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Rassegna giurisprudenziale in tema di Condominio riservata agli iscritti al

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La legge n. 633 del 22/04/1941 art. 5 esclude l'applicazione del diritto d'autore ai testi degli atti ufficiali
dello Stato e delle amministrazioni pubbliche italiane e straniere
Cass. Civ. 7/01/92 n. 49 - Immissioni - Regolamento - Uso propriet .esclusiva
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove sia accettato
dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti, non solo per le clausole che disciplinano l'uso o il godimento
dei servizi o delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facolt dei singoli condomini
sulle loro propriet esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servit reciproca. Ne consegue che
qualora il regolamento di condominio faccia divieto di svolgere determinate attivit (nella specie: divieto di
adibire i locali del fabbricato condominiale ad esercizio di ristorante) non occorre accertare, al fine di ritenere
l'attivit stessa illegittima, se questa costituisca oppure no immissione vietata a norma dell'art. 844 c.c., con le
limitazioni ed i temperamenti in tale norma indicati, in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale
possono legittimamente imporre limitazioni al godimento della propriet esclusiva anche diverse o maggiori di
quelle stabilite dalla citata norma, e l'obbligo del condominio di adeguarsi alla norma regolamentare discende in
via immediata e diretta ex contractu per il generale principio espresso dall'art. 1372 c.c.). Il regolamento
convenzionale di condominio, anche se non materialmente inserito nel testo del contratto di compravendita dei
singoli appartamenti compresi nell'edificio condominiale, fa corpo con essi purch espressamente richiamato ed
approvato, di guisa che le sue clausole rientrano per relationem nel contenuto dei singoli contratti di acquisto; e
poich il richiamo per relationem del contenuto del regolamento opera di entrambi i contraenti, ne deriva che le
singole clausole restano fuori della previsione legislativa del secondo comma dell'art. 1341 c.c. che nel sancire
la necessit della specifica approvazione fa riferimento alle sole clausole cosiddette "vessatorie" che risultano
predisposte da una soltanto delle parti contraenti.
Cass.04/02/92 n.1195 - Immissioni
I limiti di destinazione e di uso imposti da un regolamento di condominio ad una unit immobiliare di propriet
esclusiva sono opponibili, pur in difetto della trascrizione del relativo atto, al terzo acquirente, nel caso in cui lo
stesso nel contratto di compravendita abbia espressamente dichiarato di conoscere il regolamento di
condominio e di accettarlo in ogni sua parte (nella specie il regolamento condominiale conteneva una clausola
che vietava l'adibizione degli appartamenti ad attivit rumorose, insalubri, ed emananti esalazioni nocive o
sgradevoli). Qualora i condomini, con il regolamento di condominio, abbiano disciplinato i loro rapporti reciproci
in materia di immissioni con norma pi rigorosa di quella dettata dall'art. 844 c.c., che ha carattere dispositivo,
della liceit o meno della concreta immissione si deve giudicare non alla stregua del principio generale posto
dalla legge, bens del criterio di valutazione fissato nel regolamento (nella specie trattavasi dell'installazione di
una tipografia nonostante che il regolamento facesse divieto di svolgere attivit rumorose od emananti
esalazioni nocive).
Cass. 07/03/92 - n. 2774 - Canna fumaria
Il condomino che inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione,
con opere murarie, al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazione
particolare della cosa che non ne compromette necessariamente la destinazione e che deve essere, pertanto,
considerato del tutto legittimo se, trattandosi della occupazione di una zona periferica di una parte del tutto
trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, possa, in concreto, escludersi, che la predetta
utilizzazione, menomi la funzione di copertura e calpestio del lastrico o le possibilit di uso degli altri
comproprietari.
Cass. 10/04/92 n. 4405 - Tabelle Millesimali
La domanda di uno dei condomini per l'accertamento della invalidit ed inefficacia della tabella millesimale
deliberata dall'assemblea dei condomini senza voto unanime, deve essere necessariamente proposta nei
confronti di tutti i condomini, e non anche del solo amministratore del condominio, la cui rappresentanza
processuale passiva dei condomini limitata, a norma dell'art. 1131 c.c. alle parti comuni dell'edificio, ma che
passivamente legittimato ad causam per la tutela degli interessi comuni, sui quali la domanda di accertamento
della invalidit delle tabelle millesimali destinata a riflettersi.
Cass. 19/05/92 n. 5977 - Regolamento
La disposizione di un regolamento condominiale che prevede una indennit di mora in caso di ritardato
pagamento dei contributi da parte dei condomini non ha natura di clausola penale e di conseguenza non pu
essere soggetta a riduzione in sede giudiziale, non competendo al giudice un potere di riduzione che finirebbe
per modificare la norma regolamentare secondo le diverse e concrete applicazioni con la conseguente perdita,
nei confronti dei condomini, della sua funzione.
Cass. 27/06/92 n. 8074 - Assemblea
La mancata comunicazione, agli aventi diritto, dell'avviso di convocazione dell'assemblea dei condomini
prescritto dall'art. 1136, comma sesto, c.c., comporta la nullit assoluta ed insanabile della deliberazione,
opponibile anche dai condomini che hanno ricevuto la comunicazione e partecipato all'assemblea.
Cass. 24/08/92 - n. 9828 - Spese

Poich l'amministratore di condominio nell'attivit di riscossione dei contributi dovuti da ciascun condomino per
l'utilizzazione delle cose comuni agisce in rappresentanza degli altri condomini, le controversie che insorgono in
ordine a tale riscossione costituiscono una lite tra condomini soggetta quanto alla competenza territoriale ai
criteri dell'art. 23 c.p.c. e quindi devoluta alla cognizione del giudice del luogo in cui si trova l'immobile
condominiale
Cass. 29/08/92 n. 9999 - Cancelli
In tema di condominio di edifici la delibera assembleare, con la quale sia stata disposta la chiusura di un'area di
accesso al fabbricato condominiale con un cancello o con una sbarra comandati elettricamente e con consegna
del congegno di apertura e di chiusura ai proprietari delle singole unit immobiliari, rientra nei poteri
dell'assemblea dei condomini, attinendo all'uso della cosa comune ed alla sua regolamentazione, senza
sopprimere o limitare le facolt di godimento dei condomini, e non incorre, pertanto, nel divieto stabilito dall'art.
1120, comma secondo, c.c. per le innovazioni pregiudizievoli delle facolt di godimento dei condomini, non
incidendo sull'essenza del bene comune, n alterandone la funzione o la destinazione. In tema di condominio di
edifici la delibera assembleare, con la quale sia stata disposta la chiusura di un'area di accesso al fabbricato
condominiale con un cancello o con una sbarra comandati elettricamente e con consegna del congegno di
apertura e di chiusura ai proprietari delle singole unit immobiliari, rientra nei poteri dell'assemblea dei
condomini, attinendo all'uso della cosa comune ed alla sua regolamentazione, senza sopprimere o limitare le
facolt di godimento dei condomini, e non incorre, pertanto, nel divieto stabilito dall'art. 1120, comma secondo,
c.c. per le innovazioni pregiudizievoli delle facolt di godimento dei condomini, non incidendo sull'essenza del
bene comune, n alterandone la funzione o la destinazione
Cass. 02/10/92 - n.- 10838 - Amministratore - responsabilt
In tema di condominio di edifici l'approvazione assembleare dell'operato dell'amministratore e la mancata
impugnativa delle relative delibere preclude l'azione di responsabilit al singolo condomino leso dall'attivit e
dalle iniziative arbitrarie dello stesso soltanto per le attivit di gestione dei beni e dei servizi condominiali, per le
quali il potere di approvazione compete esclusivamente all'assemblea a norma dell'art. 1135 n. 3 c.c. La delibera
assembleare di approvazione non esclude invece l'anzidetta responsabilit nel caso di mancata tempestiva
informazione da parte dell'amministratore di atti che hanno incidenza diretta sul patrimonio del singolo
condomino, come nel caso di mancato riferimento di perizie relative a controversie con altri soggetti.
