La legge n. 633 del 22/04/1941 art. 5 esclude l'applicazione del diritto d'autore ai testi degli atti ufficiali
dello Stato e delle amministrazioni pubbliche italiane e straniere
Cass. Civ. 7/01/92 n. 49 - Immissioni - Regolamento - Uso propriet .esclusiva
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove sia accettato
dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti, non solo per le clausole che disciplinano l'uso o il godimento
dei servizi o delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facolt dei singoli condomini
sulle loro propriet esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servit reciproca. Ne consegue che
qualora il regolamento di condominio faccia divieto di svolgere determinate attivit (nella specie: divieto di
adibire i locali del fabbricato condominiale ad esercizio di ristorante) non occorre accertare, al fine di ritenere
l'attivit stessa illegittima, se questa costituisca oppure no immissione vietata a norma dell'art. 844 c.c., con le
limitazioni ed i temperamenti in tale norma indicati, in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale
possono legittimamente imporre limitazioni al godimento della propriet esclusiva anche diverse o maggiori di
quelle stabilite dalla citata norma, e l'obbligo del condominio di adeguarsi alla norma regolamentare discende in
via immediata e diretta ex contractu per il generale principio espresso dall'art. 1372 c.c.). Il regolamento
convenzionale di condominio, anche se non materialmente inserito nel testo del contratto di compravendita dei
singoli appartamenti compresi nell'edificio condominiale, fa corpo con essi purch espressamente richiamato ed
approvato, di guisa che le sue clausole rientrano per relationem nel contenuto dei singoli contratti di acquisto; e
poich il richiamo per relationem del contenuto del regolamento opera di entrambi i contraenti, ne deriva che le
singole clausole restano fuori della previsione legislativa del secondo comma dell'art. 1341 c.c. che nel sancire
la necessit della specifica approvazione fa riferimento alle sole clausole cosiddette "vessatorie" che risultano
predisposte da una soltanto delle parti contraenti.
Cass.04/02/92 n.1195 - Immissioni
I limiti di destinazione e di uso imposti da un regolamento di condominio ad una unit immobiliare di propriet
esclusiva sono opponibili, pur in difetto della trascrizione del relativo atto, al terzo acquirente, nel caso in cui lo
stesso nel contratto di compravendita abbia espressamente dichiarato di conoscere il regolamento di
condominio e di accettarlo in ogni sua parte (nella specie il regolamento condominiale conteneva una clausola
che vietava l'adibizione degli appartamenti ad attivit rumorose, insalubri, ed emananti esalazioni nocive o
sgradevoli). Qualora i condomini, con il regolamento di condominio, abbiano disciplinato i loro rapporti reciproci
in materia di immissioni con norma pi rigorosa di quella dettata dall'art. 844 c.c., che ha carattere dispositivo,
della liceit o meno della concreta immissione si deve giudicare non alla stregua del principio generale posto
dalla legge, bens del criterio di valutazione fissato nel regolamento (nella specie trattavasi dell'installazione di
una tipografia nonostante che il regolamento facesse divieto di svolgere attivit rumorose od emananti
esalazioni nocive).
Cass. 07/03/92 - n. 2774 - Canna fumaria
Il condomino che inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione,
con opere murarie, al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazione
particolare della cosa che non ne compromette necessariamente la destinazione e che deve essere, pertanto,
considerato del tutto legittimo se, trattandosi della occupazione di una zona periferica di una parte del tutto
trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, possa, in concreto, escludersi, che la predetta
utilizzazione, menomi la funzione di copertura e calpestio del lastrico o le possibilit di uso degli altri
comproprietari.
Cass. 10/04/92 n. 4405 - Tabelle Millesimali
La domanda di uno dei condomini per l'accertamento della invalidit ed inefficacia della tabella millesimale
deliberata dall'assemblea dei condomini senza voto unanime, deve essere necessariamente proposta nei
confronti di tutti i condomini, e non anche del solo amministratore del condominio, la cui rappresentanza
processuale passiva dei condomini limitata, a norma dell'art. 1131 c.c. alle parti comuni dell'edificio, ma che
passivamente legittimato ad causam per la tutela degli interessi comuni, sui quali la domanda di accertamento
della invalidit delle tabelle millesimali destinata a riflettersi.
Cass. 19/05/92 n. 5977 - Regolamento
La disposizione di un regolamento condominiale che prevede una indennit di mora in caso di ritardato
pagamento dei contributi da parte dei condomini non ha natura di clausola penale e di conseguenza non pu
essere soggetta a riduzione in sede giudiziale, non competendo al giudice un potere di riduzione che finirebbe
per modificare la norma regolamentare secondo le diverse e concrete applicazioni con la conseguente perdita,
nei confronti dei condomini, della sua funzione.
Cass. 27/06/92 n. 8074 - Assemblea
La mancata comunicazione, agli aventi diritto, dell'avviso di convocazione dell'assemblea dei condomini
prescritto dall'art. 1136, comma sesto, c.c., comporta la nullit assoluta ed insanabile della deliberazione,
opponibile anche dai condomini che hanno ricevuto la comunicazione e partecipato all'assemblea.
Cass. 24/08/92 - n. 9828 - Spese
Poich l'amministratore di condominio nell'attivit di riscossione dei contributi dovuti da ciascun condomino per
l'utilizzazione delle cose comuni agisce in rappresentanza degli altri condomini, le controversie che insorgono in
ordine a tale riscossione costituiscono una lite tra condomini soggetta quanto alla competenza territoriale ai
criteri dell'art. 23 c.p.c. e quindi devoluta alla cognizione del giudice del luogo in cui si trova l'immobile
condominiale
Cass. 29/08/92 n. 9999 - Cancelli
In tema di condominio di edifici la delibera assembleare, con la quale sia stata disposta la chiusura di un'area di
accesso al fabbricato condominiale con un cancello o con una sbarra comandati elettricamente e con consegna
del congegno di apertura e di chiusura ai proprietari delle singole unit immobiliari, rientra nei poteri
dell'assemblea dei condomini, attinendo all'uso della cosa comune ed alla sua regolamentazione, senza
sopprimere o limitare le facolt di godimento dei condomini, e non incorre, pertanto, nel divieto stabilito dall'art.
1120, comma secondo, c.c. per le innovazioni pregiudizievoli delle facolt di godimento dei condomini, non
incidendo sull'essenza del bene comune, n alterandone la funzione o la destinazione. In tema di condominio di
edifici la delibera assembleare, con la quale sia stata disposta la chiusura di un'area di accesso al fabbricato
condominiale con un cancello o con una sbarra comandati elettricamente e con consegna del congegno di
apertura e di chiusura ai proprietari delle singole unit immobiliari, rientra nei poteri dell'assemblea dei
condomini, attinendo all'uso della cosa comune ed alla sua regolamentazione, senza sopprimere o limitare le
facolt di godimento dei condomini, e non incorre, pertanto, nel divieto stabilito dall'art. 1120, comma secondo,
c.c. per le innovazioni pregiudizievoli delle facolt di godimento dei condomini, non incidendo sull'essenza del
bene comune, n alterandone la funzione o la destinazione
Cass. 02/10/92 - n.- 10838 - Amministratore - responsabilt
In tema di condominio di edifici l'approvazione assembleare dell'operato dell'amministratore e la mancata
impugnativa delle relative delibere preclude l'azione di responsabilit al singolo condomino leso dall'attivit e
dalle iniziative arbitrarie dello stesso soltanto per le attivit di gestione dei beni e dei servizi condominiali, per le
quali il potere di approvazione compete esclusivamente all'assemblea a norma dell'art. 1135 n. 3 c.c. La delibera
assembleare di approvazione non esclude invece l'anzidetta responsabilit nel caso di mancata tempestiva
informazione da parte dell'amministratore di atti che hanno incidenza diretta sul patrimonio del singolo
condomino, come nel caso di mancato riferimento di perizie relative a controversie con altri soggetti.
Cass. 21/10/92 - n. 11509 - Facciata
La domanda proposta da un condomino nei confronti di altro condomino per ottenere la riduzione in pristino
della facciata dell'edificio condominiale, ove comporti l'accertamento del diritto del condomino convenuto di
modificare sostanzialmente la facciata dell'edificio in forza del proprio titolo d'acquisto, essendo destinata ad
incidere sui diritti su un bene comune degli altri condomini, deve essere decisa nei confronti di tutti, perch
investe un rapporto giuridico unico ed indivisibile, con la conseguenza che deve disporsi l'integrazione del
contraddittorio nei confronti dei condomini pretermessi a norma dell'art. 102 cod. proc. civ.
Cass. 29/1092 - 11774 - Lastrico solare
Il lastrico solare, anche se attribuito in uso esclusivo o di propriet esclusiva di uno dei condomini, svolge
funzione di copertura del fabbricato e perci l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre
che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti i condomini, con ripartizione delle
relative spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c.; di conseguenza il condominio risponde, quale custode ex
art. 2051 c.c., dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico
solare, non rilevando a tal fine che i necessari interventi riparatori o ricostruttivi non consistano in un mero
ripristino delle strutture preesistenti, ma esigano una specifica modifica od integrazione in conseguenza di vizi o
carenze costruttive originarie, salva in questo caso l'azione di rivalsa nei confronti del costruttore-venditore (nella
specie per impedire infiltrazioni d'acqua ai piani sottostanti, era necessaria la messa in opera di materiale
isolante, idoneo a sopperire all'inadeguata coibentazione delle strutture originarie).
Cass. 05/11/92 - n. 11981 - Spese
L'obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini tenuto a contribuire alle spese per la conservazione
e manutenzione delle parti comuni dell'edificio, qualora la ripartizione delle spese sia avvenuta soltanto con
l'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1135, n. 3, c.c., sorge soltanto dal
momento della approvazione della delibera assembleare di ripartizione delle spese. Ne consegue che la
prescrizione del credito nei confronti di ciascun condomino inizia a decorrere soltanto dalla approvazione della
ripartizione delle spese e non dall'esercizio di bilancio.
Cass. 11/11/92 - n. 12115 - Tabelle Millesimali
In tema di ripartizione di spese condominiali la tabella millesimale approvata da tutti i condomini modificabile
soltanto con deliberazione adottata con il consenso di tutti i condomini, oppure con provvedimento del giudice
nei soli casi tassativamente indicati dall'art. 69 att. c.c. Ne consegue che il potere dell'assemblea condominiale
di deliberare a maggioranza una ripartizione provvisoria dei contributi a titolo di acconto e salvo conguaglio pu
riconoscersi soltanto in assenza di una precedente regolamentazione negoziale.
Cass. 11/11/92 - n. 12125 - Amministratore - condono edilizio
L'amministratore del condominio, in quanto tenuto ad eseguire le deliberazioni dell'assemblea, ha la
legittimazione ad agire nei confronti dei condomini inadempienti alle obbligazioni di pagamento dei contributi in
base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, senza necessit di una specifica autorizzazione,
trattandosi di controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni. La deliberazione dell'assemblea dei
condomini, la quale, ai fini della sanatoria degli abusivismi edilizi di cui alla l. 28 febbraio 1985, n. 47, determini
la ripartizione fra i condomini delle somme da corrispondere a titolo di oblazione in base alle superfici dei singoli
appartamenti anzich in base ai millesimi di propriet, non affetta da nullit, n per contrasto con norme
imperative, n sotto il profilo della lesione dei diritti individuali dei condomini, in considerazione della
rispondenza di detto criterio a quelli previsti dagli artt. 34 e 51 della citata legge.
Cass. 11/11/92 - n. 12119 - Assemblea
Affinch uno dei comproprietari pro indiviso di un piano o porzione di piano possa ritenersi ritualmente
convocato a partecipare all'assemblea del condominio, nonch validamente rappresentato nella medesima, con
riguardo ad affari di ordinaria amministrazione, dall'altro comproprietario della stessa unit immobiliare, non si
richiedono particolari formalit, essendo sufficiente che risulti provato, anche per presunzioni, che il primo dei
predetti comproprietari abbia ricevuto effettiva notizia della convocazione dell'assemblea ed abbia conferito, sia
pure verbalmente, il potere di rappresentanza. Il verbale dell'assemblea del condominio, anche nella parte in cui
indica la presenza, di persona o per delega, dei condomini, offre una prova presuntiva, di modo che spetta al
condomino che impugni la deliberazione, contestando la rispondenza a verit di detta indicazione, di fornire la
relativa dimostrazione.
Cass. 19/11/92 - n. 12379 - Assemblea - rappresentanza
Qualora il condomino agisca per far valere l'invalidit di una delibera assembleare, incombe sul condominio
convenuto l'onere di provare che tutti i condomini sono stati tempestivamente avvisati della convocazione, quale
presupposto per la regolare costituzione dell'assemblea, mentre resta a carico dell'istante la dimostrazione degli
eventuali vizi inerenti alla formazione della volont dell'assemblea medesima. All'amministratore del condominio
compete l'esclusiva legittimazione passiva nelle cause promosse da uno dei condomini per impugnare le
deliberazioni assembleari, ove queste non attengono a diritti sulle cose comuni. In tali cause, pertanto, deve
riconoscersi la capacit a deporre degli altri condomini, in quanto non portatori di un interesse che li abiliti a
partecipare al giudizio.
Cass. 28/11/92 - n. 12792 - Balconi
Il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte o della parte sottostante della soletta dei balconi degli
appartamenti di un edificio debbono essere considerati di propriet comune dei condomini, in quanto destinati
all'uso comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di
rendere esteticamente gradevole l'edificio, mentre sono pertinenze dell'appartamento di propriet esclusiva
quando servono solo per il decoro di quest'ultimo; conseguentemente, nel caso di distacco, per vizio di
costruzione, del rivestimento o degli elementi decorativi predetti, l'azione di responsabilit nei confronti del
costruttore legittimamente esperita dal condominio, ai sensi dell'art. 1669 c.c., se il rivestimento o gli elementi
decorativi abbiano prevalente funzione estetica per l'intero edificio.
Cass. 11/11/92 - n. 13111- Assemblea - spese legali
nulla per contrariet alla legge la deliberazione dell'assemblea di un condominio che abbia approvato il
rendiconto annuale includendovi le spese legali sostenute in proprio dagli amministratori in una procedura
promossa nei loro confronti, attesa la non inerenza delle spese anzidette alla gestione condominiale. Tale
delibera pu essere impugnata in parte qua dai condomini dissenzienti, ancorch le loro quote di spesa siano
state successivamente assunte a loro carico dagli amministratori, scaturendo l'interesse all'impugnazione,
nonostante la rinuncia al rimborso, dal carattere vincolante per tutti i condomini della deliberazione, che
conserva immutata la propria efficacia esecutiva.
Cass. 11/01/93 n. 172 - Uso della cosa comune
La cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., pu essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e
diverso dal suo normale uso se ci non alteri l'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli
altri e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari; pertanto,
legittima la costruzione di sporti sul cortile, (sulla strada o sul passaggio comune) se sia realizzata in modo da
non pregiudicare n la normale funzione del cortile, che di regola, quella di fornire aria e luce agli immobili
circostanti (e, per la strada, quella di permettere il transito dei condomini) n le possibilit di utilizzazione
particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini. (Nella specie, trattavasi del telaio e dei battenti degli
infissi, in posizione di completa apertura o di completa chiusura, realizzati, al pianterreno, nel muro prospiciente
il passaggio comune senza ridurne la larghezza utilizzabile, dato che nel tratto precedente il passaggio era
ristretto da un'antica sporgenza). Il condomino non ha il dovere di limitare l'uso della cosa comune ai soli casi in
cui il suo interesse non possa essere altrimenti soddisfatto con il medesimo costo, perch il solo limite che l'art.
1102 c.c. pone al potere di utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun condomino quello del divieto di
alterarne la destinazione e di impedire che altri ne faccia parimenti uso secondo il suo diritto.
Cass. 14/01/93 - n. 395 - Acquirente - regolamento - sopraelevazione
Il regolamento convenzionale di condominio - anche se non materialmente inserito nel testo del contratto di
compravendita dei singoli appartamenti dell'edificio condominiale - fa corpo con esso, purch espressamente
richiamato ed approvato, di modo che le sue clausole rientrano, almeno per relationem, nel contenuto dei singoli
contratti di acquisto. E trattandosi, in questo caso, di relatio perfecta, in quanto il richiamo opera di entrambi i
contraenti, le singole clausole del regolamento di condominio restano fuori dalla previsione del secondo comma
dell'art. 1341 c.c., che, nel sancire la necessit della specifica approvazione per iscritto di condizioni vessatorie,
ha riguardo alle sole clausole, di contratti per adesione o analoghi, che risultino predisposte da una soltanto
delle parti contraenti. Il regolamento di condominio, qualora abbia natura contrattuale (in quanto accettato da
tutti i condomini), pu imporre restrizioni anche ai poteri ed alle facolt spettanti ai condomini sulle parti
dell'edificio di loro esclusiva propriet. Tali limitazioni vincolano anche gli acquirenti dei singoli appartamenti,
indipendentemente dalla trascrizione, qualora essi nell'atto di acquisto, facendo espresso riferimento al
regolamento, dimostrino di esserne a conoscenza e di accettarne il contenuto. (Nella specie la Suprema Corte
ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto che la clausola del regolamento,
richiamato negli atti di acquisto, che faceva divieto di effettuare qualunque modifica o variazione esterna
all'edificio, costituiva titolo per l'esclusione del diritto di sopraelevazione riconosciuto al proprietario dell'ultimo
piano dall'art. 1127 c.c.).
cose indicate dall'art. 1117 c.c., rimaste in comunione, al servizio di tutti, deve ritenersi applicabile anche nei
casi in cui in seguito allo scioglimento della comunione i singoli immobili siano rimasti in propriet solitaria.
Pertanto, nel caso di divisione di un edificio soggetto al regime del condominio in porzioni aventi le
caratteristiche di edifici autonomi, sulle parti rimaste in compropriet degli originari partecipanti nonostante lo
scioglimento del condominio, in difetto di espresso mutamento del titolo continua ad applicarsi la disciplina del
condominio di edifici con la conseguenza che, il tratto di accesso, racchiuso dalle costruzioni in propriet
esclusiva e destinato a dare ad esse il passaggio, in quanto compreso nella compropriet ex art. 1117 c.c.,
viene usato jure proprietatis e non jure servitutis dai comproprietari, che possono procedere all'apertura di nuove
porte attraverso il muro delimitante i fabbricati insistenti sull'accesso medesimo, quale legittima utilizzazione
della cosa comune a norma dell'art. 1102 cod. civ.
Cass. 17/03/93 n. 3159 - Amministratore - assemblea
Nel corso del giudizio, di cui sia parte costituita un condominio legalmente rappresentato dall'amministratore, la
cessazione del rapporto di rappresentanza per dimissioni comporta l'interruzione del processo, a norma dell'art.
300 c.p.c., soltanto se e quando l'evento sia stato dichiarato in udienza, ovvero sia notificato alle altre parti dal
procuratore costituito; altrimenti, il rapporto processuale prosegue senza soluzione di continuit e senza dar
luogo a successione nel processo quando si costituisca in giudizio il nuovo amministratore, ed perci valida
l'impugnazione proposta dall'amministratore dimissionario il cui potere perdura fino alla sua sostituzione. La
disposizione dell'art. 2377 ultimo comma c.c. secondo cui l'annullamento della deliberazione non pu essere
pronunciato se la deliberazione impugnata sia stata sostituita da altra presa in conformit della legge e dell'atto
costitutivo, bench dettata con riferimento alle societ per azioni, ha carattere generale ed pertanto applicabile
alle assemblee dei condomini di edifici. Pertanto, l'assemblea dei condomini, regolarmente riconvocata, pu
deliberare sugli stessi argomenti di una precedente deliberazione invalida, ponendo in essere, pur senza
l'adozione di formule ad hoc, un atto sostitutivo di quello invalido, stabilendone liberamente gli effetti nel tempo
fino alla completa retroattivit. Nei poteri attribuiti all'amministratore di condominio dall'art. 1130 c.c. rientra
quello di stipulare contratti necessari per provvedere, nei limiti della spesa approvata dall'assemblea, tanto
all'ordinaria manutenzione, quanto alla prestazione dei servizi comuni. Detti contratti sono, pertanto, vincolanti
per tutti i condomini ai sensi dell'art. 1131 cod. civ.
Cass. 26/03/93 - n. 3642 - Danni - solai
Negli edifici in condominio, a differenza del solaio divisorio tra due piani dell'edificio, in propriet comune ai due
rispettivi proprietari, il solaio del piano terreno sottostante al relativo pavimento, costruito a livello della superficie
di campagna, in quanto parte integrante del solo piano terreno, appartiene in propriet esclusiva al proprietario
del piano, alla stessa stregua del pavimento. Ne consegue che in caso di vizio costruttivo del solaio, rivelatosi
inidoneo a svolgere autonomamente la funzione di sostenere l'unit immobiliare, la responsabilit per i danni
che ne siano derivati alle singole propriet individuali deve ascriversi al proprietario del piano con esclusione di
ogni responsabilit del condominio.
Cass. 30/03/93 n. 3865 - Servit
Per il disposto dell'art. 1108 comma terzo c.c., applicabile anche al condominio di edifici per il rinvio contenuto
nell'art. 1139 alle norme sulla comunione, la costituzione di una servit sulle parti comuni dell'edificio richiede il
consenso unanime di tutti i condomini. Pertanto, in mancanza di un tale consenso non valida la deliberazione
adottata dall'assemblea dei condomini, che abbia approvato i lavori eseguiti, su autorizzazione
dell'amministrazione, dalla Sip, di posa di un cavo telefonico sull'edificio condominiale, in guisa da creare una
situazione di fatto corrispondente ad una servit di passaggio di conduttura di cavo telefonico, suscettibile di far
maturare con il tempo l'usucapione di tale diritto.
Cass. 16/04/93 n. 4530 - Lastrico solare
L'azione di rivendicazione della propriet comune dell'appartamento abusivamente costruito da un condomino
sul lastrico solare comune dell'edificio condominiale, non avendo scopo meramente conservativo, non rientra tra
gli atti che, ai sensi dell'art. 1130 n. 4 c.c., l'amministratore ha il potere di compiere senza necessit di delega o
autorizzazione dell'assemblea dei condomini.
Cass. 17/04/93 n. 4558 - Amministratore - obbligazioni verso terzi
Le obbligazioni contratte verso i terzi dall'amministratore del condominio (o da chi altri sia stato delegato dai
condomini a contrarle) per conto del condominio e nei limiti delle sue attribuzioni o eseguendo deliberazioni
dell'assemblea, sono direttamente riferibili ai singoli condomini che, in base all'art. 1284 c.c., sono, quindi,
solidalmente responsabili, nei confronti del terzo, dell'adempimento delle predette obbligazioni, salvo il diritto di
chi ha pagato di esercitare verso i condomini condebitori il diritto di regresso e di dividere il debito nei rapporti
interni; pertanto, il terzo creditore del condominio pu agire per la tutela del suo diritto sia contro l'amministratore
o di chi altri abbia contratto l'obbligazione per delega o in rappresentanza dei condomini, sia nei confronti dei
singoli condomini, direttamente obbligati nei suoi confronti.
Cass. 20/04/93 n. 4631- Vigilanza
In tema di condominio degli edifici, la delibera istitutiva di un servizio di vigilanza armata, per la tutela
dell'incolumit dei partecipanti, rivolta a perseguire finalit estranee alla conservazione e gestione delle cose
comuni, e, quindi, non riconducibile nelle attribuzioni dell'assemblea (art. 1135 c.c.). Ne deriva che tale
delibera, ancorch presa a maggioranza, non opera nei confronti dei condomini assenti all'assemblea e non pu
essere fatta valere per una ripartizione della relativa spesa anche a loro carico.
Cass. 26/04/93 - n. 4881 - Parti comuni in genere
La presunzione legale di comunione di talune parti dell'edificio condominiale, stabilita dall'art. 1117 c.c., deve
ritenersi applicabile, per analogia, anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bens di parti
comuni di edifici limitrofi ed autonomi, oggettivamente e stabilmente destinate alla conservazione, all'uso od al
servizio di detti edifici, ancorch insistenti sull'area appartenente al proprietario (od ai proprietari) di uno solo
degli immobili; in simili ipotesi, per, la presunzione invocabile solo se l'area e gli edifici siano appartenuti ad
una stessa persona - o a pi persone pro indiviso - nel momento della costruzione della cosa o del suo
adattamento o trasformazione all'uso comune, mentre, nel caso in cui l'area sulla quale siano state realizzate le
opere destinate a servire i due edifici sia appartenuta sin dall'origine ai proprietari di uno solo di essi, questi
ultimi acquistano per accessione la propriet esclusiva delle opere realizzate sul loro fondo, anche se poste in
essere per un accordo intervenuto tra tutti gli interessati e/o con il contributo economico dei proprietari degli altri
edifici.
Cass. 27/04/93 - n. 4931 - Vendita
In tema di condominio di edifici le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di propriet
individuale estendono i loro effetti, secondo il principio accessorium sequitur principale, alle parti comuni
necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di propriet solitaria, ma non
anche alle cose legate all'edificio da mera relazione spaziale, costituenti beni ontologicamente diversi suscettibili
di godimento fine a se stesso che si attua in modo indipendente da quello delle unit abitative (nella specie la
Suprema Corte ha ritenuto corretta l'interpretazione di un contratto di vendita di un appartamento da parte dei
giudici di merito i quali, nel silenzio del titolo, avevano escluso che le parti avessero inteso ricomprendere nel
trasferimento la quota millesimale di compropriet di un'area condominiale scoperta).
Cass. 29/04/93 - n. 5064 - tetto
Le spese di rifacimento del tetto di un edificio diviso in pi piani sono sostenute dai condomini, ai sensi degli artt.
1117 e 1123 c.c., in proporzione al valore del piano o della porzione di piano appartenente a ciascuno in via
esclusiva, salvo diversa convenzione, senza che sia applicabile il principio dell'art. 1101 c.c. in materia di
comunione (in base al quale le spese debbono gravare su tutti i partecipanti in eguale misura, ove non risulti una
diversa entit delle quote), trovando spiegazione la detta deroga nella funzione strumentale delle parti comuni
dell'edificio in condominio rispetto alle parti in propriet esclusiva dei singoli condomini, delle quali esse sono a
servizio, consentendone la esistenza e l'uso.
Cass. 03/05/93 - n. 5125 - lastrico solare
In tema di ripartizione delle spese condominiali le attribuzioni dell'assemblea ex art. 1135 c.c. sono circoscritte
alla verificazione ed all'applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, che non comprendono il potere di
introdurre deroghe ai criteri medesimi, atteso che tali deroghe venendo ad incidere sul diritto individuale del
singolo condomino di concorrere nelle spese per le cose comuni dell'edificio condominiale in misura non
superiore a quelle dovute per legge, possono conseguire soltanto ad una convenzione cui egli aderisca.
Pertanto nulla e non meramente annullabile, anche se presa all'unanimit, la delibera che modifichi il criterio
legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall'art. 1126 c.c., senza che i
condomini abbiano manifestato la espressa volont di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso,
con la conseguenza che detta nullit pu essere fatta valere, a norma dell'art. 1421 c.c., anche dal condomino
che abbia partecipato all'assemblea esprimendo voto conforme alla deliberazione stessa, purch alleghi e
dimostri di avervi interesse per derivare dalla deliberazione assembleare un apprezzabile suo pregiudizio, non
operando nel campo del diritto sostanziale la regola propria della materia processuale secondo cui chi ha
concorso a dare causa alla nullit non pu farla valere. In base al criterio di ripartizione delle spese stabilito
dall'art. 1126 c.c. il proprietario esclusivo del lastrico solare (cui va equiparata la terrazza a livello) deve
contribuire nelle spese di riparazione soltanto nella misura di un terzo, senza dover concorrere nella ripartizione
degli altri due terzi della spesa stessa, che restano a carico dei soli proprietari dei piani sottostanti ai quali il
lastrico (o la terrazza) serve da copertura.
Cass. 04/05/93 - n. 5161- modificazioni
Il divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilit di sfruttamento da parte di tutti i partecipanti
alla comunione secondo l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni del bene
comune delle quali i comproprietari si siano convenzionalmente attribuiti il godimento separato, in quanto anche
in tal caso, non venendo meno la contitolarit dell'intero bene, la facolt di utilizzazione della cosa attribuita a
ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed analoga facolt degli altri, con la conseguenza che
sono consentite solo le opere necessarie al miglior godimento, dovendo per contro ravvisarsi una lesione del
diritto di compropriet degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e
quindi concretamente sottratta alla possibilit dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o
originariamente praticati.
Cass. 08/06/93 - n. 6403 - riscaldamento e risparmio energetico
La deliberazione con cui l'assemblea dei condomini approvi la ripartizione delle spese del servizio di
riscaldamento centralizzato senza avere prima accertato il volume dei singoli cespiti, in violazione della
disposizione del regolamento di condominio che prevede il riparto volumetrico della spesa, non affetta da
nullit bens soltanto annullabile, ove denunciata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine di decadenza
di cui all'art. 1137 c.c., non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 cod. civ.
Cass. 15/06/93 - n. 6640 - sottotetto e risparmio energetico
L'ambiente ricavato sotto il tetto dell'edificio in condominio, in modo da formare una camera d'aria limitata, in
alto, dalla struttura del tetto ed, in basso, dal solaio che copre i vani dell'ultimo piano (cosiddetto sottotetto),
assolve, di regola, ad una funzione isolante e protettiva di questi vani e, quando non risulti una diversa
destinazione o non sia diversamente disposto dal titolo, non , quindi, oggetto di comunione ma costituisce
pertinenza dell'appartamento dell'ultimo piano.
Cass. 21/06/93 - n. 6850 -cortile - sporti
La costruzione, da parte del condominio, di sporti sul cortile o sul passaggio comune, con conseguente
occupazione della colonna d'aria sovrastante il terreno comune, costituisce esplicazione del diritto di
utilizzazione della cosa, ai sensi dell'art. 1102 c.c., quando non ne pregiudichi la normale funzione o le
possibilit di utilizzazione particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini.
Cass. 21/06/93 - n. 6856 - danni - legittimazione
L'azione a tutela di un diritto comune, come l'impugnativa di una sentenza di condanna emessa nei confronti
dell'intero condominio, pu essere esercitata anche da un singolo condomino, senza che sia necessario
integrare il contraddittorio nei confronti dei condomini non appellanti, n intervenienti in appello e senza che ci
determini passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti di questi ultimi, dato che l'interesse
per il quale il singolo agisce comune a tutti i condomini, dovendo in tal caso ravvisarsi nei rapporti fra i
condomini una forma di rappresentanza reciproca, attributiva a ciascuno di una legittimazione sostitutiva
nascente dal fatto che ogni compartecipe non pu tutelare il proprio diritto senza necessariamente e
contemporaneamente difendere l'analogo diritto degli altri. Riguardo ai danni che una porzione di propriet
esclusiva in edificio condominiale subisca per vizi delle parti comuni, imputabili all'originario
costruttore-venditore, deve riconoscersi al titolare di detta porzione la possibilit di esperire azione risarcitoria
contro il condominio, non in forza dell'art. 1669 c.c., dato che il condominio quale successore a titolo particolare
di detto costruttore non subentra nella responsabilit posta a suo carico da detta norma, ma in base all'art. 2051
c.c. in relazione alla ricollegabilit di quei danni all'inosservanza da parte del condominio medesimo dell'obbligo
di provvedere quale custode ad eliminare le caratteristiche dannose della cosa.
Cass. 03/07/93 - n. 7297 - riscaldamento e risparmio energetico - spese
L'osservanza, da parte della minoranza dissenziente, della deliberazione legittimamente adottata dall'assemblea
dei condomini dell'edificio ai fini del regolamento interno della ripartizione delle spese per il godimento di parti
comuni (nella specie, ripartizione delle spese di esercizio e manutenzione dell'impianto di riscaldamento),
essendo esclusivamente dovuta alla efficacia vincolante dell'atto collettivo anche nei confronti dei dissenzienti,
non esprime una volont negoziale di tacita adesione e non pu, pertanto, trasformare la delibera condominiale
in regolamento contrattuale non pi modificabile senza il consenso unanime delle parti.
Cass. 07/07/93 - n. 7449 - parti comuni in genere - terrazze a livello
In tema di condominio negli edifici, l'individuazione delle parti comuni, come le terrazze di copertura, risultante
dall'art. 1117 c.c. - il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i
condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria - pu essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un
determinato titolo e non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate
oggettivamente al servizio esclusivo di una o pi unit immobiliari.
Cass. 13/07/93 - n. 7691 - modificazioni
In caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di
taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini,
legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal
che possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione
senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una sua autonomia rispetto
all'edificio), quando risulti quello di una o pi delle porzioni immobiliari in cui l'edificio stesso si articoli.
Cass. 18/08/93 - n. 8755 - assemblea - locazioni
L'art. 10 L. 27 luglio 1978 n. 392 il quale attribuisce al conduttore il diritto di votare in luogo del proprietario nelle
assemblee condominiali aventi ad oggetto l'approvazione delle spese e delle modalit di gestione dei servizi di
riscaldamento e di condizionamento d'aria e di intervenire senza diritto di voto sulle delibere relative alla
modificazione di servizi comuni, riconosce implicitamente con il rinvio alle disposizioni del codice civile
concernenti l'assemblea dei condomini, il diritto dell'inquilino di impugnare le deliberazioni viziate, semprech
abbiano ad oggetto le spese e le modalit di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria. Al
di fuori delle situazioni richiamate, la norma in esame non attribuisce all'inquilino il potere generale di sostituirsi
al proprietario nella gestione dei servizi condominiali, sicch deve escludersi la legittimazione del conduttore ad
impugnare la deliberazione dell'assemblea condominiale di nomina dell'amministratore e di approvazione del
regolamento di condominio e del bilancio preventivo.
Cass. 20/08/93 - n. 8804 - amministratore - responsabilit - sanzioni - uso della cosa comune
L'amministratore del condominio, che responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso
dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari, non pu essere ritenuto
responsabile, ancorch sia tenuto a far osservare il regolamento condominiale, dei danni cagionati dall'abuso
dei condomini nell'uso della cosa comune, non essendo dotato di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei
singoli condomini - salvo che il regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 att. c.c., preveda la possibilit di
applicazione di sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme da esso stabilite sull'uso delle cose
comuni - n obbligato a promuovere azione giudiziaria contro i detti condomini in mancanza di una espressa
disposizione condominiale o di una delibera assembleare.
Cass. 03/09/93 - n. 9311 - insegne e targhe - muri
In tema di condominio di edifici, i partecipanti con voto unanime possono sottoporre a limitazioni, nell'ambito
dell'autonomia negoziale, l'esercizio dei poteri e delle facolt che normalmente caratterizzano il contenuto del
diritto di propriet sulle cose comuni, vertendosi in materia disponibile, con la conseguenza che con
regolamento contrattuale possono vietare l'apposizione di insegne, targhe e simili sui muri perimetrali comuni,
ovvero subordinarla al consenso dell'amministrazione.
Cass. 23/10/93 - n. 10513 - decoro architettonico
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica
data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed imprimono alle
varie parti dell'edificio, nonch all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica, fisionomia,
senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico. L'indagine volta a stabilire se, in concreto,
un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico demandata al giudice del merito, il cui
apprezzamento sfugge al sindacato di legittimit, se congruamente motivato.
Cass. 23/10/93 - n. 10519 - scambiatori di calore
La controversia, instaurata da un condomino per la rimozione dalla facciata dell'edificio condominiale di uno
scambiatore di calore installatovi da un altro condomino con l'autorizzazione della assemblea, a motivo del
pregiudizio arrecato al decoro architettonico e alla sicurezza dell'edificio stesso, riguarda non le modalit d'uso o
la misura dei servizi condominiali, ma la contestazione in radice del diritto del condomino di fare un determinato
uso della cosa comune e del potere dell'assemblea di consentirlo, e, quindi, esula dalla competenza per materia
del conciliatore o del pretore, restando soggetta alle regole della competenza per valore nelle cause relative a
beni immobili (art. 15 c.p.c.), con la conseguenza che onere della parte che eccepisca l'incompetenza del
giudice adito di dedurre e dimostrare il superamento del relativo limite.
Cass. 13/11/93 - n. 11207 - parti comuni in genere - servit
Nel caso in cui su una delle parti comuni di un edificio in condominio (elencate dall'art. 1117 c.c.), gravi un peso
diretto a fornire ad un piano o ad una porzione di piano in propriet esclusiva una utilit ulteriore e diversa,
rispetto a quella normalmente derivante dalla destinazione della cosa al servizio di tutte le unit immobiliari, si
configura una servit, sempre che tale peso abbia origine nei modi previsti dalla legge e, tra questi, la
destinazione del padre di famiglia.
Cass. 04/12/93 - n. 12028 - animali
In tema di condominio di edifici il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non pu essere
contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo
detti regolamenti importare limitazioni delle facolt comprese nel diritto di propriet dei condomini sulle porzioni
del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva, sicch in difetto di un'approvazione unanime le
disposizioni anzidette sono inefficaci anche con riguardo a quei condomini che abbiano concorso con il loro voto
favorevole alla relativa approvazione, giacch le manifestazioni di voto in esame, non essendo confluite in un
atto collettivo valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali atipici, di per s inidonei ai sensi dell'art. 1987 c.c. a
vincolare i loro autori, nella mancanza di una specifica disposizione legislativa che ne preveda l'obbligatoriet.
Cass. 11/12/93 - n. 12208 - competenza - condominio in genere - domicilio
Il condominio di edifici, che non una persona giuridica, ma un ente di gestione e non ha, pertanto, una sede in
senso tecnico, ove non abbia designato nell'ambito dell'edificio un luogo espressamente destinato e di fatto
utilizzato per l'organizzazione e lo svolgimento della gestione condominiale, ha il domicilio coincidente con
quello privato dell'amministratore che lo rappresenta. Pertanto, ai fini della competenza territoriale ex artt. 18 e
20 c.p.c. nei giudizi aventi ad oggetto il pagamento di contributi condominiali, il luogo di adempimento
dell'obbligazione dedotta in giudizio va individuato nel domicilio dell'amministratore in carica al tempo della
scadenza dell'obbligazione.
Cass. 15/12/93 - n. 12420 - riscaldamento e risparmio energetico
Il singolo condomino non titolare di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica nei confronti del condominio
relativamente all'utilizzazione dei servizi comuni e, pertanto, non pu esimersi dal contribuire alle spese di
gestione del servizio di riscaldamento centralizzato in proporzione ai millesimi, allegando la mancata o
insufficiente erogazione di quel servizio, n pu proporre azione di danno contro il condominio per il mancato
promovimento dell'azione contrattuale nei confronti dell'impresa installatrice dell'impianto, posto che il
condomino conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei
suoi diritti di comproprietario pro quota delle parti comuni, potendo ricorrere all'autorit giudiziaria nel caso di
inerzia dell'amministrazione del condominio a norma dell'art. 1105 c.c., dettato in materia di comunione, ma
applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio disposto dall'art. 1139 cod. civ.
Cass. civ., sent. n. 5084 del 29 aprile 1993, sez. II
L'intempestiva comunicazione al condomino della data fissata per l'assemblea implica un'ipotesi di contrariet
alla legge, ai sensi dell'art. 1137 cod. civ., della deliberazione assembleare, comportante l'annullamento della
medesima a prescindere dal suo contenuto decisionale o meramente preparatorio o programmatico,
risultandone viziato il processo formativo per violazione del diritto di intervento e di voto del condominio. N
l'interesse del condomino pretermesso a proporre l'impugnazione viene meno per il fatto che la delibera sia stata
seguita da altra presa sullo stesso oggetto da assemblea ritualmente convocata.
Cass. civ., sent. n. 1780 del 12 febbraio 1993, sez. II
Nel caso in cui l'avviso di convocazione dell'adunanza condominiale non sia stato comunicato anche ad uno solo
dei condomini, ancorch detto condomino sia titolare di una quota millesimale ininfluente ai fini del
raggiungimento della maggioranza prescritta dalla legge, la deliberazione adottata affetta da nullit assoluta,
che pu essere fatta valere da qualsiasi condomino anche presente in assemblea.
Cass. civ., sent. n. 3607 del 16 aprile 1994, sez. II
L'amministratore del condominio cessato dalla carica non legittimato ad impugnare la sentenza resa nella
causa cui egli abbia partecipato in rappresentanza del condominio stesso pronunciata successivamente a tale
cessazione, accompagnata da revoca espressa del precedente mandato.
Cass. civ., sent. n. 12152 del 10 dicembre 1993, sez. II
Il regolamento dei rapporti tra i proprietari di distinte unit immobiliari site in un edificio soggetto a regime del
condominio non si esauriscono con le disposizioni relative ai rapporti di vicinato tra due propriet finitime
(emulazione, immissioni e servit). Detti rapporti sono disciplinati anche dalle regole generali sulla responsabilit
civile, essendo obbligato ciascun condomino propter rem a non eseguire nel piano o porzioni di piano di sua
propriet opere che rechino danno alle parti comuni o di propriet esclusiva di altri condomini.
indipendentemente dal concreto vantaggio che tragga dal detto servizio e senza possibilit di sottrarsi a
quest'obbligo rinunciando al servizio medesimo, ove tale rinuncia possa produrre effetti pregiudizievoli per l'altro
comproprietario.
Cass. 18/04/94 - n. 3666 - alberi
Alle spese di potatura degli alberi, che insistono su suolo oggetto di propriet esclusiva di un solo condomino
sono tenuti, tuttavia, a contribuire tutti i condomini allorch si tratti di piante funzionali al decoro dell'intero edificio
e la potatura stessa avvenga per soddisfare le relative esigenze di cura del decoro stesso.
Cass. 20/04/94 - n. 3747 - amministratore - assemblea
L'approvazione da parte dell'assemblea dei condomini del rendiconto di un determinato esercizio non
presuppone che la contabilit sia redatta dall'amministratore con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per
i bilanci delle societ, ma sufficiente che la contabilit sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di
entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione. Per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c. la deliberazione
dell'assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell'amministratore pu essere impugnata dai
condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall'art. 1137, terzo comma, c.c. non per ragioni di merito,
ma solo per ragioni di mera legittimit, restando esclusa una diversa forma di invalidazione ex art. 1418 c.c., non
essendo consentito al singolo condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se
non nella forma dell'impugnazione della delibera.
Criteri per la redazione del bilancio da parte dell'amministratore di condominio
Cassazione civile Sentenza 28/04/2005, n. 8877
L'amministratore di condominio, nella tenuta della contabilit e nella redazione del bilancio, non obbligato al
rispetto rigoroso delle regole formali vigenti per le imprese, essendo sufficiente che egli si attenga, nella tenuta
della contabilit, a principi di ordine e di correttezza e che, nel redigere il bilancio, appronti un documento chiaro
e intelligibile, con corretta appostazione delle voci dell'attivo e del passivo, che siano corrispondenti e congrue
rispetto alla documentazione relativa alle entrate e alle uscite.
Cass. 22/04/94 - n. 3832 - terrazze a livello
In tema di edifici in condominio, affinch una terrazza a livello, che esplichi anche funzioni di copertura dei piani
sottostanti, possa ritenersi di propriet esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui si accede alla terrazza
stessa, ove tale appartenenza non risulti dal titolo, necessario che essa faccia parte integrante da un punto di
vista strutturale e funzionale del piano cui annessa, di guisa che la funzione di copertura dei piani sottostanti si
profili come meramente sussidiaria.
Cass. 26/04/94 - n. 3952 - amministratore - assemblea
Per le deliberazioni dell'assemblea in seconda convocazione concernenti le materie indicate dall'art. 1136,
quarto comma, c.c., tra le quali la nomina dell'amministratore, il richiamo alle maggioranze stabilite dall'art. 1136,
secondo comma, c.c., non vale ad estendere il quorum costitutivo dell'assemblea in prima convocazione, ma
importa che per la costituzione dell'assemblea, come per l'approvazione di esse, richiesta una maggioranza
che rappresenti almeno la met del valore dell'edificio e che sia costituita dalla maggioranza degli intervenuti e
da almeno un terzo dei partecipanti al condominio. In difetto di norme particolari, i rapporti tra il rappresentante
intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato sono disciplinati dalle regole sul mandato con la
conseguenza che solo il condomino delegante legittimato a far valere gli eventuali vizi della delega.
Cass. 29/04/94 - n. 4152 - ascensore - barriere architettoniche
Il pregiudizio, per alcuni condomini, della originaria possibilit di utilizzazione delle scale e dell'andito occupati
dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto
posto dall'art. 1120, secondo comma, c.c., ove risulti che alla possibilit dell'originario godimento della cosa
comune offerto un godimento migliore, anche se di diverso contenuto.
Cass. 12/05/94 - n. 4632 - regolamento - uso della propriet esclusiva
Le norme del regolamento condominiale che incidono sulla utilizzabilit e la destinazione delle parti dell'edificio
di propriet esclusiva, distinguendosi dalle norme regolamentari, che possono essere approvate dalla
maggioranza dell'assemblea dei condomini, hanno carattere convenzionale e, se predisposte dall'originario
proprietario dello stabile, debbono essere, pertanto, accettate dai condomini nei rispettivi atti di acquisto o con
atti separati; se deliberate, invece dall'assemblea, debbono essere approvate all'unanimit, dovendo, in
mancanza, considerarsi nulle, perch eccedenti i limiti dei poteri dell'assemblea.
Cass. 17/05/94 - n. 4814 - tabelle millesimali
La partecipazione con voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall'assemblea dei condomini di un edificio
per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello
espresso nelle tabelle millesimali, o l'acquiescenza alla concreta applicazione di queste delibere, pu assumere
il valore di unico comportamento rivelatore della volont di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei
condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e pu
dar luogo, quindi, per facta concludentia, ad una convenzione modificatrice della disciplina sulla ripartizione delle
spese condominiali che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta
ma solo il consenso, anche tacito o per facta concludentia, purch inequivoco, di tutti i condomini.
cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per
l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte, o di
alcune parti di esso, ricavandosi dall'art. 1123, comma 3, che le cose, i servizi, gli impianti, non appartengono
necessariamente a tutti i partecipanti. Ne consegue che dalle situazioni di cosiddetto "condominio parziale"
derivano implicazioni inerenti la gestione e l'imputazione delle spese, in particolare non sussiste il diritto di
partecipare all'assemblea relativamente alle cose, ai servizi, agli impianti, da parte di coloro che non ne hanno la
titolarit, ragion per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarit
delle parti comuni che della delibera formano oggetto.
Cass. 19/10/94 - n. 8528 - locazione - uso della cosa comune
La sospensione necessaria del processo, prevista dall'art. 295 c.p.c., deve essere disposta soltanto quando la
preventiva definizione di una controversia civile, penale o amministrativa, avente carattere pregiudiziale e dalla
cui risoluzione dipende la decisione della causa, sia imposta da un'espressa norma di legge ovvero ne
costituisca l'indispensabile antecedente logico-giuridico il cui accertamento venga postulato con autorit di
giudicato. (Nella specie, il giudice del merito - in una causa promossa per sentire dichiarare la nullit della
deliberazione condominiale con la quale era stato concesso in locazione un intero immobile di propriet comune
alle parti - aveva escluso il carattere pregiudiziale della separata causa promossa tra le stesse per
l'accertamento della comoda divisibilit del bene, sul presupposto che tale accertamento avrebbe risolto solo la
questione dell'attribuzione del cespite ai comproprietari pro quota, non quella della sua utilizzabilit diretta o
indiretta. La S.C. ha confermato la pronuncia, ribadendo il principio di cui alla massima). L'uso indiretto della
cosa comune (nella specie, mediante locazione), incidendo sull'estensione del diritto reale che ciascun
comunista possiede sull'intero bene indiviso, pu essere disposto dal giudice o deliberato dall'assemblea dei
condomini a maggioranza, soltanto quando non sia possibile o ragionevole l'uso promiscuo, semprech la cosa
comune non consenta una divisione, sia pure approssimativa, del godimento. L'indivisibilit del godimento
costituisce il presupposto per l'insorgenza del potere assembleare circa l'uso indiretto, onde la deliberazione che
l'adotta senza che ne ricorrano le condizioni nulla, quale che sia la maggioranza, salvoch ricorra l'unanimit.
Cass. 19/10/94 - n. 8531- legittimazione - rappresentanza
Le azioni reali nei confronti dei terzi a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio tendono a
statuizioni relative alla titolarit ed al contenuto dei diritti medesimi che esulando dall'ambito degli atti meramente
conservativi (art. 1130 n. 4 c.c.) possono essere proposte dall'amministratore del condominio solo se autorizzato
dall'assemblea a norma dell'art. 1131 comma 1 cod. civ. Ai fini dell'ammissibilit della domanda riconvenzionale
che non importi spostamento di competenza sufficiente un qualsiasi rapporto o situazione giuridica in cui sia
ravvisabile un collegamento obiettivo tra domanda principale e domanda riconvenzionale, tale da rendere
consigliabile e opportuna la celebrazione del simultaneus processus. In tema di condominio, ciascun
partecipante legittimato a proporre le azioni a difesa della propriet della cosa comune senza necessit di
integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini salvo che la controparte non si limiti a negare
la situazione soggettiva dell'attore, ma opponga la propriet esclusiva del bene contestando il diritto di tutti i
condomini, sicch la controversia riguardi l'esistenza stessa della condominialit e pertanto un rapporto
soggettivo unico ed inscindibile, nel qual caso necessaria la presenza nel processo anche degli altri
condomini, dovendo la pronuncia avere effetto nei confronti di tutti.
Cass. 26/10/94 - n. 8777 - terrazze a livello - tetto
La trasformazione in tutto o in parte nell'ambito di un condominio di un bene comune in bene esclusivo di uno
dei condomini pu essere validamente deliberata soltanto all'unanimit, ossia mediante una decisione che abbia
valore contrattuale. Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva
dichiarato la nullit della deliberazione dell'assemblea presa a maggioranza con cui un condomino era stato
autorizzato ad aprire un varco nel tetto, trasformandolo in terrazza a livello per il proprio uso esclusivo.
Cass. 29/10/94 - n. 8946 - rappresentanza
La rappresentanza processuale dell'amministratore del condominio dal lato passivo, ai sensi del comma 2
dell'art. 1131 c.c., non incontra limiti quando le domande proposte contro il condominio medesimo riguardano le
parti comuni dell'edificio. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio enunciato, ha confermato la
sentenza di merito, la quale aveva ritenuto ben instaurata nei confronti del condominio l'azione tendente ad
ottenere la consegna della chiave del cancello d'accesso alla scala dell'edificio, che l'attore presupponeva anche
ad esso comune e, come tale, illegittimamente sottratta al suo godimento).
Cass. 04/11/94 - n. 9062 - parti comuni in genere
Ai fini di stabilire se esista un titolo contrario alla presunzione di comunione sancita dalla norma dell'art. 1117
c.c. occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio, cio al primo atto di trasferimento di una unit
immobiliare dall'originario proprietario ad altro soggetto.
Cass. 07/11/94 - n. 9221 - parti comuni in genere - pertinenze
Il vincolo pertinenziale comporta l'esclusivit della funzione accessoria, onde nell'ipotesi di un immobile
contemporaneamente adibito al servizio di diversi altri, appartenenti ciascuno a proprietari diversi pu solo
verificarsi un caso di propriet comune ovvero un caso di servit. In tema di condominio la presunzione di
propriet comune di ciascuna delle parti indicate nell'art. 1117 c.c. non pu essere vinta se non da elementi di
significato certo ed univoco, idonei a far ritenere che la parte in contestazione sia stata considerata dalla
comune volont dei contraenti oggetto della propriet esclusiva di uno di essi.
dell'ordinamento.
L'art. 1127 c.c. in tema di sopraelevazione sopra l'ultimo piano dell'edificio, essendo inserito nella
regolamentazione del condominio, pi specifica rispetto a quella della comunione in generale, ed avendo, nel
comma 1, quale destinatario il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, postula una divisione della propriet in
senso orizzontale e non trova pertanto applicazione nella comunione disciplinata negli artt. da 1100 a 1116 cod.
civ. In materia di innovazioni e di altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione il consenso dei partecipanti alla
comunione deve risultare espresso nelle forme previste dall'art. 1108 cod. civ.
Cass. 23/12/94 - n. 11138 - sottosuolo uso della cosa comune
Per il combinato disposto degli artt. 1117 e 840 c.c., il sottosuolo costituito dalla zona esistente in profondit al di
sotto dell'area superficiaria che alla base dell'edificio condominiale, ancorch non menzionato espressamente
da detto art. 1117, va considerato di propriet comune in mancanza di un titolo che ne attribuisca la propriet
esclusiva a uno dei condomini, e ci anche con riguardo alla funzione di sostegno che esso contribuisce a
svolgere per la stabilit del fabbricato. Pertanto, un condomino non pu senza il consenso degli altri partecipanti
alla comunione procedere alla escavazione in profondit del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per
ingrandire quelli preesistenti, giacch con l'attrarre la cosa comune nell'orbita della sua disponibilit esclusiva,
viene a ledere il diritto di propriet dei condomini su una parte comune dell'edificio. L'esercizio della facolt di
ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall'art. 1102 c.c., deve esaurirsi nella sfera
giuridica e patrimoniale del diritto di compropriet sulla cosa medesima e non pu essere esteso, quindi, per il
vantaggio di altre e diverse propriet del medesimo condomino perch in tal caso si verrebbe ad imporre una
servit sulla cosa comune per la cui costituzione necessario il consenso di tutti i condomini.
Cass. 24/12/94 - n. 11155 - amministratore
Le norme del codice civile sulla nomina, la revoca e l'attivit dell'amministratore del condominio negli edifici (artt.
1129 c.c. 64 e 65 att. c.c.) non escludendo la possibilit che l'amministrazione del condominio sia affidata ad
una pluralit di amministratori dato che, per un verso, la carenza di una specifica disposizione per
l'individuazione tra i diversi amministratori di quello tenuto a rappresentare il condominio nei rapporti con i terzi
comporta solo, ai sensi dell'art. 1131 c.c., l'attribuzione a tutti del potere di rappresentanza anche nei confronti di
terzi e che, per altro verso, grazie al rinvio alle norme sulla comunione, operato dall'art. 1139 c.c., deve ritenersi
applicabile al condominio negli edifici l'art. 1106 c.c., che, per una esigenza di tutela degli interessi dei
comproprietari e di razionalizzazione delle amministrazioni particolarmente complesse, comune anche al
condominio negli edifici, espressamente consente la delega per l'amministrazione della cosa comune ad uno o
pi partecipanti o anche ad un estraneo. Ne consegue la possibilit che l'amministrazione del condominio sia
affidata anche ad una societ di fatto in cui la disciplina del potere di amministrazione come derivante da un
rapporto di mandato fra la collettivit dei soci amministratori (art. 2260 c.c.) e l'attribuzione, nei rapporti esterni,
della rappresentanza del socio amministratore (art. 2266 c.c.) presenta un notevole parallelismo con quella
dell'art. 1131 c.c., alla quale aggiunge la predisposizione di regole legali per la risoluzione del conflitto tra gli
amministratori (art. 2257), dovendosi escludere che la possibilit di inserimento di nuovi soci, nelle societ di
persone, si rilevi incompatibile con il carattere personale del mandato conferito all'amministratore dall'assemblea
dei condomini, dato che, come nel caso di nomina dell'amministratore unico, che dotato della facolt di delega
dei suoi poteri ad un sostituto, l'intuitus personae risiede nella originaria scelta del mandatario e che l'ingresso di
nuovi soci non riduce, ma semmai accresce, la garanzia per i condomini.
Cass. Civ. 384 - 13/1/95
Quella prevista dall'art. 10 della legge 27 luglio 1978 n. 392 un'assemblea condominiale allargata alla
partecipazione, per determinate materie (spese e modalit di gestione dei servizi di riscaldamento e
condizionamento dell'aria), dei conduttori, i quali, su queste, deliberano in luogo dei condomini. Trattasi di
un'ipotesi di sostituzione legale del conduttore al locatore, ispirata dal principio che, poich le spese di
riscaldamento gravano su di lui (art. 9 della legge n. 392 del 1978), il conduttore maggiormente interessato alle
relative deliberazioni. Ne consegue che le predette disposizioni si riferiscono solo ai rapporti tra locatore e
conduttore, mentre il condominio, essendo privo di un'azione diretta nei confronti del conduttore - tant' che l'art.
5 della legge stessa prevede la risoluzione del contratto di locazione, a favore del solo locatore, se il conduttore
non gli rifonde gli oneri accessori a suo carico - pu rivolgersi solo ai condomini per il rimborso delle spese
condominiali.
Cass. Civ. 602 - 19/01/95
La delibera condominiale di accertamento e ricognizione dell'esistenza di una determinata tabella millesimale,
con riserva di successivo riesame, ed il pagamento per diversi anni da parte dei condomini in base a tale tabella
accertata essere di fatto applicata, costituiscono prova certa e sicura della vigenza di quella tabella che
rappresenta il criterio concreto di ripartizione delle spese per la gestione delle cose comuni. Ne consegue che il
singolo condomino, il quale per vari anni ha effettuato il pagamento in base a tabella millesimale di fatto in vigore
- ancorch difforme da quella originaria - non pu opporsi al decreto ingiuntivo, emesso ai sensi dell'art. 63 att.
c.c., finch non propone domanda giudiziaria (nei confronti di tutti i condomini e non del solo amministratore)
diretta ad ottenere la revisione di tale tabella di fatto e salva ripetizione delle maggiori somme pagate.
Cass. Civ. 724 - 23/01/95
Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra propriet autonome
e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio
condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative all'uso delle
cose comuni (art. 1102 c.c.), cio nel caso in cui l'applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime
e delle une e delle altre sia possibile una complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative
all'uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilit di quelle relative alle distanze legali che, nel
condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di
subordinazione rispetto alle prime. (Nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro
condominiale, ed in prossimit della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica
condominiale).
Cass. Civ. 870 - 25/01/95
Poich a norma dell'art. 1122 c.c. il limite alla facolt di ogni condomino di eseguire opere sul proprio piano (o
porzione di piano di sua propriet) si identifica in ogni danno consistente nella diminuzione di valore della cosa
comune riferito alla funzione della cosa, considerata nella sua unit, costituisce danno per le cose comuni anche
il pericolo attuale e non meramente ipotetico connesso con il rischioso funzionamento o con la realizzazione
imperfetta di un impianto autonomo di riscaldamento, quando la tecnica di realizzazione e la complessit delle
operazioni necessarie per l'uso dello stesso comportino la possibilit di recare danno all'impianto di
riscaldamento centrale.
Cass. Civ. - 948 - 26/01/95
In tema di condominio, poich l'art. 70 att. c.c. prevede che per le infrazioni al regolamento di condominio pu
essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento, sono nulle, in quanto contra
legem, le eventuali disposizioni del regolamento di condominio che dovessero prevedere sanzioni di importo
maggiore
Cass. Civ. 1028 - 28/01/95
L'accettazione, da parte dei condomini, della tabella millesimale predisposta dal venditore- costruttore ed
allegata ai singoli contratti di vendita d luogo ad una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese che,
anche se si discosta da quelli fissati dalla legge per la ripartizione delle spese relative alle parti comuni
dell'edificio, vincolata tra le parti, attesa la derogabilit dei predetti criteri legali, salva la possibilit di revisione
delle tabelle millesimali per errore sul valore effettivo delle singole unit immobiliari, prevista dall'art. 69 att. cod.
civ.
Cass. Civ. 1033 -28/01/95
La comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea dei condomini pu essere data con qualsiasi
forma idonea al raggiungimento dello scopo e pu essere provata anche da univoci elementi dai quali risulti che
il condomino ha, in concreto, ricevuta la notizia. (Nella specie, si ritenuta sufficiente la prova desumibile da un
foglio nel quale risultava apposta la firma dei condomini per "ricevuta convocazione assemblea condominiale del
25-26 febbraio 1988).
Cass. Civ. 1255 - 02/02/95
Nel condominio degli edifici la compropriet delle parti comuni indicate dall'art. 1117 del codice civile e, pi in
generale, che servono per l'esistenza e l'uso delle singole propriet immobiliari, alla quale si lega l'obbligo di
partecipazione alle relative spese di manutenzione e conservazione (che il comma 1 dell'art. 1123 c.c. pone a
carico dei condomini in proporzione delle rispettive quote, indipendentemente dalla misura dell'uso) ha il suo
fondamento nel collegamento strumentale, materiale o funzionale ed, in altri termini, nella relazione di
accessorio a principale con le singole unit (piani o porzioni di piano) in propriet individuale dell'immobile, per
cui le cose, i servizi e gli impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle unit immobiliari di una parte soltanto
dell'edificio appartengono solo ai proprietari di queste (unit) e non ai proprietari delle unit immobiliari dell'altra
parte, rispetto alle quali manca quel rapporto di pertinenza che il presupposto necessario del diritto di
comunione. Ne consegue che le spese di manutenzione e conservazione delle cose e degli impianti che
servono solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, debbono essere sostenute
solo dai proprietari delle unit immobiliari di questa parte, e non dagli altri, secondo il principio generale del
comma 3 dell'art. 1123 c.c., a norma del quale "quando un edificio abbia pi scale, cortili, lastrici solari, opere o
impianti le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilit (nel
caso specifico, stato negato che i proprietari dei box contenuti in un immobile che, bench posto all'interno del
perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, era separato dall'edificio con le unit abitative, dovessero
concorrere alle spese di manutenzione della facciata di questo edificio).
Cass. Civ. 1455 - 09/02/95
Nel condominio degli edifici la compropriet delle parti comuni indicate dall'art. 1117 del codice civile e, pi in
generale, che servono per l'esistenza e l'uso delle singole propriet immobiliari, alla quale si lega l'obbligo di
partecipazione alle relative spese di manutenzione e conservazione (che il comma 1 dell'art. 1123 c.c. pone a
carico dei condomini in proporzione delle rispettive quote, indipendentemente dalla misura dell'uso) ha il suo
fondamento nel collegamento strumentale, materiale o funzionale ed, in altri termini, nella relazione di
accessorio a principale con le singole unit (piani o porzioni di piano) in propriet individuale dell'immobile, per
cui le cose, i servizi e gli impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle unit immobiliari di una parte soltanto
dell'edificio appartengono solo ai proprietari di queste (unit) e non ai proprietari delle unit immobiliari dell'altra
parte, rispetto alle quali manca quel rapporto di pertinenza che il presupposto necessario del diritto di
comunione. Ne consegue che le spese di manutenzione e conservazione delle cose e degli impianti che
servono solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, debbono essere sostenute
solo dai proprietari delle unit immobiliari di questa parte, e non dagli altri, secondo il principio generale del
comma 3 dell'art. 1123 c.c., a norma del quale "quando un edificio abbia pi scale, cortili, lastrici solari, opere o
impianti le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilit (nel
caso specifico, stato negato che i proprietari dei box contenuti in un immobile che, bench posto all'interno del
perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, era separato dall'edificio con le unit abitative, dovessero
concorrere alle spese di manutenzione della facciata di questo edificio).
Cass. Civ. 1560 -13/02/95
I divieti e le limitazioni di destinazione delle unit immobiliari di propriet esclusiva dei singoli condomini, come i
vincoli di una determinata destinazione ed il divieto di mutare la originaria destinazione, posti con il regolamento
condominiale predisposto dall'originario proprietario ed accettati con l'atto d'acquisto, devono risultare da una
volont chiaramente ed espressamente manifestata nell'atto o da una volont desumibile, comunque, in modo
non equivoco dall'atto stesso, e non certamente sufficiente, a tal fine, la semplice indicazione di una
determinata attuale destinazione delle unit immobiliari medesime, trattandosi di una volont diretta a
restringere facolt normalmente inerenti alla propriet esclusiva da parte dei singoli condomini. I divieti e le
limitazioni di cui sopra possono essere formulati nel regolamento sia mediante la elencazione delle attivit
vietate (in tal caso, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, baster verificare se
la destinazione stessa sia inclusa nell'elenco) sia mediante riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di
evitare; in questo secondo caso, naturalmente, al fine suddetto, necessario accertare la idoneit in concreto
della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vollero evitare.
Cass. Civ. 1597 - 14/02/95
Il distacco delle diramazioni relative ad una o pi unit immobiliari dell'edificio condominiale dall'impianto
centrale di riscaldamento consentito quando il condomino interessato provi che da questo deriver un'effettiva
proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificher uno squilibrio in pregiudizio del regolare
funzionamento dell'impianto centrale stesso.
Cass. Civ. 1890 - 21/02/95
In materia di condominio negli edifici, al potere dell'assemblea del condominio di deliberare, nelle forme e con le
maggioranze prescritte, l'esecuzione delle opere necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti
comuni e per l'esercizio dei servizi condominiali, fa riscontro l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle
relative spese, discendente dalla titolarit del diritto reale sull'immobile ed integrante un'obbligazione propter rem
preesistente all'approvazione, da parte dell'assemblea, dello stato di riparto, ed in concreto direttamente
correlato alla precedente deliberazione, di esecuzione delle opere. Ne consegue che, quando la contestazione
del condomino investa, prima ancora che il quantum dell'obbligo di contribuzione, il relativo an, tale ultima
deliberazione che deve essere impugnata nel termine di decadenza di cui all'art. 1137, comma 3, c.c., ove si
assuma essere la deliberazione affetta da vizi formali, perch presa in violazione di prescrizioni legali,
convenzionali o regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, o da
eccesso di potere o da incompetenza; svincolata da tale termine invece la delibera radicalmente nulla perch
esorbitante dai limiti delle attribuzioni dell'assemblea o concernente innovazioni lesive dei diritti di ciascun
condomino sulle cose o servizi comuni o su quelle di propriet esclusiva di ognuno di essi.
Cass. Civ. 1980 - 22/02/95
Nella causa promossa da un condomino contro il condominio, ai sensi dell'art. 1136, comma sesto, c.c.,
l'assemblea del condominio, chiamata a dichiarare se debba costituirsi e resistere, non pu deliberare, se non
consta che sono stati invitati tutti i condomini, ivi compreso il condomino che ha promosso la causa.
Cass. Civ. 2329 - 01/03/95
Il condominio pu deliberare, con la maggioranza qualificata di cui al comma 1 dell'art. 1120 c.c., che il
dismesso impianto centralizzato di riscaldamento sia mantenuto in esercizio solo per il riscaldamento dei locali
condominiali, trattandosi di un'attivit che, senza alterarne la consistenza e la destinazione originaria, attua il
potenziamento ed il migliore godimento della cosa comune.
Cass. Civ. 2324 - 01/03/95
La norma di cui all'art. 1117 c.c., che include le scale tra le cose che si presumono comuni, ove non risulti
espressamente dal titolo, non limitata all'ipotesi di edifici divisi per piano, ma applicabile, per analogia, anche
quando si tratti di edifici limitrofi appartenenti a proprietari diversi, persino se aventi caratteristiche di edifici
autonomi, sempre che le cose di cui si controverte, pur insistenti sull'area di uno solo di essi (o a cavallo del
confine), risultino destinate oggettivamente e stabilmente alla conservazione o all'uso di entrambi gli edifici
medesimi.
Cass. Civ. 2861 - 11/03/95
Nel caso in cui un cortile a livello del piano stradale, che sia in uso esclusivo al condominio, funga da copertura
ad un locale cantinato di propriet di un terzo, ove dalla cattiva manutenzione del cortile siano derivate
infiltrazioni d'acqua nel sottostante locale, l'obbligazione risarcitoria del condominio trova la sua fonte, non gi
nelle norme in materia di ripartizione degli oneri condominiali di cui agli artt. 1123, 1125 e 1126 c.c., bens nel
disposto dell'art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini dell'accertamento della responsabilit, sufficiente
che il danneggiato fornisca la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso (che risulti
riconducibile ad una anomalia, originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa stessa),
nonch dell'esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di
vigilare onde evitare che produca danni a terzi.
Cass. Civ. 3366 - 23/03/95
L'art. 1130 n. 4 c.c. che attribuisce all'amministratore del condominio il potere di compiere gli atti conservativi dei
diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio deve interpretarsi estensivamente nel senso che oltre agli atti
conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa od a quella parte comune, l'amministratore ha il
potere-dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale
unitariamente considerato. Rientra, pertanto, nel novero degli atti conservativi di cui all'art. 1130 n. 4 l'azione
dell'art. 1669 c.c. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l'intero edificio
condominiale e i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno che abilita
alternativamente l'amministratore del condominio ed i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che
possa farsi distinzione fra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto.
Cass. Civ. 3368 - 23/03/95
Non sussiste un rapporto di inscindibilit fra le cause riguardanti i vari condomini di un edificio in ordine all'uso
delle cose comuni sicch non ricorre la necessit di integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione ex
art. 331 c.p.c. nei confronti del condominio pretermesso. La nozione di pari uso della cosa comune che ogni
compartecipe nell'utilizzare la cosa medesima deve consentire agli altri, a norma dell'art. 1102 c.c., non va
intesa nel senso di uso identico perch l'identit nello spazio o addirittura nel tempo potrebbe importare il divieto
per ogni condomino di fare della cosa comune un uso particolare o a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che
per stabilire se l'uso pi intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio fra i
partecipanti al condominio - e perci da ritenersi non consentito a norma dell'art. 1102 - non deve aversi
riguardo all'uso fatto in concreto di detta cosa da altri condomini in un determinato momento, ma di quello
potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.
Cass. Civ. 3708 -29/03/95
Qualora un servizio condominiale (nella specie: portierato) sia previsto nel regolamento di condominio, la sua
soppressione comporta una modificazione del regolamento che deve essere approvata dall'assemblea con la
maggioranza stabilita dall'art. 1136, secondo comma, c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno
la met del valore dell'edificio) richiamato dall'art. 1138, comma 3.
Cass. Civ. 3840 - 01/04/95
L'opera nuova pu dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune o sue singole parti,
interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se
l'opera, pur essendo utilizzabile da tutti i condomini, stata costruita esclusivamente a spese di uno solo dei
condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi
della stessa contribuendo, ai sensi dell'art. 1120 c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione. (Nella
specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne dell'edificio condominiale con una strada
posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il
sottosuolo comuni, anche un terreno in propriet esclusiva del condomino che le aveva eseguite).
Cass. Civ. 4156 -11/04/95
Allorquando, ai sensi degli artt. 61 e 62 att. c.c., l'unico condominio comprendente un complesso immobiliare si
sciolga e si costituiscano tanti condominii separati, si verifica, ai fini processuali, una situazione cui va applicata,
in via analogica, la disposizione di cui all'art. 110 c.p.c. Ne consegue che il processo intrapreso contro l'originario
condominio, venuto meno quest'ultimo, deve essere proseguito nei confronti dei nuovi condominii risultanti dallo
scioglimento.
Cass. Civ. 4465 -20/04/95
In virt della natura pubblicistica del vincolo di destinazione che l'art. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765 ha
imposto sulle aree di parcheggio pertinenti ai fabbricati ed alle esigenze di carattere generale che stanno alla
base dell'imposizione del detto vincolo, nelle ristrutturazioni di edifici preesistenti alla sua entrata in vigore che
comportino la realizzazione di fabbricati dotati di spazi di parcheggio, questi, entro i limiti quantitativi stabiliti dalla
legge, restano assoggettati alla disciplina di cui alla citata disposizione normativa e, quindi, al diritto d'uso dei
proprietari dei fabbricati stessi e delle relative porzioni. Ogni partecipante al condominio titolare della facolt di
agire anche da solo e individualmente a difesa dei diritti comuni inerenti al fabbricato condominiale ed alle sue
componenti. Pertanto, sussiste la legittimazione del singolo condomino ad agire, in base all'art. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765, per l'accertamento del diritto condominiale di uso degli spazi di parcheggio inerenti al
fabbricato. A norma dell'art. 345 c.p.c., pu configurarsi un mutamento di domanda non consentito, riguardo al
petitum, solo quando risulti innovato l'oggetto della pretesa, inteso non come petitum immediato (ossia, come
provvedimento richiesto), bens come petitum mediato (cio, come richiesta di attribuzione di un determinato
bene). Ne consegue che da escludere la ravvisabilit di una mutatio libelli vietata, dovendosi invece ritenere
ricorrente una consentita emendatio, allorch la modifica della domanda iniziale venga ad incidere sul petitum
solo nel senso di adeguarlo in una direzione pi idonea a legittimare la concreta attribuzione del bene materiale
oggetto dell'originaria domanda. (Nella specie, i ricorrenti avevano chiesto la tutela dei loro diritti sugli spazi di
parcheggio di un edificio, a norma dell'art. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765, reclamando l'attribuzione del bene
a titolo di dominio in primo grado ed a titolo di uso in secondo grado. Il giudice d'appello aveva ritenuto
comportando una interferenza nel godimento medesimo, pu integrare una indebita turbativa suscettibile di
tutela possessoria.
Cass. Civ. 7077 - 22/6/95
In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalit tra spese ed uso di cui al secondo comma dell'art.
1123 c.c., secondo cui (salva contraria convenzione) le spese per la conservazione ed il godimento delle parti
comuni dell'edificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in
proporzione dell'uso che ciascuno pu farne, esclude che le spese relative alla cosa che in alcun modo, per
ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, pu servire ad uno o pi condomini possano essere poste
anche a carico di questi ultimi. (Nella specie, si trattava delle spese di installazione delle porte tagliafuoco
dell'atrio comune nel quale si aprivano le porte di alcune autorimesse in propriet esclusiva di singoli condomini,
secondo le prescrizioni della legge 7 dicembre 1984 n. 818 e del D.M. 16 febbraio 1982).
Cass. Civ. 7148 - 23/6/95
I balconi, essendo elementi accidentali rispetto alla struttura del fabbricato e non avendo funzione portante
(assolta da pilastri ed architravi), non costituiscono parti comuni dell'edificio ai sensi dell'art. 1117 c.c., anche se
inseriti nella facciata, in quanto formano parte integrante dell'appartamento che vi ha accesso come
prolungamento del piano. Conseguentemente la domanda di demolizione dei medesimi va proposta nei
confronti dei condomini proprietari degli appartamenti ai quali sono annessi i balconi, sicch il contraddittorio pu
considerarsi integro anche se non sono stati chiamati in giudizio il condominio ovvero tutti gli altri condomini
dell'edificio.
Cass. Civ. 7155 - 23/6/95
La domanda di accertamento del diritto reale di uso dell'area destinata a parcheggio condominiale ai sensi
dell'art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942 n. 1150 (nel testo novellato dalla legge 6 agosto 1967 n. 765) e
dell'art. 26 comma 5 legge 28 febbraio 1985 n. 47, non nuova rispetto alla domanda di accertamento del diritto
di compropriet originariamente proposta dalla parte, quale proprietaria di una unit abitativa dell'edificio, perch
non altera radicalmente il petitum di tale domanda, il cui oggetto mediato (l'area condominiale destinata a
parcheggio) rimane comunque inalterato, ma lo modifica soltanto, adeguandolo in una direzione pi idonea a
legittimare la concreta attribuzione del bene materiale che ne oggetto.
Cass. Civ. 7544 - 08/7/95
La rappresentanza processuale dell'amministratore del condominio non incontra, dal lato passivo, limite alcuno
nelle controversie riguardanti cose o parti comuni, in ordine alle quali l'amministratore pu, quindi, anche
proporre impugnazioni, compreso il ricorso per cassazione, senza autorizzazione dell'assemblea.
Cass. Civ. 7546 - 08/7/95
L'unit sistematica tra la disposizione dell'art. 1118 primo comma c.c., a norma del quale il diritto di ciascun
condomino sulle parti comuni dell'edificio proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli
appartiene, e la disposizione del primo comma dell'art. 1123 c.c., per il quale le spese necessarie per la
conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse
comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale
al valore della propriet di ciascuno, non impedisce, trattandosi di norme derogabili, che siano
convenzionalmente previste discipline diverse e differenziate tra loro dei diritti di ciascun condomino sulle parti
comuni (che possono essere attribuiti in proporzione diversa - maggiore o minore - rispetto a quella della sua
quota individuale di piano o porzione di piano) e degli oneri di gestione del condominio, che possono farsi
gravare sui singoli condomini indipendentemente dalla rispettiva quota di propriet delle cose comuni o dall'uso.
(Nella specie, stata riconosciuta la validit dell'accordo che attribuiva ai condomini, proprietari di unit abitative
di diverso valore, un uguale diritto dominicale sulle parti comuni prevedendo la formazione di tabelle millesimali
solo ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione e pulizia delle stesse).
Cass. Civ. 7752 - 15/7/95
L'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante sottoposto dall'art. 1102 c.c. a due limiti
fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli
altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Pertanto, a rendere illecito l'uso basta il mancato
rispetto dell'una o dell'altra delle due condizioni, sicch anche l'alterazione della destinazione della cosa comune
determinato non soltanto dal mutamento della funzione, ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore,
ricade sotto il divieto stabilito dall'art. 1102 cod. civ. Negli edifici condominiali l'utilizzazione delle parti comuni
con impianto a servizio esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle regole dettate dall'art. 1102
c.c., comportanti il divieto di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto, ma anche l'osservanza delle norme del codice in tema di distanze,
onde evitare la violazione del diritto degli altri condomini sulle porzioni immobiliari di loro esclusiva propriet.
Tale disciplina, tuttavia, non opera nell'ipotesi dell'installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili
ai fini di una reale abitabilit dell'appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti
l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo
l'apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unit immobiliari altrui.
Cass. Civ. 8079 - 24/7/95
La dichiarazione del condomino soccombente di non voler avvalersi dell'impugnazione avverso la sentenza
emessa nei confronti suoi, del condominio e di altri condomini, validamente resa, con effetti preclusivi della
proponibilit del gravame, nel corso di un'assemblea condominiale, senza necessit che il verbale nel quale
essa viene riportata sia sottoscritto dal condomino, giacch la dichiarazione di voler prestare acquiescenza ad
una sentenza, potendo essere resa anche tacitamente, non soggetta al requisito della forma scritta, mentre la
sottoscrizione del verbale assembleare da parte dei condomini necessaria solo quando la delibera abbia il
contenuto di un contratto per il quale sia richiesto ad substantiam il suddetto requisito.
Cass. Civ. 8085 - 25/7/95
Il potere di ogni condomino di agire per la gestione ordinaria della cosa comune, traendo origine dal diritto di
concorrere all'amministrazione di tale bene (art. 1105 c.c.), incontra il suo limite nell'obbligo di rispettare la
volont della maggioranza. Pertanto, allorch un immobile locato appartenga ad una molteplicit di condomini e
dagli stessi sia congiuntamente stipulato il relativo contratto, la maggioranza dei condomini a stabilire circa
l'amministrazione ed il godimento della cosa comune e quindi, della possibilit e volont di disdire e far cessare,
alla scadenza contrattuale, il contratto di locazione, anche in contrasto con la minoranza dissenziente.
Cass. Civ. 8484 - 03/8/95
L'art. 10 della L. 27 luglio 1978 n. 392 non ha previsto che i conduttori possano sostituirsi al locatore nella
gestione dei servizi condominiali ed, in particolare, in quello della fornitura del riscaldamento, bens ha introdotto
un meccanismo volto a consentire la partecipazione dei conduttori stessi alle assemblee condominiali con
riguardo alle decisioni dei proprietari locatori, senza che, nel caso di edifici non in condominio, ne derivi un
obbligo del proprietario dell'edificio di convocare in assemblea i conduttori. Ne consegue che non configurabile
in capo al proprietario locatore n un inadempimento, n un obbligo di conseguente risarcimento dei danni in
confronto del conduttore per non averne convocato l'assemblea ed il conduttore non pu invocare il principio di
cui all'art. 1460 c.c. per esimersi dal concorrere alle spese di riscaldamento.
Cass. Civ. 8602 - 04/8/95
L'azione concessa al proprietario ex art. 844 c.c., per far dichiarare l'illiceit delle immissioni moleste provenienti
dal fondo altrui e per impedire che l'immobile proprio le subisca, costituisce un'azione di carattere reale, che
rientra nel paradigma delle azioni negatorie predisposte a tutela della propriet, in ordine alle quali il valore della
causa va determinato in base al disposto dell'art. 15 c.p.c. Ne consegue, che, quando agli atti non risulta il
reddito dominicale o la rendita catastale del bene immobile, si ha presunzione di competenza del giudice adito, e
grava sul convenuto, che eccepisce l'incompetenza per valore, l'onere di provare l'ammontare del predetto
reddito o della predetta rendita (o che, non risultando tali elementi di valutazione, la causa deve considerarsi di
valore indeterminabile), senza che i limiti di competenza per valore possano ritenersi superati per effetto di
un'ulteriore richiesta risarcitoria, atteso che la riserva di contenimento della competenza va riferita all'intero
petitum.
Cass. Civ. 8643 - 07/8/95
Il contenuto ed i limiti della servit di passaggio vanno desunti dal titolo costitutivo interpretato, ove occorra,
anche in rapporto alla situazione dei luoghi senza che questa possa assumere rilievo autonomo e
preponderante. In ogni caso, ove il titolo per la sua formulazione presenti dei dubbi sulle modalit di esercizio, la
servit deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del
fondo servente, sicch correttamente viene riscontrata dal giudice di merito la sola servit di passaggio
pedonale, ove non si possano ravvisare gli estremi del passaggio carrabile.
Cass. Civ. 9113 - 29/8/95
Sugli immobili oggetto di comunione concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestorii da parte di tutti i
comproprietari, in virt della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri. Ne consegue che il
singolo condomino pu stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l'immobile in comunione e che un
condomino diverso da quello che ha assunto la veste di locatore legittimato ad agire per il rilascio del bene
stesso (senza che sia necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini), purch non
risulti l'espressa ed insuperabile volont contraria degli altri comproprietari, la quale fa venire meno il presunto
consenso della maggioranza.
Cass. Civ. 10837 - 17/10/95
L'art. 70 att. c.c., in base al quale il regolamento di condominio pu prevedere delle sanzioni pecuniarie a carico
dei trasgressori delle sue disposizioni, ha carattere di norma eccezionale in quanto contempla una cosiddetta
"pena privata" che ha come destinatari i condomini. Essa, pertanto non pu ritenersi applicabile ai conduttori
degli alloggi condominiali, i quali, ancorch si trovino a godere delle parti comuni dell'edificio in base ad un
rapporto obbligatorio, rimangono estranei all'organizzazione condominiale.
Cass. Civ. 11068 - 24/10/95
Il contratto locativo stipulato tra il proprietario esclusivo dell'alloggio originariamente destinato al portiere ed il
condominio, ad uso di abitazione del portiere, non pu essere inquadrato in nessuna delle categorie di cui alla
legge 27 luglio 1978 n. 392 per uso abitativo o per uno degli usi di cui all'art. 27, restando quindi regolato dalla
disciplina ordinaria e residuale del codice civile. Le parti dell'edificio condominiale (locali per la portineria e per
l'alloggio del portiere ecc.) indicate al n. 2 dell'art. 1117 c.c. - che al pari di quelle indicate ai nn. 1 e 3 dello
stesso articolo sono oggetto di propriet comune se il contrario non risulta dal titolo - sono anche suscettibili, a
differenza delle parti dell'edificio di cui ai citati nn. 1 e 3 di utilizzazione individuale in quanto la loro destinazione
al servizio collettivo dei condomini non si pone in termini di assoluta necessit. Pertanto, in relazione ad esse
occorre accertare nei singoli casi se l'atto che le sottrae alla presunzione di propriet comune contenga anche la
risoluzione o il mantenimento del vincolo di destinazione derivante dalla loro natura, configurandosi nel secondo
caso l'esistenza di un vincolo obbligatorio propter rem fondato su una limitazione del diritto del proprietario e
suscettibile di trasmissione in favore dei successivi acquirenti dei singoli appartamenti anche in mancanza di
trascrizione (peraltro possibile ai sensi dell'art. 2646 c.c.).
Cass. Civ. 11138 - 26/10/95
La deliberazione dell'assemblea condominiale di sigillare le cosiddette "canne pattumiere" non concreta
l'approvazione di un'innovazione vietata a norma del secondo comma dell'art. 1120 c.c., bens la statuizione di
una modalit di svolgimento del servizio di smaltimento dei rifiuti, per il quale dette "canne" non sono
indispensabili, che pu essere adottata dalla maggioranza dei condomini sulla base di valutazioni di opportunit
(nella specie, relativa ai costi ed alle ragioni di igiene) e, come tale, insindacabile, quanto al merito, dall'autorit
giudiziaria.
