stato introdotto per le autorizzazioni, ma nel 1994 è
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stato fatto passare anche per le concessioni edilizie: la domanda equivale al rilascio tacito della concessione
edilizia.
Abbiamo quindi due ripartizioni: 1) Concessione Onerosa Tacita; 2) Autorizzazione Gratuita e
Autorizzazione Gratuita Tacita.

La “scissione” fra Concessione Edilizia e Permesso di Costruire causa una grande frammentazione della
Disciplina Urbanistica, in quanto entrambe riguardano concezioni diverse. La Concessione Edilizia riguarda
• nuove costruzioni e generici aumenti di volume:
• ogni trasformazione stabile sul territorio
• opere di ristrutturazioni edilizie che alterano il volume e la sagoma del costruito
• interventi duraturi.
E’ una concessione onerosa, ma gratuita per particolari interventi quali
• interventi in zona agricola
• interventi da realizzare in seguito a calamita (terremoti)
• opere statali
• ristrutturazione di edifici unifamiliari che non superano il 20% della volumetria.
L’autorizzazione edilizia (permesso di costruire) riguarda attività che non creano nuovi volumi abitabili, e
non è onerosa, almeno se non si interviene in aree demaniali.

Per ottenere i due provvedimenti bisogna avviare due procedimenti sempre per iniziativa di parte:
• la legge 241/1990 sul procedimento amministrativo dice che “ogni procedimento avviato si deve
concludere con un provvedimento espresso negativo o positivo”.
• Il procedimento viene avviato quando si presenta la domanda; l’amministrazione nomina un responsabile
che procura ai cittadini l’elenco dei documenti necessari per agevolare il procedimento; ovviamente il tempo
del procedimento dipende: 1) dalla completezza della domanda (più è incompleta più volte si dovranno
chiedere delucidazioni); 2) efficacia dell’amministrazione , ossia dalla velocità della decisione;
• Il parere della commissione edilizia è necessario, ma consultivo: ciò significa che è di consiglio, ma non
vincolante; dopodiché occorre un iter affinché il sindaco rilasci la concessione: in questo lasso di tempo la
commissione edilizia può esercitare o meno delle pressioni.

L’art. 19 della legge 241/1990 applica la Denuncia di Inizio Attività (D.I.A.) a tutte le opere che non siano
edilizia.
L’art. 4 della legge 493/1993 (convertita nel D.L. 398/1993) enuncia una maggiore complessità della
situazione, e disciplina il procedimento della concessione edilizia su cui si è innestato un provvedimento del
1995, convertito nella legge 662/1996 che si affianca a questa legge. Introduce oltretutto una sostanziale
modifica, in quanto cambia al visione prospettica del controllo dell’Attività edilizia: tutte le opere minori
soggette a concessione edilizia (quali manutenzione straordinaria, restauro, abbattimento barriere
architettoniche, recinzioni, etc.) son soggette alla DIA che non è altro che un’ulteriore forma semplificata di
titolo edilizio, ed è gratuita, ma non è un provvedimento abilitativo, bensì un’autocertificazione (auto
responsabilizzazione) non solo del privato (che si assume la responsabilità che il progetto sia conforme alla
disciplina vigente), ma anche dell’architetto che, occupandosi del progetto e dichiarandone la legittimità, se
dovesse aver dichiarato il falso, rischia sanzioni sia penali che pecuniarie, con relativa denuncia all’ordine
degli architetti.

La DIA consiste nel presentare la domanda con il progetto all’Amministrazione, assumendosi la


responsabilità che il progetto sia conforme e non crei volumetria nuova. Passati i 30 giorni, tempi nel quale
l’Amministrazione dovrebbe controllare, si possono iniziare i lavori che devono iniziare entro 1 anno e finire
entro 3. La DIA è un meccanismo che fa il verso alla liberalizzazione edilizia e alla velocizzazione del
mercato: ha difatti sostituito l’autorizzazione (adesso per le opere minori esiste solo la DIA, sebbene per

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molto tempo queste abbiano convissuto parallelamente).
Questa procedura non si può eseguire se la zona di interveto è vincolata, ossia se gli edifici sono considerati
come edifici storici, o se le aree sono vincolate idrogeologicamente o paesaggisticamente, perché
appartengono al patrimonio storico-artistico-archeologico: in questo caso infatti bisogna chiedere
l’autorizzazione a più soggetti, ossia non solo all’amministrazione comunale, ma anche all’autorità paesistica
che è la regione.