Cass. 21/10/92 - n. 11509 - Facciata
La domanda proposta da un condomino nei confronti di altro condomino per ottenere la riduzione in pristino
della facciata dell'edificio condominiale, ove comporti l'accertamento del diritto del condomino convenuto di
modificare sostanzialmente la facciata dell'edificio in forza del proprio titolo d'acquisto, essendo destinata ad
incidere sui diritti su un bene comune degli altri condomini, deve essere decisa nei confronti di tutti, perch
investe un rapporto giuridico unico ed indivisibile, con la conseguenza che deve disporsi l'integrazione del
contraddittorio nei confronti dei condomini pretermessi a norma dell'art. 102 cod. proc. civ.
Cass. 29/1092 - 11774 - Lastrico solare
Il lastrico solare, anche se attribuito in uso esclusivo o di propriet esclusiva di uno dei condomini, svolge
funzione di copertura del fabbricato e perci l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione, sempre
che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino, grava su tutti i condomini, con ripartizione delle
relative spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c.; di conseguenza il condominio risponde, quale custode ex
art. 2051 c.c., dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico
solare, non rilevando a tal fine che i necessari interventi riparatori o ricostruttivi non consistano in un mero
ripristino delle strutture preesistenti, ma esigano una specifica modifica od integrazione in conseguenza di vizi o
carenze costruttive originarie, salva in questo caso l'azione di rivalsa nei confronti del costruttore-venditore (nella
specie per impedire infiltrazioni d'acqua ai piani sottostanti, era necessaria la messa in opera di materiale
isolante, idoneo a sopperire all'inadeguata coibentazione delle strutture originarie).
Cass. 05/11/92 - n. 11981 - Spese
L'obbligazione in base alla quale ciascuno dei condomini tenuto a contribuire alle spese per la conservazione
e manutenzione delle parti comuni dell'edificio, qualora la ripartizione delle spese sia avvenuta soltanto con
l'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1135, n. 3, c.c., sorge soltanto dal
momento della approvazione della delibera assembleare di ripartizione delle spese. Ne consegue che la
prescrizione del credito nei confronti di ciascun condomino inizia a decorrere soltanto dalla approvazione della
ripartizione delle spese e non dall'esercizio di bilancio.
Cass. 11/11/92 - n. 12115 - Tabelle Millesimali
In tema di ripartizione di spese condominiali la tabella millesimale approvata da tutti i condomini modificabile
soltanto con deliberazione adottata con il consenso di tutti i condomini, oppure con provvedimento del giudice
nei soli casi tassativamente indicati dall'art. 69 att. c.c. Ne consegue che il potere dell'assemblea condominiale
di deliberare a maggioranza una ripartizione provvisoria dei contributi a titolo di acconto e salvo conguaglio pu
riconoscersi soltanto in assenza di una precedente regolamentazione negoziale.
Cass. 11/11/92 - n. 12125 - Amministratore - condono edilizio
L'amministratore del condominio, in quanto tenuto ad eseguire le deliberazioni dell'assemblea, ha la
legittimazione ad agire nei confronti dei condomini inadempienti alle obbligazioni di pagamento dei contributi in
base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, senza necessit di una specifica autorizzazione,
trattandosi di controversia che rientra nelle sue normali attribuzioni. La deliberazione dell'assemblea dei
condomini, la quale, ai fini della sanatoria degli abusivismi edilizi di cui alla l. 28 febbraio 1985, n. 47, determini
la ripartizione fra i condomini delle somme da corrispondere a titolo di oblazione in base alle superfici dei singoli
appartamenti anzich in base ai millesimi di propriet, non affetta da nullit, n per contrasto con norme
imperative, n sotto il profilo della lesione dei diritti individuali dei condomini, in considerazione della

rispondenza di detto criterio a quelli previsti dagli artt. 34 e 51 della citata legge.
Cass. 11/11/92 - n. 12119 - Assemblea
Affinch uno dei comproprietari pro indiviso di un piano o porzione di piano possa ritenersi ritualmente
convocato a partecipare all'assemblea del condominio, nonch validamente rappresentato nella medesima, con
riguardo ad affari di ordinaria amministrazione, dall'altro comproprietario della stessa unit immobiliare, non si
richiedono particolari formalit, essendo sufficiente che risulti provato, anche per presunzioni, che il primo dei
predetti comproprietari abbia ricevuto effettiva notizia della convocazione dell'assemblea ed abbia conferito, sia
pure verbalmente, il potere di rappresentanza. Il verbale dell'assemblea del condominio, anche nella parte in cui
indica la presenza, di persona o per delega, dei condomini, offre una prova presuntiva, di modo che spetta al
condomino che impugni la deliberazione, contestando la rispondenza a verit di detta indicazione, di fornire la
relativa dimostrazione.
Cass. 19/11/92 - n. 12379 - Assemblea - rappresentanza
Qualora il condomino agisca per far valere l'invalidit di una delibera assembleare, incombe sul condominio
convenuto l'onere di provare che tutti i condomini sono stati tempestivamente avvisati della convocazione, quale
presupposto per la regolare costituzione dell'assemblea, mentre resta a carico dell'istante la dimostrazione degli
eventuali vizi inerenti alla formazione della volont dell'assemblea medesima. All'amministratore del condominio
compete l'esclusiva legittimazione passiva nelle cause promosse da uno dei condomini per impugnare le
deliberazioni assembleari, ove queste non attengono a diritti sulle cose comuni. In tali cause, pertanto, deve
riconoscersi la capacit a deporre degli altri condomini, in quanto non portatori di un interesse che li abiliti a
partecipare al giudizio.
Cass. 28/11/92 - n. 12792 - Balconi
Il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte o della parte sottostante della soletta dei balconi degli
appartamenti di un edificio debbono essere considerati di propriet comune dei condomini, in quanto destinati
all'uso comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di
rendere esteticamente gradevole l'edificio, mentre sono pertinenze dell'appartamento di propriet esclusiva
quando servono solo per il decoro di quest'ultimo; conseguentemente, nel caso di distacco, per vizio di
costruzione, del rivestimento o degli elementi decorativi predetti, l'azione di responsabilit nei confronti del
costruttore legittimamente esperita dal condominio, ai sensi dell'art. 1669 c.c., se il rivestimento o gli elementi
decorativi abbiano prevalente funzione estetica per l'intero edificio.
Cass. 11/11/92 - n. 13111- Assemblea - spese legali
nulla per contrariet alla legge la deliberazione dell'assemblea di un condominio che abbia approvato il
rendiconto annuale includendovi le spese legali sostenute in proprio dagli amministratori in una procedura
promossa nei loro confronti, attesa la non inerenza delle spese anzidette alla gestione condominiale. Tale
delibera pu essere impugnata in parte qua dai condomini dissenzienti, ancorch le loro quote di spesa siano
state successivamente assunte a loro carico dagli amministratori, scaturendo l'interesse all'impugnazione,
nonostante la rinuncia al rimborso, dal carattere vincolante per tutti i condomini della deliberazione, che
conserva immutata la propria efficacia esecutiva.