Cass. Civ. 11197 - 27/10/95
Tra la domanda proposta dal condomino, nei confronti degli altri partecipanti al condominio, tendente ad
ottenere il rimborso delle spese effettuate per le cose comuni (nella specie, di riparazione del tetto dell'edificio
condominiale), in considerazione della loro urgenza, e la medesima domanda, fondata sulla prova dell'esistenza
del consenso manifestato dagli altri partecipanti, sussiste diversit di causa petendi, in quanto la prima diretta
a provare un'attivit gestoria del condomino, la seconda l'esistenza di un'autorizzazione o di una delega da parte
dell'assemblea condominiale. Ne consegue, che, a norma dell'art. 345 c.p.c., nel caso in cui in primo grado sia
stata proposta la prima domanda, inammissibile, in quanto nuova, la seconda domanda proposta in grado
d'appello.
Cass. Civ. 11276 - 28/10/95
nulla la delibera adottata da una assemblea di supercondominio, a maggioranza dei suoi componenti, istitutiva
di un unico condominio tra i vari edifici interessati, in quanto lesiva del diritto di ciascun condomino di far parte
del condominio costituito dal solo edificio in cui era proprietario di unit immobiliari; sono altres nulle, di
conseguenza, le delibere assunte successivamente da assemblee convocate come se esistesse un unico
condominio, per deliberare su materie attinenti ai singoli fabbricati.
Cass. Civ. 11278 - 28/10/95
L'interpretazione del regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice del merito insindacabile in
sede di legittimit, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica, oppure vizi logici.
Cass. Civ. 11227 - 25/11/95
In tema di uso della cosa comune, non pu ritenersi consentita l'installazione, da parte di un condomino, per suo
esclusivo vantaggio ed utilit, di un cancello in un certo punto di un viottolo comune, destinato fin dalla
costituzione del condominio al passaggio dei condomini, per l'accesso, tra l'altro, a vani di propriet esclusiva dei
medesimi (nei quali sono sistemate e custodite, nella specie, le utenze domestiche di ciascuno di essi), in
quanto detta installazione costituisce - anche in caso di messa a disposizione degli altri condomini delle chiavi
del cancello - una modificazione delle modalit di uso o di godimento della cosa comune, che interferisce sul
"pari uso" della stessa spettante agli altri condomini.
Cass. Civ. 12342 - 29/11/95
Il regolamento di condominio, quali ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche quando
abbia natura contrattuale, si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto
della collettivit condominiale, come atto volto ad incidere con un complesso di norme giuridicamente vincolanti
per tutti i componenti di detta collettivit, su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico ed a porsi come
fonte di obblighi e diritti non tanto per la collettivit come tale quanto, soprattutto, per i singoli condomini;
consegue da ci che l'azione promossa per ottenere declaratoria della nullit, totale o parziale, del regolamento
medesimo esperibile non da e nei confronti del condominio, carente di legittimazione in ordine ad una siffatta
domanda ma da uno o pi condomini nei confronti di tutti gli altri, in situazione di litisconsorzio necessario, non
potendo, altrimenti, risultare utiliter data l'eventuale sentenza di accoglimento.
Cass. Civ. 12636 - 09/12/95
Il condominio non legittimato passivo nei confronti della domanda di risarcimento dei danni proposta
dall'amministratore per la revoca dell'incarico disposta dall'autorit giudiziaria, atteso che i condomini che
chiedono la revoca, ai sensi dell'art. 1129 c.c., esercitano un diritto proprio e non agiscono in virt di un mandato
reciproco esistente tra tutti i condomini.
Cass. Civ. 12894 - 18/12/95
La spesa per la riparazione dei canali di scarico dell'edificio in condominio, che, ai sensi dell'art. 1117 n. 3 c.c.,
sono oggetto di propriet comune fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di propriet esclusiva dei
singoli, sono a carico di tutti i condomini per la parte relativa alla colonna verticale di scarico ed a carico dei
rispettivi proprietari per la parte relativa alle tubazioni che si diramano verso i singoli appartamenti. (Nella specie,
sulla base del principio affermato, si ritenuto che il giudice di merito avesse correttamente posto a carico del
singolo la spesa di riparazione del tratto della tubazione orizzontale che si innesta in quella verticale).
Cassazione del 19/11/1996 n. 10144
Titolo: Lamministratore, pu effettuare verifiche negli appartamenti, per verificare la parit di godimento dei beni
e/o servizi erogati.
Massima: Tra gli obblighi dellamministratore del condominio, ai sensi dellart.1130 comma 2 cod.civ. rientra la
vigilanza sui servizi comuni compreso alle interferenze su tali servizi, dai singoli appartamenti. A tal fine,
lamministratore pu eseguire verifiche e ripartire le necessarie provvidenze intese a mantenere integra la parit
del godimento dei beni e servizi da parte di tutti i condomini. (Art.1130 cod.civ.).
Cassazione del 28/11/1996 n. 10615
Titolo: Solo una delibera dell'assemblea pu' autorizzare l'amministratore ad agire contro terzi per la tutela delle
parti comuni..
Massima: Le azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio, quali
quelle volte a denunziare la violazione delle distanze legali tra costruzioni, essendo dirette a ottenere statuizioni
relative alla titolarit e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano, tra gli atti meramente conservativi e
possono, quindi, promuoversi dall'amministratore del condominio solo se sia autorizzato dall'assemblea a norma
dell'art.1131 comma primo, cod.civ. (Artt.872, 1130, 1131, 1136 cod.civ.).
Cassazione 16/02/1996 n. 1206
Titolo: E valida la convocazione assembleare quando, lavviso viene inviato al domicilio di uno coniugi
conviventi comproprietari dellappartamento.
Massima: La validit della convocazione per la riunione dellassemblea condominiale di uno dei comproprietari
"pro-indiviso" di piano o porzione di piano di un condominio pu evincersi anche dallavviso dato allaltro
comproprietario, qualora ricorrano circostanze presuntive tali da far ritenere che il secondo proprietario abbia
reso edotto il primo della convocazione stessa (nella specie, trattandosi di coniugi comproprietari di un
appartamento, conviventi in pieno accordo e senza contrasti di interessi tra loro, stato ritenuto presumibile che
lavviso notificato ad uno di essi per lassemblea condominiale fosse stato portato a conoscenza anche
dellaltro). (Art.1136 cod. civ., art. 66 disp .att. cod. civ.).
Cassazione del 10/04/1996 n. 3296
Titolo: L'amministratore pu chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo anche in base ai prospetti mensili delle
spese, ma non otterr la immediata esecuzione di tale decreto.
Massima: L'amministratore pu chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo per i contributi dovuti dai condomini
non solo in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, ma anche in base ai prospetti mensili delle
spese condominiali non contestati, ma in questo secondo caso non pu ottenere la clausola di immediata
esecuzione nonostante opposizione. (Art.1130, 1131,cod.civ. art.63 disp. att. cod. civ.).
Corte di cassazione del 22/4/1996 n. 3805
Titolo : Mancata nomina dell'amministratore. Litisconsorzio necessario. L'azione va proposta nei confronti di tutti
i condomini.
Massima : Nell'ipotesi di mancata nomina dell'amministratore di condominio, la domanda giudiziaria riguardante
beni comuni deve essere proposta nei confronti di tutti i condomini, con la conseguenza che, ove si accerti in
grado di appello il difetto di integrit del contraddittorio, per essere stati convenuti in giudizio soltanto alcuni di
essi, il giudice di appello, a norma dell'art. 354 c.p.c. , deve dichiarare la nullit della sentenza impugnata e
rimettere la causa al giudice di primo grado per l'integrazione del contraddittorio e la trattazione della causa con
la partecipazione di tutti i condomini. (c.c., art. 1117 ; c.p.c., art. 354).
Cassazione del 24/04/1996 n. 3862
Titolo: Non indispensabile trascrivere nel verbale che l'assemblea in prima convocazione non si tenuta.
Massima: In tema di assemblea condominiale, la sua seconda convocazione condizionata dall'inutile e
negativo esperimento della prima, sia per completa assenza dei condomini, sia per insufficiente partecipazione
degli stessi in relazione al numero ed al valore delle quote. La verifica di tale condizione va' espletata nella
seconda convocazione, sulla base delle informazioni orali rese dall'amministratore, il cui controllo pu essere
svolto dagli stessi condomini, che o sono stati assenti alla prima convocazione, o, essendo stati presenti, sono
in grado di contestare tali informazioni. Pertanto, una volta accertata la regolare convocazione dell'assemblea,
l'omessa redazione del verbale che consacra la mancata riunione dell'assemblea in prima convocazione non
impedisce che si tenga l'assemblea in secondo convocazione, n la rende invalida. (Art.1136 cod. civ.).
Cassazione del 10//05/1996 n. 4388
Titolo: Il singolo condomino pu agire contro un terzo o contro il singolo condomino, a tutela degli spazi o dei
servizi comuni.
Massima: Ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla
concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'intera cosa comune (e non una frazione della stessa),
legittimato ad agire o resistere in giudizio, senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa comune, nei
confronti dei terzi o di un singolo condomino.(Artt.1102, 1105, cod.civ. 102 cod. proc. civ.).
Cassazione 27/01/1996 n. 642
Titolo: La destinazione d'uso dell'alloggio portiere, pu' essere variata con un'assemblea che deliberi con la
maggioranza degli intervenuti in seconda convocazione, che rappresentino almeno la met del valore
dell'edificio.
Massima: In tema di condominio negli edifici, la modifica della destinazione pertinenziale dei locali adibiti ad
alloggio portiere, anche se di origine contrattuale, non richiede l'unanimit dei consensi, bens una deliberazione
dell'assemblea dei condomini adottata con la maggioranza qualificata di cui al quinto comma dell'art.1136
assicurare al condominio dell'organo necessario e imposto dalla legge. Tale atto, non soggetto a reclamo
innanzi alla Corte di Appello in quanto manca una previsione normativa in tal senso. Di conseguenza,
inammissibile il ricorso per cassazione ex art.111 Costituzione, art.1129 cod. civ. art.64 disp. att. cod. civ..
SENTENZE 1997
Patti in deroga
Al regime dei "patti in deroga" e alla proroga biennale prevista dall'art. 11 comma 2 bis L. n. 359 del 1992 sono
soggetti anche i contratti di locazione in corso al momento dell'entrata in vigore della suddetta legge, posto che
l'espressione "contratti rinnovati successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione", di cui al citato
art. 11 comma 2 bis, va intesa come comprensiva di quei contratti che, quantunque stipulati o rinnovati prima
dell'entrata in vigore della legge, sono destinati a scadere (e, quindi, potenzialmente, ad essere ulteriormente
rinnovati) in epoca successiva. Cass. Civ. 24/01/97 - 761
Legittimazione
La peculiare natura del condominio, ente di gestione sfornito di personalit distinta da quella dei suoi
componenti, i quali devono intendersi rappresentati ex mandato dall'amministratore, comporta che l'iniziativa
giudiziaria di quest'ultimo a tutela di un diritto comune dei condomini non priva i medesimi del potere di agire
personalmente a difesa di quel diritto nell'esercizio di una forma di rappresentanza reciproca atta ad attribuire a
ciascuno una legittimazione sostitutiva scaturente dal fatto che ogni singolo condomino non pu tutelare il
proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere i diritti degli altri condomini. Pertanto il
condomino che interviene personalmente nel processo promosso dall'amministratore per far valere diritti della
collettivit condominiale non un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei ma una delle parti
originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni, sicch, ove tale intervento sia stato spiegato
in grado di appello, non possono trovare applicazione i principi propri dell'intervento dei terzi in quel grado fissati
nell'art. 344 cod. proc. civ. Cass. Civ. 27/01/97 - 826
Assemblea
Deve ritenersi legittimo il rifiuto apposto da un condomino alla ricezione dell'avviso di convocazione
dell'assemblea, qualora l'avviso suddetto sia consegnato a mani, e non - cos come previsto dal regolamento di
condominio - tramite raccomandata. Trib. Monza 6/02/97 - 352
Amministratore
L'amministratore di condominio - nel quale non ravvisabile un ente fornito di autonomia patrimoniale, bens la
gestione collegiale di interessi individuali, con sottrazione o compressione dell'autonomia individuale - configura
un ufficio di diritto privato oggettivamente orientato alla tutela del complesso di interessi suindicati e realizzante
una cooperazione, in regime di autonomia, con i condomini, singolarmente considerati, che assimilabile, pur
con tratti distintivi in ordine alle modalit di costituzione ed al contenuto "sociale" della gestione, al mandato con
rappresentanza, con la conseguente applicabilit, nei rapporti tra amministratore ed ognuno dei condomini,
dell'art. 1720, comma 1, c.c., secondo cui il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nella
esecuzione dell'incarico diretta ad ottenere il rimborso di somme anticipate nell'interesse della gestione del
condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore, anche contro il singolo condomino
inadempiente all'obbligo di pagare la propria quota L'amministratore di condominio cessato dall'incarico
attivamente legittimato a proporre l'azione per il recupero delle somme da lui anticipate nell'interesse del
condominio nel corso della sua gestione, non soltanto nei confronti di quest'ultimo, bens anche nei confronti dei
singoli condomini, per le quote rispettivamente a loro carico; tale legittimazione attiva trova il suo fondamento
nella disciplina del rapporto di mandato, quale quello configurabile tra i condomini e l'amministratore (art. 1720
c.c.). (Nella specie il convenuto aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva, affermando che l'attore, non
essendo pi amministratore del condominio, non poteva pretendere dai condomini il pagamento di quanto essi
dovevano per spese condominiali). . Cass. Civ. 12/02/97 -1286
Assemblea : spese
La nullit di una delibera condominiale disciplinata dall'art. 1421 c.c., a norma del quale chiunque vi ha
interesse pu farla valere e quindi anche il condomino che abbia partecipato, con il suo voto favorevole, alla
formazione di detta delibera, salvo che con tale voto egli si sia assunto o abbia riconosciuto una sua personale
obbligazione. L'accertamento della sussistenza della completezza o meno dell'ordine del giorno di un'assemblea
condominiale demandato all'apprezzamento del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimit, se
congruamente motivato. Affinch la delibera di un organo collegiale (nella specie assemblea di condominio) sia
valida necessario che l'avviso di convocazione elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso,
specificatamente gli argomenti da trattare, in modo da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire
agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla partecipazione, diretta o indiretta, alla
deliberazione. illegittima la delibera di un condominio, adottata a maggioranza, con la quale si stabilisce un
onere di contribuzione, nelle spese di gestione, maggiore a carico di alcuni condomini, sul presupposto della loro
pi intensa utilizzazione, rispetto agli altri, di parti o servizi comuni, non solo perch la modifica ai criteri legali
(art. 1123 c.c.) o di regolamento di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, ma anche perch
il criterio di riparto in base all'uso differenziato, derivante dalla diversit strutturale della cosa, previsto dal
comma 2 dell'art. 1123 c.c., non applicabile alle spese generali, per le quali opera invece il criterio di cui al
comma 1 dello stesso articolo, ossia la proporzione al valore della propriet di ciascuno. Cass. Civ.19/02/97 1511
Muri
A differenza dalle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la
destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e
che debbono essere deliberate dall'assemblea (art. 1120, comma 1, c.c.) nell'interesse di tutti i partecipanti - le
modifiche alle parti comuni dell'edificio, contemplate dall'art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo
condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso pi intenso, sempre che non
alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso. Pertanto, legittima l'apertura di vetrine da
esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione destinato all'apertura di porte e di
finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua
propriet esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall'assemblea pu
attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini
a questo tipo di utilizzazione del muro comune. Cass. Civ. 20/02/97 - 1554
Autorimesse parcheggi:
illegittimo il divieto rivolto ai condomini proprietari di autocaravan di parcheggiare tali mezzi nelle aree
condominiali adibite a parcheggio autoveicoli, sempre che i proprietari suddetti non utilizzino il parcheggio
condominiale come area per campeggio. Giud. Pace Foligno 6/03/97 - 15
Lastrico solare
Poich il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del
fabbricato anche se appartiene in propriet superficiaria o se attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso
con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati
all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di
manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni
stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due
terzi, ed il titolare della propriet superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre utilit, nella misura del
terzo residuo. . Cass. Civ. 29/04/97 - 3672
Pagamento a mezzo vaglia postale Efficacia liberatoria per il condominio debitore - Esclusione. (Cc, articoli 1182,1184,1185,1197 e 1277).
Il vaglia postale e' un documento di legittimazione all'ordine, che impone al creditore al fine di incassare in
contanti la somma in esso indicata, l'onere di recarsi presso un ufficio postale; come tale esso non ha efficacia
liberatoria per il condominio debitore, perch non costituisce ne' pagamento al domicilio del creditore ne'
esecuzione di prestazione di moneta avente corso legale, non diversa da quella dovuta, secondo i principi
enunciati negli articoli 1182, 1197, e 1277 del Cc. Sezione II, sentenza 22 marzo 1997 n. 2558 .
Muro perimetrale delledificio condominiale Apertura praticata da parte del singolo condomino per mettere in comunicazione un proprio locale sito nel
condominio con altro immobile - Uso indebito della cosa comune - Sussiste. (Cc. articoli 1102 e 1122)
In tema di utilizzazione del muro perimetrale da parte del singolo condomino, costituisce uso indebito della cosa
comune, alla stregua dei criteri di cui agli articoli 1102 e 1122 del Cc, lapertura praticata dal condomino nel
detto muro per mettere in comunicazione locali di sua esclusiva propriet, esistenti nelledificio condominiale,
con altro suo immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro,
incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo allacquisto di una servit di passaggio a carico
della propriet condominiale. Sezione II, sentenza 19 aprile 1996 n. 3719
Aree di parcheggio Vincolo in favore dei proprietari di nuove costruzioni - Obbligo per questi ultimi in forza della imperativit della
norma di acquistare detti spazi e di pagare il corrispettivo - Sussiste. (Cc, articoli 1064, 1102, 1118e 1119; legge
47/1985, articolo 26; legge 765/1967, articolo 18)
Il vincolo di destinazione a parcheggio degli appositi spazi nelle nuove costruzioni, in favore dei proprietari delle
unit immobiliari site nel fabbricato, scaturisce da norme cogenti per cui la norma imperativa, da cui ha origine la
costituzione di un diritto reale duso, non opera solo a vantaggio dellacquirente. Essendo, infatti, il costruttore
tenuto a destinare gli appositi spazi per parcheggio, in favore degli acquirenti delle unit immobiliari site
nelledificio, questi ultimi non possono sottrarsi allacquisto del diritto e al pagamento del corrispettivo. Una volta
chiesta in giudizio lapplicazione della norma imperativa, questa deve trovare integrale applicazione,
comportando la sostituzione di diritto della clausola negoziale nulla e la costituzione del diritto reale duso, con il
diritto del proprietario costruttore a conseguire il compenso. Sezione II, sentenza 16 aprile 1996 n. 3580
Suolo su cui sorge ledificio - Parti comuni - Sottosuolo - Sbancamento del terreno sottostante il piano terreno.
Illegittimit (Cc, articoli 840 e 1117)
Il suolo, su cui sorge un edificio condominiale, di propriet comune, ai sensi dellarticolo 1117 del Cc, la
porzione di terreno sulla quale viene a poggiare lintero edificio e, immediatamente, la parte infima dello stesso
e, per effetto, degli articoli 1117 e 840 del Cc, lo spazio sottostante, che costituisce il sottosuolo, in mancanza di
titolo che ne attribuisca la propriet esclusiva a uno dei condomini, deve considerarsi in propriet comune,
indipendentemente dalla sua destinazione. Deriva, da quanto precede, che ove i proprietari del piano terreno
abbiano eseguito uno sbancamento del terreno sottostante con un abbassamento del pavimento di circa 50
centimetri, con tale opera costoro non hanno realizzato un intervento necessario e indispensabile per la messa
in opera dei manufatti, o di rinforzo delle fondazioni, ma hanno sottratto il sottosuolo comune a vantaggio del
singolo comunista, con conseguente violazione del combinato disposto degli articoli 1117 e 840 del Cc. Sezione
II, sentenza 19 marzo 1996 n. 2295
Patti in deroga
Al regime dei "patti in deroga" e alla proroga biennale prevista dall'art. 11 comma 2 bis L. n. 359 del 1992 sono
soggetti anche i contratti di locazione in corso al momento dell'entrata in vigore della suddetta legge, posto che
l'espressione "contratti rinnovati successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione", di cui al citato
art. 11 comma 2 bis, va intesa come comprensiva di quei contratti che, quantunque stipulati o rinnovati prima
dell'entrata in vigore della legge, sono destinati a scadere (e, quindi, potenzialmente, ad essere ulteriormente
rinnovati) in epoca successiva. Cass. Civ. 24/01/97 - 761
Legittimazione
La peculiare natura del condominio, ente di gestione sfornito di personalit distinta da quella dei suoi
componenti, i quali devono intendersi rappresentati ex mandato dall'amministratore, comporta che l'iniziativa
giudiziaria di quest'ultimo a tutela di un diritto comune dei condomini non priva i medesimi del potere di agire
personalmente a difesa di quel diritto nell'esercizio di una forma di rappresentanza reciproca atta ad attribuire a
ciascuno una legittimazione sostitutiva scaturente dal fatto che ogni singolo condomino non pu tutelare il
proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere i diritti degli altri condomini. Pertanto il
condomino che interviene personalmente nel processo promosso dall'amministratore per far valere diritti della
collettivit condominiale non un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei ma una delle parti
originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni, sicch, ove tale intervento sia stato spiegato
in grado di appello, non possono trovare applicazione i principi propri dell'intervento dei terzi in quel grado fissati
nell'art. 344 cod. proc. civ. Cass. Civ. 27/01/97 - 826
Amministratore
L'amministratore di condominio - nel quale non ravvisabile un ente fornito di autonomia patrimoniale, bens la
gestione collegiale di interessi individuali, con sottrazione o compressione dell'autonomia individuale - configura
un ufficio di diritto privato oggettivamente orientato alla tutela del complesso di interessi suindicati e realizzante
una cooperazione, in regime di autonomia, con i condomini, singolarmente considerati, che assimilabile, pur
con tratti distintivi in ordine alle modalit di costituzione ed al contenuto "sociale" della gestione, al mandato con
rappresentanza, con la conseguente applicabilit, nei rapporti tra amministratore ed ognuno dei condomini,
dell'art. 1720, comma 1, c.c., secondo cui il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nella
esecuzione dell'incarico diretta ad ottenere il rimborso di somme anticipate nell'interesse della gestione del
condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore, anche contro il singolo condomino
inadempiente all'obbligo di pagare la propria quota L'amministratore di condominio cessato dall'incarico
attivamente legittimato a proporre l'azione per il recupero delle somme da lui anticipate nell'interesse del
condominio nel corso della sua gestione, non soltanto nei confronti di quest'ultimo, bens anche nei confronti dei
singoli condomini, per le quote rispettivamente a loro carico; tale legittimazione attiva trova il suo fondamento
nella disciplina del rapporto di mandato, quale quello configurabile tra i condomini e l'amministratore (art. 1720
c.c.). (Nella specie il convenuto aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva, affermando che l'attore, non
essendo pi amministratore del condominio, non poteva pretendere dai condomini il pagamento di quanto essi
dovevano per spese condominiali). . Cass. Civ. 12/02/97 -1286
Assemblea : spese
La nullit di una delibera condominiale disciplinata dall'art. 1421 c.c., a norma del quale chiunque vi ha
interesse pu farla valere e quindi anche il condomino che abbia partecipato, con il suo voto favorevole, alla
formazione di detta delibera, salvo che con tale voto egli si sia assunto o abbia riconosciuto una sua personale
obbligazione. L'accertamento della sussistenza della completezza o meno dell'ordine del giorno di un'assemblea
condominiale demandato all'apprezzamento del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimit, se
congruamente motivato. Affinch la delibera di un organo collegiale (nella specie assemblea di condominio) sia
valida necessario che l'avviso di convocazione elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso,
specificatamente gli argomenti da trattare, in modo da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire
agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla partecipazione, diretta o indiretta, alla
deliberazione. illegittima la delibera di un condominio, adottata a maggioranza, con la quale si stabilisce un
onere di contribuzione, nelle spese di gestione, maggiore a carico di alcuni condomini, sul presupposto della loro
pi intensa utilizzazione, rispetto agli altri, di parti o servizi comuni, non solo perch la modifica ai criteri legali
(art. 1123 c.c.) o di regolamento di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, ma anche perch
il criterio di riparto in base all'uso differenziato, derivante dalla diversit strutturale della cosa, previsto dal
comma 2 dell'art. 1123 c.c., non applicabile alle spese generali, per le quali opera invece il criterio di cui al
comma 1 dello stesso articolo, ossia la proporzione al valore della propriet di ciascuno. Cass. Civ.19/02/97 1511
Autorimesse parcheggi:
illegittimo il divieto rivolto ai condomini proprietari di autocaravan di parcheggiare tali mezzi nelle aree
condominiali adibite a parcheggio autoveicoli, sempre che i proprietari suddetti non utilizzino il parcheggio
condominiale come area per campeggio. Giud. Pace Foligno 6/03/97 - 15
Vincolo in favore dei proprietari di nuove costruzioni - Obbligo per questi ultimi in forza della imperativit della
norma di acquistare detti spazi e di pagare il corrispettivo - Sussiste. (Cc, articoli 1064, 1102, 1118e 1119; legge
47/1985, articolo 26; legge 765/1967, articolo 18)
Il vincolo di destinazione a parcheggio degli appositi spazi nelle nuove costruzioni, in favore dei proprietari delle
unit immobiliari site nel fabbricato, scaturisce da norme cogenti per cui la norma imperativa, da cui ha origine la
costituzione di un diritto reale duso, non opera solo a vantaggio dellacquirente. Essendo, infatti, il costruttore
tenuto a destinare gli appositi spazi per parcheggio, in favore degli acquirenti delle unit immobiliari site
nelledificio, questi ultimi non possono sottrarsi allacquisto del diritto e al pagamento del corrispettivo. Una volta
chiesta in giudizio lapplicazione della norma imperativa, questa deve trovare integrale applicazione,
comportando la sostituzione di diritto della clausola negoziale nulla e la costituzione del diritto reale duso, con il
diritto del proprietario costruttore a conseguire il compenso. Sezione II, sentenza 16 aprile 1996 n. 3580
Suolo su cui sorge ledificio - Parti comuni - Sottosuolo - Sbancamento del terreno sottostante il piano terreno.
Illegittimit (Cc, articoli 840 e 1117)
Il suolo, su cui sorge un edificio condominiale, di propriet comune, ai sensi dellarticolo 1117 del Cc, la
porzione di terreno sulla quale viene a poggiare lintero edificio e, immediatamente, la parte infima dello stesso
e, per effetto, degli articoli 1117 e 840 del Cc, lo spazio sottostante, che costituisce il sottosuolo, in mancanza di
titolo che ne attribuisca la propriet esclusiva a uno dei condomini, deve considerarsi in propriet comune,
indipendentemente dalla sua destinazione. Deriva, da quanto precede, che ove i proprietari del piano terreno
abbiano eseguito uno sbancamento del terreno sottostante con un abbassamento del pavimento di circa 50
centimetri, con tale opera costoro non hanno realizzato un intervento necessario e indispensabile per la messa
in opera dei manufatti, o di rinforzo delle fondazioni, ma hanno sottratto il sottosuolo comune a vantaggio del
singolo comunista, con conseguente violazione del combinato disposto degli articoli 1117 e 840 del Cc. Sezione
II, sentenza 19 marzo 1996 n. 2295
Cassazione del 09/01/1998 n 138
Titolo:
Pu essere presunta la conoscenza dellavvenuta convocazione dellassemblea del condominio.
Massima:
La convocazione dellassemblea di un condominio, a pena di invalidit della medesima(art.1136 cod.civ.), deve
essere comunicata a tutti i comproprietari pro indiviso di un piano o di una porzione di piano, ma in assenza di
particolari formalit per la notifica dellavviso, la conoscenza di esso da parte di tutti i comproprietari pu essere
presunta se le circostanze sono gravi, precise e concordanti in assenza di forma necessaria per le modalit di
notifica, la conoscenza di essi pu essere presunta, se le circostanze sono precise e concordanti.
Cassazione del 02/03/1998 n 2259
Titolo:
Lamministratore deve al pi presto comunicare allassemblea lazione legale intrapresa nei suoi confronti che
esorbita le sue attribuzioni. Se rientra invece nella sue attribuzioni non tenuto a farsi autorizzare
dallassemblea.
Massima:
Lamministratore del condominio, convenuto in giudizio da un terzo o da un condomino tenuto a darne senza
indugio notizia allassemblea quando la domanda abbia un contenuto esorbitante dalle sue attribuzioni, cos
come delineate dallart. 1130 cod.civ. Pertanto poich in base a detto articolo deve ritenersi spettante
allamministratore nellambito dei compiti di conservazione delle cose comuni (ossia di preservazione della loro
integrit e di reazione ad attentati o pretese di terzi) il potere discrezionale, autonomamente esercitabile, di
impartire le disposizioni necessarie ad eseguire lavori di manutenzione ordinaria delle parti comuni delledificio e
di erogare le relative spese, non pu considerarsi esorbitante dalle dette attribuzioni la decisione autonoma
dellamministratore rispetto ad una lite quando con la domanda proposta contro il condominio si facciano valere
pretese risarcitorie (in forma specifica, oltrech per equivalente) correlata a difetto di manutenzione ordinaria di
una parte comune quale il tetto di copertura delledificio. Ne deriva, ulteriormente, la mancanza, in siffatta
ipotesi, della condizione essenziale per lesercizio da parte del condomino dissenziente del potere di estraniarsi
dalla lite scindendo la propria responsabilit in ordine alle sue conseguenze per il caso di soccombenza, non
potendo tale potere esercitarsi ove legittimamente manchi intorno alla lite promossa contro il condominio una
specifica decisione dellassemblea.
Cassazione del 27/03/1998 n 3238
Titolo:
Il singolo pu agire contro il condominio per la tutela del decoro architettonico. Se viene sollevata leccezione di
esecuzione di opere nelle parti esclusive il contraddittorio deve essere integrato a tutti i condomini.
Massima:
Ciascun partecipante al condominio di edifici, pu agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della
propriet comune, ma se la controparte di aver apportato modifiche e innovazioni sulla propriet esclusiva,
necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini perch oggetto di controversia
laccertamento della natura condominiale o meno, in base ai rispettivi titoli di acquisto, delle parti di edificio
alterate.
Cassazione del 27/03/1998 n 3251
Titolo:
La delibera di formazione o di modifica delle tabelle millesimali pu essere delegata verbalmente ad una
commissione, "facta concludentia" con lapprovazione dei successivi bilanci.
Massima:
In tema di condominio, la delibera di formazione e modifica delle tabelle millesimali, valida anche se il
consenso espresso da delegati verbali dei condomini, senza necessit di procura scritta, potendo il mandato
essere provato con qualsiasi mezzo, anche per "facta concludentia" - come nel caso di prolungata accettazione
dei successivi bilanci - perch le dette tabelle hanno funzione accertativa e valutativa delle quote condominiali
onde ripartire le relative spese stabilire la misura del dirittodi partecipazione alla volont assembleare, ma non
incidono sui diritti reali spettanti a ciascun condomino.
Cassazione del 03/04/1998 n 3422
Titolo:
Gli spazi esterni nei condomini per legge (18/08/1967 n765) vanno destinati a parcheggio. Questo non vieta la
trattazione e la vendita separata da quella dellabitazione.
Massima:
Lart.41 "sexies" della Legge 17 agosto 1942 n. 115, nel testo introdotto dallart.18 Legge 6 agosto 1967 n. 765,
ha istituito tra costruzioni e spazio per parcheggio ad essi progettualmente annessi una relazione che ha
connotati di necessit e di indispensabile permanenza di rilievo pubblicistico e con caratteristiche di realt che
nellipotesi in cui la costruzione sia costituita da un edificio in condominio, comporta che detti spazi ricadono
sulle parti comuni ex art.1117 cod. civ. quando appartengano in comunione a tutti i condomini ovvero vengano a
costituire oggetto di un diritto reale duso spettante ai condomini medesimi, quando la relativa propriet competa
a terzi estranei alla collettivit condominiale o ad uno solo dei componenti di questa. Tale disciplina non vieta la
negoziazione separata delle costruzioni e delle aree di parcheggio ad esse pertinenti, ma esclude che tale
negoziazione possa incidere sulla permanenza del vincolo reale di destinazione sulle aree accennate.
Cassazione del 03/04/1998 n 3424
Titolo:
E valida la delibera o la decisione dellamministratore che autorizzi laccesso carraio in uno spazio prima adibito
a passaggio pedonale.
Massima:
La delibera condominiale, che autorizza il passaggio carrabile dei condomini, gi titolari di un diritto di passaggio
pedonale, su un viale comune del fabbricato, regola luso del bene comune - demandato allamministratore, a
cui per possono sostituirsi, in qualit di mandanti, i condomini - costituendo un diritto personale a loro favore,
ed valida, anche se adottata a maggioranza, purch non comprima i diritti ad essi appartenenti per
convenzione o per effetto dellacquisto delle unit immobiliari o per legge.
Cassazione del 17/04/1998 n 3887
Titolo:
L'obbligo di vigilare sul pozzo comune, anche se allocato in un determinato spazio o locale esclusivo, incombe
sull'intero condominio.
Massima:
In tema di condominio di edifici, l'obbligo di vigilare e mantenere il bene comune (nella specie il pozzo) in stato
da non creare danni ad altri condomini o a terzi estranei al condominio, incombe su tutti gli aventi diritto senza
che rilevi l'ubicazione della cosa comune rispetto alle propriet esclusive.
Cassazione del 26/01/1998 n 714
Titolo:
Il regolamento del condominio non trascritto comunque valido ma non opponibile ai successivi acquirenti. Se
il regolamento prevede che una parte di condomini siano esonerati dalla contribuzione alle spese, tali beni non
ricadono nella compropriet di questi.
Massima:
La trascrizione prevista dall'art.1138 comma terzo cod. civ. del regolamento di condominio nel registro (peraltro
non istituito), di cui all'art.1129 cod. civ. integra un mero onere di pubblicit dichiarativa, la cui inosservanza non
comporta la nullit o l'inefficacia del regolamento approvato dall'assemblea dei condomini o predisposto
dall'originario costruttore dell'edificio condominiale. L'omessa trascrizione del regolamento nei RR.II. determina
invece l'inopponibilit ai successivi acquirenti delle singole unit immobiliari comprese nell'edificio condominiale
delle eventuali clausole limitative di diritti esclusivi di propriet spettanti a ciascun condomino senza influire
anch'essa sulla validit ed efficacia del regolamento. La norma di un regolamento di condominio che stabilisca
per una determinata categoria di condomini l'esenzione dal concorso dalle spese di conservazione di una delle
parti dell'edificio indicate nell'art. 1117 cod. civ., comporta il superamento nei riguardi di detta categoria di
condomini della presunzione di compropriet su detta parte del fabbricato.
Cassazione del 02/02/1998 n 981
Titolo:
Il venditore deve comunque pagare tutte le spese fino alla data della vendita.
Massima:
Il condomino di un edificio che venda l'appartamento di sua esclusiva propriet tenuto al pagamento dei
contributi condominiali deliberati dall'assemblea quando egli era ancora proprietario.
REGOLAMENTO DI CONDOMINIO PREDISPOSTO DAL COSTRUTTORE
Cass. civ., sez. II, 6 agosto 1999 n. 8486 Acquirente di unit immobiliare facente parte del fabbricato - Impegno contrattuale a rispettare il regolamento
condominiale da predisporsi da parte del costruttore - Vincolativit
L'obbligo dell'acquirente, previsto nel contratto di compravendita di un'unit immobiliare di un fabbricato, di
rispettare il regolamento di condominio da predisporsi in futuro a cura del costruttore non pu valere come
approvazione di un regolamento allo stato inesistente, poich solo il concreto richiamo nel singolo atto di
acquisto ad un regolamento che consente di considerare quest'ultimo come facente parte, per relationem, di
quest'atto.
LA PROPRIETA' DEL SOTTOTETTO
Cass. civ., se. II, 20 luglio 1999, n. 7764
Sottotetto - Utilizzabilit da parte di tutti i condomini - Presunzione di propriet comune
In un edificio di pi piani appartenenti a proprietari diversi, l'appartenenza del sottotetto ( non indicato
nell'articolo 1117, Codice civile, tra le parti comuni dell'edificio ) si determina in base al titolo ed in mancanza in
base alla funzione cui esso destinato in concreto. Pertanto, ove trattasi di vano destinato esclusivamente a
servire da protezione dell'appartamento dell'ultimo piano, esso ne costituisce pertinenza e deve perci
considerarsi di propriet esclusiva del proprietario dell'ultimo piano, mentre va annoverato tra le parti comuni se
utilizzabile, anche solo potenzialmente, per gli usi comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di
comunione prevista dalla norma citata, la quale opera ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile,
Limitazioni legali della propriet - Apertura di luci - Caratteri - Conseguenze - Acquisto per usucapione o
destinazione del padre di famiglia - configurabilit
All'apertura tra due vani di un medesimo edificio, realizzata allo scopo di dare aria e luce ad uno di essi
attraverso l'altro, non applicabile la disciplina dettata dagli articoli 901 - 904, Codice di procedura civile,
giacch tale apertura non costituisce estrinsecazione del diritto di propriet, ossia manifestazione di una facultas
del diritto di dominio, ma ponendo in essere una vera e propria incursione sulla sfera di godimento della
propriet altrui, ha sostanza, struttura e funzioni di uno ius in re aliena, acquisibile perci mediante usucapione o
destinazione del padre di famiglia, sempre che l'apertura si concreti in opere visibili e parametri, strutturalmente
destinate ad un inequivoco e stabile assoggettamento del vano, s da rilevare all'esterno l'imposizione di un peso
a suo carico per l'utilit dell'altro.
NOMINA E REVOCA DELL'AMMINISTRATORE
Cass. civ., sez. II, 23 agosto 1999, n. 8837
Amministratore - Nomina e revoca - Revoca - Qualit di parte dell'amministratore
Nel giudizio promosso da alcuni condomini per la revoca dell'amministratore per violazione del mandato,
l'interessato legittimato a contraddire soltanto l'amministratore e non il condominio, il quale non tenuto n ad
autorizzare n a ratificare la resistenza in giudizio dell'amministratore medesimo, trattandosi d'ipotesi estranea a
quelle previste dagli articoli 1130 e 1131, Codice civile, e ci malgrado le ripercussioni nei confronti del
condominio degli effetti della pronuncia giudiziale.
IMPIANTI CONDOMINIALI E APPLICABILITA' DELLE NORME SULLE DISTANZE LEGALI
Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1999, n. 8801
Distanze legali - Unit abitative di edifici in condominio - Disciplina applicabile
La disposizione dell'articolo 889, Codice civile, relativa alle distanze da rispettare per i pozzi, cisterne, fossi e
tubi, applicabile anche con riguardo agli edifici in condominio, salvo che si tratti di impianti da considerarsi
indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell'immobile, tale da essere adeguata all'evoluzione
delle esigenze generali dei cittadini nel campo abitativo e alle moderne concezioni in tema di igiene.
RAPPRESENTANZA GIUDIZIALE DELL'AMMINISTRATORE
Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1999, n. 8589
Rappresentanza giudiziale - Legittimazione dell'amministratore - Azioni reali contro terzi a tutela delle cose
comuni - Rivendica - Autorizzazione dell'assemblea
A norma dell'articolo 1131, comma primo, Codice civile, tra i maggiori poteri che l'assemblea o il regolamento di
condominio possono conferire all'amministratore per la rappresentanza nel condominio stesso rientrano anche
quelli attinenti all'esercizio dell'azione di rivendica.
SPESE DI RIPARAZIONE DEL LASTRICO SOLARE
Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1999, n. 8532
Parti comuni dell'edificio - Terrazze, lastrici solari, logge - Ripartizione delle spese in base all'uso
L'articolo 1126, Codice civile, nel disciplinare la ripartizione delle spese di riparazione e ricostruzione del lastrico
solare per chi ne ha l'uso esclusivo, non specifica la natura reale o personale di esso, che invece determinata
dal titolo, n a tal fine rileva l'attribuzione millesimale, utilizzata come criterio per contribuire agli oneri
condominiali.
CONTESTAZIONE DEL VERBALE DI ASSEMBLEA
Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1999, n. 11526
Assemblea dei condomini - Deliberazioni - Verbale - Valore di prova presuntiva - Contestazione da parte del
condomino della verit di quanto riferito nel verbale - Onere della prova
Il verbale dell'assemblea condominiale offre una prova presuntiva dei fatti che afferma essersi in essa verificati,
per modo che spetta al condomino che impugna la deliberazione assembleare contestando la rispondenza a
verit di quanto riferito nel relativo verbale, di provare il suo assunto.
UTILIZZO DELLA COSA COMUNE DA PARTE DEL SINGOLO
Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1999 n. 11520
Parti comuni dell'edificio - Utilizzazione della cosa comune da parte del condomino in modo particolare e diverso
dall'uso comune - Ammissibilit - Limiti
Il limite che l'articolo 1102, Codice civile, pone al potere di utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun
condomino quello del divieto di alterarne la destinazione e di impedire che altri ne faccia parimenti uso
secondo il suo diritto. Pertanto l'uso particolare della cosa comune da parte del condomino non deve
determinare pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari, ancorch non ne sia
impedito l'uso.
LIMITAZIONI DEI DIRITTI DEI CONDOMINI
Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121
Regolamento contrattuale - Imposizioni di limitazioni dei diritti dei condomini sia sulle parti comuni che sulle
propriet individuali - Ammissibilit - Condizioni
In materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano
limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parte comuni, sia riguardo al
contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva propriet, senza che rilevi che l'esercizio del diritto
individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni. Ne discende che legittimamente le
norme di un regolamento di condominio - aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario
proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti d'acquisto dai condomini ovvero adottate in sede
assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini - possono derogare ed integrare la disciplina legale ed
in particolare possono dare al concetto di decoro architettonico una definizione pi rigorosa di quella accolta
dall'articolo 1120, Codice civile, estendendo il divieto di mutazione sino ad imporre la conservazione degli
elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della
sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva.
SPESE STRAORDINARIE E IMPUGAZIONE DEL PIANO DI RIPARTO
Tribunale Milano 22 novembre 1999, n. 10109
Spese straordinarie - Ripartizione - Approvazione del piano di riparto - Legittimazione ad impugnare
A fronte di una specifica richiesta di pagamento da parte dell'amministratore, conseguente ad una deliberazione
assembleare con la quale viene approvata l'esecuzione di opere straordinarie la cui ripartizione della spesa
stata dalla stessa assemblea demandata allo stesso "secondo le normative vigenti e tabelle millesimali" (ndr.
senza, quindi che vi sia stata approvata una concreta ripartizione della spesa), ogni condomino appare portatore
di un interesse concreto ed attuale all'accertamento giudiziale della erroneit della richiesta nei suoi confronti
specificatamente formulata e da qualificarsi, comunque, quale pretesa creditoria promanante dalla collettivit
rappresentata dall'amministratore, anche in base allo specifico mandato da questi ricevuto nel corso
dell'assemblea che autorizza i lavori.
SPESE DI IMPERMEABILIZZAZIONE DEL CORTILE
Tribunale Milano 15 novembre 1999, n. 9960
Spese di impermeabilizzazione del cortile - Ripartizione - Criteri - Onere a carico della collettivit
Considerato invero il diverso grado di "servizio" del "cortile" rispetto alle porzioni immobiliari "box" (rispetto alle
quali una parte del cortile funge da copertura e via costante di accesso a mezzi motorizzati) e rispetto al restante
edificio (per il quale il cortile funge solo da zona di generico passaggio e di accesso al locale rifiuti), non se ne
pu che trarre la conclusione di una pi intensa destinazione d'uso della porzione interessata dalle opere di
rifacimento dell'impermeabilizzazione del cortile (sovrastante alcuni box nonch due locali comuni adibiti alla
raccolta dei rifiuti dello stabile principale) per i soli condomini proprietari dei box: e ci, si noti,
indipendentemente da ogni questione in termini di uso "potenziale" ovvero concreto da parte dei membri della
collettivit, alla diversa destinazione della cosa essendo direttamente discendente dalla conformazione del
complesso. La delibera impugnata deve quindi essere dichiarata invalida in quanto essa disattende la regola di
riparto ex articolo 1123, secondo comma, Codice civile, applicabile alla fattispecie.
MODALITA' DI CONVOCAZIONE DELL'ASSEMBLEA
Tribunale Napoli, sez. II, 30 settembre 1999, n. 6867
Assemblea - Convocazione - Modalit - Presunzione di conoscenza - Onere della prova
Se vero, secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, che la convocazione dell'assemblea di un
condominio, a pena d'invalidit della medesima, ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 1136, Codice civile, va
comunicata a tutti i comproprietari pro indiviso di un piano o di una porzione di piano, stante l'inapplicabilit
anche in via analogica dell'art. 2347, Codice civile, altrettanto vero che in assenza di particolari formalit per la
notifica dell'avviso di convocazione il coniuge convivente, allorquando la stessa sia stata notificato all'altro
coniuge, comproprietario, talch una volta dimostrata tale presunzione, spetta alla controparte fornire la prova
che in concreto tale conoscenza non vi sia stata. Cos pure da ritenersi che sussistano elementi tali da poter
affermare l'esistenza della presunzione di conoscenza della convocazione da parte degli altri comproprietari, se
pur non conviventi, allorquando - come nel caso di specie - uno dei coeredi, in quanto, secondo l'orientamento
della Suprema Corte, uno dei comproprietari pu ritenersi ritualmente convocato a partecipare ad un'assemblea
del condominio, nonch validamente rappresentato nella medesima, con riguardo ad affari di ordinaria
amministrazione, dall'altro comproprietario della stessa unit immobiliare, senza il bisogno di particolari formalit
essendo sufficiente che risulti provata - anche per presunzioni - l'effettiva notizia della convocazione di
assemblea ed abbia conferito, sia pure verbalmente, il potere di rappresentanza.
CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE DI RIFACIMENTO DELLA FACCIATA
Tribunale Milano 30 dicembre 1999, n. 10526
Rifacimento delle facciate - ripartizione della spesa - Art. 1123, Codice civile - Inapplicabilit tabelle millesimali di
propriet
Merita accoglimento la domanda di impugnazione di delibera con la quale sia stato deciso di ripartire in base al
criterio millesimale, indistintamente tra tutti i condomini, le spese per una serie di interventi di ristrutturazione
dello stabile che comprendevano il rifacimento della facciata previa demolizione dell'intonaco e sostituzione con
l'altro, comprese le balconate (n. d. r. nel caso in esame comunque correttamente addebitate ai soli proprietari di
queste, per la parte loro esclusiva). Ci si trova qui in presenza di opere non di opere di semplice manutenzione
estetica della facciata, suscettibili, secondo noti principi, di essere ripartite tra tutti i condomini in ragione delle
rispettive quote di propriet, ma interessanti strutture di cui si avvalgono principalmente i proprietari di
appartamenti cui la facciata serve da protezione, o addirittura, come nel caso di balconi, i soli proprietari di
questi (n. d. r. vedi quanto gi sopra precisato e quindi in questo caso non oggetto d'impugnazione).
Rappresenta quindi un eccesso di potere da parte dell'organo decisorio condominiale la ripartizione di queste
spese indiscriminatamente tra tutti i partecipanti al condominio comprendendovi coloro che, essendo proprietari
di un'unit situata al livello delle cantine, non si avvale in alcun modo diretto della facciata se non per le parti
comuni che appartengono all'edificio riparato dalla facciata (come l'androne).
CONDOMINIO - PARTI COMUNI
Cass. civ., sent. n. 875, 3 febbraio 1999, Sez. II
Delibera assembleare di chiusura dei cancelli di accesso al sottosuolo - Innovazione - Esclusione - Maggioranza
prevista
In tema di condominio negli edifici, non richiesta, per la legittimit della delibera assembleare avente a oggetto
la chiusura dei cancelli di accesso al sottosuolo ove sono collocati i posti macchina riservati ai condomini,
l'adozione con la maggioranza qualificata dei due terzi del valore dell'edificio, non concernendo tale delibera una
"innovazione", secondo il significato attribuito a tale espressione dal codice civile, ma riguardando solo la
regolamentazione dell'uso ordinato della cosa comune consiste nel non consentire a terzi estranei al condominio
l'indiscriminato accesso al sottosuolo dello stesso.
CONDOMINIO - REGOLAMENTO
Cass. civ., sent. n. 1057, 6 febbraio 1999, Sez. II
Assembleare - Modifiche delle disposizioni in materia di uso delle parti comuni - Modificabilit - Condizioni
Qualora il regolamento condominiale non abbia natura contrattuale, l'assemblea dei condomini, anche in
mancanza di unanimit, pu modificare le disposizioni regolamentari in materia di uso delle cose comuni, purch
sia assicurato il diritto al pari uso di tutti i condomini, e cio il diritto di ciascun condomino di trarre dalle cose
comuni il massimo godimento possibile, dovendo, peraltro, la eventuale maggiore utilizzazione consentire, sia
pure a livello di previsione potenziale, un godimento di pari natura ed intensit da parte degli altri condomini.
Cass. civ., sent. n. 3749, 15 aprile 1999, Sez. II
Contrattuale - Effetti vincolanti
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato dagli
iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso o
il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facolt dei singoli
condomini sulle loro propriet esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servit reciproca.
CONDOMINIO - RESPONSABILITA CIVILE
Cass. civ., Sent. n. 3753, 15 aprile 1999, Sez. II
Umidit conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali - Danni a singoli condomini Responsabilit del condominio
L'umidit conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un edificio, pu integrare, ove sia
compromessa l'abitabilit e il godimento del bene, grave difetto dell'edificio ai fini della responsabilit del
costruttore ex art. 1669 cod. civ.; tuttavia, qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli condomini, nei
confronti di costoro responsabile in via autonoma ex art. 2051 cod. civ. il condominio, che tenuto, quale
custode, a eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria.
CONDOMINIO - RIPARTIZIONE SPESE
Cass. civ., sent. n. 3568, 12 aprile 1999, Sez. II
Manutenzione dei soffitti, delle volte e dei solai - modalit di ripartizione per i danni ascrivibili a singoli condomini
In tema di condominio di edifici, la ripartizione delle spese per la manutenzione, ricostruzione dei soffitti, delle
volte e dei solai secondo i criteri dell'art. 1125 cod. civ., riguarda le ipotesi in cui la necessit delle riparazioni
non sia da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli condomini trova
applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni a carico di colui che li ha cagionati.
Cass. civ., sent. n. 2617, 20 marzo 1999, Sez. II
Pagamento della quota per spese comunali - Applicabilit del principio dell'apparenza
L'amministratore di un condominio pu invocare il principio dell'apparenza del diritto, che giustifica il suo errore
di terzo in buona fede, per ottenere il pagamento delle quota per spese comuni da colui che si comporta da
condomino, nella specie promissario acquirente di appartamenti nell'edificio condominiale, trasferitigli
coattivamente con sentenza di primo grado, bench non definitiva perch appellata dalla soccombente
controparte, e locati in qualit di proprietari, non avendo l'onere di controllare preventivamente i registri
immobiliari per accertare la titolarit della propriet.
CONDOMINIO - RISCALDAMENTO CENTRALE
Cass. civ., sent. n. 1165, 11 febbraio 1999, Sez. II
Trasformazione di impianti autonomi a gas - Validit della delibera approvata ai sensi dell'art. 26 della legge
10/1991 anche in mancanza del progetto dell'opera
La delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari, ai
sensi dell'art. 26, comma 2, legge 10 del 9 gennaio 1991, in relazione all'art. lett. g), stessa legge, assunta a
maggioranza delle quote millesimali, valida anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato
dalla relazione tecnica di conformit di cui all'art. 28, comma 1, stessa legge, attenendo tale progetto alla
successiva fase di esecuzione della delibera.
CONDOMINIO - USO DELLE PARTI COMUNI
Cass. civ., sent. n. 1162, 11 febbraio 1999, Sez. II
Tubatura di scarico di un servizio esclusivo di un condomino - Collocazione in un muro maestro - Legittimit Infiltrazioni causate alla propriet di un altro condomino - Obbligo di risarcire i danni
La collocazione di una tubatura di scarico di un servizio, di pertinenza esclusiva di un condomino, in un muro
maestro dell'edificio condominiale, rientra nell'uso consentito del bene comune, per la funzione accessoria cui
esso adempie, restando impregiudicata la domanda di condanna del risarcimento del danno, anche in forma
specifica, ossia mediante sostituzioni e riparazioni, proponibile per le infiltrazioni derivatene alla propriet, o
compropriet, di altro condomino
Cass. 25/03/99 - n. 2837
Assemblea - Convocazione - Prova del recapito - Onere dell'amministratore
L'onere di provare che tutti i condomini siano stati tempestivamente convocati, fa carico al condominio. Tale
prova non pu essere offerta con la dimostrazione della consegna di un avviso a soggetti quali non stato
conferito uno stabile potere di rappresentanza nei confronti del condominio.
Parcheggio - Rivendica del diritto reale nei confronti del venditore/costruttore - litisconsorzio con gli altri
condomini.
Qualora alcuni condomini abbiano convenuto in giudizio il venditore - costruttore dell'edificio, per rivendicare il
diritto reale d'uso sull'area dell'edificio destinata a parcheggio, non ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario,
nei confronti degli altri condomini, ai quali pertanto non va notificato l'atto d'impugnazione per l'integrazione del
contraddittorio.
Cass. 12/04/99 - n. 3568
Contributi e spese - Manutenzione - Danno ascrivibile a singoli condomini - Risarcimento.
In tema di condomini ed edifici, la ripartizione delle spese, per la manutenzione, ricostruzione di soffitti, delle
volte e dei solai, secondo i criteri previsti dall'art. 1125 c. c., riguarda le ipotesi in cui le necessit delle
riparazioni non siano da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli
condomini, trova applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni a carico di colui che li
ha provocati.
Cass. 12/04/99 - n. 3574
Pertinenza - Trasferimento a terzi del bene principale - Estensione alla cosa accessoria.
Costituitosi un rapporto pertinenziale tra beni a seguito della destinazione operata dal proprietario della cosa
principale, che ha piena che ha piena disponibilit anche della cosa accessoria ( nella specie una veranda a
servizio di un appartamento, realizzata su un'area condominiale, dall'originario proprietario costruttore dell'intero
edificio), gli atti di disposizione aventi ad oggetto la cosa principale, si estendo a quella accessoria. Ci sempre
che non intervenga un atto del proprietario di cessazione della destinazione, vale a dire l'esplicita esclusione
della pertinenza in un atto avente in un atto avente ad ogni oggetto la cosa principale o il compimento di un atto
avente ad oggetto la sola pertinenza.
Cass. 15/04/99 - n. 3749
Regolamento contrattuale - Clausole delimitanti il potere e le facolt dei singoli condomini sulle propriet
esclusive - Opponibilit ai successivi acquirenti .
Il regolamento di condominio, predisposto dall'originario e unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato
dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto presso i registri immobiliari, assume carattere di
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti, non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso
e il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facolt dei singoli
condomini sulle propriet esclusive, venendo a costruire su queste ultime una servit reciproca.
Cass. 16/04/99 - n. 3803
Contributi e spese - Soggetti obbligati - Lastrico con funzione di copertura e di raccolta di acque di scolo manutenzione.
In un condominio il lastrico di copertura di una parte individuata dell'edificio condominiale, che ha la funzione,
oltre che di copertura di tale parte, anche di raccolta delle acque di scolo di altre parti dell'edificio, deve ritenersi
destinato a scrivere anche queste ultime. Conseguentemente le spese di manutenzione devono essere ripartite
fra tutti i condomini che ne traggono utilit, tenendo conto della diversa utilit che ciascuna parte pu trarne.
Cass. 28/04/99 n. 4266
Parti comuni dell'edificio - Sottotetti, soffitti e solai - Presunzione di comunione.
Il sottotetto di un edificio pu considerarsi pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano, soltanto ove assolva
l'esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento stesso dal caldo, dal freddo e dall'umidit, mediante
la creazione di una camera d'aria. Di contro tale principio non si applica allorch il sottotetto ambia dimensioni e
caratteristiche strutturali tali da consentire l'utilizzazione come vano autonomo, nel qual caso deve presumersi di
propriet condominiale, se esso risulti in concreto, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all'uso
comune o all'esercizio di un interesse comune.
RESPONSABILITA' DEL COMMITTENTE PER I DANNI CAUSATI DALL'APPALTATORE
Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2000, n. 187
Appalto - Responsabilit per danni cagionati a terzi - Ingerenze del committente - Esclusione della responsabilit
dell'appaltatore - Condizioni
La responsabilit per i danni arrecati a terzi nell'esecuzione dell'opera, rimane esclusa solo se vi sia la prova che
egli ha reso edotto il committente dell'erroneit delle istruzioni ricevute e ci nonostante si dovuto attenere alle
dette istruzioni, per averle il committente ribadite.
MODIFICA DEI CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE GENERALI
Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2000, n. 126
Contributi e spese condominiali - Ripartizione delle spese generali - Modifica dei criteri - Difetto del consenso di
tutti i condomini - Nullit della delibera - Sussistenza - Conseguenze - Esperibilit dell'azione di nullit anche da
parte del condomino consenziente
E' affetta da nullit ( la quale pu essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato
all'assemblea e ancorch abbia espresso voto favorevole, e risulta sottratta al termine d'impugnazione previsto
dall'art. 1137, Codice civile,) la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i
condomini, si modifichino i criteri legali (art. 1123, Codice civile) o di regolamento contrattuale di riparto delle
spese necessarie per la prestazione di servizi nell'interesse comune, e ci perch il riparto in base all'uso
differenziato, previsto dal secondo comma del citato art. 1123, non applicabile alle spese generali.
RESPONSABILITA' DELL'APPALTATORE
Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2000, n. 117
Gravi difetti di costruzione - Infiltrazioni di acqua per carenze di impermeabilizzazione - Responsabilit del
costruttore - Garanzia a carico dell'appaltatore.
Tra i vari difetti di costruzione per i quali operante a carico dell'appaltatore la garanzia prevista dall'art. 1669,
Codice civile, rientrano le infiltrazioni d'acqua determinate da carenze dell'impermeabilizzazione perch incidono
sulla funzionalit dell'opera menomandone il godimento.
APERTURA DI UN VARCO D'ACCESSO DAL CORTILE CONDOMINIALE ALLA PROPRIETA' ESCLUSIVA
particolarit di una situazione che vede praticamente rovesciate le posizioni presupposte dall'art. 1126, ove cio
la pluralit dei condomini gode del piano di calpestio, mentre la copertura serve ad un solo condomino, potrebbe
suggerire una diversa suddivisine dell'onere economico ( la norma chiaramente non intende penalizzare il
singolo condomino ) ma identica rimane la ratio desumibile, ossia una corresponsabilit tra l'intera comunit
condominiale ed il singolo condomino che dal bene trae una particolare ed esclusiva utilit ( come del resto
chiaramente previsto dall'art. 1123, secondo comma, Codice civile ). Deve pertanto ritenersi che l'utilit fornita
come copertura abbia rilevanza pari a quella fornita all'intera comunit condominiale per il calpestio: con la
conseguenza che la responsabilit per i danni derivanti dalla cattiva manutenzione del lastrico solare vanno
posti per met a carico del condominio e per l'altra a carico del singolo per cui funge da copertura.
ORDINE DEL GIORNO: REQUISITI
Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2000, n. 3634
Assemblea dei condomini - Avviso di convocazione - Ordine del giorno - Contenuto - Elencazione specifica degli
argomenti da trattare - Accertamento della sua completezza
Affinch la delibera di un'assemblea condominiale sia valida necessario che l'avviso di convocazione elenchi,
sia pure in modo non analitico e minuzioso, specificatamente gli argomenti da trattare s da far comprendere i
termini essenziali di essi e consentire agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla
partecipazione alla deliberazione. In particolare la disposizione dell'art. 1105, terzo comma, Codice civile,
applicabile anche in materia di condominio di edifici, la quale prescrive che tutti i partecipanti debbano essere
preventivamente informati delle questioni e delle materie sulle quali sono chiamati a deliberare, non comporta
che nell'avviso di convocazione debba essere prefigurato lo sviluppo della discussione ed il risultato dell'esame
dei singoli punti da parte dell'assemblea. L'accertamento della completezza o meno dell'ordine del giorno di
un'assemblea condominiale, nonch della pertinenza della deliberazione dell'assemblea al tema in discussione
indicato nell'ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione, poi demandato all'apprezzamento
del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimit se adeguatamente motivato.
APERTURA DI VEDUTE
Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2000, n. 3421
Distanze legali - Costruzione a distanza inferiore a quella stabilita dall'art. 873, Codice civile - Apertura in essa di
una veduta diretta - Inammissibilit
La disposizione dell'art. 905, Codice civile, secondo cui, per l'apertura di vedute dirette verso il fondo del vicino si
deve osservare la distanza di un metro e mezzo, va posta in relazione con l'art. 873 dello stesso codice che
prescrive una distanza non minore di tre metri ( o quella maggiore stabilita dai regolamenti edilizi locali ) per le
costruzioni su fondi finitimi. Da ci consegue, pertanto, che, ove nel compiere la costruzione non sia stata
rispettata la distanza dal fondo del vicino fissata dal Codice civile, non possa aprirsi in detta costruzione una
veduta iure proprietatis.
PRESUNZIONE DI COMUNIONE SULLE PARTI COMUNI
Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2000, n. 3409
Parti comuni dell'edificio - Presunzione di comunione - Titolo contrario - Necessit - Situazione di fatto non
risultante dal titolo - Ininfluenza - Superamento della presunzione
La presunzione di comunione, tra i condomini di un edificio condominiale, delle parti comuni indicate dall'art.
1117, Codice civile, pu esser superata soltanto se il contrario risulta dal titolo, non dalla singola situazione di
fatto ( principio affermato dalla Cassazione in una specie in cui unitamente all'acquisto del primo piano era stato
acquistato, in propriet esclusiva, l'accesso ad esso da una scala esterna, mentre era stato murato l'altro
accesso attraverso una scala interna comune, che per costituiva l'unico transito per accedere ai lastrici solari,
comuni anche al proprietario del primo piano ).
AMMINISTRATORE NOMINATO DALL'AUTORITA' GIUDIZIARIA
Non fondata la questione di legittimit costituzionale degli arte. 1105, comma quarto, 1129, comma primo, c.c.
737 e ss. c.p.c. nelle parti in cui non prevedono che il ricorso introduttivo del procedimento per la nomina
dell'amministratore del condominio da parte dell'autorit giudiziaria debba essere notificato agli altri condomini,
questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
* Corte cost., 27 novembre 1974, n. 267, in Arch. civ. 1975, 175.
L'amministratore della cosa comune nominato dall'autorit giudiziaria a norma dell'art. 1105, quarto comma, c.c.,
al pari dell'amministratore nominato dall'assemblea dei comproprietari, ha il mero compito di amministrare, non
gi quello di deliberare o di risolvere conflitti di diritti soggettivi tra i vari cointeressati; la risoluzione dei conflitti di
diritti soggettivi tra i comproprietari costituisce, infatti, compito esclusivo dell'autorit giudiziaria in sede
contenziosa, ovvero dell'autonoma condotta contrattuale degli interessati.
* Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1977, n. 571.
Il ricorso all'autorit giudiziaria in sede di volontaria giurisdizione previsto dall'art. 1105 (quarto comma) c.c., per
l'ipotesi in cui non vengano adottati i provvedimenti necessari all'amministrazione della cosa comune,
improponibile quando tra i partecipanti alla comunione si controverta sull'esistenza e sull'estensione di diritti
soggettivi.
* Cass. civ., sez. II, 17 giugno 1974, n. 1765.
Il provvedimento di nomina dell'amministratore adottato dal presidente del tribunale, a norma dell'art. 1129,
comma 1, c.c., sul presupposto che il condominio ne sia sprovvisto, costituisce attivit di carattere non
giurisdizionale ma amministrativo, non essendo diretta a risolvere un conflitto di interessi ma solo ad assicurare
al condominio l'esistenza dell'organo necessario per l'espletamento delle incombenze ad esso demandate dalla
legge. Esso non soggetto a reclamo innanzi alla corte d'appello, mancando una previsione normativa in tal
senso (a differenza del provvedimento di revoca dell'amministratore adottato ai sensi del comma 3 del citato art.
1129 nonch dell'ultimo comma dell'art. 1131, per il quale il reclamo previsto dall'art. 64 att. c.c.) con
conseguente inammissibilit del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., avverso il provvedimento della corte
d'appello che abbia dichiarato inammissibile il reclamo contro lo stesso proposto.
* Cass. civ., sez. II, 13 novembre 1996, n. 9942, Minelli c. Siani ed altri, in Arch. loc. e cond. 1997, 439.
L'amministratore di un compendio immobiliare nominato ex art. 1105, ultimo comma, c.c., non pu, in virt della
fonte giudiziaria dei propri poteri, sottrarsi all'adempimento delle obbligazioni derivanti dalla precedente
gestione. Egli, infatti, effettivamente estraneo al bene gestito soltanto quale persona fisica, con la
conseguenza che non risponde con il proprio patrimonio delle obbligazioni gi contratte nell'interesse comune.
* Trib. civ. Brescia, ord. 24 novembre 1999, Bonfiglio c. Soc. A.S.M. in Arch. loc. e cond. 2000, 98.
E' improponibile il ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. presentato da un condomino nel caso in cui non si adottino i
provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si formi una maggioranza ovvero se la
deliberazione adottata non venga eseguita: in tali ipotesi deve essere prima promosso il procedimento di
volontaria giurisdizione, in camera di consiglio, previsto dall'art. 1105, quarto comma, cod. civ.
* Pret. civ. Taranto, 12 aprile 1988, Paduano Picciolo c. Condominio Via Di Palma n. 41, Taranto, in Arch. loc. e
cond. 1988, 460.
Allorquando il provvedimento di nomina dell'amministratore di un condominio di edificio da parte dell'autorit
giudiziaria, a norma dell'art. 1129 cod. civ., impugnato perch affetto da nullit sotto il profilo dell'inesistenza
del condominio, assumendosi che si verta, invece, in tema di comunione di cose, legittimi contraddittori sono
soltanto i comproprietari di queste e non l'amministratore nominato, di cui implicitamente si contesta in radice lo
stesso potere di gestione e rappresentanza. (Nella specie, la C.S., rilevato che era stato citato in giudizio il solo
amministratore anche come comproprietario delle cose comuni, ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei
confronti degli altri compartecipi ai sensi dell'art. 102 cod. proc. civ.).
* Cass. civ., sez. II, 4 aprile 1985, n. 2309, Dalla Bona c. Lauwero.
L'amministratore giudiziario di un condominio un mandatario dei condomini partecipanti alla comunione e
pertanto il compenso allo stesso spettante, ove non concordato tra le parti, deve essere determinato in sede
contenziosa e non pu, quindi, essere liquidato dal giudice che ha provveduto alla nomina a norma dell'art.
1129, primo comma, c.c.
* Corte app. civ. Lecce, sez. dist. Taranto, 3 maggio 1995, Marturano c. Condominio villaggio Fatamorgana di
Marina di Pulsano, in Arch. loc. e cond. 1996, 73.
La domanda diretta ad ottenere dal giudice la risoluzione del contrasto insorto tra i comunisti in ordine alle sole
modalit di realizzazione di interventi di riparazione della cosa comune, va proposta nelle forme camerali
previste dall'art. 1105, quarto comma cod. civ., a nulla rilevando che, nel corso del giudizio contenzioso a tal fine
promosso, siano sollevate questioni di conflitto su diritti soggettivi influenti sulla scelta della soluzione pratica da
adottare.
* Trib. civ. Monza, 24 febbraio 1987, Mufan c. Sala e altri, in Arch. loc. e cond. 1987, 529.
a) Danno cagionato da animali
In tema di responsabilit per danni cagionati da animali, l'art. 2052 cod. civ. stabilisce a carico del proprietario
dell'animale una presunzione di colpa a vincere la quale non sufficiente la prova di avere usato la comune
diligenza nella custodia dell'animale, ma occorre la prova del caso fortuito. In questo riconducibile anche la
colpa del danneggiato, che, per, per avere effetti liberatori, deve consistere in un comportamento cosciente che
assorba l'intero rapporto causale, e cio in una condotta che, esponendo il danneggiato al rischio e rendendo
questo per ci stesso possibile in concreto, si inserisca in detto rapporto con forza determinante.
* Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1983, n. 1400, Parini c. Olivari.
La responsabilit sancita dall'art. 2052 c.c. ricorre tutte le volte che il danno sia stato prodotto, con diretto nesso
causale, dal fatto proprio dell'animale secundum o contra naturam, comprendendosi in tale concetto qualsiasi
atto o moto dell'animale quod sensu caret, che dipenda dalla natura dell'animale medesimo e prescinda
dall'agire dell'uomo.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 1977, n. 261.
La presunzione di responsabilit per danno cagionato da animali, ai sensi dell'art. 2052 cod. civ., pu essere
superata esclusivamente qualora il proprietario o colui che si serve dell'animale provi il caso fortuito e pertanto
non pu attribuirsi identica efficacia liberatoria alla semplice prova dell'uso della normale diligenza nella custodia
dell'animale stesso o della mansuetudine di questo, essendo, pertanto irrilevante che il suo comportamento
dannoso sia stato causato da impulsi interni imprevedibili o inevitabili ed essendo, invece, sufficiente al
permanere della suddetta presunzione che il danno sia stato prodotto con diretto nesso causale, da fatto proprio
dell'animale.
* Cass. civ., sez. III, 6 gennaio 1983, n. 75, Ente Teatr. Op. c. Ricci.
La responsabilit per fatto di animale, di cui all'art. 2052 c.c., riguarda alternativamente il proprietario
dell'animale e chi si serve dell'animale, per tutto il periodo in cui lo ha in uso.
* Pret. civ. Torino, 4 ottobre 1991, in Arch. civ. 1992, n. 3.
b) Divieto di detenzione
In tema di condominio di edifici il divieto di tenere negli appartamenti comuni animali domestici non pu essere
contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo
detti regolamenti importare limitazioni delle facolt comprese nel diritto di propriet dei condomini sulle porzioni
del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva, sicch in difetto di un'approvazione unanime le
disposizioni anzidette sono inefficaci anche con riguardo a quei condomini che abbiano concorso con il loro voto
favorevole alla relativa approvazione, giacch le manifestazioni di voto in esame, non essendo confluite in un
atto collettivo valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali atipici, di per s inidonei ai sensi dell'art. 1987 c.c. a
vincolare i loro autori, nella mancanza di una specifica disposizione legislativa che ne preveda l'obbligatoriet.
* Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1993, n. 12028.
La detenzione di animali in un condominio, essendo la suddetta facolt una esplicazione del diritto dominicale,
pu essere vietata solo se il proprietario dell'immobile si sia contrattualmente obbligato a non detenere animali
nel proprio appartamento, non potendo un regolamento condominiale di tipo non contrattuale, quand'anche
approvato a maggioranza, stabilire limiti (oneri reali e servit) ai diritti ed ai poteri dei condomini sulla loro
propriet esclusiva, salvo che l'obbligo o il divieto imposto riguardino l'uso, la manutenzione e la eventuale
modifica delle parti di propriet esclusiva, e siano giustificati dalla necessit di tutelare gli interessi generali del
condominio, come il decoro architettonico dell'edificio.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 10 aprile 1990, n. 231, Copelli c. Cassi e Paganuzzi, in Arch. loc. e cond. 1990,
287.
La detenzione di un animale pu integrare in astratto la fattispecie di cui all'art. 844 cod. civ., in quanto tale
norma, interpretata estensivamente, suscettibile di trovare applicazione in tutte le ipotesi di immissioni che
abbiano carattere materiale, mediato o indiretto e provochino una situazione di intollerabilit attuale; pertanto, in
mancanza di un regolamento condominiale di tipo contrattuale che vieti al singolo condomino di detenere
animali nell'immobile di sua esclusiva propriet, la legittimit di tale detenzione deve essere accertata alla luce
dei criteri che presiedono la valutazione della tollerabilit delle immissioni.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 10 aprile 1990, n. 231, Copelli c. Cassi e Paganuzzi, in Arch. loc. e cond. 1990,
287.
Nel caso in cui un regolamento condominiale di tipo contrattuale vieti di tenere animali che possano recare
disturbo ai condomini, il giudice, accertati tali disturbi, pu ordinare, con provvedimento di urgenza,
l'allontanamento degli animali dagli appartamenti in cui sono tenuti.
* Trib. civ. Napoli, ord. 25 ottobre 1990, Ragosta ed altri c. Miranda e Cario, in Arch. loc. e cond. 1990, 737.
Il giudice pu, con provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c., ordinare l'allontanamento di animali molesti (
nella specie, cane) dal condominio, affidando l'esecuzione ad organi pubblici, con divieto assoluto di ritorno
nell'edificio condominiale.
* Trib. civ. Napoli, ord. 8 marzo 1994, in Arch. loc. e cond. 1994, 337.
Qualora una norma contenuta in un regolamento condominiale vieti la detenzione di animali che possano
turbare la quiete o l'igiene della collettivit, il semplice possesso di cani o di altri animali non sufficiente a far
incorrere i condomini in questo divieto, essendo necessario che si accerti effettivamente il pregiudizio causato
alla collettivit dei condomini sotto il profilo della quiete o dell'igiene.
* Pret. civ. Campobasso, 12 maggio 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 176.
Non pu l'assemblea, con voto di maggioranza, imporre ad un condomino il divieto di detenere cani negli
appartamenti, ma occorre che il divieto sia posto nel regolamento condominiale.
* Trib. civ. Parma, 11 novembre 1968, in Riv. giur. edil. 1971, 446.
L'amministratore del condominio legittimato ad agire giudizialmente per il rispetto del regolamento e per la
cessazione di molestie derivanti dalla detenzione di animali negli appartamenti, e la competenza in ordine a tale
questione spetta al pretore.
* Trib. civ. Parma, 11 novembre 1968, in Riv. giur. edil. 1971, 446.
La delibera assembleare di approvazione del regolamento di condominio presa a maggioranza invalida,
perch limitativa delle propriet individuali, nella parte in cui vieta ai condomini di tenere cani anche nelle logge
e nei terrazzi.
* Trib. civ. Messina, 8 aprile 1981, n. 743, in Riv. giur. dottr. leg. e giur. 1981, 53.
c) Immissioni
In caso di regolamento condominiale che vieti tassativamente di recare disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi
natura, il continuo abbaiare di tre cani pastori ed il suono di una batteria configurano sia la lesione di tale
norma regolamentare che violazione dell'art. 844 c.c.
* Trib. civ. Milano, 28 maggio 1990, In Arch. loc. e cond. 1991, 792.
d) Omessa custodia e malgoverno
L'art. 672 c.p. configura tre fattispecie criminose: lasciar liberi, custodire senza le debite cautele, affidare
a persona inesperta animali pericolosi. Consuma la seconda di tali ipotesi colui che, nella sua dimora, tenga un
cane lupo da guardia di grossa taglia, slegato e privo di museruola, quando al medesimo sia possibile portarsi
nell'ingresso, nella portineria e in ogni altro luogo ove siano ammessi i visitatori, per tal modo esposti al rischio di
improvvisi assalti.
* Cass. pen., sez. VI, 17 marzo 1970, n. 684, Fraschini.
L'obbligo di custodire e di governare animali dotati di naturale ed istintiva ferocia o che in determinate
circostanze possano diventare aggressivi incombe sul detentore a qualsiasi titolo. Risponde, quindi, della
contravvenzione di cui all'art. 672 c.p. il custode non proprietario di un cane lupo affidatogli se omette di
osservare le regole di condotta previste dal detto articolo.
* Cass. pen., sez. IV, 29 ottobre 1968, n. 1738, Scali.
Pericolosi per l'altrui incolumit devono ritenersi non soltanto gli animali la cui ferocia caratteristica naturale o
istintiva, ma tutti quelli che, sebbene domestici, possono divenire pericolosi in determinati casi e determinate
circostanze. Dal novero di questi ultimi non si pu escludere il cane normalmente mansueto; per tale categoria di
animali la pericolosit deve essere accertata in concreto considerando la razza di appartenenza ed ogni altro
elemento rilevante.
* Cass. pen., sez. IV, 3 marzo 1970, n. 822, Bonichini.
Ai fini dell'integrazione del reato p.p. dell'art. 672 n. 1 cod. pen. non occorre l'accertamento della pericolosit
dell'animale n l'esposizione e pericolo della pubblica incolumit e non rileva la durata, ancorch breve,
dell'omessa custodia.
* Cass. pen., sez. IV, 26 febbraio 1982, n. 1942, (ud. 27 ottobre 1981), Nolli.
I cani da guardia in genere, e quelli appartenenti anche per somiglianza alla razza dei pastori tedeschi in
particolare, sono da considerarsi pericolosi e, quindi, rientranti nella disciplina di cui all'art. 672 c.p. (omessa
custodia e malgoverno di animali).
* Cass. civ., sez. I, 8 marzo 1990, n. 1840, Vara c. Pref. Caltaniss.
a) Inquinamento elettromagnetico (telefonia cellulare)
In materia di installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, in presenza di documentazione,
consistente in una relazione clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite da una
persona residente nello stabile e lattivazione degli impianti, deve cautelarmente essere considerato prevalente
linteresse primario alla salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente
sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati urgenti i lavori e le opere concernenti
linstallazione e lattivazione dellimpianto. (Fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia cellulare era
stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale).
* Cons. Stato, sez. VI, ord. 25 marzo 1997, Soc. Omnitel c. Condominio di Corso Vittorio Emanuele II n. 184 in
Roma e Codacons.
Linstallazione di un ripetitore per telefonia cellulare su di un lastrico solare situato in un edificio condominiale
non costituisce violazione dellart. 1122 c.c., in quanto: a) non sussiste alcun riscontro scientifico della
pericolosit di tale impianto per la salute dei condomini; b) la concessionaria del servizio di telefonia presenti
allautorit competente un progetto che attesti come limpianto suddetto non arrechi danni alla statica
delledificio.
* Trib. civ. Piacenza, 13 febbraio 1998, n. 51, Condominio di Via S. Francesco n. 8 in Piacenza c. Soc. Omnitel
Pronto Italia e Cella.
In materia di installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, in presenza di documentazione,
consistente in una relazione clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite da una
persona residente nello stabile e lattivazione degli impianti, deve cautelarmente essere considerato prevalente
linteresse primario alla salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente
sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati urgenti i lavori e le opere concernenti
linstallazione e lattivazione dellimpianto. (Fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia cellulare era
stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale).
* Tar Lazio, sez. I, ord. 18 dicembre 1996, n. 3806, Codacons e Condominio di Corso Vittorio Emanuele II n. 184
in Roma c. Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e Soc. Omnitel.
b) Installazione
Il diritto allinstallazione di antenne ed accessori - sia esso configurabile come diritto soggettivo autonomo che
come facolt compresa nel diritto primario allinformazione e diretta alla attuazione di questo (art. 21, Cost.) limitato soltanto dal pari diritto di altro condomino, o di altro coabitante nello stabile, e dal divieto di menomare
(in misura apprezzabile) il diritto di propriet di colui che deve consentire linstallazione su parte del proprio
immobile. Pertanto, qualora sul terrazzo di uno stabile condominiale sia installata (per volont della maggioranza
dei condomini) unantenna televisiva centralizzata e un condomino (o un abitante dello stabile) intenda invece
installare unantenna autonoma, lassemblea dei condomini pu vietare tale seconda installazione solo se la
stessa pregiudichi luso del terrazzo da parte degli altri condomini o arrechi comunque un qualsiasi altro
pregiudizio apprezzabile e rilevante ad una delle parti comuni. Al di fuori di tali ipotesi, una delibera che vieti
linstallazione deve essere considerata nulla, con la conseguenza che il condomino leso pu fare accertare il
proprio diritto allinstallazione stessa, anche se abbia agito in giudizio oltre i termini previsti dallart. 1137 cod.
civ. o, essendo stato presente allassemblea, senza esprimere voto favorevole alla delibera, non abbia
manifestato espressamente la propria opposizione alla delibera stessa.
* Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1985, n. 5399, Acinapura c. Cond. via Colli.
Lart. 1 della L. 6 maggio 1940, n. 554, con lo stabilire che i proprietari di uno stabile o di un appartamento non
possono opporsi allinstallazione nella loro propriet di aerei esterni destinati al funzionamento di apparecchi
radiofonici appartenenti agli abitanti degli stabili e degli appartamenti stessi, non impone una servit, ma si limita
allattribuzione di un diritto, a favore degli abitanti dello stabile e degli appartamenti, allinstallazione, e quindi
anche alla manutenzione degli impianti, pure contro la volont di altri abitanti. Tale diritto non ha contenuto
reale, ma ha natura personale e il titolare di esso, in virt della detta norma, pu esercitarlo indipendentemente
dalla qualit di condomino, per il solo fatto di abitare nello stabile e di essere o diventare utente radio-televisivo.
Conseguentemente, quando il locatario di un appartamento, nellinstallare unantenna televisiva, arrechi danno
al tetto comune delledificio, legittimato allazione di risarcimento del danno proposta dal condominio il solo
locatario e non anche il locatore-proprietario dellappartamento.
* Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 1986, n. 1176, Cond. Pollaiuol. c. Parodi.
Gli artt. 1 e 3 L. 6 maggio 1940 n. 554, dettati con riguardo alla disciplina degli aerei esterni per audizioni
radiofoniche, ma applicabile per analogia anche alle antenne televisive e lart. 231 del d.p.r. 29marzo 1973 n.
156, stabilendo che i proprietari delledificio non possono opporsi alla installazione esterna di antenne da parte
di abitanti dello stesso stabile per il funzionamento di apparecchi radiofonici o televisivi, attribuiscono al titolare
dellutenza il diritto allinstallazione dellantenna sulla terrazza delledificio, ferma restando la facolt del
proprietario al libero uso di questa secondo la sua destinazione ancorch comporti la rimozione od il diverso
collocamento dellantenna, che resta a carico del suo utente, alluopo preavvertito. Ne deriva che il proprietario
della terrazza che vi abbia eseguito dei lavori comportanti la rimozione dellantenna non pu essere condannato
al ripristino nello stato preesistente, posto che spetta allutente provvedere a sua causa e spese alla rimozione
ed al diverso collocamento dellantenna.
* Cass. civ., sez. Il, 24 marzo 1994, n. 2862.
Il diritto riconosciuto dallart. 232, secondo comma, D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 ad ogni occupante,
proprietario od inquilino, di unit immobiliari di appoggiare antenne televisive sui muri e sulle coperture dei
fabbricati, si configura come un diritto soggettivo perfetto ed assoluto di natura personale, avente la sua fonte
nella primaria libert, costituzionalmente garantita, allinformazione e, pertanto, va ritenuto, per sua natura,
insuscettibile di valutazione pecuniaria, con la conseguenza che le azioni ad esso relative rientrano fra quelle da
considerarsi di valore indeterminabile, riservate alla competenza per valore del tribunale, a norma dellart. 9,
secondo comma, c.p.c.
* Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 1993, n. 1139, Carro L. c. Carro A.
In tema di compossesso, ricorre lipotesi dello spoglio quando latto compiuto dal compossessore (preteso
spoliatore) abbia travalicato i limiti del compossesso (impedendo o rendendo pi gravoso luso paritario della res
agli altri compossessori), ovvero abbia comportato lapprensione esclusiva del bene, con mutamento
delloriginario compossesso in possesso esclusivo, ne consegue che, con riguardo allutilizzazione del tetto di un
immobile da parte di uno dei compossessori mediante linstallazione di unantenna ricetrasmittente, la
configurabilit di uno spoglio o di una turbativa del possesso nei confronti degli altri compossessori postula,
necessariamente, laccertamento di un impedimento ad un analogo uso del bene comune da parte di costoro,
conseguente allo specifico comportamento in concreto tenuto dal primo utilizzatore.
* Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1998, n. 5517, Obbialero c. Esposito.
Il diritto di installare lantenna televisiva comprende la facolt di compiere tutte le attivit necessarie per la messa
in opera, ivi compreso il diritto di accedere temporaneamente attraverso la propriet aliena, e tale imposizione
del limite al diritto di propriet da riconoscersi a favore non solo di chi titolare di un diritto di compropriet o di
altri diritti reali sullo stabile, ma anche di chiunque vi abiti a qualunque titolo.