La DIA può esser utilizzata in variante della concessione edilizia. L’Art. 15 della Legge 47/1985 diceva che
la concessione edilizia poteva esser variata con un intervento in variante, chiedendo successivamente la
concessione della variante: in tal modo si bloccano i lavori perché si realizza l’opera secondo la concessione
ottenuta per quel progetto e se si deve modificare qualcosa si può fare e successivamente si chiede
l’autorizzazione per la variante in DIA.

L’art. 2 comma 60/62 della Legge 662/1996 integra la legge precedente ed identifica le opere soggette a DIA
con le opere di autorizzazione edilizia.
L’art. 1 comma 6 della Legge “Obbiettivo” n. 443/2001, varata per le grandi opere infrastrutturali (Ponte
sullo Stretto di Messina), dal Governo di Centro-Destra Berlusconi, introduce un’ulteriore facoltà: la DIA
viene estesa anche alle nuove costruzioni (senza limiti di volumetrie) e alla ristrutturazione urbana, ossia
introduce la SuperD.I.A. .
La SuperDIA può esser applicata e quindi può sostituire la concessione edilizia quando non c’è conformità ai
Piani vigenti: infatti c’è bisogno di un piano attuativo che contenga indicazioni tipologiche, formali,
costruttive e planivolumetriche molto dettagliate che permettano al costruttore di capire cosa realizzare.
L’art. 22 comma 3 dice che in assenza do un piano attuativo, basta un PRG con indicazioni tipologiche,
formali, costruttive e planivolumetriche. Peccato che in Italia piani del genere non esistano, perché le
amministrazioni non si sono mai impegnate nel farli.
La SuperDIA è stata inizialmente adottata su scala regionale dalla Lombardia e dalla Toscana, prima che il
governo la estese a tutto il territorio nazionale. Segue lo stesso procedimento della DIA canonica, e non è più
gratuita, ma diventa onerosa (sono fatte salve le ipotesi di esonero stabilite dall’art. 17, c. 3, TU, Edilizia).

Con la Legge 30 luglio 2010, n. 122, la DIA è stata sostituita dalla S.C.I.A. (Segnalazione Certificata di
Inizio Attività). La differenza principale sta nel fatto che, mentre con la DIA, per dare inizio alle opere, era
necessario aspettare i 30 giorni necessari per il silenzio-assenso, con la SCIA i lavori possono cominciare
subito dopo aver consegnato al Comune tutta la documentazione richiesta. La SuperDIA è tutt’ora in vigore.

Testo Unico in Materia Edilizia, 2003 (T.U. 2003)


Presentato la prima volta nel 2000 dal Governo Amato, entra in vigore con governo Berlusconi di centro
destra nel 2003 per consentire l’adeguamento del Testo Unico (TU) alla Legge “Obbiettivo”. La prima parte
del TU entra in vigore il 30 giugno 2003, mentre la seconda parte (contenente norme più tecniche) entra in
vigore nel gennaio 2004.
Il TU sostituisce la normativa fino ad allora vigente, in quanto costituisce una raccolta di tutte le norme
riguardanti l’edilizia (concessione edilizia, DIA, SuperDIA) con sostanziali cambiamenti:
• l’articolo 3 definisce gli interventi edilizi, recependo l’arti. 31 della Legge 457/1978, ma introducendo gli
interventi di nuova costruzione, soggetto alla SuperDIA, quali l’installazione di manufatti leggeri e di
strutture varie (camper e furgoni)
• l’articolo 6 individua gli interventi senza titolo abilitativo, ossia liberi, recependo l’arti 7 della Legge
94/1982, quali: manutenzione ordinaria; eliminazione delle barriere architettoniche (senza in ogni caso
modificare la sagoma dell’edificio con l’introduzione di scale e ascensori); opere temporanee per attività di
ricerca nel sottosuolo;
• l’articolo 10 definisce gli interventi subordinati al permesso di costruire: nuove costruzioni;