Cass. 11/01/93 n. 172 - Uso della cosa comune
La cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., pu essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e
diverso dal suo normale uso se ci non alteri l'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli
altri e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari; pertanto,
legittima la costruzione di sporti sul cortile, (sulla strada o sul passaggio comune) se sia realizzata in modo da
non pregiudicare n la normale funzione del cortile, che di regola, quella di fornire aria e luce agli immobili
circostanti (e, per la strada, quella di permettere il transito dei condomini) n le possibilit di utilizzazione
particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini. (Nella specie, trattavasi del telaio e dei battenti degli
infissi, in posizione di completa apertura o di completa chiusura, realizzati, al pianterreno, nel muro prospiciente
il passaggio comune senza ridurne la larghezza utilizzabile, dato che nel tratto precedente il passaggio era
ristretto da un'antica sporgenza). Il condomino non ha il dovere di limitare l'uso della cosa comune ai soli casi in
cui il suo interesse non possa essere altrimenti soddisfatto con il medesimo costo, perch il solo limite che l'art.
1102 c.c. pone al potere di utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun condomino quello del divieto di
alterarne la destinazione e di impedire che altri ne faccia parimenti uso secondo il suo diritto.
Cass. 14/01/93 - n. 395 - Acquirente - regolamento - sopraelevazione
Il regolamento convenzionale di condominio - anche se non materialmente inserito nel testo del contratto di
compravendita dei singoli appartamenti dell'edificio condominiale - fa corpo con esso, purch espressamente
richiamato ed approvato, di modo che le sue clausole rientrano, almeno per relationem, nel contenuto dei singoli
contratti di acquisto. E trattandosi, in questo caso, di relatio perfecta, in quanto il richiamo opera di entrambi i
contraenti, le singole clausole del regolamento di condominio restano fuori dalla previsione del secondo comma
dell'art. 1341 c.c., che, nel sancire la necessit della specifica approvazione per iscritto di condizioni vessatorie,
ha riguardo alle sole clausole, di contratti per adesione o analoghi, che risultino predisposte da una soltanto
delle parti contraenti. Il regolamento di condominio, qualora abbia natura contrattuale (in quanto accettato da
tutti i condomini), pu imporre restrizioni anche ai poteri ed alle facolt spettanti ai condomini sulle parti
dell'edificio di loro esclusiva propriet. Tali limitazioni vincolano anche gli acquirenti dei singoli appartamenti,
indipendentemente dalla trascrizione, qualora essi nell'atto di acquisto, facendo espresso riferimento al
regolamento, dimostrino di esserne a conoscenza e di accettarne il contenuto. (Nella specie la Suprema Corte
ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto che la clausola del regolamento,
richiamato negli atti di acquisto, che faceva divieto di effettuare qualunque modifica o variazione esterna
all'edificio, costituiva titolo per l'esclusione del diritto di sopraelevazione riconosciuto al proprietario dell'ultimo
piano dall'art. 1127 c.c.).

Cass. 27/01/93 n. 966 - Aggetti - cortile


Negli edifici in condominio poich la funzione dei cortili comuni quella di fornire aria e luce alle unit abitative
che vi prospettano, lo spazio aereo ad essi sovrastante non pu essere occupato dai singoli condomini con
costruzioni proprie in aggetto, non essendo consentito a terzi, anche se comproprietari insieme ad altri, ai sensi
dell'art. 840, terzo comma, c.c., l'utilizzazione ancorch parziale a proprio vantaggio della colonna d'aria
sovrastante ad area comune, quando la destinazione naturale di questa ne risulti compromessa. Ne discende il
diritto degli altri condomini di opporsi, ai sensi dell'art. 840, terzo comma, citato, a siffatta utilizzazione esclusiva
dello spazio aereo, senza necessit di chiamare in causa altri condomini al di fuori di quelli cui s'addebita la
responsabilit della violazione che s'intende eliminare, non ricorrendo una ipotesi di litisconsorzio necessario.
Cass. 01/02/93 n. 1218 - Regolamento
I regolamenti condominiali, non approvati dall'assemblea, ma adottati coattivamente, in virt di sentenza
attuativa del diritto potestativo di ciascun partecipe del condominio (con pi di dieci componenti) di ottenere la
formazione del regolamento della comunione, hanno efficacia vincolante per tutti i condomini, ai sensi dell'art.
2909 c.c., a seguito del passaggio in giudicato di detta sentenza.
Cass. 12/02/93 n. 1781 - Ascensore - innovazioni
L'art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con
determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una
spesa da ripartire fra tutti i condomini su base millesimale, mentre qualora non debba farsi luogo ad un riparto di
spesa, per essere stata questa assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la
norma generale di cui all'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, e secondo cui ciascun partecipante
pu servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto e pu apportare a tal fine a proprie spese le modificazioni necessarie
per il miglior godimento della cosa medesima. Ricorrendo le suddette condizioni, pertanto, un condomino ha
facolt di installare nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione
degli altri condomini, e pu far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri
condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera
assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo.
Cass. 12/02/93 n. 1789 - Decreto ingiuntivo - spese
Per la riscossione dei contributi condominiali, l'amministratore pu chiedere il decreto ingiuntivo immediatamente
esecutivo, ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., nei confronti del condomino moroso, in base al preventivo delle
spese approvato dall'assemblea, soltanto fino a che l'esercizio cui tali spese si riferiscono non sia terminato,
dovendo altrimenti agire in base al consuntivo della gestione annuale.
Cass. 12/02/93 n. 1791 - Amministratore
Per la nomina dell'amministratore del condominio di un edificio applicabile l'art. 1392 c.c., in base al quale,
salvo che siano prescritte forme particolari e solenni per il contratto che il rappresentante deve concludere, la
procura che conferisce il potere di rappresentanza pu essere verbale o anche tacita. Detta nomina, pertanto,
pu risultare, indipendentemente da una formale investitura da parte dell'assemblea e dall'annotazione nello
speciale registro di cui all'art. 1129 c.c., dal comportamento concludente dei condomini, che abbiano considerato
l'amministratore tale a tutti gli effetti, rivolgendosi a lui abitualmente in tale veste.
Cass. 19/02/93 n. 2018 - Pulizia scale
In tema di condominio di edifici, la disposizione dell'art. 1124 c.c. concernente la ripartizione fra i condomini delle
spese di manutenzione delle scale, come la norma di regolamento condominiale che vi si conformi, riguarda le
spese relative alla conservazione della cosa comune che si rendono necessarie a causa della naturale
deteriorabilit della stessa per consentirne l'uso ed il godimento e che attengono a lavori periodici indispensabili
per mantenere la cosa in efficienza. La disposizione non riguarda, pertanto, le spese di pulizia delle scale, alle
quali i condomini sono tenuti a contribuire in ragione dell'utilit che la cosa comune destinata a dare a
ciascuno e che l'assemblea pu legittimamente ripartire in virt delle attribuzioni riconosciutele dall'art. 1135 c.c.,
anche modificando i precedenti criteri con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 c.c. trattandosi di criteri aventi
natura solo regolamentare.