* Pret. civ. Salerno, ord. 24 ottobre 1990.
Il diritto di installazione di antenna non ha natura reale, ovvero non si configura come una speciale limitazione
del diritto di propriet, inquadrabile in unipotesi di servit coattiva, ma personale, poich la norma che lo
contempla prescinde, nellattribuirlo, dalla titolarit di un diritto di propriet o di un altro diritto reale
sullappartamento ed ha la propria origine in un rapporto obbligatorio ex lege, onde lo stesso ha diretta rilevanza
nei confronti del proprietario o del condominio e, come tale, da ritenersi azionabile dinanzi al giudice ordinario.
* Pret. civ. Salerno, ord. 24 ottobre 1990.
E' tutelabile ex art. 700 cod. proc. civ. il diritto dei condomini di un edificio di passare attraverso lappartamento
di un altro condomino al fine di poter installare unantenna televisiva sul tetto delledificio, purch non ne risulti
menomato, in modo apprezzabile, il diritto di propriet di questultimo.
* Pret. civ. Roma, ord. 16 dicembre 1989, Marras e altri c. Salata.
Il diritto di installare unantenna TV spetta esclusivamente al condomino e allinquilino dello stabile interessato
allinstallazione, ma non allutente che non abita in tale stabile. Appare quindi manifestamente infondata
leccezione di incostituzionalit dellart. 232 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, nella parte in cui, in violazione
dellart. 21 Cost., non prevede la possibilit di installare antenne TV anche sui terrazzi degli stabili adiacenti a
quello in cui abita lutente ove questi non capti sufficientemente i segnali televisivi con lantenna installata sul
proprio stabile a causa della interclusione di questultimo tra edifici pi alti.
* Corte app. civ. Lecce, 8 febbraio 1994.
Linstallazione su di un lastrico solare di propriet di un condomino di un ripetitore per telefonia cellulare, con
utilizzo delle cose comuni che consista esclusivamente nellancoraggio dellimpianto suddetto ai muri esterni,
non configura alcuna violazione dellart. 1102 cc.
*Trib civ. Piacenza, 13 febbraio 1998, n. 51, Condominio di Via S. Francesco n. 8 in Piacenza c. Soc. Omnitel
Pronto Italia e Cella.
Linquilino di un immobile condominiale ha un diritto personale e non reale, ai sensi dellart. 1 del D.P.R. 6
agosto 1990, n. 233, di installare e mantenere qualsiasi tipo di antenna di ricezione televisiva sul terrazzo di
copertura dello stabile (sia comune che di propriet esclusiva di alcuni condomini) e di compiere tutte le attivit
necessarie alla sua messa in opera ed al suo funzionamento: tale diritto tutelabile in via cautelare col ricorso
ex art. 700 c.p.c. compete, pertanto, in via autonoma ed immediata, anche al detentore qualificato (conduttore
o comodatario) dellalloggio.
* Trib. civ. Palermo, 13 maggio 1991.
Lart. 1 della L. 6 maggio 1940 n. 554 che sancisce il diritto del condomino ad installare unantenna sul
terrazzo comune o di propriet altrui si applica anche allesercizio di attivit radiofonica in una unit
immobiliare sita in un edificio condominiale. Ed infatti siffatta attivit, anche se svolta da privati, non solo
espressione di esercizio di impresa tesa al lucro, ma altres strumento di esternazione del pensiero. Il solo
limite che la installazione non deve in alcun modo impedire il libero uso della propriet secondo la sua
destinazione n arrecare danni alla propriet medesima od a terzi.
* Trib. civ. Latina, 16 novembre 1992.
Il diritto allinstallazione di una antenna parabolica sul lastrico solare condominiale non va riferito al parametro
dei diritti reali su cosa altrui, ma costituisce una facolt compresa nellamplissimo diritto primario alla libera
manifestazione del pensiero ed , pertanto, soggetto alla tutela prevista dallart. 700 cod. proc. civ.
*Pret. civ. Manfredonia, 4 maggio 1989, n. 16, Agenzia Ippica c. Condominio Palazzo di Largo San Francesco
nn. 21/42 di Manfredonia
e) Manutenzione
Il difetto di manutenzione dellantenna televisiva suscettibile di creare pericolo nella statica dellantenna
medesima, pregiudicando la ricezione e compromettendo il diritto allinformazione televisiva per cui legittima la
richiesta di tutela in via durgenza ex art. 700 cod. proc. civ., da parte del locatore che sia impedito alla
manutenzione predetta dal conduttore.
* Pret. civ. Roma, sez. I, decr. 13 giugno 1983, Durante ed altri c. Gay e altro.
complessivamente considerata.
* Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1984, n. 2206, Sansalone c. Cond. Somma Dona.
Nel caso in cui un condomino chieda il risarcimento dei danni ed, innanzitutto, l'eliminazione totale o parziale di
alberi che, piantati a distanza ravvicinata l'uno dall'altro in un'aiuola comune, con le loro chiome a ridosso del
proprio alloggio impediscano l'ingresso a questo dell'aria e della luce, tale questione deve essere risolta non
soltanto alla stregua dell'art. 892 c.c., occorrendo invece indagare se la mancata manutenzione degli alberi,
anche se piantati alla distanza legale, non costituisca un comportamento negligente del condominio, idoneo a
cagionare ingiusto danno ed a violare il principio per il quale l'uso delle parti comuni non deve mai risolversi in
pregiudizio di alcun condomino.
* Cass. civ., sez. I, 24 agosto 1992, n. 9829, Corso ed altri c. Condominio di Via Castellino n.
115 di Napoli.
Nella nozione di superficie condominiale a verde che, ai sensi dell'art. 13, lett. f), della L. 27 luglio 1978, n. 392,
nella misura percentuale del 10 per cento, si traduce in una maggiore superficie convenzionale di un'unit
immobiliare facente parte di un edificio in condominio (in proporzione alla relativa quota millesimale) ai fini della
determinazione del canone di locazione, non rientrano soltanto quelle aree che - arricchite da fiori, piante,
panchine, ecc.- vengono ad impreziosire lo svolgimento della vita dei condomini, perch anche un semplice
prato realizza quel minimo di godimento estetico, di pi serena vivibilit dell'abitazione e di riservatezza che il
legislatore ha inteso valorizzare, con esclusione, invece delle superfici scoperte mantenute allo stato naturale, le
quali sviliscono, pi che esaltare, il conseguimento delle finalit perseguite dal legislatore.
* Cass. civ., 17 aprile 1991, n. 4113.
La copertura a lastrico, sovrastata da terra e da manto erboso, che assolva anche alla funzione di sostenere
un'area verde condominiale, rientra nelle parti necessariamente comuni.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in
Parma e Condominio di via Rav n. 1 in Parma, in Arch. loc. e cond. 1996, 75.
Le spese di manutenzione di una copertura a lastrico con funzione di sostegno di un'area verde condominiale,
vanno ripartite tra i condomini proprietari del lastrico e della sovrastante area verde da una parte e i proprietari
delle sottostanti autorimesse, e devono essere rapportate alla diversa utilit ritratta, che pu equitativamente
fissarsi rispettivamente in 1/3 e 2/3. Gli interventi di manutenzione di tale copertura sono di competenza
dell'amministratore, ed l'assemblea che delibera sulle spese di manutenzione straordinaria.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in
Parma e Condominio di via Rav n. 1 in Parma.
ASCENSORE CONDOMINIALE
SOMMARIO: a) Condominio multiscale; b) Gettoniera; c) Impignorabilit; d) Installazione; e) Limitazioni all'uso;
f) Locali macchina; g) Manutenzione e conservazione; h) Presunzione di comunione; i) Proprietari dei locali al
piano terreno; I) Separato godimento; m) Sostituzione; n)Spese (ripartizione).
a) Condominio multiscale
Se in un unico complesso condominiale esiste una pluralit di servizi di cose comuni, ciascuna delle quali serve,
per obiettiva destinazione, in modo esclusivo all'uso e al godimento di una parte soltanto dell'immobile, essa
cosa o servizio deve considerarsi comune non gi alla totalit dei condomini. bens soltanto a quella parte di
essi al cui uso comune funzionalmente e strutturalmente destinata. (Nella specie, in relazione ad un edificio
condominiale fornito di due scale, ciascuna delle quali destinata a servire esclusivamente gli appartamenti cui d
accesso, stato escluso che, deliberata la installazione dell'ascensore in una delle scale, potesse opporvisi un
condomino proprietario di appartamento servito dall'altra scala)
*Cass. civ., 26 gennaio 1971, n. 196.
In un condominio ove siano due scale da applicarsi per il collocamento dell'ascensore il condominio parziale;
inoltre in applicazione dell'art. 2, L. n. 13/89 le maggioranze sono quelle previste dall'art. 1136 secondo e terzo
comma c.c.
*Trib. civ., Milano, 12 aprile 1990, in L'Amministratore 1990, n. 5.
In un condominio multiscale e dovendo occupare gli ascensori parte del cortile comune le decisioni spettano
all'assemblea globale. Per il vantaggio che l'innovazione porta pu essere sacrificato 1'uso degli spazi occupati
dagli impianti degli ascensori stessi.
Trib. civ., Milano, 21 dicembre 1989, in L'Amministratore 1990, n. 7/8.
b) Gettoniera
Nei regolamenti condominiali, accettati in seno agli atti di acquisto delle singole unit immobiliari. hanno natura
negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini, mentre hanno
natura tipicamente regolamentare quelle che concernono le modalit d 'uso delle cose comuni e, in genere,
lorganizzazione e il funzionamento dei servizi condominiali, e che non riguardano quindi il diritto alloro
godimento, n qualsivoglia altro diritto spettante ai condomini come tali. Le disposizioni oggettivamente
regolamentari, a differenza di quelle a contenuto negoziale, possono essere modificate con deliberazione
assembleare maggioritaria, ai sensi dell'art. 1136 c.c., pur se formalmente inserite in un regolamento a tipo
contrattuale. (Nella specie, la Suprema Corte ha affermato le legittimit della deliberazione assembleare
maggioritaria, che aveva disposto l'installazione di una gettoniera nell'ascensore, in deroga alla disposizione a
posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il
sottosuolo comuni, anche un terreno in propriet esclusiva del condomino che le aveva eseguite).
*Cass. civ., sez. II, 1 aprile 1995, n. 3840, Chiappara c. Villari.
L'installazione di un servizio in precedenza inesistente, suscettibile di uso separato ed a spese del solo
condomino interessato non richiede l'approvazione da parte dell'assemblea con la maggioranza qualificata
richiesta per le innovazioni ex art. 1120 cod. civ., trovando, in questo caso, applicazione l'art. 1102 cod. civ.
(Nella fattispecie. trattavasi dell'installazione di un ascensore da parte di un condomino portatore di handicap, il
quale si era accollato l'intero onere delle Spese).
*Trib. civ., Milano, Il maggio 1989, Soli c. Condominio via Ozanam 10/a, Milano, in Arch. loc. e cond. 1990, 325.
Allorch I'uso della cosa comune, pur comportando innovazione, venga effettuato dal singolo condomino a sue
spese e non risulti alterata la destinazione della cosa n ne sia impedito l'uso agli altri condomini. non
necessaria una preventiva delibera assembleare di approvazione. (Nella specie stata accolta, in base al
suddetto principio, la richiesta di provvedimento d'urgenza avanzata da soggetto affetto da incapacit
deambulatoria che lamentava il rifiuto opposto all'installazione di un impianto di ascensore nel condominio ove
risiedeva).
*Pret. civ., Milano, ord. 19 maggio 1987, Soli e L.E.D.H.A. c. Condominio di via Ozanam 10/A, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1988, 197.
La norma dell'art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini
con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino
per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale. Ove non si faccia questione di spese, torna
applicabile la norma generale dell'art. 1102 c.c. - che contempla anche le innovazioni - secondo cui ciascun
partecipante pu servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ed, a tal fine, pu apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune, come (nel caso di specie) applicare nella
tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione di tutti i condomini.
*Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1977, n. 1300.
Sussiste, alla stregua dell'art. 1102 cod. civ., il diritto del condomino di installare, a proprie cure e spese, un
impianto di ascensore nel vano delle scale in cui ubicata la propria unit immobiliare, salva la facolt di ogni
altro condomino interessato di richiedere la partecipazione all'utilizzo dell'opera, previa corresponsione delle
quote di spesa dovute secondo legge.
*Trib. civ., Milano, sez. VIII, 12 ottobre 1989, n. 8434, Quajanni c. Condominio Via Burlamacchi n. 3, Milano, in
Arch. loc. e cond. 1990, 543.
L'installazione dell'ascensore, riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, pu essere attuata
anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai
vantaggi della innovazione contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera.
*Pret. civ., Taranto, ord. 5 ottobre 1993, in Arch. loc. e cond. 1994. 383.
In tema di condominio negli edifici, la delibera assembleare, che, pur senza approvare uno specifico progetto e
preventivo di spesa, autorizzi l'installazione di un ascensore ad opera ed a spese di un singolo condomino. ma
con salvezza del diritto degli altri condomini di partecipare in qualunque momento ai vantaggi dell'installazione
medesima, tramite contributo ai costi di esecuzione e manutenzione, configura innovazione diretta al
miglioramento della cosa comune, e come tale, validamente adottata con le maggioranze prescritte dall'art.
1136 quinto comma. c.c..N sulla legittimit di detta delibera incide l'indicata mancanza di progetto e di
preventivo, la quale comporta soltanto la necessit che la delibera stessa venga integrata da successive
decisioni assembleari, per determinare le modalit di attuazione ed esecuzione dell'innovazione, nel rispetto dei
limiti e dei divieti fissati dal secondo comma dell'art. 1120 c.c..
*Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1977, n. 4921, Molinari c. Cond. V.S. Stefano.
Costituisce innovazione vietata ex art. 1120, secondo comma, c.c., 1'installazione di un impianto di ascensore
che, rispettando le dimensioni minime della cabina previste dalle prescrizioni tecniche sia della legge nazionale
che di quella regionale, comporti una riduzione del piano di calpestio dei vari piani.
*Trib. civ., Milano, 23 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Ciascun condomino pu procedere alla installazione, a proprie cure e spese, di un impianto di ascensore, salva
la facolt degli altri condomini di chiedere la partecipazione all'uso previa corresponsione della quota di spesa, e
semprech non venga alterata la destinazione della cosa comune e non venga impedito agli altri condomini di
farne parimenti uso.
*Pret. civ., Messina, ord. 7 dicembre 1991, in Giur. mer. 1993, 351.
Nel caso in cui i condomini siano gravati, in base ad un atto pubblico di acquisto, dalla servit passiva di
installazione di un ascensore a favore di una singola porzione immobiliare, non occorre una nuova
manifestazione di volont in sede di assemblea condominiale per autorizzare tale installazione e la realizzazione
delle relative opere.
*Pret. civ., Roma, sez. IV, 28 giugno 1994, n.4191, Orsini c. Rossetti, Albertazzi e altri, in Arch. loc. e cond.
1994, 846.
Le norme della L. n. 13/89 che prevedono una deroga alle maggioranze stabilite dal codice civile per le
innovazioni consistenti nella realizzazione di un ascensore in un edificio condominiale al fine dell'eliminazione
delle barriere architettoniche sono applicabili indipendentemente dalla presenza o meno di portatori di handicap
nell'immobile.
*Trib. civ., Milano, 19 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Una modesta compressione del diritto di cui all'art. 1102 c.c. deve ritenersi tollerabile quando sia giustificato
dall'interesse altrui ad un pi proficuo uso della cosa comune e non rechi in concreto alcun serio pregiudizio o
grave sacrificio (Fattispecie in tema di installazione di un ascensore comportante un limitato restringimento dello
spazio di passaggio comune).
*Trib. civ., Milano, 9 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Non sussiste alcun concreto interesse ad impugnare una deliberazione dell'assemblea condominiale che si limiti
a disporre l'installazione di un ascensore rinviando ad una successiva riunione l'approvazione della spesa e la
relativa ripartizione, non potendo affatto escludersi che l'assemblea non approvi la spesa e non potendo in ogni
caso prefigurarsi quale potrebbe essere l'effettivo contenuto di una futura deliberazione sulla materia.
*Trib. civ., Milano. 18 aprile 1991. in Arch. loc. e cond. 1992. 154.
Quando l'installazione di un ascensore consiste in un uso pi intenso della cosa comune, senza alterazione
della sua destinazione e senza sottrazione agli altri condomini del pari uso della cosa, si ha uso della cosa
comune ai sensi dell'art. 1102 e non innovazione ex art. 1120.
*Trib. civ., Foggia 29 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
L'installazione di ascensore nella tromba delle scale, pur comportando la riduzione o il venire meno
dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio nel modo originario, non contrasta con la norma dell'art. 1120
comma 2 c.c., in quanto, pur se resta eliminata la possibilit di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne
offre uno diverso e di contenuto migliore, anche alla luce della L. n. 13 del 1989, mentre la posizione dei
dissenzienti salvaguardata dalla possibilit di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto. Pertanto
non sussiste una vera alterazione della destinazione, n si compromette la facolt di godimento della cosa
comune da parte di tutti i condomini.
*Pret. civ., Catania. ord. 14 maggio 1991, in Giur. mer. 1993, 351.
L 'installazione dell'ascensore costituisce una delle eccezioni alla regola dell'applicabilit delle norme sulle
distanze in campo condominiale in quanto l'ascensore va considerato alla stregua di un impianto indispensabile
ai fini di una civile abitabilit in sintonia con l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini.
*Trib. civ., Napoli, 16 novembre 1991, n.13008. in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
La disciplina in materia di distanze non opera per quegli impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di
una reale abitabilit dell'appartamento e che riflettono l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini. Inoltre,
l'art. 3 comma 2 L. n. 13 del 1989, nel porre l'obbligo dell'osservanza delle distanze di cui all'art. 907 c.c. per la
sola ipotesi in cui "tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di
propriet o uso comune" implicitamente riconosce che tali distanze, se eventualmente applicabili, non debbano
comunque essere osservate con riferimento alle unit immobiliari comprese nel medesimo edificio condominiale.
*Pret. civ., Catania, ord. 20 marzo 1992, in Giur. mer. 1993, 351.
La nullit di una delibera assembleare che abbia disposto l'installazione di un ascensore in uno stabile
condominiale non impedisce che tale installazione possa essere realizzata autonomamente da uno o pi singoli
condomini.
*Trib. civ., Napoli, 1 ottobre 1991. in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
L'impianto dell'ascensore costituisce uno degli interventi volti ad eliminare una barriera architettonica rendendo
possibile ai soggetti in minorate condizioni fisiche che abitano l'immobile o che possono frequentarlo la vita di
relazione interpersonale.
*Trib. civ., Firenze, 19 maggio 1992, n. 849, in Arch. loc. e cond. 1992, n. 4.
nulla la delibera - adottata secondo la maggioranza prevista dall'art. 2 della L. n. 13/1989 - di installazione di
un ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino portatore di handicap, qualora ci comporti un
sensibile deprezzamento dell'unit immobiliare di altro condomino.
*Corte app. civ., Napoli, sez. II, 27 dicembre 1994. n. 3074. Condominio di via Salvator Rosa n. 253 in Napoli c.
Lovallo, in Arch. loc. e cond. 1995, 393.
L'installazione dell'ascensore non pu comportare un pregiudizio intollerabile o un danno apprezzabile ad un
singolo condominio, nel qual caso l'innovazione non pu essere considerata legittima, e ci vale anche se
l'ascensore viene installato a norma dell'art. 3 della L. 9 gennaio 1989, n. 13.
*Trib. civ., Napoli, 16 novembre 1991, n. 13008, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
Ai sensi della L. n. 13/1989 anche se l'ascensore da considerarsi innovazione per la sua approvazione sono
sufficienti le semplici maggioranze del secondo e terzo comma dell'art. 1136 e non quelle del quinto comma del
citato articolo.
*Trib. civ., Milano, 14 novembre 1991, in L'Ammin. 1992, 3, 13.
e) Limitazioni all'uso
Anche nel condominio degli edifici trova applicazione, relativamente ai beni comuni, il principio, desumibile
dall'art. 1102 cod. civ., che consente al singolo condomino di usare della cosa comune anche per un suo fine
particolare, con conseguente possibilit di ritrarre dal bene una specifica utilit aggiuntiva rispetto a quelle
generali ridondanti a favore degli altri condomini, con il solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto
spettante a questi ultimi. Da tanto consegue che in difetto di specifiche limitazioni stabilite dal regolamento di
condominio, l'uso dell'ascensore per il trasporto di materiale edilizio pu essere legittimamente inibito al singolo
condomino solo qualora venga concretamente e specificatamente accertato che esso risulti dannoso, sia
compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la
tempestiva e conveniente utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alle frequenze
giornaliere, alla durata e all'eventuale orario di esercizio del suddetto uso particolare, alle cautele adoperate per
la custodia delle cose trasportate, tenendo conto di ogni altra circostanza rilevante per accertare le eventuali
conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto, possono derivare dal suddetto uso particolare
dell'ascensore.
*Cass. civ., sez. II, 6 aprile l982, n. 2ll7, Colaci c. Cond. V. Casilina.
Integra una molestia possessoria la regolamentazione dell'uso delle cose comuni da parte dell'amministratore di
un condominio, anche se adottata nel convincimento di agire nel legittimo esercizio delle attribuzioni a lui
devolute dall'art. 1130 n. 2 cod. civ. - in difetto di esplicite limitazioni stabilite nel regolamento di condominio e
sempre che tale regolamentazione non risulti giustificata da particolari ragioni connesse, ad esempio, alla
sicurezza dei condomini o dei terzi o alla salvaguardia della stessa conservazione della cosa comune - che
attenti al contenuto del diritto che su di esse compete a ciascun condomino, in violazione dei principi che
regolano l'uso delle cose comuni da parte dei singoli partecipanti alla comunione. pertanto, illegittimo il divieto
dell'uso del lastrico solare per limitate e temporanee esigenze connesse al trasporto di alcuni mobili da un
appartamento all'altro dello stesso fabbricato, nonch il divieto di usare l'ascensore per il trasporto di materiale
edilizio, ove non si accerti che tale uso risulti concretamente dannoso, sia compromettendo la buona
conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente
utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alla frequenza giornaliera del suddetto uso
particolare e agli inconvenienti che possono derivarne al decoro dell'edificio, tenuto conto delle cautele che
vengono o meno adoperate in ciascun caso concreto per la custodia del materiale trasportato, del numero degli
utenti che normalmente si servono dell'ascensore per accedere alle varie unit immobiliari, nonch di ogni altra
circostanza rilevante per accertare le eventuali conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto,
possono realmente derivare dal su indicato uso particolare dell'ascensore.
*Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1982, n. 686, Colaci c. Cond. Casilina.
Le innovazioni di cui all'art. 1120, primo comma, cod. civ. (nella specie, consistenti nella collocazione di una
porta sulla scala condominiale e nel blocco con chiave della pulsantiera dell'ascensore), realizzate
dall'amministratore del condominio in assenza di preventiva delibera assembleare, in quanto idonee a turbare il
pacifico godimento e l'utilizzazione del singolo condomino su alcune parti comuni dell'edificio, rendono
ammissibile l'azione di manutenzione a tutela del (com)possesso (delle menzionate parti comuni) proposta da
quest'ultimo. Peraltro l'adozione, nel corso del giudizio possessorio, di una delibera condominiale che ratifichi,
con la maggioranza qualificata prevista dall'art. 1136, quinto comma. cod. civ., le spese relative alle eseguite
innovazioni e sostanzialmente autorizzi le innovazioni medesime, legittima, sia pure tardivamente, sotto il profilo
dell'esercizio del possesso, la condotta posta in essere dall'amministratore suddetto, facendo venir meno i
connotati della molestia e turbativa in essa (condotta) originariamente ravvisabili, con conseguente rigetto nel
merito della domanda di manutenzione come sopra proposta.
*Pret. civ., Gallarate, 16 gennaio 1990, Steri c. Galli, in Arch. loc. e cond. 1990, 361.
f) Locali macchina
La servit di accesso ai locali macchina degli ascensori attraverso il seminterrato di propriet di un condomino,
comprende il diritto del condominio, e per esso dell'amministratore, ad avere copia delle chiavi di accesso a
detto locale.
*Trib. civ., Napoli, sez. III, 30 ottobre 1993, n. 10600, Cond. di via degli Aranci. n. 25 di Sorrento c. Stinga, in
Arch. loc. e cond. 1994, 597.
g) Manutenzione e conservazione
La Sostituzione dell'argano e del motore di un ascensore condominiale, non pu avere altra finalit che la
conservazione dell'ascensore stesso ed un atto di amministrazione ordinaria della cosa comune, non
comportando innovazione.
*Corte app. civ., Bologna, Sez. II, 1 aprile 1989, n. 273
da ritenersi inefficace e non produttivo di alcuna conseguenza giuridica in capo al condominio un contratto
decennale di manutenzione degli ascensori stipulato dall'amministratore condominiale senza la preventiva
delibera dell'assemblea, trattandosi di atto eccedente l'ordinaria amministrazione.
In tema di condominio degli edifici, la disciplina di cui agli arti. 1123, 1125 cod. civ. sul riparto delle spese
inerenti ai beni comuni, suscettibile di deroga con patto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento
condominiale, ove abbia natura convenzionale, e sia di conseguenza vincolante nei confronti di tutti i
partecipanti. Pertanto, con riguardo alla ripartizione delle spese per la manutenzione degli ascensori, deve
ritenersi valida ed operante la disposizione del suddetto regolamento, che preveda il concorso di tutti i
condomini, inclusi quelli abitanti al piano terreno, in base ai millesimi delle rispettive propriet.
*Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1986, n. 6499, Jannace c. C. V. Petrarca NA.
Gli interventi di adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento di obiettivi di
sicurezza della vita umana e incolumit delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti e i terzi, non
attengono all'ordinaria manutenzione dello stesso o al suo uso e godimento, bens alla straordinaria
manutenzione, riguardando l'ascensore nella sua unit strutturale. Le relative spese devono quindi essere
sopportate da tutti i condomini, in ragione dei rispettivi millesimi di propriet, compresi i proprietari degli
appartamenti sui al piano terra.
Trib. civ., Parma, sez. II, 29 settembre 1994, n. 859, Paini e altra c. Condominio Elisabetta, in Arch. loc. e cond.
1994, 831.
Le spese che ineriscono al mantenimento e all'uso dell'ascensore - ossia della comodit vanno ripartite
proporzionalmente fra i condomini in ragione dei diversi piani cui lo stesso posto al servizio, mentre quelle che
attengono allimpianto come tale, per modificazioni e migliorie, vanno sopportate dai comproprietari in ragione
dei rispettivi millesimi. (Nel caso di specie i giudici hanno ritenuto che la spesa per la sostituzione dellargano e
del motore dellascensore debba essere ripartita tra i condomini in ragione delle rispettive propriet millesimali).
Trib. civ., Bologna, sez. V, 27 febbraio 1986, n. 357
ASSISTENZA DELLA FORZA PUBBLICA
SOMMARIO: a) Competenza; b) Discrezionalit: c) Esercizio arbitrario delle proprie ragioni; d) Giurisprudenza
costituzionale; e) Poteri del prefetto: f) Proroga; g) Senzatetto; h) Sospensione.
a) Competenza
Ai fini dellesecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili urbani adibiti ad uso abitativo. le questioni relative
alla necessit del locatore per la concessione della forza pubblica rientrano nellesclusiva competenza
dellautorit prefettizia.
* Pret. civ. Padova, 4 dicembre 1997, n. 1315. Alibardi c. Agostini, in Arch. loc. e cond. 1998, 105.
Le norme di cui al D.L. 30 dicembre 1988. c. 551, convertito con modificazioni dalla L. 21 febbraio 1989, n. 61,
fanno obbligo al Prefetto di assicurare ai proprietari, in possesso dei requisiti di legge, lassistenza della forza
pubblica, ma al tempo stesso lasciano alla sua prudente e responsabile valutazione, con riferimento alle diverse
realt locali, il compito di stabilire - sulla base di criteri predeterminati - il tempo, le modalit e la gradualit
dellintervento, in guisa da evitare da un lato che lordine di rilascio dellimmobile, impartita dal Pretore, risulti
tamquam non esset e, dallaltro, che la sua esecuzione, ove lasciata alle sole cure del proprietario, possa
determinare incontrollabili (per quanto antigiuridiche) reazioni da parte del conduttore sfrattato con possibili
negativi riflessi sullordine pubblico. Trattasi di procedimento che assume inequivoche connotazioni di
procedimento amministrativo dal punto di vista sia soggettivo (cio per lAutorit cui affidato il suo svolgimento)
che oggettivo (cio per gli specifici interessi pubblici che preordinato a tutelare) per cui ad esso certamente si
applica la legge sulla trasparenza n. 241 del 1990.
* Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 1995, n. 108. Ministero dellInterno c. Carmignato, in Arch. loc. e cond. 1995,
127.
illegittimo, perch viziato da incompetenza assoluta, latto amministrativo con il quale la Commissione
prefettizia, dopo aver prima graduato la forza pubblica per un determinato giorno, differisce lesecuzione ad altra
data. Detto atto va disapplicato dal giudice dellesecuzione investito dellopposizione agli atti esecutivi.
* Pret. civ. Torre Annunziata, sez. dist. Sorrento, 2 maggio 1994, n. 156, Celentano c. Marotta ed altra, in Arch.
loc. e cond. 1995, 181.
Trascorsi i quarantotto mesi previsti dallart. 3. n. 5. L. n. 61/1989 entro i quali deve essere concessa lassistenza
della forza pubblica per lesecuzione di qualsiasi sfratto ad uso abitativo, anche se per finita locazione, il pretore,
quale giudice dellesecuzione, non pi competente ad emettere pronunce di decadenza ex artt. 2 e 3 della L.
n. 61/1989 venendo a cessare qualsiasi sua competenza in merito.
* Pret. civ. Roma. sez. V, 19 luglio 1993. n. 4628, Facconio c. Silva, in Arch. loc. e cond. 1993, 802.
Il pretore, quale giudice dellesecuzione, incompetente a valutare e decidere in ordine alla mancata
concessione dellassistenza della forza pubblica negli sfratti per finita locazione ad uso abitativo anche se sono
scaduti i quarantotto mesi previsti dallart. 3, n. 5. L. n. 61/1989 trattandosi di valutazioni attinenti la
discrezionalit della P.A. e quindi di competenza del giudice amministrativo.
* Pret. civ. Roma, sez. V, ord. 16 luglio 1993, Contera c. Angeli, in Arch. loc. e cond. 1993, 802.
Nel caso di disponibilit di altra abitazione da parte del conduttore, la valutazione dei tempi necessari per la
eliminazione di tutti gli inconvenienti che ostano ad unimmediata utilizzazione dellimmobile medesimo da parte
del proprietario non compete al giudice dellesecuzione, ma potr essere effettuata dal prefetto in sede di
assegnazione dellassistenza della forza pubblica, al fine dellesecuzione dello sfratto.
* Pret. civ. Napoli, sez. VII, 29 giugno 1991, n. 3603, Troise c. Vigo, in Arch. loc. e cond. 1992, 420.
Lautorit amministrativa (prefetto) non ha alcun potere o facolt di stabilire se un procedimento di rilascio da
eseguire in un dato circondario, in un determinato periodo di tempo, ricada o meno tra quelli da eseguire con
lassistenza della forza pubblica. Questo giudizio di specie spetta allufficiale giudiziario e - in caso di difficolt al giudice dellesecuzione.
* Pret. civ. Pietrasanta, ord. 8 maggio 1990, Nardini e. Ricci, in Arch. loc. e cond. 1990, 575.
Lautorit amministrativa non ha alcun potere o facolt. ex art. 31. n. 61/1989, di stabilire se un procedimento di
rilascio da eseguirsi in un dato circondario in un determinato periodo di tempo, ricada o meno tra quelli da
eseguire con lassistenza della forza pubblica, per cui il provvedimento del prefetto che statuisca in tal senso
inesistente perch preso in carenza assoluta di potere, spettando il relativo giudizio allufficiale giudiziario e, in
caso di difficolt, al giudice dellesecuzione.
* Pret. civ. Pietrasanta, 24marzo 1990. Mazzotti c. Santanch, in Arch. loc. e cond. 1990, 342.
Lattivit amministrativa del prefetto nellesecuzione degli sfratti per finita locazione, di cui allart. 3 D.L. 30
dicembre 1988 n. 551, conv. con mod. dalla L. 21 febbraio 1989, n. 61, non pu intaccare il diritto soggettivo
dellesecutante, di cui allart. 608 comma secondo c.p.c., di ottenere effettiva esecuzione del provvedimento di
sfratto o di licenza del giudice. Per cui lesecutante che ha gi ottenuto la monitoria e laccesso dellufficiale
giudiziario. di cui allart. 608 c.p.c., ma non ha ancora ottenuto, per linterposizione dellattivit prefettizia
allinterno del processo giudiziario, leffettiva esecuzione dello sfratto, non pu essere considerato decaduto dai
suoi diritti, di cui all art. 608 c.p.c. e il pretore, investito ex art. 610 c.p.c., pu rifissare laccesso dellufficiale
giudiziario.
* Pret. civ. Torino, ord. 1 agosto 1996, Brunelli c. Gualtieri, in Arch. loc. e cond. 1996, 765.
A seguito del mancato accoglimento della richiesta di un privato di accesso a documenti amministrativi
concernenti limpiego della forza pubblica in riferimento ad una procedura di sfratto, configurabile una
situazione giuridicamente tutelabile davanti al giudice amministrativo, ai sensi dellart. 25, quarto comma, della
legge 7 agosto 1990 n. 241 (che individua un caso di giurisdizione esclusiva, poich la disposizione citata fa
riferimento, senza distinzioni, alle impugnazioni avverso le determinazioni della P.A. concernenti il diritto di
accesso) - fermo restando che appartiene al merito del giudizio laccertamento circa lesistenza o meno del
diritto fatto valere - perch il diritto di accesso, disciplinato dagli artt. 22 ss. della legge citata, compresi nel capo
quinto della legge, ha un ambito di applicazione non limitato a quello dei procedimenti amministrativi, regolati dai
capi precedenti, essendo riconosciuto "a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti", e poich, comunque, la concessione della forza pubblica per lesecuzione degli sfratti
(procedimentalizzata con listituzione a livello provinciale di commissioni consultive per la individuazione dei
criteri circa limpiego della forza pubblica e lattribuzione al prefetto della competenza a determinare tali criteri
sulla base di determinate priorit fissate dalla legge: cfr. lart. 3 DL. n. 708 del 1986, convertito dalla legge n. 899
del 1986 e lart. 4 del DL. n. 551 del 1988, convertito dalla legge n. 61 del 1989) appartiene interamente ed
esclusivamente allambito amministrativo, nonostante il suo collegamento con lesecuzione di un provvedimento
giurisdizionale.
* Cass. civ., sez. un., 16 dicembre 1996, n. 11214, Prefetto di Roma c. Azzali ed altro, in Arch. loc. e cond. 1997,
223.
b) Discrezionalit
Lazione esecutiva, come strumento del diritto sostanziale, costituisce un diritto soggettivo pubblico del singolo
ad ottenere dallo Stato quelle attivit che si rendano necessarie allesercizio del diritto riconosciuto nel titolo, tra
le quali rientra senza dubbio anche luso della forza pubblica: la PA. pu negare al privato lassistenza della
forza pubblica soltanto per comprovate esigenze di servizio, che rendano temporaneamente indisponibile la
forza pubblica e che sostanzialmente costituiscano causa di forza maggiore.
* Trib. civ. Genova, 27maggio 1997, n. 1352, Linoso c. Ministero dellInterno, in Arch. loc. e cond. 1997, 847.
Lazione esecutiva, in quanto strumentale rispetto al diritto riconosciuto nel titolo, costituisce un diritto soggettivo
pubblico del singolo ad ottenere dallo Stato quelle attivit che si rendano necessarie per lesercizio del diritto
riconosciuto nel titolo e fra tali attivit deve senza dubbio annoverarsi luso della forza pubblica. Pertanto, il
provvedimento di concessione o di diniego della forza pubblica nellipotesi di esecuzione di sfratto non ha
margine di discrezionalit se non con riferimento esclusivamente alla disponibilit della forza e ad eventi
equivalenti (al limite anche per un gravissimo fatto impeditivo per il conduttore, purch assolutamente
momentaneo) e, sempre, per tempi tecnici assolutamente ristretti.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 27 ottobre 1981, n. 1694, Min. Interno c. Abbatangelo, in Arch. loc. e cond. 1981,
421.
c) Esercizio arbitrario delle proprie ragioni
Non esclude il reato di esercizio arbitrario di private ragioni la circostanza che la questura abbia concesso
lassistenza della forza pubblica e ne abbia dato pubblica notizia, qualora il locatore, nel giorno fissato per
lesecuzione dello sfratto, provveda a sostituire la serratura della porta dellappartamento del conduttore, in
assenza dellufficiale giudiziario.
* Pret. pen. Milano, sez. I, 28 ottobre 1993, n. 4536, Catapano e altra, in Arch. loc. e cond. 1994, 143.
d) Giurisprudenza costituzionale
manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale degli artt. 1 e 3 del d. l. 30 dicembre 1988,
n. 551 (Misure urgenti per fronteggiare leccezionale carenza di disponibilit abitative), convertito con
modificazioni nella l. 21febbraio 1989. n. 61, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto
non vi alcuna omogeneit fra lipotesi che il locatore faccia valere la propria necessit come causa di priorit
nellottenimento della forza pubblica, ai fini dellesecuzione del proprio titolo rispetto ad altri locatori richiedenti
del pari la detta assistenza, e lipotesi che il conduttore esecutato intenda far valere la non persistenza della
necessit del locatore, accertata nel giudizio di cognizione fra le dette due parti, per opporsi allesecuzione
promossa dal locatore.
* Corte cost., ord. 26 marzo 1989, n. 142. Panariello c. Castellano, in Arch. loc. e cond. 1990, 207.
e) Poteri del prefetto
illegittimo il decreto prefettizio di costituzione della commissione sui criteri di concessione della forza pubblica
per lesecuzione dei rilasci di immobili ad uso abitativo e di cui allart. 4 L. 22 febbraio 1989. n. 61, ove il
rappresentante delle organizzazioni dei proprietari sia stato nominato su designazione non di tutte le
organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, ma solo di alcune.
* Tar Liguria. sez. I, 13 febbraio 1992, n. 88. Confedilizia c. Ministero dellinterno, Ass. Piccoli proprietari case di
Imperia e U.P.P.I., in Arch. loc. e cond. 1992, 178.
Il potere del prefetto di stabilire i criteri per limpiego della forza pubblica nellassistenza allufficiale giudiziario, in
sede di esecuzione degli sfratti presuppone che vi sia una effettiva disponibilit di uomini delle forze dellordine
da utilizzare nello specifico impiego. (Nella specie un provvedimento prefettizio aveva sospeso lesecuzione
degli sfratti non concedendo la forza pubblica per i mesi in cui si erano svolti in Firenze i campionati mondiali di
calcio e le elezioni).
* Tar Toscana, sez. I, 18 dicembre 1991, n. 669, Confedilizia di Firenze ed altro c. Pref. Firenze, Muller e
U.P.P.I. di Firenze, in Arch. loc. e cond. 1992, 178.
f) Proroga
Ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, e la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e
le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dellamministrazione. Sono pertanto illegittimi il parere
non motivato con il quale la Commissione provinciale per la graduazione degli sfratti decida la proroga per la
concessione dellassistenza della forza pubblica, ed il successivo provvedimento prefettizio che si limiti a
recepirne il contenuto.
* Tar Toscana, sez. I, 9 marzo 1995, n. 240, Grippo c. Prefetto di Pistoia ed altri, in Arch. loc. e cond 1995, 902.
g) Senzatetto
illegittima, per mancanza del presupposto della carenza di una disciplina legislativa e regolamentare che
abbia specificamente considerato la situazione in oggetto, lordinanza con la quale il Prefetto di Roma aveva
disposto che la quota di appartamenti sfitti che gli istituti di previdenza e le compagnie assicuratrici devono
annualmente mettere a disposizione dei senzatetto, dovesse essere interamente assegnata, per due anni, a
particolari categorie di sfrattati. Inoltre, la priorit riconosciuta dallordinanza prefettizia in sede di assegnazione
degli alloggi a coloro che si sono rifiutati di obbedire allordine di rilascio impartita dal giudice, s da provocare
lintervento della forza pubblica, non pu non avere, come effetto immediato, il generalizzarsi di tale situazione di
ribellione e di minaccia per lordine pubblico. dal momento che al comportamento illegittimo viene riconosciuta
valenza privilegiata agli effetti dellassegnazione degli alloggi. In tal modo risultano premiati ed incentivati
comportamenti antigiuridici idonei ad aggravare le tensioni sociali, che lordinanza dichiara invece di voler
prevenire.
* Cans. Stato, sez. IV, 2 giugno 1994. n. 467, Prefetto di Roma e altri c. Soc. Alleanza Assicurazioni ed altri, in
Arch. Ioc. e cond. 1994, 572.
h) Sospensione
Per i titoli esecutivi di rilascio di immobili urbani destinati ad uso di abitazione - nei comuni ad alta tensione
abitativa - la sospensione totale dellesecuzione di cui allart. 1, L. 21 febbraio 1989 n. 61 opera solo per titoli di
formazione anteriore al 30 aprile 1989: i provvedimenti emessi e divenuti esecutivi dopo il 30 aprile 1989 - e
quindi di formazione successiva alla scadenza del termine di sospensione delle esecuzioni - non sono soggetti
al regime di graduazione degli sfratti.
* Trib. civ. Genova, 27maggio 1997, n. 1352. Linoso c. Ministero dellInterno, in Arch. loc. e cond. 1997, 847.
Lart. 1, L. n. 61/1989 dispone la sospensione dellesecuzione del rilascio di immobili in numerosi centri soltanto
sino al 30 aprile 1989 e lart. 3 dispone che, terminato il periodo di sospensione, lassistenza della forza pubblica
per lesecuzione di rilasci sospesi sino al 30 aprile 1989, ai fini della esecuzione di cui allart. 1, avverr secondo
i criteri stabiliti dal prefetto; pertanto evidente che il caso di specie (data di rilascio fissata per il 30 giugno
1992) non sottoposto alla regolamentazione della L. n. 61/1989 atteso che termine del contratto, intimazione,
convalida, precetto, esecuzione sono successivi al 30 aprile 1989.
* Pret. civ. Trani, ord. 14 novembre 1992, Simone c. Lattanzio. in Arch. loc. e cond. 1993, 817.
Il provvedimento con il quale il prefetto abbia sospeso lesecuzione di un provvedimento di rilascio di immobile
per finita locazione illegittimo e deve essere disapplicato dal giudice dellesecuzione chiamato a dare i
provvedimenti occorrenti per lulteriore corso dellesecuzione, in quanto il prefetto, ai sensi dellart. 3, comma
primo, del D.L. n. 551/1988 convertito nella L. n. 61/1989, ha il compito di dettare criteri di ordine generale circa
lassistenza della forza pubblica e non pu scendere nellesame dei casi particolari.
* Pret. civ. Firenze, ord. 31 agosto 1990, Iovino e altro c. Auditore, in Arch. loc. e cond. 1991, 642.
a) Atti osceni
Gli atti osceni messi in atto in una autorimessa condominiale si intendono commessi in luogo aperto al pubblico
anche se laccesso consentito ad una determinata categoria di terze persone.
* Cass. pen., sez. IV, 10 ottobre 1989.
b) Autorimessa sotterranea
In tema di condominio di edifici, costituisce innovazione vietata ai sensi del secondo comma dellart. 1120 cod.
civ. (e, pertanto, deve essere approvata dalla unanimit dei condomini), la costruzione di autorimesse nel
sottosuolo del cortile comune, in quanto comporta il mutamento di destinazione del sottosuolo da sostegno delle
aree transitabili e delle aree verdi a spazio utilizzato per il ricovero di automezzi (con conseguente modifica di
destinazione anche dellarea scoperta soprastante a copertura di locali sotterranei) e determina una situazione
di permanente esclusione di ogni altro condomino dalluso e dal godimento di ciascuna autorimessa sotterranea,
assegnata ai singoli condomini, ancorch rimasta di propriet comune.
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1988, n. 6817, Cond. Collignon c. Cavallini.
La costruzione di "autorimesse interrate" fatta utilizzando unarea comune destinata a giardino con conseguente
trasformazione della stessa in una somma di singole propriet, corrispondenti ai "boxes" erigendi, traducendosi
in un mutamento di destinazione della cosa comune in pregiudizio dei diritti dei singoli condomini, non pu
essere validamente deliberata dallassemblea del condominio con le maggioranze previste per le innovazioni
utili (artt. 1120, comma 1 e 1136, comma 5, cod. civ.), ma postula il consenso di tutti i condomini.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 6 giugno 1985, n. 5410, Medeghini e altro c. Cond. via Orbetello 3, Milano, motivaz.
e nota in Arch. loc. e cond. 1986. 112.
c) Box
Il condomino che abbia acquistato in propriet esclusiva lo spazio destinato al parcheggio di un autoveicolo,
ancorch sito nel locale adibito ad autorimessa comune del condominio, ha facolt a norma dellart. 841 c.c. di
recintarlo anche con la struttura di un cosiddetto "box", sempre che non gliene facciano divieto latto di acquisto
o il regolamento condominiale avente efficacia contrattuale e non derivi un danno alle parti comuni delledificio
ovvero una limitazione al godimento delle parti comuni dellautorimessa.
* Cass. civ., 25 maggio 1991, n. 5933.
Lassegnazione in uso esclusivo di porzione di area condominiale destinata a parcheggio, con delimitazione sul
pavimento dellarea dei singoli posti macchina. esclude la facolt di ciascun condomino di migliorare il
godimento della cosa mediante lerezione di box chiuso sulla porzione di area assegnata.
* Trib. civ. Napoli, sez. III, 8 luglio 1977
Il condominio deve provvedere alle riparazioni e al risarcimento dei danni derivanti dallinfiltrazione di acqua
piovana o di irrigazione nei boxes, la cui copertura rappresentata dal fondo del giardino, di cui il condominio
detentore e custode.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 9 marzo 1989
Ripartizione spese di manutenzione e riparazione di un giardino pensile
Trib. civ. Udine, 1 settembre 2004, n. 1089
La ripartizione fra condomini delle spese di manutenzione e riparazione di un giardino pensile che serva da
copertura ad autorimesse sottostanti, secondo il principio dettato dall'art. 1126 c.c. riguarda non solo le spese
per il rifacimento o la manutenzione della copertura, e cio del manto impermeabilizzato, ma altres quelle
relative agli interventi che si rendono necessari in via conseguenziale e strumentale, s da doversi considerare
come spese accessorie.
Posta la natura comune del cortile sovrastante i box e posto il conseguente godimento del medesimo da parte di
tutti i condomini, ne consegue la necessit di ripartizione delle relative spese di manutenzione tra tutti i
condomini, sia pure con ladozione di criteri correttivi in riferimento allulteriore godimento della cosa comune da
parte dei boxisti, non potendo i condomini non proprietari di box pretendere di essere esclusi da tale ripartizione.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 5aprile 1993
La realizzazione, in difetto di concessione edilizia, di box per auto (nella specie, costruiti dopo la demolizione di
locali destinati a magazzini), siti in cortile separato dalledificio principale, configura il reato di cui allart. 17, lett.
b), L. 28 gennaio 1977, n. 10, applicabile pur dopo lentrata in vigore del D.L. 20 novembre 1981, n. 663, in
quanto lart. 7, lett. a) di questo si riferisce solo alle pertinenze di modesta entit, strutturalmente collegate alla
preesistente costruzione principale.
* Pret. pen. Foggia, 1 dicembre 1981, Di Lascia ed altri, motivaz. e nota in Riv. pen. 1982, 515.
Nel caso in cui un box per auto sia locato, ancorch con separato contratto, al conduttore di un appartamento
destinato ad abitazione, sito nello stesso stabile, da parte del proprietario di entrambi i detti immobili, si che
questi risultino destinati ad un uso unitario per un pi completo godimento dellabitazione concessa in locazione,
il rapporto locativo del box, il cui uso si attua in funzione di pertinenza dellabitazione, va assoggettato allo
stesso regime giuridico relativo alla locazione di tale secondo immobile.
* Cass. civ., sez. III, 4settembre 1990, n. 9115,
La costruzione di muri lungo i due lati del posto auto sito nel cortile condominiale, in guisa di trasformarlo in un
box, configura una iniziativa compatibile con i principi e con i limiti di uso delle cose comuni, nella misura in cui
non comporti alcuna alterazione dal punto di vista architettonico ed estetico, n alcuna alterazione ai diritti degli
altri condomini.
* Trib. civ. Milano, 2 maggio 1991.
d) Cancelli
Non costituisce innovazione, ma semplice modificazione della cosa comune, la sostituzione dei cancelli di
ingresso e uscita dei box, con sistema di apertura manuale, con altri a movimento automatizzato. Pertanto la
relativa spesa pu essere validamente deliberata dallassemblea dei condomini con le maggioranze previste
dallart. 1136, secondo e terzo comma, cod. civ.
* Trib. civ. Monza 14 dicembre 1984,
Il soggetto che quale proprietario di un appartamento di un edificio in condominio agisca in giudizio nei confronti
di un terzo, perch gli sia inibita la sosta ed il parcheggio di veicoli effettuata sullarea di propriet condominiale
in violazione delle disposizioni del regolamento del condominio, non esercita unazione possessoria di
manutenzione (rientrante nellesclusiva competenza per materia del pretore) bens unazione petitoria, agendo in
forza ed a tutela dei poteri e delle facolt inerenti alla compropriet del suddetto bene, con la conseguenza che
per la individuazione del giudice per essa competente trovano applicazioni gli ordinari criteri della competenza
per valore.
Il locale autorimessa, anche se situato entro il perimetro delledificio condominiale (nella specie, nel
seminterrato), non pu ritenersi incluso tra le "parti comuni delledificio" indicate dallart. 1117 c.c., neppure sotto
laspetto di "parte delledificio necessaria alluso comune", cos che, da un canto, il condominio non pu giovarsi
della relativa presunzione al fine di pretendere il contributo di ogni condomino alle relative spese di
manutenzione e dallaltro, sul condomino che adduca di non essere tenuto a tale contributo (per non essere
comproprietario del locale) non incombe lonere della relativa prova negativa. Al fine di accertare la esistenza, o
meno, dellobbligo del singolo condomino di sostenere, in misura proporzionale, le spese di manutenzione del
detto locale occorre, pertanto, la prova positiva dellappartenenza di esso in propriet comune, determinante
essendo, al fine anzidetto, lesame dei titoli di acquisto dei singoli comproprietari dellimmobile.
* Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 1997, n. 10371
In tema di furto, la circostanza aggravante dellesposizione alla pubblica fede configurabile anche quando la
cosa si trova in luogo privato, ma aperto al pubblico o comunque facilmente accessibile, ovvero in un cortile di
casa di abitazione in diretta comunicazione con una pubblica via ovvero in parcheggio privato non custodito.
* Cass. pen., sez. II, 5 settembre 1991, n. 8798 (ud. 17 gennaio 1991
Sussiste laggravante di cui allart. 625, n. 1, c.p., nel caso di furto di due biciclette commesso in unautorimessa
condominiale, comunicante con ledificio soprastante ove erano le abitazioni dei condomini, sebbene la porta di
comunicazione fosse chiusa a chiave al momento del furto.
* Cass. pen., sez. II, 17 gennaio 1981, Pelamatti.
l) In area comune alberata
In tema di condominio degli edifici, lutilizzazione a parcheggio di autovetture private di unarea comune alberata,
originariamente goduta come "parco-giardino", in relazione alla sua apprezzabile estensione, non si traduce in
un miglioramento della cosa comune, ma comporta mutamento ed alterazione della destinazione della
medesima, in pregiudizio dei diritti dei singoli condomini. Essa, pertanto, non pu essere validamente deliberata
dallassemblea del condominio, con le maggioranze previste per le innovazioni utili (artt. 1120 primo comma e
1136 quinto comma c.c.), ma postula lunanimit di tutti i condomini.
* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1977, n. 4922.
m) Opere di prevenzione anti incendio
In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalit tra spese ed uso di cui al comma 2 dellart. 1123
c.c., secondo cui (salva contraria convenzione) le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni
delledificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in
proporzione delluso che ciascuno pu farne, esclude che le spese relative alla cosa che in alcun modo, per
ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, pu servire ad uno o pi condomini possano essere poste
anche a carico di questi ultimi. (Nella specie, si trattava delle spese di installazione delle porte tagliafuoco
dellatrio comune nel quale si aprivano le porte di alcune autorimesse in propriet esclusiva di singoli condomini,
secondo le prescrizioni della L. 7 dicembre 1984, n. 818 e del D.M. 16 febbraio 1982).
* Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7077,
Le spese per la riparazione delle porte tagliafuoco e limpianto di ventilazione dei box vanno ripartite unicamente
tra i proprietari dei medesimi beni, e non anche tra gli altri condomini che non ne possiedono, non potendo avere
alcuna rilevanza a riguardo la circostanza che tali misure attengono alla sicurezza dellintero edificio.
* Corte app. civ. Roma 24 aprile 1991,
n) Parcheggio a pagamento
Il potere della maggioranza dei partecipanti alla comunione di disporre le modalit per il miglior godimento della
cosa comune presuppone il rispetto della condizione che il diritto di compropriet debba potersi estrinsecare
liberamente, con lunico limite derivante dal divieto di impedire uguale uso da parte degli altri compartecipanti e
di alterare la destinazione della cosa comune. (Nella specie la Corte di cassazione ha ritenuto corretta
laffermazione dei giudici del merito secondo cui la deliberazione della maggioranza che stabiliva lonere del
pagamento di una somma per il parcheggio di autobus dei comproprietari su di un area comune da essi
utilizzata per il deposito di detti autoveicoli, veniva a limitare illegittimamente il potere di ciascuno di disporre
liberamente del bene comune).
* Cass. civ., sez. II, 24giugno 1974, n. 1905.
Il riconoscimento del diritto di uso di aree destinate a parcheggio comporta per i fruitori lobbligo di integrare il
pagamento (c.d. conguaglio del prezzo).
* Trib. civ. Napoli ord. 24 ottobre 1991, in Nuovo dir. 1992, 454.
legittima la norma del regolamento della comunione che stabilisce che i viali e i marciapiedi comuni, la cui
funzione normale quella del transito pedonale, siano destinati al parcheggio oneroso degli autoveicoli degli
inquilini; siffatta innovazione vincola tutti i partecipanti nel senso che essi devono accollarsi lonere della
manutenzione delle cose per lusura che il transito e la sosta delle vetture comportano.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 29 gennaio 1987, n. 840,
o) Sosta su spazio destinato al libero accesso del pubblico
Le disposizioni del regolamento condominiale e la relativa delibera assembleare, adottate non allunanimit ma
a maggioranza, le quali pregiudichino i diritti di un condominio risultanti dallatto originario del suo acquisto sono
radicalmente nulle e lazione giudiziaria per far valere tale nullit non soggetta al termine di decadenza di cui
allultimo comma dellart. 1137 cod. civ. (Nella specie, alla stregua del citato principio, la Suprema Corte ha
confermato la pronuncia del giudice del merito di nullit di una delibera dellassemblea dei condomini che a
maggioranza aveva consentito la sosta dei veicoli su uno spazio condominiale destinato, per una clausola del
contratto di acquisto, al libero accesso del pubblico).
* Cass. civ., sez. II, 5 agosto 1988, n. 4851,
p) Strisce di vernice
lecita la realizzazione di strisce in vernice tracciate sulla pavimentazione dellaccesso alle autorimesse
condominiali da parte di chi eserciti su di esse una servit di passaggio, a patto che non vengano menomati i
diritti del proprietario del fondo dominante ex art. 1067, secondo comma, c.c.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 giugno 1993
q) Superficie convenzionale
Allautorimessa concessa dal locatore con separato contratto di locazione allo stesso conduttore
dellappartamento di propriet del medesimo locatore si applicano i criteri di determinazione del canone fissati
dallart. 13, L. n. 392 del 1978 solo se ne sia concretamente provato il rapporto di pertinenza, per essere
lautorimessa destinata in modo durevole ed effettivo al servizio dellabitazione, anche nella sua componente
soggettiva (oltre che oggettiva), la quale implica lesigenza che il detto collegamento funzionale tra i due beni sia
leffetto della volont, anche tacita, del proprietario (o del titolare di un diritto reale sulla cosa) e non solo la
conseguenza delluso a cui stata destinata dal conduttore. (Nella specie in base allenunciato principio la
Suprema Corte ha annullato la decisione del merito che non riguardo ad autorimessa posta nello stesso edificio
in cui si trovava lappartamento, in locazione con distinto contratto e per un canone autonomamente
determinato, aveva ritenuto il vincolo pertinente con lappartamento solo in base "alla situazione di fatto
esistente").
* Cass. civ., sez. III, 27 settembre 1991, n. 10124,
In tema di determinazione del canone di locazione di un immobile destinato ad uso di abitazione, lart. 13 della L.
27luglio 1978, n. 392, riferendosi alle autorimesse ed ai posti macchina, stabilisce che essi vanno considerati, ai
fini del calcolo complessivo del canone, quali componenti della superficie convenzionale degli immobili locati; ne
consegue che, qualora unautorimessa ed un appartamento, siti nello stesso immobile, siano stati locati dal
proprietario ad uno stesso conduttore, con pattuizione di due canoni separati, la subordinazione funzionale tra
lautorimessa e lappartamento e cio la utilizzazione della stessa da parte del conduttore per il ricovero della
sua autovettura - il cui accertamento compete al giudice di merito - comporta che, ove con la pattuizione
intervenuta le parti abbiano inteso eludere i criteri imperativi posti dalla legge, la pattuizione stessa incorre nella
sanzione di nullit prevista dallart. 79 della citata legge.
* Cass. civ., sez. III, 16 marzo 1990, n. 2203
Con riguardo alla locazione di immobili urbani, sussiste la presunzione di un rapporto pertinenziale a norma
dellart. 817 cod. civ. tra lappartamento destinato ad abitazione ed il posto macchina sito nellautorimessa
condominiale, qualora gli immobili appartengano al medesimo proprietario, siano ubicati nel medesimo edificio,
siano concessi in locazione allo stesso conduttore ed il posto macchina risulti destinato a soddisfare le esigenze
abitative della famiglia alloggiata nellappartamento anche se ci avvenga con separati e successivi contratti,
atteso che la volont del locatore in ordine alla destinazione dellautorimessa, pu anche essere desunta da un
successivo negozio con il quale egli, trasferendo il bene considerato accessorio in godimento allo stesso
soggetto che si trova gi nel possesso, in forza di un rapporto di natura personale, della cosa principale,
consente di fatto una miglior utilizzazione di questultima.
* Cass. civ., sez. III, 8 marzo 1990, n. 1857,
Nel caso in cui un appartamento per uso abitativo ed il locale per il posto macchina sito nellautorimessa
condominiale siano stati concessi in locazione dal loro proprietario, anche con separati contratti, al medesimo
conduttore, che abbia destinato il posto macchina per il posteggio dei veicoli propri e dei suoi familiari, il rapporto
di pertinenza stabilito tra i due beni, secondo il vincolo di servizio imposto, tra gli stessi beni, dall art. 26, ultimo
comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (a norma del quale gli spazi destinati a parcheggi nelle nuove costruzioni
a norma dellart. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765, costituiscono pertinenza della costruzione al servizio della
quale sono stati posti) non pu essere efficacemente escluso da una contraria volont delle parti, perch il
predetto vincolo, per quanto ispirato da finalit pubblicistiche inerenti alla normalizzazione della viabilit urbana,
incide, per la sua natura cogente ed inderogabile, anche nei rapporti intersoggettivi di diritto privato, tra cui quelli
di locazione degli immobili per uso abitativo, che restano, conseguentemente, assoggettati alla
regolamentazione unica del computo dellequo canone prevista dallart. 13 della legge del 1978, n. 392.
* Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 1992, n. 1155, Ina c. Nicosia.
Ai fini della determinazione dellequo canone, sussiste un vincolo pertinenziale e di accessoriet, derivante da
una relazione di subordinazione funzionale, tra un immobile locato ad uso abitazione ed un altro locato ad uso
autorimessa.
* Pret. civ. Pordenone, 5 marzo 1990.
r) Tetto a copertura delle autorimesse
Al tetto posto a copertura delle autorimesse esterne alledificio condominiale - svolgente, nella sua struttura
unitaria ed omogenea, una funzione di riparo e di protezione delle unit sottostanti, ciascuna delle quali
costituisce pertinenza della propriet esclusiva dei singoli condomini - applicabile la presunzione di comunione
stabilita dallart. 1117 n. 1 c.c. con la conseguenza che esso costituisce, al pari del tetto delledificio
condominiale, oggetto di propriet comune e che lamministratore del condominio legittimato ad esercitare le
azioni che lo concernono. (Nella specie, condanna del costruttore al rifacimento della impermeabilizzazione o al
rimborso per eseguirla direttamente).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1994, n. 7651,
s) Trasformazione dellarea di parcheggio
Lassemblea dei condomini, con deliberazione presa a maggioranza, mentre ha potere di predeterminare, sul
cortile comune, le aree destinate a parcheggio delle automobili e di stabilire, nellinterno di esse, le porzioni
separate di cui ciascun condomino pu disporre, non ha, altres, il potere di disporre la trasformazione dellarea
di parcheggio in una vera e propria area edificabile, destinata alla costruzione di alcune autorimesse (a
beneficio, oltretutto, non della collettivit, bens dei singoli che intendano profittarne).
tutti i partecipanti.
* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990, in Arch. /oc. e cond. 1991, 623.
u) Uso del parcheggio
Sussiste la violazione di cui allart. 1120, secondo comma, cod. civ., allorch il condominio, deliberando che
luso del parcheggio sia riservato ai soli condomini proprietari di una determinata quota millesimale (nella
fattispecie 112,33 millesimi), inibisca agli altri proprietari, con quota millesimale inferiore a detto limite, luso
dellarea destinata a parcheggio.
* Pret. civ. Modugno, 29 maggio 1987
Il riconoscimento del diritto di uso di aree destinate a parcheggio comporta per i fruitori lobbligo di integrare il
pagamento (cd. conguaglio del prezzo).
*Trib. civ. Napoli, ord. 24 ottobre 1991
Anche dopo le innovazioni allart. 18 L. n. 765 del 1967 con la L. n. 47 del 1985, il titolare del potere di
disposizione degli spazi per parcheggi ha lobbligo di consentire la concreta utilizzazione degli stessi a favore dei
condomini che ne facciano richiesta.
* Pret. civ. Bari, 4 ottobre 1988, in Giur. merito 1989, 1132.
E' lecito il parcheggio negli spazi comuni condominiali a condizione che sia ben delimitato e non impedisca agli
altri condomini luso dei garages ivi esistenti ed un uso proprio del bene comune.
* Giud. conc. Lanciano, 14 dicembre 1987, in Nuovo dir. 1988, 743.
v) Vincolo di destinazione
Il vincolo pubblicistico inderogabile riguardante gli spazi adibiti a parcheggio di cui allart. 18 della L. n. 765 del
1967 (che ha trovato conferma nella successiva L. n. 122 del 1982), traducendosi in un rapporto di
pertinenzialit necessaria con diritto reale dei singoli condomini alluso dellautorimessa, non pu riguardare le
costruzioni anteriori allentrata in vigore della detta norma, alle quali sar da ritenersi applicabile la disciplina
ordinaria di cui agli artt. 817 ss. c.c. (secondo la quale, per lesistenza del vincolo pertinenziale tra beni,
richiesta la sussistenza di un elemento oggettivo che, cio, il bene sia destinato al servizio o allornamento di
altro bene e di un elemento soggettivo che, cio, tale destinazione risponda alleffettiva volont dellavente
diritto di creare un vincolo di strumentalit necessaria o complementariet funzionale tra i beni ), con la
conseguenza che, per affermare la esistenza di un vincolo pertinenziale tra una abitazione oggetto di
alienazione e lautorimessa (specie se individuata in distinta particella catastale) sar necessario accertare
lesistenza, oltre che del rapporto funzionale tra la cosa principale e quella accessoria, anche dellelemento
soggettivo della destinazione pertinenziale, consistente nella effettiva volont dei titolari della propriet sui beni
collegati di destinare durevolmente la cosa accessoria al servizio di quella principale.
* Cass. civ., sez. II, 17 giugno 1997, n. 5395
Lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n. 1150, nel testo introdotto dallart. 18 della L. 6 agosto 1967 n. 765, il
quale prescrive che "nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse debbono
essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri
cubi di costruzione", pone un vincolo pubblicistico di destinazione, che non pu subire deroga negli atti privati di
disposizione degli spazi stessi, le cui clausole difformi sono perci sostituite di diritto dalla norma imperativa.
Tale principio resta immutato anche dopo lentrata in vigore della L. 28 febbraio 1985 n. 47, atteso che lart. 26
ultimo comma di detta legge, nello stabilire che "gli spazi di cui allart. 18 della L. 6 agosto 1967 n. 765
costituiscono pertinenze delle costruzioni ai sensi degli artt. 817, 818 ed 819 cod. civ.", non ha portata
innovativa, ma assolve soltanto alla funzione di esplicitare la regola, gi evincibile nella norma interpretata,
secondo cui i suddetti spazi possono essere oggetto di atti o rapporti separati, fermo per rimanendo quel
vincolo pubblicistico.
* Cass. pen., sez. un., 18 luglio 1989, n. 3363
Lart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150. introdotto dallart. 18 della legge 6 agosto 1967,
n. 765, il quale dispone che nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse
debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni
venti metri cubi di costruzione, configura norma imperativa ed inderogabile, in correlazione degli interessi
pubblicistici da essa perseguiti, che opera non soltanto nel rapporto fra il costruttore o proprietario di edificio e
lautorit competente in materia urbanistica, ma anche nei rapporti privatistici inerenti a detti spazi, nel senso di
imporre la loro destinazione ad uso diretto delle persone che stabilmente occupano le costruzioni o ad esse
abitualmente accedono. Ci comporta, in ipotesi di fabbricato condominiale, che, qualora il godimento dello
spazio per parcheggio non sia assicurato in favore del proprietario del singolo appartamento in applicazione dei
principi sullutilizzazione delle parti comuni delledificio o delle sue pertinenze, essendovi un titolo contrattuale
che attribuisca ad altri la propriet dello spazio medesimo, deve affermarsi la nullit di tale contratto nella parte
in cui sottrae lo spazio per parcheggio alla suddetta inderogabile destinazione, e conseguentemente deve
ritenersi il contratto stesso integrato "ope legis con il riconoscimento di un diritto reale di uso di quello spazio in
favore di detto condomino (salva restando la possibilit delle parti di ottenere, anche giudizialmente, un
riequilibrio del sinallagma contrattuale. alterato dallindicata integrazione delloggetto di una delle prestazioni).
*Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 1984, n. 6600,
Il regime di cui allart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 introdotto dallart. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765 (cosiddetta legge ponte) e rimasto immutato dopo lentrata in vigore della L. 28 febbraio
1985, n. 47 il cui art. 26, ultimo comma, stabilisce che gli spazi di parcheggio costituiscono pertinenze, non
comporta che tali aree, fermo restando il vincolo di destinazione, rientrino tra le parti comuni delledificio a norma
dellart. 1117 cc.
* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1994, n. 6696, Alvaro c. Galvani.
Le aree degli edifici riservate a parcheggio ex art. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dallart.
18 della L. 6 agosto 1967 n. 765, devono presumersi comuni ai sensi dellart. 1117 cod. civ. (la cui elencazione
non tassativa), atteso che sussiste per dette aree, obiettivamente destinate per legge ad uso comune,
lidentica ratio che sta alla base della presunzione di comunione stabilita da detta norma codicistica. Ove, poi,
tale presunzione sia vinta dal titolo, risultando quelle aree di propriet esclusiva di uno o pi condomini, il vincolo
di destinazione comune determina la costituzione ope legis a favore dellintero edificio o delle sue singole parti,
appartenenti a proprietari diversi, di un diritto reale di uso sulle aree medesime.
* Cass. civ., sez. II, 20 luglio 1987, n. 6365, De Santis c. Acconcia.
Lobbligo di riservare a parcheggio, nelle nuove costruzioni ed aree ad esse inerenti, appositi spazi (in misura
non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri di fabbricato), ai sensi e nel vigore dellart. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765 (e quindi prima della L. 28 febbraio 1985, n. 47, il cui art. 26, in via innovativa, qualifica
come pertinenziale il rapporto con i suddetti spazi), si ricollega ad esigenze pubblicistiche e costituisce un
vincolo di destinazione, in favore degli abitanti delle costruzioni medesime, non derogabile, n da parte del
costruttore, n da parte di successivi rapporti privatistici. che restano colpiti da nullit ove si pongano in
contrasto con tale destinazione. Pertanto, in edificio condominiale, e per il caso in cui gli indicati spazi si trovino
in aree incluse fra i beni comuni, la citata norma rende invalida la clausola del regolamento condominiale,
recepita nei contratti di vendita, che introduca divieti di parcheggio, e, quindi, legittima la deliberazione
assembleare che consenta il parcheggio stesso in contrasto con tale regolamento.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1988, n. 3370, Pignone c. Cond. P. S. Ant.
Lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942, n. 1150, cos come modificato dallart. 18, della L. 6 agosto 1967, n.
765, il quale prescrive che nelle nuove costruzioni e anche nelle aree di loro pertinenza debbono essere riservati
appositi spazi per parcheggi, pone un vincolo pubblicistico di destinazione, ed un rapporto di pertinenza
necessario tra gli appartamenti delledificio e gli spazi per parcheggio posti al loro servizio, che non pu essere
spezzato da atti di autonomia privata e che conseguentemente comporta, nel caso di locazione, con separati
contratti, dellappartamento e dellarea di parcheggio o del box al medesimo conduttore, lassoggettamento, ai
sensi dellart. 818 cc., della cosa accessoria (il box o larea di parcheggio) al regime locativo della cosa
principale (lappartamento). Per gli immobili in precedenza costruiti, ai quali la predetta norma, essendo
irretroattiva, non pu essere applicata, lassoggettamento del distinto contratto di locazione del box al regime del
contratto di locazione dellappartamento presuppone, invece, laccertamento, in concreto, sotto il profilo
oggettivo e soggettivo, di un rapporto pertinenziale tra i due beni, secondo gli ordinari criteri fissati dalle
disposizioni del codice civile.
* Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 1992, n. 11731, Centore c. Pinto.
Lart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dallart. 18 L. 6 agosto 1967 n. 765
(cosiddetta legge ponte) prescrivendo che negli edifici di nuova costruzione siano riservati appositi spazi di
parcheggio, pone un vincolo pubblicistico di destinazione non suscettibile di deroga negli atti privati di
disposizione degli spazi ridetti, ma non ne indica la localizzazione in una parte piuttosto che in unaltra del
complesso condominiale, n crea per essi una presunzione di comunione inquadrabile nellart. 1117 c.c.,
implicando soltanto il divieto per il propritario di disporne in modo da sottrarlo a detta destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1993, n. 4934, De Lucia c. Chiaro.
In tema di spazi riservati a parcheggio secondo quanto prescrive, per le nuove costruzioni, lart. 18 della L. 6
agosto 1967 n. 765, il riconoscimento in via giudiziaria del diritto dei proprietari acquirenti degli appartamenti
dellimmobile di usufruire dellarea di parcheggio nonostante la riserva di propriet a favore dellalienante,
originario proprietario delledificio, non presuppone n condizionato al previo accordo sulla misura della
integrazione del corrispettivo della vendita degli appartamenti, n allaccertamento giudiziale di tale integrazione,
che pu essere anche successivo ed indipendente dal predetto riconoscimento.
* Cass. civ., sez. II, 28 maggio 1993, n. 5979, Todaro e altra c. Di Noi.
Anche a norma dellart. 26, ultimo comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47, che non ha modificato il regime
vincolistico imposto dallart. 18 della legge ponte 26 agosto 1967, n. 765 fra unit abitativa e spazi di
parcheggio condominiali, chiarendone solo loriginaria portata, deve ritenersi che i contratti di autonoma
disposizione di detti parcheggi, pur ammissibili, non possono intaccare il diritto reale duso a favore del titolare
dellunit abitativa. pertanto nulla e va sostituita ope legis la clausola contrattuale con la quale il venditore
dellimmobile abbia riservato a s la propriet dellarea di parcheggio, salvo il diritto del venditore e
correlativamente lobbligo dellacquirente dellunit abitativa di integrare il prezzo convenuto per il riequilibrio del
sinallagma del contratto di compravendita.
* Cass. civ., sez. II, 18luglio 1991, n. 7994, Berlino c. Calabr.
Lart. 41 sexies della L. 17agosto l942, n. 1150, nel testo introdotto dallart. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765 (a
norma del quale nelle nuove costruzioni o nelle aree di pertinenza di queste debbono essere riservati appositi
spazi per parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione) ed
ulteriormente chiarito dallart. 26 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (che, conferendo certezza testuale alla regola
gi desumibile dallart. 18 della L. n. 765 del 1967, ha precisato che larea destinata a parcheggio costituisce
pertinenza della costruzione), pone un inderogabile vincolo pubblicistico di destinazione di detta area, che non
impedisce al proprietario delledificio di riservarsi, negli atti di vendita dei singoli appartamenti, la propriet
dellarea stessa destinata a parcheggio o di trasferire ad altri la propriet, atteso che non attribuisce tale
propriet ai condomini per effetto automatico dellacquisto dellappartamento, ma esclude solo la possibilit che
la riserva o il trasferimento a terzi della propriet privi i proprietari degli appartamenti delledificio del diritto reale
di utilizzazione di tale area per il parcheggio dei loro veicoli, sottraendola al vincolo pubblicistico di destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 1 giugno 1993, n. 6104, Lisandrelli c. Snc lannozzi.
Con riguardo agli spazi riservati a parcheggio, secondo quanto prescrive per le nuove costruzioni lart. 18 della
L. 6 agosto 1967, n765, deve ritenersi consentita, in applicazione delle regole dettate dal codice civile sulle
pertinenze, ed anche prima dellentrata in vigore dellart. 26, ultimo comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (che
comunque chiarisce la portata di detto art. 18, inquadrando quelle porzioni nella normativa delle pertinenze), la
riserva di propriet in favore del costruttore, con gli atti di trasferimento delle singole unit condominiali o
dellintero fabbricato, semprech venga rispettato lindicato vincolo di destinazione (come nel caso in cui il
parcheggio resti assicurato ai condomini mediante il pagamento di un canone).
* Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 1988, n. 2129, Cond. V. Imprunet. c. Soc. Pian. 2 Torri.
Costituiscono un valido strumento interpretativo del contratto di vendita di appartamento condominiale, nel
silenzio o nellambiguit della convenzione in ordine al diritto dellacquirente al godimento dellarea di parcheggio
realizzata dal costruttore, le norme disciplinanti le costruzioni tra cui lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n.
1150 (introdotto dallart. 18 della L. 6agosto 1967,0.765), statuente che nelle nuove costruzioni debbono essere
riservati appositi spazi per parcheggi e ci per il principio che il bene casa deve essere concepito nella sua
regolare conformazione, delineata dalle norme suindicate, nonch in virt del principio di buona fede, di cui agli
artt. 1366 e 1375 cod. civ., ed in base allart. 1374 dello stesso codice, che obbliga le parti anche a tutte le
conseguenze che ne derivano secondo le leggi, tra le quali vanno incluse quelle regolanti erga omnes, in vista
del pubblico interesse, le caratteristiche del bene oggetto della compravendita.
* Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1981, n. 2452. Cond. Porris. S. c. Marrazzo.
La nullit della clausola del contratto di compravendita di appartamento che esclude il trasferimento della
propriet o del diritto reale di utilizzazione dellarea condominiale da riservare a parcheggio, ai sensi dellart. 41
sexies L. 27 agosto 1942 n. 1150, aggiunto dallart. 18 L. 6 agosto 1967 n. 765, ed il conseguente trasferimento
ex lege del predetto diritto al compratore, comporta il diritto del venditore al corrispettivo di tale trasferimento,
che d luogo ad un credito di valore rivalutabile perch ha la funzione di integrazione non del prezzo, in senso
proprio, ma degli effetti legali della compravendita, con laggiunta di un effetto legale che articolandosi nel
trasferimento della propriet o del diritto reale di godimento dellarea di parcheggio e nella integrazione del
corrispettivo, in egual misura le parti sono tenute a rispettare ed in egual misura deve conseguentemente
incidere sul loro patrimonio, senza alterare lobbligo del venditore di rimborsare lavente diritto dei frutti civili
eventualmente percepiti con lo sfruttamento dellarea dalla data del contratto.
* Cass. civ., sez. II, 20 aprile 1993, n. 4622, Cond. di via G. Pilli 86/b di Camaro Inferiore c. Lascari.
Lart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 - come introdotto dallart. 18 della L. 6 agosto
1967 n. 765, che dispone lobbligatoria riserva, a servizio delle nuove costruzioni, di spazi per parcheggi ha, per la finalit perseguita (ordinato assetto urbanistico), carattere imperativo ed opera non solo come norma
di azione, nel rapporto pubblicistico tra la pubblica amministrazione e chi domanda la licenza edilizia, bens
anche come norma di relazione, nei rapporti privatistici concernenti detti parcheggi, in quanto pone un limite
allautonomia privata, sanzionando di nullit, ai sensi degli artt. 1418 e 1419 cod. civ., ogni convenzione che, per
privato interesse del costruttore o del rivenditore degli immobili (o anche dei condomini stessi), sottragga gli
spazi suindicati alla funzione loro assegnata dalla legge. Ne deriva che va dichiarata nulla, per contrariet alla
disposizione imperativa in questione, sia la clausola con cui il costruttore od altri nel vendere i singoli
appartamenti, escludano dalla vendita la compropriet dei locali di parcheggio, come parte di natura
condominiale (art. 1117 cod. civ.), o, comunque, il godimento del servizio di parcheggio a titolo di servit, sia
latto con cui lacquirente di un appartamento rinuncia al servizio medesimo, con il conseguente diritto di
questultimo di fruire del servizio e dellalienante di esigere il relativo corrispettivo pecuniario.
* Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 1982, n. 483, Paolillo c. Napoli.
Per sentir dichiarare la destinazione di unarea a parcheggio condominiale, ai sensi dellart. 18 della L. 6 agosto
1967, n. 765, e la nullit dei negozi contrari alla citata norma vincolistica, ove larea stessa sia comune a due
condominii (rendendosi applicabili le norme specifiche della comunione ex art. 1100 e 1105 c.c. e non anche
quelle che regolano il condominio), la legittimazione dei singoli partecipanti, e per essi degli amministratori, ad
agire contro terzi, o contro altri partecipanti, pu sorgere anche da una semplice manifestazione di volont dei
partecipanti.
*Cass. civ., sez. II, 4gennaio 1993, n. 18, Prosperi c. Bucci.
Lart. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765 (introduttivo dellart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942
n. 1150) disponendo che nelle nuove costruzioni devono essere riservati spazi per parcheggi in misura non
inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione non delinea una servit di uso
pubblico, ma crea una situazione pertinenziale tra la propriet delledificio e larea di parcheggio ad esso
destinata (confermata, per la Regione siciliana, dalla qualifica dellarea di parcheggio come dotazione
delledificio, ex art. 21 della legge regionale 26 maggio 1973 n. 21), la quale, nellipotesi di edificio condominiale,
assume la forma della compropriet, in capo ai condomini, dellarea, come parte necessaria alluso comune (art.
1117 cod. civ.), se larea stessa era di propriet del costruttore, ovvero di un diritto (comune) di servit dei
condomini sullarea, se questa appartiene ad un terzo. La normativa, dato il fine pubblico perseguito, ha natura
cogente e pertanto qualsiasi negoziazione avente ad oggetto unit immobiliari di un edificio dotato dellarea di
parcheggio comporta ipso iure il trasferimento al compratore della proporzionale quota dellarea medesima
(quota di compropriet o di coservit), in virt dellintegrazione ope legis degli effetti del contratto ai sensi dellart.
1374 cod. civ., senza il versamento di un ulteriore corrispettivo, salva, per il venditore, ricorrendo gli estremi
richiesti dallart. 1429 n. 4 cod. civ., lazione di annullamento del contratto, ove lomesso computo nel prezzo del
valore della quota dellarea di parcheggio si ricolleghi ad un errore sulle conseguenze giuridiche del negozio.
* Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1981, n. 6714, Romano c. Trio.
Nella disciplina urbanistica di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765, lobbligo di riservare nelle nuove costruzioni spazi
per parcheggio, ai sensi dellart. 18 della citata legge, pu essere osservato realizzando tali spazi tanto in aree
di pertinenza, quanto in locali facenti parte delle costruzioni stesse (e da trasferire agli acquirenti delle singole
unit immobiliari), come nel caso di boxes o garages ricavati in piani interrati.
Veranda.
a) Ballatoi
I ballatoi delle cosiddette case a ringhiera devono intendersi parti comuni e le spese per la loro manutenzione e
ricostruzione devono essere divise secondo l'art. 1124 c.c.
* Trib. civ. Milano, 24 novembre 1988.
Non esiste un diritto del singolo condomino a farsi installare, nei muri perimetrali interni dei ballatoi condominiali,
nicchie per immettervi contatori del gas o della luce; anzi, l'apposizione di tali nicchie-portacontatori deve essere
considerata un peso di diritto reale sulle parti comuni.
* Pret. civ. Torino, ord. 23 dicembre 1995.
b) Chiusura a vetri
La chiusura con finestre a vetri con telaio metallico realizzata su balconi di propriet esclusiva dei singoli
condomini illegittima, allorch, limitando la circolazione dell'aria all'interno delle scale e dei pianerottoli e
determinando conseguenti ristagni di odori, pu creare situazioni di pericolo o danni alle parti comuni
dell'edificio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 giugno 1989, Gallo e altri c. Condominio di via Val Lagarina 67, Milano e Istituto
Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Milano e Pastino e altri.
Salve limitazioni di natura pubblicistica, la chiusura a vetri di balconi o terrazzi di pertinenza esclusiva deve, di
norma, ritenersi consentita ai rispettivi proprietari, purch non alteri il decoro architettonico dell'edificio
condominiale e non rechi pregiudizio, sotto alcun profilo, agli altri condomini, ai quali deve essere comunque
assicurato un pari uso del bene comune.
* Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1981, n. 4861, Malentacchi c. Galletti.
c) Costruzione di sporti, balconi e pensili
L'immissione di balconi e pensili su un cortile comune, pur comportando l'occupazione con un'opera solida e
stabile dell'area sovrastante, si risolve in un ampliamento della presa di aria e luce da parte del singolo
condomino e, non alterando la destinazione normale del cortile, deve ritenersi pienamente legittima, salvo che,
per la dimensione degli sporti, non si verifichi un uso della cosa comune esorbitante dai limiti previsti dalla legge.
Ben diversa, invece, la situazione che si determina per l'aggetto di un vero e proprio corpo di fabbrica, poich
in tal caso alla incorporazione di una parte della colonna d'aria del cortile si connette anche la finalit di
assegnare alla superficie del cortile stesso la qualit e la natura di spazio sfruttabile a fini costruttivi dai singoli
comproprietari, a vantaggio delle rispettive propriet, e quindi per l'utilit e disponibilit esclusiva degli stessi,
con la conseguente alterazione della destinazione normale del cortile comune che non pu essere consentita.
* Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 1976, n. 624.
Gli sporti che il singolo condomino ha diritto di costruire sul cortile comune debbono essere concretamente
realizzati in maniera che non venga alterata la destinazione di tale cortile, che principalmente quella di fornire
luce e aria agli immobili circostanti, ed in modo che la loro costruzione non si ponga in contrasto con le esigenze
di un pari uso dello stesso cortile da parte degli altri comproprietari, nei limiti di cui all'art. 1102 cod. civ., in
relazione alle prospettive offerte dalla struttura e ubicazione delle propriet individuali.
* Cass. civ., sez. II, 9 marzo 1988, n. 2370, Carcano c. Maggi.