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ristrutturazione urbanistica ed edilizia (cioè con aggiunte che sono privi di costi se non ci sono modifiche
della sagoma dell’edificio, ed è invece soggetta a pagamento con l’aumentare della volumetria).
• l’articolo 20 definisce il procedimento di rilascio del permesso di costruire, articolato in 5 parti:
1. Deposito della Domanda e del Progetto;
2. Nomina del Responsabile del procedimento entro 10 giorni (20 giorni per comuni con abitanti superiori
ai 120.000)
3. Istruttoria entro 60 giorni (120 giorni per comuni con abitanti superiori ai 100.000): il responsabile del
procedimento acquisisce pareri di altri organi competenti, valuta la conformità del progetto alla normativa e
formula una proposta di provvedimento con una relazione dettagliata. L’istruttoria può esser interrotta solo
una volta se al responsabile servono altri pareri, ed entro 15 giorni dalla presentazione della domanda.
4. Adozione del Provvedimento (Permesso di Costruire) da parte del Dirigente o del Responsabile
d’Ufficio entro 15 giorni dalla scadenza dei 60 giorni
5. Affissione all’Albo Pretorio (Notifica al Privato)
• l’articolo 22 definisce gli interventi subordinati alla DIA (interventi previsti dal criterio residuale e quelli
che non comportano aumento di volumetria) e alla SuperDIA, comma 3 (ristrutturazione e nuove
costruzioni). La ristrutturazione è disciplinata dal piano attuativo del PRG con indicazioni planivolumetriche
in alterativa al permesso di costruire, mentre in caso di nuove costruzioni si deve scegliere se avvalersi del
Permesso di Costruire (oneroso) o della SuperDIA (gratuita). La scelta fra questi due dispositivi giuridici
spetta all’architetto, che deve tener conto della sostanzialità dell’intervento che si deve eseguire, e non della
forma.
• l’articolo 23 tratta del procedimento di rilascio della DIA e della SuperDIA: stabilisce il Deposito della
Domanda e del Progetto, con annessa Dichiarazione di Conformità al Piano Attuativo, e trascorsi i 30 giorni
o si possono iniziare i lavori, grazie al Silenzio-Assenso, o si riceve risposta negativa.

Nella SuperDIA l’architetto assume infatti una funzione pubblica, perché attesta alcune funzioni di pubblica
utilità, e ciò comporta ovviamente dei rischi nel caso di dichiarazione del falso, di sbagli, o di abusi:
l’amministrazione provinciale viene denunciata, mentre il professionista viene radiato dall’albo e costretto a
pagare una sanzione penale per Falso in Atto pubblico. Se il progetto presentato non è aggiornato, le Regioni
devono attenersi solo ai principi fondamentali. In ogni caso il progetto può esser modificato da tutte le
regioni nella parte riguardante i provvedimenti dei Permessi di Costruire e di DIA.

Onerosità del Permesso di Costruire


Il Costo di Costruzione è una quota che il richiedente è obbligato a versare, ed è calcolato in base alla
percentuale sui costi effettivi dell’intervento (in genere oscilla fra il 10% e l’11% del costo previsto, in base
alle tabelle regionali), ed è un costo rateizzabile.
Discorso diverso per l’Onere di Urbanizzazione: è una quota che va versata al momento del rilascio della
Concessione, ed è calcolato in base alle dimensioni dell’intervento, in relazione alle opere di Urbanizzazione
Primaria e Secondaria. Non è rateizzabile, a differenza del Costo di Costruzione, ma può esser evitato con lo
Scomputo delle Opere di Urbanizzazione: l’imprenditore, attraverso delle convenzioni, può realizzare
autonomamente le opere di urbanizzazione in accordo con l’amministrazione, ossia si impegna ad applicare
prezzi di vendita e condizione di locazione determinati.

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Riassunto delle tipologie di Intervento
• Interventi Gratuiti: sono interventi che non alterano i volumi e le destinazioni d’uso
- manutenzione straordinaria;
- Rinnovamento e Sostituzione di parti strutturali dell’edificio;
- Sostituzione e realizzazione di servizi igienico sanitario e tecnologici.
• Interventi soggetti ad Autorizzazione: interventi che conservano l’organismo edilizio e ne assicurano la
funzionalità con una serie di opere. Devono garantire coerenza con le caratteristiche preesistenti, anche
funzionali, del manufatto. Sono:
- Restauro e Risanamento osservativo, con il quale si vuole conservare l’edificio inserendo elementi per
migliorarne la funzionalità;
- Consolidamento;
- Ripristino e Rinnovo di elementi costitutivi dell’Edificio;
- Inserimento di Impianti.
• Interventi soggetti a Concessione: interventi che trasformano il manufatto, portando d un organismo in
tutto o in parte differente dal precedente. In genere si tratta di una ristrutturazione edilizia, con la quale si
trasforma l’edificio anche del tutto, comportando anche una modifica nella destinazione d’uso.

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