Cass. 15/03/93 n. 3090 - Immissioni
La disposizione dell'art. 844 c.c., applicabile anche negli edifici in condominio nell'ipotesi in cui un condomino
nel godimento della propria unit immobiliare o delle parti comuni dia luogo ad immissioni moleste o dannose
nella propriet di altri condomini. Nell'applicazione della norma deve aversi riguardo, peraltro, per desumerne il
criterio di valutazione della normale tollerabilit delle immissioni, alla peculiarit dei rapporti condominiali e alla
destinazione assegnata all'edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. In particolare,
nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unit immobiliari siano soggette a
destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione ed ad esercizio commerciale, il criterio dell'utilit sociale, cui
informato l'art. 844 citato, impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed
economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali ,le esigenze personali di vita
connesse all'abitazione, rispetto alle utilit meramente economiche inerenti all'esercizio di attivit commerciali.
(Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva ordinato la rimozione dal
muro perimetrale comune di una canna fumaria collocata nella parte terminale a breve distanza dalle finestre di
alcuni condomini, destinata a smaltire le esalazioni di fumo, calore e gli odori prodotti dal forno di un esercizio
commerciale ubicato nel fabbricato condominiale).
Cass. 16/03/93 n. 3102 - Scioglimento
L'art. 62 att. c.c., che, nel caso di sostituzione di pi condomini separati ad un unico preesistente condominio,
assoggetta alla disciplina del condominio negli edifici, piuttosto che alle norme sulla comunione, quelle, tra le

cose indicate dall'art. 1117 c.c., rimaste in comunione, al servizio di tutti, deve ritenersi applicabile anche nei
casi in cui in seguito allo scioglimento della comunione i singoli immobili siano rimasti in propriet solitaria.
Pertanto, nel caso di divisione di un edificio soggetto al regime del condominio in porzioni aventi le
caratteristiche di edifici autonomi, sulle parti rimaste in compropriet degli originari partecipanti nonostante lo
scioglimento del condominio, in difetto di espresso mutamento del titolo continua ad applicarsi la disciplina del
condominio di edifici con la conseguenza che, il tratto di accesso, racchiuso dalle costruzioni in propriet
esclusiva e destinato a dare ad esse il passaggio, in quanto compreso nella compropriet ex art. 1117 c.c.,
viene usato jure proprietatis e non jure servitutis dai comproprietari, che possono procedere all'apertura di nuove
porte attraverso il muro delimitante i fabbricati insistenti sull'accesso medesimo, quale legittima utilizzazione
della cosa comune a norma dell'art. 1102 cod. civ.
Cass. 17/03/93 n. 3159 - Amministratore - assemblea
Nel corso del giudizio, di cui sia parte costituita un condominio legalmente rappresentato dall'amministratore, la
cessazione del rapporto di rappresentanza per dimissioni comporta l'interruzione del processo, a norma dell'art.
300 c.p.c., soltanto se e quando l'evento sia stato dichiarato in udienza, ovvero sia notificato alle altre parti dal
procuratore costituito; altrimenti, il rapporto processuale prosegue senza soluzione di continuit e senza dar
luogo a successione nel processo quando si costituisca in giudizio il nuovo amministratore, ed perci valida
l'impugnazione proposta dall'amministratore dimissionario il cui potere perdura fino alla sua sostituzione. La
disposizione dell'art. 2377 ultimo comma c.c. secondo cui l'annullamento della deliberazione non pu essere
pronunciato se la deliberazione impugnata sia stata sostituita da altra presa in conformit della legge e dell'atto
costitutivo, bench dettata con riferimento alle societ per azioni, ha carattere generale ed pertanto applicabile
alle assemblee dei condomini di edifici. Pertanto, l'assemblea dei condomini, regolarmente riconvocata, pu
deliberare sugli stessi argomenti di una precedente deliberazione invalida, ponendo in essere, pur senza
l'adozione di formule ad hoc, un atto sostitutivo di quello invalido, stabilendone liberamente gli effetti nel tempo
fino alla completa retroattivit. Nei poteri attribuiti all'amministratore di condominio dall'art. 1130 c.c. rientra
quello di stipulare contratti necessari per provvedere, nei limiti della spesa approvata dall'assemblea, tanto
all'ordinaria manutenzione, quanto alla prestazione dei servizi comuni. Detti contratti sono, pertanto, vincolanti
per tutti i condomini ai sensi dell'art. 1131 cod. civ.
Cass. 26/03/93 - n. 3642 - Danni - solai
Negli edifici in condominio, a differenza del solaio divisorio tra due piani dell'edificio, in propriet comune ai due
rispettivi proprietari, il solaio del piano terreno sottostante al relativo pavimento, costruito a livello della superficie
di campagna, in quanto parte integrante del solo piano terreno, appartiene in propriet esclusiva al proprietario
del piano, alla stessa stregua del pavimento. Ne consegue che in caso di vizio costruttivo del solaio, rivelatosi
inidoneo a svolgere autonomamente la funzione di sostenere l'unit immobiliare, la responsabilit per i danni
che ne siano derivati alle singole propriet individuali deve ascriversi al proprietario del piano con esclusione di
ogni responsabilit del condominio.
Cass. 30/03/93 n. 3865 - Servit
Per il disposto dell'art. 1108 comma terzo c.c., applicabile anche al condominio di edifici per il rinvio contenuto
nell'art. 1139 alle norme sulla comunione, la costituzione di una servit sulle parti comuni dell'edificio richiede il
consenso unanime di tutti i condomini. Pertanto, in mancanza di un tale consenso non valida la deliberazione
adottata dall'assemblea dei condomini, che abbia approvato i lavori eseguiti, su autorizzazione
dell'amministrazione, dalla Sip, di posa di un cavo telefonico sull'edificio condominiale, in guisa da creare una
situazione di fatto corrispondente ad una servit di passaggio di conduttura di cavo telefonico, suscettibile di far
maturare con il tempo l'usucapione di tale diritto.
Cass. 16/04/93 n. 4530 - Lastrico solare
L'azione di rivendicazione della propriet comune dell'appartamento abusivamente costruito da un condomino
sul lastrico solare comune dell'edificio condominiale, non avendo scopo meramente conservativo, non rientra tra
gli atti che, ai sensi dell'art. 1130 n. 4 c.c., l'amministratore ha il potere di compiere senza necessit di delega o
autorizzazione dell'assemblea dei condomini.
Cass. 17/04/93 n. 4558 - Amministratore - obbligazioni verso terzi
Le obbligazioni contratte verso i terzi dall'amministratore del condominio (o da chi altri sia stato delegato dai
condomini a contrarle) per conto del condominio e nei limiti delle sue attribuzioni o eseguendo deliberazioni
dell'assemblea, sono direttamente riferibili ai singoli condomini che, in base all'art. 1284 c.c., sono, quindi,
solidalmente responsabili, nei confronti del terzo, dell'adempimento delle predette obbligazioni, salvo il diritto di
chi ha pagato di esercitare verso i condomini condebitori il diritto di regresso e di dividere il debito nei rapporti
interni; pertanto, il terzo creditore del condominio pu agire per la tutela del suo diritto sia contro l'amministratore
o di chi altri abbia contratto l'obbligazione per delega o in rappresentanza dei condomini, sia nei confronti dei
singoli condomini, direttamente obbligati nei suoi confronti.