Deve ritenersi pertinenza, al fine di assoggettarla a semplice autorizzazione e non a concessione ex art. 7, cpv.,
lettera a) D.L. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito nella L. 25 maggio 1982, n. 94, l'opera la quale, pur
conservando la propria individualit fisica ed autonomia funzionale, venga posta in un durevole rapporto di
subordinazione strumentale con altra persistente, per renderne pi agevole o comunque migliorarne l'uso. Per
delimitare la relativa nozione, che, nell'ambito della normativa edilizia, non pu farsi coincidere completamente
con quella di cui all'art. 817 c.c., possibile far ricorso interpretativo alla normativa catastale, secondo la quale
la pertinenza consiste in un volume privo di autonomo accesso dalla via pubblica ed insuscettibile di produrre un
proprio reddito senza subire modificazioni fisiche. (Nella fattispecie la Suprema Corte ha ritenuto che la
superficie realizzata mediante la costruzione di un balcone non possa qualificarsi pertinenza, essendo opera
accessoria, soggetta al diverso regime concessorio, la quale congiunta intimamente con altra costituisce parte
costitutiva ed integrante del tutto. La Suprema Corte ha inoltre precisato che mentre le pertinenze possono
anche fisicamente essere separate dalla cosa principale senza alterarne l'essenza fisica e funzionale, le opere
accessorie non sono suscettibili di separazione, senza determinare frazionamenti fisici del tutto ovvero riportare
alterazioni funzionali dell'immobile).
* Cass. pen., sez. III, 5 maggio 1992, n. 5331 (ud. 3 marzo 1992), Staiano.
La costruzione, da parte del condominio, di sporti sul cortile o sul passaggio comune, con conseguente
occupazione della colonna d'aria sovrastante il terreno comune, costituisce esplicazione del diritto di
utilizzazione della cosa, ai sensi dell'art. 1102 c.c., quando non ne pregiudichi la normale funzione o le
possibilit di utilizzazione particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 21 giugno 1993, n. 6850, Malizia c. Rizzo e altro.
La costruzione, nel muro perimetrale dell'edificio condominiale, di balconi prospicienti sul cortile comune costruzione che si risolve in un ampliamento della presa di aria e di luce da parte del singolo condomino - pu
ritenersi legittima soltanto quando la dimensione di tali sporti, oltre a non compromettere la stabilit e la
sicurezza del fabbricato, nonch a non alterare la destinazione normale del cortile, non menomi il pari diritto
degli altri condomini a fruire della normale presa di aria e luce.
* Cass. civ., sez. II, 28 luglio 1977, n. 3351.
Il proprietario di un appartamento sito in uno stabile condominiale ha diritto di ottenere l'eliminazione di uno
sporto costruito sul muro comune, in corrispondenza dell'appartamento sovrastante, quando tale manufatto
importa una sensibile diminuzione di luce e di aria ai danni dell'unit immobiliare di sua propriet; e ci
indipendentemente dal fatto che il terreno contiguo allo stabile, cui aggetta il manufatto medesimo, appartenga
al condominio ovvero al condomino attore in via esclusiva.
* Cass. civ., sez. II, 18 maggio 1978, n. 2408.
Nel caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte
corrispondente agli appartamenti di propriet esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti o
trasformando finestre in balconi o in pensili, a condizione che l'esercizio della indicata facolt, disciplinata dagli
artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilit e il decoro architettonico dell'edificio e non menomi o
diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori. (Nella specie il giudice di
merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto sussistente una sensibile diminuzione
di aria e luce in danno dell'appartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione di balconi da parte
dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al secondo piano, in relazione anche alla giacitura particolare
dell'edificio condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della latistante via pubblica).
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n. 10704, Scibetta c. Naro e Alongi.
Con riguardo ad un edificio in condominio a norma dell'art. 1102 cod. civ. consentita al condomino la
costruzione di balconi e pensili sul cortile comune quando, pur comportando l'occupazione con un'opera solida e
stabile dell'area sovrastante, concreti solo un ampliamento della presa d'aria e luce dell'appartamento del
singolo condomino senza alterare la destinazione normale del cortile ai fini costruttivi dei singoli proprietari, con
vantaggio delle rispettive propriet, e quindi per l'utilit e disponibilit esclusiva degli stessi. (Nella specie la
C.S., in applicazione di tale principio, ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano ritenuto che
il vano occupante la colonna d'aria sovrastante il cortile comune, per le sue dimensioni di oltre mq. 4 e mezzo,
alterasse la destinazione economica del cortile stesso, diminuendo l'utilizzazione dell'aria e della luce che esso
era destinato ad assicurare).
* Cass. civ., sez. II, 29 dicembre 1987, n. 9644, Jaccarino c. Marino.
L'art. 1102 cod. civ., nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione, prescrive che in ogni caso non pu
essere alterata la destinazione della cosa comune, sicch solo le modificazioni di questa, in quanto consentano
il pari uso secondo il diritto di ciascuno, rientrano nella previsione legale, mentre vietata ogni diversa attivit
innovatrice. (Nella specie, alla stregua del principio enunciato, stata giudicata corretta la decisione che ha
ritenuta vietata la costruzione di un terrazzo pensile soprastante un cortile comune, con la costruzione, inoltre di
gradini e di un'aiuola sul cortile stesso).
* Cass. civ., sez. II, 26 luglio 1983, n. 5132, Bono c. D`Accordo.
La tollerabilit, o meno, del pregiudizio che la costruzione di uno sporto nel muro perimetrale comune pu
arrecare alla presa di aria e luce di locali appartenenti a uno dei condomini dipende non solo dall'ampiezza dello
sporto e dalla superficie del cortile eventualmente antistante all'edificio, ma soprattutto, dalla distanza in cui tale
sporto viene a trovarsi dalle sottostanti aperture; se tale distanza risulta esigua, anche l'esistenza di un ampio
cortile potrebbe non compensare adeguatamente una diminuzione di aria e soprattutto di luce.
* Cass. civ., sez. II, 28 luglio 1977, n. 3351.
E' nulla la delibera dell'assemblea condominiale per la parte in cui autorizza il condomino del terzo piano alla
costruzione di due balconi sulla facciata prospiciente il cortile interno, e ci in quanto la delibera medesima
esorbita dai limiti delle attribuzioni dell'assemblea ed lesiva dei diritti dei condomini del secondo piano sulla
cosa comune e sulla loro propriet esclusiva.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 9 maggio 1989, n. 720, Colombo c. Battezzati.
Il condomino di un edificio che sia proprietario esclusivo dell'area scoperta adiacente alla facciata dell'edificio
stesso, pu legittimamente procedere alla costruzione di una balconata appoggiandola al muro comune in
corrispondenza dell'appartamento di sua propriet; n il proprietario dell'appartamento sottostante, il quale
lamenti la diminuzione di luce e di aria attraverso un'apertura, avente natura di luce, per effetto della costruzione
eseguita, pu vantare alcuna ragione di danno, poich l'aggetto della balconata rappresenta l'utilizzazione della
colonna d'aria soprastante il suolo, sul quale il condomino dell'edificio, che ne proprietario esclusivo, pu
compiere opere che limitano la funzione delle luci aperte nella facciata dell'edificio posto a confine dell'area di
propriet esclusiva.
* Cass. civ., sez. II, 20 marzo 1974, n. 776.
d) Elementi decorativi
Gli elementi decorativi situati al di sotto dei balconi, avendo soltanto una funzione estetica volta a rendere
armonica la facciata dell'edificio condominiale, sono cose che servono all'uso e al godimento comune e, quindi,
ai sensi dell'art. 1117, n. 3, cod. civ., sono oggetto di propriet comune e non di propriet esclusiva del
condomino cui appartengono i singoli balconi. Ne consegue che la delibera con la quale l'assemblea abbia
ripartito tra i condomini le spese necessarie alla rimozione e alla riparazione dei predetti elementi decorativi
pericolanti non viziata da nullit assoluta, ma pu essere impugnata nel termine di trenta giorni di cui all'art.
1137 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1980, n. 4377, Porcaro c. Condominio di Via Sammartino 128, Palermo.
Gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, cementi decorativi relativi ai frontali
ed ai parapetti) svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all'intero edificio, del quale accrescono il pregio
architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell'art. 1117 n. 3 c.c., con la conseguenza che la
spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della propriet di
ciascuno.
* Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2000, n. 568, Stanganini ed altro c. Condominio di Via Reggimento Savoia
Cavalleria 10, Milano.
Gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, aggiunte sovrapposte con malta
cementizia, viti di ottone e piombi ai pilastrini della balaustrata) svolgendo una funzione decorativa estesa
all'intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi
dell'art. 1117, n. 3, cod. civ., con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1986, n. 176, Cond. V. Cusuman. c. Fortuna.
La legittimit o meno della costruzione ad opera di un condomino di un muro di mattoni forati sul lato esterno di
un balcone di sua esclusiva propriet aperto su una chiostrina condominiale destinata a dare luce ed aria anche
ai vani degli altri condomini che si aprono su di essa, va accertata in relazione all'utilizzazione della cosa
comune che consentita al singolo condomino in misura anche pi intensa del normale, quando non alteri la
destinazione della cosa e non pregiudichi il pari diritto degli altri partecipanti al condominio.
* Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 1982, n. 6869, Grammatica c. Nuovo.
L'assemblea condominiale non pu assumere decisioni che riguardino i singoli condomini nell'ambito dei beni di
loro propriet esclusiva, salvo che non si riflettano sull'adeguato uso delle cose comuni; ne consegue che nel
caso in cui i balconi, che appartengono in modo esclusivo al proprietario dell'appartamento di cui fanno parte,
presentino nella facciata esterna elementi decorativi, o anche semplicemente cromatici, che si armonizzano con
la facciata del fabbricato dal quale sporgono, per i lavori di restauro o di manutenzione straordinaria della
facciata, decisi con la prescritta maggioranza, legittimamente viene incluso nei lavori comuni il contemporaneo
rifacimento della facciata esterna dei detti balconi, essendo il decoro estetico dell'edificio condominiale un bene
comune, della cui tutela competente l'assemblea.
* Cass. civ., sez. II, 30 agosto 1994, n. 7603, Masella c. Cond. via Campania 15-17, Taranto.
Il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte e della parte sottostante della soletta dei balconi degli
appartamenti di un edificio debbono essere considerati di propriet comune dei condomini, in quanto destinati
all'uso comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di
rendere esteticamente gradevole l'edificio. Tale funzione pu essere esclusa solo in presenza di prova contraria,
da cui risulti che trattasi di un fabbricato privo di qualsiasi uniformit architettonica, o che trovasi in uno stato di
scadimento estetico tale da rendere irrilevante l'arbitrariet costruttiva o di manutenzione dei singoli particolari.
* Cass. civ., sez. II, 17 luglio 1999, n. 7603, P.M. Raimondi.
Il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte o della parte sottostante della soletta dei balconi degli
appartamenti di un edificio debbono essere considerati di propriet comune dei condomini, in quanto destinati
all'uso comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di
rendere esteticamente gradevole l'edificio, mentre sono pertinenze dell'appartamento di propriet esclusiva
quando servono solo per il decoro di quest'ultimo; conseguentemente, nel caso di distacco, per vizio di
costruzione, del rivestimento o degli elementi decorativi predetti, l'azione di responsabilit nei confronti del
costruttore legittimamente esperita dal condominio, ai sensi dell'art. 1669 c.c., se il rivestimento o gli elementi
decorativi abbiano prevalente funzione estetica per l'intero edificio.
* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1992, n. 12792, Soc. Gefim c. Cond. Flox.
I balconi aggettanti, non avendo una funzione portante, non costituiscono parti comuni anche se siano inseriti
nella facciata, in quanto formano parte integrante dell'appartamento cui accedono. Per contro, il rivestimento e
gli elementi decorativi del fronte (parapetto) o della parte sottostante della soletta debbono essere considerati di
propriet comune dei condomini laddove essi assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente
gradevole l'edifico.
* Trib. civ. Salerno, sez. I, 16 febbraio 2001, n. 542, Cornetta c. Condominio Rubino di Via Generale Clark 15 in
Salerno.
Le lastre applicate alla parte inferiore di ogni balcone e i listelli incollati sotto la copertina di finitura dei parapetti
dell'edificio condominiale, costituendo elementi con funzione estetica, volti a rendere armonica la facciata
dell'edificio (le copertine) ovvero anche posti al servizio di una parte comune quale la facciata (i listelli), devono
essere considerati di propriet comune dei condomini. Conseguentemente, nel caso di distacco dei predetti
elementi decorativi, per vizio di costruzione, la legittimazione ad causam relativamente all'azione di
responsabilit nei confronti del costruttore ex art. 1669 c.c. compete all'amministratore del condominio.
* Trib. civ. Udine, 23 novembre 1998, n. 925, Condominio S. Marco di Udine c. Soc. Side ed altri.
Le spese di manutenzione riguardanti il frontalino dei balconi, che un elemento della struttura esterna del
balcone destinato a garantire l'integrit architettonica dell'edificio come componente della facciata, devono
gravare su tutti i condomini.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 settembre 1988, Aletti e altra e Marconari e altra c. Condominio di via Treviso
16/18, Milano.
La spesa per la riparazione delle colonnine e dei pilastrini che fanno parte integrante del parapetto dei balconi e
della terrazza a livello deve gravare esclusivamente sul proprietario dei beni medesimi, in quanto il parapetto
assolve alla funzione primaria di protezione dell'unit immobiliare del condomino ed perci soggetta
all'autonomo diritto dominicale.
* Corte app. civ. Napoli, 16 ottobre 1990.
Gli elementi verticali dei balconi, soprattutto quando si tratti di edifici moderni nei quali i balconi, incolonnati ed
allineati secondo un preciso disegno architettonico rappresentano il tratto ornamentale essenziale della facciata,
devono considerarsi parti integranti della facciata e componenti del bene del decoro dell'edificio, onde alle loro
riparazioni devono concorrere tutti i condomini in proporzione dei rispettivi millesimi di partecipazione alla
propriet comune; fra tali elementi rientrano pertanto i frontalini, le piantane e le fasce marcapiano.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 maggio 1992.
Gli interventi riguardanti la parte dei balconi prospettante verso l'esterno (nella specie i frontalini) gravano
sull'intera collettivit dei condomini in quanto tali elementi costituiscono parte integrante della facciata.
* Trib. civ. Milano, 14 ottobre 1991.
La sostituzione del materiale e del tipo di balaustra (non pi a scudo ma a fasce verticali) di un balcone non
comporta una innovazione in senso proprio, ma una semplice manutenzione straordinaria.
* Corte app. civ. Milano, 20 settembre 1991, n. 1316, .
La propriet esclusiva delle terrazze e dei balconi si estende a tutte le opere necessarie al godimento e
all'utilizzazione, quali la pavimentazione, la parte interna ed i davanzali dei parapetti, mentre invece sono di
propriet condominiale la parte esterna dei parapetti, la fascia di coronamento (cornicione o marcapiano) e
quella di rivestimento dei bordi aggettanti (frontalini) con relativi intradossi.
* Corte app. civ. Salerno, 16 marzo 1992, n. 97.
Con riguardo al rivestimento del fronte della soletta dei balconi di un edificio in condominio, la loro natura di beni
comuni in quanto destinati all'uso comune a norma del terzo comma dell'art. 1117 c.c. ovvero pertinenze ad
ornamento dell'appartamento di propriet esclusiva, ove i balconi sono siti, va accertata in base al criterio della
loro precipua e prevalente funzione in rapporto all'appartamento di propriet esclusiva e alla struttura e
caratteristica dell'intero edificio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del merito, in cui si era
riconosciuta la natura di parti comuni ai suddetti manufatti, frontalini di marmo, con riguardo alla esclusa loro
funzione protettiva od ornamentale dei balconi ed alla rilevata efficacia decorativa dell'intero edificio nonch
all'utilizzazione come gocciolatoi). Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1990, n. 7831, Lattanzio c. Cond. Miram. Arm.
e) Fioriere
La collocazione di vasi di geranei su dei sottovasi ed all'interno di fioriere saldamente ancorate alla ringhiera dei
balconi non contrasta n con la disposizione di cui all'art. 844 c.c. n con la norma regolamentare che vieti la
collocazione di vasi di piante su parapetti, ove gli stessi non siano fissi e creino problemi di stillicidio.
* Trib. civ. Bologna, sez. V, 1 marzo 1993, n. 245, Billi c. Cavazza.
f) Propriet
I balconi sono elementi accidentali e non portanti della struttura del fabbricato, non costituiscono parti comuni
dell'edificio e appartengono ai proprietari delle unit immobiliari corrispondenti, che sono gli unici responsabili
dei danni cagionati dalla caduta di frammenti di intonaco o muratura, che si siano da essi staccati, mentre i fregi
ornamentali e gli elementi decorativi, che ad essi ineriscano (quali i rivestimenti della fronte o della parte
sottostante della soletta, i frontalini e i pilastrini), sono condominiali, se adempiono prevalentemente alla
funzione ornamentale dell'intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi
corrispondenti, con la conseguenza che onere di chi vi ha interesse (il proprietario del balcone, da cui si sono
distaccati i frammenti, citato per il risarcimento), al fine di esimersi da responsabilit, provare che il danno fu
causato dal distacco di elementi decorativi, che per la loro funzione ornamentale dell'intero edificio
appartenevano alle parti comuni di esso.
* Cass. civ., sez. II, 7 settembre 1996, n. 8159, Cima c. Mastrantonio.
I balconi di cui sono dotate le scale di un edificio condominiale, che sono accessibili unicamente da queste ed
hanno una funzione architettonica, lucifera e di aerazione, costituiscono parte organica ed integrante dell'intero
fabbricato e debbono, pertanto, presumersi di propriet comune, ai sensi dell'art. 1117 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 13 dicembre 1979, n. 6502, Davoli c. Rotta.
g) Soletta o piattaforma
La presunzione assoluta di comunione, ex art. 1125 cod. civ., del solaio divisorio di due piani di edificio
condominiale tra i proprietari dei medesimi si estende anche alla piattaforma o soletta dei balconi, la quale,
avendo gli stessi caratteri, per struttura e funzione, del solaio, di cui costituisce prolungamento, attratta nel
regime giuridico dello stesso. Consegue che per tale piattaforma o soletta si configura un compossesso degli
indicati proprietari, che si attua con l'uso esclusivo delle rispettive facce della stessa, esercitato da quello del
piano superiore anche e soprattutto in termini di calpestio ed estrinsecantesi, per quello del piano inferiore, oltre
che nella fruizione del commodum proveniente dalla copertura, nell'acquisizione di ogni ulteriore attingibile utilit
cui non ostino ragioni di statica o di estetica, e comporta a loro rispettivo carico la manutenzione e la
ricostruzione. Pertanto, qualora il proprietario del piano inferiore alleghi la esistenza di fatti, come infiltrazioni di
acqua o altro, che abbiano danneggiato la faccia inferiore del balcone, sussiste la sua legittimazione a
pretendere il risarcimento dal proprietario del piano superiore.
* Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 1987, n. 283, Rocco c. Forni.
La presunzione assoluta di comunione (ex art. 1125 cod. civ.) del solaio divisorio di due piani di edificio
condominiale tra i proprietari dei medesimi vale pure per la piattaforma o soletta del balcone dell'appartamento
del piano superiore, la quale, avendo gli stessi caratteri, per struttura e funzione (separazione in senso verticale,
sostegno, copertura), del solaio, di cui costituisce prolungamento, attratta nel regime giuridico dello stesso.
Consegue che per tale piattaforma o soletta si configura un compossesso degli indicati proprietari, esercitato dal
proprietario del piano superiore anche e soprattutto in termini di calpestio ed estrinsecantesi per l'altro
proprietario, oltre che nella funzione del commodum proveniente dalla copertura, nell'acquisizione di ogni
ulteriore attingibile utilit, cui non ostino ragioni di statica e di estetica, sicch quest'ultimo pu ancorare a detta
soletta le strutture di chiusura necessarie per la realizzazione di una veranda ed altres utilizzarne la faccia
inferiore (prolungamento del proprio soffitto) per installarvi apparecchi d'illuminazione, per farvi vegetare piante
rampicanti, ecc.
violazione di una norma del regolamento condominiale predisposto dall'originario unico proprietario e recepito
nei singoli atti di acquisto. (Nella specie, in base al surriportato principio, il Supremo Collegio ha ritenuto corretta
la decisione dei giudici del merito con la quale, in accoglimento della domanda di un condomino, altri condomini
erano stati condannati a rimuovere una struttura metallica a sostegno di una tenda, realizzata su di un balcone
di loro propriet esclusiva a distanza inferiore a quella prescritta dall'art. 907 cod. civ. dal balcone soprastante
dell'attore ed in violazione di una norma del regolamento condominiale, vietante ogni modificazione dei balconi).
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1981, n. 2531, Giordano c. Politi.
Nell'ambito di un unico immobile condominiale le norme che regolano i rapporti di vicinato trovano applicazione
solo in quanto compatibili con la struttura dell'edificio e con le caratteristiche dello stato dei luoghi. Pertanto,
qualora esse siano invocate in una controversia tra condomini, spetta al giudice del merito valutare se, nel
singolo caso, dette norme debbano essere osservate o meno, in considerazione dell'esigenza di contemperare i
diversi interessi di pi proprietari conviventi in un unico edificio, al fine dell'ordinato svolgimento di tale
convivenza, propria dei rapporti condominiali. (Nella specie la Corte di cassazione, applicando tale principio, ha
rigettato il ricorso avverso la pronuncia del giudice di merito che aveva ritenuto legittima la tettoia in lamiera di
una tenda parasole (quest'ultima conforme al tipo e colore previsti dal regolamento condominiale) installata da
un condomino, ritenendola necessaria - nel caso concreto - per la tutela della sua privacy e per il riparo dagli
agenti atmosferici, nonostante fosse di dimensioni maggiori rispetto a quella di analoghi manufatti di altri
condomini, provocasse fastidiosi riverberi di luce a causa della copertura metallica, e comprimesse l'esercizio
del diritto di veduta in appiombo del condomino dell'appartamento sovrastante).
* Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2000, n. 3891, Frunzo c. Piaggi.
Nel divieto, contenuto in una norma di un regolamento condominiale, di applicare a finestre e balconi tende
esterne diverse per tipo e per colore da quelle adottate dal condominio e di esporre qualsiasi targa, insegna o
altro... sulle facciate, sui balconi, nei vani delle finestre nonch sui vetri delle finestre stesse, si deve
ricomprendere anche la collocazione - da parte di un condomino - di doppi infissi che non si limitino a rinforzare
gli infissi precedenti, ma intercludano spazi dei balconi, prima aperti, creando un effetto di tuttopieno laddove in
precedenza esisteva un'alternanza fra pieni e vuoti.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 19 novembre 1993, n. 2392, Azzola ed altri c. Chiodaroli e altri.
I condomini possono far uso delle parti comuni per le utilit accessorie inerenti al godimento della propria
propriet esclusiva, anche nelle parti corrispondenti ai piani degli altri proprietari, quando tale utilizzazione non
viene ad alterare la naturale funzione di sostegno dei muri medesimi; di conseguenza, ammissibile
l'installazione di tende da attaccarsi alla base del balcone del piano superiore, con la sola limitazione che le
stesse devono essere conformi al tipo approvato dall'assemblea. (Nella specie, alcuni condomini avevano
lamentato che l'installazione di detti tendaggi poteva comportare una limitazione della loro veduta e una
mancanza di sicurezza personale, affermazioni comunque confutate dalle fotografie e dalla documentazione
prodotte in atti).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 31 maggio 1988, n. 1824, Gagliardoni e Personeni c. Condominio di via Bassini,
n. 17/2-19, Milano.
Una delibera assembleare che indichi tassativamente le caratteristiche estetiche delle tende da sole apponibili
dai singoli condomini lecita e vincolante anche per chi non ebbe a parteciparvi.
* Trib. civ. Monza, 16 novembre 1990.
L'installazione di una tenda su di un balcone di un edificio condominiale non incide sul decoro architettonico del
fabbricato qualora la stessa fuoriesca solo minimamente dal limite del parapetto e presenti le stesse
caratteristiche di modello e di colorazione di tutte le altre installate sulle facciate condominiali.
* Pret. civ. Pisa, 3 maggio 1993, n. 140, in Arch. loc. e cond. 1994, 385.
n) Veranda
I balconi di un edificio condominiale prospicienti sul cortile comune appartengono in via esclusiva, assieme alla
colonna d'aria, soprastante a ciascuno di essi, ai proprietari dei singoli appartamenti ai quali accedono, in qualit
di pertinenza. Ne consegue che ciascun condomino ha il diritto di trasformare in veranda il balcone di sua
propriet senza dover richiedere l'autorizzazione degli altri compartecipi imposta dal regolamento del
condominio soltanto per le innovazioni delle parti comuni dell'edificio.
* Cass. civ., sez. II, 7 luglio 1976, n. 2543.
I poteri dell'assemblea condominiale concernono la disciplina dell'uso delle cose comuni, senza mai invadere la
sfera delle propriet individuali, salvo le limitazioni accettate convenzionalmente dai singoli condomini, i quali,
conseguentemente, eccettuate queste limitazioni, non possono essere autorizzati dall'assemblea ad una
utilizzazione pi ampia di parti comuni, che si risolva in una violazione delle norme sui rapporti di vicinato, quale
la realizzazione di una veranda su un terrazzo di propriet esclusiva, senza il rispetto della distanza legale della
veduta esercitata dal proprietario dell'appartamento sovrastante.
* Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1980, n. 5652, Vignale c. Servetti.
La trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura
a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, non ha natura precaria n costituisce
intervento di manutenzione straordinaria o di restauro, ma opera soggetta a concessione edilizia.
* Cass. pen., sez. III, 27 marzo 2000, n. 3879 (ud. 13 gennaio 2000), Spaventi.
Il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale non pu eseguire nella sua propriet esclusiva
opere che, in contrasto con quanto stabilito dalla norma dell'art. 1122 cod. civ., rechino danno alle parti comuni
dell'edificio stesso, n, a maggior ragione, opere che, attraverso l'utilizzazione delle cose comuni, danneggino le
parti di una unit immobiliare di propriet esclusiva di un altro condomino. (Nella specie, in applicazione del
surriportato principio la S.C. ha confermato la decisione di merito con cui si ritenuto che al proprietario di un
appartamento non sia consentito costruire sul suo balcone una veranda in appoggio al muro comune dell'edificio
condominiale la quale raggiunga l'altezza del piano superiore diminuendo il godimento dell'aria e della luce al
proprietario del piano contiguo).
* Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1985, n. 1132, Dambruoso c. Spinelli.
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120, secondo comma, cod. civ.,
deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota
dominante ed imprimono alle varie parti dell'edificio, nonch all'edificio stesso nel suo insieme, una sua
determinata armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico.
L'indagine volta a stabilire se, in concreto, un'innovazione (nella specie: veranda in ferro e vetro) determini o
meno alterazione del decoro architettonico demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al
sindacato di legittimit, se congruamente motivato.
* Cass. civ., sez. II, 13 aprile 1981, n. 2189, Maisano c. Troiolo.
Ciascun condomino ha il diritto di trasformare in veranda il balcone di sua propriet (senza dover richiedere
l'autorizzazione degli altri condomini), purch la trasformazione non arrechi danno alle parti comuni dell'edificio
ed, in particolare, non alteri il decoro architettonico dell'edificio e non arrechi pregiudizio agli altri condomini, ai
quali deve essere comunque assicurato un pari uso del bene comune.
* Trib. civ. Milano, 31 gennaio 1991.
Nel caso in cui una norma contenuta in un regolamento condominiale preveda che qualsiasi modificazione al
fabbricato, anche quando non se ne guasti l'estetica e la simmetria esteriore, deve essere autorizzata
dall'amministrazione del condominio, il condomino che intenda costruire una veranda in struttura metallica e
vetro sul proprio terrazzo prospiciente la facciata verso strada dello stabile condominiale, deve informarne
preventivamente l'amministratore.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 22 ottobre 1993, n. 2028, Cond. di via Redi n. 8 di Milano c. Vivaldi.
Se un condomino agisce per la demolizione di un manufatto - nella specie veranda - realizzato su una striscia di
terreno in compropriet con il coniuge del convenuto, pur se in base all'assunto attore o soltanto questi l'autore
delle opere, il contraddittorio deve essere integrato nei confronti di entrambi i comproprietari e la relativa
violazione rilevabile anche per la prima volta in Cassazione, se emerge dagli atti e sul punto non si formato il
giudicato.
* Cass. civ., sez. II, 13 giugno 1997, n. 5335, Lucarelli c. Minucci.
Una veranda da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, una vera e propria costruzione assoggettata al
requisito della concessione, poich difetta normalmente del carattere di precariet, trattandosi di opera destinata
non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo,
ampliando cos il godimento dell'immobile. La definizione di tale sua natura non da ritenersi modificata dalla
disciplina normativa introdotta con la L. 28 febbraio 1985, n. 47, la quale anzi precisa, tra l'altro, che sono da
giudicarsi opere in assenza di concessione anche quelle rivolte alla esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti
indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza o
autonomamente utilizzabile. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, l'imputato aveva sostenuto che per la
veranda, in quanto destinata alla protezione dagli agenti atmosferici, non fosse necessaria la concessione
edilizia. La Suprema Corte ha invece affermato la necessit della concessione prospettando che la salvaguardia
dalle intemperie si realizza con la semplice apposizione alle aperture dei cosiddetti doppi infissi in alluminio
anodizzato, mentre la veranda non solo non rappresenta un'opera precaria, ma, realizzando anche la difesa
dagli agenti atmosferici, pone in essere un rilevante aumento della volumetria abitativa, comunque utilizzabile,
assicurando, infine, spazio e privacy al corpo immobiliare).
* Cass. pen., sez. III, 19 maggio 1988, n. 6127 (ud. 6 aprile 1988), Rossi.
Il proprietario o condomino il quale realizzi un manufatto in appoggio o in aderenza al muro in cui si apre una
veduta diretta o obliqua esercitata da un sovrastante balcone, e lo elevi sino alla soglia del balcone stesso, non
soggetto, rispetto a questo, alle distanze prescritte dall'art. 907, comma terzo, c.c. nel caso in cui il manufatto
sia contenuto nello spazio volumetrico delimitato dalla proiezione verticale verso il basso della soglia predetta, in
modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del piano di sopra. Infatti, tra le normali
facolt attribuite al titolare della veduta diretta od obliqua esercitata da un balcone compresa quella di
inspicere e prospicere in avanti e a piombo, ma non di sogguardare verso l'interno della sottostante propriet
coperta dalla soglia del balcone, non potendo trovare tutela la pretesa di esercitare la veduta con modalit
abnormi e puramente intrusive, ossia sporgendosi oltre misura dalla ringhiera o dal parapetto.
* Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 2000, n. 13012, Cannone Palumbo c. Lo Muscio Sibillano.
La normativa introdotta per la prima volta dall'art. 7 del D.L. n. 88 del 1995 e successivamente reiterata ha
espressamente abrogato gli artt. 7 e 8 della legge n. 94 del 1982, per cui venuta meno la disciplina
differenziata delle cosiddette pertinenze, se non ricomprese nelle categorie individuate nel nuovo regime o in
quello predisposto dalle regioni in base alla lettera n) del settimo comma dell'art. 9 del D.L. n. 285 del 1996, che
ha confermato la cosiddetta denuncia legittimante. (Fattispecie relativa ad una struttura intelaiata, simile ad una
veranda a vetri, che non costituisce pertinenza, perch non pu essere considerata come un vano accessorio a
servizio della costruzione principale, bens un ampliamento ed un ambiente nuovo, n opera precaria, poich
non realizzata per motivi di carattere contingente e con caratteristiche oggettive ed intrinseca destinazione
temporanea, non assumendo rilievo n la cosiddetta facile rimovibilit n la soggettiva destinazione data dal
costruttore).
* Cass. pen., sez. III, 18 luglio 1996, n. 2676 (c.c. 18 giugno 1996), Ciuffarella.
La cosiddetta veranda si caratterizza come manufatto costruttivo, anche se privo di individualit propria, siccome
destinato ad integrare il restante edificio, che determina comunque una modifica esterna del territorio,
suscettibile di rilievo urbanistico. Ne consegue che la relativa superficie va calcolata al fine di stabilire la limitata
entit dei volumi illegittimamente realizzati quale requisito richiesto per l'applicazione dell'amnistia, ai sensi del
D.P.R. n. 75 del 1990. (Fattispecie relativa ad una costruzione abusiva che impegnava una superficie pilastrata
di mq 150, inclusa quella destinata a veranda; la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del giudice di
merito, che aveva escluso l'applicazione dell'amnistia, osservando che le opere eseguite erano sufficienti a
delimitare una porzione di volume di complessivi 860 mc ed a conseguire, compresa la veranda, una
trasformazione urbanistica dello spazio, asservendolo, abusivamente, a fini edilizi).
* Cass. pen., sez. V, 24 ottobre 1991, n. 10648 (ud. 14 settembre 1991), Antonuccio.
BARRIERE ARCHITETTONICHE
SOMMARIO: a) Applicabilit delle agevolazioni; b) Disciplina antisismica; c) Eliminazione; d) Installazione di
ascensore; e) Piani di intervento; f) Piattaforma mobile.
E' nulla la delibera adottata secondo la maggioranza prevista dall'art. 2 della L. n. 13/1989 - di installazione di un
ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino portatore di handicap, qualora ci comporti un sensibile
deprezzamento dell'unit immobiliare di altro condomino.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 27 dicembre 1994, n. 3074, Condominio di via Salvator Rosa n.253 in Napoli c.
Lovallo, in Arch. loc. e cond. 1995, 393.
Ai fini dell'applicabilit delle agevolazioni consentite alla eliminazione delle barriere architettoniche ex L. n.
13/1989, non necessaria la presenza nell'edificio interessato di handicappati che vi abitino, posto che la ratio
degli interventi della legge del 1971 era proprio quella di consentire la <<visitabilit>> degli edifici medesimi da
parte di tutti coloro che hanno occasione di accedervi e che i portatori di handicap possono avere relazioni con
l'immobile anche di natura diversa dalla propriet (ad esempio in forza di un rapporto di locazione).
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 aprile 1993, n. 4466, Sciutti c. Cond. di Via Goldoni di Milano, in Arch. loc. e
cond. 1994, 130.
Le agevolazioni consentite dalla L. n. 13/1989 in tema di eliminazione delle barriere architettoniche sono
applicabili anche senza la presenza nell'edificio interessato di handicappati che vi abitino, posto che la ratio degli
interventi della L. n. 118/1971 (richiamata espressamente dall'art. 2 della L. n. 13/1989) proprio quella di
consentire la visitabilit degli edifici medesimi da parte di tutti coloro che hanno occasione di accedervi e che i
portatori di handicap possono avere relazioni con l'immobile anche di natura diversa dalla propriet ( si pensi
agli inquilini, ai loro parenti, agli abituali frequentatori, eccetera). La presenza nello stabile di abitanti
handicappati vale invece a rendere operanti le provvidenze di ordine economico previste dalla legislazione
regionale.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 22 marzo 1993, Societ Lory e altro c. Condominio di Via Sapeto 7 di Milano, in
Arch. loc. e cond. 1993, 314.
L'art. 2 della L. n. 13/1989 applicabile anche riguardo alle necessit di un invalido civile e non solo di un
portatore di handicap.
* Trib. civ. Firenze, 19 maggio 1992, n. 849, in Arch. loc. e cond. 1992, 814.
L'art. 2 della L. n. 13/1989 applicabile anche riguardo ai soggetti ultrasessantacinquenni che abbiano difficolt
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro et.
* Trib. civ. Napoli, 14 marzo 1994, n. 2606, in Arch. loc. e cond. 1994, 335.
La normativa concernente l'abbattimento delle barriere architettoniche applicabile non solo relativamente a
quei soggetti che presentino difficolt di deambulazione, ma anche a coloro - quali le persone anziane - che pur
non essendo affetti da menomazioni motorie, si trovino comunque in minorate condizioni fisiche.
* Pret. civ. Roma, 15 maggio 1996, Lucisano ed altri, in Arch. loc. e cond. 1996, 564.
b) Disciplina antisismica
In base all'art. 6 della L. 9 gennaio 1989, n. 13, per l'esecuzione delle opere dirette a favorire il superamento e
l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati vanno rispettate le disposizioni della legge n. 64
del 1974 con esclusione dell'obbligo dell'autorizzazione. Ne deriva che l'ottemperanza della disciplina
antisismica in parte qua espressamente statuita. Il richiamo concerne l'intera normativa e quindi anche la
previsione sanzionatoria, che applicabile con riferimento alle residue ipotesi tipiche. L'ordine di demolizione
conseguenziale non ad ogni condanna per contravvenzione antisismica, ma soltanto alle violazioni di specifiche
disposizioni tecniche, dalle quali possa derivare un concreto pericolo per la incolumit pubblica. Rientrano nel
novero delle incombenze formali, applicabili anche alle costruzioni de quibus, le disposizioni che prevedono la
necessit del preavviso di inizio dei lavori e del deposito del progetto. Per la loro inosservanza il giudice non
deve ordinare la demolizione.
* Cass. pen., sez. III, 18 dicembre 1993, n. 11605 (ud. 11 novembre 1993), Fiumara.
c) Eliminazione
Non pu essere autorizzata la collocazione di una rampa d'accesso al portone d'ingresso di uno stabile, richiesta
da un portatore di handicap, con riferimento alle disposizioni previste dalla L. n. 13/1989 (disposizioni per
favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), qualora tale
collocazione determini innovazioni di carattere murario all'ingresso ed interventi sul giardino comune tali da
modificare l'estetica dell'immobile e da sottrarre una porzione della cosa comune allo sfruttamento da parte di
tutti i condomini, per attrarla nella sfera di esclusiva disponibilit del singolo.
* Pret. civ. Milano, ord. 18 aprile 1989, Fumagalli c. Condominio di via Trentacoste 34, Milano,
in Arch. loc. e cond. 1990, 143; Arch. civ. 1990, 293.
I provvedimenti di urgenza previsti dall'art. 700 c.p.c. non possono essere applicati al fine di eliminare le barriere
architettoniche in un edificio privato, se il condomino disabile che li richiede non risiede nel comune in cui si
trova l'immobile.
* Trib. civ. Savona, ord. 26 maggio 1994, Cardinali c. Condominio Eucaliptus di Alassio, in Arch. loc. e cond.
1995, 668.
Va accolta la richiesta di provvedimenti di urgenza diretti a consentire al portatore di handicap, stante il rifiuto o il
ritardo nell'assunzione della prevista delibera condominiale, l'esecuzione a proprie spese delle opere necessarie
per l'eliminazione delle barriere architettoniche che ne impediscono l'accesso all'abitazione.
* Pret. civ. Roma, ord. 21 luglio 1989, in Foro it. 1991, I, 1614.
Al portatore di handicap non compete alcuna azione di condanna ad un facere, nei confronti del condominio ove
situata la sua abitazione, avente ad oggetto l'attuazione delle opere dirette ad eliminare le barriere
architettoniche dello stabile, bens un'azione di accertamento del proprio diritto ad eseguire a proprie spese le
opere necessarie all'abbattimento delle barriere architettoniche (costituite, nel caso di specie, dalle scale, che si
proponeva di superare attraverso l'installazione di un ascensore).
* Pret. civ. Roma,15 maggio 1996, Lucisano ed altri, in Arch. loc. e cond. 1996, 564.
d) Installazione di ascensore
Una modesta compressione del diritto di cui all'art. 1102 c.c. deve ritenersi tollerabile quando sia giustificato
dall'interesse altrui ad un pi proficuo uso della cosa comune e non rechi in concreto alcun serio pregiudizio o
grave sacrificio. (Fattispecie in tema di installazione di un ascensore comportante un limitato restringimento dello
spazio di passaggio comune).
* Trib. civ. Milano, 9 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992,138.
L'installazione dell'ascensore non pu comportare un pregiudizio intollerabile o un danno apprezzabile ad un
singolo condomino, nel qual caso l'innovazione non pu essere considerata legittima, e ci vale anche se
l'ascensore viene installato a norma dell'art. 3 della L. 9 gennaio 1989,n. 13.
* Trib. civ. Napoli, 16 novembre 1991,n. 13008, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
La delibera adottata dall'assemblea condominiale relativamente all'installazione di un ascensore nulla quando,
sebbene assunta nel rispetto delle maggioranze previste dall'art. 2 L. n. 13/1989 (recante norme per favorire il
superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati),sia lesiva dei diritti di altro
condomino sulla porzione di sua propriet esclusiva.
* Corte app. civ. Genova, 27 dicembre 1997, n. 947, Pollacchioli c. Iozzelli ed altri, in Arch. loc. e cond. 1998,
719.
L'impianto dell'ascensore costituisce uno degli interventi volti ad eliminare una barriera architettonica rendendo
possibile ai soggetti in minorate condizioni fisiche che abitano l'immobile o che possono frequentarlo la vita di
relazione interpersonale.
* Trib. civ. Firenze,19 maggio 1992,n. 849, in Arch. loc. e cond. 1992, 814.
Nel caso in cui un condomino affetto da grave infermit fisica richieda di installare a proprie spese un ascensore
nell'edificio condominiale, la suddetta patologia ha rilievo solo nella fase cautelare, al fine di valutare il periculum
in mora; nella successiva fase cognitiva le condizioni fisiche del condomino non hanno rilievo alcuno, dovendosi
giudicare solo della sussistenza o meno del diritto del richiedente all'installazione, a proprie spese, di un
ascensore. (Fattispecie in materia di edificio con due soli condomini).
* Trib. civ. Napoli,sez. X, 19 giugno 1996,n. 6328, Coppola c. Picariello, in Arch. loc. e cond. 1996, 941.
E' ammissibile l'installazione di un ascensore nella gabbia scale di un edificio condominiale operata a proprie
spese da un condomino portatore di handicap, dovendosi contemperare l'eventuale modesto sacrificio subito
dagli altri condomini con il prioritario interesse dell'handicappato ad una vita sociale agevolata.
Trib. civ. Foggia, 29 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
Le norme della L. n. 13/89 che prevedono una deroga alle maggioranze stabilite dal codice civile per le
innovazioni consistenti nella realizzazione di un ascensore in un edificio condominiale al fine dell'eliminazione
delle barriere architettoniche sono applicabili indipendentemente dalla presenza o meno di portatori di handicap
nell'immobile.
* Trib. civ. Milano, 19 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
In caso di installazione di un ascensore in un edificio condominiale applicabile la disposizione di cui all'art. 2
della L. n. 13/1989 sulla eliminazione delle barriere architettoniche anche in caso di mancata esistenza di
handicappati all'interno del condominio, in quanto tale normativa persegue la finalit di consentire la libera
frequentabilit di tutte specie di edifici anche da parte di handicappati che possano recarvisi e non solo di
agevolare quelli che vi abitano.
* Trib. civ. Milano, 14 novembre 1991,n. 9287,in Arch. loc. e cond. 1992, 814.
Posto che l'uso della cosa comune a spese del singolo condomino, anche quando comporti innovazione, non
necessita di previa delibera assembleare di approvazione, a patto che non sia alterata la destinazione della cosa
e non ne sia impedito l'uso agli altri condomini, va accolta la richiesta di provvedimento d'urgenza avanzata da
chi, affetto da incapacit de ambulatoria, lamenti il rifiuto opposto all'installazione di un ascensore nella tromba
delle scale condominiali.
* Pret. civ. Milano,19 maggio 1987, in Foro it. 1987.
Dovendosi coordinare la disciplina legale sulle innovazioni con la normativa contenuta nell'art. 2 della L. 9
gennaio 1989, n. 13, in relazione alla installazione di un ascensore, ragioni di pubblico interesse e di solidariet
sociale (invocabili in ogni caso in cui destinatari dell'impianto siano i portatori di handicap, sia pure nell'ambito di
una struttura associativa) rendono lecite anche le opere di escavazione che incidono sul compossesso dei
condomini.
* Pret. civ. Pordenone, 14 giugno 1994, n. 212, Condominio Isonzo in Pordenone c. Merlo, in Arch. loc. e cond.
1996, 102.
e) Piani di intervento
Gli interessi della categoria dei portatori di handicap nel suo complesso all'eliminazione delle barriere
architettoniche possono essere soddisfatti solo tramite l'adozione di piani organici degli interventi da effettuare e
non per mezzo di interventi contingenti e disorganici.
* Pret. pen. Firenze, 23 ottobre 1989, n. 2239, Frangioni, in Riv. pen. 1990, 268.
E' legittima (oltre che conforme alle regole di buona amministrazione) la deliberazione con cui un comune affida
all'istituto autonomo case popolari anche la sola progettazione (ed eventualmente pure l'esecuzione) di un piano
per l'eliminazione delle barriere architettoniche.
* Tar Lombardia, 8 settembre 1990, n. 977, in Foro it. 1992, III, 85.
f) Piattaforma mobile
L'installazione ex L. n. 13/1989 di una piattaforma mobile idonea al sollevamento dal livello giardino al livello del
piano della hall, pur comportando l'avanzamento di 40 cm. verso l'esterno di una struttura metallica con la
creazione di un nuovo scalino esterno al portone, non determina alcuna innovazione n con riferimento alla
funzione propria dell'atrio e del portone d'ingresso, n nei confronti del decoro architettonico dell'edificio, la cui
tutela deve essere contemperata anche con le altre esigenze nella specie particolarmente rilevanti in quanto
connesse ai principi di eguaglianza e di solidariet anche costituzionalmente protetti.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 maggio 1992, Romanelli ed altri c. Condominio di via Ripamonti n. 255/257 di
Milano, in Arch. loc e cond. 1994, 139.
CANNE FUMARIE
SOMMARIO: a) Concessione edilizia; b) Installazione; c) Propriet; d) Spese; e) Sostituzione; f) Uso.
a) Concessione edilizia
I lavori di innalzamento e copertura di una canna fumaria, in quanto completano "funzionalmente" unopera
preesistente, richiedono la concessione edilizia.
* Cass. pen., sez. III, 25 ottobre 1988, n. 10396 (ud. 9 febbraio 1988), Amatori.
Lautorizzazione edilizia per la realizzazione di una canna fumaria in un muro perimetrale di un edificio pu
essere rilasciata al singolo condomino proprietario dellunit immobiliare che la canna fumaria destinata a
servire.
* Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 1997, n. 699, Comune di Milano c. Ardizzon, in Arch. loc. e cond. 1997, 1058.
b) Installazione
Il condomino che inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione,
con opere murarie, al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazione
particolare della cosa che non ne compromette necessariamente la destinazione e che deve essere, pertanto,
considerato del tutto legittimo se, trattandosi della occupazione di una zona periferica di una parte del tutto
trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, possa, in concreto, escludersi, che la predetta
utilizzazione, menomi la funzione di copertura e calpestio del lastrico o le possibilit di uso degli altri
comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2774, Cenci E. c. Cenci G.
Negli edifici in condominio, qualora distinte canne adibite a sfiatatoi, destinate a servire singolarmente diversi
locali o appartamenti, siano incorporate nel muro comune e preesistano al condominio, il servizio pu essere
qualificato comune quanto meno nel suo complesso.
* Cass. civ., 16 luglio 1964, n. 1931.
illegittima linstallazione di unautonoma canna fumaria nel tratto di facciata compreso tra i balconi e le finestre
di cinque piani di un edificio condominiale in quanto, pur non alterando la naturale destinazione del muro
comune n la stabilit delledificio, viola le
norme sulle distanze legali, riduce la visuale laterale che si gode dalle finestre ed altera in modo sensibile il
decoro architettonico della facciata.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII. 26 marzo 1992, Soc. Milmar c. Alescio; Condominio Chiocciola e Agnello e altri,
motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1992, 354.
Linstallazione da parte di un condomino di una canna fumaria in aderenza, appoggio o con incastro nel muro
perimetrale di un edificio, attivit lecita rientrante nelluso della cosa comune, previsto dallart. 1102 c.c. e,
come tale, non richiede n interpello n consenso degli altri condomini.
* Trib. civ. Napoli, sez. IV, 17 marzo 1990, n. 3422, in Arch. loc. e cond. 1991, 145.
illegittima linstallazione in appoggio alla facciata di un edificio condominiale di un condotto in lamiera ad uso
camino per lestrazione di fumi ed odori da un vano retrostante un negozio, qualora turbi lesercizio del possesso
di una terrazza a livello esclusivamente posseduta da un singolo condomino limitandone il prospetto e la veduta.
* Pret. civ. Pordenone, 7 dicembre 1990, n. 508.
Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra propriet autonome
e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio
condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con lapplicazione delle norme particolari relative alluso
delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cio nel caso in cui lapplicazione di queste ultime non sia in contrasto con le
prime e delle une e delle altre sia possibile una complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme
relative alluso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilit di quelle relative alle distanze legali
che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di
subordinazione rispetto alle prime. (Nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro
condominiale, ed in prossimit della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica
condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 23gennaio 1995, n. 724, Albini c. Cond. "Il Pino" di Como, in Arch. loc. e cond. 1995, 320.
Il singolo condomino non ha diritto alla tutela possessoria nei confronti del condominio con riferimento ai
comportamenti di fatto posti in essere in attuazione di decisioni prese da alcuno dei suoi organi. (Nella
fattispecie, un condomino aveva proposto lazione di manutenzione contro lattuazione della delibera
assembleare riguardante linstallazione delle canne fumarie).
* Trib. civ. Parma, ord. 3 gennaio 1997, Bottini c. Condominio "I Tigli" in Salsomaggiore, in Arch. loc. e cond.
1997,97.
c) Propriet
La canna fumaria soggetta alla presunzione di comunione di cui allart. 1117 c.c. e deve, quindi, ove il
contrario non risulti dal titolo, ritenersi comune e la circostanza che la canna inizi da un determinato
appartamento irrilevante e non pu giustificare la pretesa del proprietario dellappartamento stesso di un
acquisto per accessione.
* Cass. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.
La canna fumaria destinata a servire un determinato appartamento da ritenersi di propriet esclusiva del
titolare dellappartamento medesimo anche se non sia formata da tubi in cotto o cemento o altro materiale
idoneo, ma risulti, invece, ricavata nel vuoto di un muro perimetrale per tutta laltezza delledificio.
* Cass. civ., 17 maggio 1967, n. 1033.
Il condomino, titolare della servit di tenere canne fumarie e di ventilazione sulla propriet comune, non ha
anche il diritto di passaggio attraverso le parti di propriet esclusiva altrui per procedere alla installazione ed alla
manutenzione delle canne.
* Cass. civ., 2 agosto 1977, n. 3385.
Con riguardo ad edificio in condominio, una canna fumaria, anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, non
necessariamente di propriet comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini, se sia destinata a
servire esclusivamente lappartamento cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla
presunzione legale di comunione.
* Cass. civ., sez. II, 29agosto 1991, n. 9231, Battista ed altro c. Signorelli ed altro.
d) Spese
Lobbligazione di ricostruire una canna fumaria, la cui originaria consistenza sia stata mutata nel tratto che
attraversa un singolo appartamento, a carico del proprietario di questo come obbligazione reale e non gi a
carico comune dei condomini.
* Corte app. civ. Napoli, 14 gennaio 1950.
Le spese per la riparazione di una canna fumaria che serve un appartamento non possono essere messe a
carico della collettivit.
* Trib. civ. Milano, 18 gennaio 1990, in LAmministratore 1990, n. 3.
e) Sostituzione
consentito sostituire una vecchia canna fumaria in metallo, comune a due edifici in condominio, distinti e
contigui, alla quale erano collegate le caldaie delle lavanderie dei due stabili, con una nuova canna in eternit
collegata allimpianto di riscaldamento di uno soltanto dei suddetti fabbricati, alla condizione, per, che sia
possibile allaltro condominio di servirsi della nuova canna collegandovi il proprio impianto.
*Cass. civ., 21 maggio 1976, n. 1836.
f) Uso
La riduzione della sezione di una canna fumaria ad opera di uno dei condomini (nella specie mediante
immissione di un tubo in eternit) non consentita qualora di fatto alteri la destinazione della cosa comune ed
impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto.
* Cass. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.
Nel caso in cui cessi luso di un impianto di riscaldamento condominiale non viene meno per questa sola ragione
il compossesso dei singoli comproprietari sulla relativa canna fumaria, sia perch riconducibile ai poteri del
titolare di un diritto reale la facolt di mettere o non mettere in attivit un impianto, sia perch la canna fumaria
va considerata come un manufatto autonomo, suscettibile di svariate utilizzazioni.
* Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 1995, n. 1719, Massafra c. Longhini.
CONDOMINIO MINIMO
In base all'art. 1139 c.c., la disciplina del capo II del titolo VII del terzo libro del codice civile (artt. 1117-1138)
applicabile - e solo per quanto in tali norme non espressamente previste possono osservarsi le disposizioni sulla
comunione in generale (artt. 1100-1116 c.c.) - ad ogni tipo di condominio e, quindi, anche, in quanto per essi n
esplicitamente n implicitamente derogato, ai cosiddetti condomini minimi, e cio a quelle collettivit
condominiali composte da due soli partecipanti, in relazione alle quali sono da ritenersi inapplicabili le sole
norme procedimentali sul funzionamento dell'assemblea condominiale, che resta regolato, dunque, dagli artt.
1104, 1105, 1106.
* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1993, n. 5914, Solaro srl c. Testa.
Nella ipotesi di condominio composto di due soli partecipanti (c.d. piccolo condominio), le spese necessarie alla
conservazione o riparazione della cosa comune (nella specie, rifacimento del tetto e dei solai) devono essere
oggetto di regolare delibera, adottata previa rituale convocazione dell'assemblea dei condomini, della quale non
costituisce valido equipollente il mero avvertimento o la mera comunicazione all'altro condomino della necessit
di procedere a determinati lavori, bench urgenti ed indifferibili.
* Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1998, n. 5298, Antonetti c. Fabiani.
Anche nei cosiddetti piccoli condomini (nella specie, con due soli comproprietari), pur non essendo prescritte
particolari formalit per la convocazione dell'assemblea, sempre necessario che una delibera sia adottata e
che l'altro compartecipe sia stato posto in grado di conoscere l'argomento con una preventiva convocazione.
* Cass. civ., sez. II, 15 novembre 1996, n. 10009, R. Santoro c. T. Santoro, Arch. loc. e cond. 1997, 1025.
Nell'ipotesi di condominio composto di due soli partecipanti (cosiddetto piccolo condominio) le spese necessarie
alla conservazione o alla riparazione della cosa comune devono essere oggetto di regolare delibera, adottata
previa rituale convocazione dell'assemblea dei condomini, della quale non costituisce valido equipollente il mero
avvertimento o la mera comunicazione all'altro condominio della necessit di provvedere a determinati lavori. Il
principio anzidetto pu esser derogato solo se vi sono ragioni di particolare urgenza ovvero trascuratezza da
parte degli altri comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2000, n. 8876, Caffaratti U. c. Caffaratti G., Arch. loc. e cond. 2000, 715.
Se il condominio di edificio costituito da due soli partecipanti e difetta quindi, per mancanza del presupposto di
una pluralit di condomini, la possibilit di applicare la disciplina dettata dall'art. 1136 c.c. sulla costituzione delle
assemblee e la validit delle sue delibere, operano le norme sulla comunione in generale e, fra queste, l'art.
1105 c.c., il quale consente il ricorso all'autorit giudiziaria per superare un contrasto fra i due partecipanti che
pregiudichi la necessaria amministrazione della cosa comune: ove per uno dei due partecipanti intenda
procedere, contro la volont dell'altro, ad innovazioni (nella specie l'installazione di un ascensore) o, in genere,
ad atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, applicabile non l'art. 1105 c.c., riguardante i soli atti di ordinaria
amministrazione, ma l'art. 1108 c.c. e pertanto, di fronte alla materiale impossibilit di formare fra due soli
condomini la maggioranza prevista da quest'ultima norma, deve concludersi con l'escludere che l'interesse di
uno dei due partecipanti all'innovazione od all'atto di straordinaria amministrazione trovi nell'ordinamento tutela
giuridica per superare l'opposizione dell'altro partecipante.
* Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1975, n. 1604.
Con riguardo al rimborso delle spese fatte da un condomino per le cose comuni, nel caso di c.d. condominio
minimo non trova applicazione l'art. 1134 c.c., bens il regime, dettato in tema di comunione, di cui all'art. 1110
c.c., da interpretarsi estensivamente nel senso che il potere di gestione del condominio deve ritenersi sussistere
non solo con riferimento alle spese necessarie per la conservazione della cosa comune, secondo la previsione
testuale dell'articolo da ultimo citato, ma altres con riferimento alle spese realmente indispensabili per il
godimento della cosa stessa. (Nella specie quelle relative all'acqua potabile, all'acqua irrigua per il giardino e
all'alimentazione e manutenzione dell'impianto di riscaldamento).
* Trib. civ. Verona, 17 settembre 1999, n. 1530, Solito c. Rama G. ed altro, Arch. loc. e cond. 2000, 281.
La riduzione a due sole unit del numero dei partecipanti al condominio di edificio non comporta il venir meno
del condominio medesimo, ma determina soltanto l'inapplicabilit della disciplina dettata dall'art. 1136 c.c., in
tema di costituzione della assemblea e di validit delle relative delibere, la quale postula un numero di
partecipanti superiore a due. In tale ipotesi, in forza della norma di rinvio contenuta nell'art. 1139 c.c., le
deliberazioni del condominio, ivi comprese quelle attinenti alla nomina dell'amministratore, sono soggette alla
regolamentazione prevista per l'amministrazione della comunione in generale dagli artt. 1105 e 1106 c.c. e la
legittimazione a riscuotere dai condomini i contributi per la manutenzione delle parti comuni e per l'esercizio dei
servizi condominiali spetta all'amministratore nominato con la maggioranza indicata nel combinato disposto dai
citati artt. 1105 e 1106.
* Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1978, n. 535.
Giusta il disposto dell'art. 1139 c.c., la nomina di un amministratore giudiziale ai sensi dell'art. 1105, quarto
comma, c.c. applicabile ai c.d. condomini minimi, e cio alle collettivit condominiali composte da due soli
partecipanti.
* Trib. civ. Ariano Irpino, decr. 14 ottobre 1997, Gambacorta c. Cardinale, Arch. loc. e cond. 1998, 574.
Nel caso di condominio formato da due soli condomini ogni comunista pu apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune mentre gli interdetto effettuare innovazioni
o atti di straordinaria amministrazione che pregiudichino il godimento della cosa comune da parte degli altri
comunisti.
* Trib. civ. Milano, 23 maggio 1991.
Anche nell'ipotesi di cosiddetto piccolo condominio, composto di due soli partecipanti, per la convocazione
dell'assemblea dei condomini, come della comunione in generale, non sono prescritte particolari formalit, ma
pur sempre necessario che tutti i compartecipi siano stati posti in grado di conoscere l'argomento della
deliberazione, per cui la preventiva convocazione costituisce requisito essenziale per la sua validit. Detta
rituale convocazione non pu essere sostituita dall'avvertimento o mera comunicazione della necessit di
procedere a determinati lavori richiesti dall'autorit amministrativa.
* Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1991, n. 7126, Nutini c. Stellini, Arch. loc. e cond. 1992, 322.
Nel c.d. piccolo condominio - al quale si applicano, per l'amministrazione, le norme degli artt. 1104, 1105 e 1106
c.c., piuttosto che quelle dell'art. 1136 c.c. - pur non essendo prescritte formalit particolari per la convocazione
dell'assemblea, sempre necessario che a) una delibera sia adottata a seguito di regolare convocazione
dell'assemblea e che b) la delibera riceva il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti, calcolata
secondo il valore delle quote ex art. 1105 c.c.
* Trib. civ. Brescia, sez. II, 11 gennaio 2001, n. 199, Breda A. c. Breda G., Arch. loc. e cond. 2001, 575.
CORTILI CONDOMINIALI
SOMMARIO: a) Attraversamento di condutture; b) Chiostrine; c) Differenze tra cortili e intercapedini; d) Di
propriet individuale; e) Evasione; f) Funzione; g) Modificazione della destinazione; h) Nozione; i) Opere vietate;
l) Pavimentazione; m) Presunzione di compropriet; n) Tra edifici limitrofi e autonomi; o) Uso; p) Utilizzazione del
sottosuolo; q) Vanelle o cavedi.
a) Attraversamento di condutture
Ciascun partecipante alla comunione immobiliare non pu, senza il consenso degli altri condomini, servirsi della
cosa comune a vantaggio di altro immobile di sua esclusiva propriet, distinto dai fondi a servizio dei quali la
cosa medesima sia stata originariamente destinata, in quanto tale uso verrebbe a risolversi nell'imposizione di
una servit. Pertanto, con riguardo ad un cortile comune fra i proprietari dei fabbricati circostanti ed adibito al
miglior godimento dei medesimi, deve ritenersi precluso al proprietario del singolo fabbricato, in difetto di
consenso degli altri condomini, di attraversare detto cortile con condutture di gas od acqua, che siano destinate
ad approvvigionare non quel fabbricato, ma un altro distinto immobile di sua propriet, rimanendo irrilevante che
tale ultimo fine sia realizzato, non con condutture autonome, rispetto a quelle adducenti al fabbricato compreso
nell'area condominiale, ma con successive derivazioni da tali condutture.
* Cass. civ., sez. II, 8 aprile 1977, n. 1355.
b) Chiostrine
In un edificio in condominio le chiostrine, vale a dire i cortili interni destinati a dare aria e luce a determinati piani
o porzioni di piano, attribuite per titolo in propriet esclusiva ai proprietari dei piani superiori, raffigurano beni
giuridici diversi rispetto ai muri maestri (interni) dell'edificio, che le delimitano. Questi muri, in quanto parti
essenziali per l'esistenza del fabbricato, essendo destinati a sorreggere l'edificio, appartengono in propriet
comune a tutti i partecipanti al condominio, con la conseguenza che alle spese per la conservazione dei muri
maestri (che delimitano le chiostrine) devono concorrere tutti i partecipanti, compresi i proprietari dei negozi siti a
piano terra, ancorch essi non siano proprietari delle chiostrine.
* Cass. civ., sez. II, 19 novembre 1993, n. 11435.
c) Differenze tra cortili e intercapedini
Costituisce cortile lo spazio scoperto circondato dai corpi di fabbrica di uno stesso edificio o da pi fabbricati
contermini, che sia destinato, nell'ambito di un rapporto condominiale o implicante, comunque, una disciplina, a
carattere interno, di interessi comuni od omogenei, a fornire, in via primaria, aria e luce agli edifici che vi si
affacciano ed a servire, in via complementare, da disimpegno per le esigenze degli immobili che lo circondano,
consentendo il traffico delle persone e, in via eventuale, dei veicoli. Costituiscono, invece, intercapedini, le zone
di rispetto fra diversi edifici prescritte al fine di regolare, con una disciplina a carattere esterno, il
contemperamento degli interessi contrapposti di proprietari vicini, nell'ambito del rapporto di vicinato e non di
comunione. Le dette intercapedini, dirette a soddisfare esigenze di igiene e di sicurezza pubblica o privata,
svolgono, diversamente dai cortili, la funzione di assicurare aria e luce, solo in via subordinata e nei limiti
inderogabili del rispetto delle distanze fra costruzioni.
* Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1977, n. 3380.
d) Di propriet individuale
Allorch si verifica la separazione tra la propriet di un cortile (o di altro bene rientrante in astratto nel novero di
quelli cui si riferisce la presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. civ.) e la propriet delle unit
immobiliari di un edificio, i rapporti tra tali distinte propriet vanno disciplinati non gi secondo l'art. 1102 cod. civ.
sebbene secondo la normativa dei rapporti di vicinato, cio dei rapporti che corrono tra propriet contigue
separate, per cui, tra tali propriet, vanno rispettate le distanze legali, tranne che sussista un titolo che deroghi al
rispetto di tali distanze, con la conseguenza che, mentre il proprietario esclusivo del cortile obbligato a
rispettare le aperture esistenti all'atto della separazione, i proprietari delle singole unit immobiliari non possono
creare nuove vedute sul cortile. (Nella specie trattavasi di un'area di propriet esclusiva, destinata, in
dipendenza della situazione dei luoghi, a cortile).
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4605, Apuzzo O. c. Apuzzo S.
Allorch un cortile gi appartenente ad un condominio diventi propriet individuale, da un lato il proprietario
obbligato a rispettare le aperture esistenti all'atto della separazione e dall'altro i proprietari dell'immobile a cui era
annesso il cortile non possono creare nuove vedute (n altre servit) e debbono da quel momento rispettare le
norme sulle distanze legali tra propriet confinanti.
* Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 1984, n. 101, Apuzzo c. Apuzzo.
e) Evasione
Ai fini della configurazione del reato di evasione l'ambito di fruibilit dello spazio della persona ristretta agli
arresti domiciliari limitato al luogo in cui questa conduce vita domestica, per definizione strettamente riferibile
allo spazio destinato alle relazioni di vita comunitaria di quanti in esso coabitano, con esclusione quindi del
cortile condominiale.
* Cass. pen., sez. VI, 22 luglio 1995, n. 8248 (ud. 23 marzo 1995), Buffa.
E' configurabile il reato di evasione nel fatto del soggetto agli arresti domiciliari che venga sorpreso dai
carabinieri nel cortile condominiale, a pochi metri dalla sua abitazione.
* Cass. pen., sez. VI, 20 luglio 1995, n. 8150 (ud. 26 aprile 1995), Idotta.
La funzione in relazione alla quale il legislatore ha disposto che, in mancanza di titoli contrari, i cortili debbono
presumersi comuni, quella di dare accesso, aria e luce a edifici che, senza il cortile, resterebbero totalmente o
parzialmente privi di codesti essenziali benefici. Tale funzione, pertanto, non configurabile, e la presunzione
non si applica, in rapporto a edifici che siano separati dal cortile stesso da giardini, terreni o altri spazi liberi gi
di per s idonei a garantire il soddisfacimento delle predette esigenze.
* Cass. civ., 24 maggio 1972, n. 1619.
g) Modificazione della destinazione
L'accertamento, operato in concreto, circa il contenuto, la qualit e l'ampiezza della destinazione impressa dai
condomini al cortile, nonch la coerenza, con essa, delle modificazioni impressevi dal condomino per una
migliore utilizzazione e la non esorbitanza dai limiti imposti all'esercizio di un tale potere, si risolve in un
apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimit, ove immune da vizi logico-giuridici.
* Cass. civ., sez. II, 9 settembre 1970, n. 1378.
In tema di condominio di edifici, ciascuno condomino pu servirsi delle parti comuni a condizione che non ne
alteri la naturale destinazione, che non pregiudichi la stabilit, la sicurezza e il decoro architettonico del
fabbricato e che non arrechi danno alle singole propriet esclusive e non impedisca, infine, agli altri partecipanti,
di farne parimenti uso secondo il loro diritto; con la conseguenza che devono ritenersi vietate le innovazioni alla
cosa comune che ne mutino la sostanza e la forma, incidendo sull'entit materiale della cosa, alterandone in
tutto o in parte la consistenza, la conformazione o la destinazione impressavi dalla volont dei compartecipanti
ed espressa dal titolo (regolamento di condominio, deliberazioni assembleari o gradatamente dall'uso o dalla
natura stessa della cosa) o che arrechino limitazioni o danno all'uso degli altri condomini in guisa da turbare
l'equilibrio tra i concorrenti interessi dei medesimi. (In applicazione del principio di cui in massima, stata
ritenuta vietata la costruzione nel cortile comune di uno scivolo per accedere ad un'unit immobiliare sita ad un
livello pi alto, attraverso una finestra trasformata in accesso carrabile, in quanto determinante modificazione
della struttura e della destinazione del cortile, adibito al servizio di passo carrabile e di area di parcheggio del
traffico veicolare a servizio dell'unit immobiliare utilizzata non pi ad uso abitativo, bens commerciale).
* Cass. civ., sez. II, 10 marzo 1983, n. 1789, Gaudioso c. Toscano.
Il notaio, in occasione della stipula del contratto "definitivo", ha l'obbligo, ai sensi dell'artt. 1176 e 1375 c.c., di
informare gli acquirenti - ove questi ultimi non ne siano gi a conoscenza aliunde - della eventuale circostanza
per cui, trattandosi di compravendita di appartamento condominiale, lo stato giuridico di una cosa comune (nella
specie il cortile dell'edificio di cui faccia parte l'appartamento oggetto della compravendita), sia mutato e la cosa in difformit rispetto a quanto originariamente previsto nel contratto "preliminare", ed in deroga rispetto all'art.
1117 c.c. - sia divenuta, in forza di un altro suo rogito, di propriet esclusiva di un singolo soggetto (nella specie,
la societ venditrice). Sotto un tal profilo, i riflessi di responsabilit conseguenti all'inadempimento di un tale
obbligo non vengono superati dalla semplice circostanza per cui, in sede di contratto "definitivo", gli acquirenti
dichiarino di accettare le tabelle millesimali allegate al predetto altro rogito in questione.
* Cass. civ., sez. II, 19 maggio 2000, n. 6514, Chirici c. Franchi.
h) Nozione
Il cortile, tecnicamente, l'area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di pi edifici, che serve a
dare luce e aria agli ambienti circostanti. Ma avuto riguardo all'ampia portata della parola e, soprattutto alla
funzione di dare aria e luce agli ambienti, che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi
anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell'edificio - quali gli spazi verdi, le zone di rispetto,
le intercapedini, i parcheggi - che, sebbene non menzionati espressamente nell'art. 1117 c.c., vanno ritenute
comuni a norma della suddetta disposizione.
* Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7889, Lombardi c. Lonigro ed altra.
Da un punto di vista generale, "cortile" anche lo spazio a disimpiego di uno o pi fabbricati, siano essi di
propriet di uno solo o di pi soggetti, ovvero anche comune a pi immobili che su di esso prospettano.
* Cass. civ., 2 luglio 1969, n. 2431.
L'accertamento in concreto che un determinato spazio adiacente all'edificio in condominio sia o meno pertinenza
dell'entit condominiale e appartenga strutturalmente al condominio, non pu essere fondato semplicemente ed
unicamente sull'interpretazione della fattispecie astratta dell'art. 1117 c.c. ma occorre effettuare, con riferimento
all'epoca di costituzione del condominio, una valutazione dello stato effettivo dei luoghi, dei rapporti, in relazione
alla volont delle parti che possono aver voluto escludere proprio la presunzione di comunione.
* Cass. civ., 11 febbraio 1969, n. 463.
La presunzione di comunione del cortile trae la sua ratio dalla obiettiva destinazione del bene a servizio e utilit
degli edifici circostanti, sicch nella nozione di cortile devono intendersi compresi anche gli spazi esterni che,
oltre a dare aria e luce agli stessi, soddisfano altres l'esigenza dell'accesso alla via pubblica.
* Cass. civ., 23 marzo 1970, n. 783.
i) Opere vietate
Anche nel caso in cui una parte dell'edificio condominiale necessaria all'uso comune si appartenga in propriet
esclusiva ad uno soltanto dei condomini, questi tenuto, nell'esercizio delle sue facolt di godimento, a
rispettare la destinazione obiettiva della suddetta parte all'utilit generale dell'intero condominio. Per cui, financo
al condomino che sia proprietario esclusivo dell'intero cortile sul quale prospettano gli appartamenti dello stabile,
vietato di eseguirvi costruzioni o manufatti che impediscano o limitino l'esercizio del diritto, spettante ex lege
agli altri condomini, di trarre dallo stesso cortile la luce e l'aria necessarie ai loro rispettivi appartamenti.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1977, n. 78. Conforme, Cass. II, 17 ottobre 1974, n. 2897.
La costruzione di manufatti nel cortile comune di un fabbricato condominiale consentita al singolo condomino
solo se non alteri la normale destinazione di quel bene, non anche, pertanto, quando si traduca in corpi di
fabbrica aggettanti, con incorporazione di una parte della colonna d'aria sovrastante ed utilizzazione della stessa
ai fini esclusivi (nella specie, trattavasi della costruzione di "bovindi").
* Cass. civ., 13 aprile 1991, n. 3942.
L'utilizzazione della cosa comune pu avvenire da parte di uno o pi compartecipi alla comunione anche in
modo particolare e diverso da quello degli altri, senza sconfinare in abuso, sempre che la destinazione della
cosa resti rispettata: a tal fine la legittimit d'un tale uso va verificata, dal giudice del merito, in base al confronto
tra uso diverso e destinazioni possibili della cosa quali stabilite, anche per implicito, dalla volont comune dei
condomini. (In base a tale principio, la corte di cassazione ha confermato la decisione del giudice del merito che
aveva considerato incompatibile con la destinazione a cortile dell'area comune la costruzione su di essa di
gabinetti da parte di alcuni condomini).
immobiliari prive di affaccio sul cortile, delle specifiche utilit di presa d'aria e luce o di accesso, non esaurendo
dette utilit le potenzialit di sfruttamento del cortile, attinenti, tra l'altro, al parcheggio di veicoli o al deposito
temporaneo di materiali durante i lavori di manutenzione delle singole unit.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2000, n. 14128, Acampora c. Apuzzo G. ed altri.
I cortili sono previsti espressamente dall'art. 1117 c.c. fra le parti dell'edificio che si presumono comuni, salvo
che il contrario risulti da titolo. Deve considerarsi cortile non soltanto lo spazio esistente nell'interno di un
fabbricato, circoscritto dalla superficie del suolo, ma anche tutta l'area soprastante, limitata ai lati dalle
costruzioni che la fronteggiano, e delle quali esso pu ritenersi un accessorio, destinato a dare aria e luce ai
vani delle costruzioni stesse; per tali sue speciali caratteristiche la legge presume che il cortile rientri nelle cose
del condominio, sicch ne consegue che i proprietari ne usino iure domini e non iure servitutis. La presunzione
di comunione, che dunque fondata su questa attitudine funzionale obiettiva del cortile al servizio e al
godimento collettivo, opera anche se il cortile si trova circondato (ed accessorio) da edifici diversi.
* Trib. civ. Milano, 7 gennaio 1991.
n) Tra edifici limitrofi e autonomi
Ove due edifici diversi siano in origine appartenuti ad un solo proprietario, che li trasferiva a persone diverse, il
cortile destinato a servizio comune resta in condominio tra gli acquirenti, mentre ove non risulti l'unica propriet
originaria, non sussiste alcuna ragione di incompatibilit tra la propriet del cortile da parte di uno solo dei
proprietari degli edifici e l'uso comune del cortile, ben potendo tale uso esercitarsi, dai non proprietari, a titolo di
servit.
* Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 1975, n. 3197.
Nel caso in cui un cortile sia racchiuso tra edifici appartenenti a proprietari diversi e, per la sua ubicazione,
appaia destinato all'uso e al godimento di alcuni soltanto degli edifici che lo delimitano, in mancanza di titoli
validi, la presunzione iuris tantum di condominio opera solo ed esclusivamente a favore di questi.
* Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1977, n. 1486.
Il cortile ubicato fra due fabbricati deve ritenersi di propriet comune, ai sensi dell'art. 1117 cod. civ., qualora ne
costituisca accessorio, in quanto stabilmente destinato all'uso ed all'accesso dei medesimi. Ne consegue che la
domanda, con la quale il proprietario di un fabbricato chieda, nei confronti del proprietario dell'altro,
l'accertamento della comunione di tale cortile, al fine di conseguire la rimozione di una costruzione realizzata dal
convenuto su parte del cortile stesso, non soggetta al rigoroso onere probatorio previsto in tema di
rivendicazione, ma trova sufficiente fondamento nella dimostrazione di detta relazione di accessoriet, evincibile
dall'obiettiva situazione dei luoghi, ed anche dagli elementi indiziari forniti dalle risultanze catastali.
* Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 1980, n. 286, Barbaro c. Tisiot.
La presunzione di comunione dei cortili prevista dall'art. 1117 cod. civ., e quindi il regime delle parti comuni
dell'edificio, applicabile per analogia anche al cortile compreso tra edifici limitrofi appartenenti a proprietari
diversi, trovando fondamento sull'obiettiva destinazione del cortile al servizio o utilit delle abitazioni dei
proprietari che vi si affacciano o lo circondano, e tale situazione pu verificarsi anche nell'ipotesi della
destinazione del cortile per l'uso ed i bisogni di pi edifici limitrofi.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1980, n. 2984, Soc. ACSA c. Cond. Ariston.
Con riguardo ad un cortile comune a pi fabbricati ma in possesso di un solo condomino, il giudizio contro di
questi promosso da altro condomino per sentirsi riconoscere condomino del cortile stesso per una quota pari
alla met, nel quale sia invocata dal convenuto, in via riconvenzionale, la verificatasi usucapione dell'intero
immobile in suo favore, deve essere svolto nei confronti di tutti i proprietari dei fabbricati circostanti sussistendo
una situazione di litisconsorzio necessario in ragione dell'unit ed inscindibilit del rapporto plurisoggettivo su cui
deve incidere la richiesta pronuncia giudiziale.
* Cass. civ., sez. II, 24 agosto 1991, n. 9092, Raimo c. Spiezia.
Il regime condominiale riguarda non solo le parti comuni di uno stesso edificio diviso per piano o porzioni di
piano tra proprietari diversi, ma anche parti comuni - quale il cortile - di edifici limitrofi ed autonomi, appartenenti
a differenti proprietari, semprech ali parti, anche se fisicamente distaccate, siano destinate al servizio comune
dei proprietari medesimi.
* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1904, Soc. Edifar c. Cond. via Fara.
La presunzione di propriet comune dei cortili, dettata dall'art. 1117 c.c. in materia di condominio, applicabile
anche nel caso in cui un cortile sia circondato da edifici appartenenti a proprietari diversi. A vincere la
presunzione di comunione - la quale trae origine dal silenzio del titolo - necessario che il titolo contrario - vale
a dire l'attribuzione di propriet esclusiva ad una o a pi determinate persone - risulti in modo non equivoco.
* Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1982, n. 318.
La presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. civ., riguarda gli edifici in condominio per piani orizzontali e
non applicabile al fine di dimostrare la comunione di un cortile esistente fra edifici appartenenti a proprietari
diversi, e destinato all'uso e godimento di uno solo degli edifici quanto all'accesso a questo ed al godimento
anche dell'altro edificio quanto all'aria e alla luce. Pertanto in tale ipotesi, chi invoca la comunione ha l'onere di
provarne i fatti costitutivi.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 647, Lunardini c. Collina.
La presunzione di propriet comune posta dall'art. 1117 c.c. si applica per analogia anche ai cortili che si trovino
fra edifici strutturalmente autonomi ed appartenenti a proprietari diversi e siano obiettivamente destinati a dare
aria e luce ai fabbricati che li fronteggiano. N tale presunzione pu essere vinta, nel silenzio del titolo di
acquisto della porzione immobiliare, dalla mera possibilit di accesso al bene comune in favore di uno solo dei
condomini o proprietari di accesso al bene comune in favore di uno solo dei condomini o proprietari dei singoli
edifici, in quanto l'utilit particolare che da siffatta circostanza deriva non incide sulla destinazione tipica e
normale del bene, che di dare aria e luce ai circostanti edifici.
rimozione di tutte le recinzioni e dei manufatti abusivi, dovendosi restituire all'uso e al godimento di tutti i
condomini l'intera area verde o corte comune che circonda il fabbricato.
* Corte app. civ. Perugia, 9 febbraio 1988, n. 17, Cardoni e altri c. Miceli, in Arch. loc. e cond. 1988, 585.
In mancanza di vincoli convenzionali l'assemblea condominiale, con deliberazione presa a maggioranza e non
all'unanimit dei partecipanti, ha soltanto il potere di predeterminare le forme di disciplina dell'uso del cortile, ma
non pu disporre la sottrazione all'uso e al godimento anche di uno solo dei condomini.
* Trib. civ. Milano, 29 aprile 1991.
La deliberazione con la quale l'assemblea di un condominio autorizza un condomino ad occupare per il proprio
uso esclusivo una parte del cortile condominiale d luogo in via contrattuale alla costituzione di una servit
soggetta al consenso unanime di tutti i condomini in forma scritta. In difetto di tali requisiti, l'avente causa del
condomino a cui favore l'occupazione era stata prevista non ha titolo per pretendere il rispetto della
deliberazione n per impugnare la successiva delibera con la quale l'assemblea abbia revocato la pregressa
autorizzazione.
* Trib. civ. Monza, 20 maggio 1993, Soc. Irte c. Cond. di via Raiberti n. 14 di Monza.
In tema di condominio, e con riferimento alle parti comuni dell'edificio, il termine "godimento"designa due
differenti realt, quella della utilizzazione obiettiva della res, e quella del suo godimento soggettivo in senso
proprio, con la prima intendendosi l'utilit prodotta (indipendentemente da qualsiasi attivit umana) in favore
delle unit immobiliari dall'unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti, dei servizi
(suolo, fondazioni, muri maestri, tetti, lastrici solari, cortili), la seconda concretantesi, invece, nell'uso delle parti
comuni quale effetto dell'attivit personale dei titolari dei piani o porzioni di piano (utilizzazione di anditi,
stenditoi, ascensori, impianti centralizzati di riscaldamento e condizionamento). Nondimeno, talune delle parti
comuni elencate nell'art. 1117 c.c. (solitamente destinate a fornire utilit oggettiva ai condomini) sono talora,
suscettibili anche di uso soggettivo, uso, pervero, particolare ed anomalo, diverso, cio, da quello connesso con
la funzione peculiare di tali parti ed indipendente dalla relativa funzione strumentale (i muri maestri utilizzati, ad
esempio, per l'applicazione di vetrine o insegne luminose), con la conseguenza che i cortili, funzionalmente
destinati a fornire aria e luce al fabbricato (destinazione "oggettiva") ben possono esser destinati (anche) ad un
uso soggettivo (sistemazione di serbatoi, deposito merci, parcheggio auto), di talch, pur costituendo
"normalmente"oggetto di trasferimento conseguenziale al trasferimento della propriet del piano o porzione di
piano, purtuttavia possono, ex titulo, formare, quanto al relativo godimento soggettvo, oggetto di diversa
pattuizione, quale, come nella specie, l'esclusione del trasferimento della relativa quota di compropriet dell'uso
(soggettivo) come parcheggio auto, specie qualora il cortile stesso non risulti sufficiente ad ospitare le
autovetture di tutti i condomini (s che la clausola di esclusione de qua appare destinata a perseguire interessi
non immeritevoli di tutela). Peraltro, nell'ipotesi di cessione a terzi di un uso siffatto della cosa comune, non al
singolo condomino che spetta la legittimazione alla cessione stessa, essendo, all'uopo, necessario il consenso
di tutti i partecipanti alla comunione, giusta disposto dell'art. 1108, comma 3 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 1 marzo 2000, n. 2255, Lichino ed altro c. Folchi Vici Merighi.
In tema di azione di reintegrazione, la dimostrazione dell'esercizio di fatto del possesso deve essere fornita
dall'attore, ai sensi dell'art. 2697 c.c.; in mancanza di tale prova la domanda va rigettata, poich l'invocata
inversione dell'onere della prova collegabile solo ad eccezionali previsioni di legge (nella specie gli attori,
proprietari e possessori d'un appartamento condominiale, lamentavano la sottrazione di parte del cortile comune
al loro godimento).
* Trib. civ. S. Maria Capua Vetere, 28 giugno 1990.
p) Utilizzazione del sottosuolo
Con riguardo all'utilizzazione del sottosuolo di un cortile interno in fabbricato condominiale, effettuata dal singolo
condomino per l'installazione di un impianto di riscaldamento destinato alla sua propriet esclusiva, la
configurabilit di uno spoglio o di una turbativa del compossesso di altro condomino (denunciabile con azione di
reintegrazione o manutenzione) postula il riscontro di una situazione di compossesso del cortile medesimo da
parte di questo altro condomino (corrispondente all'esercizio del diritto di propriet e non di un mero diritto di
servit di passaggio), desumibile anche dalla destinazione funzionale del bene al soddisfacimento di esigenze di
accesso, affaccio, luce ed aria dei singoli partecipanti, oltre che, "ad colorandam possessionem", dalla sua
inclusione, in difetto di titolo contrario, fra le parti comuni dell'edificio (art. 1117 cod. civ.), nonch l'accertamento
ulteriore che l'indicata utilizzazione ecceda i limiti segnati dalle concorrenti facolt del compossessore,
traducendosi in un impedimento totale o parziale ad un analogo uso da parte di quest'ultimo.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1985, n. 432, Costa c. Dellerba.
Nel regime giuridico del condominio di edifici, l'uso particolare che il condomino faccia del cortile comune,
interrando nel sottosuolo di esso un serbatoio per gasolio, destinato ad aliminare l'impianto termico del suo
appartamento condominiale, conforme alla destinazione normale del cortile, a condizione che si verifichi in
concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a quelle del sottosuolo, o per altre eventuali ragioni di
fatto, tale uso non alteri l'utilizzazione del cortile praticata dagli altri condomini, n escluda per gli stessi la
possibilit di fare del cortile stesso analogo uso particolare.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1997, n. 4394, Boretti c. Bellini.