Cass. 20/04/93 n. 4631- Vigilanza
In tema di condominio degli edifici, la delibera istitutiva di un servizio di vigilanza armata, per la tutela
dell'incolumit dei partecipanti, rivolta a perseguire finalit estranee alla conservazione e gestione delle cose
comuni, e, quindi, non riconducibile nelle attribuzioni dell'assemblea (art. 1135 c.c.). Ne deriva che tale
delibera, ancorch presa a maggioranza, non opera nei confronti dei condomini assenti all'assemblea e non pu
essere fatta valere per una ripartizione della relativa spesa anche a loro carico.
Cass. 26/04/93 - n. 4881 - Parti comuni in genere
La presunzione legale di comunione di talune parti dell'edificio condominiale, stabilita dall'art. 1117 c.c., deve

ritenersi applicabile, per analogia, anche quando si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bens di parti
comuni di edifici limitrofi ed autonomi, oggettivamente e stabilmente destinate alla conservazione, all'uso od al
servizio di detti edifici, ancorch insistenti sull'area appartenente al proprietario (od ai proprietari) di uno solo
degli immobili; in simili ipotesi, per, la presunzione invocabile solo se l'area e gli edifici siano appartenuti ad
una stessa persona - o a pi persone pro indiviso - nel momento della costruzione della cosa o del suo
adattamento o trasformazione all'uso comune, mentre, nel caso in cui l'area sulla quale siano state realizzate le
opere destinate a servire i due edifici sia appartenuta sin dall'origine ai proprietari di uno solo di essi, questi
ultimi acquistano per accessione la propriet esclusiva delle opere realizzate sul loro fondo, anche se poste in
essere per un accordo intervenuto tra tutti gli interessati e/o con il contributo economico dei proprietari degli altri
edifici.
Cass. 27/04/93 - n. 4931 - Vendita
In tema di condominio di edifici le vicende traslative riguardanti i piani o le porzioni di piano di propriet
individuale estendono i loro effetti, secondo il principio accessorium sequitur principale, alle parti comuni
necessarie per la struttura o destinate per la funzione al servizio degli immobili di propriet solitaria, ma non
anche alle cose legate all'edificio da mera relazione spaziale, costituenti beni ontologicamente diversi suscettibili
di godimento fine a se stesso che si attua in modo indipendente da quello delle unit abitative (nella specie la
Suprema Corte ha ritenuto corretta l'interpretazione di un contratto di vendita di un appartamento da parte dei
giudici di merito i quali, nel silenzio del titolo, avevano escluso che le parti avessero inteso ricomprendere nel
trasferimento la quota millesimale di compropriet di un'area condominiale scoperta).
Cass. 29/04/93 - n. 5064 - tetto
Le spese di rifacimento del tetto di un edificio diviso in pi piani sono sostenute dai condomini, ai sensi degli artt.
1117 e 1123 c.c., in proporzione al valore del piano o della porzione di piano appartenente a ciascuno in via
esclusiva, salvo diversa convenzione, senza che sia applicabile il principio dell'art. 1101 c.c. in materia di
comunione (in base al quale le spese debbono gravare su tutti i partecipanti in eguale misura, ove non risulti una
diversa entit delle quote), trovando spiegazione la detta deroga nella funzione strumentale delle parti comuni
dell'edificio in condominio rispetto alle parti in propriet esclusiva dei singoli condomini, delle quali esse sono a
servizio, consentendone la esistenza e l'uso.
Cass. 03/05/93 - n. 5125 - lastrico solare
In tema di ripartizione delle spese condominiali le attribuzioni dell'assemblea ex art. 1135 c.c. sono circoscritte
alla verificazione ed all'applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, che non comprendono il potere di
introdurre deroghe ai criteri medesimi, atteso che tali deroghe venendo ad incidere sul diritto individuale del
singolo condomino di concorrere nelle spese per le cose comuni dell'edificio condominiale in misura non
superiore a quelle dovute per legge, possono conseguire soltanto ad una convenzione cui egli aderisca.
Pertanto nulla e non meramente annullabile, anche se presa all'unanimit, la delibera che modifichi il criterio
legale di ripartizione delle spese di riparazione del lastrico solare stabilito dall'art. 1126 c.c., senza che i
condomini abbiano manifestato la espressa volont di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso,
con la conseguenza che detta nullit pu essere fatta valere, a norma dell'art. 1421 c.c., anche dal condomino
che abbia partecipato all'assemblea esprimendo voto conforme alla deliberazione stessa, purch alleghi e
dimostri di avervi interesse per derivare dalla deliberazione assembleare un apprezzabile suo pregiudizio, non
operando nel campo del diritto sostanziale la regola propria della materia processuale secondo cui chi ha
concorso a dare causa alla nullit non pu farla valere. In base al criterio di ripartizione delle spese stabilito
dall'art. 1126 c.c. il proprietario esclusivo del lastrico solare (cui va equiparata la terrazza a livello) deve
contribuire nelle spese di riparazione soltanto nella misura di un terzo, senza dover concorrere nella ripartizione
degli altri due terzi della spesa stessa, che restano a carico dei soli proprietari dei piani sottostanti ai quali il
lastrico (o la terrazza) serve da copertura.
Cass. 04/05/93 - n. 5161- modificazioni
Il divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilit di sfruttamento da parte di tutti i partecipanti
alla comunione secondo l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni del bene
comune delle quali i comproprietari si siano convenzionalmente attribuiti il godimento separato, in quanto anche
in tal caso, non venendo meno la contitolarit dell'intero bene, la facolt di utilizzazione della cosa attribuita a
ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed analoga facolt degli altri, con la conseguenza che
sono consentite solo le opere necessarie al miglior godimento, dovendo per contro ravvisarsi una lesione del
diritto di compropriet degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e
quindi concretamente sottratta alla possibilit dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o
originariamente praticati.
Cass. 08/06/93 - n. 6403 - riscaldamento e risparmio energetico
La deliberazione con cui l'assemblea dei condomini approvi la ripartizione delle spese del servizio di
riscaldamento centralizzato senza avere prima accertato il volume dei singoli cespiti, in violazione della
disposizione del regolamento di condominio che prevede il riparto volumetrico della spesa, non affetta da
nullit bens soltanto annullabile, ove denunciata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine di decadenza
di cui all'art. 1137 c.c., non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 cod. civ.
Cass. 15/06/93 - n. 6640 - sottotetto e risparmio energetico
L'ambiente ricavato sotto il tetto dell'edificio in condominio, in modo da formare una camera d'aria limitata, in
alto, dalla struttura del tetto ed, in basso, dal solaio che copre i vani dell'ultimo piano (cosiddetto sottotetto),
assolve, di regola, ad una funzione isolante e protettiva di questi vani e, quando non risulti una diversa
destinazione o non sia diversamente disposto dal titolo, non , quindi, oggetto di comunione ma costituisce
pertinenza dell'appartamento dell'ultimo piano.
Cass. 21/06/93 - n. 6850 -cortile - sporti

La costruzione, da parte del condominio, di sporti sul cortile o sul passaggio comune, con conseguente
occupazione della colonna d'aria sovrastante il terreno comune, costituisce esplicazione del diritto di
utilizzazione della cosa, ai sensi dell'art. 1102 c.c., quando non ne pregiudichi la normale funzione o le
possibilit di utilizzazione particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini.
Cass. 21/06/93 - n. 6856 - danni - legittimazione
L'azione a tutela di un diritto comune, come l'impugnativa di una sentenza di condanna emessa nei confronti
dell'intero condominio, pu essere esercitata anche da un singolo condomino, senza che sia necessario
integrare il contraddittorio nei confronti dei condomini non appellanti, n intervenienti in appello e senza che ci
determini passaggio in giudicato della sentenza di primo grado nei confronti di questi ultimi, dato che l'interesse
per il quale il singolo agisce comune a tutti i condomini, dovendo in tal caso ravvisarsi nei rapporti fra i
condomini una forma di rappresentanza reciproca, attributiva a ciascuno di una legittimazione sostitutiva
nascente dal fatto che ogni compartecipe non pu tutelare il proprio diritto senza necessariamente e
contemporaneamente difendere l'analogo diritto degli altri. Riguardo ai danni che una porzione di propriet
esclusiva in edificio condominiale subisca per vizi delle parti comuni, imputabili all'originario
costruttore-venditore, deve riconoscersi al titolare di detta porzione la possibilit di esperire azione risarcitoria
contro il condominio, non in forza dell'art. 1669 c.c., dato che il condominio quale successore a titolo particolare
di detto costruttore non subentra nella responsabilit posta a suo carico da detta norma, ma in base all'art. 2051
c.c. in relazione alla ricollegabilit di quei danni all'inosservanza da parte del condominio medesimo dell'obbligo
di provvedere quale custode ad eliminare le caratteristiche dannose della cosa.
Cass. 03/07/93 - n. 7297 - riscaldamento e risparmio energetico - spese
L'osservanza, da parte della minoranza dissenziente, della deliberazione legittimamente adottata dall'assemblea
dei condomini dell'edificio ai fini del regolamento interno della ripartizione delle spese per il godimento di parti
comuni (nella specie, ripartizione delle spese di esercizio e manutenzione dell'impianto di riscaldamento),
essendo esclusivamente dovuta alla efficacia vincolante dell'atto collettivo anche nei confronti dei dissenzienti,
non esprime una volont negoziale di tacita adesione e non pu, pertanto, trasformare la delibera condominiale
in regolamento contrattuale non pi modificabile senza il consenso unanime delle parti.
Cass. 07/07/93 - n. 7449 - parti comuni in genere - terrazze a livello
In tema di condominio negli edifici, l'individuazione delle parti comuni, come le terrazze di copertura, risultante
dall'art. 1117 c.c. - il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i
condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria - pu essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un
determinato titolo e non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate
oggettivamente al servizio esclusivo di una o pi unit immobiliari.
Cass. 13/07/93 - n. 7691 - modificazioni
In caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di
taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini,
legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal
che possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione
senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una sua autonomia rispetto
all'edificio), quando risulti quello di una o pi delle porzioni immobiliari in cui l'edificio stesso si articoli.
Cass. 18/08/93 - n. 8755 - assemblea - locazioni
L'art. 10 L. 27 luglio 1978 n. 392 il quale attribuisce al conduttore il diritto di votare in luogo del proprietario nelle
assemblee condominiali aventi ad oggetto l'approvazione delle spese e delle modalit di gestione dei servizi di
riscaldamento e di condizionamento d'aria e di intervenire senza diritto di voto sulle delibere relative alla
modificazione di servizi comuni, riconosce implicitamente con il rinvio alle disposizioni del codice civile
concernenti l'assemblea dei condomini, il diritto dell'inquilino di impugnare le deliberazioni viziate, semprech
abbiano ad oggetto le spese e le modalit di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria. Al
di fuori delle situazioni richiamate, la norma in esame non attribuisce all'inquilino il potere generale di sostituirsi
al proprietario nella gestione dei servizi condominiali, sicch deve escludersi la legittimazione del conduttore ad
impugnare la deliberazione dell'assemblea condominiale di nomina dell'amministratore e di approvazione del
regolamento di condominio e del bilancio preventivo.
Cass. 20/08/93 - n. 8804 - amministratore - responsabilit - sanzioni - uso della cosa comune
L'amministratore del condominio, che responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso
dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari, non pu essere ritenuto
responsabile, ancorch sia tenuto a far osservare il regolamento condominiale, dei danni cagionati dall'abuso
dei condomini nell'uso della cosa comune, non essendo dotato di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei
singoli condomini - salvo che il regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 att. c.c., preveda la possibilit di
applicazione di sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme da esso stabilite sull'uso delle cose
comuni - n obbligato a promuovere azione giudiziaria contro i detti condomini in mancanza di una espressa
disposizione condominiale o di una delibera assembleare.
Cass. 03/09/93 - n. 9311 - insegne e targhe - muri
In tema di condominio di edifici, i partecipanti con voto unanime possono sottoporre a limitazioni, nell'ambito
dell'autonomia negoziale, l'esercizio dei poteri e delle facolt che normalmente caratterizzano il contenuto del
diritto di propriet sulle cose comuni, vertendosi in materia disponibile, con la conseguenza che con
regolamento contrattuale possono vietare l'apposizione di insegne, targhe e simili sui muri perimetrali comuni,
ovvero subordinarla al consenso dell'amministrazione.
Cass. 23/10/93 - n. 10513 - decoro architettonico
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica
data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed imprimono alle

varie parti dell'edificio, nonch all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica, fisionomia,
senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico. L'indagine volta a stabilire se, in concreto,
un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico demandata al giudice del merito, il cui
apprezzamento sfugge al sindacato di legittimit, se congruamente motivato.
Cass. 23/10/93 - n. 10519 - scambiatori di calore
La controversia, instaurata da un condomino per la rimozione dalla facciata dell'edificio condominiale di uno
scambiatore di calore installatovi da un altro condomino con l'autorizzazione della assemblea, a motivo del
pregiudizio arrecato al decoro architettonico e alla sicurezza dell'edificio stesso, riguarda non le modalit d'uso o
la misura dei servizi condominiali, ma la contestazione in radice del diritto del condomino di fare un determinato
uso della cosa comune e del potere dell'assemblea di consentirlo, e, quindi, esula dalla competenza per materia
del conciliatore o del pretore, restando soggetta alle regole della competenza per valore nelle cause relative a
beni immobili (art. 15 c.p.c.), con la conseguenza che onere della parte che eccepisca l'incompetenza del
giudice adito di dedurre e dimostrare il superamento del relativo limite.
Cass. 13/11/93 - n. 11207 - parti comuni in genere - servit
Nel caso in cui su una delle parti comuni di un edificio in condominio (elencate dall'art. 1117 c.c.), gravi un peso
diretto a fornire ad un piano o ad una porzione di piano in propriet esclusiva una utilit ulteriore e diversa,
rispetto a quella normalmente derivante dalla destinazione della cosa al servizio di tutte le unit immobiliari, si
configura una servit, sempre che tale peso abbia origine nei modi previsti dalla legge e, tra questi, la
destinazione del padre di famiglia.