Il comproprietario di un cortile pu legittimamente scavare il sottosuolo per installarvi tubi onde allacciare un
bene di sua propriet esclusiva agli impianti idrico-fognario centrali perch da un lato non perci ne viene
alterata la destinazione ad illuminare ed arieggiare le unit immobiliari degli altri condomini; dall'altro rientra nella
funzione sussidiaria del sottosuolo del cortile il passaggio in esso di tubi e condutture.
* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 85, Cond. Stabile Palagiano via Manzoni c. Di Sarno.
q) Vanelle o cavedi
Il cavedio - talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce - un cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai
muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali
secondari (quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi), e perci sottoposto al medesimo regime giuridico del
cortile, espressamente contemplato dall'art. 1117, n. 1 c.c. tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario.
* Cass. civ., sez. II, 7 aprile 2000, n. 4350, Maga Moda srl c. Cond. Via Settembrini 36, Milano.
Le vanelle o cavedi, che consistono in un cortile di dimensioni ridotte circondato da tutti i lati, con funzione di
assicurare aria e luce ai singoli appartamenti dell'edificio, sono soggette allo stesso regime del cortile. Tali spazi,
pur potendo essere di propriet esclusiva di taluni condomini, si presumono comuni e costituiscono una
pertinenza dell'edificio condominiale.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 13 novembre 1989.
La vanella un cortile di dimensioni ridotte, circondato da tutti i lati, avente essenzialmente la funzione di
assicurare aria e luce ai singoli appartamenti dell'edificio (pozzo di luce); essa presunta comune anche nel
caso in cui sia delimitata da pi edifici contigui, anzich essere situata entro un unico edificio.
* Trib. civ. Napoli, 25 giugno 1962.
Le cosiddette vanelle, pur potendo essere di esclusiva propriet di taluni condomini, non possono essere
considerati fondi distinti dall'edificio condominiale di cui sono pertinenze.
* Trib. civ. Napoli, 17 settembre 1962.
DANNI IN CONDOMINIO
SOMMARIO: a) Allagamento di locali; b) Assicurazione del fabbricato; c) Azione risarcitoria; d) Caduta di neve
dal tetto; e) Caduta di oggetti; f) Cattivo funzionamento di impianto comune; g) Cose in custodia; h) Denuncia di
nuova opera; i) Furto; l) Getto di acqua piovana da terrazza; m) Getto pericoloso di cose; n) Indennit; o)
Infiltrazioni d'acqua; p) Libretto casa; q) Precariet fondale dell'edificio; r) Responsabilit concorrente del
condominio; s) Responsabilit dell'amministratore; t) Responsabilit del locatore; u) Responsabilit solidale; v)
Scarsa illuminazione; z) Violenza privata.
a) Allagamento di locali
In caso di allagamento di locali seminterrati a causa esclusivamente del riflusso entro la fogna privata di acque
provenienti da quella comunale, riflusso dovuto unicamente alla mancata e doverosa predisposizione dei
dispositivi antirigurgito, si deve ritenere che responsabile dei danni sia il condominio, ove lo stesso non abbia
adottato le prescritte valvole antirigurgito, e non il Comune proprietario della fognatura.
* Corte app. civ. Roma, sez. I, 15 febbraio 1988, n. 477, Comune di Roma c. Parenza, Cond. Via dei Colli
Portuensi, Di Bernardino e Soc. L'Architettonica I e II, in Arch. loc. e cond. 1989, 498.
Nel caso in cui l'attore richieda il risarcimento del danno per l'allagamento dell'abitazione da parte di acque
piovane, a seguito del loro mancato deflusso nei canali e nell'impianto fognario, imputandolo non ad una
inosservanza delle comuni norme di diligenza, bens a scelte e operazioni di manutenzioni riguardanti i canali
collettori di acque piovane ed alluvionali, la controversia, a norma dell'art. 150, lettera e), R.D.L. 11 dicembre
1933, n. 1775, devoluta alla competenza del Tribunale regionale delle acque, comportando l'esame e la
definizione di questioni attinenti ad atti materiali od a provvedimenti dell'amministrazione nell'esercizio dei poteri
di governo delle acque pubbliche.
* Cass. civ., sez. I, 23 marzo 1994, n. 2784, Consorzio di bonifica di Pisa c. Berti Lorenzi F.
b) Assicurazione del fabbricato
Con riguardo a contratto di assicurazione della responsabilit civile del proprietario di un fabbricato, la clausola
di polizza, la quale delimiti l'obbligazione dell'assicuratore in relazione al valore dell'immobile, implicando una
riduzione proporzionale dell'obbligazione medesima in caso di inferiorit di tale valore rispetto a quello effettivo
alla data dell'evento, configura legittima espressione dell'autonomia negoziale e non abbisogna di specifica
approvazione scritta, vertendosi in tema di patto inerente all'individuazione e quantificazione del rischio
assicurato.
* Cass. civ., sez. I, 8 giugno 1994, n. 5535, Condominio Ponte Italia di Parma - Viale Caprera n. 3 c. La
Fondiaria Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni Spa.
La stipulazione di contratti di assicurazione del fabbricato, in quanto atto volto a conservare la cosa comune,
rientra fra i compiti propri dell'amministratore e non necessita di preventiva autorizzazione dell'assemblea.
* Trib. civ. Roma, 11 agosto 1988, Marullo c. Condominio via Nomentana 314, Roma, in Arch. loc. e cond. 1989,
532.
In tema di delibere assembleari di un condominio, non sono da considerarsi atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione quelli relativi alla riparazione dell'impianto idrico dell'edificio, all'autorizzazione a resistere ad un
atto di citazione proposto contro il condominio ed all'aggiornamento dell'assicurazione dell'immobile, con la
conseguenza che per la validit della delibera in ordine agli atti suddetti sufficiente che, in seconda
convocazione, sia rappresentato un terzo del valore dell'immobile.
* Cass. civ., sez. II, 8 novembre 1989, n. 4691, Renza c. Cond. Via De Ce.
La spesa per l'assicurazione del fabbricato va posta a carico del locatore e del conduttore in parti uguali, cos
come quelle postali e di cancelleria.
* Trib. civ. Napoli, sez. V, 13 gennaio 1984, n. 160, Colella Legnami Spa c. Maione e altro, in Arch. loc. e cond.
1984, 474.
Nel caso in cui un condominio stipuli un contratto di assicurazione per la responsabilit civile verso terzi, il
condomino che abbia sofferto danni per infiltrazioni da tubature condominiali non legittimato ad agire in proprio
nei confronti della compagnia assicuratrice.
* Cass. civ., sez. I, 26 marzo 1996, n. 2678, Florio c. Coop. Cattolica Ass. Srl.
L'assicurazione per la responsabilit civile non pu riguardare i fatti meramente accidentali, dovuti cio a caso
fortuito o forza maggiore, dai quali non sorge responsabilit, ma importa necessariamente che il fatto dannoso,
per il quale l'assicurazione sia stipulata, debba essere colposo, coprendo, con la sola eccezione dei fatti dolosi,
ogni rischio derivante da quella responsabilit, anche se dipendenti da colpa grave o gravissima. (Nella
fattispecie, con riferimento ad una polizza assicurativa stipulata da un condomino per danni arrecati a terzi, il
tribunale ha riconosciuto l'operativit della garanzia per i danni subiti da infiltrazioni prodottesi nella tubatura
condominiale a causa della vetust ed usura degli impianti).
* Trib. civ. Nocera Inferiore, sez. II, 25 febbraio 1999, n. 35, Condominio Palazzo Guarna c. Rainone e Soc.
Polaris, in Arch. loc. e cond. 1999, 839.
c) Azione risarcitoria
Con riguardo al danno subito da cosa oggetto di compropriet, l'azione risarcitoria esperibile da ciascun
partecipante nei limiti della propria quota verso il responsabile, senza che insorga necessit di integrazione del
contraddittorio nei confronti degli altri condomini.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 14 gennaio 1987, n. 186, Com. Di Rosa c. Infante.
Con riguardo ai danni che siano derivati ad un condominio di edificio dall'imperfetta esecuzione di un appalto,
conferito con deliberazione maggioritaria dell'assemblea, il singolo condominio assente o dissenziente, oltre che
agire direttamente contro l'appaltatore, pu impugnare detta deliberazione, ai sensi e nei casi di cui all'art. 1137
cod. civ., ma non anche esperire azione risarcitoria nei confronti del condominio o degli altri condomini, non
essendo configurabile una loro responsabilit aquiliana per il solo fatto della partecipazione alla maggioranza
attraverso la quale si esprime la volont dell'ente condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1988, n. 3395, Bovenzi - Irollo c. Con. Riv. Chiaia.
Ciascun condomino pu agire a tutela del suo diritto sulla cosa comune contro il condomino che, con l'uso
pregiudizievole delle cose di sua esclusiva pertinenza, abbia determinato il deterioramento o la distruzione della
cosa stessa, senza essere tenuto a ricercare se il danno sia stato prodotto dal condomino personalmente o da
persona a lui legata da un qualsiasi rapporto, cui il condomino che agisce sia estraneo, e ferma restando la
possibilit per quest'ultimo di agire contro il terzo responsabile con l'azione ordinaria di risarcimento per fatto
illecito di cui all'art. 2043 c.c. e per il condomino giudizialmente chiamato a ripristinare la cosa danneggiata o
distrutta a seguito di lavori eseguiti nella parte dell'immobile di sua esclusiva propriet, di rivalersi nei confronti
dell'autore o degli autori materiali del danneggiamento.
* Cass. civ., 13 aprile 1991, n. 3942.
Il singolo condomino risponde verso gli altri condomini dei danni causati da guasti verificatisi nella sua propriet
esclusiva, e deve, perci, sostenere la relativa spesa, ove abbia riconosciuto la propria responsabilit o essa sia
stata accertata in sede giudiziale. Tuttavia, fino a quando l'obbligo risarcitorio del condomino non risulti in uno di
tali modi accertato, l'assemblea non pu porre a suo carico detto obbligo, n imputargli a tale titolo alcuna
spesa, non potendo l'assemblea disattendere l'ordinario criterio di ripartizione, n la tabella millesimale e
dovendo, invece, applicare la regola generale stabilita dall'art. 1123 c.c., secondo cui ogni addebito di spesa
deve essere effettuato in base alla quota di partecipazione di ciascun condomino alla propriet comune, cio in
base ai millesimi. Pertanto, in difetto di accertamento dell'obbligo risarcitorio in uno dei due modi indicati, la
suddetta spesa dev'essere dall'assemblea provvisoriamente ripartita, secondo gli ordinari criteri di ripartizione,
tra tutti i condomini, fermo restando il diritto di costoro di agire, singolarmente o per mezzo dell'amministratore,
contro il condomino ritenuto responsabile, per ottenere il rimborso di quanto anticipato. (Nella specie, in
applicazione di tali principi, la Suprema Corte ha cassato senza rinvio la sentenza di merito e, decidendo nel
merito, ha dichiarato nulla la deliberazione condominiale impugnata, la quale, senza che vi fosse stato
riconoscimento di responsabilit ed essendo riservato, quindi, al giudice il relativo accertamento, aveva attribuito
all'assemblea condominiale il potere di deliberare sulla responsabilit di un singolo condomino ed aveva
addebitato al medesimo la spesa occorsa in conseguenza del fatto dannoso imputatogli).
* Cass. civ., sez. II, 22 luglio 1999, n. 7890, Fusco c. Cond. Via Santuario Regina degli Apostoli 25.
Il principio della compensatio lucri cum damno, che ha fondamento nella norma contenuta nell'art. 1223 c.c.,
trova applicazione quando sia il danno che il vantaggio siano conseguenza immediata e diretta dello stesso
fatto, il quale abbia in s l'idoneit a produrre ambedue gli effetti. (In un'azione di responsabilit proposta dai
condomini di un edificio, nei confronti del costruttore, per gravi difetti riscontrati nello stabile stesso, la Suprema
Corte, in applicazione del principio di cui alla massima, ha escluso che potessero compensarsi i danni subiti dai
condomini stessi - infiltrazioni di acqua, muffe e condense - con il vantaggio, indiretto e riflesso, costituito
dall'isolamento esterno del fabbricato, quale unico rimedio necessario per eliminare, a spese del costruttore, i
menzionati danni).
* Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1994, n. 10218, Soc. In. Im. c. Giovannini A.
E' ammissibile l'azione proposta in sede contenziosa dal singolo condomino - soggetto attivo dell'obbligazione
risarcitoria verso il condominio per il danno cagionato dalla cosa comune alla sua propriet esclusiva - anche
quando, persistendo il processo dannoso, il condomino medesimo non abbia fatto preventivo ricorso allo
speciale procedimento previsto dall'art. 1105, quarto comma, cod. civ. per eliminare le cause della lesione
lamentata.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 14 gennaio 1987, Mottola c. Condominio di via Solimene n. 139, Napoli, in Arch. loc. e
cond. 1987, 738.
In caso di danno subito dalle cose comuni, il singolo condomino pu agire anche per l'intero, quale concreditore
solidale ex lege, fatta salva la destinazione della somma cos conseguita alla riparazione delle cose comuni, se
possibile, ovvero, in subordine, la ripartizione dell'importo tra i compartecipi, in proporzione delle rispettive quote.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 8 giugno 1992, Mantegazza c. Acquaro e Cond. di Via Don Minzoni n. 38 di Bresso,
* Pret. civ. Chieti, 22 maggio 1996, n. 46, Zappacosta c. Assitalia, in Arch. loc. e cond. 1997, 866.
In caso di danni prodotti dalla caduta nel cortile sottostante di un ombrellone con il proprio basamento posto sul
terrazzo di un condominio, deve dichiararsi l'esistenza del caso fortuito qualora i convenuti abbiano provato di
aver adottato tutte le misure indispensabili per evitare l'evento, verificatosi a causa di un eccezionale ed
imprevedibile fortunale abbattutosi sulla zona.
* Trib. civ. Milano, 12 dicembre 1991, inedita.
f) Cattivo funzionamento di impianto comune
La domanda del condomino di risarcimento dei danni per il cattivo funzionamento di un impianto comune (nella
specie: condotta delle acque luride), derivando dal pregiudizio effettivamente subito per il fatto del terzo (il
condominio rispetto ad esso condomino) e tendendo alla ricostituzione dell'integrit patrimoniale del detto
soggetto leso dal difetto del bene comune, non postula, per la sua procedibilit, la previa richiesta
all'amministratore, n la necessit di istanza o convocazione dell'assemblea condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 19 giugno 1984, n. 3629, Ciaccia c. Migliore.
g) Cose in custodia
Riguardo ai danni che una porzione di propriet esclusiva in edificio condominiale subisca per vizi delle parti
comuni, imputabili all'originario costruttore-venditore, deve riconoscersi al titolare di detta porzione la possibilit
di esperire azione risarcitoria contro il condominio, non in forza dell'art. 1669 c.c., dato che il condominio quale
successore a titolo particolare di detto costruttore non subentra nella responsabilit posta a suo carico da detta
norma, ma in base all'art. 2051 in relazione alla ricollegabilit di quei danni all'inosservanza da parte del
condominio medesimo dell'obbligo di provvedere quale custode ad eliminare le caratteristiche dannose della
cosa.
* Cass. civ., sez. II, 21 giugno 1993, n. 6856, Greco c. Ponte e altri.
Nell'espletamento delle attribuzioni di cui all'art. 1131 cod. civ. l'amministratore un rappresentante dei
partecipanti al condominio, alla tutela dei cui interessi di gruppo egli deve indirizzare la propria attivit. La
violazione di tale dovere, se lo rende responsabile dei danni subiti dal gruppo dei condomini, si esaurisce nei
rapporti interni con il condominio, e, pertanto, non esclude o diminuisce l'eventuale responsabilit del
condominio medesimo nei confronti di altri soggetti, compreso tra questi il singolo condomino, distinto dal
gruppo e come tale rimasto danneggiato per la difettosit di parti comuni dell'edificio, da considerarsi nella
custodia del condominio agli effetti dell'art. 2051 cod. civ.
* Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 1981, n. 859, Lonza c. Marletta.
In caso di danni provocati a terzi a causa di difetti strutturali dell'edificio o di carenze di elementi accessori in
esso stabilmente incorporati dal proprietario, la responsabilit di questi non viene meno per effetto della
locazione ad altri dell'edificio con i suoi accessori, poich il contratto di locazione non esclude la responsabilit
ex art. 2053 cod. civ. ed il dovere di vigilanza sull'efficienza dell'edificio e dei suoi impianti ex art. 2051 cod. civ.
* Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1989, n. 4155, Albenzio c. Banco Napoli.
La responsabilit del custode, ai sensi dell'art. 2051 c.c., esclusa dall'accertamento positivo che il danno
stato causato dal fatto del terzo, il quale ha avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno. (Nella
specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, la quale aveva escluso la responsabilit del condominio per
i danni causati da un rigurgito della conduttura condominiale di abduzione delle acque, occlusa da oggetti ivi
scaricati da un condomino).
* Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 1998, n. 10556, Musso ed altro c. Cond. via Cassini, 95.
La norma di cui all'art. 2051 c.c. (danno cagionato da cose in custodia) si applica anche in materia di
condominio, in quanto il singolo partecipante si pone come terzo nei confronti del gruppo della collettivit
condominiale, che tenuto alla custodia e alla manutenzione delle parti e degli impianti comuni dell'edificio; di
conseguenza il singolo pu agire contro il gruppo per il cattivo funzionamento di un impianto comune o per i
difetti di parti comuni dell'edificio (fattispecie in tema di danni causati da periodici allagamenti).
* Trib. civ. Milano, 4 luglio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 586. Nello stesso senso, v. Trib. civ. Milano, 27
maggio 1993, ivi 1994, 613.
Il condominio obbligato a risarcire i danni causati dalla cattiva custodia di una parte comune dell'edificio (nella
specie: frattura tibiotarsica causata da una caduta provocata da un pezzo di moquette collocato nell'andito con
la parte pelosa rivolta verso il suolo e quella gommosa verso l'alto).
* Trib. civ. Milano, 21 marzo 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 594.
Il condominio, essendo responsabile delle eventuali conseguenze dannose derivanti dalla cattiva custodia di un
manufatto comune, obbligato a risarcire i danni (nella specie: ferita all'avambraccio di un minore) causati da un
riquadro rotto da tempo di una porta a vetri dell'edificio condominiale.
* Trib. civ. Milano, 14 febbraio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 594.
La responsabilit per danno cagionato da cose in custodia (nella specie, da un cancello azionato elettricamente
mediante l'uso di un apposito pulsante) postula che l'evento lesivo derivi da mancata o inadeguata custodia della
cosa - da intendersi nel senso ampio, comprensivo di inidoneo governo o impiego di essa da parte di chi ne ha
l'obbligo e senza che rilevi che la cosa stessa sia o non munita di autonoma capacit di nuocere - e si distingue,
pertanto, da quella connessa all'esercizio di attivit pericolose, la quale postula una successione continua e
ripetuta di atti che si svolge nel tempo e che rivela una notevole potenzialit di danno, superiore al normale ed
apprezzabile in un momento anteriore all'evento dannoso, cos da consentire all'operatore la predisposizione di
adeguate misure di prevenzione e da costituire il parametro di commisurazione della diligenza dovuta, la cui
mancanza integra la colpa presunta dall'art. 2050, anche qualora tali atti si coordinino non gi, come di norma,
all'esercizio di una impresa, bens semplicemente ad un fine tipico oggettivamente pericoloso.
* Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 1983, n. 1425, Soc. Peugeot c. Vescia.
Con riguardo ai danni derivanti dal crollo di un solaio divisorio fra due appartamenti, l'applicabilit degli artt. 2051
e 2053 cod. civ., con conseguente presunzione di corresponsabilit sia del proprietario dell'immobile sovrastante
sia di quello dell'immobile sottostante, non introduce deroghe ai principi generali in tema di nesso di causalit e
di concorso di cause, sicch la responsabilit dell'uno deve essere esclusa quando egli fornisca la prova che il
danno sia stato determinato, con autonoma efficienza causale, dal fatto imputabile all'altro (nella specie, il
proprietario dell'appartamento sovrastante, essendo il solaio caduto per infiltrazioni di acqua provenienti dagli
scarichi del suo immobile).
* Cass. civ., sez. II, 30 marzo 1985, n. 2234, Cardillo c. Anglesio.
Il singolo condomino, allorch agisce per il risarcimento dei danni derivanti alla sua propriet individuale per la
difettosit delle parti comuni dell'edificio, si presenta in posizione di terzo nei confronti del condominio: questi
obbligato a risarcire il danno ex art. 2051 c.c. e, qualora la situazione dannosa sia potenzialmente produttiva di
ulteriori danni, anche obbligato a rimuovere ex art. 1172 c.c. le cause del danno stesso; e ci anche quando
trattasi di visi costruttivi dell'edificio, in relazione all'obbligo del condominio, nella sua qualit di custode e in virt
del precetto generale del neminem laedere, di rimuovere le caratteristiche dannose delle cose comuni,
ancorch da altri create.
* Trib. civ. Roma, 13 novembre 1991, n. 14418, in Arch. loc. e cond. 1992, 132.
Nel caso di appalto del servizio di manutenzione, continuativa o periodica, di cose, macchinari o impianti, non si
verifica il passaggio dei poteri di custodia e degli oneri di vigilanza - e della connessa responsabilit presunta ex
art. 2051 c.c. - a carico dell'appaltatore: quando il bene resti in potere del committente, pertanto, nel caso di
manutenzione dell'impianto di ascensore da parte di un'impresa specializzata, poich l'impianto continua a
restare nella sfera di disponibilit dei proprietari dell'edificio, i quali ne conservano, con carattere di continuit,
l'uso e il godimento, ad essi incombono, conseguentemente, gli oneri di custodia e di vigilanza con l'inerente
responsabilit presunta.
* Cass. civ., 21 luglio 1979, n. 4385.
L'obbligo di custodia e la relativa responsabilit verso i terzi danneggiati, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., non
vengono meno per il proprietario dell'immobile concesso in locazione, essendo la temporanea sottrazione della
cosa alla sua disponibilit compatibile con l'obbligo, su di lui gravante, di effettuarvi visite periodiche e di
eseguire gli opportuni interventi; conseguentemente egli non resta dispensato dall'obbligo di vigilanza e di
custodia, connesso con quello di manutenzione e riparazione dell'immobile locato, in relazione agli analoghi
poteri che spettano al conduttore, sicch le loro responsabilit verso i terzi - per un evento riconducibile al
mancato esercizio di quei poteri nell'ambito delle rispettive sfere di azione - sono concorrenti, salva la facolt di
rivalsa del locatore nei confronti del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 1985, n. 1589, Spagnoletto c. Angiolini.
Il condominio responsabile ex art. 2051 c.c. dei danni cagionati dalla fuoriuscita delle acque fognarie dalle
relative tubazioni a seguito dell'occlusione delle stesse. (Nella fattispecie, la recente pulizia delle fosse settiche
non stata considerata - in assenza della prova positiva del fortuito - quale elemento sufficiente ad escludere la
responsabilit del condominio).
* Corte app. civ. Milano, sez. II, 3 giugno 1997, n. 1773, Condominio San Pietro c. Brusaferri e Soc. Maeci
Ass.ni, in Arch. loc. e cond. 1997, 1029.
Malgrado il contratto di locazione comporti il trasferimento al conduttore dell'uso e del godimento sia della
singola unit immobiliare sia dei servizi accessori e delle parti comuni dell'edificio, una siffatta detenzione non
esclude i poteri di controllo, di vigilanza e, in genere, di custodia spettanti al proprietario-locatore, il quale
conserva un effettivo potere fisico sull'entit immobiliare locata - ancorch in un ambito in parte diverso da
quello in cui si esplica il potere di custodia del conduttore - con conseguente obbligo di vigilanza sullo stato di
conservazione delle strutture edilizie e sull'efficienza degli impianti. Gravano, pertanto, sui condomini le
responsabilit per danni subiti da terzi (nel novero dei quali vanno ricompresi anche i conduttori di appartamenti
siti nell'edificio) in conseguenza di omissioni addebitabili all'amministratore del condominio ovvero di inerzia da
parte dell'assemblea condominiale nell'adottare gli opportuni provvedimenti atti ad eliminare una situazione di
pericolo (nella specie, anomalo funzionamento del congegno meccanico di chiusura del cancello).
* Cass. civ., sez. III, 5 dicembre 1981, n. 6467, Cond. V. Sessant. c. Palmieri.
Per ottenere il risarcimento del danno cagionato da cosa in custodia, il danneggiato deve provare: a) che il
danno si verificato per lo sviluppo di un agente insito nella cosa; b) che il preteso danneggiante potesse
effettivamente esercitare un potere di vigilanza e custodia sulla medesima. Per esimersi dalla dichiarazione di
responsabilit il danneggiante deve provare che il danno derivato da caso fortuito, comprensivo del fatto del
terzo o della colpa del danneggiato.
* Cass. civ., sez. III, 6 maggio 1977, n. 1747.
Accertato che la fatiscenza del soffitto di un balcone dovuta a difetto di manutenzione dello sgocciolatoio
destinato allo smaltimento delle acque provenienti dal piano di calpestio del balcone sovrastante, il proprietario
di questo tenuto, ex art. 2051 c.c. al risarcimento, anche in forma specifica, dei danni causati alla contigua
propriet dal proprio fatto doloso o colposo, e non vengono in rilievo norme riguardanti la disciplina del
condominio.
* Cass. civ., sez. II, 23 maggio 1981, n. 3399, Onofri c. Battista.
h) Denuncia di nuova opera
Nel giudizio promosso da alcuni condomini contro altro condomino per ottenere, a seguito di denuncia di nuova
opera, la sospensione dei lavori ed il ripristino della precedente situazione, l'intervento di altro condomino
proprietario di appartamento direttamente interessato dall'opera, il quale, deducendo l'illegittimit della
costruzione ed aderendo alle ragioni degli altri condomini contro lo stesso convenuto, introduce nel processo
domande dipendenti dal proprio specifico titolo, integra un intervento adesivo autonomo. Detto interventore pu
proporre domande nuove, non essendo la sua attivit processuale legata a quella della parte che ha iniziato il
giudizio, stante l'autonomia del diritto fatto valere nei confronti dell'altra parte convenuta.
* Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1996, n. 4505, Pucci c. Grandoni.
i) Furto
Con riguardo al danno derivante dal furto consumato da persona introdottasi in un appartamento servendosi
delle impalcature installate per lavori di riattazione dello stabile condominiale configurabile ai sensi dell'art.
2043 c.c. la responsabilit dell'imprenditore che si sia avvalso di tali impalcature per l'espletamento dei lavori,
ove siano state trascurate le ordinarie norme di diligenza e non siano state adottate le cautele idonee ad
impedire un uso anomalo delle suddette impalcature; altres configurabile la responsabilit del condominio ex
art. 2051 c.c., atteso l'obbligo di vigilanza e custodia gravante sul soggetto che ha disposto il mantenimento
della struttura.
* Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 1997, n. 9707, Mecheri c. Cond. Via Villa Massimo n. 33 Roma.
Il furto aggravato dall'introduzione in edificio abitativo condominiale, attraverso parti comuni o pertinenze di esso,
reato complesso, unificandosi in esso, quale circostanza aggravante, la violazione di domicilio consumata
anche nei confronti dei condomini, poich questa costituisce reato-mezzo, legato da nesso di strumentalit a
quello di furto, preminente, del quale integra la circostanza. In tal caso l'amministrazione condominiale, come il
singolo condomino, riceve indiretta tutela penale e, in quanto soggetto danneggiato dal reato, complessivamente
considerato, pu costituirsi parte civile per il risarcimento del danno patito.
* Cass. pen., sez. II, 28 luglio 1987, n. 8790 (ud. 15 maggio 1987), Noris.
In caso di reati in danno del condominio (nella fattispecie, sottrazione di cose comuni in relazione
all'appropriazione di energia elettrica condominiale da parte di un condomino), in assenza di una unanime
manifestazione di volont dei condomini a che si proceda penalmente in ordine al fatto contestato all'imputato e
di un corrispondente unanime specifico incarico conferito all'amministratore, deve escludersi la legittimazione del
rappresentante del condominio alla presentazione della querela.
* Cass. pen., sez. II, 5 gennaio 2001, n. 3031 (ud. 29 novembre 2000), Panichella.
E' ravvisabile la responsabilit colposa del condominio, in concorso con l'impresa appaltatrice, per i furti subiti da
terzi in abitazioni vicine, qualora siano montate impalcature adiacenti ai relativi balconi prive di accorgimenti
tecnici di protezione idonei ad impedire l'agevole accesso e intrusione da parte di estranei.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 16 maggio 1997, n. 1548, Condominio di via Costanza n. 2 in Milano c. Arosio e
De Pascale, in Arch. loc. e cond. 1997, 1030.
l) Getto di acqua piovana da terrazza
Lo spazzare acqua piovana da una terrazza sporcando i panni ed i vetri della sottostante abitazione non integra
l'ipotesi prefigurata dall'art. 674 cod. pen. che punisce solamente chiunque getta o versa in un luogo di pubblico
transito o in un luogo privato, ma di comune o di altrui uso, cose atte ad imbrattare persone.
* Pret. pen. Foligno, 16 novembre 1984, Cavallone ed altro, in Riv. pen. 1985, 712.
m) Getto pericoloso di cose
Nell'ipotesi di emissione di gas, di vapori o fumi, punita ai sensi dell'art. 674 c.p. si configura un reato di mero
pericolo, per cui non necessario che l'emissione stessa provochi un effettivo nocumento, essendo invece
sufficiente l'attitudine del gas, del vapore o del fumo, emesso ad offendere, imbrattare, molestare le persone.
* Cass. pen., sez. VI, 11 aprile 1990, n. 5312 (ud. 4 luglio 1989), Toffarin.
La contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen., nelle ipotesi di emissione moleste di gas, di vapori o di fumo,
un reato non necessariamente ma solo eventualmente permanente, in dipendenza cio della durata, istantanea
o continuativa, della condotta che provoca le emissioni stesse.
* Cass. pen., sez. I, 25 febbraio 1989, n. 3162 (ud. 10 novembre 1988), Mazzoni.
In tema di getto pericoloso di cose con il termine molestia alla persona deve intendersi ogni fatto idoneo a recare
disagio, fastidio o disturbo ovvero a turbare il modo di vivere quotidiano.
* Cass. pen., sez. I, 4 novembre 1986, n. 12261 (ud. 4 luglio 1986), Sdi Leo.
Con riferimento alla contravvenzione di getto pericoloso di cose, previsto dall'art. 674 c.p., il versamento
concerne materie liquide e pu avvenire per mano dell'agente o in qualsiasi altro modo da lui posto in essere o
lasciato dolosamente o colposamente in azione, e va posto in relazione con l'effetto possibile di offendere,
imbrattare o molestare le persone, anche se questo effetto non si sia verificato. (Nella fattispecie, la Suprema
Corte ha ritenuto che integrasse la contravvenzione di cui all'art. 674 c.p. il getto di acqua con una pompa
all'interno dell'abitazione altrui).
* Cass. pen., sez. I, 24 luglio 1992, n. 8386 (ud. 2 luglio 1992), Mauro.
Il contenuto della norma di cui all'art. 674 c.p. comprende due ipotesi di reato, entrambe di pericolo, la seconda
delle quali descrive una fattispecie causalmente orientata in cui la condotta - indifferentemente attiva od
omissiva - conduce a provocare, nei casi non consentiti dalla legge, emissioni di gas, di vapore o di fumo, atti a
cagionare offesa od imbrattamento ovvero molestia alla persona. Per la sussistenza del reato , quindi
sufficiente l'idoneit del fatto alla produzione degli effetti previsti dalla norma; poich, per, si richiede che tali
effetti siano cagionati nei casi non consentiti dalla legge, il parametro di legalit deve dedursi unicamente dalle
disposizioni di cui all'art. 844 c.c. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la decisione di condanna, per essere
assente in essa qualsivoglia indicazione delle ragioni del superamento della soglia di legalit fissata dalla detta
disposizione civilistica).
* Cass. pen., sez. I, 26 gennaio 1994, n. 781 (ud. 17 novembre 1993), Scionti, in Arch. loc. e cond. 1995, 124.
La seconda ipotesi prevista dall'art. 674 c.p., "chiunque... provoca emissioni... di fumo... atte a molestare le
persone nei casi non consentiti dalla legge", richiama espressamente i limiti legali posti dalla legge civile a tutela
del diritto della propriet fondiaria (e di godimento anche a titolo personale della stessa), in tema di immissioni
oltre il limite della propriet. Pertanto, si deve fare riferimento in generale a tutte le immissioni dannose per il
vicino sanzionate dall'art. 844 c.c. ove si riscontri il superamento del minimo di tollerabilit. (Nella specie, relativa
a rigetto di ricorso di imputato il quale aveva dedotto che l'accensione di un caminetto domestico non era
certamente un caso vietato dalla legge stato ritenuto che non la mera accensione di un caminetto, ma le
emissioni di fumo cagionate da quella accensione nella unit abitativa dell'imputato e la loro immissione in quella
della persona offesa avesse superato la soglia della normale tollerabilit).
* Cass. pen., sez. I, 26 febbraio 1994, n. 2544 (ud. 4 ottobre 1993), Uzzi, in Arch. loc. e cond. 1995, 124.
Pur non essendovi l'obbligo (giuridico e penalmente sanzionato) di tenere pulita la propria abitazione, tuttavia
l'art. 674 c.p. vieta di tenerla talmente sporca da arrecare molestia o disturbo, mediante esalazioni maleodoranti,
alle persone che si trovano nelle vicinanze dell'abitazione medesima. (Nella specie la S.C. ha osservato,
replicando alla censura del ricorrente secondo cui non sussiste alcun obbligo giuridico di tenere pulita la propria
abitazione, che all'imputato non si rimprovera di avere trascurato la pulizia della propria abitazione, bens di
avere provocato emissioni di esalazioni moleste per le persone, tenendo numerosi cani in un terreno comune
adiacente alla propria abitazione ed a quella delle parti lese e che certamente, se si fosse attivato per eliminare
tali inconvenienti, avrebbe evitato che la sua condotta (di tenere numerosi cani) integrasse gli estremi del reato
previsto dall'art. 674 c.p.). * Cass. pen., sez. I, 15 novembre 1993, n. 10336 (ud. 28 settembre 1993), Grandoni,
in Arch. loc. e cond. 1995, 124.
In tema di getto pericoloso di cose, la sussistenza di una regolare autorizzazione amministrativa all'esercizio di
una attivit non esclude di per s la configurabilit della contravvenzione di cui all'art. 674 c.p., ove da tale
esercizio derivi l'emissione di gas, vapori, fumi atti ad offendere, molestare o imbrattare i vicini, dovendosi tale
autorizzazione intendere comunque condizionata ad un esercizio che non superi i limiti della tollerabilit
normale, e quindi previa adozione delle misure necessarie ad evitare il superamento di tali limiti o di quelli
imposti da specifiche normative, correlate alle peculiarit delle attivit lavorative da cui conseguono le emissioni.
Per ritenere la sussistenza del reato pertanto necessario accertare il superamento di tali limiti.
* Cass. pen., sez. I, 18 marzo 1992, n. 3204 (ud. 12 febbraio 1992), Mellino.
Per la sussistenza della contravvenzione di getto pericoloso di cose non si richiede un effettivo nocumento alle
persone in dipendenza del getto stesso, essendo sufficiente l'attitudine della cosa gettata a cagionare effetti
dannosi.
* Cass. pen., sez. V, 13 aprile 1988, n. 4537 (ud. 27 gennaio 1988), Freistener.
In tema di getto pericoloso di cose, la sussistenza di una regolare autorizzazione amministrativa all'esercizio di
una attivit non esclude di per s la configurabilit della contravvenzione di cui all'art. 674 c.p., ove da tale
esercizio derivi l'emissione di gas, vapori, fumi atti ad offendere, molestare o imbrattare i vicini, dovendosi tale
autorizzazione intendere comunque condizionata ad un esercizio che non superi i limiti della tollerabilit
normale, e quindi previa adozione delle misure necessarie ad evitare il superamento di tali limiti o di quelli
imposti da specifiche normative, correlate alla peculiarit delle attivit lavorative da cui conseguono le emissioni.
Per ritenere la sussistenza del reato pertanto necessario accertare il superamento di tali limiti. (Fattispecie in
tema di emissioni di vapori da canna fumaria).
* Cass. pen., sez. I, 18 marzo 1992, n. 3204, Mellino.
n) Indennit
Nel caso in cui a causa di lavori di ripristino di una facciata condominiale venga collocato per alcuni mesi un
ponteggio che impedisca la sistemazione dei tavolini esterni di un esercizio commerciale (nella specie: un bar)
con un danno per la perdita della clientela e dell'avviamento commerciale, oltre all'inutile spesa dell'indennit di
occupazione di area pubblica per quel periodo di tempo, ricorrono le condizioni per l'applicazione della norma di
cui all'art. 843 c.c., che riconosce il diritto ad un indennizzo in caso di occupazione del fondo per la esecuzione
di opere, anche se compiute nell'interesse comune allo stesso proprietario del fondo.
* Trib. civ. Milano 20 febbraio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, n. 3.
Il condominio ha il diritto di eseguire, in forza di propri legittimi deliberati, lavori di interesse comune, pur se
comportanti il passaggio o la temporanea occupazione di beni di propriet esclusiva di singolo condomino (nella
specie una terrazza). Ne consegue che l'incomodo derivante a quest'ultimo dai lavori condominiali, in quanto
diretta conseguenza dell'esercizio di un diritto, non configura gli estremi di un danno giuridicamente rilevante, e
quindi risarcibile, bens comporta solo un pregiudizio con rilevanza economica. E tale pregiudizio, in mancanza
di espressa previsione di legge, la cui necessit discende dalla dedotta inapplicabilit degli artt. 2043 e seguenti,
c.c., non indennizzabile.
* Trib. civ. Napoli, 16 febbraio 1994, in Arch. loc. e cond. 1994, 342.
o) Infiltrazioni d'acqua
L'amministratore del condominio passivamente legittimato rispetto all'azione per responsabilit extra
contrattuale, promossa dal conduttore di locali inseriti nell'edificio condominiale, per danni sofferti a causa di
infiltrazioni di acqua piovana da parti comuni dell'edificio stesso (esempio il tetto, i lastrici solari, le fognature)
salva, nel merito, l'efficacia liberatoria della prova, a carico del condominio, che l'effettiva disponibilit e, quindi,
l'obbligo di manutenzione di quelle parti comuni competevano ad un singolo condomino o ad altro soggetto, in
forza di diverso rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 7 maggio 1981, n. 2998, Monti c. Cond. V. Milano.
Il singolo condomino pu agire a norma dell'art. 2051 cod. civ. nei confronti del condominio per il risarcimento
dei danni sofferti per il cattivo funzionamento di un impianto comune o per la difettosit di parti comuni
dell'edificio - dalle quali provengono infiltrazioni d'acqua pregiudizievoli per gli ambienti di sua propriet esclusiva
- ponendosi quale terzo nei confronti del condominio stesso, tenuto alla custodia ed alla manutenzione delle
parti e degli impianti comuni dell'edificio.
* Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 1987, n. 1500, Condom. Mottol. c. Latorrata.
In tema di condominio di edifici, qualora il proprietario esclusivo di una terrazza a livello sia responsabile dei
danni da infiltrazioni d'acqua e tale responsabilit abbia natura extracontrattuale ex art. 2051 c.c., le
conseguenze del fatto illecito, anche con riferimento al concorso di colpa del (condomino) danneggiato,
proprietario del sottostante terrazzo trasformato in veranda, devono essere regolate esclusivamente dalle norme
poste dagli artt. 2051 e 2056 c.c., con riferimento all'art. 1227 c.c., che disciplinano la responsabilit aquiliana e
non gi secondo le norme relative alla ripartizione tra condomini delle spese di riparazione o ricostruzione di
parti comuni.
* Cass. civ., sez. II, 7 giugno 2000, n. 7727, Marotti Bartoli c. Cao di San Marco Efisio.
Nel caso in cui un cortile a livello del piano stradale, che sia in uso esclusivo al condominio, funga da copertura
ad un locale cantinato di propriet di un terzo, ove dalla cattiva manutenzione del cortile siano derivate
infiltrazioni d'acqua nel sottostante locale, l'obbligazione risarcitoria del condominio trova la sua fonte, non gi
nelle norme in materia di ripartizione degli oneri condominiali di cui agli artt. 1123, 1125 e 1126 c.c., bens nel
disposto dell'art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini dell'accertamento della responsabilit, sufficiente
che il danneggiato fornisca la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso (che risulti
riconducibile ad una anomalia, originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa stessa),
nonch dell'esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di
vigilare onde evitare che produca danni a terzi.
* Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1995, n. 2861, Condominio di via Masaniello 3 in Catania c. Castagnola e Bianco,
in Arch. loc. e cond. 1996, 540.
Nel caso in cui il cortile di un condominio funge da copertura di un locale interrato di un terzo, se la cattiva
manutenzione del cortile provoca infiltrazioni d'acqua nel sottostante locale, l'obbligazione risarcitoria del
condominio trova la sua fonte non gi nelle norme di cui agli artt. 1123, 1125 e 1126 c.c., bens nel disposto
dell'art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini dell'accertamento della responsabilit, sufficiente che il
danneggiato fornisca la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso (che risulti riconducibile
ad una anomalia, originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa stessa), nonch
dell'esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di vigiliare
onde evitare che produca danni a terzi.
* Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 1999, n. 1477, Cond. via Carlo Poma c. Cond. Garage di via Andreoli.
La tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. deve ammettersi anche con riguardo al pregiudizio patrimoniale sofferto dal
titolare di diritti di credito, non trovando ostacolo nel carattere relativo di questi ultimi in considerazione della
nozione ampia ormai generalmente accolta di danno ingiusto come comprensivo di qualsiasi lesione
dell'interesse che sta alla base di un diritto, in tutta la sua estensione. Trova, in tal modo, protezione non solo
l'interesse rivolto a soddisfare il diritto (che, nel caso di diritti di credito, attivabile direttamente nei confronti del
debitore della prestazione oggetto del diritto), ma altres l'interesse alla realizzazione di tutte le condizioni
necessarie perch il soddisfacimento del diritto sia possibile, interesse tutelabile nei confronti di chiunque
illecitamente impedisca tale realizzazione. In siffatta prospettiva trova fondamento la tutela aquiliana del diritto di
credito. L'area di applicazione della responsabilit extracontrattuale per la lesione del diritto di credito, va
peraltro, circoscritta ai danni che hanno direttamente inciso sull'interesse oggetto del diritto. (In applicazione di
tali principi, la S.C., nella specie, ha riconosciuto in capo alla ricorrente, titolare di un'azienda commerciale, e
conduttrice dell'immobile in cui si svolgeva la relativa attivit, che aveva richiesto la condanna dei proprietari
delle terrazze sovrastanti il negozio al risarcimento dei danni subiti a seguito di infiltrazioni di acqua, l'interesse
al ripristino del godimento dell'immobile, con il limite della risarcibilit del solo danno per il mancato uso per il
quale la locazione era stata stipulata, con esclusione dei danni derivanti da un eventuale deprezzamento
dell'immobile, che riguardavano direttamente il proprietario).
* Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1998, n. 7337, Pardo c. Franceschelli, in Arch. loc. e cond. 1998, 672.
Il condominio, che ha in custodia i beni comuni, tenuto a mantenerli e conservarli in modo tale da evitare
eventi dannosi, per cui responsabile del danno causato da infiltrazioni d'acqua attribuibili a mancata
manutenzione o ristrutturazione delle condutture sicuramente comuni del condominio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 16 gennaio 1989, n. 241, in Arch. loc. e cond. 1991, 342.
In ipotesi di danni cagionati da una parte comune alla propriet esclusiva di un condomino (nella specie:
infiltrazioni di acqua provenienti da un muro perimetrale dell'edificio), l'azione risarcitoria di quest'ultimo nei
confronti del condominio non postula per la sua ammissibilit, ancorch il processo dannoso sia ancora in atto,
il previo esperimento della procedura prevista dall'art. 1105, quarto comma, c.c. per l'eliminazione della causa
dei danni, rilevando la relativa omissione, quale inerzia imputabile anche a detto condominio, solo in sede di
liquidazione de danni stessi agli effetti e nei limiti di cui all'art. 2056, in relazione all'art. 1227 c.c.
* Trib. civ. Napoli, 14 gennaio 1987, in Rass. equo can. 1988, 91.
Sussiste la responsabilit decennale dell'appaltatore nel caso in cui in un edificio condominiale si manifestino
infiltrazioni d'acqua nei muri e il dissesto dell'impianto di depurazione, posto che tra i gravi difetti - che
consentono di far valere tale responsabilit - sono comprese non solo le deficienze costruttive vere e proprie
(quelle cio che si risolvono nella realizzazione dell'opera con materiali inidonei o non a regola d'arte) e le
carenze riconducibili ad erronee previsioni progettuali, ma anche quei vizi che, pur non incidendo sulla statica o
sulla struttura dell'immobile, pregiudicano in modo grave la funzione cui destinato e ne limitano in modo
notevole le possibilit di godimento.
* Trib. civ. Piacenza, 10 luglio 1996, n. 412, in Arch. loc. e cond. 1996, n. 5.
Poich il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del
fabbricato anche se appartiene in propriet superficiaria o se attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso
con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati
all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di
manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni
stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due
terzi, ed il titolare della propriet superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre utilit, nella misura del
terzo residuo.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 29 aprile 1997, n. 3672, Norsa c. Condominio di Via Borgognone n. 31 in Milano, in
Arch. loc. e cond. 1997, 395.
Il danno temuto dal condomino dalla infiltrazione di acqua nell'appartamento di propriet esclusiva, proveniente
dal sovrastante terrazzo comune, consente il ricorso al pretore, competente per materia, ai sensi dell'art. 688,
primo comma, c.p.c., nei confronti della gestione condominiale, quale custode dei beni comuni.
* Trib. civ. Nocera Inf., 6 febbraio 1995, in Rass. loc. cond. 1995, 289.
Nel caso di danni da infiltrazioni di acque provenienti dal piano superiore il proprietario di questo responsabile
nei confronti del danneggiato, anche se trattasi di casa locata, salvo rivalsa nei confronti del conduttore.
* Pret. civ. Catania, sez. I, 12 dicembre 1994, Lauria c. Valenza e Soc. Centruffici, in Arch. loc. e cond. 1995,
169.
Ai fini della determinazione del valore della causa le richieste di condanna ad un facere ed al risarcimento del
danno si cumulano e se non sono precisate nel loro ammontare si intendono entrambe proposte per il limite
massimo del giudice adito. Le eventuali modifiche o precisazioni nel corso del giudizio non rilevano ai fini della
determinazione del valore, desumibile soltanto dalla domanda iniziale. (Fattispecie in tema di richiesta, da parte
di un condomino, del risarcimento dei danni cagionati al proprio immobile da infiltrazioni d'acqua, e di
eliminazione delle cause delle infiltrazioni medesime).
* Pret. civ. Catania, 27 gennaio 1998, Landro c. Condominio di via Aprile n. 102 in Catania, in Arch. loc. e cond.
1998, 247.
La ditta appaltatrice dei lavori di rifacimento del tetto condominiale responsabile, in qualit di custode, del
danno provocato ad un condomino da infiltrazioni d'acqua cagionate dalla mancata predisposizione - da parte
della ditta in questione - degli accorgimenti necessari per evitare danni da allagamento.
* Trib. civ. Piacenza, 10 giugno 1997, n. 147, Girometta c. Condominio Daniela di Via Talamoni in Piacenza, in
Arch. loc. e cond. 1998, 96.
Il giudice ordinario competente a condannare la P.A. al risarcimento dei danni cagionati ad un condominio da
infiltrazioni d'acqua provenienti da una strada pubblica (nella specie, priva di marciapiede e in cattivo stato di
manutenzione), ma non pu condannare la stessa all'eliminazione delle cause del fenomeno dannoso, ossia ad
un facere che finisca per tradursi in un atto di ingerenza dell'esercizio discrezionale dell'attivit pubblica.
* Corte app. civ. Roma, 15 gennaio 1997, n. 85, Comune di Roma c. Condominio di Via Boccea n. 192 in Roma,
in Arch. loc. e cond. 1998, 82.
Dei danni da infiltrazione di umidit subiti dal soffitto di un balcone (anche se trasformato in veranda) risponde il
proprietario del balcone sovrastante dalla cui pavimentazione imperfetta penetra l'acqua che determina l'umidit
stessa.
* Pret. civ. Taranto, 29 aprile 1994, n. 264, Masiello c. Millarte, in Arch. loc. e cond. 1995, 183.
Posto che l'art. 844 c.c. contiene un elenco esemplificativo e non tassativo delle immissioni suscettibili di divieto,
l'azienda cessionaria degli impianti di funzionamento di un acquedotto pu, con azione di manutenzione ex art.
1170 c.c., chiedere la interruzione di infiltrazioni in una sorgente di acqua in suo possesso, provocate dalla
tracimazione dei pozzetti fognari di un condominio situato nelle vicinanze.
* Pret. civ. Torre Annunziata, ord. 25 novembre 1994, in Foro it. 1995, 3035.
In caso di danni causati da infiltrazioni d'acqua e di umidit verificatesi in una unit immobiliare a causa di
un'apertura praticata nel tetto condominiale da un condomino proprietario di un appartamento immediatamente
sottostante al tetto, sussiste la responsabilit del condominio in solido (ex art. 2055 c.c.) con il condomino che
ha praticato l'apertura, a nulla rilevando che in relazione all'art. 1102 c.c. sarebbe facolt del condomino
praticare aperture nel tetto condominiale qualora egli sia proprietario dell'unit immobiliare sottostante: tale
facolt, infatti, non fa comunque venir meno il rapporto di custodia intercorrente tra condominio e parti comuni
dell'edificio, rapporto che persiste indipendentemente dal soggetto che abbia eseguito i lavori sulle parti comuni
stesse.
* Pret. civ. Roma, 31 gennaio 1996, n. 687, Andrelli c. Condominio di Via della Caffarelletta, in Arch. loc. e cond.
1997, 868.
p) Libretto casa
L'adozione di ordinanze contingibili ed urgenti da parte del sindaco deve essere assistita da congrua
motivazione in ordine alle circostanze che impongono lo straordinario esercizio del potere extra ordinem.
Pertanto, illegittima per mancanza di motivazione, l'ordinanza sindacale avente ad oggetto l'obbligo imposto a
carico dei proprietari di immobili siti nel comune di certificare l'idoneit statica degli edifici (c.d. libretto casa),
ordinanza motivata sul mero allarme suscitato nella popolazione dai tragici avvenimenti relativi al crollo di una
palazzina in Foggia e sulla consequenziale crisi degli uffici tecnici comunali, sovraccaricati dalle richieste di
sopralluoghi urgenti atti a verificare la tenuta statica degli edifici stessi.
* Tar. Puglia, sez. Lecce, 16 novembre 2000, Scarcella c. Comune di Lecce e Associazione Propriet Edilizia Confedilizia Sez. di Lecce.
q) Precariet fondale dell'edificio
Il condominio non tenuto alla rimessione in pristino della statica del fabbricato, qualora la precariet fondale
dell'edificio, a causa della quale siano derivati fenomeni di lesionamento strutturale a carico di un appartamento
condominiale, sia dovuta a difetto costruttivo dell'opera, come tale non ascrivibile al condominio.
* Trib. civ. Napoli, sez. IV, 14 giugno 1995, n. 5447, Bonetti c. Condominio di Via Da Caravaggio n. 42 in Napoli,
in Arch. loc. e cond. 1996, 79.
r) Responsabilit concorrente del condominio
L'accertata responsabilit di una ditta incaricata di lavori di riparazione nell'edificio condominiale nella
causazione di un evento dannoso, non esclude la responsabilit concorrente del condominio, qualora il danno
sia derivato da cosa di propriet comune. (Fattispecie relativa ad infiltrazioni di acqua dal canale di scarico della
fognatura del condominio).
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 17 aprile 1989, Intergamma Srl c. Condominio di via Pucci 6, Milano, Societ
Generale di Manutenzione Edile Srl e Italiana Incendio Vita e Rischi Diversi Spa, in Arch. loc. e cond. 1990, 77.
s) Responsabilit dell'amministratore
E' da ritenersi responsabile l'amministratore condominiale per il danno causato dalla tracimazione dei pozzetti di
decantazione delle acque nere e bianche in quanto, ex art. 1130 n. 2 c.c., spetta ad esso il compito di vigilare
sull'uso delle cose comuni da parte dei singoli proprietari.
* Trib. civ. Pordenone, 14 febbraio 1992, Gasparotto c. Stellin, in Arch. loc. e cond. 1993, 127.
t) Responsabilit del locatore
L'obbligo di custodia e la correlativa responsabilit verso i terzi danneggiati ai sensi dell'art. 2051 c.c. non
vengono meno per il proprietario dell'immobile concesso in locazione, permanendo in capo al medesimo un
effettivo potere di controllo dell'immobile locato finalizzato a vigilare sullo stato di conservazione e di efficienza
delle strutture edilizie e degli impianti. Tuttavia, l'operativit nei confronti del proprietario-locatore della
presunzione di responsabilit ex art. 2051 c.c. resta circoscritta nell'ambito dell'anzidetto obbligo di vigilanza e
non si estende alle ipotesi in cui il danno sia stato cagionato da sostanze collocate all'interno dell'immobile
dall'inquilino, in ordine alle quali l'obbligo di custodia grava esclusivamente su quest'ultimo, essendo esclusa
ogni concreta possibilit di controllo da parte del locatore, non essendo configurabile alla stregua della disciplina
del contratto di locazione un rapporto di dipendenza o subordinazione del conduttore al locatore, che cos
privo di correlati poteri di vigilanza sul conduttore. (Nella specie la S.C., affermando il suesposto principio, ha
confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la responsabilit del proprietario locatore per i danni
prodotti a terzi da un incendio causato da materiali altamente infiammabili depositati dall'inquilino nei locali locati
senza idonee precauzioni).
* Cass. civ., sez. III, 28 maggio 1992, n. 6443, Di Martino c. Enasarco.
L'obbligo di custodia e la relativa responsabilit verso i terzi danneggiati non vengono meno per il proprietario
dell'immobile concesso in locazione, essendo la temporanea sottrazione della cosa alla sua disponibilit
compatibile con la permanenza di un potere fisico di controllo sulla unit immobiliare, con il conseguente obbligo
di vigilanza sullo stato di conservazione e sull'efficienza delle strutture edilizie e degli impianti. Ne consegue che
permane a carico del proprietario la presunzione di responsabilit ex art. 2053 c.c., superabile soltanto se
ricorrono gli estremi del caso fortuito e della forza maggiore.
* Trib. civ. Roma, 7 luglio 1999, n. 12628, Botti c. Condominio di via Pigafetta ed altre, in Arch. loc. e cond.
2000, 468.
u) Responsabilit solidale
Dalla compropriet delle cose, dei servizi e degli impianti comuni nascono per i condomini delle obbligazioni
propter rem con la conseguenza che, in particolare, la responsabilit per i danni derivanti alle unit immobiliari in
propriet esclusiva dalle cose comuni grava su tutti i condomini, essendo questi tenuti alla manutenzione delle
cose comuni, con l'obbligo di adottare tutte le cautele idonee a scongiurare i pregiudizi, e quindi, responsabili
ove tali pregiudizi si verifichino.
* Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1994, n. 2454, Perale c. Condominio Maurizio 64.
Nel caso di danno provocato dalla rovina del lastrico solare, parte comune dell'edificio condominiale, tutti i
condomini devono presumersi solidalmente responsabili e, pertanto, il danneggiato ben pu pretendere il
risarcimento da uno solo di essi, senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti degli altri
debitori, i quali non hanno veste di litisconsorti necessari.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 8 giugno 1990, n. 6432, in Arch. loc. e cond. 1991, 134.
v) Scarsa illuminazione
Il condominio non tenuto a risarcire i danni subiti dal condomino, a seguito di caduta avvenuta lungo le scale
condominiali in condizioni di scarsa visibilit per non essere funzionante l'impianto di illuminazione, qualora
questi si sia inoltrato nonostante l'incompleta visibilit, omettendo di procedere con la dovuta attenzione per
affidarsi alla propria cognizione del sito.
* Trib. civ. Roma, sez. V, 16 settembre 1995, n. 11893, Petroni c. Condominio di Via Conca d'Oro n. 284 in
Roma, in Arch. loc. e cond. 1995, 865.
Qualora per la scarsa illuminazione del cortile un terzo non abbia visto un muretto di cm 30 e sia precipitato
lungo il vano scale, il condominio deve essere condannato al risarcimento del danno biologico per complessivi
cinquantadue milioni.
* Trib. civ. Milano 7 novembre 1991, in L'Ammin. 1991, n. 10.
Le catenelle collocate su paletti e pergolati a pochi centimetri dal suolo costituiscono il tipico caso di insidia e
richiedono una particolare illuminazione ed una opportuna segnaletica.
* Trib. civ. Milano 4 aprile 1991, in L'Ammin. 1992, 3, 13.
z) Violenza privata
Nell'ipotesi di uso di violenza fisica e di privazione della libert personale esercitati dall'agente nei confronti di un
coabitante nello stesso stabile condominiale, autore di rumori molesti, al fine di determinarne la cessazione,
sono ravvisabili le ipotesi delittuose di cui agli artt. 605 e 610 cod. pen. e non il reato di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni. (Nella specie stato ritenuto che la violenza privata fosse elemento costitutivo del delitto di
sequestro di persona).
* Cass. pen., sez. V, 31 ottobre 1983, n. 9075 (ud. 4 luglio 1983), Riga.
DANNI PER RITARDATA RESTITUZIONE DELLA COSA LOCATA
SOMMARIO: a) Caratteristiche del contratto; b) Casistica; c) Corrispettivo; d) Controversie; e) Differenze da altri
contratti; f) Pluralit di contraenti; g) Qualit di locatore; h) Rappresentanza; i) Verbale (denuncia del contratto).
a) Caratteristiche del contratto
Seppure il contratto di locazione ha natura personale e prescinde dall`esistenza e titolarit nel locatore di un
diritto reale sulla cosa, essendo sufficiente che egli ne abbia la disponibilit, necessario tuttavia che tale
disponibilit abbia genesi in un rapporto (o titolo) giuridico che comprenda il potere di trasferirne al conduttore la
detenzione e il godimento, con la conseguenza che non pu assumere la qualit di locatore colui che abbia
soltanto la disponibilit di fatto della cosa stessa.
* Cass. civ., sez. III, 25 agosto 1982, n. 4714.
Nessuna norma autorizza presunzioni di sorta - n di segno affermativo, n di segno negativo - sulle possibili
connotazioni di un contratto di locazione (circa le eventuali esigenze abitative che esso inteso a soddisfare)
posto in essere in forma verbale.
* Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2000, n. 4591, Cerbone ed altri c. Franchi.
Il contratto di locazione pu essere provato con testimoni e, quindi, anche con presunzioni.
* Cass. civ., sez. III, 28 settembre 1979, n. 5014.
Poich il contratto di locazione non soggetto alla forma scritta ab substantiam, la novazione soggettiva del
contratto stesso, anche se scritto, pu essere provata con testi, ovvero con elementi deducibili da documenti e
fatti successivi alla sua stipulazione.
* Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 1980, n. 649 in Arch. loc. e cond. 1980, 226.
b) Casistica
Nel contratto di locazione quando il conduttore acquista la detenzione della cosa, che entra cos nell`ambito
della sua disponibilit, su di lui ricadono i rischi inerenti all`utilizzazione di essa, con la conseguenza che, se con
l`attribuzione del godimento della cosa il locatore mette a disposizione del conduttore l`attivit dei suoi
dipendenti per l`utilizzazione della cosa stessa, costoro agiscono come preposti del conduttore, senza che tale
circostanza faccia venir meno la natura di locatio rei propria del rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1999, n. 1127, Molinari c. Silvi.
Il venir meno, per qualsiasi causa, di uno dei titolari del contratto di locazione non costituisce motivo di
risoluzione del contratto nei confronti degli altri conduttori, avendo ciascuno un diritto autonomo al godimento
della cosa, compatibilmente all`uguale godimento degli altri partecipanti, e restando ciascuno, per la stessa
indivisibilit della prestazione, obbligato solidamente nei confronti del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 27 novembre 1972, n. 3458.
In caso di concessione di un bene in locazione ad uno dei comproprietari, venuto a conclusione il rapporto
locatizio per scadenza del termine o per la pronuncia della sua risoluzione per inadempimento del conduttore,
questo - avendo diritto al godimento dello stesso in proporzione della sua quota - non pu essere condannato al
rilascio del bene medesimo agli altri comproprietari, restando invece ai comunisti di disciplinare l`ordinaria
amministrazione della cosa comune senza privare alcuno dei contitolari del bene delle sue facolt di godimento
e cos eventualmente di ricorrere, in caso di persistente disaccordo, all`autorit giudiziaria, ai sensi dell'art. 1105,
ultimo comma, c.c., per la nomina di un amministratore.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1999, n. 6405, Cappucci c. Sommaruga F. ed altri, in Arch. loc. e cond. 1999,
789.
La locazione, da parte di un socio di una societ di persona, ad altro socio della propria quota sociale
ammissibile. (Nella specie l`usufruttuario di una quota sociale, costituita da parte dei locali e dell`azienda
commerciale in essi gestita, aveva locato la stessa ad altro socio. La Corte Suprema ha enunciato il principio
che precede).
* Cass. civ., sez. II, 12 settembre 1970, n. 1401.
La denunzia di un contratto verbale di locazione, avendo finalit meramente fiscali, non attribuisce alle
dichiarazioni in essa contenute valore determinante, potendo le stesse essere liberamente apprezzate dal
giudice attraverso un raffronto critico con le altre risultanze di causa.
* Cass. civ., sez. III, 9 maggio 1985, n. 2896.
Le sole variazioni di misura del canone e la modificazione del termine di scadenza non sono di per s indice
della novazione di un rapporto di locazione, trattandosi di modificazioni accessorie della correlativa obbligazione
o di modalit non rilevanti. Inoltre, la novazione deve essere connotata non solo dall`aliquid novi, ma anche dagli
elementi dell`animus novandi inteso come manifestazione inequivoca dell`intento novativo, e della causa
novandi intesa come interesse comune delle parti all`effetto novativo.
* Cass. civ., sez. III, 19 novembre 1999, n. 12838, Bonina c. De Leito.
Il contratto con il quale si concede una macchina (nella specie, autogru) in godimento, per un certo tempo e
dietro un determinato corrispettivo, non perde i connotati tipici della locazione, per assumere quelli dell`appalto,
per il fatto che la manovra ed il funzionamento della macchina medesima vengano affidati ad un dipendente del
concedente, ove ci non comporti alcuna ingerenza nell`utilizzazione del bene, che rimane a disposizione
dell`altra parte, perch se ne serva per i propri fini, con ampia discrezionalit di iniziativa. In tale situazione,
infatti, le prestazioni inerenti al funzionamento del mezzo non si ricollegano ad un risultato da conseguire a cura
del concedente, con propria organizzazione ed a proprio rischio, ma assumono carattere meramente accessorio
e strumentale rispetto al godimento del bene, che resta l`oggetto principale del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 20 luglio 1977, n. 3249.
Qualora un`associazione, con finalit di assistenza morale e materiale in favore di coloro che si trovino in
determinate condizioni di bisogno (nella specie, associazione cattolica internazionale al servizio della giovane),
conferisca ad una di dette persone il godimento di una stanza in proprio fabbricato, la revocabilit "ad nutum" di
tale concessione non pu essere esclusa, sotto il profilo della ricorrenza di un rapporto tipico di locazione, per il
solo fatto del versamento periodico di una certa somma da parte del beneficiario di quella stanza, poich
l`affermazione del rapporto locativo postula che la suddetta somma configuri controprestazione dell`obbligo del
concedente di garantire il godimento del bene, e non anche, pertanto, mero rimborso di spese nell`ambito di un
comodato o di una concessione gratuita in uso, ovvero mero onere nell`ambito di una locazione atipica e
precaria.
* Cass. civ., sez. III, 25 marzo 1985, n. 2091.
Un contratto misto, con cui una parte si obbliga a dare in godimento un impianto per l`erogazione di carburante,
e l`altra si obbliga a fornire carburante in esclusiva ed a prezzo ridotto, ha i caratteri della locazione e della
somministrazione, ma non del comodato, non essendo concesso il godimento della cosa a titolo gratuito.
Pertanto ad esso applicabile la disciplina degli artt. 1578 e 1581 c.c. per i vizi della cosa.
* Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 1977, n. 580, in Arch. civ. 1977, 401.
L`acquirente di un immobile locato da considerare terzo rispetto al contratto di locazione intervenuto fra il suo
dante causa venditore ed il conduttore dell`immobile. Consegue, che l`acquirente il quale agisce per la
dichiarazione della simulazione del contratto di locazione, in quanto terzo pu, a norma dell`art. 1417, fornire la
prova della simulazione anche per mezzo di presunzioni.
* Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 1999, n. 721, Redeghieri c. Immobiliare di Gargioni F. & C. Snc.
La normativa della legge (sull`equo canone) 27 luglio 1978, n. 392, non trova applicazione per quelle
convenzioni in cui al godimento dell`immobile si accompagni la fornitura di servizi di natura genericamente
alberghiera o "personali" (dazione, cambio e lavaggio della biancheria da letto e da bagno e somministrazione di
riscaldamento, luce, acqua e simili), atteso che in tali ipotesi - sempre che non sia ravvisabile un rapporto di
affittacamere per l`assenza di organizzazione e professionalit, dell`abitualit della fornitura a terzi di camere e
servizi relativi e del requisito della precariet e brevit dei soggiorni - si configura un contratto da ricomprendere
tra quelli "d`alloggio" come contratto atipico avente ad oggetto la concessione di un`ospitalit onerosa
"pensione" con imprescindibile e qualificante prestazione, sia pure in forma "familiare", dei servizi su indicati.
* Cass. civ., sez. III, 12 giugno 1984, n. 3493.
Nell`ipotesi di inadempienza ad un preliminare di locazione da parte del promittente locatario, cui sia seguita la
stipula di un nuovo contratto di locazione a condizioni meno favorevoli, il lucro cessante in favore del locatore
non va in ogni caso e quasi automaticamente calcolato nella differenza tra l`importo del canone locatizio
stipulato con il promittente inadempiente e quello stipulato con il nuovo conduttore ma in base all`effettiva
diminuzione dell`utile che il locatore avrebbe ricavato dalla stipula del contratto definitivo, previsto nel
preliminare, in relazione cio non soltanto all`importo dei canoni locatizi ma all`economia generale dei due
contratti ed al complesso delle obbligazioni rispettivamente assunte dalle parti.
* Cass. civ., sez. III, 19 agosto 1971, n. 2561.
La mancanza dei requisiti di abitabilit previsti dalla legge non determina la nullit del contratto di locazione di
un immobile per uso abitativo per impossibilit dell`oggetto, se non ne impedisca concretamente in modo
assoluto il godimento, sia pure con difficolt e disagi per il conduttore.
* Cass. civ., sez. I, 5 ottobre 2000, n. 13270, Biondi c. Amm. autonoma Monopoli di Stato in Arch. loc. e cond.
2000, n. 6.
Non sussiste nell`ordinamento un divieto per le parti di un contratto di attribuire ad esso efficacia retroattiva in
modo da regolamentare i rapporti di fatto tra loro esistenti. Pertanto, le parti che possono liberamente
determinare il contenuto di un contratto tipico nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 c.c.) possono attribuire
efficacia retroattiva ad un contratto di locazione da loro stipulato disponendo che il rapporto derivante da detto
contratto vada considerato iniziato da una data anteriore alla sua conclusione. N tale possibilit di dare effetto
retroattivo al contratto pu ritenersi esclusa per essersi verificata la situazione illecita di mora prevista dall`art.
1591 c.c., non sussistendo nell`ordinamento il divieto per le parti di disciplinare contrattualmente gli effetti di un
inadempimento e/o di considerare regolare una situazione di fatto non conforme a diritto.
* Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 2000, n. 15530, Siracusano c. Ministero delle Finanze, in Arch. loc. e cond.
2001, 147.
c) Corrispettivo
Il corrispettivo a carico del conduttore nel contratto di locazione pu essere costituito anche, in parte, da
un`attivit lavorativa resa in favore del locatore, non dissimilmente dall`ipotesi in cui il godimento di un locale pu
costituire parte della retribuzione del lavoratore in un rapporto di lavoro subordinato. La distinzione tra le due
ipotesi consiste nella diversa importanza della prestazione lavorativa nell`economia del contratto. (Nella specie
la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice del merito che aveva ritenuto che tra le parti fosse stato posto in
essere non gi un rapporto di lavoro subordinato, bens un rapporto atipico che prevedeva l`obbligo per un
soggetto di svolgere l`attivit di verifica dell`ingresso e dell`uscita dei fruitori di un`area di parcheggio e
rimessaggio con esazione del prezzo del servizio a fronte del diritto per il medesimo soggetto di godimento di un
appartamento sito nella medesima area).
*Cass. civ., sez. lav., 29 dicembre 1998, n. 12871, Carbone c. Curatela Eredit giacente Chieco.
Il corrispettivo della locazione pu consistere in cose diverse dal denaro ed essere rappresentato da utilit di
varia natura, ma pur sempre necessario che ricorra il duplice requisito della sua determinatezza (o, almeno,
della determinabilit) e del suo carattere obbligatorio, nel senso che esso non pu essere costituito da
prestazioni che trovino la loro causa in ragioni diverse (di convenienza, di opportunit, di liberalit, di cortesia)
non caratterizzate dalla forza cogente di un rapporto contrattuale.
* Cass. civ., sez. III, 14 novembre 1977, n. 4937, in Arch. civ. 1978, 484.
Per la validit della locazione non necessario che il corrispettivo dovuto dal conduttore sia determinato, ma
sufficiente che sia determinabile, in applicazione di criteri o sulla base di elementi precostituiti, vale a dire fissati
nell`atto stesso della stipulazione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 18 aprile 1975, n. 1484.
Il rilascio di quietanze per somme pagate a titolo di pigione non costituisce, di per s, prova della sussistenza di
un contratto di locazione, essendo idonee, per il loro carattere unilaterale, soltanto ad indicare l`autore del
pagamento ed il quantum ricevuto.
* Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1989, n. 2207, Faustini c. Angilella.
Non si pu presumere il carattere gratuito dell`uso di un immobile di propriet del datore di lavoro accordato al
lavoratore e costituisce onere di quest`ultimo provare l`eventuale esistenza di un rapporto di comodato. (Nella
specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che, sulla base di una situazione di incertezza probatoria,
aveva escluso la detraibilit, dalle somme dovute al lavoratore per differenza retributiva ex art. 36 Cost., del
corrispettivo dovuto per l`uso dell`abitazione).
* Cass. civ., sez. lav., 7 novembre 2000, n. 14472, Stortoni c. Di Bu, in Arch. loc. e cond. 2001, 78.
d) Controversie
Nelle controversie aventi ad oggetto i diritti nascenti da un contratto di locazione, elemento costitutivo della
pretesa del locatore la disponibilit del bene locato. Tale disponibilit deve essere legittima, concreta ed attuale,
ed - in caso di contestazione da parte del conduttore convenuto - deve essere dimostrata dal locatore. Questo
principio trova applicazione anche nell`ipotesi in cui locatore e conduttore, concluso un contratto di transazione
avente ad oggetto i rispettivi obblighi sorti dalla locazione, controvertano in giudizio sulla validit delle
obbligazioni sorte dalla transazione.
* Cass. civ., sez. III, 7 novembre 1996, n. 9711, Cirillo c. Camilli ed altro.
Nelle controversie relative al rapporto di locazione, come quella per recesso del locatore ex art. 59 della L. 27
luglio 1978, n. 392 (sull`equo canone), l`indagine sulla legittimazione attiva attiene, non alla qualit di
proprietario del bene, ma a quella di locatore, che non deve necessariamente identificarsi con la persona del
proprietario.
* Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 1983, n. 358.
Il conduttore risponde quale custode a norma dell`art. 2051 c.c. dei danni che la cosa locata abbia cagionato a
terzi (compreso in essi il locatore, se danneggiato in altra sua cosa o nella persona) e si libera da tale
responsabilit solo dando la prova del fortuito, che pu anche consistere nella dimostrazione che il fattore
determinante il danno ha riguardato strutture o apparati dell`immobile sottratti alla disponibilit dello stesso
conduttore ed estranei, quindi, alla sfera dei suoi poteri e doveri di vigilanza.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2001, n. 782, Carlone c. Soc. Flep, in Arch. loc. e cond. 2001, 220.
e) Differenze da altri contratti
La differenza tra locazione di immobile con pertinenze e affitto di azienda consiste nel fatto che, nella prima
ipotesi l`immobile concesso in godimento viene considerato specificamente, nell`economia del contratto, come
l`oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed
assorbente rispetto agli altri elementi, i quali (siano essi legati materialmente o meno all`immobile) assumono
carattere di accessoriet e rimangono collegati all`immobile funzionalmente, in posizione di subordinazione e
coordinazione. Nell`affitto di azienda, invece, l`immobile non viene considerato nella sua individualit giuridica,
ma come uno degli elementi costitutivi del complesso di beni mobili ed immobili, legati tra di loro da un vincolo di
interdipendenza e complementariet per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicch l`oggetto del
contratto costituito dall`anzidetto complesso unitario.
* Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2000, n. 1243, Zanin c. Innocente.
Il criterio discretivo tra locazione di immobile ad uso non abitativo e affitto d`azienda fondato, rispettivamente,
sulla valenza assorbente ed esclusiva dell`immobile nel primo caso e, viceversa, sulla sua considerazione
funzionalmente paritaria e complementare con gli altri beni organizzati per l`azienda, nel secondo caso.
* Cass. civ., sez. III, 2 agosto 2000, n. 10106, Savina c. Pelizzi Faro di Pelizzi Ivan e Giuseppe, in Arch. loc. e
cond. 2000, n. 5.
Al fine di stabilire la sussistenza di un rapporto di comodato ovvero di locazione, occorre mettere a confronto i
sacrifici ed i vantaggi che dal negozio derivano rispettivamente alle parti, con contenuto di equivalenza sullo
stesso piano, cosicch il carattere di essenziale gratuit del comodato non viene meno se vi inserisce un modus
posto a carico del comodatario, mentre cessa se il vantaggio fornito da questi si pone come corrispettivo del
godimento della cosa con natura di controprestazione.
* Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1984, n. 2151.
Ogni qualvolta che per il godimento di un bene sia stata pattuita una controprestazione di qualsiasi natura, forma
o misura, si realizzano gli estremi di un rapporto locatizio e non di un comodato.
* Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 1975, n. 276.
Qualora insieme alla merce il venditore consegni al compratore recipienti che sono destinati ad essere restituiti
ad uso avvenuto, sorge, accando al rapporto di vendita, un rapporto accessorio, ma autonomo, che pu
considerarsi una locazione, qualora risulti conglobato nel prezzo della merce anche il canone di noleggio, e pu
invece essere un comodato, ove manchi il corrispettivo. In ogni caso l`obbligazione di restituire sorge nel
momento e nel luogo in cui il recipiente ha adempiuto la sua funzione di raccolta e conservazione; onde la
competenza relativa all`azione tendente ad ottenere l`adempimento dell`obbligazione di restituzione dei
recipienti, ovvero al risarcimento dei danni per la mancata o incompleta restituzione si radica nel luogo di
consegna dei recipienti stessi.
* Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1970, n. 87.
L`affitto di azienda si differenzia dalla locazione di immobile con pertinenze perch in esso l`immobile non
considerato nella sua consistenza effettiva e nella sua individualit giuridica, ma costituisce uno dei beni del
complesso unitario destinato al perseguimento di un determinato scopo produttivo, anche se la azienda, nel
momento della conclusione del contratto, non sia ancora in grado di funzionare ovvero richieda una diversa e
pi efficiente organizzazione rispetto alla struttura preesistente.
* Cass. civ., sez. III, 26 luglio 1986, n. 4809.
Si versa in ipotesi di affitto di azienda alberghiera quando l`immobile non considerato nella sua individuabilit
giuridica, ma viene a costituire uno dei beni aziendali in rapporto di complementariet e di interdipendenza con
gli altri elementi in vista del fine economico perseguito dall`imprenditore, non rilevando che, al momento della
conclusione del contratto, l`azienda non sia ancora in grado di funzionare per mancanza di alcuni suoi elementi;
si versa, invece, in ipotesi di locazione di immobile adibito ad attivit alberghiera, quando l`immobile conserva la
natura di cosa principale oggetto del contratto ed attrae ed assorbe gli altri elementi, che assumono carattere di
accessoriet, in quanto, pur se non siano materialmente legati all`immobile s da perdere la propria individualit
economica, vi siano funzionalmente collegati in posizione di subordinazione e di coordinazione. Accertare se nel
caso concreto ricorra l`una o l`altra figura rientra nei compiti riservati al giudice del merito, il quale deve
procedere ad una duplice indagine, interpretando, da un lato, la comune intenzione dei contraenti, ed avendo
riguardo, dall`altro, all`obiettiva consistenza dei beni dedotti in contratto.
* Cass. civ., sez. III, 2 marzo 1984, n. 1498.
La cessione del godimento di un locale, adibito ad esercizio commerciale, pu integrare affitto d`azienda,
ovvero locazione d`immobile munito di pertinenze, secondo che, alla stregua dell`effettiva e comune intenzione
delle parti, in relazione alla consistenza del bene e ad ogni altra circostanza del caso concreto, risulti che
l`oggetto del contratto sia un`entit organica e capace di vita economica propria, della quale l`immobile configuri
una mera componente, in rapporto di complementariet ed interdipendenza con gli altri elementi aziendali,
ovvero sia in via principale l`immobile medesimo, ancorch dotato d`accessori, come entit non produttiva.
* Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1980, n. 2132, in Arch. loc. e cond. 1980, 202.
Si ha locazione di immobile quando questo sia stato specificamente considerato nella sua effettiva consistenza,
con funzione prevalente rispetto ad altri beni che abbiano carattere accessorio e non siano collegati fra loro da
un vincolo che li unifichi ai fini produttivi; ricorre invece l`affitto di azienda quando oggetto del contratto sia il
complesso unitario di tutti i beni mobili ed immobili, materiali ed immateriali concessi in godimento in quanto
organizzati per la produzione di beni e di servizi. Ai fini dell`individuazione, nel caso concreto, dell`una o
dell`altra figura di contratto, il giudice deve procedere ad una duplice indagine, interpretando, da un lato, la
comune intenzione delle parti contraenti ed avendo riguardo, dall`altro, all`obiettiva consistenza dei beni dedotti
in contratto.
* Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 1987, n. 1069.
L`attivit di affittacamere, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, ne presenta
analoga natura, in quanto richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle
necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto
del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno (con caratteristiche professionali e finalit
speculative), pur a prescindere dal conseguimento o meno della prescritta licenza amministrativa. In difetto di
tale ultimo requisito, pertanto, quella cessione non pu essere ricondotta nell`ambito dell`indicata attivit (n
quindi sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo).
* Cass. civ., sez. III, 25 gennaio 1991, n. 755.
L`art. 1 comma nono septies del D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, conv., con modificazioni, in L. 5 aprile 1985, n. 118,
ai sensi del quale si ha locazione di immobile ad uso alberghiero (come tale assoggettata alla disciplina degli
artt. 27-42 della L. 27 luglio 1978, n. 392), e non affitto di azienda, quando l`attivit alberghiera sia stata iniziata
dal conduttore, opera, a norma del successivo comma nono octies, anche con riguardo ai rapporti in precedenza
costituiti, se siano in atto (pure solo sul piano fattuale) alla data di entrata in vigore di detta legge di conversione
(24 aprile 1985). Per tali rapporti, pertanto, la questione della ricorrenza dell`una o dell`altra delle indicate ipotesi
contrattuali, ove ancora sub iudice, resta vincolata allo ius superveniens, di modo che, in caso di attivit
alberghiera iniziata dal cessionario, deve essere necessariamente risolta nel senso della locazione, a
prescindere da ogni indagine sull`intenzione delle parti contraenti o sull`obiettiva consistenza dei beni dedotti in
contratto.
* Cass. civ., sez. III, 2 luglio 1991, n. 7253, Pizzoli c. S.p.A. Immobiliare Arca.
Poich la normale onerosit incompatibile con la nozione generale della locazione a norma dell`art. 1571 c.c.,
non si pu presumere il carattere gratuito dell`uso di un immobile di propriet del datore di lavoro accordato al
lavoratore e costituisce onere di quest`ultimo provare l`eventuale esistenza di un rapporto di comodato. (Nella
specie al S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che, sulla base di una situazione di incertezza probatoria,
aveva escluso la detraibilit, dalle somme dovute al lavoratore per differenza retributiva ex art. 36 Cost., del
corrispettivo dovuto per l`uso dell`abitazione).
* Cass. civ., sez. lav., 7 novembre 2000, n. 14472, Stortoni c. Di Bu, in Arch. loc. e cond. 2000, n. 6.
f) Pluralit di contraenti
Qualora il conduttore di un bene immobile acquisti in costanza del rapporto la propriet di una quota pro indiviso
del bene locato, si verifica la contemporanea condizione di comproprietario-locatario del bene comune o di parte
di esso, con la conseguenza che il conduttore viene a disporre della res locata, in parte, in virt del pregresso
titolo obbligatorio locatizio, in parte, in base all`assunta nuova qualit di proprietario, mentre il rapporto di
locazione estinto parzialmente per avvenuta confusione nello stesso soggetto delle anzidette qualit di
conduttore e locatore continua a sussistere tra gli altri condomini originari ed il nuovo comproprietario sempre in
veste di conduttore, vincolato quanto alla durata del contratto e alla destinazione d`uso del bene secondo le
pregresse pattuizioni. Ne deriva altres che il comproprietario locatore pu validamente esperire l`azione di
risoluzione del contratto per intervenuta scadenza ai sensi dell`art. 1103 c.c.
* Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2000, n. 12870, Bastogi SpA c. La Rosa in Arch. loc. e cond. 2000, n. 6.
Nelle vicende del rapporto locatizio, l`eventuale pluralit di locatori integra una parte unica, nel cui interno i
diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione.
Conseguentemente, ciascuno dei condomini-locatori pu svolgere le azioni che derivano dal contratto,
presumendosi il consenso degli altri alla proposizione dell`azione giudiziaria e salva la possibilit per costoro,
ove rappresentino nell`ambito della comunione una quota maggioritaria, di opporsi all`azione medesima; mentre,
in caso di quote eguali e di dissenso tra i condomini, necessario il preventivo intervento dell`autorit giudiziaria
ex art. 1105 c.c.
* Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 1985, n. 158.
Nel caso in cui pi soggetti siano titolari, quali conduttori, della locazione di un immobile ed abbiano tra loro
convenuto le modalit di utilizzazione dello stesso, non consentito ad alcuno di essi di chiedere al giudice di
stabilire giudizialmente le modalit di godimento per ciascuno dei conduttori, atteso che in tal caso non sono
applicabili le norme sulla compropriet, riguardando una comunione di interessi che scaturisce dalla contitolarit
di un rapporto di natura meramente obbligatoria non solo nei confronti del locatore, ma anche nei loro rapporti
interni, che pu essere modificato soltanto con il consenso di tutti.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1990, n. 11, Denaro c. Farina.
Con riguardo alla locazione di immobile, che sia poi pervenuto, per successione al locatore, a diversi eredi, il
diritto del singolo erede di conseguire la risoluzione del rapporto limitatamente alla propria porzione, deve
essere negato qualora la prestazione fissata con l`originario contratto abbia carattere indivisibile, alla stregua
dell`unitaria funzione assegnata dalle parti al contratto stesso, atteso che, in tale ipotesi, detta indivisibilit opera
anche nei riguardi degli eredi, ai sensi dell`art. 1318 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 11 aprile 1987, n. 3611.
g) Qualit di locatore
Poich, nel rapporto di locazione, si prescinde dalla titolarit del diritto di propriet o di usufrutto del locatore
sull`immobile - essendo sufficiente, in relazione all`obbligazione principale da lui assunta di consentire al
conduttore l`uso ed il godimento dell`immobile stesso, che egli abbia la disponibilit del bene - spetta allo stesso
la legittimazione ad agire per tutte le questioni che concernano la costituzione, lo svolgimento e la cessazione
del rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1983, n. 2973, Lambiase c. Sica.