Cass. 04/12/93 - n. 12028 - animali
In tema di condominio di edifici il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non pu essere
contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo
detti regolamenti importare limitazioni delle facolt comprese nel diritto di propriet dei condomini sulle porzioni
del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva, sicch in difetto di un'approvazione unanime le
disposizioni anzidette sono inefficaci anche con riguardo a quei condomini che abbiano concorso con il loro voto
favorevole alla relativa approvazione, giacch le manifestazioni di voto in esame, non essendo confluite in un
atto collettivo valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali atipici, di per s inidonei ai sensi dell'art. 1987 c.c. a
vincolare i loro autori, nella mancanza di una specifica disposizione legislativa che ne preveda l'obbligatoriet.
Cass. 11/12/93 - n. 12208 - competenza - condominio in genere - domicilio
Il condominio di edifici, che non una persona giuridica, ma un ente di gestione e non ha, pertanto, una sede in
senso tecnico, ove non abbia designato nell'ambito dell'edificio un luogo espressamente destinato e di fatto
utilizzato per l'organizzazione e lo svolgimento della gestione condominiale, ha il domicilio coincidente con
quello privato dell'amministratore che lo rappresenta. Pertanto, ai fini della competenza territoriale ex artt. 18 e
20 c.p.c. nei giudizi aventi ad oggetto il pagamento di contributi condominiali, il luogo di adempimento
dell'obbligazione dedotta in giudizio va individuato nel domicilio dell'amministratore in carica al tempo della
scadenza dell'obbligazione.
Cass. 15/12/93 - n. 12420 - riscaldamento e risparmio energetico
Il singolo condomino non titolare di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica nei confronti del condominio
relativamente all'utilizzazione dei servizi comuni e, pertanto, non pu esimersi dal contribuire alle spese di
gestione del servizio di riscaldamento centralizzato in proporzione ai millesimi, allegando la mancata o
insufficiente erogazione di quel servizio, n pu proporre azione di danno contro il condominio per il mancato
promovimento dell'azione contrattuale nei confronti dell'impresa installatrice dell'impianto, posto che il
condomino conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei
suoi diritti di comproprietario pro quota delle parti comuni, potendo ricorrere all'autorit giudiziaria nel caso di
inerzia dell'amministrazione del condominio a norma dell'art. 1105 c.c., dettato in materia di comunione, ma
applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio disposto dall'art. 1139 cod. civ.
Cass. civ., sent. n. 5084 del 29 aprile 1993, sez. II
L'intempestiva comunicazione al condomino della data fissata per l'assemblea implica un'ipotesi di contrariet
alla legge, ai sensi dell'art. 1137 cod. civ., della deliberazione assembleare, comportante l'annullamento della
medesima a prescindere dal suo contenuto decisionale o meramente preparatorio o programmatico,
risultandone viziato il processo formativo per violazione del diritto di intervento e di voto del condominio. N
l'interesse del condomino pretermesso a proporre l'impugnazione viene meno per il fatto che la delibera sia stata
seguita da altra presa sullo stesso oggetto da assemblea ritualmente convocata.
Cass. civ., sent. n. 1780 del 12 febbraio 1993, sez. II
Nel caso in cui l'avviso di convocazione dell'adunanza condominiale non sia stato comunicato anche ad uno solo
dei condomini, ancorch detto condomino sia titolare di una quota millesimale ininfluente ai fini del
raggiungimento della maggioranza prescritta dalla legge, la deliberazione adottata affetta da nullit assoluta,
che pu essere fatta valere da qualsiasi condomino anche presente in assemblea.
Cass. civ., sent. n. 3607 del 16 aprile 1994, sez. II
L'amministratore del condominio cessato dalla carica non legittimato ad impugnare la sentenza resa nella
causa cui egli abbia partecipato in rappresentanza del condominio stesso pronunciata successivamente a tale
cessazione, accompagnata da revoca espressa del precedente mandato.
Cass. civ., sent. n. 12152 del 10 dicembre 1993, sez. II
Il regolamento dei rapporti tra i proprietari di distinte unit immobiliari site in un edificio soggetto a regime del
condominio non si esauriscono con le disposizioni relative ai rapporti di vicinato tra due propriet finitime
(emulazione, immissioni e servit). Detti rapporti sono disciplinati anche dalle regole generali sulla responsabilit
civile, essendo obbligato ciascun condomino propter rem a non eseguire nel piano o porzioni di piano di sua
propriet opere che rechino danno alle parti comuni o di propriet esclusiva di altri condomini.

Cass. civ., sent. n. 12304 del 14 dicembre 1993, sez. II


Il condominio non soggetto giuridico dotato di propria personalit distinta da quella di coloro che ne fanno
parte, bens un semplice ente di gestione, il quale opera in rappresentanza e nell'interesse comune dei
partecipanti, limitatamente all'amministrazione e al buon uso della cosa comune, senza interferire nei diritti
autonomi di ciascun condomino. Ne deriva che l'amministratore per effetto della nomina ex art. 1129 cod. civ. ha
soltanto una rappresentanza ex mandato dei vari condomini e che la sua presenza non priva questi ultimi del
potere di agire personalmente a difesa dei propri diritti sia esclusivi che comuni.
SENTENZE 1994
Cass. 12/01/94 - n. 246 - locazioni
La L. n. 392 del 1978 (cosiddetta dell'equo canone) disciplina i rapporti tra locatore e conduttore, senza innovare
in ordine alla normativa generale sul condominio degli edifici, sicch l'amministratore ha diritto - ai sensi del
combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 att. stesso codice - di riscuotere i contributi e le spese per la
manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun
condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unit immobiliari.
Cass. 19/01/94 - n. 446 - divisione - perimento dell'edificio
Il perimento totale di un edificio condominiale determina l'estinzione del condominio, per mancanza dell'oggetto,
venendo meno il rapporto di servizio tra le parti comuni e le porzioni di propriet esclusiva (non pi esistenti), e
permane soltanto la comunione pro-indiviso tra gli ex condomini sull'area di risulta. Ne deriva che, in caso di
mancata ricostruzione dell'immobile (nell'ipotesi, non consentita dalla disciplina urbanistica) e di mancata vendita
all'asta del suolo e dei materiali (non richiesta, nella specie, da nessuno dei comproprietari), pu porsi fine alla
predetta comunione con lo scioglimento della stessa, che, in caso d'indivisibilit del suolo, deve essere
effettuato a norma degli artt. 1116 e 720 c.c., attribuendo preferibilmente il bene per intero al titolare della quota
maggiore (o ai titolari della quota maggiore, ove questi ne richiedano congiuntamente l'attribuzione), con
addebito dell'eccedenza, corrispondendosi, cio, agli altri condomini la somma equivalente al valore della loro
quota.
Cass. 20/01/94 - n. 476 - servit - strade - uso della cosa comune
Posto che il partecipante alla comunione pu usare della cosa comune per un suo fine particolare, con la
conseguente possibilit di ritrarre dal bene una utilit specifica aggiuntiva rispetto a quelle che vengono ricavate
dagli altri, con il limite di non alterare la consistenza e la destinazione di essa, o di non impedire l'altrui pari uso,
il passaggio su una strada comune, in origine destinata a servire alcuni, determinati fondi di propriet esclusiva,
che venga effettuato da un comunista anche per accedere ad altro fondo, a lui appartenente in propriet
esclusiva, di per s non raffigura un godimento vietato, a norma dell'art. 1059, primo comma, c.c., non
comportando la costituzione di una servit sul bene comune, perch non si risolve nella modifica della
distinzione di questo, n nell'impedimento dell'altrui pari diritto.