Poich per l`assunzione della qualit di locatore non necessario essere proprietario della cosa locata, ma
sufficiente averne la disponibilit, non pu il conduttore contrastare la pretesa del locatore di pagamento dei
canoni negando il diritto di propriet di quest`ultimo sulla cosa stessa.
* Cass. civ., sez. II, 18 maggio 1985, n. 3060.
Chiunque abbia la disponibilit di fatto di una cosa in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico
(esclusi, cio, il ladro, il ricettatore, l`usurpatore di immobile, etc.) pu validamente concederla in locazione, in
comodato o costituirvi altro rapporto obbligatorio ed , di conseguenza, legittimato a richiederne la restituzione
allorch il rapporto venga a cessare.
* Cass. civ., sez. II, 13 luglio 1984, n. 4119.
h) Rappresentanza
Tra i partecipanti alla comunione esiste un reciproco rapporto di rappresentanza, in virt del quale ciascuno di
essi pu procedere alla locazione della cosa comune ed agire per la cessazione o la risoluzione del contratto e
la consegna del bene locato, anche nell`interesse degli altri partecipanti alla comunione, trattandosi di atti di utile
gestione rientranti nell`ambito dell`ordinaria amministrazione della cosa comune, per i quali da presumere,
salvo prova contraria, che il singolo comunista abbia agito anche con il consenso degli altri.
* Cass. civ., sez. III, 26 marzo 1983, n. 2158.
i) Verbale (denuncia del contratto)
La denuncia di contratto verbale di locazione ha finalit di ordine puramente fiscale e non ha altro valore se non
quello di una mera dichiarazione della parte che l`ha fatta: ci non esclude, tuttavia, che essa possa offrire al
giudice elementi di convincimento circa l`esistenza del contratto, non solo quando il suo contenuto non sia
contestato dall`altra parte, ma anche quando, nonostante la contestazione, essa risulti effettuata in epoca
ritenuta non sospetta dal giudice del merito.
* Cass. civ., sez. III, 18 aprile 1984, n. 2507. Conforme, Cass. civ., sez. III, 30 aprile 1979, n. 2511.
La denunzia di un contratto verbale di locazione avendo finalit meramente fiscali, deve, in una controversia fra
privati, essere liberamente valutata come dichiarazione di parte in un raffronto critico con gli altri elementi
probatori acquisiti alla causa, e ci anche nell`ipotesi in cui chi l`ha sottoscritta e redatta abbia dichiarato fatti a
s sfavorevoli e favorevoli alla controparte, dovendo escludersi che in tale atto, attesa la specificit dello scopo
che lo caratterizza, sia configurabile una confessione stragiudiziale, mancando nel dichiarante la
consapevolezza e la volont di porre in essere una attestazione della verit dei fatti utilizzabili tra le parti nei
rapporti contrattuali.
* Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 1997, n. 1100, Mendola c. Sacco.
La denuncia di un contratto verbale di locazione all`ufficio del registro ha finalit di solo ordine fiscale, sicch la
stessa, quand`anche sottoscritta da entrambe le parti contraenti e quand`anche annualmente ripresentata al
fisco, una volta prodotta in giudizio e contestata dalla controparte, non idonea, in s, a provare che una
pregressa convenzione scritta di locazione pluriennale sia stata novata con accordi di diverso contenuto.
* Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2000, n. 329, Picco Mariagrazia ed altro c. Toffolo.
DEPOSITO CAUZIONALE
La controversia relativa alla restituzione del deposito cauzionale diversa da quella per la quale previsto il rito
speciale e va devoluta al giudice competente ratione valoris secondo i principi generali.
* Pret. civ. Molfetta, 3 aprile 1987, n. 44, La Forgia c. Sciancalepore. in Arch. loc. e cond. 1987, 561.
Il terzo acquirente dellimmobile locato subentra, ai sensi dellart. 1602 c.c., nei diritti e nelle obbligazioni
derivanti dal contratto di locazione e cos anche nellobbligazione accessoria di restituzione del deposito
cauzionale versato dal conduttore, a nulla rilevando la mancata consegna del relativo importo da parte
delloriginario locatore.
* Pret civ. Milano, 18 luglio l989, Collini c. La Via e Fiscella, in Arch. loc. e cond. 1991, 188.
Esauritosi il rapporto di locazione e avendo il conduttore provveduto al pagamento dei canoni dovuti e alla
consegna dellimmobile, il locatore non pu trattenere il deposito cauzionale versato dal conduttore a garanzia
delle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione, eccependo la mancata restituzione di mobili lasciati dal
locatore nellimmobile e concessi al conduttore in comodato mediante un diverso ed autonomo rapporto
giuridico.
* Pret. civ. Milano, 18 luglio 1989, Collini c. La Via e Fiscella, in Arch. loc. e cond. 1991, 188.
In tema di locazione, lobbligazione del locatore di restituire il deposito cauzionale versato dal conduttore, a
garanzia degli obblighi contrattuali, sorge al termine della locazione non appena avvenuto il rilascio dellimmobile
locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma anche dopo il rilascio dellimmobile da parte
del conduttore, senza proporre domanda giudiziale per lattribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura
di specifici danni subiti, la sua obbligazione di restituzione ha per oggetto un credito liquido ed esigibile, che
legittima il conduttore ad ottenere decreto ingiuntivo. In tal caso i diritti del locatore potranno essere fatti valere in
sede di opposizione allingiunzione, sempre che la sua pretesa sia compresa nei limiti della competenza del
giudice che ha emesso il decreto.
* Cass. civ., sez. III, 9 novembre 1989, n. 4725, Pascalino c. Argenti.
La omma versata a titolo di deposito cauzionale - conservando la funzione di garanzia in ordine
alladempimento, da parte del conduttore, di tutte le obbligazioni sorgenti dal contratto, sino al momento
della risoluzione del rapporto - diventa esigibile solo da questo momento.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 8 febbraio 1990, n. 1018, Golia c. Vicini, in Arch. loc. e cond. 1991, 339.
In tema di locazioni di immobili urbani, il patto contrattuale che preveda il versamento del deposito cauzionale su
libretto di risparmio intestato al conduttore con capitalizzazione degli interessi affetto da nullit rilevabile anche
dufficio dal giudice, ex art. 79, L. n. 392/1978, nei limiti in cui da esso consegua un trattamento deteriore per il
conduttore rispetto a quello stabilito dall art. 11 della stessa legge, per il quale il deposito cauzionale "
produttivo di interessi legali che debbono essere corrisposti al conduttore alla fine di ogni anno".
* Pret. civ. Milano, 20 aprile 1990, Bollati c. Gasparini, in Arch. Ioc. e cond. 1990, 579.
nulla la clausola di un contratto di locazione avente ad oggetto limposizione al conduttore di un secondo
deposito cauzionale.
* Trib. civ. Roma, sez. III, 11 giugno 1990, Carnevali e altri c. S.p.A. Immob. Salce, in Arch. loc. e cond 1990,
749.
In tema di locazioni di immobili urbani, lart. 11 della L. 27 luglio 1978 n. 392 - il quale, disponendo che il
deposito cauzionale non pu essere superiore a tre mensilit del canone produttive di interessi legali da
corrispondere al conduttore alla fine di ogni anno, ha abrogato per incompatibilit, ai sensi del successivo art.
84, lart. 4 della L. 22 dicembre 1973 n. 841, statuente che il deposito cauzionale non poteva essere superiore a
due mensilit del canone e doveva essere depositato su conto bancario vincolato - pur applicandosi come jus
superveniens, a decorrere dallentrata in vigore della citata legge n. 392 del 1978, non solo ai rapporti di nuova
costituzione ma anche a quelli in corso, in regime transitorio, non pu trovare applicazione con riferimento a quei
contratti per i quali, sempre alla data di entrata in vigore della legge sia in corso un giudizio, poich a questi
rapporti continuano ad applicarsi le leggi precedenti (nella specie il citato art. 4 della legge n. 841 del 1973), ai
sensi dellart. 82 della legge n. 392 del 1978, il quale si riferisce sia alla disciplina sostanziale che a quella
processuale in materia di locazioni urbane.
* Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1990, n. 7580, Fondi c. Rancati.
Possono essere considerate nulle, ai sensi del combinato disposto degli artt. 79 e 11, L. n. 392/1978, soltanto le
clausole tendenti a costituire forme di garanzia assimilabili (quanto al contenuto ed alloggetto) al deposito di cui
al citato art. 11, limitatamente alla parte eccedente la misura ivi fissata; ne deriva che deve affermarsi la piena
validit della clausola che preveda lobbligo del conduttore di fornire garanzia fidejussoria, atteso che, cos
formulata, lobbligazione non comporta necessariamente, per il conduttore stesso, quella privazione di mezzi
finanziari, che il citato art. 11, intende sanzionare.
* Trib. civ. Verona. sez. III, 22 agosto 1990, n. 1401, Impresa Coltri Prefabbricati c. Ditta Metalveneta, in Arch.
loc. e cond. 1990, 742.
La somma versata dal conduttore al locatore a garanzia del pagamento del canone, della restitutio in integrum e
per la copertura degli aumenti previsti e prevedibili del canone per effetto degli scatti ISTAT, sintende versata a
titolo di deposito cauzionale (e non a fondo perduto) e leventuale vertenza relativa allattribuzione di detta
somma assoggettata alla disciplina ordinaria della competenza per valore.
* Trib. civ. Napoli, sez. VI, 29 dicembre 1990, n. 13562, Marseglia c. Marino. in Arch. loc. e cond. 1991, 605.
Il mancato versamento del deposito cauzionale motivo di risoluzione del contratto locatizio.
*Trib. civ. Brescia, sez. III, 17 febbraio 1992, Mori c. Bianchi, in Arch. loc. e cond. 1992, 362.
Sono valide le clausole di pagamento anticipato del canone annuo di locazione degli immobili urbani per uso
non abitativo, soggetti al regime della legge sullequo canone, non essendo applicabile il divieto dellart. 11 di
tale legge, che si riferisce esclusivamente al deposito cauzionale, n la disposizione dellart. 2 ter. della L. 12
agosto 1974, n. 351 (che commina la nullit delle clausole di pagamento anticipato del canone per periodi
superiori a tre mesi) che stata implicitamente abrogata non essendo compatibile con la libert di
determinazione del canone locativo degli immobili per uso non abitativo consentita alle parti dalla legge sullequo
canone.
* Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1992, n. 6247, Carbone c. De Grecis Ville Arredamenti Srl.
In materia di locazione di immobili urbani il diritto del conduttore di ottenere la restituzione del deposito
cauzionale si prescrive nel termine ordinario decennale, atteso che la funzione di mera garanzia del suddetto
relativa al preavviso di rilascio, con la conseguenza che il locatore pu far cessare il rapporto alla prima
scadenza, anche in assenza dei motivi indicati nel successivo art. 29 e richiamati dal secondo comma dell'art.
28, in presenza di regolare disdetta.
* Pret. civ. Lecco, 14 ottobre 1996, n. 422, Gilardi c. Circolo lavoratori Endas.
I contratti di locazione di cui all'art. 42 della L. n. 392 del 1978, i quali hanno un regime giuridico diverso rispetto
a quello dei contratti ad uso abitativo o di quelli per uso diverso, godono di una tutela attenuata rispetto agli altri;
infatti a tali contratti applicabile il solo comma primo dell'art. 28 della legge citata e non anche il secondo,
sicch la disdetta risulta essere di per s sufficiente a produrne la cessazione alla normale scadenza del
contratto.
* Trib. Roma, sez. II, 22 marzo 1986, n. 4338, Vernarelli c. Universit degli Studi di Roma.
Alla prima scadenza dei contratti di locazione di immobili adibiti alle attivit di cui all'art. 42 L. n. 392/1978,
sufficiente ad impedire il rinnovo del contratto la mera disdetta di cui all'art. 28, legge citata, non richiedendosi
che essa sia motivata in base all'art. 29.
* Pret. Firenze, 17 maggio 1988, Istituto Gould c. Tosques.
I contratti di locazione di cui all'art. 42 della L. n. 392/1978 hanno la durata minima, prevista dall'art. 27 primo
comma della medesima legge, di sei anni. Anche a tali contratti si applicano gli istituti della rinnovazione
automatica e del diniego di rinnovazione di cui, rispettivamente, agli artt. 28 e 29 della legge sull'equo canone.
* Trib. Milano, sez. X, 7 settembre 1987, n. 7464, Aiazzi c. Ussl 75/10 - Comune di Milano.
Deve ritenersi che rispetto ai contratti considerati nell'art. 42 della legge n. 392 del 1978 non trovino applicazione
le norme relative al diritto di prelazione in caso di vendita o di nuova locazione dell'immobile.
* Corte app. Catanzaro, sez. I, 23 maggio 1985, n. 130, Minervini c. Amm. Prov. Cosenza.
In base al disposto dell'art. 42 della legge 392/78, che estende ai rapporti ivi considerati l'applicazione di alcuna
delle norme dettate per le locazioni di immobili destinati all'esercizio di attivit economiche di cui all'art. 27 della
stessa legge, onere del conduttore provare che l'immobile oggetto del contratto concretamente adibito ad
una delle particolari attivit elencate dalla norma, non essendo a tal fine sufficiente il generico richiamo alle
finalit istituzionali del conduttore.
* Corte app. Potenza, 27 gennaio 1982, Ente Sviluppo Agricolo Basilicata c. Palese.
Il richiamo contenuto nell'ultima parte dell'art. 15 bis della legge n. 94 del 1982 (c.d. Nicolazzi bis) non pu
essere inteso come applicazione di ulteriore proroga a tutti i contratti rientranti nella previsione dell'art. 42 della
legge 392 del 1978; il richiamo stesso deve intendersi limitato nell'ambito dello stesso articolo, nel senso che la
ulteriore proroga biennale si applica a quei particolari contratti, previsti dall'art. 42 della L. 392/78 che, per
quanto attiene alla durata nel periodo transitorio, sono regolati dalle disposizioni degli artt. 67 e 70 della stessa
legge.
* Trib. Roma, 9 gennaio 1984.
IL DINIEGO DI RINNOVAZIONE DEL CONTRATTO ALLA PRIMA SCADENZA
SOMMARIO: a) Albergo; b) Ambito di operativit; c) Attivit commerciale; d) Coltivatore diretto; e) Controversie;
f) Enti pubblici; g) Farmacia; h) Forma della disdetta; i) Impresa familiare; l) Onere della prova; m) Porzione di
mmobile; n) Restauro; o) Ricostruzione; p) Ristrutturazione; q) Seriet dell`intento del locatore; r) Societ di
persone; s) Specificazione dei motivi; t) Strumenti urbanistici; u) Tempestivit della disdetta; v) Terzo acquirente;
z) Utilizzazione parziale.
a) Albergo
Ad una locazione ad uso alberghiero sorta nell`anno 1938 e, quindi, soggetta al regime transitorio, non sono
applicabili gli artt. 29 e 59 della L. 392/78; conseguentemente, nessuna motivazione di diniego del rinnovo
occorre che i locatori diano con l`intimazione di finita locazione.
* Trib. civ. Torre Annunziata, sez. stralcio, 11 maggio 2001, n. 971, D`Anna L. ed altri c. Ercolano G. ed altri, in
Arch. loc. e cond. 2002, 188.
In tema di recesso dal contratto di locazione, l`art. 29, secondo comma, della L. 27 luglio 1978 n. 392, in materia
alberghiera, ha natura speciale rispetto al primo comma e contiene una regolamentazione autonoma rispetto
alla generalit degli immobili adibiti ad uso diverso dall`abitazione; ne consegue che solo nelle specifiche ipotesi
ivi previste, e cio, in caso di ristrutturazione dell`immobile, ferma restando la destinazione alberghiera, o di
apporto allo stesso di notevoli migliorie tali da aumentarne la capacit ricettiva, o comunque da determinare il
passaggio dell`azienda ad una categoria superiore, qualora l`immobile sia oggetto di intervento sulla base di un
programma comunale di attuazione ai sensi delle leggi vigenti, o, infine, in caso di esercizio diretto della attivit
alberghiera possibile per il proprietario ottenere la disponibilit dell`immobile, restando esclusa la possibilit di
esercitare la facolt di far cessare tale locazione per necessit abitativa contemplata, per gli altri immobili adibiti
ad uso diverso dall`abitazione, dalla lett. a) del primo comma.
* Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 1990, n. 11954, Scarpa c. Nardi.
In tema di locazione alberghiera la facolt di recesso del locatore per esercitare nell`immobile locato la
medesima attivit del conduttore non subordinata all`accertamento del requisito della capacit professionale,
da documentare con il nulla osta della autorit amministrativa preposta al settore alberghiero, atteso che l`art. 29
della legge n. 392 del 1978 (applicabile anche nel regime transitorio per l`espresso disposto dell`art. 73 della
stessa legge) limita il suo richiamo solo all`art. 5 della legge n. 191 del 1963 (come modificato dall`art. 4 bis della
L. 28 luglio 1967 n. 628) e non anche al successivo art. 6, che tale nulla osta prevedeva e che deve altres
ritenersi abrogato, ai sensi dell`art. 15 delle preleggi, per incompatibilit con la nuova disciplina organica della
materia locatizia introdotta dalla legge dell`equo canone.
* Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1994, n. 5664, Raimondo c. Iacoangeli.
In tema di locazioni urbane, la disciplina dettata dall`art. 29, secondo comma, della L. 27 luglio 1978 n. 392, con
riguardo agli immobili adibiti all`esercizio di albergo, pensione o locanda, trova applicazione anche con riguardo
agli immobili adibiti all`esercizio dell`attivit di affittacamere, la quale, sia pure con proporzioni ridotte, presenta
caratteristiche imprenditoriali analoghe.
* Cass. civ., sez. III, 13 luglio 1982, n. 4124, Tabacco c. Maggiorino.
b) Ambito di operativit
Il diniego di rinnovo del contratto di locazione non abitativa alla prima scadenza non trova ostacolo nel mancato
possesso, da parte del locatore, delle specifiche necessarie autorizzazioni amministrative, che non possono
incidere sul rapporto privatistico di locazione; n rileva l`eccepita disponibilit di altri immobili utilizzabili per la
destinazione addotta, avendo il locatore il diritto insindacabile di scegliere quello ritenuto pi idoneo.
* Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2002, n. 537, Miniero c. Esposito Lazzazara.
In tema di locazione di immobili destinati ad una delle particolari attivit indicate dall`art. 42 della L. 27 luglio
1978 n. 392, il secondo comma del citato art. 42, nella parte che richiama il preavviso per il rilascio di cui all`art.
28 e lo dice applicabile ai contratti indicati nel primo comma, assoggetta questi contratti alla disciplina del
diniego di rinnovazione alla prima scadenza contrattuale dettata dagli artt. 28 comma secondo e 29 della stessa
legge.
* Cass. civ., sez. III, 5 novembre 1991, n. 11756, Ministero dell`Interno c. Zannelli.
In materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, alla cessazione del regime transitorio, non
solo la rinnovazione tacita del contratto, ma a maggior ragione la stipulazione (tra le stesse parti e avente ad
oggetto il medesimo immobile ancora occupato dal conduttore) di un nuovo contratto, svincolato da quello
precedente, determina l`assoggettamento del rapporto locativo alla disciplina ordinaria e quindi anche la
applicazione alla prima scadenza del nuovo contratto delle norme in materia di diniego della rinnovazione di cui
agli artt. 28 e 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392.
* Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 1996, n. 8786, Buongiovanni c. Landucci.
La semplice classificazione di un immobile come suscettivo di intervento di recupero nell`ambito di un
programma pluriennale di attuazione non sufficiente a realizzare il presupposto di cui all`art. 29 lett. c) legge n.
392/78.
* Pret. civ. Piacenza, 15 febbraio 1982, n. 43, Grazioli e altri c. Bigatti.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza sufficiente che nella disdetta si faccia
riferimento ad una delle ipotesi prefigurate dall`art. 29 della L. n. 392/78 nel caso in cui il locatore, per motivi
organizzativi e strutturali, non sia in grado - pur nella certezza della destinazione dell`immobile ad una delle
attivit previste dalla norma - di determinare all`origine ed in dettaglio l`utilizzazione specifica che ne sar fatta.
(Fattispecie nella quale una Banca, locatrice di immobile, aveva indicato nella disdetta di voler utilizzare lo
stesso "per ampliamento della propria attivit" senza ulteriormente specificare per quale servizio bancario
particolare il medesimo immobile sarebbe stato utilizzato).
* Trib. civ. Bologna, sez. III, 16 maggio 1991, n. 373, Soc. Banca Agricola Mantovana c. Mistroni.
La clausola con cui le parti fanno decorrere il termine di preavviso del diniego di rinnovazione dalla data di
spedizione della raccomandata che contiene la disdetta motivata e non dalla data in cui la relativa
comunicazione pervenga al conduttore, nulla ai sensi dell`art. 79 L. n. 392/1978.
* Pret. civ. Milano, sez. I, 12 novembre 1990, Fidinvest Spa c. Banca del Monte di Lombardia.
c) Attivit commerciale
In tema di locazione di immobili urbani destinati ad uso non abitativo il diniego del rinnovo del contratto alla
prima scadenza per l`intenzione del locatore di destinare l`immobile all`esercizio della propria attivit
commerciale, non pu trovare ostacolo nel mancato possesso da parte del locatore medesimo delle specifiche
necessarie autorizzazioni amministrative, che non possono incidere sul rapporto privatistico di locazione, pur
essendo tenuto il giudice, ai sensi dell`art. 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392, a verificare la seriet,
concretezza e attualit del proposito del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 22 maggio 1997, n. 4568, Noi Incontro Soc. c. Comandini.
Ai fini della cessazione della locazione d`immobile destinato ad uso diverso dall`abitazione per diniego di
rinnovo del contratto alla prima scadenza da parte del locatore per il manifestato proposito di esercitarvi attivit
commerciale (o anche alberghiera), irrilevante il difetto delle prescrizioni richieste per l`esercizio del
commercio, quale l`iscrizione nel registro degli esercenti commerciali, trattandosi di inosservanza di norme non
operanti nell`ambito del rapporto privatistico.
* Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1994, n. 5664, Raimondo c. Iacoangeli.
In tema di diniego di rinnovazione della locazione non abitativa alla prima scadenza del contratto per la
necessit addotta dal locatore di adibire l`immobile ad esercizio in proprio di attivit commerciale (nella specie,
negozio di rivendita di generi alimentari), ove il conduttore deduca l`impedimento della detta destinazione per
impossibiit giuridica delle necessarie autorizzazioni amministrative, con riguardo ai disposti di regolamenti
locali, il giudice deve provvedere d`ufficio all`acquisizione di tali fonti normative per il principio iura novit curia.
* Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 1992, n. 11095, Carmelo c. Morelli.
La disciplina di cui all`art. 29 L. n. 392/78 (diniego di rinnovazione alla prima scadenza solo per i casi ivi
tassativamente indicati), si applica anche laddove le parti di un contratto di locazione commerciale abbiano
pattuito convenzionalmente che il suddetto contratto abbia durata superiore a quella minima imposta dalla legge
(nella fattispecie quindicennale).
* Trib. civ. Modena, sez. II, 12 settembre 2001, X c. Y.
d) Coltivatore diretto
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il d<%-2>iniego di rinnovazione
del contratto alla prima scadenza, previsto dall`art. 29 lett. b) della legge 27 luglio 1978 n. 392 per il caso in cui il
locatore intenda adibire l`immobile ad una delle attivit indicate nel precedente art. 27, si riferisce a tutte le
attivit elencate in tale ultima norma, ivi compreso, pertanto, l`esercizio abituale e professionale di lavoro
autonomo. Ne consegue che la suddetta disposizione pu essere invocata anche dal coltivatore diretto, per
riacquistare la disponibilit dell`immobile locato, pure se non insistente sul fondo coltivato, in relazione ad
esigenze che rientrino funzionalmente nell`economia dell`impresa agricola (nella specie, conservazione dei
prodotti del fondo in vista della successiva vendita).
* Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1983, n. 2972, Bozzo c. De Angelis.
e) Controversie
Per la controversia che riguarda il rilascio di immobile ad uso non abitativo per finita locazione alla scadenza
fissata dalle disposizioni transitorie della legge sull`equo canone, senza che siano posti in discussione i motivi di
recesso previsti dagli artt. 73 e 29 stessa legge (dal locatore non invocati) e senza che il conduttore abbia
richiesto in via riconvenzionale la determinazione dell`indennit eventualmente spettante per la perdita
dell`avviamento commerciale, non va applicata la disciplina processuale di cui all`art. 30 della legge n. 392/1978
e la competenza va determinata secondo gli ordinari criteri di valore dettati dal codice di procedura civile.
* Cass. civ., sez. III, 10 settembre 1999, n. 9614, Borriello c. Inail, in Arch. loc. e cond. 2000, 56.
Poich l`obbligo del giudice di conoscere le norme vigenti dell`ordinamento si estende ai regolamenti locali che
integrino elementi fondamentali della fattispecie dedotta in giudizio, qualora, in tema di diniego di rinnovo della
locazione non abitativa alla prima scadenza del contratto, il conduttore alleghi che il regolamento edilizio
ostativo alla realizzazione della modifica di destinazione del bene indicata nella dichiarazione effettuata dal
locatore ai sensi dell`art. 29 della legge n. 392 del 1978, la cognizione del giudice deve estendersi al
regolamento, da acquisirsi all`occorrenza anche d`ufficio.
* Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 2000, n. 361, Randazzo c. Cosentino.
La giurisdizione del giudice ordinario, nella controversia che il locatore promuova nei confronti del conduttore per
ottenere la cessazione del rapporto, in relazione alla dedotta esigenza di procedere ad integrale ristrutturazione
dell`immobile, non resta esclusa, in favore della giurisdizione del giudice amministrativo, per il fatto che si debba
accertare, quale condizione di legge della domanda, il conseguimento da parte dell`istante di licenza o
concessione edilizia per l`esecuzione di dette opere (nella specie, ai sensi dell`art. 29, lett. c della L. 27 luglio
1978 n. 392), nonch la legittimit, formale e sostanziale, di tale licenza o concessione, poich la relativa
indagine ha carattere meramente incidentale, in una causa che investe diritti soggettivi scaturenti da un rapporto
privatistico (e rispetto alla quale resta estranea l`autorit amministrativa che ha adottato detto provvedimento).
* Cass. civ., Sezioni Unite, 18 dicembre 1985, n. 6449, Soc. Bettuzzi c. Soc. Imm. S. Greco.
Qualora il locatore di immobile eserciti il recesso, per la necessit di procedere a lavori di ristrutturazione del
bene (art. 29 lett. c della L. 27 luglio 1978, n. 392), le questioni poste dal conduttore sulla legittimit del
provvedimento municipale di autorizzazione di dette opere, mentre sono conoscibili, in via incidentale, dal
giudice ordinario, nell`ambito della controversia fra le parti del rapporto locativo, sui diritti inerenti al rapporto
stesso, spettano alla giurisdizione del giudice amministrativo, ove siano sollevate, in via principale, con
domanda di annullamento del provvedimento proposta nei confronti del comune, dato che tale domanda attiene
al rapporto con l`amministrazione e si ricollega all`interesse legittimo dell`istante circa l`osservanza
dell`amministrazione medesima alle norme che regolano la sua attivit pubblicistica a tutela di esigenze
generali.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 23 gennaio 1990, n. 369, Soc. Bettuzzi c. Res. Soc. Imm. S. Greg.
L`elezione di domicilio fatta dalla parte in sede di stipula del contratto (nella specie: locazione) deve ritenersi a
carattere non esclusivo, in difetto di chiara ed espressa volont contraria e, come tale, non ostativa a che l`atto
unilaterale recettizio inerente al rapporto contrattuale (nella specie: comunicazione del diniego di rinnovazione
alla prima scadenza ex art. 29 della legge sull`equo canone) venga trasmesso al diverso indirizzo della parte
medesima, ai sensi dell`art. 1335 c.c.
* Cass. civ., sez. III, 23 settembre 1996, n. 8399, Graziano c. Fattibene.
In tema di diniego della rinnovazione alla prima scadenza della locazione non abitativa per uno dei motivi indicati
nell`art. 29 della L. 27 luglio 1978, n. 392, la motivata disdetta si pone come condizione di procedibilit della
domanda di rilascio che, pertanto, pu essere fondata solo sugli stessi motivi indicati nella disdetta.
* Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 1995, n. 1865, Gattor c. Prisco.
In tema di diniego di rinnovazione della locazione non abitativa a norma dell`art. 29, lett. b) legge n. 392 del
1978, l`accertamento relativo alla corrispondenza della destinazione effettiva dell`immobile a quella indicata dal
locatore si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, non censurabile in sede di
legittimit qualora sia sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici. (Nella specie, la S.C. ha
confermato la decisione di merito che ha ritenuto il diniego di rinnovazione fondato sulla seria intenzione,
espressa dal locatore, di adibire l`immobile ad attivit di pittore, sul presupposto che anche la sola eventualit di
vendita al pubblico dei propri quadri sia sufficiente ad integrare la pi ampia destinazione ad una fruizione
pubblica, che conferisce natura imprenditoriale all`attivit del locatore medesimo e legittima il diniego di
rinnovazione).
* Cass. civ., sez. III, 16 aprile 1996, n. 3562, Fichera c. Viola.
La sentenza di accertamento della risoluzione di un contratto ad esecuzione continuata, quale quello di
locazione, per recesso unilaterale di una parte, ai sensi dell`art. 1373 c.c., o per diniego di rinnovazione alla
prima scadenza, ai sensi dell`art. 29 della L. 27 luglio 1978 n. 392, non preclude la pronuncia, in un successivo
e distinto giudizio, della sentenza di risoluzione del medesimo contratto per inadempimento anteriormente
verificatosi, la cui domanda ha contenuto e presupposti diversi, e tale ultima pronuncia, sebbene di carattere
costitutivo, avendo efficacia retroattiva al momento dell`inadempimento (art. 1458 c.c.), prevale rispetto alle altre
cause di risoluzione del medesimo rapporto contrattuale per la priorit nel tempo dell`operativit dei suoi effetti.
* Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 1993, n. 2070, Galli c. Togni.
f) Enti pubblici
Anche i contratti di locazione di immobili destinati ad una delle attivit particolari indicate dall`art. 42 della legge
sull`equo canone e quelli stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualit di conduttori sono
soggetti, in virt dell`espresso rinvio contenuto nell`ultimo comma dell`art. 42, al regime della tacita rinnovazione
alla prima scadenza in mancanza di disdetta per uno dei motivi indicati dall`art. 29 della stessa legge.
* Cass. civ., sez. III, 14 novembre 1991, n. 12167, Min. Poste e Telecomunicazioni c. Tosti A.
L`art. 29 comma primo lett. b) della L. 27 luglio 1978 n. 392 in forza del quale pu essere negato il rinnovo della
locazione di immobili non abitativi alla prima scadenza quando il locatore sia un ente pubblico o di diritto
pubblico che intenda adibire l`immobile locato per l`esercizio di attivit tendenti al conseguimento delle loro
finalit istituzionali, non applicabile agli enti con scopi di assistenza e beneficenza, anche di origine religiosa
come le Opere Pie, che, non essendo di diretta creazione statale, hanno natura di enti privati.
* Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1993, n. 8380, Cemon Srl c. Prov. Ital. Ist. Suore Rave di santa Elisabetta.
Ai fini dell`applicabilit dell`art. 29 della legge n. 392 del 1978 - in forza del quale pu essere negato il rinnovo
del contratto di locazione concernente immobile non abitativo alla prima scadenza, qualora il locatore sia un
ente pubblico o di diritto pubblico ed intenda adibire l`immobile stesso all`esercizio di attivit tendenti al
conseguimento delle sue finalit istituzionali - esula dalla nozione di ente pubblico il beneficio parrocchiale, il
quale svolge attivit essenzialmente religiosa, persegue finalit non riconducibili fra quelle di interesse generale
demandate alla P.A. e non fa parte dell`organizzazione dello Stato.
* Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1985, n. 5118, Di Palma c. Scognamiglio.
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, il diniego della rinnovazione del contratto ai sensi
dell`art. 29, lett. b) della L. n. 392 del 1978 qualora il locatore, trattandosi di una P.A., intenda adibire l`immobile
all`esercizio di attivit tendenti al conseguimento delle finalit istituzionali, postula che la dedotta necessit abbia
carattere di seriet e di attualit, non anche di definitivit. (Nella specie, un comune aveva addotto la necessit
di sistemare nuovo personale assunto per effetto della L. n. 285 del 1977 sull`occupazione giovanile ed il giudice
del merito, la cui pronuncia stata confermata dalla S.C. alla stregua del principio esposto, aveva accolto la
domanda).
* Cass. civ., sez. III, 3 marzo 1989, n. 1194, Messina c. Com. Frazzan.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora il locatore, trattandosi di ente
pubblico anche non economico, intenda adibire l`immobile all`esercizio di attivit tendenti al conseguimento
delle sue finalit istituzionali, non pu nella comunicazione del diniego della rinnovazione del contratto ai sensi
dell`art. 29 lett. b) della legge 27 luglio 1978 n. 392, limitarsi ad un generico richiamo dei suoi fini istituzionali, in
special modo in caso di molteplicit e diversificazione di essi, ma deve specificare, ai sensi del quarto comma
dell`art. 29 citato, la concreta attivit da svolgere nell`immobile, perch il conduttore ed il giudice devono essere
messi in condizione di verificare la seriet e l`attuabilit della intenzione indicata nonch di accertare in sede
contenziosa la ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto di diniego del rinnovo, oltre che di
operare il successivo controllo sull`effettiva destinazione dell`immobile all`uso indicato, in caso di richiesta di
applicazione delle misure sanzionatorie previste dall`art. 31.
* Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2000, n. 15752, Maimone c. Azienda Usl/5 Messina.
g) Farmacia
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, il diniego della rinnovazione del contratto alla prima
scadenza ai sensi dell`art. 29 della L. n. 392 del 1978 pu essere esercitato anche con riguardo ai locali adibiti
ad esercizio di farmacia, non sussistendo nella citata legge alcuna disposizione in contrario.
* Cass. civ., sez. III, 21 novembre 1988, n. 6272, La Vista c. Curini.
La disposizione di cui all`art. 35 della L. n. 253 del 1950, secondo cui non pu eseguirsi lo sfratto dai locali
adibiti ad esercizio di farmacia senza la previa autorizzazione prefettizia, attiene alla fase esecutiva del
provvedimento di rilascio e non enuncia un presupposto della decisione di cessazione del rapporto locativo da
emettere in sede di cognizione. (Nella specie giudizio di recesso ai sensi degli artt. 29 lett. b e 73 della L. 27
luglio 1978 n. 392).
* Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 1994, n. 8784, Barbero c. Vernassa.
h) Forma della disdetta
La disdetta della locazione, comunitata a fini di diniego della rinnovazione tacita, alla prima scadenza, di un
rapporto relativo ad un immobile adibito ad uso non abitativo deve necessariamente pervenire al conduttore
nella forma della lettera raccomandata, ma non anche obbligatoriamente provenire dal locatore, che pu
legittimamente incaricare, all`uopo, un diverso soggetto (in qualit di mandatario) in forma anche soltanto
verbale, poich l`onere dell`avviso al conduttore per il tramite della raccomandata sancito (attesa la natura
recettizia dell`atto) unicamente al fine di garantire a quest`ultimo una tempestiva conoscenza dell`intenzione
della controparte.
* Cass. civ., sez. III, 28 giugno 1997, n. 5802, Fag Ind Mobili c. Europa Auto.
Dalla norma dell`art. 1335 c.c. che collega la presunzione di conoscenza delle dichiarazioni recettizie al fatto che
esse giungano all`indirizzo del destinatario, deriva che tale dichiarazione deve ritenersi conosciuta dal
destinatario medesimo, a meno che non provi di non averne avuto notizia senza sua colpa, mentre il mittente
non tenuto a provare tale conoscenza, essendo sufficiente che dimostri l`avvenuto recapito della dichiarazione
all`indirizzo del destinatario, non essendo necessario che egli provi invece la ricezione della dichiarazione da
parte del destinatario o di persona autorizzata a riceverla, ai sensi dell`art. 37 del regolamento di esecuzione del
codice postale (R.D. n. 698 del 1940). (Fattispecie concernente la disdetta dal contratto di locazione di immobile
non abitativo ai sensi dell`art. 29 legge 27 luglio 1978 n. 392).
* Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 1997, n. 12866, Rtc Soc. Roma c. Mendici Tabet.
In tema di diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di immobile ad uso diverso
dall`abitazione, la comunicazione da effettuarsi ai sensi dell`art. 29 L. 27 luglio 1978, n. 392, quantunque
contenente l`indicazione di un motivo specifico, deve essere sottoscritta personalmente ed in forma autografa
dal locatore, conseguendo, diversamente, la nullit della stessa.
* Pret. civ. Salerno, 5 febbraio 1990, n. 62, Valente c. Norditalia Assicurazioni Spa.
Nell`ipotesi di diniego di rinnovazione alla prima scadenza per la locazione di immobili adibiti ad uso diverso
dall`abitazione, per la disdetta richiesta solo una particolare modalit di trasmissione, mentre la mancanza
assoluta della sottoscrizione, da parte del locatore, non comporta l`inefficacia della stessa, qualora la
raccomandata, non sottoscritta da alcuno, sia poi integrata in giudizio da elementi probatori idoeni a dimostrare
che l`atto aveva, comunque, perseguito lo scopo di far conoscere al conduttore la volont del locatore stesso.
L`atto di intimazione produce l`effetto di ratificare la disdetta intimata dal procuratore del locatore, difettante
precedentemente al giudizio di procura, ed il conduttore non deve ritenersi terzo rispetto a tale ratifica.
* Pret. civ. Salerno, 22 marzo 1991, n. 152, Gioia c. Laudati.
i) Impresa familiare
Costituisce valido motivo di diniego della rinnovazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non
abitativo l`intenzione di destinarlo, ai sensi dell`art. 29, lettera b) della L. n. 392 del 1978, all`esercizio dell`attivit
commerciale praticata dalla figlia del locatore in regime di impresa familiare insieme al di lei marito, ancorch
titolare ne sia quest`ultimo, atteso che la disciplina dettata al riguardo dall`art. 230 bis cod. civ. - conferendo ai
familiari ed al coniuge collaboratori nell`impresa poteri direttivi e di gestione patrimoniale - consente, in presenza
di idonei elementi presuntivi, di considerarli contitolari dell`impresa stessa.
* Cass. civ., sez. III, 29 febbraio 1988, n. 2122, Gargiulo c. De Lizza.
l) Onere della prova
In tema di locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo, grava sul locatore che agisce per fare valere
la facolt di diniego del rinnovo del contratto alla prima scadenza per uno dei motivi indicati dall`art. 29 della
legge sull`equo canone, l`onere di provare - ove sorga al loro riguardo contestazione - gli elementi richiesti dalla
legge, quali, in particolare, se il diniego sia fatto dipendere dai motivi indicati dalla lett. b del predetto articolo, il
rapporto di parentela che lo lega al soggetto in favore del quale chiede il rilascio e la seriet dell`intenzione di
destinare l`immobile ad una delle attivit di cui all`art. 27.
* Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 1992, n. 11734, Tragletti c. Dolei.
m) Porzione di immobile
In difetto di patto contrario, il locatore di immobile urbano per uso abitativo pu esercitare la facolt di diniego
della rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, nei casi previsti dall`art. 29 della L. 27 luglio 1978 n.
392, anche soltanto per una porzione dell`immobile, ove questa sia idonea a soddisfare l`indicata necessit e
l`immobile possa essere comodamente diviso, salva restando la facolt del creditore di scegliere tra il
mantenimento del rapporto per la parte residua o il suo integrale scioglimento.
* Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 1994, n. 10686, Breschi c. Lippi.
n) Restauro
Ai fini della facolt di recesso del locatore dal contratto di locazione nell`ipotesi di cui al combinato disposto degli
artt. 73 e 29 lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, la nozione di -completo restauro", da riferirsi all`immobile
locato e non all`intero edificio, va ricavata dall`art. 31 della L. 5 agosto 1978 n. 457, e consiste in un intervento
caratterizzato da un insieme sistematico di opere, tra loro coordinate ed effettuate in una visione di compiutezza
su una pluralit di parti dell`immobile, s da conferire a questo, pur nel rispetto dei suoi elementi tipologici,
formali e strutturali, una nuova identit, o comunque un quid novi che presenti l`immobile come ontologicamente
e qualitativamente diverso da quello precedente, mentre gli interventi di manutenzione straordinaria, i quali non
danno luogo alla facolt di recesso, pur consistendo, in genere, in opere di una certa consistenza dirette a
rinnovare e sostituire parti anche strutturali dell`immobile, sono privi del detto carattere di sistematicit e di
compiutezza, e si concretano in un`attivit edilizia di conservazione che non comporta una modificazione
ontologica di risultato rispetto a ci che preesisteva, n, in relazione all`estensione dell`intervento, una diversit
qualitativa dell`immobile.
* Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1984, n. 4740, Pagani c. Cassinelli.
o) Ricostruzione
In tema di diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di immobile urbano adibito ad
uso non abitativo, ai sensi dell`art. 29 lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, la ricostruzione dell`edificio previa
demolizione comporta la cessazione dell`oggetto del rapporto, generato dal contratto di locazione, che
sostituito da un bene diverso, ancorch riproduca la struttura di quello demolito; l`integrale ristrutturazione
comporta, come risultato, la modificazione della struttura dell`edificio, che viene ad assumere un diverso modo
d`essere e, perci, il sorgere di un quid novi; il completo restauro comporta il ripristino dell`edificio nel suo modo
di essere originario, attraverso il quasi integrale rifacimento delle parti distrutte o deteriorate e la eliminazione di
aggiunzioni sovrapposte.
* Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 1982, n. 5452, Grovili c. Cellino S. Marco.
p) Ristrutturazione
Ai sensi dell`art. 29 della legge n. 392 del 1978 il possesso della prescritta licenza o concessione costituisce una
condizione dell`azione quando il rilascio dell`immobile locato sia richiesto per ricostruirlo, o ristrutturarlo, ovvero
restaurarlo (art. cit. lett. c), non anche quando venga chiesto per la finalit di cui alla precedente lett. a) ed
occorra ristrutturare l`immobile per adattarlo alle (nuove) esigenze abitative fatte valere, con la conseguenza che
in quest`ultima ipotesi il mancato conseguimento della licenza per i necessari lavori pu comportare la
sopravvenuta impossibilit di destinare l`immobile all`uso per il quale stato ottenuto il rilascio, e l`eventuale
applicazione delle sanzioni previste dall`art. 31 della citata legge n. 392 del 1978.
* Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 1987, n. 1739, Natale c. Muzzo.
In tema di recesso da contratto di locazione di immobile adibito ad uno diverso da quello di abitazione ai sensi
dell`art. 29 lett. b) della L. 27 luglio 1978 n. 392 e nel caso in cui il locatore (nella specie, una banca che
intendeva aprire nei locali una propria filiale), per utilizzare l`immobile, debba eseguire lavori di ristrutturazione e
trasformazione, non costituiscono condizioni necessarie all`azione di rilascio n il possesso della prescritta
concessione edilizia per l`esecuzione delle opere predette, n il rilascio dell`autorizzazione amministrativa per il
mutamento della destinazione d`uso, salvo che la disciplina urbanistica precluda in modo assoluto e
inderogabile l`adozione dei predetti provvedimenti, cos da rendere impossibile l`attuazione della nuova
destinazione.
* Cass. civ., sez. III, 24 marzo 1995, n. 3421, Sita spa c. Banca Popolare dell`Etruria e del Lazio.
In tema di diniego di rinnovazione della locazione non abitativa alla prima scadenza del contratto, ai sensi
dell`art. 29 della L. n. 392 del 1978, nell`ipotesi di integrale ristrutturazione o di completo restauro ai sensi della
lett. c) dell`art. 29 cit. (da valutarsi in relazione non all`edificio nel suo complesso ma alla singola unit
immobiliare locata), l`impossibilit di permanenza del conduttore nel godimento del bene oggetto di una
presunzione iuris tantum (data l`ampiezza dell`intervento operativo) che esonera il locatore-attore da ogni prova
al riguardo ma che superabile, per via di eccezione, dal conduttore-convenuto.
* Cass. civ., sez. III, 22 marzo 1995, n. 3266, Winkler Ulrich c. Lauderi ed altro.
Ai fini del diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di immobili ad uso abitativo,
qualora il locatore intenda, ai sensi dell`art. 29, comma 1, lett. c) della L. n. 392 del 1978, demolire l`immobile
per ricostruirlo ovvero procedere alla sua integrale ristrutturazione o completo restauro ovvero eseguire su di
esso un intervento sulla base di un programma comunale pluriennale di attuazione, il possesso della prescritta
concessione amministrativa, costituendo condizione dell`azione di rilascio, deve sussistere al momento della
decisione. Pertanto, la sopravvenuta inefficacia della concessione, per mancato inizio dei lavori nel termine di un
anno, impedisce la pronuncia di rilascio.
* Cass. civ., sez. III, 25 settembre 1996, n. 8460, Sica Snc c. Battaglini.
L`art. 29 lett. c) della legge n. 392 del 1978, nel consentire al locatore di immobile urbano adibito ad uso diverso
da quello di abitazione il diniego di rinnovazione alla prima scadenza (ovvero, in regime transitorio, il recesso dal
contratto ai sensi dell`art. 73 della legge stessa) nel caso in cui intenda procedere, tra l`altro, all`-integrale
ristrutturazione", si riferisce esclusivamente all`immobile locato e non all`intero edificio di cui quello fa parte,
risultando ci sia dal dato testuale - che usa la dizione -immobile" e non quella di -edificio" - e dalla possibile
indipendenza funzionale del singolo immobile locato, sia dalla ratio della disposizione, potendo l`integrale
ristrutturazione del singolo immobile essere impedita dalla permanenza in esso del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1991, n. 296, Pitronacci c. Puleo.
Il combinato disposto dell`art. 73 e dell`art. 29 lett. d) della L. 27 luglio 1978 n. 392, <%-2>nell`ammettere il
recesso del locatore in caso di ristrutturazione di immobile destinato ad uso non abitativo, al fine di rendere la
superficie del locale conforme a quanto previsto dall`art. 12 della legge 11 giugno 1971 n. 426, sempre che le
opere da effettuarsi rendano incompatibile la permanenza del conduttore nell`immobile stesso, consente la
ristrutturazione non solo quando questo sia libero e nella disponibilit del proprietario, ma anche nel corso del
rapporto locatizio, restando affidato al giudice del merito il compito di valutare se i lavori autorizzati dalle
competenti autorit comunali - il cui provvedimento condizione per l`esercizio dell`azione di rilascio - siano o
meno compatibili con la prosecuzione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 20 maggio 1983, n. 3498, Di Donna c. Ciarrapico.
In tema di locazione concernente immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione, per il diniego della
rinnovazione alla prima scadenza del contratto quando il locatore intenda effettuare lavori di ristrutturazione, ai
sensi dell`art. 29 lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, l`intervento edilizio deve riguardare l`immobile oggetto del
contratto, a nulla rilevando che i progettati lavori interessino altre parti dell`edificio in cui detto immobile situato,
o che per la loro esecuzione il locatore abbia a subire un aggravio di spesa in conseguenza della permanenza
del conduttore nello stesso, venendo quest`ultima situazione in rilievo solamente nella diversa ipotesi, prevista
dalla lett. d) del medesimo art. 29, dell`esecuzione di interventi sulla base di un programma comunale
pluriennale di attuazione, ai sensi delle leggi vigenti.
* Cass. civ., sez. III, 14 maggio 1984, n. 2929, Cuochi c. Molinaro.
L`integrale ristrutturazione dell`immobile locato - che legittima, ai sensi dell`art. 29 lett. c) della L. n. 392 del
1978, il recesso del locatore dal contratto concernente immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione non ristretta ai soli casi di rifacimento o rafforzamento degli elementi essenziali dell`immobile stesso, ma
comprende anche i casi di modificazione e trasformazione, che lo interessino nella sua totalit e si traducano
nella realizzazione, dal punto di vista qualitativo, di un`entit del tutto diversa da quella preesistente. Tale
intervento, inoltre, va riferito esclusivamente all`unit immobiliare locata e non all`intero edificio di cui questa
faccia parte.
* Cass. civ., sez. III, 22 marzo 1995, n. 3266, Winkler Ulrich c. Lauderi ed altro.
In tema di recesso del locatore dal contratto di locazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 73 e 29 lett.
c) della legge n. 392 del 1978, la nozione di integrale ristrutturazione va ricavata dall`art. 31 della L. 5 agosto
1978 n. 457 che, nella definizione degli interventi sull`immobile, ha carattere di norma generale, in
considerazione della sua inclusione tra le norme generali per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico
esistente, nonch del disposto dell`ultimo comma dello stesso articolo per il quale le definizioni in questione
prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Rientrano
conseguentemente nella nozione di integrale ristrutturazione (distinta dalla manutenzione straordinaria, avente
finalit solo conservative) gli interventi che comportano, come risultato, modificazione della struttura
dell`immobile, che viene a costituire una entit ontologicamente o qualitativamente diversa da quella
precedente.
* Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1987, n. 5058, Ceracchi c. Prabboni.
stesso.
* Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2000, n. 15075, Pizzo c. Galdieri.
r) Societ di persone
La facolt di diniego del rinnovo del contratto relativo ad un immobile locato per uso non abitativo alla prima
scadenza pu legittimamente esser fatta valere da una societ di persone attraverso la rappresentazione della
necessit di destinare l`immobile all`esercizio di una attivit (non della societ stessa ma) di uno dei soci, a
condizione che tale attivit risulti tra quelle elencate nell`oggetto sociale, poich, non essendo le vicende
imprenditoriali della societ (priva di personalit giuridica, ancorch dotata di autonomia patrimoniale) imputabili
ad un soggetto distinti dai singoli soci, la destinazione dell`immobile alla indicata attivit integra gli estremi di una
situazione di necessit del socio considerato non individualmente, ma quale membro della compagine
societaria, con conseguente coincidenza di interessi di entrambi ad ottenere la disponibilit della res locata.
* Cass. civ., sez. III, 28 giugno 1997, n. 5802, Fag Ind Mobili c. Europa Auto.
s) Specificazione dei motivi
In tema di locazione di immobile urbano ad uso diverso da abitazione, la disdetta del contratto di locazione,
quale atto di natura negoziale, ha la funzione di impedire, se non opposta, la rinnovazione del contratto; con la
conseguenza che, ancorch detto atto sia inefficace per mancanza di valido motivo di diniego, il rilascio non pu
essere ricondotto alla volont del conduttore in ordine alla cessazione del rapporto od al mutuo consenso delle
parti, non venendo meno il diritto del medesimo all`indennit per la perdita dell`avviamento commerciale. Per
poter contestare validamente la spettanza dell`indennit al conduttore occorre infatti che la cessazione del
rapporto sia dovuta all`iniziativa del medesimo ovvero alla sua partecipazione ad una convenzione risolutoria
(scioglimento per mutuo consenso ex art. 1372, primo comma, c.c.); mentre assolutamente irrilevante la
circostanza che il conduttore abbia rilasciato l`immobile senza contestazioni in sede giudiziale o stragiudiziale,
prestando adesione, espressa o tacita, alla richiesta del locatore, poich, in tal caso, la genesi della cessazione
del rapporto si identifica pur sempre nella condotta del locatore, che abbia manifestato la volont di porre
termine alla locazione. L`accertamento, sia pure di carattere presuntivo, della sussistenza di un rapporto di
causa ed effetto tra diniego di rinnovo della locazione da parte del locatore e rilascio da parte del conduttore
costituisce pertanto una mera quaestio facti, come tale insuscettibile di sindacato in sede di legittimit se
congruamente motivata.
* Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2001, n. 14728, Cavaliere ed altro c. Cioffi.
La specificazione del motivo per cui il locatore nega al conduttore, alla prima scadenza, il rinnovo del contratto di
locazione di immobile adibito ad uso diverso dall`abitazione, condiziona l`efficacia della disdetta e la procedibilit
della domanda di rilascio, che, dovendo esser fondata sul medesimo motivo, non pu essere integrato o
modificato in corso di giudizio stante la necessaria tempestivit della disdetta - 12 o 18 mesi prima della
scadenza - mentre nel processo verificabile soltanto la realizzabilit giuridica e tecnica dell`intento manifestato
dal locatore, in caso di contestazione del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 9 settembre 1998, n. 8934, Maffi c. Soc. Fag Infissi.
L`art. 30 della L. n. 392/1978 prevede quale condizione di procedibilit della domanda di rilascio la dichiarazione
della volont di escludere la rinnovazione del contratto di locazione non abitativa con riguardo alla prima
scadenza contrattuale nella forma di comunicazione a mezzo di raccomandata con la specificazione d`uno dei
motivi previsti dall`art. 29 della citata legge del 1978, n. 392, senza che tale forma possa essere sostituita da
quella contenuta nell`atto introduttivo del giudizio di rilascio, sottoscritto da procuratore cui sia stata conferita
procura nello stato stesso atto, ancorch con riguardo ad una successiva riproposizione della domanda di
rilascio.
* Cass., sez. III, 1 marzo 1990, n. 1574, De Simone c. Sgarilla.
L`art. 29, comma quarto, della L. n. 392/1978 - a norma del quale nella comunicazione del diniego di
rinnovazione deve essere specificato, a pena di nullit, il motivo, tra quelli tassativamente indicati nei precedenti
commi dello stesso art. 29, su cui la disdetta fondata - va interpretato nel senso che esso imponga una
specificazione analitica del motivo di diniego con riguardo alle concrete ragioni che giustificano la disdetta, in
modo da consentire, in caso di controversia, la verifica della seriet e realizzabilit dell`intento del locatore e,
dopo il rilascio, il controllo circa l`effettiva destinazione dell`immobile all`uso indicato, nel caso in cui il conduttore
pretenda l`applicazione delle misure sanzionatorie previste dall`art. 31 della legge.
* Cass., sez. III, 21 aprile 1990, n. 3352, Biagi c. Soc. Vigna Card.
Per la validit del diniego di rinnovazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo,
sufficiente che il locatore, nella disdetta, faccia riferimento ad uno dei motivi tassativamente previsti dall`art. 29
della legge n. 392 del 1978, non essendo invece necessario che venga specificamente indicata la particolare
attivit che si intende svolgere nell`immobile, in quanto il quarto comma dell`art. 29 citato non introduce un
onere di specificazione descrittiva nell`ambito del motivo indicato. Ne consegue che le sanzioni previste dall`art.
31 della legge n. 392 del 1978 sono applicabili solo ove, nel termine di sei mesi dall`avvenuta consegna, il
locatore non abbia adibito l`immobile ad esercizio in proprio di una delle attivit indicate dall`art. 27 della legge
n. 392 del 1978, non anche quando egli abbia variato, nell`ambito del motivo indicato, le modalit attuative di
esercizio dell`impresa. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto
non sanzionabile il comportamento del locatore che, dopo avere denegato il rinnovo alla prima scadenza
deducendo di voler adibire i locali a deposito e vendita all`ingrosso di articoli di abbigliamento, aveva poi adibito
gli stessi a vendita al minuto, trattandosi, in entrambi i casi, di attivit commerciale in proprio, come tale
rientrante nelle attivit indicate dall`art. 27 citato).
* Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 1997, n. 1191, Boutique Laurens Soc. c. Mode Club S.O.C.
La nullit comminata dal quarto comma dell`art. 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392 alla disdetta di un contratto
di locazione di immobile per l`esercizio delle attivit previste dal precedente articolo 27, se priva della
specificazione dei motivi - previsti dai commi primo e secondo del medesimo articolo 29 per tutelare non solo il
conduttore, ma anche l`interesse generale dell`economia alla stabilit delle locazioni non abitative - assoluta e
perci rilevabile sia d`ufficio sia dallo stesso locatore, purch dimostri che dall`incertezza sulla validit di tale
disdetta gli deriva un danno giuridicamente rilevante.
* Cass. civ., sez. III, 29 settembre 1997, n. 9545, Mondial Lus Spa. c. Berrini.
L`onere della specificazione del motivo della disdetta, imposto dall`art. 29 comma quarto della L. 27 luglio 1978
n. 392, assolto dal locatore anche nel caso che abbia indicato congiuntamente alcune delle ipotesi previste dal
citato articolo ove al conduttore siano note le attivit del locatore e gli sia, quindi, possibile verificare, prima del
rilascio, che l`intenzione indicata appare seria e realizzabile e controllare, dopo il rilascio, la effettiva
destinazione dell`immobile per uno degli usi indicati.
* Cass. civ., sez. III, 4 novembre 1991, n. 11681, Bottaro c. Spa Centro dei Liguri.
Per la validit del diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di immobili adibiti ad uso
non abitativo (art. 29 legge equo canone) non sufficiente una indicazione generica da parte del locatore
dell`attivit che egli o un suo familiare intende esercitare nell`immobile, ma necessaria una indicazione
specifica, onde consentire al conduttore e, successivamente in sede giudiziaria al giudice, di verificare la seriet
e la realizzabilit dell`intento manifestato.
* Cass. civ., sez. III, 2 dicembre 1996, n. 10709, Market Carinelli c. Casali.
La comunicazione del diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di un immobile
adibito ad uso diverso da quello abitativo non pu limitarsi ad una generica dichiarazione dell`intento di svolgere,
da parte del locatore, nell`immobile stesso, una attivit non meglio specificata (pur se ricompresa tra quelle
previste dall`art. 29 della legge sull`equo canone), ma deve contenere, a pena di nullit, inequivoche indicazioni
in relazione alla medesima, sia perch, in mancanza, il conduttore non sarebbe in grado di valutare la seriet
dell`intenzione indicata (n il giudice potrebbe verificare, in sede contenziosa, la sussistenza delle condizioni per
il riconoscimento del diritto al rinnovo), sia perch verrebbe cos impedito il successivo controllo sulla effettiva
destinazione dell`immobile all`uso indicato, ai fini dell`applicazione delle sanzioni di cui all`art. 31 della legge
citata (invocabili anche quando l`immobile sia stato adibito ad un uso riconducibile, s, ad una delle ipotesi
previste dall`art. 29, ma diverso da quello indicato).
* Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1997, n. 5637, Soc. Nadia c. Pagliaro, in Arch. loc. e cond. 1997, 811.
Il locatore di un immobile destinato ad uso non abitatvo che intenda esercitare la facolt di diniego di
rinnovazione del contratto alla prima scadenza, ai sensi degli artt. 28 e 29 L. 27 luglio 1978, n. 392, ha l`onere di
specificare dettagliatamente, ai sensi del citato art. 29 commi 4 e 5, nella comunicazione da inviare al
conduttore, il motivo tra quelli tassativamente indicati nei commi precedenti sul quale la disdetta fondata, al
fine di consentire la verifica preventiva della seriet dell`intento dichiarato ed il controllo successivo circa
l`effettiva destinazione dell`immobile all`uso indicato, non essendo sufficiente l`indicazione cumulativa di una
pluralit di destinazioni dell`immobile, stante l`inammissibilit di un cambiamento successivo (nella specie, la
S.C. nell`affermare il principio surriportato ha annullato la decisione di merito che aveva ritenuto la validit della
disdetta intimata dal locatore, il quale si era limitato, nella lettera di comunicazione al conduttore, ad un generico
riferimento alle ipotesi di cui alla lett. b) dell`art. 29 cit., dichiarando di dover adibire l`immobile all`esercizio in
proprio o da parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta ad una delle attivit indicate
dall`art. 27).
* Cass. civ., sez. III, 29 novembre 1994, n. 10208, Adaframe srl c. Triozzi.
Il locatore di immobili destinato ad uso non abitativo che intenda esercitare la facolt di diniego di rinnovazione
del contratto alla prima scadenza, ai sensi degli artt. 28 e 29 L. 27 luglio 1978 n. 392, ha l`onere di specificare
analiticamente, ai sensi del citato art. 29 commi quarto e quinto, nella comunicazione da inviare al conduttore, il
motivo fra quelli tassativamente indicati (nei commi precedenti) sul quale la disdetta fondata, al fine di
consentire la verifica preventiva dlela seriet e della pratica realizzabilit dell`intento dichiarato ed il controllo
successivo circa l`effettiva destinazione dell`immobile agli usi indicati, senza che di conseguenza sia sufficiente
l`indicazione cumulativa di una pluralit di destinazioni dell`immobile, restando inammissibile un cambiamento
successivo ovvero una specificazione del motivo della disdetta nel corso del giudizio. (Nella specie la S.C.
nell`enunciare il principio surriportato ha confermato la decisione di merito, la quale aveva ritenuto nulla per
genericit la disdetta intimata dal locatore, il quale si era limitato a dichiarare che intendeva adibire l`immobile
locato ad uso personale, ai sensi dell`art. 29 lett. a e b della legge sull`equo canone).
* Cass. civ., sez. III, 1 aprile 1993, n. 3894, Persichetti c. S.C.S.
L`esigenza di specificazione del motivo di diniego della rinnovazione, alla prima scadenza, del contratto di
locazione di immobile adibito per uso non abitativo, posta dall`art. 29 comma quarto della L. 27 luglio 1978 n.
392 a pena di nullit dell`atto, comporta la necessit di una precisa indicazione della situazione dedotta e non
pu, quindi, considerarsi soddisfatta dal generico richiamo, nella disdetta, alle ipotesi indicate dall`art. 29 comma
primo lett. a) perch la pluralit di questa ipotesi, diverse l`una dall`altra sotto il profilo delle persone alle quali si
riferisce l`esigenza abitativa, non consente al conduttore di individuare quella, tra le varie previste, in concreto
addotta per giustificare il recesso.
* Cass. civ., sez. III, 14 maggio 1991, n. 5376, Marcucci c. Domenella.
L`onere di specificazione del motivo della disdetta, imposto dall`art. 29 della legge sull`equo canone a carico del
locatore di immobile adibito per uso non abitativo che intenda avvalersi della facolt di non rinnovare la
locazione alla prima scadenza, deve ritenersi assolto in tutti i casi in cui il motivo sia stato chiaramente indicato
in modo da consentire al conduttore di valutare la seriet della manifestata intenzione del locatore. (Nella specie
il locatore, imprenditore edile, aveva chiarito di volere utilizzare i locali per il deposito di materiale dei proprie
cantieri).
* Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 1991, n. 10847, Regione Campania c. Sibilia.
La disdetta alla prima scadenza del contratto di locazione per uso non abitativo, nulla per la mancata
specificazione del motivo, tra quelli tassativamente indicati dall`art. 29 della legge sull`equo canone, pu essere
validamente rinnovata, anche prima dell`accertamento giudiziale del vizio della prima disdetta, con un nuovo
atto contenente l`indicazione dei motivi in precedenza omessi o non sufficientemente indicati, ed essere posta a
fondamento di un`autonoma domanda giudiziale.
* Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 1992, n. 1834, Snc Blue-in Di Doufour Maria Pia c. Massa.
Nelle ipotesi di cui alla lett. a) ed alla lett. b) dell`art. 29 L. n. 392/78, per le quali previsto come motivo di
diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza la destinazione dell`immobile all`uso abitativo o di
lavoro autonomo di soggetti parenti entro il secondo grado in linea retta del locatore, la specificit dei motivi
deve riguardare non solo la indicazione della destinazione d`uso (con la menzione, per l`uso non abitativo, del
tipo di attivit commerciale, professionale ovvero artigianale, che si intende esercitare nell`immobile), ma anche
quella del soggetto beneficiario dell`uso medesimo, essenzialmente quando pi siano le persone nella
condizione di ottenere l`immobile per la particolare destinazione d`uso comunicata ed il locatore intenda
favorirne una soltanto ovvero alcune congiuntamente.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2001, n. 792, Soc. Hotel Margutta c. Pasta.
In materia di diniego di rinnovazione del contratto di locazione alla prima scadenza, la mancata specificazione
del motivo nonch la mancanza degli estremi della seriet e della realizzabilit della generica intenzione
manifestata dai locatori nella comunicazione della disdetta, non ne determinano la nullit di cui all`art. 29, quarto
comma, L. n. 392/1978, qualora la seriet e la responsabilit dell`intento di adibire l`immobile ad attivit
commerciale possono essere desunte dall`iscrizione del predetto locatore nel registro degli esercenti il
commercio e la richiesta del medesimo di licenza commerciale di vendita al minuto, entrambe sostanzialmente
contestuali alla comunicazione di diniego di rinnovo del contratto.
* Trib. civ. Venezia, sez. II, 21 gennaio 1989, n. 110, Atelier di Formentello & C. c. Palma.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza, la sanzione della nullit non colpisce
soltanto la disdetta completamente carente in ordine all`enunciazione delle ragioni poste a fondamento del
diniego di rinnovo, ma anche la comunicazione limitata ad una generica indicazione dei motivi. (Nella specie la
sentenza ha ritenuto che l`onere di specificazione posto dalla legge a carico del locatore non potesse ritenersi
soddisfatto poich nella disdetta il motivo di diniego risultava indicato nell`intenzione della Cassa di Risparmio di
adibire l`immobile "ad esercizio della propria attivit").
* Trib. civ. Lucca, 12 novembre 1988, n. 1024. * Azienda autonoma della Versilia c. Cassa di Risparmio di
Lucca.
In tema di diniego alla prima scadenza, il generico richiamo alla volont del locatore di voler adibire il locale a
"proprie attivit aziendali", senza indicazione della concreta attivit da svolgere nell`immobile, non sufficiente a
porre in grado il conduttore e il giudice di verificare la seriet e l`attuabilit dell`intenzione indicata nonch, in
sede contenziosa, di verificare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto di diniego del
rinnovo, n di rendere possibile il successivo controllo sull`effettiva destinazione dell`immobile all`uso indicato, in
caso di richiesta di applicazione delle misure sanzionatorie previste dall`art. 31 della legge n. 392/78.
* Trib. civ. Napoli, 26 luglio 2001, Napoletanagas c. Soc. Mondo Moda.
La nullit sancita dall`art. 29, penultimo comma, della L. n. 392/1978 per il caso di comunicazione di diniego di
rinnovazione che non indichi il motivo sul quale il medesimo si fonda, pu essere fatta valere solo dal
conduttore.
* Pret. civ. Bergamo, 5 ottobre 1985, n. 204, Boldoni c. LO.MA. Srl.
t) Strumenti urbanistici
In tema di locazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione, il recesso del locatore per
necessit di destinare l`immobile medesimo all`esercizio diretto della propria attivit commerciale (artt. 73 e 29
della legge n. 392 del 1978) deve riflettere uno scopo giuridicamente possibile, postulando la realizzazione secondo diritto - della programmata destinazione. Detto recesso va conseguentemente negato quando gli
strumenti urbanistici impediscano inderogabilmente quella destinazione, realizzando siffatta situazione la
carenza di una condizione di fondatezza della domanda, senza che rilevi la previsione dell`art. 31 della
richiamata legge - il quale consente al conduttore di agire per il ripristino del contratto ove all`immobile non sia
data la dedotta destinazione - riguardando essa situazioni successive alla cessazione della locazione.
* Cass. civ., sez. III, 1 agosto 1986, n. 4920, Bellentani c. Cavedoni.
In tema di diniego di rinnovazione della locazione per necessit del locatore nell`ipotesi di cui all`art. 29, lett. b)
della L. 27 luglio 1978, n. 392, il mancato previo conseguimento delle autorizzazioni o concessioni prescritte per
l`esecuzione delle opere edilizie occorrenti a realizzare la progettata destinazione non preclude il riconoscimento
della necessit del locatore, quando tali provvedimenti siano in astratto consentiti, sia pure in via di eccezione od
in deroga alle previsioni urbanistiche generali, atteso che solo il divieto assoluto ed inderogabile di realizzare le
opere o il mutamento della destinazione impressa all`immobile, non rimovibile in presenza di particolari
condizioni o situazioni di fatto, comporta l`inidoneit del bene al soddisfacimento della necessit dedotta dal
locatore. Non vale ad integrare un caso di impossibilit giuridica assoluta il vincolo ostativo alla progettata
destinazione che sia impresso da una variante al piano regolatore adottata, ma non ancora approvata, malgrado
la previsione di misure di salvaguardia, considerato che in tal caso l`impossibilit di realizzazione delle opere o
del mutamento di destinazione transitoria e suscettibile di venir meno per effetto della mancata approvazione
della variante.
* Cass. civ., sez. III, 5 aprile 1995, n. 4003, Giaruglieri c. Banca Popolare dell`Etruria e del Lazio.
In tema di recesso dalle locazioni non abitative ai sensi dell`art. 73 della legge n. 392 del 1978, il possesso della
prescritta licenza o concessione amministrativa che, a norma dell`art. 29, primo comma, lett. c) della citata
legge, legittima il recesso nel caso in cui il locatore intenda -demolire l`immobile per ricostruirlo, ovvero
procedere alla sua integrale ristrutturazione o completo restauro, ovvero eseguire su di esso un intervento sulla
base di un programma comunale pluriennale di attuazione ai sensi delle leggi vigenti", costituendo condizione
per l`azione di rilascio, deve sussistere al momento della decisione e presuppone un provvedimento
autorizzativo efficace, con la conseguenza che il venir meno degli effetti della concessione prima della decisione
impedisce la pronuncia di rilascio e non solo gli effetti di questa.
* Cass. civ., sez. III, 12 giugno 1987, n. 5158, Natoli c. Damico.
In tema di recesso da contratto di locazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione ai
sensi dell`art. 29 lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, poich ai fini del diniego del rinnovo del contratto alla
prima scadenza il possesso della concessione edilizia condizione per l`azione di rilascio, la produzione di detto
provvedimento pu avvenire, oltre che in primo grado, anche nel giudizio di appello, al di fuori dei limiti previsti
dall`art. 437 c.p.c., sempre che il giudice ritenga la produzione indispensabile ai fini della decisione della causa.
* Cass. civ., sez. III, 22 marzo 1995, n. 3266, Winkler Ulrich c. Lauderi ed altro.
In tema di rilascio dell`immobile locato per l`esecuzione di ristrutturazione o restauri, secondo la previsione
dell`art. 29 primo comma lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, la condizione costituita dal possesso di
concessione edilizia resta soddisfatta, per il caso di interventi di manutenzione straordinaria, dal possesso di
autorizzazione del sindaco ad eseguire i lavori, idonea a sostituire la concessione medesima ai sensi dell`art. 48
della L. 5 agosto 1978 n. 457.
* Cass. civ., sez. III, 28 luglio 1984, n. 4492, Gravina c. Santoro.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, ai fini della proponibilit
della domanda di recesso ex artt. 29 lett. c) e 73 della legge n. 392 del 1978, necessario solo il possesso , da
parte del locatore, della concessione legittimamente rilasciata, la quale rende giuridicamente possibile il
compimento dei lavori di ricostruzione, di integrale ristrutturazione o di completo restauro per l`esecuzione dei
quali il locatore stesso ha agito in recesso; mentre resta irrilevante se a quello sia stato richiesto, da parte del
comune, anche il pagamento di eventuali contributi ed in quale misura, riguardando siffatta circostanza
esclusivamente il rapporto tra il richiedente e la P.A. e non quello privatistico tra locatore e conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 21 marzo 1985, n. 2066, Valenziano c. Messina.
In tema di recesso del locatore dal contratto di locazione concernente immobile adibito ad uso non abitativo, ai
sensi dell`art. 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392, mentre nel caso contemplato dalla lett. c) del richiamato
articolo, l`esecuzione di opere edilizie (ristrutturazione o completo restauro) sull`immobile locato, costituisce lo
scopo unico ed immediato dell`azione del locatore volta a conseguire la declaratoria di legittimit del recesso,
nell`ipotesi riconducibile alla previsione della lett. b) scopo diretto e primario dell`azione il soddisfacimento
dell`interesse del locatore di destinare l`immobile all`esercizio di una delle attivit indicate nell`art. 27, avendo
carattere accessorio e strumentale rispetto allo scopo indicato l`eventuale esecuzione di opere edilizie che
possa rendersi necessaria per assicurare la destinazione stessa. In quest`ultimo caso, il possesso della licenza
o concessione edilizia non costituisce condizione necessaria dell`azione di rilascio, semprech il locatore
dimostri la seriet dell`intento di adibire l`immobile all`attivit indicata e, quindi, anche la realizzabilit tecnica e
giuridica di quell`intento.
* Cass. civ., sez. III, 21 maggio 1997, n. 4518, Brunazzo c. Mary Hermann.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto di locazione ad uso diverso dall`abitazione, ex art. 29 della legge
27 luglio 1978, n. 392, qualora a motivo del diniego sia stata addotta l`intenzione di ristrutturare l`immobile, la
circostanza che il provvedimento di concessione edilizia sia intestato ad uno solo dei locatori irrilevante ai fini
della realizzabilit dei lavori di ristrutturazione e pertanto non incide negativamente sulla valutazione circa la
seriet dell`intenzione del locatore di eseguirli.
* Cass. civ., sez. III, 27 dicembre 1995, n. 13115, Barontini c. Delle Monache, in Arch. loc. e cond. 1996, 353.
Il controllo sulla legittimit degli atti amministrativi e dei regolamenti, devoluto al giudice ordinario, sia pure al
solo fine della loro disapplicazione, consentito per accertare non solo se la P.A. da cui l`atto promana avesse
in astratto il potere di emetterlo, ma anche se ricorressero i presupposti di legge per la sua emissione, nonch
per accertare l`osservanza della legge durante lo svolgimento del procedimento amministrativo, estendendosi
cos sia alla forma, sia al contenuto degli atti. Al predetto potere di controllo va ravvisato un solo limite, quello
della impossibilit per l`A.G.O. di sindacare le valutazioni della P.A., che involgano apprezzamenti discrezionali.
Conseguentemente, in tema di recesso del locatore dal contratto di locazione di immobili adibito ad uso diverso
da quello abitativo, a norma degli artt. 73 e 29 lett. c) della legge n. 392 del 1978 (nella specie, per procedere
alla sua ristrutturazione), il giudice ordinario ha il dovere di accertare incidenter tantum se sussista la eccepita
illegittimit della prescritta concessione (o licenza), al fine della sua eventuale disapplicazione nel caso concreto.
* Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 1986, n. 6391, Mazzaglia c. D`Odorico.
u) Tempestivit della disdetta
In tema di locazioni di immobili non abitativi, la disdetta intimata dal locatore al conduttore alla prima scadenza,
anche se intempestiva e non motivata, a norma dell`art. 29, L. 27 luglio 1978, n. 392, e cio inidonea, di per s
sola, a produrre gli effetti suoi propri (il mancato rinnovo della locazione), determina, tuttavia, in caso di adesione
del conduttore, la cessazione del rapporto locativo alla data bilateralmente concordata, non incorrendo nel
divieto di cui all`art. 79 legge citata la rinuncia del conduttore al diritto di novazione del contratto alla prima
scadenza, se compiuta dopo la stipulazione del contratto. Pertanto, dopo l`adesione del conduttore alla richiesta
di anticipato rilascio, il locatore non pu invocare vizi dell`atto di disdetta.
* Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2000, n. 15039, Silvestrini R. ed altri c. Soc. C.E.B.A.T.
In tema di locazioni di immobili non abitativi, la disdetta intimata dal locatore al conduttore alla prima scadenza,
anche se intempestiva e non motivata, a norma dell`art. 29 della L. 27 luglio 1978, n. 392, e, perci, inidonea, di
per s sola, a produrre gli effetti suoi propri (il mancato rinnovo della locazione), determina, tuttavia, in caso di
adesione del conduttore, la cessazione del rapporto locativo alla data bilateralmente concordata, non incorrendo
nel divieto di cui all`art. 79 della legge citata la rinuncia del conduttore al diritto di rinnovazione del contratto alla
prima scadenza, se compiuta dopo, la stipulazione del contratto. Pertanto, dopo l`adesione del conduttore alla
richiesta di anticipato rilascio, il locatore non pu invocare i vizi dell`atto di disdetta per inferirne l`adempimento
del conduttore nel pagamento dei canoni per il tempo successivo all`intervenuta cessazione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 13 settembre 1996, n. 8262, Bizzarro c. Furs Center.
Con riferimento ad un contratto di locazione di immobile adibito ad uso commerciale la previsione ab origine di
una durata dello stesso pari a dodici anni determina implicita rinuncia preventiva del locatore al diritto di recesso,
ex art. 29 L. n. 392/1978, decorso il primo sessennio, salva poi, allo spirare del termine pattuito, la facolt di
diniego di rinnovo tacito del contratto, mediante tempestiva, ancorch immotivata, disdetta.
* Pret. civ. Verona, 25 settembre 1998, Soc. Ovolat c. Soc. So.So.
Per accertare se la dichiarazione di diniego di rinnovo del contratto di locazione ex art. 29 della L. n. 392/1978,
sia stata effettuata tempestivamente occorre rifarsi alla data di spedizione della raccomandata relativa e non gi
a quella di arrivo della stessa al destinatario.
* Pret. civ. Pescara, 20 gennaio 1987, De Nobile c. Spa Standa.
v) Terzo acquirente
Sul piano formale la durata legale delle locazioni di immobili urbani ad uso commerciale di sei (e non dodici)
anni, essendo l`ulteriore sessennio condizionato dal fatto, pur sempre ipotetico, della mancata disdetta per uno
dei motivi di cui all`art. 29 legge 27 luglio 1978 n. 392. Tali locazioni, pertanto, sono opponibili al terzo
acquirente dell`immobile locato, a norma dell`art. 2923 c.c., anche se non trascritte. Tuttavia il limite di durata di
un novennio dall`inizio del contratto, posto dall`art. 2923 c.c. per l`opponibilit all`acquirente, deve intendersi
esteso a dodici anni, per effetto delle nuove disposizioni della legge n. 392/78.
* Corte app. civ. Napoli, 14 luglio 1997, Soc. Big Shop c. Soc. Secoim.
z) Utilizzazione parziale
In tema di locazione di immobile adibito ad uso diverso da abitazione e di conseguito rilascio dello stesso, ex art.
29 legge 27 luglio 1978, n. 392, alla prima scadenza, l`effettiva utilizzazione del bene da parte del locatore del
bene, atta ad evitare l`applicazione delle sanzioni previste dall`art. 31 della legge citata, da ritenersi rispettata sempre che realizzi la finalit dedotta a suo tempo dal locatore - anche nel caso in cui essa si riveli solo parziale.
* Cass. civ., sez. III, 25 agosto 1997, n. 7974, Culin c. Resch.
ESIGENZE ABITATIVE DI NATURA TRANSITORIA
SOMMARIO: a) Accertamento; b) Clausole contrattuali; c) Competenza; d) Dipendenti o collaboratori di una
ditta; e) Durata; f) Legge sullequo canone; g) Motivi di studio; h) Mutamento delle esigenze; i) Nozione; l)
Stabilit dellabitazione.
a) Accertamento
La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore, che esclude la locazione dellimmobile urbano per
uso abitativo dallambito di applicabilit della L. 27 luglio 1978, n. 392, deve essere accertata con riguardo alla
natura dellesigenza abitativa in relazione agli specifici bisogni del conduttore al momento della conclusione del
contratto e non solo dalle dichiarazioni di una o di entrambe le parti, n dalle circostanze che il contratto sia
stato stipulato per una durata inferiore al quinquennio o ad un canone superiore a quello ritenuto "equo" dalla
legge.
* Cass. civ., sez. III, 13 giugno 1994, n. 5722, Sansoni c. Moro.
La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore - che comporta lesclusione della locazione
dallambito di applicabilit della L. 27 luglio 1978, n. 392 ai sensi dellart. 26 lett. A della stessa legge - va
accertata con riferimento agli specifici bisogni del conduttore che limmobile locato destinato a soddisfare al
momento della conclusione del contratto; nel senso che la suddetta natura transitoria va riconosciuta nellipotesi
in cui labitazione del conduttore, in quanto eccezionale e temporanea, comporti una sua permanenza soltanto
precaria o sussidiaria nellimmobile locato, mentre va esclusa nel caso in cui limmobile rappresenti la normale e
continuativa dimora del conduttore. Lindagine diretta ad accertare quale delle due ipotesi ricorra nel caso
concreto va compiuta avendo riguardo alleffettiva destinazione dellimmobile e con riferimento alla natura della
esigenza abitativa del conduttore (desunta ad esempio dalla sua attivit lavorativa nel luogo in cui situato
limmobile, dalla disponibilit o non di un alloggio nel luogo di residenza anagrafica), e non alle espressioni
letterali del contratto fatto sottoscrivere dal locatore al conduttore allorquando la dichiarata transitoriet smentita dalla situazione di fatto - abbia costituito il mezzo, vietato dallart. 79 L. 27 luglio 1978, n. 392, per
eludere lapplicazione della normativa sullequo canone.
* Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1992, n. 6777, Riomaggiore snc c. De Curatis.
La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore, che comporta lesclusione della locazione dalla
sfera di applicazione delle norme della L. 27 luglio 1978, n. 392, deve essere desunta non dal termine di durata
della locazione stabilito dalle parti ma dalla natura dellesigenza abitativa che, nelle locazioni transitorie, in
quanto diversa da quella della normale e continuativa dimora, comporta una permanenza solo precaria e
saltuaria del conduttore nellimmobile, assumendo carattere eccezionale e temporaneo (nella specie, trattavasi
di locazione di appartamento utilizzato da una coppia per incontri saltuari che il giudice di merito aveva ritenuto
non transitoria solo a causa del termine quinquennale di durata convenzionalmente stabilito).
* Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 1992. n. 2371, Uberbacher Hans Peter c. Bertol Eric ed altro.
La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore - che comporta lesclusione della locazione
dallambito di applicabilit della legge 27 luglio 1978, n. 392 ai sensi dell art. 26, lett. a) della stessa legge - va
accertata con riferimento agli specifici bisogni del conduttore che limmobile locato destinato a soddisfare al
momento della conclusione del contratto, nel senso che la suddetta natura transitoria va riconosciuta nellipotesi
in cui labitazione del conduttore, in quanto eccezionale e temporanea, comporti una sua permanenza soltanto
precaria o sussidiaria nellimmobile beato, mentre va esclusa nel caso in cui limmobile rappresenti la normale e
continuativa dimora del conduttore. Lindagine diretta ad accertare quale delle due ipotesi ricorra nel caso
concreto va compiuta avendo riguardo alleffettiva destinazione dellimmobile e con riferimento alla natura
dellesigenza abitativa del conduttore (desunta ad esempio dal sistema di vita di costui, dalla sua attivit
lavorativa nel luogo in cui situato limmobile, dalla disponibilit o non di un alloggio nel luogo di residenza
anagrafica, ecc.) e non alle espressioni letterali del contratto fatto sottoscrivere dal locatore al conduttore
allorquando la dichiarata transitoriet - smentita dalla situazione di fatto - abbia costituito il mezzo, vietato
dallart. 79 della L. 27 luglio 1978, n. 392, per eludere lapplicazione della normativa sullequo canone.
* Cass. civ., sez. III, 18 dicembre 1990, n. 11984, Ressa c. Denaro; conf.: Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 1991, n.
10676, Marziale c. Benaglia.
La transitoriet delle esigenze abitative del conduttore (art. 1 e 26, L. 392 del 1978), da accertarsi dal giudice
con riferimento al momento della conclusione del contratto senza tener conto di eventi cronologicamente
successivi i quali possono aver reso stabile un esigenza inizialmente insorta come contingente e precaria, va
riferita tra laltro a quei rapporti nei quali laspirante conduttore, pur disponendo di propria stabile ordinaria
abitazione, voglia trasferire altrove la dimora per soddisfare bisogni di carattere contingente. tali da non
comportare nemmeno sotto il profilo intenzionale un cambiamento di residenza. Le ragioni pi o meno
oggettivamente cogenti o soggettivamente pressanti che possono essere alla origine delle suddette esigenze
abitative non incidono sul quadro della loro transitoriet quando, secondo un giudizio ex ante affidato ad un
criterio di normale prevedibilit, esse si palesino allatto della stipulazione dellaccordo destinate ad esaurirsi
entro un tempo breve, segnatamente inferiore comunque alla durata minima quadriennale previsto nel primo
comma dellart. 1, L. n. 392 del 1978 (fattispecie in cui il contratto dedotto in lite era stato stipulato dal conduttore
per fronteggiare una situazione di emergenza venutasi a creare a seguito di eventi sismici che avevano
interessato la localit ove egli aveva labilitazione e ne avevano consigliato il temporaneo, prudenziale
allontanamento).
* Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 1989, n. 4291, Matarazzo c. Sellitti.
Ai fini della qualificazione della natura transitoria del rapporto di locazione ai sensi dellart. 26 L. n. 392/1978,
non deve farsi riferimento alla pura e semplice volont dei soggetti contraenti. bens alla obiettiva natura
dellesigenza abitativa del conduttore, che comporti una permanenza precaria o sussidiaria nellimmobile,
diversa dalla normale e continuativa dimora, in base alle complessive risultanze del suo sistema di vita ed
attivit lavorativa.
* Trib. civ. Firenze, 21 gennaio 1991, n. 106, Milazzo c. Laurella, in Arch. loc. e cond. 1992, 159.
In virt del disposto dellart. 26 della L. n. 392 del 1978, la deroga alle norme sulla durata e sulla misura del
canone in relazione alle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria consentita
solo quando le suddette esigenze esistano effettivamente e siano state anche specificamente individuale nel
contratto, cosicch possa esserne apprezzata la particolarit della causa rispetto a quella generica del tipo
negoziale. Nel caso esse non sussistano, le relative clausole di deroga sono sostituite di diritto dalle norme
imperative della legge.
* Pret. civ. Bergamo, 9 maggio 1986, Brognoli c. Ghisalberti, in Arch. loc. e cond. 1986, 728.
Per definire "transitoria" una locazione occorre che detto requisito sussista veramente nella realt
indipendentemente dalla qualificazione data dalle parti al momento della conclusione del contratto.
* Pret. civ. Taranto, 27 maggio 1986, Chioppa c. Gargiulo, in Arch. loc. e cond. 1986, 724.
Integra una ipotesi di simulazione per interposizione fittizia di persona la stipulazione di un contratto di locazione
per il soddisfacimento di esigenze abitative di natura transitoria con conduttore apparente (persona
interponente), nellintesa (accordo simulatorio) che gli effetti della convenzione locatizia si producano nei
confronti di altro soggetto (persona interposta), che sia portatore di esigenza abitativa primaria. (Nella specie la
prova della intesa simulatoria e della natura primaria delle esigenze abitative delleffettivo conduttore stata
desunta, oltre che da dichiarazioni testimoniali, anche da elementi indiziari. plurimi e concordanti, non essendosi
ritenuto operante il divieto di prova per testi della simulazione del contratto, posto dallart. 1417 cc., in
considerazione del fatto che il conduttore ha inteso far valere la "illiceit" e nullit del contratto dissimulato di
locazione con riferimento alla clausola di "transitoriet" delluso abitativo per violazione della norma imperativa
dellart. 79 L. 392/78).
* Pret. civ. Busto Arsizio, 29 gennaio 1997, n. 21, Tripi c. Immobiliare Amba, in A rch. Ioc. e cond. 1997, 113.
Le esigenze abitative del conduttore, di natura transitoria, onde escludere ai sensi dellart. 26 della legge 27
luglio 1978 n. 392 lapplicabilit della disciplina dellequo canone, non necessitano, n in base a tale legge
speciale n ai sensi degli artt. 1418 e 1419 c.c., di specifica individuazione, ma possono essere anche soltanto
enunciate.
* Cass. civ., sez. III. 2 aprile 1997, n. 2868, Vienna c. Viziale, in Arch. loc. e cond. 1997, 635.
Qualora, dopo la stipulazione di un contratto di locazione per uso abitativo soltanto transitorio (art. 26 L. n. 392
del 1978), il conduttore invochi, in sede giudiziale, la riduzione del canone per esser limmobile adibito ad uso
diverso da quello pattuito, pur sussistendo, in ipotesi, un intento elusivo soltanto unilaterale ex latere
conductoris, nel senso che questi, intendendo adibire limmobile ad abitazione primaria e stabile, abbia
purtuttavia accettato la proposta di locazione transitoria formulatagli dal locatore, detto intento e resta
inevitabilmente circoscritto entro i confini di una (irrilevante) riserva mentale, non potendosi legittimamente
sostenere, (per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 185 del 1988 in virt della quale al locatore
riconosciuto il diritto alla risoluzione del contratto entro lanno dallavvenuto mutamento di destinazione con
decorrenza dalla data della sua effettiva conoscenza e non a prescindere da essa) che ci che rileva, in
subiecta materia, sta esclusivamente lelemento oggettivo della effettiva destinazione dellimmobile, senza
alcuna indagine sulla volont effettiva delle parti quale risultante dal contratto di locazione e senza la doverosa
verifica circa la consapevolezza o meno, da parte del locatore, delle effettive esigenze del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 20 agosto 1997, n. 7750, Cannavale c. Hotte, in Arch. loc. e cond. 1997, 993.
Una volta escluso che le parti abbiano, simulando un contratto di locazione volto a soddisfare esigenze abitative
transitorie (nella specie di natura turistica, per la durata di un anno) ai sensi dellart, 1, comma 2, L. n. 392 del
1978, dissimulato una locazione abitativa ordinaria, la rinnovazione tacita del contratto, non comporta in se
stessa, anche se reiterata, la soggezione della locazione alla disciplina di cui all art. 1, comma 1, della stessa
legge in ordine alla durata almeno quadriennale del rapporto, dovendo il giudice esaminare se le parti abbiano
inteso, anche se sol per facta concludentia, rinnovare il contratto originario per soddisfare le stabili e
continuative esigenze abitative del conduttore. In ogni caso, allorch tali esigenze attengano a motivi di lavoro o
di studio, il contratto resta sottratto alla disciplina della L. n. 392 del 1978 quanto alla durata della locazione (art.
1, comma 2), rimanendovi invece soggetto per il regime della determinazione legale del canone (art. 26, comma
1, lett. a).
* Cass. civ., sez. III, 25 luglio 1997, n. 6990, Pulliero c. Bratoz, in Arch. loc. e cond. 1997, 1007.
Nella ricerca della comune intenzione delle parti contraenti, il primo e principale strumento delloperazione
interpretativa costituito dalle parole ed espressioni del contratto, e, qualora queste siano chiare e dimostrino
una loro intima ratio, il giudice non pu invocarne una diversa, venendo cos a sovrapporre una propria
soggettiva opinione alleffettiva volont dei contraenti. (Nella fattispecie, la Corte ha cassato, con rinvio, la
pronuncia del tribunale, la quale, di contro al contenuto fatto proprio dal testo di un contratto di locazione e che
deponeva nel senso dellavvenuta stipula di un contratto di locazione per finalit abitative ordinarie, aveva
ritenuto di ricostruire, sulla base di una prova testimoniale, lavvenuta stipula di una locazione per esigenze
abitative meramente transitorie).
* Cass. civ., sez. III, 20 maggio 1997, n. 4480, Bacchieri c. Cardinali.
b) Clausole contrattuali
Il contratto di locazione per uso abitativo stipulato, con la falsa indicazione della transitoriet delluso da parte
del conduttore (art. 26 della L. n. 392 del 1978) al fine di eludere la sanzione della nullit di clausole concernenti
la durata e la misura del canone contrarie al regime giuridico rigidamente prestabilito per esse, integra gli
estremi di una fattispecie simulatoria relativa in fraudem legis, che cela, sotto lapparenza di una convenzione
negoziale di locazione transitoria, una locazione abitativa ordinaria pattiziamente regolata in difformit dal
regime coattivo cosiddetto dellequo canone che le proprio, con la conseguenza che il conduttore che invochi,
in giudizio, lapplicazione del regime legale al rapporto cos instaurato (con automatica sostituzione delle
clausole contrattuali nulle, ex art. 79 legge cit.) avr lonere di dimostrare lesistenza della simulazione
contrattuale, e la facolt di avvalersi, a tal fine, della prova per testi e per presunzioni al di l dei limiti sanciti, per
le parti, dallart. 1417, attesa la illiceit per contrasto con norme imperative del contratto simulato.
* Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1997, n. 6145, Longhi-tano c. Benvenuti, in Arch. loc. e cond. 1997, 798.
Quando un contratto di locazione abitativa sia stipulato con la previsione di un uso transitorio, il conduttore, che
assuma la nullit ex art. 79 della L. 27 luglio 1978, n. 392 di tale clausola per inesistenza in concreto della
dedotta natura transitoria delle esigenze abitative, deve dimostrare che questa inesistenza era ragionevolmente
apprezzabile dal locatore in base allobiettiva situazione di fatto da questultimo conosciuta al momento del
contratto, non potendo altrimenti rilevare contro il locatore n situazioni di fatto occultate dal conduttore, n la
riserva mentale di costui di non accettare la clausola.
* Cass. civ., sez. III, 24 luglio 1995, n. 8063, Ami Budget Cultura c. De Santis.
Quando un contratto di locazione abitativa sia stipulato con la previsione di un uso transitoria, il conduttore, che
assuma la nullit ex art. 79, L. 27 luglio 1978, n. 392 di tale clausola per inesistenza in concreto della dedotta
natura transitoria delle esigenze abitative, deve dimostrare che questa inesistenza era ragionevolmente
apprezzabile dal locatore in base alla obiettiva situazione di fatto da questultimo conosciuta al momento del
contratto, non potendo altrimenti rilevare contro il locatore n situazioni di fatto occultate dal conduttore, n la
riserva mentale di costui di non accettare la clausola.
* Cass. civ.. sez. III, 5 aprile 1995, n. 4001, Ghezzi c. Capasso.
Quando un contratto di locazione abitativa sia stipulato con la previsione di un uso transitorio, il conduttore, che
assuma la nullit ex art. 79 L. 27 luglio 1978, n. 392 di tale clausola per inesistenza in concreto della dedotta
natura transitoria delle esigenze abitative, deve dimostrare che questa inesistenza era ragionevolmente
apprezzabile dal locatore in base alla obiettiva situazione di fatto da questultimo conosciuta al momento del
contratto, non potendo altrimenti rilevare contro il locatore n situazioni di fatto occultate dal conduttore, n la
riserva mentale di costui di non accettare la clausola.
* Cass. civ., sez. III, 29 dicembre 1993, n. 12947, Sardi c. Suc. Montefili Immobiliare.
Ai sensi dellart. 26 lett. a) della L. 27 luglio 1978, n. 392, la deroga alle norme sulla durata della locazione e
sulla misura del canone consentita solo quando le esigenze abitative di natura transitoria non solo esistono
effettivamente, ma sono anche specificamente contemplate nel contratto, che ad esse deve fare chiaro
riferimento, pur senza formule solenni sacramentali, onde possa esserne apprezzata la particolarit della causa
rispetto a quella generica del tipo negoziale. In mancanza, le clausole di deroga sono sostituite di diritto dalle
norme imperative della legge, in modo particolare per quanto riguarda la misura massima del canone (art. 79
della L. 392/78). Leventuale diversa opinione del locatore a tal riguardo potr eventualmente costituire ragione
di annullamento del contratto, se potr dimostrarsi la sussistenza delle condizioni di legge (artt. 1427 segg. c.c.).
e salvo il diritto al risarcimento del danno se lerrore dovesse risultare imputabile al conduttore (artt. 1337 e 1338
c.c.).
* Trib. civ. Firenze, 31 maggio 1980, Samor c. Poggi Ricci, in Arch. loc. e cond. 1981, 77.
Lesigenza transitoria rilevante ai fini dellesclusione del contratto di locazione dalla tutela della L. n. 392/1978
deve essere espressamente evidenziata dalle parti al momento della stipula, mediante riferimento a fatti concreti
relativi alle esigenze abitative del conduttore, a nulla rilevando la qualificazione del rapporto come transitoria o la
pattuizione della sua durata infraquinquennale.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 8 ottobre 1990, n. 6947, Russo c. Varia e Societ Errevi, in Arch. loc. e cond. 1990,
739.
La clausola con la quale i contraenti prevedono, al momento della sottoscrizione del contratto, che nel caso di
specie si verte in unipotesi di "locazione transitoria non soggetta ad equo canone" non di per s nulla. Per
accentarne la validit o la nullit occorre procedere allinterpretazione della volont delle parti secondo il
disposto di cui agli artt. 1362 c.c. e seguenti.
* Pret. civ. Milano, 25 ottobre 1980, Fontanesi c. Valeri, motivaz. in Arch. loc. e cond. 1981, 127,
c) Competenza
Il giudice competente in ordine alla controversia concernente il rilascio per " finita locazione" di immobile adibito
ad esigenze abitative di natura transitoria - non essendo questa ricompresa in alcuna delle ipotesi di
competenza per materia poste, in materia locatizia, dagli artt. 30 e 45 della legge 27 luglio 1978 n. 392 - va
individuato secondo gli ordinari criteri della competenza per valore previsti dal codice di rito.
* Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1983, n. 2873, Farfarini c. Pucci.
d) Dipendenti o collaboratori di una ditta
La qualifica della transitoriet delluso di un immobile ai fini della esclusione dellapplicazione della L. n.
392/1978 deve essere operata con concreto riferimento alla situazione abitativa degli occupanti. Pertanto, nel
caso di immobile locato ad una ditta che intenda utilizzarlo a favore di propri dipendenti o collaboratori, la
transitoriet deve essere collegata alla situazione concreta degli occupanti e non alla teorica possibilit di una
rapida alternanza degli stessi, n rilevante linclusione nel contratto del termine "transitorio".
* Pret. civ. Bologna, 20 agosto 1990, Sticchi c. Galli, in Arch. loc. e cond. 1990, 777.
e) Durata
Alle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria (art. 1, comma primo, L. 27 luglio
1978, n. 392) non si applica il disposto dellart, 1, comma primo della stessa legge sulla durata minima legale del
contratto di locazione, non rilevando che il conduttore abiti stabilmente lappartamento per motivi di lavoro o di
studio (art. 26 lett. a, L. 27 luglio 1978, n. 392).
* Cass. civ., sez. III, 12 agosto 1991, n. 8785, Paglianini c. Caviglia.
Fra le locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria alle quali, ai sensi dellart. 1 della
legge 27 luglio 1978, n. 392 (cosiddetta sullequo canone), non si applica il disposto circa la durata almeno
quadriennale del contratto, rientrano quelle concernenti un appartamento per la sola villeggiatura.
* Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1982, n. 4808, Bottigliero c. Signorelli.
Ai fini della determinazione della durata della locazione stipulata per esigenze abitative di natura transitoria, tali
esigenze (che in caso di concreta sussistenza costituiscono i presupposti per lesclusione dellapplicabilit della
disciplina ex artt. 58 e 65, L. n. 392/1978) devono attenere a brevi periodi di occupazione degli immobili,
contraddistinti dal carattere della occasionalit e della particolarit di un bisogno momentaneo, anche se motivati
da esigenze di lavoro e di studio (nella specie, il conduttore ha posto nellimmobile locato la stabile e continua
dimora della famiglia).
* Pret. civ. Verona, 2 luglio 1986, n. 1040, Mainenti c. Tessani. in Arch. loc. e cond. 1989, 186.
La pattuizione di una durata inferiore a quella legale sostituita da quella legale in virt del fenomeno
dellintegrazione del contratto.
*Pret. civ. Varazze, 8 aprile 1989, Piazza c. Garau, in Arch. loc. e cond. 1989, 555.
La locazione stipulata per soddisfare esigenze di natura transitoria, ancorch per motivi di lavoro, seppure
prorogata ai sensi della legislazione vincolistica sino al 31 luglio 1978, resta estranea allapplicabilit degli artt.
58 o 65 della L. n. 392 del 1978 e cessa alla suddetta data, ove non sia stata rinnovata secondo i meccanismi
del codice civile.
* Pret. civ. Roma, sez. II, 15 aprile 1987, Triolo c. Ciabattoni, in Arch. loc. e cond. 1987, 756.
La determinazione della durata della locazione stipulata per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria ancorch si tratti di esigenze di lavoro o di studio - nel regime ordinario della L. n. 392 del 1978 resta affidata
allautonomia delle parti, ai sensi degli artt. 1, comma secondo, e 26, lett. a) della legge stessa. Una durata
legale di tali contratti parimenti esclusa nel regime transitorio, restando linapplicabilit degli artt. 58 e 65- che
prevedono siffatta ulteriore durata con riferimento, rispettivamente, ai contratti soggetti ovvero non soggetti a
proroga secondo la legislazione precedente - sancita dallart. 64 e dallultimo comma dellart. 65 che
considerano, ai fini suddetti, solo i contratti previsti alla lettera d) del primo comma e al secondo comma dellart.
26, con la conseguente esclusione degli altri contratti ivi previsti.
* Pret. civ. Roma. sez. II, 15 aprile 1987, Triolo c. Ciabattoni, in Arch. loc. e cond. 1987, 756.
Nelle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, che ai sensi dellart. 1, secondo
comma, della legge 392/78 sono sottratte alla durata quadriennale, la "stabilit" dellabitazione rileva soltanto ai
fini della determinazione del canone.
* Pret. civ. Pontassieve, 20 agosto 1982, Rapaccini c. Sigg. in Arch. loc. e cond. 1982, 764.
Costituisce esigenza abitativa di natura transitoria ai fini dellapplicazione della legge dellequo canone
quellesigenza adeguatamente soddisfatta soltanto con una locazione di durata inferiore al quadriennio, nonch
quella che non sia connessa con una stabile abitazione nellimmobile per ragioni di lavoro o di studio.
* Pret. civ. Taranto, 15 maggio 1981, Cofano c. Cartini. in Arch. loc. e cond. 1981, 242.
Lesigenza abitativa transitoria che consente la stipulazione di un contratto di locazione con durata inferiore al
quadriennio entra a fare parte della causa del contratto e ne costituisce quindi elemento essenziale. Incombe al
locatore, che chiede il rilascio allo scadere del termine pattuito, allegarla e dimostrarne lesistenza. Essa deve
essere oggettiva e non pu consistere in una mera aspettativa o in promessa di rilascio da parte del conduttore,
al termine pattuito.
* Pret. civ. Parma, 30 maggio 1980, Gorreri , Benincasa. in Arch. loc. e cond. 1980, 430.
f) Legge sullequo canone
disciplinata dalle regole generali di cui alla L. n. 392/78, relativamente alla determinazione del canone, lipotesi
in cui il conduttore che stipuli un contratto di locazione per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria,
debba abitare stabilmente nellimmobile per motivi di lavoro o di studio.
* Pret. civ. Bologna, 18 febbraio 1988, n. 159, Bernardini c. Gara, in Arch. loc. e cond. 1988, 785.
In tema di locazione per esigenze abitative di natura transitoria, la sussistenza delle ragioni di lavoro o di studio
non di per s idonea, ove difetti la prova di una effettiva stabile occupazione dellalloggio, ad integrare
compiutamente la fattispecie prevista dallart. 26, lett. a), L. n. 398/78; ne deriva che la disciplina di cui al capo I
della legge citata applicabile soltanto se la finalizzazione del rapporto ad esigenze di studio o di lavoro si
traduca in una concreta utilizzazione del bene locato.
* Trib. civ. Pavia, sez. I, 13 gennaio 1987, n. 5, Panigati c. Liapaki e altro, in Arch. loc. e cond. 1987, 113.
g) Motivi di studio
Non pu negarsi la ricorrenza delle condizioni di cui allart. 26 lett. a) L. 392/78 e cos ritenere la relativa
locazione soggetta a detta legge nel caso della studente universitaria che si mantenga la casa fuori sede per la
frequenza dei corsi, salvo, forse, solo lipotesi che vi andasse appena in occasione degli esami.
* Pret. civ. Chieti, 23 ottobre 1981, Liberi c. Trapani, in Arch. loc. e cond. 1982, 124.
Non pu essere compreso tra le locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria il
contratto atipico che preveda come oggetto della locazione la sola utilizzazione, da parte di uno studente
straniero dimorante in Italia, di uno spazio riservato alla collocazione di un letto con luso di servizi comuni.
* Pret. civ. Napoli, 26 aprile 1986, n. 1303, Cimmino c. Michalolia. in Arch. loc. e cond. 1986, 729.
Per gli studenti universitari "fuori corso", i quali non devono pi frequentare le lezioni ma soltanto dare gli esami
arretrati, non sussistono pi le "ragioni di studio" per occupare, con la crisi attuale degli alloggi, stabilmente un
immobile nella sede universitaria presso la quale devono recarsi saltuariamente solo per sostenere detti esami,
a meno che non dimostrino di dovere ugualmente attendere a corsi di pratica professionale, di laboratorio od
altri. Ne consegue che con tali studenti pu ben essere stipulata un contratto di locazione transitoria.
* Pret. civ. Parma, 18 ottobre 1980, Orsini c. Trombi, in Arch. loc. e cond. 1980, 624.
Nel caso di contratto di locazione stipulato a favore di terzo (nella fattispecie, dai genitori di uno studente), avuto
riguardo alla previsione di cui allart. 26 lett. a) della legge 392/78, ci si deve riferire al terzo beneficiario
dellalloggio al fine di accertare la presenza dei requisiti fissati da detta norma.
* Pret. civ. Bologna. sez. I, 3 aprile 1981, n. 681, Girola e altro c. S.a.s. Weisshorn, in Arch. loc. e cond. 1981,
487.
h) Mutamento delle esigenze
Le esigenze abitative transitorie di cui agli artt. 1 e 26 della L. 392/78 debbono effettivamente sussistere nel
momento della formazione genetica del contratto, a nulla rilevando le mutate esigenze del conduttore, non
valide per esigere una unilaterale modifica del contratto.
* Trib. civ. Genova, sez. III, 15 gennaio 1983, n. 409, Bacigalupo c. Trestin, in Arch. loc. e cond. 1983, 108.
i) Nozione
Lesigenza abitativa di natura transitoria si riferisce solo alle esigenze del conduttore e deve essere
"oggettivamente" tale nella realt e non perch le parti ritengono di concordare nel qualificarla tale.
* Pret. civ. Taranto, 15 maggio 1981, Cofano c. Cartini, in Arch. loc. e cond. 1981, 242.
Le esigenze abitative di natura transitoria di cui allart. 26 della L. n. 392 del 1978 non si caratterizzano alla luce
del mero dato obiettivo positivo dellesaurimento nel breve periodo, bens secondo il dato negativo della loro
intrinseca non meritevolezza di tutela per lobiettiva diversit dallesigenza abitativa primaria (ovvero giustificata
da ragioni di lavoro o di studio), attesone il carattere meramente sussidiario o voluttuario (quale quella inerente a
vicende di soggiorno turistico, di incontri saltuari con conoscenti ed amici, di utilizzazioni occasionali per i pi
disparati scopi). Tali esigenze sussidiarie ben possono, pertanto, protrarsi anche considerevolmente nel tempo,
ed essere soddisfacentemente appagate mediante la protratta disponibilit di un alloggio, con la conseguenza
che non pu legittimamente ritenersi incompatibile con la qualificazione di una locazione in termini di
transitoriet listituto della rinnovazione tacita del contratto ai sensi dellart. 1597 c.c., almeno nelle circostanze in
cui non risulti, tra le parti, una volont novativa rispetto alla originaria convenzione negoziale, con relativa
modificazione della fattispecie legale tipica da locazione transitoria non primaria a locazione abitativa primaria.
* Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1997, n. 6145, Longhitano c. Benvenuti, in Arch. loc. e cond. 1997, 799.
l) Stabilit dellabitazione
Nelle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, che ai sensi dellart, 1, secondo
comma, della L. n. 392/1978 sono sottratte alla durata quadriennale, la "stabilit" dellabitazione rileva solo ai fini
della determinazione del canone.
*Pret. civ. Firenze, 2 dicembre 1985, Gabbrielli c. Demoustier, in Arch. loc. e cond. 1986, 134.
Ove sia stata pattuita una locazione per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria non per motivi di
studio o di lavoro, ed invece dellimmobile venga fatta dal conduttore una utilizzazione abitativa stabile
determinata da uno di detti motivi, il canone disciplinato dagli artt. 12 - 221. 392/78.
* Pret. civ. Firenze, 4 ottobre 1985,
Nel condominio di edificio, l'allacciamento di nuovi scarichi, che venga eseguito dal singolo partecipante, nella
colonna condominiale di smaltimento delle acque luride, configura un uso (pi intenso) della cosa comune. Ne
consegue che la legittimit o meno di detto allacciamento deve essere accertata non con riguardo alle
disposizioni dettate dall'art. 1067 c.c., in tema di esercizio delle servit, ma con esclusivo riferimento alle norme
che fissano i limiti del godimento del bene comune da parte dei singoli condomini (artt. 1102, 1118 e segg. c.c.).
Il naturale scolo, in un cortile condominiale, delle acque grondanti da cornicioni, balconi o terrazze delle
abitazioni che vi si affacciano, il quale non si ricollega ad un diritto di servit, ma configura esercizio del diritto di
compropriet, resta soggetto ai limiti fissati dall'art. 1102 cod. civ., e non pu quindi implicare un'alterazione
della destinazione della cosa comune, od un impedimento del pari uso degli altri partecipanti, n un
danneggiamento della cosa medesima o delle propriet esclusive dei singoli condomini. (Nella specie, alla
stregua del principio di cui sopra, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione dei giudici del merito, che avevano
dichiarato illegittima l'apertura di un foro, alla base di un parapetto, convogliante l'acqua piovana nel cortile con
violenta caduta e danneggiamento di porzioni condominiali).
* Cass. civ., sez. II, 11 ottobre 1986, n. 5949, Truda c. Alfano.
i) Spese
L'art. 1123, primo cpv., cod. civ., che nell'ipotesi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa
dispone che le relative spese sono ripartite in proporzione dell'uso da ciascuno fattone, non pu subire deroga
per la circostanza che l'unit immobiliare sia compresa nella tabella millesimale generale dell'edificio
condominiale, in quanto tali tabelle, formate in base al solo valore delle singole unit immobiliari, servono solo
per il riparto delle spese generali e di quelle che riguardano le parti dell'edificio comuni a tutti i condomini, ma
non sono utilizzabili per il riparto delle spese che non sono comuni a tutti i condomini in ragione del diverso uso
delle cose condominiali. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la
pronuncia della corte di merito che aveva ritenuto non dovute dalla parte attrice, la cui propriet era pur inclusa
nelle tabelle millesimali, le spese per la manutenzione delle fognature, in quanto il suo locale al piano interrato
era sfornito di impianti igienici).
* Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1987, n. 8484, Cond. V. Nobili c. Carini.
Con riguardo all'impianto di fognatura di un edificio in condominio l'indagine diretta a stabilire se il condomino
che non utilizzi detto impianto, per essere l'unit abitativa di sua propriet collegata con l'impianto idrico sanitario
di un altro condominio, sia egualmente comproprietario dell'impianto condominiale e quindi, in applicazione
dell'art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere nelle spese inerenti alla sua conservazione, va condotta in base ai
criteri indicati nell'art. 1117 c.c. sull'individuazione delle parti comuni dell'edificio, tenendo conto che la
comunione di detto impianto ove debba essere negata in base alla citata norma pu essere riconosciuta per
effetto di diversa previsione del regolamento condominiale, quando esso abbia natura contrattuale perch
predisposta dall'originario unico proprietario dell'edificio e poi accettato con i singoli atti di acquisto, ovvero
perch adottato con il consenso unanime di tutti i partecipanti, manifestato nelle debite forme.
* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1991, n. 13160, Condominio via L. Nobili n. 46 Roma c. Pierboni.
Le opere destinate a servire una parte dell'intero fabbricato, e i conseguenti danni, sono a carico del gruppo di
condomini che ne trae utilit (nella specie si trattava di interventi condominiali diretti al rifacimento della condotta
fecale).
* Trib. civ. Napoli, sez. III, 27 giugno 1992, n. 8205, Coppeto c. Panaro, in Arch. loc. e cond., 1993, 116.
Le riparazioni alle tubature effettuate nell'interno degli appartamenti sono a carico dei rispettivi proprietari.
* Trib. civ. Milano, 26 giugno 1970, in Riv. giur. edilizia 1972, I, 216.
Le prese per la costruzione di nuovi canali di scarico e di nuova fognatura, necessari per sostituire il
preesistente sistema di scarico, a pozzi perdenti, con altro collegato direttamente alla fogna comunale, vanno
ripartite tra i condomini, non in proporzione all'uso che ciascuno di essi pu farne, secondo la previsione di cui
all'art. 1123, comma 2, c.c., bens in misura proporzionale ai valori di propriet individuale espressi in millesimi,
a norma del comma 1 dello stesso articolo, purch i relativi condotti costituiscano un impianto unico non
suscettibile di frazionamenti, quali parti integranti del medesimo condotto principale nel quale confluiscono
senza del quale non potrebbero funzionare.
* Cass. civ., 12 ottobre 1979, n. 533.
Le cause aventi ad oggetto con la formazione delle tabelle millesimali la ripartizione di spese attinenti all'uso e al
godimento dei servizi condominiali e dei beni comuni (nella specie spese di spurgo della fossa biologica e di
pozzetti) non rientrano tra le controversie relative alle modalit di uso e alla misura dei servizi condominiali
rispettivamente di competenza del conciliatore (art. 7 cpv., c.p.c.) e del pretore (art. 8, n. 4, c.p.c.) - in quanto la
patrimonialit del thema decidendum prevale sull'accertamento della misura e delle modalit dell'uso, che
costituisce soltanto un presupposto necessario per la determinazione delle singole quote di spesa.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6936, Piccirillo c. Cartaro ed altri.
IMMISSIONI (RUMORI, FUMI, ESALAZIONI)
SOMMARIO: a) Esalazioni maleodoranti; b) In genere; c) Inquinamento atmosferico; d) Limitazioni imposte dal
regolamento; e) Normale tollerabilit; f) Procedimento (azione inibitoria); g) Responsabilit del conduttore; h)
Rumori; i) Servit di immissione; l) Tutela della salute; m) Vibrazioni prodotte da automezzi.
a) Esalazioni maleodoranti
Per stabilire se la destinazione o la fruibilit di un ambiente comune, in un condominio edilizio, siano state
degradate dalle esalazioni di un gabinetto di decenza costruito da uno dei condomini, il giudice del merito non
pu limitarsi a constatare l'esistenza di un parere positivo dell'autorit sanitaria comune, poich quest'ultima
cura interessi pubblici diversi da quelli privati, tutelati dalle norme del codice civile sul condominio.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1978, n. 4844.
Le esalazioni maleodoranti o comunque sgradevoli non rientrano nella tutela penalmente apprestata dall'art. 674
del codice penale per le emissioni moleste di gas vapori e fumo, ma possono esser fonte di responsabilit civile,
ove eccedano i limiti posti dall'art. 844 c.c.
* Cass. pen., sez. I, 24 aprile 1991, n. 4539 (ud. 29 gennaio 1991), Garzia.
b) In genere
La disposizione dell'art. 844 c.c., applicabile anche negli edifici in condomino nell'ipotesi in cui un condomino
nel godimento della propria unit immobiliare o delle parti comuni dia luogo ad immissioni moleste o dannose
nella propriet di altri condomini. Nell'applicazione della norma deve aversi riguardo, peraltro, per desumerne il
criterio di valutazione della normale tollerabilit delle immissioni, alla peculiarit dei rapporti condominiali e alla
destinazione assegnata all'edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. In particolare,
nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unit immobiliari siano soggette a
destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione ed ad esercizio commerciale, il criterio dell'utilit sociale, cui
informato l'art. 844 citato, impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed
economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali (v. Cost., artt. 14, 31 e 47) le
esigenze personali di vita connesse all'abitazione, rispetto alle utilit meramente economiche inerenti
all'esercizio di attivit commerciali. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale
aveva ordinato la rimozione dal muro perimetrale comune di una canna fumaria collocata nella parte terminale a
breve distanza dalle finestre di alcuni condomini, destinata a smaltire le esalazioni di fumo, calore e gli odori
prodotti dal forno di un esercizio commerciale ubicato nel fabbricato condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1993, n. 3090, Cannata c. Pizzo.
La norma dell'art. 844 applicabile anche ai rapporti tra i condomini di uno stesso edificio, quando uno di essi,
nel godimento della cosa propria od anche comune, dia luogo ad immissioni moleste e dannose nella propriet
dell'altro.
* Cass. civ., 20 febbraio 1969, n. 570.
Ai fini della valutazione della liceit delle immissioni, l'art. 844 cod. civ. enuncia tre diversi criteri, di cui due
obbligatori ed uno facoltativo e sussidiario: i criteri obbligatori sono quelli della normale tollerabilit e del
contemperamento delle ragioni della propriet con le esigenze della produzione, mentre il criterio facoltativo
quello della priorit dell'uso.
* Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 1985, n. 6534, Dei A. c. Dei M.
Qualora i condomini, con il regolamento di condominio, abbiano disciplinato i loro rapporti reciproci in materia di
immissioni con norma pi rigorosa di quella dettata dall'art. 844 c.c., che ha carattere dispositivo, della liceit o
meno della concreta immissione si deve giudicare non alla stregua del principio generale posto dalla legge,
bens dal criterio di valutazione fissato nel regolamento (nella specie trattavasi dell'installazione di una tipografia
nonostante che il regolamento facesse divieto di svolgere attivit rumorose od emananti esalazioni nocive).
* Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1992, n. 1195.
La protezione della propriet da immissioni dannose concessa dagli artt. 949 e 844 cod. civ. anche nei rapporti
tra condomini di uno stesso edificio quando uno di essi, nel godimento della cosa propria o comune, dia luogo
ad immissioni moleste e dannose nella propriet di altro condomino, facendo sorgere in colui che subisce
l'immissione dannosa, il diritto al risarcimento del danno e ad una declaratoria giudiziale che sanzioni
l'illegittimit delle immissioni.
* Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 1982, n. 448, Leotta c. Greco.
La domanda di condanna all'eliminazione delle immissioni intollerabili di rumori, fumi e vibrazioni derivanti da
una centrale per la produzione di energia elettrica, proposta dal proprietario di un fondo adiacente alla stessa,
appartiene alla cognizione del giudice ordinario, in quanto, pur potendo comportare la chiusura di detta centrale,
essa diretta alla tutela di diritti soggettivi (propriet e salute), che si assumono lesi dalle modalit di attuazione
della produzione di energia, non gi alla soppressione del relativo servizio pubblico.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 29 luglio 1995, Soc. Sep. c. Mazzella.
Sebbene l'art. 844 c.c. contenga un elenco esemplificativo delle immissioni suscettibili di divieto, posto che, in
esso, dopo l'espressa menzione di alcune di tali immissioni seguono le parole "e simili propagazioni" , tuttavia il
carattere eccezionale dei limiti posti alla estrinsecazione del diritto di propriet fa s che la tassativit sussiste nel
genus, se non nella species. Pertanto, la norma passibile di applicazione, per interpretazione estensiva, ad
ipotesi che presentino tutti i seguenti requisiti: 1) materialit dell'immissione, cio che essa cada sotto i sensi
dell'uomo ovvero influisca oggettivmente sul suo organismo (per esempio, radiazioni nocive) o su
apparecchiature (per esempio, correnti elettriche e onde elettromagnetiche); 2) carattere indiretto o mediato
dell'immissione, nel senso che essa non consista in un facere in alienum, ma costituisca ripercussione di fatti
compiuti, direttamente o indirettamente dall'uomo, nel fondo da cui si propaga; 3) attualit di una situazione di
intollerabilit, non semplice pericolo di essa, derivante da una continuit, o almeno periodicit, anche se non a
intervalli regolari, dell'immissione. Questi requisiti non ricorrono nell'ipotesi in cui aggetti di gronda e tubazioni di
raccolta delle acque piovane sporgano oltre la linea di confine.
* Cass. civ., sez. II, 7 settembre 1977, n. 3889.
La possibilit di eliminare o di ridurre la immissione con l'adozione di idonei accorgimenti tecnici pu influire nella
valutazione della tollerabilit delle immissioni stesse, nel senso di far considerare intollerabile ci che pu essere
eliminato senza soverchio sacrificio e con mezzi normali; ma ci non consente di affermare, in via di illazione,
che possano valutarsi con minor rigore quelle immissioni rispetto alle quali ogni rimedio sia stato adottato e si sia
rivelato, o non possa che rivelarsi, inutile, ci perch l'adozione di accorgimenti tecnici non rileva, in relazione al
suo costo, sul piano della valutazione della normale tollerabilit delle immissioni bens, in relazione alla sua
efficienza (o, al pi, in relazione al rapporto tra il suo costo e la sua efficienza, ed impregiudicato restando, il
caso di totale o parziale inefficienza, il rimedio dell'indennizzo) sul piano della decisione circa i rimedi e le misure
da adottare.
* Cass. civ., 10 ottobre 1975, n. 3241.
Sia la norma dell'art. 844 cod. civ. e sia quella dell'art. 890 dello stesso codice sono ispirate all'esigenza di
contemperare le ragioni della propriet con le necessit economico-sociali, con potere del giudice di stabilire i
rispettivi limiti; mentre l'art. 844 tende a tutelare la propriet delle immissioni, il successivo art. 890 ha un pi
vasto campo di applicazione, estendendo la sua previsione a tutti i casi in cui le immissioni sono tali da
provocare anche soltanto il pericolo di pregiudizio alla stabilit di un immobile o alla salubrit del luogo.
* Trib. civ. Napoli, 18 luglio 1983, Longo c. Spa Italsider, in Arch. civ. 1984, 770.
Il problema dell'interpretazione analogica dell'art. 844 c.c. in ipotesi in cui sia stata (esclusivamente) proposta
azione ex art. 2043 c.c. in realt (ai fini di causa) un falso problema, perch quando l'attore si limita ad agire
contro l'autore delle immissioni per la loro eliminazione chiaro che egli svolge solo un'azione personale
inquadrabile nell'azione di risarcimento in forma specifica di cui all'art. 2058 c.c.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. loc. e cond. 1993, 496.
c) Inquinamento atmosferico
La L. 13 luglio 1966, n. 615, la quale, all'art. 20, stabilisce che tutti gli stabilimenti industriali devono possedere
impianti, installazioni o dispositivi tali da contenere entro i pi ristretti limiti che il progresso tecnico consenta, le
emissioni di fumi, gas, polveri o esalazioni ch, oltre a costituire comunque pericolo per la salute pubblica,
possono contribuire all'inquinamento atmosferico, non concerne la materia delle immissioni, cui si riferisce l'art.
844 c.c., n, pi in generale, quella dei rapporti privatistici di vicinato, come risulta dalle finalit di detta
disciplina, quale traspare dal riferimento alla tutela della "salute pubblica" e, in particolare, alla prevenzione
dell'inquinamento atmosferico.
* Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 1975, n. 3241.
In tema di immissioni i limiti di tollerabilit previsti dalla L. 13 luglio 1966 n. 615 non trovano applicazione nei
rapporti privatistici di vicinato, che restano disciplinati dall'art. 844 cod. civ., con la conseguenza che
l'accertamento dell'eventuale intollerabilit delle immissioni comporta l'esistenza del danno in re ipsa e per il
vicino il diritto ad ottenere il risarcimento del danno a norma dell'art. 2043, fintantoch non vengano eliminate le
dette immissioni.
* Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1987, n. 2580, Eridania c. Amoretti.
Le disposizioni della L. 13 luglio 1966 n. 615, contenente provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico,
disciplinano comportamenti che prescindono da qualsiasi collegamento con la propriet fondiaria e che vengono
presi in considerazione in s e per s nell'interesse collettivo alla salvaguardia della salute in generale e non per
stabilire i limiti di equilibrio nella utilizzazione di tale propriet che rimangono affidati alla disciplina delle
immissioni ex art. 844 cod. civ., senza trovare sanzione nella detta legge avente una diversa sfera di operabilit.
Pertanto, in materia di conflitti tra fondi vicini il comportamento dannoso del proprietario di uno di essi, quale
l'emissione di fumo prodotto da combustione dalla finestra di un locale adibito a panificio, pur essendo contraria
alle dette norme contro l'inquinamento atmosferico, non attribuisce ex se al proprietario di un appartamento
nell'edificio in condominio col primo il diritto di chiederne l'eliminazione se non nel caso in cui egli dimostri che
l'immissione di fumo nel suo appartamento supera il limite della normale tollerabilit ai sensi dell'art. 844 cod.
civ.
* Cass. civ., sez. II, 16 marzo 1988, n. 2470, Scannapiero c. Califri.
In caso di effetti pregiudizievoli subiti da immobili siti in prossimit di uno stabilimento a causa delle immissioni di
polveri provenienti da questo, possono essere ritenute intollerabili ai sensi dell'art. 844 c.c. anche le immissioni
che non superino i limiti fissati dalla L. 13 luglio 1966, n. 615, sull'inquinamento atmosferico.
* Corte app. civ. Napoli, sez. I, 14 maggio 1992, n. 1162, Societ Cementir c. Rigillo e altri, in Arch. loc. e cond.
1993, 311.
d) Limitazioni imposte dal regolamento
Quando l'attivit posta in essere da uno dei condomini di un edificio idonea a determinare il turbamento del
bene della tranquillit degli altri partecipi, tutelato espressamente da disposizioni contrattuali del regolamento
condominiale, non occorre accertare al fine di ritenere l'attivit stessa illegittima, se questa costituisca o non
immissione vietata a norma dell'art. 844 cod. civ., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale
possono sempre imporre limitazioni al godimento della propriet esclusiva anche maggiori di quelle stabilite
dalla indicata norma generale sulla propriet fondiaria.
* Cass. civ., sez. II, 15 luglio 1986, n. 4554, Graziosi c. Fiesoletti.
e) Normale tollerabilit
La disciplina relativa alle immissioni moleste provenienti dal fondo vicino, dettata dall'art. 844 cod. civ., ed il
limite della tutela inibitoria alle immissioni che superano la normale tollerabilit, trovano applicazione anche nei
rapporti di condominio, tra parte di propriet esclusiva e parte di propriet comune.
* Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1983, n. 2396, Casati c. Cond. Quadrio MI.
L'accertamento della tollerabilit o meno delle immissioni agli effetti previsti dall'art. 844 cod. civ., inerisce non
gi ad un presupposto processuale, ma concerne una condizione dell'azione, verificabile, come tale, tenendo
conto anche dei fatti sopravvenuti nelle more del giudizio. (Nella specie, il Supremo Collegio, enunciando il
surriportato principio, ha cassato la decisione d'appello, confermativa del giudizio di intollerabilit delle
immissioni espresse dal primo giudice, perch emessa senza il previo controllo sull'esistenza in atto di tale
intollerabilit).
* Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1981, n. 6718, Soc. Cartiere R. c. Amadori.
La circostanza che il capoverso dell'art. 844 c.c. dia all'autorit giudiziaria ampi poteri discrezionali nella
valutazione del limite della normale tollerabilit delle immissioni, dovendosi contemperare le esigenze della
produzione con quelle della propriet, tenendo anche conto, se del caso, della priorit dell'uso, non vuol dire che
quel limite possa essere superato, ma soltanto che esso debba essere valutato pi o meno rigorosamente, in
relazione alle indicazioni date dalla norma, e che conferito all'autorit giudiziaria il potere di dare quelle
disposizioni che valgono a ricondurre, quando sia possibile, al limite di tollerabilit le immissioni, nonch di
determinare un equo indennizzo quando quelle, bench tollerabili, producano un certo danno. Da ci deriva che
le immissioni ritenute intollerabili dal giudice del merito costituiscono fatto illecito, possibile causa di danno
risarcibile a norma dell'art. 2043 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1977, n. 740.
In tema di nozione della normale tollerabilit, agli effetti di quanto dispone l'art. 844 cod. civ., opera il criterio
della relativit, essendo affidato al giudice un compito moderatore ed equilibratore da esercitarsi di volta in volta,
con riguardo, oltre alle condizioni di tempo e di luogo nelle quali si verificano le immissioni, anche alla loro
intensit ed idoneit a ripercuotersi sfavorevolmente sui soggetti che le ricevono.
* Pret. civ. Taranto, sede distaccata di Massafra 23 novembre 1977, Iurlano ed altri c. Lombardo e Morelli, in
Arch. civ. 1978, 68.
Il parametro della normale tollerabilit, di cui all'art. 844 cod. civ., in tema di immissioni derivanti dal fondo del
vicino, va accertato in base al criterio della relativit e caso per caso, essendo affidato al giudice un compito
moderatore da esercitarsi in relazione alle singole situazioni e all'entit degli interessi in conflitto e con riguardo,
altres, alle esigenze della convivenza sociale e della funzione sociale della propriet.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 27 gennaio 1978, n. 206, Cooperativa Sportiva Villaggio Brugherio Srl c. Castelli,
in Arch. civ. 1978, 546.
f) Procedimento (azione inibitoria)
Qualora un gruppo di condomini chieda la cessazione di immissioni moleste provenienti da un locale adibito ad
esercizio commerciale sito nel medesimo edificio in condominio e il giudice disponga l'esecuzione delle opere
necessarie per l'eliminazione delle denunciate immissioni, deve esser disposta l'integrazione del contraddittorio
nei confronti di tutti quei condomini, estranei al giudizio, le cui propriet individuali riceverebbero pregiudizio
dall'esecuzione delle opere stesse. (Nella specie, i giudici di appello avevano disposto l'esecuzione di opere
idonee ad eliminare le immissioni stesse - costruzione di canna fumaria lungo la parete esterna dell'edificio - ma
avevano rigettato l'istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini rimasti estranei al
giudizio, limitandosi a disporre che le opere venissero eseguite "salva l'opposizione degli altri condomini aventi
diritto").
* Cass. civ., sez. II, 6 marzo 1978, n. 1108.
L'azione diretta ad impedire le immissioni intollerabili provenienti dal fondo del vicino non pu senz'altro essere
considerata azione reale a difesa della propriet o di altro diritto reale, perch ove la violazione materiale della
sfera giuridica altrui non sia accompagnata dalla pretesa di un diritto reale limitato sulla cosa, l'azione ha
carattere essenzialmente personale, a nulla rilevando che il diritto a pretendere l'eliminazione dell'attivit
materiale commessa dal terzo sia sorta a causa della lesione di un diritto reale. In detta ipotesi, la domanda
rivolta ad ottenere la rimozione della situazione lesiva del diritto di propriet esorbita dai limiti della negatoria e
va compresa nell'azione di risarcimento del danno mediante integrazione in forma specifica.
* Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1975, n. 4124.
L'azione concessa al proprietario ex art. 844 c.c., per far dichiarare l'illiceit delle immissioni moleste provenienti
dal fondo altrui e per impedire che l'immobile proprio le subisca, costituisce un'azione di carattere reale, che
rientra nel paradigma delle azioni negatorie predisposte a tutela della propriet, in ordine alle quali il valore della
causa va determinato in base al disposto dell'art. 15 c.p.c. Ne consegue, che, quando agli atti non risulta il
reddito dominicale o la rendita catastale del bene immobile, si ha presunzione di competenza del giudice adito, e
grava sul convenuto, che eccepisce l'incompetenza per valore, l'onere di provare l'ammontare del predetto
reddito o della predetta rendita (o che, non risultando tali elementi di valutazione, la causa deve considerarsi di
valore indeterminabile), senza che i limiti di competenza per valore possano ritenersi superati per effetto di
un'ulteriore richiesta risarcitoria, atteso che la riserva di contenimento della competenza va riferita all'intero.
* Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1995, n. 8602, Barbano c. Ricci, in Arch. loc. e cond. 1996, 50.
In tema di immissioni in alienum la domanda di cessazione della turbativa comprende necessariamente l'istanza
di eliminazione delle molestie e una tale finalit pu essere conseguita sia con la radicale rimozione dell'attivit
svolta dal vicino, sia con l'attuazione degli accorgimenti tecnici idonei ad evitare la denunciata situazione
pregiudizievole, sia, infine, consentendo le immissioni contro pagamento di un'indennit a carico dell'immittente
ed a favore del proprietario del fondo soggetto alle immissioni medesime.
* Cass. civ., 21 novembre 1973, n. 3138.
In caso d'immissioni che eccedano la normale tollerabilit, l'attore pu esperire azione inibitoria ex art. 844 cod.
civ., per far cessare le immissioni ed ottenere il risarcimento del danno subito.
* Trib. civ. Milano, 7 gennaio 1988, Saccone e altra c. Condominio Via Edison 12, Novate Milanese, in Arch. loc.
e cond. 1989, 538.
L'amministratore di condominio legittimato a proporre ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per far cessare
immissioni moleste solo qualora nel ricorso stesso venga prospettata la sussistenza di un pregiudizio
incombente sul condominio in quanto tale, vale a dire sui beni di propriet comune ex art. 1117 c.c.
* Trib. civ. Napoli, ord. 26 ottobre 1993, Condominio di via Terracina n. 81/25 di Napoli c. Miceli e Soc. Toscana,
in Arch. loc. e cond. 1995, 168.
Nell'azione ex art. 844, cod. civ., ove la tutela inibitoria sia richiesta per la tutela del diritto alla salute, lo schema
reale diventa un semplice presupposto formale al quale va ricollegata la legittimazione ad agire.
* Pret. Pietrasanta, ord. 17 marzo 1989, Bolgioni c. Moba, in Arch. civ. 1989, 520.
g) Responsabilit del conduttore
Nel caso di molestie determinate da attivit svolte in una abitazione data in locazione, il conduttore, che ha il
godimento e l'uso della cosa locata, responsabile, per le immissioni che superino la normale tollerabilit, nei
confronti dei proprietari o degli inquilini degli appartamenti vicini, e tale responsabilit non pu essere limitata al
fatto personale del conduttore medesimo e delle sole persone di cui egli abbia la legale rappresentanza, in
quanto la titolarit del rapporto di locazione implica che egli debba impedire lo svolgimento, nell'abitazione
locatagli, delle predette attivit da parte di tutte le persone appartenenti al suo nucleo familiare. La colposa
violazione di tale obbligo, che trova rispondenza in un principio di responsabilit sociale, fonte di responsabilit
extracontrattuale (ai sensi, peraltro, dell'art. 2043 e non dell'art. 2051 cod. civ.) del soggetto titolare del rapporto
di locazione, che , pertanto, passivamente legittimato in ordine alle azioni inibitoria e risarcitoria proposte, nei
suoi confronti da inquilini o condomini dello stabile.
* Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1981, n. 6356, Aiese c. Colletta.
h) Rumori
Il bene della salute ha carattere primario ed assoluto, e nello ambito della tutela dei diritti assoluti assicurata
dagli art. 2043 e 2058 cod. civ., deve essere protetto contro qualsiasi attivit che possa menomarlo, ma
l'assolutezza e l'incomprimibilit del diritto non escludono la necessit di accertare quali siano le condizioni
obiettive nel cui contesto il diritto viene esercitato, e se sia razionale il sacrificio totale di ogni altra esigenza in
potenziale conflitto con esso, tenuto anche conto che la ricerca dell'effettiva esistenza della menomazione (ossia
del confine tra un'attivit che reca un semplice fastidio psicofisico ed un'attivit che determina una vera e propria
menomazione di quel bene, nel senso di dar luogo ad oggettivi fenomeni patologici fisici o psichici) non pu
essere compiuta con criteri puramente astratti, che prescindano dal concreto ambiente in cui la persona vive ed
opera. Pertanto, sia al fine di accertare la concreta sussistenza della lesione, sia al fine di stabilire le concrete
modalit della tutela, non pu ritenersi ingiustificato il ricorso all'applicazione analogica delle disposizioni dell'art.
844 cod. civ. in tema di immissioni moleste, laddove fanno riferimento al criterio della tollerabilit della molestia
ed alla possibilit di estendere l'intervento del giudice al di l della barriera dell'inibizione assoluta, in modo da
ricomprendere la determinazione dei mezzi necessari per ricondurre l'attivit aggressiva nei limiti del diritto.
(Nella specie, l'occupante di un appartamento di un edificio in condominio aveva chiesto l'inibizione dell'esercizio
della centrale termica condominiale, ubicata in un locale sottostante allo appartamento, poich la rumorosit
dell'impianto recava nocumento alla sua salute; la Suprema Corte, alla stregua del principio di cui in massima,
ha ritenuto che, una volta accertata la lesione del diritto, non fosse a priori vietato al giudice, ai fini della tutela
dello stesso, di ordinare, anzich l'inibizione dell'uso dello impianto nel luogo in cui si trovava, l'esecuzione di
opere atte ad eliminare i rumori o a ricondurli nei limiti della tollerabilit).
* Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1983, n. 2396, Casati c. Cond. Quadrio MI.
In tema di immissioni (nella specie di rumori), le disposizioni dell'art. 844 cod. civ. trovano applicazione avendo
riguardo alla situazione del fondo che le riceve, con la conseguenza che se questo sito in zona residenziale, la
normale tollerabilit deve essere valutata in base ai criteri vigenti in tale zona, in cui le immissioni stesse si
propagano, a nulla rilevando la loro normalit riferita al luogo di provenienza (nella specie, zona industriale).
* Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1984, n. 4523, Sica c. Glielmi.
Dalla mancata emanazione da parte del Comune di una propria regolamentazione limitatrice delle attivit
rumorose, in base all'art. 66 del T.U. delle leggi di P.S., approvato con decreto 18 giugno 1931, n. 773, non si
pu desumere che il Comune stesso abbia ritenuto l'attivit produttiva prevalente sulle esigenze di quiete dei
privati, e che, in conseguenza, ogni imposizione di restrizioni debba considerarsi illegittima e l'art. 844 c.c. non
possa trovare applicazione. Le due norme, infatti, hanno finalit e campo di azione ben distinti: la prima, di
interesse pubblico, mira a tutelare la quiete pubblica, riguarda i rapporti tra l'esercente l'attivit e la collettivit in
cui egli opera, creando obblighi dell'esercente nei confronti degli enti preposti alla vigilanza, ma non diritti perfetti
nei confronti degli abitanti del Comune; la seconda, invece, regolando un rapporto fra fondi, tutela il diritto reale
di propriet.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1974, n. 1452.
La potenzialit diffusiva del rumore nelle abitazioni confinanti con il pubblico esercizio dal quale provengano le
immissioni sonore, e il pregiudizio per la tranquillit esistenziale delle persone presenti in tali abitazioni, possono
essere desunti sulla base di prove documentali e testimoniali, oltre che dall'esame degli imputati, senza la
necessit degli accertamenti fonometrici realizzati sulla base dei metodi di misurazione previsti dal D.P.C.M. 1
marzo 1991.
* Cass. pen., sez. I, 19 settembre 1996, Cantarella.
Il D.P.C.M. 1 marzo 1991 pone un limite di accettabilit dell'inquinamento acustico che deve essere tenuto
presente nella valutazione della tollerabilit delle immissioni sonore ex art. 844 c.c. per cui, oltre alla
determinazione dei limiti massimi assoluti, si deve tener conto anche dei limiti relativi, ossia della differenza
massima da non superare rispetto al livello del rumore ambientale.
* Corte app. civ. Milano, 29 novembre 1991, n. 1987, in Arch. loc. e cond. 1992, 113.
Tutte le immissioni sonore, anche se provengono da un appartamento ubicato nello stesso stabile in cui si trova
quello ove le stesse si propagano, devono essere mantenute entro i limiti di cui al D.P.C.M. 1 marzo 1991.
* Pret. civ. Pescara, ord. 15 marzo 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, n. 3.
Il D.P.C.M. 1 marzo 1991 non ha sostanzialmente modificato il precedente quadro giuridico di tutela
dall'inquinamento acustico (artt. 32 Cost. e 844 c.c.), in quanto i limiti previsti da tale normativa fanno riferimento
solo agli obblighi dei cittadini verso l'autorit, ma non autorizzano il singolo, una volta che egli abbia ottemperato
a tali norme, a violare i diritti specificamente previsti in favore dell'individuo e della propriet
* Trib. civ. Monza, sez. I, 14 agosto 1993, n. 1436, Monti e altro c. La Tessitura F.lli Caimi, in Arch. loc. e cond.
1994, 122.
I limiti di maggior favore previsti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 in materia di inquinamento acustico non hanno
modificato il quadro giuridico di cui agli artt. 844 c.c. e 32 della Costituzione per cui il punto di intollerabilit da
ritenersi ancora raggiunto allorch un determinato rumore superi di tre decibel il rumore di fondo.
* Trib. civ. Monza 4 novembre 1991, n. 1831, in Arch. loc. e cond. 1992, 345.
In materia di inquinamento acustico, i limiti previsti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 non hanno superato i criteri fissati
dall'art. 844 c.c.; pertanto, nel caso di immissioni sonore, deve farsi riferimento alla "rumorosit di fondo" della
zona, cio a quel complesso di suoni, di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici della
zona medesima, sui quali si innestano, di volta in volta, rumori pi intensi (voci, veicoli...); tali elementi devono
essere valutati in modo obiettivo, in relazione alla reattivit dell'uomo medio. In particolare, il principio da seguire
per determinare la tollerabilit del rumore quello del mancato superamento della soglia di 3 decibel oltre il
rumore di fondo, che equivale ad un raddoppio dell'intensit di quest'ultimo.
* Trib. civ. Como, 21 maggio 1996, n. 871, Moretti c. Carenzio e Gentili, in Arch. loc. e cond. 1997, 103.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilit, di cui all'art. 844 c.c., pur in assenza di prova idonea a
dimostrare la configurabilit di un danno biologico specifico, realizzano una lesione del diritto alla salute
genericamente inteso ex art. 32 Cost., che trova il fondamento della sua risarcibilit nell'art. 2043 c.c.
* Corte app. civ. Torino, 4 novembre 1992, in Giur. merito 1993, 949.
Il rumore, in quanto eccedente i valori della normale tollerabilit, di per s nocivo alla salute di chi lo deve
sopportare; per realizzarsi lesione del diritto alla salute non quindi necessaria alcuna ulteriore prova del danno
psicologico subito n del carattere ingiusto del rumore medesimo.
* Corte app. civ. Torino, 4 novembre 1991, n. 1304, in Arch. loc. e cond. 1992, 345.
In caso di immissioni di rumori intollerabili provenienti da parti comuni dell'edificio, il condomino turbato nel
possesso del proprio appartamento pu esperire azione di manutenzione contro il condominio in persona
dell'amministratore.
* Pret. civ. Roma, sez. I, 20 dicembre 1983, n. 9595, Savarese Colosi c. Cond. via Cocco Ortu 120, Roma, in
Arch. loc. e cond. 1985, 362.
Le immissioni sonore prodotte dall'impianto comune di riscaldamento nell'appartamento di un condomino
possono cagionare un danno alla salute del condomino medesimo qualora siano superiori di tre decibel al
normale rumore di fondo.
* Corte app. civ. Milano, 9 maggio 1986, Condominio Stella di Merate ed altro c. Novati, in Arch. loc. e cond.
1987, 334.
Ai fini della determinazione del limite di tollerabilit delle immissioni sonore, deve applicarsi il criterio che assume
come punto di riferimento il rumore di fondo e ritiene intollerabile le immissioni che lo superino di oltre 3dB(A).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 28 febbraio 1995, n. 637, Soc. Tessitura Fratelli Caimi c. Monti ed altri, in Arch.
loc. e cond. 1995, 390.
Ai fini della determinazione del limite di tollerabilit delle immissioni sonore, deve applicarsi il criterio
comparativo, consistente nel confrontare il livello medio dei rumori di fondo, costituiti dalla somma degli effetti
acustici prodotti dalle sorgenti sonore esistenti ed interessanti una determinata zona, con quello del rumore
rilevato nel luogo che subisce le immissioni, e nel ritenere superato il limite di "normale tollerabilit" per quelle
immissioni che abbiano un'intensit superiore di oltre tre decibel al livello sonoro di fondo.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 3 ottobre 1989, Bonza e altra e Calloni e altri c. De Bernardi Granaria Spa, in Arch.
civ. 1990, 1149.
Incorre nel reato di cui all'art. 650 cod. pen. l'amministratore di un condominio che ometta di intervenire per
evitare rumorosit di un impianto di riscaldamento. Tra i suoi compiti rientra infatti anche quello di vigilare sul
migliore uso delle cose comuni.
* Cass. pen., sez. VI, 15 marzo 1980, n. 3726 (ud. 6 dicembre 1980), Montagna.
Il limite di normale tollerabilit ex art. 844 cod. civ, in riferimento alle immissioni rumorose deve essere accertato
con riferimento al criterio relativo-comparativo del rumore di fondo e non al superamento di esso di un certo
livello di decibel in relazione ai diversi periodi della giornata e va tenuta presente, quindi, anche l'intensit in
assoluto del rumore.
* Trib. civ. Vigevano, 25 gennaio 1985, Dondoni c. Riseria F.lli Magni, in Arch. civ. 1985, 1454.
In presenza di immissioni sonore che superino il limite della normale tollerabilit vi lesione del bene salute nel
momento stesso della realizzazione del fatto illecito, con conseguente esonero del danneggiato dalla prova
dell'esistenza di patologie conseguenti alla lesione; pertanto la risarcibilit del danno biologico deve essere
collegata all'esistenza e alla sopportazione di un'esposizione ad intollerabili e fortemente lesive immissioni
acustiche, idonee a compromettere le utilit della vita di relazione non godute.
* Trib. civ. Milano, 25 giugno 1998, n. 7721, Sgalippa ed altri c. Soc. San Giulianese, in Arch. loc. e cond. 1998,
723.
Costituisce immissione acustica eccedente la normale tollerabilit quella che, avuto riguardo alla natura del
rumore immesso e alla durata dell'attivit immissiva, superi di almeno 3 decibel il c.d. rumore di fondo della
zona, inteso come quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e non,
caratteristici del luogo, sui quali si innestano di volta in volta i rumori pi intensi prodotti da voci, veicoli o altro,
considerato come fonte rumorosa che persiste in modo continuo nell'ambiente per almeno il 95% del tempo di
osservazione.
* Pret. civ. Busto Arsizio, sez. dist. Saronno, ord. 5 agosto 1997, Tuniz ed altra c. Bar Sunrise, in Arch. loc. e
cond. 1998, 752.
Ai fini della determinazione del limite di tollerabilit delle immissioni sonore e per valutare la sussistenza del
presupposto oggettivo della illiceit dell'immissione, deve applicarsi il criterio comparativo, consistente nel
confrontare il livello medio dei rumori di fondo costituiti dalla somma degli effetti acustici prodotti dalle sorgenti
sonore esistenti e interessanti una determinata zona, con quello del rumore rilevato sul luogo che subisce le
immissioni, e nel ritenere superato il limite della normale tollerabilit per quelle immissioni che abbiano una
intensit superiore di oltre tre decibel al livello sonoro di fondo; tale disciplina non ha ricevuto deroga dal
D.P.C.M. dell'1 marzo 1991, che stabilisce i limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e
nell'ambiente esterno: infatti, le norme ivi previste, che hanno valore puramente regolamentare, disciplinano
esclusivamente i rapporti fra imprese ed enti locali per la bonifica del territorio dall'inquinamento acustico, senza
incidere sui rapporti di diritto soggettivo intercorrenti fra privati, e senza, quindi, porre eccezioni alle disposizioni
di legge di portata generale in materia di tutela dei diritti patrimoniali e della salute che competono ad ogni
persona.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 10 dicembre 1992, n. 2207, Mascolo c. Cond. di viale Rimembranze di Lambrate n.
9/A di Milano, in Arch. loc. e cond. 1993, 496.
In tema di immissioni sonore il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 1 marzo 1991 il quale
fissa le modalit di rilevamento dei rumori, al pari dei regolamenti comunali limitativi delle attivit rumorose,
essendo rivolto alla tutela della quiete pubblica, riguarda soltanto i rapporti fra l'esercente una delle suddette
attivit e la collettivit in cui esso opera, creando a carico del primo precisi obblighi verso gli enti preposti alla
vigilanza. Le disposizioni contenute nel sopraindicato decreto non escludono pertanto l'applicabilit dell'art. 844
c.c., che nei rapporti con i proprietari dei fondi vicini, richiede l'accertamento caso per caso della liceit o illiceit
delle immissioni. (Fattispecie in cui stata ordinata, con provvedimento ex art. 700 c.p.c., la sospensione
dell'attivit imprenditoriale dalla quale erano derivate le immissioni sonore moleste).
* Trib. civ. Varese, ord. 3 giugno 1997, Ravasi c. Soc. Sev, in Arch. loc. e cond. 1997, 845.
Il D.P.C.M. dell'1 marzo 1991 pone un limite di "accettabilit" dell'inquinamento acustico che deve
indubbiamente essere tenuto presente nella valutazione della tollerabilit delle immissioni sonore ex art. 844
c.c.; oltre alla determinazione di limiti massimi assoluti (differenziati a secondo della tipologia delle zone e
l'incidenza solo diurna o anche notturna), vengono anche fissati per le zone non esclusivamente industriali, dei
limiti per cos dire relativi, ossia una differenza massima "da non superare" rispetto al livello del "rumore
ambientale", differenza di 3 dB (A) in periodo notturno (ore 22-6) e 5 dB (A) in periodo diurno.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. loc. e cond. 1993, 496.
Poich nel nostro Paese mancano norme di legge circa l'isolamento acustico e i rumori ammissibili nelle
abitazioni, la giurisprudenza, necessitata a supplire alla carenza legislativa, ha elaborato, al fine di stabilire i
livelli di tollerabilit delle immissioni, un criterio comparativo-relativo che "determina" come punto di riferimento il
rumore di fondo e ritiene intollerabili le immissioni che lo superano di oltre 3 dB. Poich il decibel, unit di misura
dell'intensit del suono, ha scala logaritmica, il limite massimo ammissibile di 3 dB sul rumore di fondo comporta
un raddoppio della intensit del rumore e significa che la componente del rumore immesso, considerata da sola,
non pu superare il rumore di fondo.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. Loc. e Cond.1993, 496.
Il corretto criterio di liquidazione del c.d. danno biologico causato dai rumori prodotti da un'autoclave quello
"equitativo" in funzione della intensit e durata delle immissioni acustiche intollerabili, dell'incidenza di queste
sulla salute e sull'occupazione degli attori e sulla loro vita di relazione.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 18 maggio 1992, Buccella e altri c. Cond. delle Magnolie di Cesano Boscone, in
Arch. Loc. e Cond.1993, 121.
E' legittimo il ricorso al provvedimento ex art 700 cod. proc. civ. da parte di alcuni condomini, qualora le
immissioni di rumore negli appartamenti di un edificio, provocate dal funzionamento, soprattutto nelle ore
notturne, delle macchine esistenti nel sottostante panificio, eccedendo la normale tollerabilit, siano idonee a
determinare nei condomini stessi una menomazione della loro integrit psico-fisica e, quindi, l'insorgenza di
danno alla salute, autonomamente risarcibile.
* Pret. civ. Molfetta, 27 febbraio 1989, Del Rosso e Bartoli c. Squeo, in Arch. Loc. e Cond.1989, 351.
E' applicabile il procedimento di cui all'art. 700 c.p.c. nel caso di superamento dei limiti di tollerabilit acustica,
che potrebbe determinare un danno alla salute dei condomini. (Nella specie, i rumori intollerabili risultavano
provenire da una discoteca).
* Trib. civ. Milano, 28 ottobre 1993, in Arch. Loc. e Cond.1994, 356.
E' applicabile il procedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per far cessare reiterati, insistenti ed intollerabili suoni
di pianoforte provenienti da un appartamento anche se prodotti nelle ore consentite dal regolamento
condominiale, in quanto il primario e incomprimibile diritto assoluto alla salute spetta alla persona di per s
considerata e non come collegata ad un certo immobile, non potendo tale diritto soffrire limitazioni di eventuali
atti di disposizione.
* Pret. civ. Torino, ord. 27 dicembre 1990, in Arch. Loc. e Cond.1992, 855.
Al fine di valutare il grado di tollerabilit di immissioni acustiche provenienti da un appartamento (nella specie:
attivit pianistica e canora di una cantante lirica) non possibile effettuare un collegamento diretto fra l'art. 844
c.c. ed il D.P.C.M. 1 marzo 1991, in quanto i limiti di tollerabilit di cui alla prima norma sono tutt'affatto diversi
dai limiti di accettabilit di cui al succitato decreto, nel senso che i secondi ben possono esser rispettati pur non
essendolo i primi.
* Corte app. civ. Torino, sez. II, 23 marzo 1993, n. 345, Musacchio e altri c. Vignera, in Arch. Loc. e Cond.1994,
823.
E' applicabile il procedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per far cessare le intollerabili immissioni prodotte da
suoni di pianoforte, in considerazione del grave ed irreparabile pregiudizio arrecato al diritto alla salute dei
condomini, il cui ambito di tutela certamente pi ampio e meno condizionato di quello accordato alle propriet
confinanti in base all'art. 844 c.c.
* Pret. civ. Milano, 18 febbraio 1993, in Arch. Loc. e Cond.1994, 391.
Al fine di stabilire la tollerabilit, oppur no, di immissioni sonore pu utilizzarsi il criterio c.d. comparativo, che fa
riferimento alla rumorosit di fondo della zona, tenendo presente che la soglia di pericolosit costituita dallo
scarto di tre decibel tra il livello medio dei rumori di fondo e l'intensit della sorgente sonora generatrice delle
immissioni.
* Pret. civ. Taranto, 17 giugno 1988, n. 327, Protopapa c. Conversano, in Arch. civ. 1988, 1210.
In caso di immissioni derivanti dal fondo del vicino (nella specie, propagazioni di rumori e calore), deve ritenersi
superato il criterio della normale tollerabilit quando sia accertata una situazione potenzialmente nociva per la
salute dei proprietari che subiscono le immissioni.
* Pret. civ. Foligno, 10 giugno 1988, n. 49, Ferrata ed altri c. Proietti ed altri, in Arch. civ. 1988, 1081.
In caso di lamentata immissione di rumori molesti (nella specie: da impianti di riscaldamento ed autoclave), deve
farsi ricorso all'applicazione analogica dell'art. 844 cod. civ. oltre che per stabilire la sussitenza della lesione (o
del pericolo di lesione) del diritto alla salute tramite il concetto di <normale< tollerabilit, anche per determinare
le modalit della tutela da apprestarsi, dovendosi contemperare le esigenze delle parti con la determinazione dei
mezzi pi opportuni a ricondurre nei limiti del diritto un'attivit contra legem.
* Pret. civ. Brindisi, ord. 17 marzo 1986, Saponaro c. Condominio G. Puccini, in Arch. civ. 1987, 177.
Il proprietario di un immobile sito nelle immediate vicinanze di una discoteca che determini a suo parere un
rumore intollerabile, ha diritto di controllare la regolarit delle autorizzazioni rilasciate dal comune.
* Tar Lombardia, sez. II, 25 ottobre 1993, n. 629, Compagnoni c. Comune di Brezzo di Bedero, in Arch. Loc. e
Cond.1994, 153.
Degradazione ambientale e rumori, specie in relazione all'attivit serale e notturna di un pubblico esercizio,
costituiscono lesioni di un legittimo interesse dei proprietari e residenti di unit immobiliari ubicate nel medesimo
stabile ove si svolge tale attivit e legittimano gli stessi a ricorrere al giudice amministrativo per chiedere,
denunciando vizi formali del procedimento, l'annullamento della relativa autorizzazione comunale.
* Tar Emilia-Romagna, sez. II, 10 novembre 1992, n. 525, Meschiari e altri c. Comune di Maranello e Societ
Bondi Leontino & C., in Arch. loc. e cond. 1993, 829.
Sussiste l'obbligo del condominio di risarcire sia il danno biologico che il danno morale subito da un condomino
a causa delle immissioni sonore, superiori alla normale tollerabilit, provenienti dalla centrale dell'impianto
comune di riscaldamento. La liquidazione del danno va effettuata con criterio equitativo dal giudice e non pu
consistere in una somma meramente simbolica.
* Corte app. civ. Milano, 18 settembre 1990, n. 1803, in Arch. loc. e cond. 1991, 109.
Ai fini della valutazione dell'intollerabilit delle emissioni sonore, in mancanza del decreto, non ancora emanato,
relativo all'introduzione di livelli di tollerabilit particolari per le aree e le attivit aeroportuali, in attuazione del
d.p.c.m. 1 marzo 1991, che stabilisce i limiti massimi di accettabilit delle emissioni sonore nell'ambiente esterno
e abitativo, il giudice pu ricorrere ai criteri di tempo elaborati tenendo anche conto dei parametri introdotti da
quest'ultimo decreto.
* Pret. civ. Ciri, ord. 25 marzo 1993, in Giur. it. 1994, I, II, 208.
In tema di inquinamento acustico in stabile condominiale, il parametro di confronto del <rumore equivalente<
<F128M-<F255D assunto dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 (Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti
abitativi e nell'ambiente esterno), anzich quello del <rumore di fondo < <F128M-<F255D non idoneo a fornire
l'effettiva incidenza del rumore sulla salute ed appare quindi di dubbia legittimit al pari del fatto che il cennato
decreto non contiene alcuna specificazione a proposito del caso in cui la sorgente sonora sia interna allo stesso
stabile in cui si trova chi lamenta il superamento della normale tollerabilit dell'emissione rumorosa.
* Pret. civ. Monza, ord. 18 luglio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 578.
Con riferimento alla nozione di immissione eccedente la normale tollerabilit agli effetti dell'azione di cui all'art.
844 c.c., per <rumore< si deve intendere qualunque stimolo sonoro non gradito all'orecchio umano e che, per le
sue caratteristiche di intensit e durata, pu divenire patogeno per l'individuo.
* Trib. civ. Napoli, 17 novembre 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 578.
Va accolta la domanda di risarcimento danni di quanti lamentano una lesione alla salute provocata da
immissioni acustiche, superiori alla normale tollerabilit, effetto dell'esercizio di un'attivit imprenditoriale (nella
fattispecie attivit di falegnameria all'interno di un condominio) caratterizzata da negligenza conseguente alla
mancata adozione delle opportune cautele, nonch dall'inosservanza delle prescrizioni di legge; vanno
differenziate, ai fini esclusivamente del quantum risarcibile, le posizioni di chi dimostri sul piano clinico
un'effettiva lesione dell'integrit psico-fisica, e cos un danno biologico oltre che morale, dovuti alla condotta,
dolosa o colposa, del convenuto (nel caso di specie comprovata da una perizia medico-legale), da chi abbia
subito invece un mero turbamento psicologico (e cos solo un danno morale) conseguente all'altrui
comportamento illecito, anche penalmente in relazione al disposto dell'art. 659 c.p.p. Sono da ritenersi
civilmente responsabili in solido con il conduttore, ex art. 2055 c.c., per il danno biologico e comunque
patrimoniale (non cos per quello morale), gli stessi locatori dell'immobile in cui detta attivit lesiva dei diritti dei
terzi era svolta, i quali locatori dovevano (o avrebbero dovuto) infatti conoscere e impedire l'attivit che il
conduttore vi avrebbe esercitato e cos prevenire le conseguenze lesive da questa prodotte; tale
corresponsabilit civile dei locatori, difettando una rilevanza penale del loro comportamento omissivo, non si
estende peraltro al danno meramente morale.
* Trib. civ. Vigevano, 9 agosto 1991, in Giur. it. 1992, I, 2, 118.
Anche il disturbo dell'abbaiare di un cane nel condominio non presunto ma deve essere inquadrato nei limiti
della normale tollerabilit.
* Trib. civ. Milano, 22 marzo 1990, in L'Ammin. 1992, n. 4.
In tema di applicazione dell'art. 844 c.c. al condominio di edificio la integrit della persona del condomino ed il
bene primario della salute, in cui si concreta il danno biologico, non possono essere valutati solo in termini fisici,
materialmente constatabili, ma comprendono anche la sfera emotiva e psichica, le cui sofferenze sono meno
obiettivamente misurabili ma non per questo meno reali, n pu negarsi la sussistenza di una menomazione
dell'integrit psichica derivante dalla spina irritativa costituita dalle continue aggressioni sonore superanti il limite
della tollerabilit, in quanto l'efficacia patogena del rumore disturbante dato acquisito alla scienza medica
penalmente sanzionabile la condotta che li produce, debbono incidere sulla tranquillit pubblica, essendo
l'interesse specificamente tutelato dal legislatore quello della pubblica tranquillit sotto l'aspetto della pubblica
quiete, la quale implica, di per s, l'assenza di cause di disturbo per la generalit dei consociati, di guisa che gli
stessi debbono avere tale potenzialit diffusa che l'evento di disturbo abbia la potenzialit di essere risentito da
un numero indeterminato di persone, pur se, poi, in concreto soltanto alcune persone se ne possano lamentare.
Ne consegue che la contravvenzione in esame non sussiste allorquando i rumori arrechino disturbo ai soli
occupanti di un appartamento, all'interno del quale sono percepiti, e non ad altri soggetti abitanti nel condominio
in cui inserita detta abitazione ovvero nelle zone circostanti: infatti, in tale ipotesi non si produce il disturbo,
effettivo o potenziale, della tranquillit di un numero indeterminato di soggetti, ma soltanto di quella di definite
persone, sicch un fatto del genere pu costituire, se del caso, illecito civile, come tale fonte di risarcimento di
danno, ma giammai assurgere a violazione penalmente sanzionabile.
* Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 1998, n 1406 (ud. 12 dicembre 1997), P.C. e Costantini, in Arch. loc. e cond.
1998, 711.
Ai fini della configurabilit del reato di cui all'art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone)
necessario l'elemento dell'attitudine dei rumori a disturbare una pluralit indeterminata di persone: ne consegue
che, allorquando si tratti di rumori prodotti in un edificio condominiale, ove il disturbo sia arrecato al circoscritto
numero di inquilini di appartamenti sottostanti e soprastanti a quello di provenienza dei rumori stessi, si
configura un illecito civile che resta confinato nell'ambito dei rapporti di vicinato, non essendo ravvisabile alcuna
lesione o messa in pericolo del bene giuridico protetto dal citato art. 659 c.p., costituito dalla "pubblica
tranquillit".
* Cass. pen., sez. I, 4 giugno 1996, n. 5578 (ud. 6 novembre 1995), Giuntini.
i) Servit di immissione
Non concettualmente possibile ipotizzare l'acquisto per usucapione di una servit di immissione. Quando
venga superato il limite della liceit delle immissioni, segnato dall'art. 844 c.c., si in colpa, ancorch si faccia
uso normale della cosa fonte delle immissioni, e se da ci deriva danno ad altri il danno ingiusto, in quanto
ricorrono tutti gli elementi della fattispecie prevista dall'art. 2043 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1977, n. 740.
l) Tutela della salute
Ai fini dell'art. 844 cod. civ. l'intollerabilit delle immissioni (nella specie esalazioni provenienti dalla evaporazione
di idrocarburi adoperati per il lavaggio di pezzi meccanici), da valutarsi tenuto conto del contemperamento delle
esigenze della produzione con le ragioni della propriet, sussiste anche quando esse, pur non essendo di
eccessiva entit, risultino nocive, a causa della loro costanza ed ineliminabilit che le rende insopportabili, al
bene primario della salute.
* Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1989, n. 3675, Ferulli c. Gargiulo.
L'amministratore di condominio non legittimato ad intraprendere, in forza di delibera adottata a maggioranza,
un giudizio di natura risarcitoria volto alla tutela del diritto alla salute dei condomini, rientrando tale diritto tra
quelli esclusivi e personali.
* Trib. civ. Napoli, sez. III, ord. 29 giugno 1999, Condominio di via Petrarca n. 37 di Napoli c. Petruccio P. ed
altra, in Arch. loc. e cond. 1999, 832.
Poich l'art. 844 cod. civ. disciplina i rapporti inerenti al diritto di propriet dei beni immobili, dal suo ambito
esulano i diritti personali, tra i quali da annoverare quello alla salute considerato dall'art. 32 Cost., con la
conseguenza che per la tutela di quest'ultimo, in caso di denunziata lesione dipendente da atto o fatto illecito
ancorch concernente immissioni provenienti dal fondo del vicino, venendo in considerazione ed essendo
applicabili, mediante le opportune statuizioni riparatorie, ripristinatorie ed inibitorie, le norme dettate in via
generale dagli artt. 2053 e 2058 cod. civ. la relativa domanda, in quanto autonoma e distinta da quella fondata
sul cit. art. 844 cod. civ., deve essere proposta in modo espresso, senza potersi ritenere compresa in quella di
natura reale intentata per l'inibizione delle immissioni a norma dell'art. 844 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 11 settembre 1989, n. 3921, Bontempi c. Mastropietro.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilit implicano di per s, anche in mancanza della prova di
una vera e propria menomazione patologica, una lesione del diritto alla salute inteso nel senso pi ampio del
diritto all'equilibrio e al benessere psicofisico.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. loc. e cond. 1993, 496.
Poich il diritto alla salute si configura non solo come diritto alla vita e all'incolumit psicofisica, bens anche alla
salubrit dell'ambiente, ammissibile l'azione inibitoria ex art. 700 c.p.c. delle immissioni di cui all'art. 844 c.c.,
alla sola condizione che superino la normale tollerabilit (fumus boni iuris), dato che l'ulteriore requisito del
periculum in mora, richiesto dal codice di rito per l'esperibilit del rimedio d'urgenza, in re ipsa, comportando
l'immissione nociva sempre l'alterazione dell'equilibrio psicofisico del soggetto, non suscettibile, se non in
minima parte, di essere valutata in termini economici, e quindi di essere riparata ex art. 2043 c.c. all'esito del
giudizio di merito promosso dal danneggiato.
* Pret. civ. Buccino, ord. 18 aprile 1990, in Arch. civ. 1991, fasc. 6.
In tema di applicazione dell'art. 844 c.c. al condominio di edificio la integrit della persona del condominio ed il
bene primario della salute, in cui si concreta il danno biologico, non possono essere valutati solo in termini fisici,
materialmente constatabili, ma comprendono anche la sfera emotiva e psichica, le cui sofferenze sono meno
obiettivamente misurabili ma non per questo meno reali, n pu negarsi la sussistenza di una menomazione
dell'integrit psichica derivante dalla spina irritativa costituita dalle continue aggressioni sonore superanti il limite
della tollerabilit, in quanto l'efficacia patogena del rumore disturbante dato acquisito alla scienza medica
attuale, n occorre in concreto verificarla.
* Corte app. civ. Milano 29 novembre 1991, in Giust. civ. 1992, 1921.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilit, di cui all'art. 844 c.c., pur in assenza di prova idonea a
dimostrare la configurabilit di un danno biologico specifico, realizzano una lesione del diritto alla salute
genericamente inteso ex art. 32 Cost., che trova il fondamento della sua risarcibilit nell'art. 2043 c.c.
* Corte app. civ. Torino 4 novembre 1992, in Giur. merito 1993, 949.
m) Vibrazioni prodotte da automezzi
Con riguardo all'azione di nunciazione, proposta dal condominio di un edificio nei confronti del comune, in
relazione al pregiudizio alla stabilit del fabbricato derivante dalle vibrazioni prodotte dagli automezzi di pubblico
trasporto urbano, deve essere affermata la giurisdizione del giudice ordinario, ove si verta in tema non
d'impugnazione di atti o provvedimenti amministrativi, ma di tutela del diritto dominicale, nei rapporti di vicinato,
contro immissioni eccedenti la normale tollerabilit (art. 844 c.c.), mentre non rileva, al fine di detta giurisdizione,
il tipo della pronuncia cautelare richiesta (influente sotto il diverso profilo dei limiti interni delle attribuzioni del
giudice ordinario, ai sensi dell'art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E).
* Cass. civ., Sezioni Unite, 24 aprile 1991, n. 4510.
INDENNITA' PER LA PERDITA DELL'AVVIAMENTO COMMERCIALE
SOMMARIO: a) Ambito di operativit; b) Attivit prevalente; c) Casistica: c-1) Agenzia pubblicitaria; c-2) Area di
parcheggio; c-3) Artigiano; c-4) Associazione non riconosciuta; c-5) Attivit di trasporto; c-6) Attivit di vendita al
minuto; c-7) Attivit scolastica; c-8) Attivit stagionale; c-9) Attivit turistica; c-10) Autosalone; c-11) Autoscuola;
c-12) Banca; c-13) Cabina elettrica; c-14) Campeggio; c-15) Circolo culturale; c-16) Deposito; c-17) Ente
pubblico; c-18) Esposizione di merce; c-19) Estetista; c-20) Impresa assicuratrice; c-21) Laboratorio analisi
cliniche; c-22) Mediatore professionale; c-23) Officina; c-24) Palestra; c-25) Ricevitoria; c-26) Sartoria artigiana;
c-27) Scuola di danza; c-28) Studio di pittore; c-29) Studio pubblicitario; c-30) Vendita di tessuti; c-31) Vetrinetta;
d) Competenza; e) Contatti diretti con il pubblico; f) Controversie; g) Determinazione; h) Diritto di ritenzione; i)
Esclusione; j) Finalit; k) Interruzione dell'attivit; l) Liquidazione forfettaria; m) Mutamento d'uso; n) Natura del
credito; o) Offerta; p) Onere probatorio; q) Prescrizione del credito; r) Presupposti; s) Procedimento cautelare; t)
Recesso anticipato; u) Rinuncia; v) Risarcimento del danno; w) Sublocazione; x) Tentativo obbligatorio di
conciliazione; y) Vendita dell'immobile.
a) Ambito di operativit
Nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attivit commerciali, disciplinate dagli artt. 27 e 34 della L. 27 luglio
1978, n. 392 e, in regime transitorio, dagli artt. 69, 71 e 73 della stessa legge, scaduto il contratto, il conduttore
che rifiuta la restituzione dell'immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell'indennit per
l'avviamento a lui dovuta, obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto, ma solo di questo.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 15 novembre 2000, n. 1177, Pascucci c. Zanobbi ed altri.
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, la rinuncia implicita alla indennit
di avviamento contenuta in un contratto di transazione non affetta da nullit ex art. 79 della L. n. 392 del 1978
(per stipulazione di patti contrari alla legge stessa), in quanto tale norma volta ad evitare la elusione in via
preventiva dei diritti del locatario, ma non esclude la possibilit di disporne una volta che i diritti medesimi siano
sorti.
* Cass. civ., sez. III, 22 aprile 1999, n. 3984, Ledda c. Sulis.
L'indennit per la perdita dell'avviamento di cui all'art. 34 della legge 27 luglio 1978, n. 392 consiste in un debito
di valuta e non di valore. (Nel caso di specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva considerato il
debito per la perdita dell'avviamento come debito di valore, liquidandolo con adeguamento ai valori monetari al
momento della sentenza).
* Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1998, n. 12090, Andriolo ed altra c. Volpato.
In tema di contratti di locazione non abitativa venuti a cessare alle scadenze legali fissate negli artt. 67 e 71
della legge n. 392 del 1978, se il rapporto successivamente prosegue anche tacitamente fra le parti, viene a
nascita un rapporto del tutto nuovo, soggetto alla disciplina ordinaria di cui alla suddetta legge, e pertanto anche
a quella di cui all'art. 34 circa i criteri di determinazione della indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale.
* Cass. civ., sez. III, 1 settembre 1999, n. 9195, Stracciari c. Fantart di Cl Maria Teresa & c. sas, ed altra.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora la data di rilascio ricada nella
sospensione dell'esecuzione prevista dall'art. 7 D.L. n. 551 del 1988, conv. nella legge n. 61 del 1989, il
conduttore tenuto, per tutto il periodo di operativit della predetta sospensione, a corrispondere al locatore
l'indennit di occupazione, nella misura prevista dal secondo comma del citato art. 7, a nulla rilevando che non
gli sia ancora stata corrisposta, n offerta, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, spettantegli a
norma dell'art. 34 legge n. 392 del 1978, in quanto, nell'indicato periodo di sospensione, il provvedimento di
rilascio non eseguibile per cause diverse e indipendenti dalla mancata corresponsione dell'indennit per
perdita di avviamento, con la conseguenza che, durante il periodo medesimo non pu ritenersi gravante sul
locatore l'onere di corrispondere la stessa.
* Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 1998, n. 12419, Sabbi c. Maselli.
Non integra gli estremi della cessione della locazione il mero adempimento del terzo dell'obbligo di pagare il
canone, pur se il locatore risulti a conoscenza della provenienza del pagamento.
* Cass. civ., sez. III, 3 agosto 1999, n. 8389, Cesare ed altro c. Pirozzi.
L'art. 79 della L. 27 luglio 1973, n. 392, il quale sancisce la nullit di ogni pattuizione diretta a limitare la durata
legale del contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale, ovvero ad
attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge stessa, mira ad evitare che al momento
della stipula del contratto le parti eludano in qualsiasi modo le norme imperative poste dalla legge sul cosiddetto
equo canone, aggravando in particolare la posizione del conduttore, ma non impedisce che al momento della
cessazione del rapporto le parti addivengano ad una transazione in ordine ai rispettivi diritti ed in particolare alla
rinuncia da parte del conduttore, dopo la cessazione del rapporto, all'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale di cui all'art. 34 della stessa legge.
* Cass. civ., sez. III, 3 aprile 1993, n. 4041, Pelosi c. Scifo.
L'esecuzione del provvedimento di rilascio di immobile locato ad uso non abitativo condizionata, a norma
dell'art. 34 della L. 27 luglio 1978 n. 392, all'avvenuta corresponsione dell'indennit per la perdita
dell'avviamento commerciale, con la conseguenza che tale esecuzione deve necessariamente seguire alla
decisione su detta indennit. Pertanto, ove quest'ultima si sia avuta con la sentenza definitiva, legittimamente la
data del rilascio dell'immobile, che sia stato gi disposto con sentenza non definitiva, viene fissata non con
questo provvedimento bens con quella pronuncia definitiva.
* Cass. civ., sez. III, 16 giugno 1983, n. 4145, Novelli c. Migliorini.
In tema di indennit di avviamento, poich l'art. 34 della L. n. 392/1978, stabilisce che l'esecuzione del
provvedimento di rilascio di immobile urbano, per il quale sia dovuta detta indennit, condizionato al
pagamento della stessa, la sua corresponsione incide non sull'adozione del provvedimento di rilascio bens sulla
esecuzione di esso, ancorch il rilascio non sia stato espressamente condizionato a quell'adempimento.
* Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1990, n. 771, D'Urso c. Scognamiglio.
La disposizione dettata, con riferimento alle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di
abitazione per cui sia dovuta alla cessazione del rapporto l'indennit per la perdita dell'avviamento, dall'art. 34
della legge 27 luglio 1978 n. 392 (e, per il regime transitorio, dall'art. 69, sia nella stesura originaria che nel testo
di cui al D.L. n. 832 del 1986, convertito con modificazioni in legge n. 15 del 1987), secondo cui l'esecuzione del
provvedimento di rilascio dell'immobile condizionata dall'avvenuta corresponsione dell'indennit, ha efficacia
innanzitutto sul piano sostanziale e, subordinando il rilascio al versamento dell'indennit, specularmente
condiziona il pagamento dell'indennit al rilascio e instaura cos tra le due obbligazioni un'interdipendenza che
costituisce fondamento per un'eccezione alla stessa assimilabile. Infatti detta disposizione, inserendosi nel
quadro normativo di protezione delle attivit imprenditoriali svolte in immobili locati, costituisce ulteriore
espressione della tutela dell'avviamento e non attribuisce un mero diritto di ritenzione, ma consente la
protrazione dell'esercizio dell'attivit economica nell'immobile -sulla base di un rapporto instaurato in forza di
legge, geneticamente collegato al precedente rapporto contrattuale, da cui ripete l'essenza minimale delineata
dall'art. 1571 c.c., e avente per finalit proprio la protrazione dell'uso dell'immobile - fino al momento in cui il
conduttore possa utilizzare la prevista monetizzazione del valore di avviamento per assicurare un'altra adeguata
collocazione all'impresa. Conseguentemente non idonea a determinare la costituzione in mora del locatore
quanto al pagamento dell'indennit di avviamento la sola richiesta di pagamento se non sussiste oggettivamente
la sua mora, in conseguenza del rilascio dell'immobile o di un'offerta del conduttore di restituzione dello stesso,
formulata con le modalit previste dall'art. 1216 c.c. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza con cui, nel
giudizio promosso dal locatore per la determinazione dell'indennit di avviamento, era stato riconosciuto il diritto
del conduttore agli interessi e al maggior danno da svalutazione monetaria relativamente all'indennit stessa, a
seguito di proposizione da parte sua di domanda riconvenzionale in tal senso, dal giudice di merito valorizzata
quale atto di costituzione in mora a prescindere dal rilascio dell'immobile o dalla relativa offerta). * Cass. civ.,
sez. III, 17 ottobre 1995, n. 10820, Soc. Immobiliare Tiziana c. Soc. Gestione Albergo Atlas.
Il diritto all'indennit di avviamento commerciale (art. 34 legge 27 luglio 1978 n. 392) presuppone un rapporto di
locazione in atto, legittimante il godimento de iure dell'immobile, e perci non spetta se il conduttore,
contravvenendo all'obbligo di restituzione (art. 1591 c.c.), permane nel godimento dell'immobile dopo la
scadenza del contratto, pur se rispetta la data fissata nel provvedimento di rilascio (art. 56 stessa legge).* Cass.
civ., sez. III, 23 gennaio 1998, n. 667, Benevegn c. Parisi.
La corresponsione dell'indennit di avviamento di cui all'art. 34 comma terzo della L. 27 luglio 1978, n. 392 non
condiziona il diritto del locatore alla esecuzione del provvedimento di rilascio, ma solo l'inizio di tale esecuzione,
per cui non deve necessariamente precedere la notificazione del precetto che, come reso palese dall'art. 479
c.p.c., solo atto prodromico rispetto alla esecuzione ed, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., pu essere impugnato con
l'opposizione alla esecuzione, prima che questa sia iniziata, solo per contestare il diritto dell'istante di procedere
alla esecuzione per l'inesistenza o invalidit del titolo esecutivo o la successiva modifica o estinzione del diritto.
Ne consegue che, ove non sia stata corrisposta l'indennit di avviamento, il conduttore pu proporre
opposizione alla esecuzione solo dopo che questa iniziata, e non prima, contro il precetto, che, anche se
intimato anteriormente a detta corresponsione, pienamente legittimo.
* Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1992, n. 11470, Piana c. Zamazio.
Il rifiuto illegittimo del conduttore a ricevere l'indennit di avviamento da ritenersi equipollente all'avvenuta
corresponsione ai fini della procedibilit dell'esecuzione di rilascio dell'immobile.
* Pret. civ. Piacenza, 4 novembre 1992, n. 833, Societ Castel c. Societ Il Belvedere.
b) Attivit prevalente
Il diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento, prevista dall'art. 34 della legge 27 luglio 1978, n. 392, pu
essere riconosciuto al conduttore di immobile nel quale venga esercitata congiuntamente la vendita all'ingrosso
e al minuto (ancorch in violazione del divieto di cui all'art. 1 della legge 11 giugno 1971, n. 426) solo quando
l'attivit di vendita al minuto, con modalit che comportino contatto diretto con il pubblico, abbia carattere
prevalente rispetto all'altra. (Fattispecie relativa ad attivit di vendita all'ingrosso di apparecchiature farmaceutico
sanitarie, nella quale i giudici di merito -con decisione annullata sul punto dalla Suprema Corte -accogliendo la
domanda di indennit di avviamento avevano dato rilievo allo svolgimento anche di una attivit di vendita al
dettaglio di tali apparecchiature senza porsi il problema del carattere prevalente o no di quest'ultima).
* Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1997, n. 1232, Ferrero c. Actis Srl.
In caso di locazione unitaria di un immobile usato quale negozio e di altro usato quale magazzino, l'indennit di
turistico purch detta attivit comporti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, inteso come
l'insieme indiscriminato dei potenziali destinatari dei beni e servizi che caratterizzano l'attivit esercitata
dall'impresa, con la conseguenza che deve essere escluso il diritto all'indennit in favore di un club nautico che
svolge la propria attivit non a fini di lucro e in favore soltanto dei propri soci.
* Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 1990, n. 162, Club del Mare c. Drago.
c-10) Autosalone
Non spetta l'indennit di avviamento al conduttore che, modificando l'originaria destinazione del fondo, adibito
ad autosalone, lo abbia destinato a deposito di autovetture, essendo quest'ultima destinazione inidonea a
realizzare un contatto diretto con il pubblico e non influendo essa in alcun modo sul volume degli affari, trattati e
conclusi nella vicina sede principale.
* Pret. civ. Pisa, 20 ottobre 1993, Martorana c. Nesti.
c-11) Autoscuola
L'attivit didattica impartita nell'autoscuola si accompagna, con carattere di inscindibilit, alla somministrazione
di taluni servizi ed all'espletamento di varie incombenze (quali la richiesta del cosiddetto foglio rosa per il
discente, l'organizzazione delle visite mediche, il noleggio di veicoli specificamente attrezzati, l'organizzazione
per l'espletamento degli esami, i contatti con i pubblici uffici per il rilascio dell'autorizzazione finale) che di per s
integrano un'attivit aziendale. Consegue, pertanto, che l'autoscuola costituisce un'azienda commerciale agli
effetti della applicabilit dell'art. 34 della L. 27 luglio 1978, n. 392 per l'attribuzione dell'indennit per la perdita
dell'avviamento, nel caso di cessazione del rapporto di locazione relativo all'immobile ove essa avvenga. * Cass.
civ., sez. III, 27 aprile 1994, n. 3974, La Rocca c. Muserra.
c-12) Banca
L'istituto di credito che esercita la sua attivit in immobile locato ha diritto, in caso di cessazione del rapporto,
alla indennit di avviamento di cui all'art. 34 della L. 27 luglio 1978 n. 392 indipendentemente dal riscontro della
prevalenza del servizio di sportello, perch l'attivit di intermediazione nel credito, pur non essendo
espressamente menzionata dall'art. 27 della citata legge n. 392, rientra, al pari delle altre attivit indicate nell'art.
2195 c.c., fra quelle commerciali ed , di per s, finalizzata a fornire servizi al pubblico che all'uopo deve
comunque necessariamente recarsi nell'immobile.
* Cass. civ., sez. III, 1 aprile 1993, n. 3895, Lazzati c. Banco Lariano Spa.
L'indennit di avviamento commerciale, prevista dall'art. 34 della L. 27 luglio 1979, n. 392, pu spettare anche
nel caso di ubicazione, nei locali condotti in locazione, degli uffici direzionali di una banca - la cui attivit (art.
2195, n. 4, cod. civ.) finalizzata ad un servizio pubblico - essendo funzionali al soddisfacimento delle richieste
dell'utenza, secondo l'articolazione organizzativa e le necessit operative del settore. * Cass. civ., sez. III, 16
dicembre 1997, n. 12720, Faiella c. Carisal.
c-13) Cabina elettrica
Poich la perdita di un immobile usato dall'Enel come cabina elettrica non incide minimamente sull'avviamento
di tale macroscopica azienda, nulla dovuto per indennit per la perdita dell'avviamento.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 31 marzo 1982, n. 2607, Maranglo c. Enel.
c-14) Campeggio
I campeggi non sono assimilabili, neppure ai fini dell'indennit di avviamento commerciale, agli alberghi e
l'indennit medesima agli stessi spettante deve quindi essere quantificata in diciotto mensilit.
* Pret. civ. Pisciotta, 6 novembre 1989, Talamo c. Srl Tio Pepe.
c-15) Circolo culturale
In tema di locazioni di immobili per uso non abitativo (nella specie, in regime transitorio), l'indennit per la perdita
dell'avviamento commerciale compete anche per la cessazione delle locazioni di immobili adibiti per l'attivit di
un circolo culturale o ricreativo ove risulti che questo sia gestito da una societ all'uopo costituita da soggetti
diversi dai soci del circolo, realizzandosi con la riscossione delle quote di associazione al circolo, il ricavo
dell'attivit di gestione, costituente scopo della societ, di cui il socio del circolo solo un cliente con il quale la
societ ha diretto contatto nei locali del circolo.
* Cass. civ., sez. III, 16 giugno 1992, n. 7409, Srl The Cellar Club c. Fenicia.
c-16) Deposito
Per il disposto degli artt. 34 e 35 della legge n. 392/1978, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale
non dovuta in caso di cessazione di un rapporto di locazione di un immobile adibito dal conduttore a deposito
ed esposizione di mobili, non trattandosi di attivit comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei
consumatori, a meno che non sia fornita la prova da parte del conduttore, che nei locali a ci adibiti il pubblico
abbia libero accesso senza l'ausilio di intermediari o di accompagnatori., in tal caso integrandosi l'uso
dell'immobile nell'attivit aziendale, ancorch la vendita si concluda in locali vicini funzionalmente collegati. *
Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 2001, n. 505, Mobilnova Ciro Telese Sas c. Aric.
c-17) Ente pubblico
Per l'attribuzione dell'indennit per l'avviamento commerciale, in caso di locazione di immobile ad uso non
abitativo, occorre avere riguardo non alla natura o alla qualifica del conduttore, bens all'attivit che in concreto
viene ivi svolta, ragion per cui il diritto all'indennit e in genere la tutela dell'avviamento non compete a quegli
enti, come lo Stato od altro ente pubblico territoriale, che istituzionalmente non agiscono come imprese, ai sensi
dell'art. 27, L. n. 392/1978.
* Pret. civ. Siracusa, 18 luglio 1988, Esspa Edilizia Siciliana Spa c. Comune di Siracusa.
Con riferimento ad un immobile locato all'allora Amministrazione delle poste e telecomunicazioni, poich la
trasformazione di quest'ultima in ente pubblico economico e, successivamente, in societ per azioni non ha
integrato mutamento nell'uso pattuito, bens mutamento nella struttura del soggetto conduttore che ha
trasformato la propria natura giuridica, la conseguente inapplicabilit dell'art. 80 L. n. 392/78 rende insussistente
in capo all'attuale Poste Italiane Spa il diritto alla corresponsione dell'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale in relazione alla riconsegna dei locali.
* Trib. civ. Milano, sez. XIII, 15 marzo 2001, n. 3142, Soc. Max Mara ed altra c. Poste Italiane Spa. 2001, 694.
c-18) Esposizione di merce
L'indennit per la perdita dell'avviamento compete anche al conduttore di locali adibiti soltanto ad esposizione
della merce con possibilit di accesso da parte del pubblico, sebbene le vendite vengano concluse in locali
vicini, sempre che risulti accertato il reale ed obbiettivo inserimento del locale nell'organizzazione aziendale del
conduttore e la sua rispondenza ed esigenza tipiche dell'impresa, essendo cos funzionali alla produttivit
aziendale e suscettibili di influire sul volume di affari.
* Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 1987, n. 810, Coppolicchio c. Giovine.
L'indennit per la perdita dell'avviamento, prevista dall'art. 34 della legge n. 392 del 1978, compete anche al
conduttore di locali i quali, sebbene non consentano l'accesso da parte del pubblico, comportano tuttavia una
possibilit di contatto col medesimo (nella specie, locali adibiti ad esposizione della merce) e risultano in tal
modo funzionali alla produttivit aziendale e suscettibili di influire sul volume degli affari.* Cass. civ., sez. III, 25
febbraio 1983, n. 1457, Solmi c. Soc. Doti.
c-19) Estetista
Ai fini del diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale di cui all'art. 34 della legge 27 luglio
1978, n. 392, (cosiddetta dell'equo canone) l'attivit di estetista come disciplinata dalla legge 4 gennaio 1990, n.
1, non ha carattere professionale e non preclude pertanto il sorgere del diritto alla suddetta indennit a norma
del successivo art. 35 della stessa legge, ma ha natura di attivit imprenditoriale artigiana, senza che in
contrario assuma rilievo il riferimento alla professione contenuto nella citata legge n. 1 del 1990, il quale per un
verso ha riguardo alla necessaria preparazione teorico pratica di chi eserciti tale attivit e per altro verso denota
il carattere non occasionale ma stabile e duraturo della stessa.
* Cass. civ., sez. III, 19 marzo 1997, n. 2421, Di.Ma. Srl. c. Piselli.
c-20) Impresa assicuratrice
L'indennit di avviamento di cui all'art. 34 della L. n. 392/1978 spetta al conduttore che, quale una impresa
assicuratrice, svolga la relativa attivit - e sempre che la stessa comporti contatto diretto con il pubblico degli
utenti - nell'immobile in locazione, rientrando tale attivit, pur non espressamente considerata dall'art. 27 della
citata legge, tra quelle commerciali, in base al disposto dell'art. 2195, secondo comma cod. civ., con la
conseguente applicazione delle disposizioni di legge che fanno riferimento alle attivit commerciali e, quindi,
anche del citato art. 27.
* Cass. civ., sez. III, 20 agosto 1990, n. 8496, Soc. Sai c.
In tema di locazione ad uso non abitativo, presupposto per la spettanza dell'indennit per la perdita di
avviamento commerciale che l'immobile sia utilizzato come luogo aperto alla frequentazione diretta e
strumentalmente negoziale della generalit originariamente indifferenziata dei destinatari ultimi dell'offerta dei
beni o dei servizi. Pertanto, tale indennit non dovuta nelle ipotesi in cui l'attivit del conduttore non sia
strutturata in modo da contare sul diretto accesso dei consumatori, anche se questo non sia precluso (nella
specie, agenzia assicurativa adibita all'incontro tra i produttori, senza orario di accesso del pubblico, con
frequentazione solo di alcuni utenti che si recavano a pagare i premi).
* Cass. civ., sez. III, 4 novembre 1993, n. 10885, Alleanza Ass.ni Spa c. Frasca.
Non dovuta l'indennit di avviamento per un locale adibito ad ispettorato sinistri di una impresa assicuratrice.
* Pret. civ. Bari, 30 aprile 1983, n. 269, Macario e altri c. Sapa Spa.
Nel caso di contratto di locazione stipulato dalla compagnia di assicurazione, l'indennit per la perdita
dell'avviamento deve essere liquidata a favore della compagnia medesima, e non dell'agente.
* Pret. civ. Sestri Ponente, 6 maggio 1985, n. 26, Spa SAI c. Rollino e Balteri.
c-21) Laboratorio analisi chimiche
Pur non disconoscendosi che nell'esercizio dell'attivit medica di laboratorio analista chimico sia compresa una
qualche attivit di tipo organizzativo, non pu negarsi che l'elemento fiduciario collegato alla particolare
competenza professionale dell'analista a guidare l'utente verso l'uno o l'altro laboratorio di analisi piuttosto che
l'organizzazione dello stesso. La figura del professionista assume, infatti, un rilievo innegabilmente preminente
rispetto all'aspetto economico-commerciale che, pur se sussistente, appare certamente marginale. * Trib. civ.
Napoli, sez. XI, 14 dicembre 1991, Santoro c. Gramendola e Peluso.
All'attivit espletata da un laboratorio di analisi cliniche non dovuta l'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale, essendo la stessa configurabile come professionale malgrado l'indubbia presenza di un elemento
aziendale molto rilevante, poich il risultato esterno dell'attivit medesima appare essere principalmente
riconducibile alla particolare competenza tecnica e qualificata di un professionista (analista), connotato tipico
delle attivit professionali.
* Pret. civ. Roma, 20 dicembre 1988, Car c. Dessi.
c-22) Mediatore professionale
Il diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, previsto in caso di cessazione del rapporto di
locazione, deve essere riconosciuto anche in favore del conduttore che eserciti attivit di mediatore
professionale, stante la sua qualit di imprenditore commerciale. * Cass. civ., sez. III, 9 marzo 1984, n. 1637,
Germani c. Borghese.
La perdita di clientela che attribuisce il diritto all'indennit di avviamento presuppone che si tratti di quella
clientela che normalmente acquista la merce o il servizio non gi nell'ambito di un proprio progetto o di una
organizzazione economica di produzione o di scambio di beni o servizi, bens per soddisfare un bisogno
personale e, comunque, quantitativamente limitato. Conseguentemente, deve essere esclusa la debenza
dell'indennit in questione in favore di un mediatore professionale la cui attivit mediatoria non risulti soddisfare
un bisogno primario e largamente diffuso e creare uno stabile afflusso di domanda verso i locali ove viene
esercitata detta attivit. * Trib. civ. Milano, sez. X, 19 giugno 1986, n. 5336, Bosco e C. Spa c. Eredi Di Blasi.
c-23) Officina
Sussiste il diritto del conduttore all'indennit di avviamento ex artt. 34 e 69 L. n. 392/78 in relazione ad un
immobile adibito ad officina per la riparazione di motoveicoli. * Pret. civ. Milano, 26 gennaio 1987, Dall'Agnola c.
Bon.
c-24) Palestra
L'attivit di palestra specializzata in ginnastica terapeutica, esercitata con fini di lucro e con prevalenza della
organizzazione aziendale sulla capacit professionale delle persone impegnate, integra un'attivit commerciale
ai sensi dell'art. 27 legge n. 392/78; di talch, nel caso di cessazione del rapporto di locazione, il conduttore
dell'immobile ove venga esercitata tale attivit ha diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale.
* Pret. civ. Milano, 2 maggio 1996, n. 1620, Matalon ed altri c. Soc. Soma.
c-25) Ricevitoria
Poich l'attivit di ricevitoria del gioco del lotto non pu qualificarsi attivit commerciale, n rientra tra quelle
tutelate dalla normativa di cui agli artt. 27 e 34 L. n. 392/1978, il conduttore di un immobile adibito a tale attivit
non ha diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento prevista, per il caso di cessazione della locazione,
dall'art. 69, settimo comma, della stessa legge 392/1978 nella formulazione originaria (ritenuta applicabile nella
specie per essere il contratto cessato prima dell'entrata in vigore del D.L. n. 832/1986, che ha sostituito detto art.
69 riconoscendo il diritto all'indennit o compenso in questione anche in alcune ipotesi in cui era in precedenza
escluso). * Pret. civ. Milano 15 ottobre 1987, n. 3089, Castoro c. Mazzoleni.
c-26) Sartoria artigiana
Al conduttore che si serve dell'immobile in locazione per l'esercizio dell'attivit artigiana di sarto, ricevendovi i
clienti, spetta, in caso di cessazione del rapporto, l'indennit di avviamento commerciale prevista dagli artt. 34 e
35 della L. 27 luglio 1978 n. 392 in favore dei conduttori che esercitano nell'immobile attivit commerciale,
industriale od artigianale con diretto contatto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, restando irrilevante,
in presenza di una clientela pur sempre originariamente indifferenziata, la minore affluenza di una sartoria
artigiana rispetto a quella di una rivendita al minuto di capi di abbigliamento.
* Cass. civ., sez. III, 29 luglio 1995, n. 8340, Calori c. Dal Vecchio.
c-27) Scuola di danza
In caso di locazione di immobile adibito alla gestione di scuola privata di danza, con strutturazione aziendale e a
fine di lucro, non compete alcuna indennit di avviamento commerciale perch, anche in caso di prevalenza della
strutturazione aziendale sulle prestazioni personali e professionali del conduttore gestore della scuola, difetta
l'estremo dell'esistenza dei contatti diretti col pubblico degli utenti di cui all'art. 35 della L. n. 392/78.* Pret. civ.
Chieti, 24 febbraio 1992, n. 18, Ruffini c. Di Peppe ed altri. 392.
c-28) Studio di pittore
Non compete indennit per la perdita di avviamento a favore di pittore che eserciti attivit in studio cui accedano
i potenziali acquirenti delle opere artistiche. * Pret. civ. Firenze, 27 ottobre 1988, Petrelli c. Cappello.
c-29) Studio pubblicitario
Deve escludersi che uno studio pubblicitario, ancorch iscritto alla camera di commercio come ditta artigianale,
possa rientrare tra gli imprenditori aventi contatti diretti con il pubblico degli utenti (art. 35 L. n. 392/1978), perch
tale locuzione individua le imprese industriali dirette alla produzione di servizi, le imprese di trasporto, quelle
esercenti attivit bancarie e assicurative, attivit ausiliarie, i pubblici esercizi e i servizi di largo consumo, come
trattorie, spacci, autorimesse, tabaccherie, uffici di viaggi.
* Trib. civ. Piacenza, 23 maggio 1983, VBM Snc c. Tansini e Luccherini.
c-30) Vendita di tessuti
Ai fini dell'attribuzione dell'ulteriore indennit per la perdita dell'avviamento, prevista dall'art. 34, secondo
comma, della L. n. 392/1978, non sussiste il requisito dell'affinit tra l'attivit di vendita di tessuti e quella di
vendita di confezioni di abbigliamento.
* Pret. civ. Bari, 26 agosto 1994, n. 997, Soc. Marisemma II c. De Florio.
c-31) Vetrinetta
Nel caso di locazione di vetrinetta ad uso esclusivo di spazio pubblicitario, si verte in tema di immobile locato per
consentire lo svolgimento di una vera e propria attivit commerciale, sia pure nella fase iniziale di approccio con
il cliente. Al relativo contratto deve quindi applicarsi la disciplina di cui alla L. n. 392/1978.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 9 giugno 1997, n. 6253, Condominio di Corso Vittorio Emanuele II n. 22 in Milano c.
Soc. Messaggerie Musicali.
d) Competenza
Qualora il pretore abbia dichiarato la propria incompetenza per valore a decidere la causa di finita locazione,
senza provvedere sulla domanda riconvenzionale proposta soltanto in via subordinata di pagamento per la
perdita dell'avviamento commerciale ex art. 34 della legge n. 392/78, il tribunale davanti al quale la causa sia
stata riassunta e riproposta la domanda di pagamento dell'indennit ex art. 34 cit., non pu, ritenuta la propria
incompetenza, in ordine a detta domanda, richiedere d'ufficio il regolamento di competenza, per difetto
dell'indeclinabile presupposto della duplice declaratoria di incompetenza.
* Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1999, n. 4163, Basciano c. Brancatello.
Proposta dal conduttore domanda di pagamento dell'indennit di avviamento commerciale, prevista dalla legge
(sull'equo canone) n. 392 del 1978 in caso di cessazione della locazione di immobile ad uso non abitativo, previa
declaratoria di nullit (ai sensi dell'art. 79) della rinunzia ad essa operata in sede di conciliazione nel giudizio di
rilascio dell'immobile stesso, la competenza del pretore (ex art. 45, terzo comma) non limitata alla
determinazione e liquidazione di tale indennit, bens si estende all'accertamento della dedotta nullit, il quale
implica una indagine meramente incidentale, al fine dell'accoglimento della suddetta domanda, senza richiedere
una pronuncia giudiziale autonoma con efficacia di giudicato.
* Cass. civ., sez. III, 20 aprile 1984, n. 2592, Triglione c. Consoli.
Nel caso di cessazione del rapporto di locazione di immobile urbano ad uso diverso da quello abitativo, l'art. 45
terzo comma della L. 27 luglio 1978 n. 392, nel devolvere al pretore, qualunque ne sia il valore, la domanda del
locatario diretta al riconoscimento ed alla determinazione dell'indennit per perdita dell'avviamento commerciale
(artt. 34 e 69 della legge medesima), fissa una competenza per ragioni di materia, non derogabile. Pertanto, ove
detta domanda venga proposta in via riconvenzionale davanti a giudice diverso dal pretore, competente per
valore sulla domanda principale del locatore di scioglimento del rapporto, resta esclusa la possibilit di
un'attrazione di tale riconvenzionale nella cognizione di quel giudice diverso, e si rende necessaria la
separazione dei rispettivi procedimenti.* Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1986, n. 2914, Bei c. De Luca.
La competenza esclusiva del pretore sulle controversie relative alla indennit di cui all'art. 34 della legge
sull'equo canone comprende, attesa l'unitaria configurazione dell'istituto, anche le controversie che hanno per
oggetto la realizzazione della condizione posta dall'art. 34, comma 3 (e dell'art. 69, comma 10, nel testo
novellato) per l'esecuzione del provvedimento di rilascio. (Nella specie si trattava di opposizione alla esecuzione
fondata sulla eccezione di omesso pagamento della indennit).
* Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 1996, n. 1372, Maggioni c. Soc. Publicity.
e) Contatti diretti con il pubblico
Nel caso di immobile dato in locazione per essere destinato ad un'attivit che secondo le sue modalit tipiche
comporta contatto diretto con il pubblico (come quella di intermediazione immobiliare se rivolta a soddisfare le
esigenze non di singoli soggetti direttamente contattati o di singoli altri operatori economici, ma della indistinta
generalit degli interessati, raggiunti attraverso la diffusione di messaggi tipici per tale genere di attivit, come
inserzioni sui giornali, cartelli affissi all'esterno degli immobili da vendere, manifesti etc., pur nella mancata
segnalazione della presenza, nell'immobile locato, della sede dell'azienda), qualora il locatore convenuto per il
pagamento dell'indennit di avviamento non neghi l'effettivo svolgimento, nell'immobile, dell'attivit
contrattualmente prevista, la domanda del conduttore non pu essere respinta sul rilievo della mancanza di
prova del contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, per non essere stata dimostrata
l'utilizzazione dei locali come fonte di procacciamento di clienti, non risultando apposti all'esterno dei locali stessi
i consueti elementi di attrazione per il pubblico (quali insegne, vetrine etc.), trattandosi di circostanze di per s
non significative, che non possono costituire impedimento ad una prova per presunzioni della sussistenza di tali
contatti, tratta, secondo un criterio di normalit, ed in assenza di contrari elementi di giudizio, dalla circostanza
che essi sono connaturati ad una attivit della quale certo l'avvenuto svolgimento.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 10 marzo 1998, n. 2646, Attika Sas c. Isar Spa.
L'indennit prevista dall'art. 34 della legge n. 392 del 1978 a favore del conduttore di immobile destinato ad uso
diverso di abitazione, semprech l'attivit in esso esercitata comporti il contatto diretto con il pubblico degli utenti
e dei consumatori (a mente del successivo art. 35), compete anche al conduttore il quale svolga nell'immobile
condotto in locazione sia l'attivit di produzione che quella di vendita al minuto indipendentemente dalla
prevalenza o meno di quest'ultima attivit.
* Cass. civ., sez. III, 14 aprile 1986, n. 2616, Cravattifi. Mee. c. Univ. Bologna.
In tema di locazione di immobili per uso diverso da quello di abitazione, la indennit per la perdita
dell'avviamento commerciale non pu ritenersi dovuta qualora l'immobile locato non risulti aperto alla
frequentazione, diretta e senza intermediazioni, della generalit dei destinatari finali dell'offerta di beni o servizi,
e, in particolare, qualora il pubblico abbia accesso al locale soltanto previo accompagnamento dei dipendenti o
del titolare dell'attivit commerciale, dopo essere in altro modo entrato in contatto con la di lui organizzazione
aziendale, non potendo, in tal caso, legittimamente qualificarsi i termini di contatti diretti l'accesso del pubblico al
locale de quo. * Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 1997, n. 9869, Merluzzo c. Passeggio.
In tema di locazioni di immobili non abitativi, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale non compete
con riguardo all'immobile che pur locato insieme con altro in cui si svolge l'attivit con contatti diretti con il
pubblico, non presenti identica caratteristica in ragione della sua strutturale autonomia rispetto al secondo,
restando irrilevante l'eventuale esistenza di un collegamento funzionale per essere lo stesso adibito a deposito
della merce venduta nell'altro locale.
* Cass. civ., sez. III, 2 giugno 1995, n. 6198, Trattoria Bagutta c. Mazzoni.
Poich nell'ipotesi in cui l'immobile locato sia adibito ad usi diversi la disciplina applicabile quella relativa
all'uso prevalente, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, prevista dall'art. 34, L. 27 luglio 1978,
n. 392, compete al conduttore dell'immobile adibito ad uso non abitativo, soltanto quando l'attivit di vendita al
minuto con modalit che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, sia esclusiva o
prevalente rispetto ad altre attivit eventualmente esercitate nello stesso locale (fattispecie in cui nei locali locati
veniva svolta in modo assolutamente prevalente l'attivit di lavorazione del marmo destinata all'utilizzazione di
altri imprenditori e non invece ai consumatori finali).
* Cass. civ., sez. III, 20 aprile 1995, n. 4474, Nai c. Zanaboni.
Le disposizioni di legge sull'equo canone che attribuiscono al conduttore di immobile adibito per uso diverso da
quello di abitazione, per il caso di vendita dello stesso (artt. 35, 38, 69 L. 27 luglio 1978 n. 392), il diritto ad una
indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, hanno uno scopo di tutela dell'avviamento inteso come
clientela e si riferiscono, perci, solo agli immobili che, adoperati dal conduttore come luogo aperto alla
frequentazione diretta e strumentalmente negoziale della generalit dei destinatari finali dell'offerta di beni e di
servizi, assumano la funzione di collettore di clientela e fattore locale di avviamento; ne consegue che l'indennit
non spetta in caso di vendita di immobile adibito dal conduttore come locale di esposizione in cui il pubblico non
accede o accede solo se accompagnato, dopo essere in altro modo entrato in contatto con l'organizzazione
commerciale del conduttore, se non risulti anche che in concreto tale locale in grado di esercitare, di per s, un
richiamo sulla clientela. Cass. civ., sez. III, 21 ottobre 1993, n. 10460, Mussi c. Micheletti.
Al conduttore che esercita nell'immobile, senza le prescritte autorizzazioni amministrative, attivit commerciale
che implichi contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori non pu essere riconosciuto il diritto
all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale dovendosi negare tutela giuridica a chi versa in
situazione illecita.
* Cass. civ., sez. III, 7 maggio 1993, n. 5265, Grimaudo c. Sicel Mobili Gentili Spa.
Al conduttore che esercita nell'immobile, senza le prescritte autorizzazioni amministrative, una attivit
commerciale che implichi contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori non pu essere
riconosciuta l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, dovendosi negare tutela giuridica a chi versa
in situazione illecita.
* Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2000, n. 12966, Ribol sport c. Bandini & C. Snc.
Il diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, ai sensi dell'art. 34 della legge sull'equo
canone, al pari del diritto di prelazione e di riscatto (artt. 38, 39 legge cit.) spetta al conduttore di immobile
urbano con destinazione non abitativa, sempre che egli vi eserciti un'attivit produttiva o commerciale a contatto
diretto con il pubblico, sia pure come contitolare o consocio di una societ di persone della relativa impresa con
soggetti estranei alla titolarit del rapporto locativo.
* Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 1996, n. 11363, Mauriello c. De Filippo.
L'indennit di avviamento di cui all'art. 34, della L. 27 luglio 1978, n. 392, spetta anche nei casi in cui il locale sia
utilizzato per una attivit che l'imprenditore svolge per mezzo di rappresentanti o di soggetti che operano per suo
conto e che del locale si servano per i loro contatti con il pubblico degli utenti o dei consumatori (nella specie,
trattavasi di una societ assicuratrice collegata con la societ conduttrice). * Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1992,
n. 6248, Properzi c. Lloyd Internazionale Spa.
Con l'espressione attivit che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, il
legislatore ha inteso individuare quelle attivit che si rivolgono alla massa di possibili fruitori, i quali, nella loro
indeterminatezza, vengono a costituire la potenziale clientela del conduttore. Gli utenti e i consumatori
costituiscono, cos, l'ultimo anello della catena distributiva, coloro cio che utilizzano direttamente il prodotto o il
servizio; mentre non rientrano in tale categoria gli intermediari che acquistano la merce od utilizzano il servizio
per il trasferirlo a loro volta al diretto fruitore. (Nella fattispecie, sulla base del principio che precede, stata
esclusa la spettanza dell'indennit di avviamento all'odontotecnico la cui attivit artigianale ausiliaria della
professione sanitaria e si concreta - secondo il R.D. 31 maggio 1928, n. 1334 - nella costruzione di protesi
dentarie su modelli tratti dalle impronte che possono essere fornite solo dai medici i quali, di conseguenza sono
gli unici suoi possibili clienti e che, a loro volta trasferiscono il prodotto all'utente - paziente).* Pret. civ. Roma, 2
marzo 1988, Salvidio c. Sugameli.
Ai fini della sussistenza del diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, non configurabile il
contatto diretto con il pubblico nel caso in cui l'immobile sia adibito a studio fotografico posto all'interno di un
cortile e non segnalato da insegne nella strada. * Pret. civ. Firenze, ord. 13 aprile 1989, Bencini c. Ricasoli.
Qualora nell'immobile locato ad uso commerciale venga svolta sia attivit che comporta contatti diretti con il
pubblico degli utenti e dei consumatori sia attivit che tali contatti non comporta, nella determinazione
dell'indennit per la perdita dell'avviamento deve tenersi conto esclusivamente del criterio forfettizzante ed
astratto del valore locativo dell'intera unit immobiliare.
* Pret. civ. Roma, 31 gennaio 1989, Ditta Master c. Nardi.
Non compete indennit per il rilascio di quei locali, nei quali non avviene un contatto diretto con il pubblico degli
utenti o consumatori, ma un contatto soltanto mediato, ancorch i locali siano inseriti nell'organizzazione
produttiva, purch per abbiano una loro precisa individualit e cio costituiscano un'autonoma unit
immobiliare. Quando, invece, la parte nella quale non avvengono contatti diretti con il pubblico degli utenti o dei
consumatori non ha una sua autonomia e non costituisce una distinta unit immobiliare, si deve tener conto di
tutti locali nel loro complesso; non quindi accoglibile la richiesta subordinata presentata dal convenuto di
limitare il calcolo del canone corrente di mercato a quella sola parte dei locali al piano terreno frequentati dagli
utenti e non invece a quella adibita a studio o sala di posa.
* Pret. civ. Parma, 24 gennaio 1990, Ditta Tel Pubblicit c. Soc. Immobilare Altan.
f) Controversie
Con riferimento a locazione di immobile destinato ad uso diverso da quello di abitazione, sussiste rapporto di
continenza tra la causa di opposizione a precetto, proposta davanti al pretore, con la quale il conduttore si
oppone al rilascio dell'immobile, intimato in virt di un verbale di transazione e conciliazione, deducendo la
mancata corresponsione dell'indennit di avviamento, in ragione della nullit della rinuncia ad essa, contenuta
nella detta transazione, e la causa che, previamente promossa dallo stesso conduttore, davanti al tribunale, per
la dichiarazione di vigenza del rapporto locativo relativo allo stato immobile e, in subordine, della nullit del citato
accordo transattivo, si connota per la maggiore ampiezza del petitum, non ricorrendo in ordine alla prima causa
la competenza per materia del pretore, la quale limitata alla determinazione dell'indennit di avviamento.
* Cass., sez. 8 febbraio 1990, n. 885, Pugliares c. Leonardi.
L'interveniente adesivo ha un interesse di fatto all'esito a lui favorevole della controversia, determinato dalla
necessit di impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi le conseguenze dannose della
decisione, ma detto interesse non idoneo ad attribuirgli un autonomo diritto da far valere nel rapporto
controverso. (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata la quale d'ufficio aveva attribuito
l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale al terzo che, quale intestatario della licenza di commercio
e titolare dell'attivit esercitata nell'immobile locato, aveva spiegato intervenuto adesivo nella causa fra il
locatore ed il conduttore concernente la cessazione del rapporto locatizio ed il pagamento della detta indennit).
ritenzione non abilita il conduttore alla prosecuzione del godimento del bene quale utilit corrispettiva del
pagamento del canone, configurandosi come mero onere di custodia anche nell'interesse proprio.
* Cass. civ., sez. III, 2 marzo 1995, n. 2442, Paiola c. Lugagli.
Una volta cessato il rapporto contrattuale, il conduttore ha diritto di detenere l'immobile, cos esercitando una
forma di diritto di ritenzione, finch non gli venga corrisposta l'indennit di cui all'art. 34 della legge sull'equo
canone.
* Pret. civ. Pordenone, 7 marzo 1998, n. 79, Sipkova c. Soc. Consap, in Arch. loc. e cond. 1998, 427.
i) Esclusione
Il termine recesso nell'ambito dell'art. 34, primo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, che esclude il diritto
del conduttore all'indennit per la perdita dell'avviamento quando la cessazione del rapporto di locazione
dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore, impiegato in una accezione
ampia, comprensiva di ogni risoluzione anticipata del contratto che, anche se formalmente consensuale per
adesione del locatore, possa farsi risalire ad una manifestazione di volont del conduttore che non abbia pi
interesse alla continuazione della locazione.
* Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1995, n. 2231, Macchi ed altri c. Maffia.
Non spetta alcuna indennit per la perdita dell'avviamento commerciale ad una societ immobiliare per l'attivit
svolta in un locale nel quale, senza alcuna insegna n vetrina, si svolgono solo trattative riguardanti il prezzo di
un immobile o la visione dei progetti, in quanto tale attivit non configura l'ipotesi di contatto diretto con il
pubblico ex art. 35, L. n. 392/1978, bens di mero contatto mediato con una clientela gi, in parte, selezionata.
* Pret. civ. Genova, sez. II, 10 dicembre 1991, Romeo c. Societ Immobiliare S. Ilario, in Arch. loc. e cond. 1992,
593.
Non spetta indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, ai sensi dell'art. 35 della L. n. 392 del 1978, in
relazione all'esercizio di attivit di progettazione ed allestimento arredamenti, consulenza di architettura,
pubblicit ed estetica industriale, dato il prevalere degli elementi libero professionali, basati sull'intuitus
personale, rispetto a quelli imprenditoriali, e della irrilevanza quindi del luogo di esplicazione dell'attivit nel
rapporto con la clientela.
* Pret. civ. Udine, sez. dist. di Palmanova, 1 luglio 1991, n. 24, Soc. So.Te.Co. c. Comune di Palmanova.
Il diritto del conduttore all'indennit ex art. 34 della L. n. 392/1978 escluso laddove lo stesso, alla cessazione
del rapporto locatizio, abbia trasferito la propria attivit in altra unit immobiliare locata allo scopo, facente parte
del medesimo stabile.
* Trib. civ. Roma, 18 febbraio 1998, Caselli c. Bovini.
Non compete alcuna indennit, per la perdita dell'avviamento commerciale per la cessazione del contratto di
locazione, al conduttore esercente un'attivit di fornitura, posa in opera e manutenzione di impianti di posta
pneumatica, non comportando questa contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, ma solo
rapporti limitati ad una clientela particolarmente qualificata e selezionata. * Pret. civ. Roma, 7 aprile 1989, Are c.
Soc. Varone, in Arch. loc. e cond. 1991, 364.
Non ha diritto all'indennit di avviamento commerciale, atteso il disposto dell'art. 35 L. 392/78, la cooperativa di
consumo, che, per quanto svolga attivit commerciale, non ha un contatto diretto con il pubblico degli utenti e
dei consumatori, potendo soltanto avere rapporti con i propri soci.
* Pret. Civitavecchia, 26 ottobre 1984, n. 210, Coop. Consumo Santa Marinella c. De Laurentis.
Deve essere escluso che abbia diritto all'indennit di avviamento il professionista la cui attivit commerciale
abbia avuto carattere accessorio a quella professionale oppure - se a carattere prevalente o anche soltanto
autonomo - non abbia comportato rapporti diretti col pubblico degli utenti e dei consumatori. (Fattispecie di
professionista che svolgeva attivit di rappresentanza e di procacciamento di materiali da costruzione per
imprese).
* Pret. civ. Pietrasanta, 10 novembre 1982, n. 84, Cipriani c. Baldi Coluccini.
Il diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento esclusa in ipotesi di recesso dalla locazione della curatela
fallimentare a seguito di sentenza dichiarativa di fallimento del conduttore ed ininfluente la successiva
pronuncia di revoca del fallimento.
* Pret. civ. Napoli, 25 novembre 1985, Antonangeli c. Cond. via Niutta 3, Napoli.
Deve escludersi che sia dovuta l'indennit per l'avviamento commerciale per le attivit nelle quali le prestazioni
personali dell'esercente costituiscono l'elemento attraente, capace di determinare l'indennizzo della clientela con
prevalenza sulle altre caratteristiche obiettive legate propriamente all'azienda (nel caso di specie autoscuola).
* Pret. civ. Cesena, 21 maggio 1982, n. 95, Berardi c. Bastoni.
j) Finalit
La disposizione dettata, con riferimento alle locazioni di immobili urbani destinati ad uso diverso da quello
abitativo, per cui sia dovuta, alla cessazione del rapporto, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale,
dall'art. 34 della legge n. 392 del 1978, secondo la quale l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile
condizionata dall'avvenuta corresponsione dell'indennit, inserendosi nel quadro normativo di protezione delle
attivit imprenditoriali svolte in immobili locati, costituisce ulteriore espressione della tutela dell'avviamento, e
non si limita ad attribuire un mero diritto di ritenzione al conduttore, consentendogli la protrazione dell'esercizio
dell'attivit economica sull'immobile, verso il pagamento di un corrispettivo coincidente con quello del
precedente rapporto contrattuale, dovuto, peraltro, in ossequio al canone generale della correttezza, anche nella
ipotesi in cui il conduttore, per sua scelta, non utilizzi l'immobile, salvo che costui non rinunzi anche alla mera
detenzione dell'immobile, effettuandone la riconsegna al locatore, o facendogliene offerta ai sensi dell'art. 1216
c.c.
* Cass. civ., sez. III, 26 maggio 1999, n. 5098, Bevilacqua c. Lepore.
k) Interruzione dell'attivit
L'interruzione, da parte del conduttore, dell'attivit industriale, commerciale o artigianale comportante contatti
diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, provocata dall'inagibilit dell'immobile locato, non determina
la perdita del diritto del conduttore all'indennit di avviamento se il rapporto, non avendo il locatore fatto valere la
risoluzione del contratto per l'impossibilit sopravvenuta della prestazione, sia successivamente cessato, per
iniziativa di quest'ultimo, solo per effetto della scadenza legale o convenzionale del contratto. * Cass. civ., sez.
III, 10 ottobre 1992, n. 11091, Casal c. Galletti.
l) Liquidazione forfettaria
A differenza della disciplina vigente durante il regime vincolistico (art. 4 della L. n. 19 del 1963), la nuova
normativa delle locazioni urbane ad uso non abitativo di cui alla L. n. 392 del 1978 prevede, con riguardo
all'indennit per l'avviamento commerciale, una liquidazione forfettaria fissa commisurata ad un numero
predeterminato di mensilit, nella quale cio varia solo l'elemento base costituito dal canone mensile - che pu
essere quello da ultimo corrisposto dal conduttore (art. 34), o quello richiesto dal locatore od offerto dal terzo,
ovvero quello corrente di mercato (art. 69) - restando escluso qualsiasi potere discrezionale del giudice di
procedere ad una liquidazione equitativa anche nel caso in cui il locatore non intenda procedere al rinnovo della
locazione nel regime transitorio, atteso che la mera espressione sulla base del canone corrente di mercato
contenuta nel settimo comma dell'art. 69 citato, non comporta alcuna differenziazione dalle altre ipotesi
considerate in precedente (nelle quali il numero delle mensilit indicate dal legislatore costituisce l'importo
concretamente dovuto e non l'ammontare massimo consentito).
* Cass. civ., sez. III, 12 agosto 1988, n. 4945, Sgr c. Portale.
m) Mutamento d'uso
Nel caso di mutamento da parte del conduttore dell'uso pattuito, nel corso della locazione, va applicato, al
momento della cessazione del rapporto di locazione, il regime giuridico corrispondente all'uso prevalente (art. 80
comma 2 della L. 27 luglio 1978 n. 392), con la conseguenza che - in caso di prevalenza dell'uso commerciale
con contatti diretti con il pubblico - l'indennit di cui all'art. 34 legge citata va commisurata all'intero canone
corrisposto per l'immobile concesso in locazione e non gi ad una parte del canone proporzionata alla sola
superficie adibita all'uso commerciale predetto.
* Cass. civ., Sezioni Unite>, 28 ottobre 1995, n. 11301, Travaglio c. D'Acquaviva e Vavallo.
In tema di indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, non accordabile la tutela prevista dall'art. 34
legge 392/78 al conduttore che abbia unilateralmente operato un mutamento d'uso dell'immobile, tale da rendere
applicabile un regime giuridico diverso, senza che il locatore ne abbia avuto conoscenza, in quanto ci
esporrebbe quest'ultimo a subire una situazione che egli non ha in alcun modo contribuito a creare, neppure con
la sua inerzia consapevole.
* Cass. civ., sez. III, 11 agosto 2000, n. 10723, Interass Ass.ni Snc. c. Cardone ed altro.
n) Natura del credito
In tema di locazioni di immobile ad uso non abitativo, il credito relativo all'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale spettante al conduttore nel caso di recesso del locatore, trattandosi di compenso rapportato al
canone corrente di mercato per locali aventi le stesse caratteristiche (art. 69 L. n. 392/1978) ovvero al canone
richiesto od offerto (art. 1 D.L. n. 832/1987 sostitutivo dell'art. 69 cit.) e riferito al momento in cui il recesso ha
operato i suoi effetti (e cio al sesto mese dopo il preavviso di rilascio), ha per oggetto fin dall'origine una
somma di denaro e, pertanto, costituisce un credito di valuta e non di valore.
* Cass. civ., sez. III, 3 novembre 1993, n. 10836, Buttazzo c. Corona.
o) Offerta
E' sufficiente l'offerta reale dell'indennit di avviamento ai fini della procedibilit dell'esecuzione del
provvedimento di rilascio dell'immobile. * Pret. civ. Piacenza, ord. 12 marzo 1992, Soc. Castel c. Soc. Il
Belvedere, in Arch. loc. e cond. 1992, 165.
L'offerta banco judicis dell'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale giustifica il diniego di
sospensione dell'esecuzione del provvedimento di rilascio. * Pret. civ. Roma, ord. 6 giugno 1997, Brenci c.
Martino, in Arch. loc. e cond. 1997, 662.
p) Onere probatorio
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, compete al conduttore, il
quale richieda l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, la prova che il rapporto di locazione
cessato per disdetta o recesso del locatore o per altre cause diverse dall'inadempimento o disdetta o recesso
del conduttore o da una della procedure previste dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, trattandosi di fatto costitutivo
di diritto. * Cass. civ., sez. III, 18 novembre 1994, n. 9757, Bufali c. Pagnotta.
In tema di corresponsione dell'indennit di avviamento, quando sia il locatore a rivestire la qualit di attore, onde
ottenere l'accertamento negativo della spettanza di tale indennit al conduttore, esclusivo onere del primo
provare l'insussistenza dei presupposti del relativo diritto, a nulla rilevando che, trattandosi di prova negativa,
l'adempimento di tale onere pu rivelarsi, in concreto, particolarmente gravoso assolverlo. * Cass. civ., sez. III,
19 luglio 2000, n. 9491, Silba spa c. Villa Alba srl.
Il carattere automatico del diritto del conduttore di immobile adibito ad uso diverso dall'abitazione, all'indennit
per la perdita dell'avviamento commerciale ex art. 34 della L. 27 luglio 1978, n. 392, comporta solo che il
conduttore sia esonerato dalla prova della sussistenza in concreto dell'avviamento e del danno conseguente al
rilascio, ma non implica che tale diritto consegua alla sola destinazione dell'immobile ad una delle attivit
protette, quando manchi la prova, da fornirsi dal conduttore, che ad esse l'immobile sia stato concretamente
adibito. * Cass. civ., sez. III, 10 maggio 1996, n. 4430, Soc. Mas c. Palomo.
Il diritto del conduttore di un immobile non abitativo all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale
compete indipendentemente dalla prova in concreto dell'avviamento e della perdita, avendo il legislatore stabilito
il corrispondente diritto del conduttore con una valutazione fondata sull'id quod plerumque accidit.
deve aversi riguardo all'attivit esercitata dal conduttore in tale momento.* Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1995, n.
6548, Costabile c. Palumbo.
Il conduttore al quale sia stato comunicato dal locatore preavviso della volont di recesso dal contratto di
locazione per uso non abitativo (nella specie, soggetto a regime transitorio) per le esigenze di ristrutturazione
dell'immobile indicate dall'art. 29 lett. d) della legge sull'equo canone, in relazione alle quali risulti rilasciata la
licenza o concessione solo in data successiva a quella della predetta comunicazione, ha diritto alla indennit per
la perdita dell'avviamento commerciale nell'ammontare determinato con riferimento alla data della licenza o
concessione, dato che solo da quel momento si sono realizzate le condizioni del recesso.
* Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 1991, n. 10761, Di Pino c. Luciani.
L'art. 9 della L. 21 febbraio 1989, n. 61, che, integrando l'art. 34 della legge sull'equo canone, consente
l'esecuzione del provvedimento di rilascio di immobile locato per uso non abitativo anche se sia ancora
pendente il giudizio relativo alla spettanza ed alla determinazione dell'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale quando il locatore abbia corrisposto, salvo conguaglio, l'importo indicato dal conduttore o, in difetto,
da lui offerto o comunque risultante dalla sentenza di primo grado, deve ritenersi applicabile anche alle locazioni
in regime transitorio regolate dall'art. 69 della citata legge sull'equo canone, per le quali prevista la medesima
procedura esecutiva di rilascio, in relazione alla quale, operando il pagamento dell'indennit di avviamento come
condizione di procedibilit dell'azione esecutiva, ricorre l'esigenza, comune alle locazioni in regime ordinario ed
a quelle in regime transitorio, di impedire che il giudizio di determinazione dell'indennit di avviamento possa
essere strumentalmente utilizzato per ritardare l'esecuzione del provvedimento di rilascio.
* Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1992, n. 11415, Dello Iacono c. Simoncini.
Nel giudizio di risoluzione del rapporto di locazione di un immobile ad uso non abitativo, le obbligazioni di
pagamento delle indennit per la perdita dell'avviamento commerciale e quella di rilascio dell'immobile sono fra
loro in rapporto di reciproca dipendenza in quanto ciascuna prestazione inesigibile in difetto di contemporaneo
adempimento dell'altra, con la conseguenza che la legge, subordinando il rilascio dell'immobile al pagamento
dell'indennit, specularmente condiziona il pagamento dell'indennit al rilascio e instaura cos tra le due
obbligazioni una interdipendenza che costituisce fondamento per un'eccezione di inadempimento ai sensi
dell'art. 1460 c.c. o per un'eccezione alla stessa assimilabile.
* Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2001, n. 580, Codic c. Castaldo, in Arch. loc. e cond. 2001, 285.
Perch sorga il diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento prevista dall'art. 34 della legge 27 luglio 1978,
n. 392 occorre che vi sia il rilascio dell'immobile locato, il quale il fatto causativo della perdita dell'avviamento.
Se alla cessazione del rapporto locatizio non si accompagna il rilascio del locale e quindi l'attivit economica ivi
svolta continua ad esservi esercitata, non vi pu essere perdita di avviamento e quindi pregiudizio economico da
compensare, sia pure con quel particolare meccanismo automatico introdotto dalla legge n. 392 del 1978. (La
Corte ha affermato il principio in un caso in cui la cessazione del rapporto di locazione conseguiva all'acquisto in
propriet da parte del conduttore dell'immobile, a seguito della prelazione).
* Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2001, n. 339, Maogima Sas c. Kuwait Petroleum Italia Spa.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora la data di rilascio ricada nella
sospensione dell'esecuzione prevista dall'art. 7 D.L. n. 551 del 1988, conv. nella L. n. 61 del 1989, il conduttore
tenuto, per tutto il periodo di operativit della predetta sospensione, a corrispondere al locatore l'indennit di
occupazione, nella misura prevista dal comma 2 del citato art. 7, a nulla rilevando che non gli sia ancora stata
corrisposta, n offerta, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, spettantegli a norma dell'art 34, L.
n. 392 del 1978, in quanto, nell'indicato periodo di sospensione, il provvedimento di rilascio non eseguibile per
cause diverse e indipendenti dalla mancata corresponsione dell'indennit per perdita di avviamento, con la
conseguenza che, durante il periodo medesimo non pu ritenersi gravante sul locatore l'onere di corrispondere
la stessa.
* Cass. civ., sez. III, 30 marzo 1995, n. 3813, Di Mauro c. Oberti.
In tema di locazione di immobile urbano ad uso diverso dall'abitazione, il rilascio dell'immobile da parte del
conduttore a seguito di diniego di rinnovo alla prima scadenza a norma dell'art. 29 della legge 27 luglio 1978, n.
392, non comporta a carico di questi il venir meno del diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale, nella ricorrenza degli altri presupposti della stessa, ancorch la disdetta intimata dal locatore
debba considerarsi nulla e priva di effetti (per mancanza, nella specie, di uno specifico motivo di diniego,
essendo state richiamate in essa tutte le ipotesi di utilizzazione dell'immobile elencate nel citato art. 29) giacch
in tale ipotesi il rilascio non pu essere ricondotto al mutuo consenso del locatore e del conduttore in ordine alla
cessazione della locazione, costituendo la disdetta, ancorch nulla, estrinsecazione di una unilaterale iniziativa
dello stesso locatore, cui soltanto imputabile la conclusione del rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1997, n. 1230, Pirani c. Immobiliare Giove Sas.
In tema di locazione di immobili ad uso non abitativo, il diritto del conduttore all'indennit per la perdita
dell'avviamento commerciale consegue direttamente al fatto che il rapporto sia cessato per volont del locatore,
restando irrilevante la circostanza che la concreta utilizzazione dell'immobile locato sia venuta meno con largo
anticipo rispetto alla riconsegna dello stesso. (Nel caso di specie, pur essendo la risoluzione del contratto
formalmente dipesa dalla disdetta del conduttore, la facolt di recesso anticipato era tuttavia convenzionalmente
attribuita, stante la volont manifestata dal locatore in una transazione di non continuare la locazione oltre una
certa scadenza).
* Pret. civ. Perugia, sez. dist. Foligno, 14 dicembre 1998, n. 59, Tabarrini ed altra c. Brunori.
La nuova attivit intrapresa nell'immobile va considerata affine a quella esercitatavi dal conduttore uscente ogni
qualvolta essa si avvantaggia comunque dell'avviamento prodotto da quest'ultimo, ancorch soltanto in parte;
quando sfrutta, cio, la potenzialit economica sviluppata dall'esercizio precedente intesa come attitudine a
produrre con il suo funzionamento un profitto maggiore di quello che il gestore potrebbe ricavare dai singoli beni
che lo compongono, tenuto conto anche della acquisita capacit di attirare clienti. * Pret. civ. Ravenna, 18
giugno 1982, n. 259, Sabbioni c. Ricci Maccarini e altro.
L'indennit per la perdita dell'avviamento, di cui agli artt. 34 e 69 legge n. 392/1978, spetta al conduttore, in
presenza degli altri requisiti richiesti, quando costui sia indotto a rilasciare l'immobile su iniziativa del locatore,
anche se non sia stato emesso nei suoi confronti un provvedimento giudiziale di condanna al rilascio. (Nella
specie, stato riconosciuto il diritto al conduttore che, ricevuta dal locatore la disdetta del contratto e convenuto
in giudizio per la convalida dell'intimazione di sfratto, aveva poi rilasciato l'immobile volontariamente nelle more
del processo).* Pret. civ. Milano, 9 maggio 1985, Communication Service Srl c. Betti.
Tenuto conto della ratio delle disposizioni degli artt. 34 e 69 L. n. 392/1978 che prevedono il diritto del
conduttore di immobile non abitativo alla corresponsione di una indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale in caso di cessazione del rapporto di locazione, il predetto diritto va riconosciuto soltanto a chi
contemporaneamente titolare del rapporto di locazione - conduzione da cui il diritto stesso trae origine e
dell'attivit esecutiva esercitata nell'immobile oggetto della locazione. Pertanto, qualora l'attivit di impresa
nell'immobile locato sia esercitata da un soggetto diverso dal conduttore (nella specie, da una societ di capitali
costituita dal conduttore stesso, non succedutagli per nella conduzione dell'immobile), il diritto all'indennit di
avviamento non spetta n al primo di tali soggetti, perch privo della qualit di conduttore nel rapporto di
locazione cessato, n al secondo, perch non esercente nell'immobile l'attivit eventualmente tutelata attraverso
l'indennit in questione.
* Pret. civ. Milano, 11 novembre 1987, n. 3371, Pastori c. Vima Spa.
s) Procedimento cautelare
Poich la legge 392/1978 consente al giudice di emettere provvedimenti urgenti in corso di causa ma non
appresta alcun strumento diretto a consentire l'esecuzione di un'ordinanza di rilascio, pu adottarsi il rimedio
rituale previsto nell'art. 700 c.p.c. ai fini della determinazione dell'indennit dovuta al conduttore e quindi
dell'esecuzione del provvedimento di rilascio.
* Pret. civ. Roma, ord. 29 dicembre 1980, Pollini c. Pagnotta.
t) Recesso anticipato
Nel caso in cui il locatore abbia, ai sensi dell'art. 69 della legge sull'equo canone (ovvero ai sensi dell'art. 34 per
il regime non transitorio), comunicato al conduttore la propria intenzione di non procedere al rinnovo della
locazione alla scadenza, il rilascio anticipato da parte del conduttore non pu essere considerato come un
recesso anticipato dal contratto con conseguente perdita del diritto alla indennit per l'avviamento commerciale,
poich quest'ultima compete al conduttore per il solo fatto che il locatore abbia assunto l'iniziativa di non
proseguire la locazione, stante l'esigenza del conduttore di reperire comunque una sistemazione alternativa,
collegata a situazioni che non necessariamente coincidano con il termine finale del rapporto locativo.
* Cass. civ., sez. III, 6 marzo 1998, n. 2485, Di Benedetto ed altro c. Romeo.
u) Rinuncia
La rinunzia del conduttore all'indennit di avviamento commerciale non nulla ai sensi dell'art. 79 della L. 27
luglio 1978 n. 392 quando il vantaggio che il locatore ne ricava compensato dal danno che subisce per effetto
della contestuale pattuizione di una proroga della locazione in favore del conduttore alla quale quest'ultimo non
avrebbe diritto.
* Cass. civ., sez. III, 19 marzo 1991, n. 2945, Riglione c. Consoli.
La rinuncia da parte del conduttore all'indennit di avviamento contenuta in una transazione valida, non
rientrando nella previsione di cui all'art. 79 della legge n. 392/1978, n ad alcunch rileva che essa non sia stata
raggiunta avanti al giudice.
* Corte App. civ. Brescia, 8 gennaio 1986, Vailati c. Dasti.
v) Risarcimento del danno
Nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attivit commerciali, disciplinate dagli artt. 27 e 34 della L. 27 luglio
1978, n. 392 e, in regime transitorio, dagli artt. 69, 71 e 73 della stessa legge, scaduto il contratto, il conduttore
che rifiuta la restituzione dell'immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell'indennit per
l'avviamento a lui dovuta, obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto, ma solo di questo. * Cass. civ.,
Sezioni Unite, 15 novembre 2000, n. 1177, Pascucci c. Zanobbi ed altri, in Arch. loc. e cond. 2001, 70.
w) Sublocazione
Nell'ipotesi di sublocazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione, alla cessazione
della locazione e, quindi, della sublocazione, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale prevista dagli
artt. 34 e 69 della legge n. 392 del 1978, a differenza della prelazione regolata dall'art. 38 della legge medesima,
che spetta solo al subconduttore, compete nei confronti del locatore al conduttore e non al subconduttore. *
Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 1994, n. 692, Ranieri c. Immobiliare Otto Srl.
Nell'ipotesi di sublocazione di immobile urbano ad uso non abitativo, alla cessazione della locazione e, quindi,
della sublocazione, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale prevista dagli artt. 34 e 69 legge 27
luglio 1978 n. 392, compete al conduttore sublocatore nei confronti del locatore ed al subconduttore nei confronti
del sublocatore.
* Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1997, n. 9677, Vata ed altri c. Vivese.
Nell'ipotesi di sublocazione di immobile urbano adibito ad uso non abitativo, alla cessazione della locazione e
quindi della sublocazione l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale prevista dagli artt. 34 e 69 della
legge sull'equo canone, compete al conduttore-sublocatore nei confronti del locatore e al subconduttore nei
confronti del sublocatore medesimo.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6935, Tiberino Srl c. Tomal Srl.
Nell'ipotesi di cessazione del rapporto locatizio concernente immobile adibito ad uso diverso da quello di
abitazione, con riguardo alle finalit perseguite con la previsione dell'indennit di avviamento, che sono quella di
ristorare il conduttore del subito pregiudizio (anche se stabilito presuntivamente dal legislatore secondo l'id quod
plerumque accidit) e quella di porre un deterrente per evitare la cessazione dei rapporti locatizi concernenti le
imprese, l'indennit medesima compete esclusivamente a colui che gode l'immobile nel momento in cui cessa la
locazione. Conseguentemente il conduttore che abbia sublocato l'immobile ad un terzo, il quale vi svolga una
delle attivit indicate nei nn. 1 e 2 dell'art. 27 della legge n. 392 del 1978, non pu pretendere dal proprio
locatore, a titolo personale e diretto, l'indennit prevista dall'art. 34 della richiamata legge, che spetta
esclusivamente al subconduttore. * Cass. civ., sez. III, 14 aprile 1986, n. 2617, Salvatore c. Soc. Singer.
Qualora il subconduttore di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione richieda l'indennit
per la perdita dell'avviamento commerciale - alternativamente o cumulativamente - sia al locatore che al
sublocatore, si determina non una situazione di causa inscindibile con pluralit di parti in veste di litisconsorti
necessari, bens di litisconsorzio passivo facoltativo. Conseguentemente, qualora la domanda venga accolta nei
confronti di uno solo dei convenuti - restando l'altro assolto - si verifica una implicita separazione delle cause
originariamente connesse e, ove sia impugnata una sola delle statuizioni, il giudice dell'appello non tenuto a
disporre la integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 331 c.p.c. nei confronti della parte destinataria della
decisione non impugnata. * Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 1987, n. 26, Soc. Erko c. Soc. Rimafer.
x) Tentativo obbligatorio di conciliazione
In tema di locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, la domanda di
determinazione dell'indennit di avviamento non deve essere preceduta dal tentativo obbligatorio di
conciliazione, di cui agli artt. 43 e 44 della L. n. 392/1978, richiesto soltanto per le cause relative alla
determinazione, all'aggiornamento ed all'adeguamento del canone.
* Cass. civ., sez. III, 20 agosto 1990, n. 8488, De Luca c. Arseni.
y) Vendita dell'immobile
La vendita di un immobile -una volta esauritasi la locazione e pur continuando il conduttore ad occupare la res
-non comporta la sostituzione del compratore al venditore nell'obbligo derivante dal contratto di corrispondere
l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale ormai definitivamente maturata in favore del conduttore.
* Pret. civ. Pietrasanta, 31 ottobre 1989, Pio Istituto c. Snc La Costa Marmi.
Il valore di avviamento - inteso nella sua preminente significazione di clientela - pu essere oggetto di autonomi
(rispetto alla cessione di azienda) accordi e contrattazioni nei diretti rapporti tra successivi conduttori dello
stesso immobile commerciale.
* Trib. civ. Bologna, 29 marzo 1986, Srl Caniglia di Grali c. Srl Parisotto.
INNOVAZIONI IN CONDOMINIO
SOMMARIO: a) Consenso dei condomini; b) Costituzione di un diritto reale a favore di un solo condomino; c)
Costruzione effettuata da uno dei condomini sul fondo comune; d) Decoro architettonico; e) Destinate a servire
solo una parte dell'edificio; f) Differenze tra innovazioni e modificazioni; g) Gravose o voluttuarie; h) Miglior
godimento della cosa comune; i) Nozione; l) Vietate.
a) Consenso dei condomini
Il comproprietario convenuto per l'eliminazione di un'innovazione alla cosa comune, non pu invocare il preteso
consenso dei comunisti per non avere essi reagito, fino a quel momento, alla sua iniziativa, poich tale
consenso deve emergere dalla volont della maggioranza dei partecipanti all'assemblea, positivamente
formatasi ed espressa.
* Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 1980, n. 1111, Salomone c. Colage.
In materia di innovazioni ex art. 1120 cod. civ., il consenso deve essere manifestato con atto scritto a pena di
nullit ed inammissibile al riguardo la prova testimoniale.* Trib. civ. Firenze, 20 ottobre 1988, n. 1609,
Kranjcevic Srl c. Condominio di via R. Giuliani, nn. 137-139, in Firenze.
La norma dell'art. 1120 cod. civ., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai
condomini con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione d'innovazioni che
comportino per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale. Ove non si faccia questione di spese,
torna applicabile la norma generale dell'art. 1102 cod. civ. - che contempla anche le innovazioni - secondo cui
ciascun partecipante pu servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli
altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ed, a tal fine, pu apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 7 marzo 1980, n. 368, Bonello e Moraschini c. Corvi e Corvi ed altri.
Le innovazioni di cui all'art. 1120, primo comma, c.c. (nella specie, consistenti nella collocazione di una porta
sulla scala condominiale e nel blocco con chiave della pulsantiera dell'ascensore), realizzate
dall'amministrazione del condominio in assenza di preventiva delibera assembleare, in quanto idonee a turbare il
pacifico godimento e l'utilizzazione del singolo condominio su alcune parti comuni dell'edificio, rendono
ammissibile l'azione di manutenzione a tutela del (comunione dei diritti reali) possesso (delle menzionate parti
comuni) proposta da quest'ultimo. Peraltro, l'adozione, nel corso del giudizio possessorio, di una delibera
condominiale che ratifichi, con la maggioranza qualificata prevista dall'art. 1136, quinto comma, c.c. le spese
relative alle eseguite innovazioni e sostanzialmente autorizzi le innovazioni medesime, legittima, sia pure
tardivamente, sotto il profilo dell'esercizio del possesso, la condotta posta in essere dall'amministratore suddetto,
facendo venir meno i connotati della molestia e turbativa in essa (condotta) originariamente ravvisibili, con
conseguente rigetto nel merito della domanda di manutenzione come sopra proposta.* Pret. civ. Busto Arsizio, 6
febbraio 1990.
b) Costituzione di un diritto reale a favore di un solo condomino
Una innovazione sulla cosa comune vietata a norma dell'art. 1120 cod. civ., in quanto comportante l'inservibilit,
per gli altri condomini, della cosa comune la costituzione sulla stessa di un diritto reale a favore di un solo
condomino, e per essere legittima deve essere consentita, a pena di nullit, con atto scritto, da tutti gli altri
condomini, pertanto, inammissibile la prova testimoniale diretta a provare l'esistenza di tale consenso.* Cass.
civ., sez. II, 4 luglio 1981, n. 4364, Vena c. Barbieri.
c) Costruzione effettuata da uno dei condomini sul fondo comune
La disciplina dell'accessione, riferendosi all'ipotesi della costruzione effettuata dal terzo, con materiali propri, sul
fondo altrui, non applicabile alla diversa ipotesi della costruzione effettuata da uno dei condomini sul fondo
comune perch i comunisti non possono essere considerati terzi fra di loro. Pertanto tale ultima ipotesi trova la
sua esclusiva disciplina nella norma dell'art. 1120 c.c., relativa alle innovazioni apportate dai condomini sulle
cose comuni.* Cass. civ., sez. II, 5 agosto 1977, n. 3565.
d) Decoro architettonico
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 cod. civ. deve intendersi
l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed
imprimono alle varie parti dell'edificio, nonch all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata armonica
fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico. L'indagine volta a stabilire se,
in concreto, un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico demandata al giudice del
merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimit, se congruamente motivato.* Cass. civ., sez. II, 7
marzo 1988, n. 2313, Petrucci c. Cond. Via A. Mis.
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica
data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed imprimono alle
varie parti dell'edificio, nonch all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia
senza che occorra che si tratti di un edificio di particolare pregio artistico.* Cass. civ., sez. II, 7 dicembre 1994, n.
10507, Tosches c. Cond. Corso Mazzini.
Al fine di stabilire se le opere modificatrici della cosa comune abbiano pregiudicato il decoro architettonico di un
fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui quest'ultimo si trovava prima
dell'esecuzione delle opere stesse, con la conseguenza che una modifica non pu essere ritenuta
pregiudizievole per il decoro architettonico se apportata ad un edificio la cui estetica era stata gi menomata a
seguito di precedenti lavori ovvero che sia di mediocre livello architettonico.
* Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1989, n. 3549, Gentina c. Romerio.
La disposizione dell'art. 1120 cod. civ., nella parte in cui vieta le innovazioni che possono recare pregiudizio al
decoro architettonico del fabbricato o che rendono talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso od al
godimento anche di un solo condomino, si limita a tutelare l'edificio in s ed il modo di usare e di godere della
cosa comune; consegue che ove l'opera compiuta da un condomino o dal condominio sulla cosa comune rechi
danno o pregiudizio alla propriet esclusiva di un singolo condomino, trattandosi di rapporto relativi a due
immobili finitimi, trovano applicazione la disciplina dei rapporti di vicinato.
* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1989, n. 2548, Napolitano c. Co. V. S. Gior. To.
Il divieto di innovazioni che alterino il decoro estetico ed architettonico di un edificio riguarda, ai sensi dell'art.
1120 cod. civ., i rapporti tra condomini e presuppone quindi l'esistenza di un edificio in condominio, con la
conseguenza che le innovazioni apportate da taluno ad un edificio di sua propriet non attribuiscono al vicino,
proprietario di un adiacente edificio, il diritto al risarcimento del danno per assunto pregiudizio estetico all'intero
complesso immobiliare unitariamente considerato.
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1954, Bramini c. Gaidella.
Poich le norme del regolamento di condominio di natura negoziale possono derogare o comunque integrare la
disciplina legale, deve ritenersi che qualora una norma del regolamento di condominio vieti le innovazioni che
modifichino l'architettura, l'estetica o la simmetria del fabbricato, essa non solo contribuisce a definire la nozione
di decoro architettonico formulata dall'art. 1120 cod. civ., ma recepisce anche un autonomo valore (dandone una
definizione pi rigorosa), nel senso che il decoro architettonico del fabbricato condominiale in questione
qualificato da elementi attinenti alla simmetria, estetica ed architettura generale impressi dal costruttore o
comunque esistenti al momento dell'esecuzione della innovazione, sicch l'alterazione di esso (decoro)
ravvisabile, con conseguente operativit del divieto di cui all'art. 1120 cod. civ., alla menomazione anche di un
solo dei predetti elementi. (Nella specie la Suprema Corte ha corretto la motivazione della decisione impugnata
nel senso che la norma del regolamento condominiale, nel definire la nozione di decoro architettonico, recepiva
un autonomo valore, confermando la decisione stessa poich i giudici del merito avevano accertato, con esatti
criteri che nel caso concreto la trasformazione di una finestra sul cortile in porta-finestra non aveva pregiudicato
alcuno degli elementi di simmetria, architettura ed estetica considerati dall'art. 11 del regolamento
condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1987, n. 8861, Di Lello c. Cucciani.
L'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 c.c., postula un
mutamento estetico implicante un pregiudizio economicamente valutabile; tuttavia quando la modifica non sia
del tutto trascurabile e non abbia arrecato anche un vantaggio, deve sempre ritenersi insito nel pregiudizio
estetico quello economico, senza necessit di una espressa motivazione sotto tale profilo tutte le volte in cui non
sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica ha anche arrecato un vantaggio economicamente
valutabile.
* Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1997, n. 9717, Valentini c. Cond. Via Citt del Castello n. 27 Roma.
L'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 c.c., postula un
mutamento estetico implicante un pregiudizio economicamente valutabile; tuttavia quando la modifica non sia
del tutto trascurabile e non abbia arrecato anche un vantaggio, deve sempre ritenersi insito nel pregiudizio
estetico quello economico, senza necessit di una espressa motivazione sotto tale profilo tutte le volte in cui non
sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica ha anche arrecato un vantaggio economicamente
valutabile.
* Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1997, n. 9717, Valentini c. Cond. Via Citt del Castello n. 27 Roma.
Il decoro architettonico, che, espressamente richiamato dall'art. 1120 cod. civ., va valutato con riferimento alla
linea estetica dell'edificio indipendentemente dal suo particolare pregio artistico, un bene al quale sono
direttamente interessati tutti i condomini ed suscettibile anche di valutazione economica, in quanto concorre a
determinare il valore sia della propriet individuale, sia di quella collettiva delle parti comuni.* Cass. civ., sez. II,
31 luglio 1987, n. 6640, Bardi c. Bond. Fr. Pretol.
La tutela del decoro architettonico stata apprestata dal legislatore in considerazione della diminuzione del
valore che la sua alterazione arreca all'intero edificio e, quindi, anche alle singole unit immobiliari che lo
compongono. Pertanto, il giudice del merito, per stabilire se in concreto vi sia stata lesione di tale decoro, oltre
ad accertare se esso risulti leso o turbato, deve anche valutare se tale lesione o turbativa determini o meno un
deprezzamento dell'intero fabbricato, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio
economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un'utilit la quale compensi l'alterazione
architettonica che non sia di grave e appariscente entit.
* Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1987, n. 4474, De Rienzo c. Cond. Is. Cep. FO.
Ciascun partecipante al condominio di edifici pu agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della
propriet comune, ma se la controparte eccepisce di aver apportato modifiche o innovazioni sulla propriet
esclusiva, necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini perch oggetto di controversia
l'accertamento della natura condominiale o meno, in base ai rispettivi titoli di acquisto, delle parti di edificio
alterate.* Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1998, n. 3238, Di Agostino e altra c. Scarozza.
L'azione del condomino a tutela del decoro architettonico dell'edificio in condominio, estrinsecazione di facolt
insita nel diritto di propriet, imprescrittibile, in applicazione del principio per cui in facultatis non datur
praescriptio. L'imprescrittibilit, tuttavia, pu essere superata dalla prova della usucapione del diritto a
mantenere la situazione lesiva (Nella specie stata confermata la pronuncia di merito con la quale era stata
accolta la domanda riconvenzionale di un condomino di riduzione in pristino del sottostante terrazzo a livello
trasformato in veranda).* Cass. pen., sez. II, 7 giugno 2000, n. 7727, Marotti Bartoli c. Cao di San Marco Efisio.
Il regolamento di condominio, quale che ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche
quando non abbia natura contrattuale, a mente dell'art. 1138, comma primo, c.c., pu ben contenere norme
intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale che, a tale fine, siano suscettibili di incidere
anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti, nei limiti in cui ci si riveli necessario
in funzione della salvaguardia del bene comune protetto. Pi in particolare, pu ad esempio vietare quegli
interventi modificatori delle porzioni di propriet individuale che, riflettendosi su strutture comuni, siano passibili
di comportare pregiudizio per il decoro anzidetto. (Nella fattispecie controvertevasi in ordine ad un tipo di
serramenti installati, da un condomino, in sostituzione di quelli originari, alle finestre della sua unit immobiliare
aperte sulla facciata del fabbricato condominiale).* Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1998, n. 8731, Fossa c.
Condominio Via Madonna 4 Rho.
Il proprietario di un immobile non pu invocare la norma stabilita dall'art. 1120 c.c. per pretendere che il
proprietario di quello antistante ne curi l'estetica intonacandolo adeguatamente all'esterno, perch tale norma
disciplina i rapporti condominiali sui beni comuni, non esclusivamente altrui, mentre gli interessi al rispetto
dell'ornato pubblico e dell'aspetto dei fabbricati possono trovare tutela nei regolamenti edilizi comunali (artt. 871
c.c. e 33 L. 17 agosto 1942 n. 1150) - la cui esistenza e contenuto va provata da chi l'invoca - che, se violati,
non obbligano ad un facere, ma al risarcimento del danno (art. 872 c.c.).
* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1998, n. 1873, Abbondanza ed altri c. Caldarini, in Arch. loc. e cond. 1998, 558.
Un regolamento di condominio cosiddetto contrattuale ove abbia ad oggetto la conservazione dell'originaria
facies architettonica dell'edificio condominiale, comprimendo il diritto di propriet dei singoli condomini mediante
il divieto di qualsiasi opera modificatrice, persino migliorativa, appresta in tal modo una tutela pattizia ben pi
intensa e rigorosa di quella apprestata al mero decoro architettonico dagli artt. 1120, secondo comma, 1127,
terzo comma, e 1138, primo comma, cod. civ., con la conseguenza che in presenza di opere esterne la loro
realizzazione integra di per s una vietata modificazione dell'originario assetto architettonico dell'edificio.* Cass.
civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7398, Cond. Per. Tig. c. Leale Rita.
L'alterazione del decoro dell'edificio condominiale (che in s non bene comune ma al regime legale dei beni
comuni assoggettato) ben pu derivare dall'alterazione dell'originario aspetto di singoli elementi o di singole
parti dell'edificio stesso che abbiano sostanziale o formale autonomia o siano comunque suscettibili per s di
autonoma considerazione, senza che possa rilevare la circostanza che analogo manufatto sia stato da altri
realizzato su di un diverso fronte dello stesso edificio.
* Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1986, n. 175, Vilella c. Centauni.
Alle modificazioni consentite al singolo ex art. 1102, primo comma, c.c. le quali tecnicamente si contrassegnano
perch non alterano la destinazione delle cose comuni, si applica altres il divieto di alterare il decoro
architettonico del fabbricato, statuito espressamente dall'art. 1120, secondo comma, c.c., in tema di innovazioni.
* Cass. civ. 29 marzo 1994, n. 3084.
Nel caso di esecuzione nei locali di propriet individuale di opere e lavori lesivi del decoro dell'edificio
condominiale o di parte di esso, ciascun condomino ha diritto di chiedere ed ottenere, in via di adempimento in
forma specifica dell'obbligo di non fare (art. 2923 cod. civ.), la demolizione delle opere illegittimamente eseguite,
esulando dai poteri istituzionali dell'assemblea dei condomini - non potendo attribuirla il regolamento
condominiale - la facolt di deliberare o consentire opere lesive del decoro dell'edificio condominiale (a norma
dell`art. 1138