Cass. 03/02/94 - n. 1104 - assemblea - locazioni - riscaldamento e risparmio energetico
La legge n. 392 del 1978 (cosiddetta dell'equo canone) disciplina i rapporti tra locatore e conduttore, senza
innovare in ordine alla normativa generale sul condominio negli edifici, sicch l'amministratore ha diritto - ai
sensi del combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 att. stesso codice - di riscuotere i contributi e le spese per
la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da
ciascun condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unit immobiliari
(contro i quali pu invece agire in risoluzione il locatore ex art. 5 della citata legge n. 392 del 1978, per il
mancato rimborso degli oneri accessori), anche con riguardo alle spese del servizio comune di riscaldamento
ancorch questi ultimi abbiano diritto di voto, in luogo del condomino locatore, nelle delibere assembleari
riguardanti la relativa gestione.
Cass. 10/02/94 - n. 1700 - rumori
Per integrare il reato previsto dall'art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) non
sufficiente che rumori prodotti all'interno di un appartamento si propaghino in quelli vicini, ma necessario che
tali rumori siano di tale intensit da disturbare le occupazioni o il riposo delle persone. (Nella specie, relativa ad
annullamento senza rinvio di sentenza di condanna perch il fatto non sussiste, risultava che dall'appartamento sottostante - "della parte lesa si sentivano rumori di gioco di pallone e di qualche sedia che cadeva davanti ai
bambini").
Cass. 23/02/94 - n. 1776 - pianerottoli
L'atto costitutivo del condominio pu senz'altro sottrarre al regime della condominialit, di cui all'art. 1117 c.c., i
pianerottoli di accesso dalle scale ai singoli appartamenti e riservarli, in tutto o in parte, al dominio personale
esclusivo dei proprietari di questi.
Cass. 12/03/94 - n. 2393 - legittimazione - rappresentanza
Il principio per cui, essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalit distinta da quella dei suoi
partecipanti, l'esistenza dell'organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a
difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, n quindi del potere d'intervenire nel giudizio in cui tale difesa
sia stata legittimamente assunta dall'amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per
evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti dell'amministratore stesso, che vi abbia
fatto acquiescenza, non trova applicazione con riguardo alle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di
deliberazioni dell'assemblea condominiale che, come quelle relative alla gestione di un servizio comune (nella
specie, l'ascensore), tendono a soddisfare esigenze soltanto collettive della gestione stessa, senza attinenza
diretta all'interesse esclusivo di uno o pi partecipanti, con la conseguenza che, in tali controversie, la
legittimazione ad agire - e, quindi, anche ad impugnare - spetta in via esclusiva all'amministratore, la cui
acquiescenza alla sentenza esclude la possibilit d'impugnazione proposta dal singolo condomino.

Cass. 15/03/94 - n. 2448 - spese legali


La domanda di liquidazione dei compensi per le prestazioni giudiziali svolte da un avvocato in favore di un
condominio, soggetta alla procedura di cui alla L. 13 giugno 1942, n. 794, anche se proposta non nei confronti
della collettivit condominiale, ma di un solo condomino, perch avuto riguardo alla natura di ente di mera
gestione non personalizzato del condominio, il singolo condomino va comunque considerato parte sostanziale
del rapporto di clientela ancorch non tradotto in un formale rapporto procuratorio.
Cass. 15/03/94 - n. 2452 - amministratore
Per il disposto degli artt. 1130 e 1131 c.c. l'amministratore del condominio ha la legittimazione ad agire in
giudizio, nei confronti del condomino moroso per la riscossione dei contributi, senza necessit di autorizzazione
da parte dell'assemblea, rilevando l'esistenza o meno di uno stato di ripartizione delle spese approvato
dall'assemblea soltanto in ordine alla fondatezza della domanda, con riferimento all'onere probatorio a suo
carico.
Cass. 15/03/94 - n. 2453 - dissenso rispetto alle liti
Il termine di giorni trenta, previsto dall'art. 1132 c.c., per l'atto di estraniazione del condomino dissenziente di
decadenza, com' fatto palese dalle parole usate e dalla ratio legis correlata all'esigenza di provvedere in tempi
brevi all'amministrazione e di dare certezza ai rapporti condominiali caratterizzati da dinamismo e rapidit: ne
consegue che la decadenza per la relativa inosservanza non pu essere rilevata dal giudice di ufficio.
Cass. 15/03/94 - n. 2454 - danni
Dalla compropriet delle cose, dei servizi e degli impianti comuni nascono per i condomini delle obbligazioni
propter rem con la conseguenza che, in particolare, la responsabilit per i danni derivanti alle unit immobiliari in
propriet esclusiva dalle cose comuni grava su tutti i condomini, essendo questi tenuti alla manutenzione delle
cose comuni, con l'obbligo di adottare tutte le cautele idonee a scongiurare i pregiudizi, e quindi, responsabili
ove tali pregiudizi si verifichino.
Cass. 17/03/94 - n. 2546 - registro - regolamento
Il regolamento di condominio predisposto dal costruttore-venditore che contenga vincoli afferenti all'intero
edificio - e, quindi, a tutte le unit immobiliari comprese nel fabbricato - quando sia stato da questi trascritto nei
registri immobiliari, opponibile non soltanto a coloro che acquistano le unit immobiliari da proprietari che
abbiano accettato esplicitamente o implicitamente il regolamento stesso, ma anche a coloro che, in epoca
successiva alla trascrizione, per la prima volta acquistino piani dell'edificio o loro porzioni direttamente dal
costruttore, anche in assenza di espressa previsione in tal senso nei singoli atti di acquisto, atteso che tutti
costoro, non avendo partecipato all'approvazione del regolamento o alla stipulazione degli atti, devono
ricomprendersi, prima della conclusione del loro acquisto, come terzi rispetto ai quali opera, ai fini
dell'opponibilit dei vincoli suddetti, siffatta forma di pubblicit.
Cass. 19/03/94 - n. 2609 - divisione - parti comuni in genere
La disciplina del codice civile del condominio negli edifici deve essere applicata ad ogni parte, bene e servizio
comune che rientri, per la sua struttura e destinazione, tra quelli indicati dall'art. 1117 c.c., a nulla rilevando che i
piani o porzioni di piano alla cui utilizzazione o migliore utilizzazione le cose servono siano compresi in un
edificio unico o in edifici autonomi per effetto di successiva divisione.
Cass. 24/03/94 - n. 2862 - antenne
Gli artt. 1 e 3 L. 6 maggio 1940 n. 554, dettati con riguardo alla disciplina degli aerei esterni per audizioni
radiofoniche, ma applicabile per analogia anche alle antenne televisive e l'art. 231 del D.P.R. 29 marzo 1973 n.
156, stabilendo che i proprietari dell'edificio non possono opporsi alla installazione esterna di antenne da parte di
abitanti dello stesso stabile per il funzionamento di apparecchi radiofonici o televisivi, attribuiscono al titolare
dell'utenza il diritto all'installazione dell'antenna sulla terrazza dell'edificio, ferma restando la facolt del
proprietario al libero uso di questa secondo la sua destinazione ancorch comporti la rimozione od il diverso
collocamento dell'antenna, che resta a carico del suo utente, all'uopo preavvertito. Ne deriva che il proprietario
della terrazza che vi abbia eseguito dei lavori comportanti la rimozione dell'antenna non pu essere condannato
al ripristino nello stato preesistente, posto che spetta all'utente provvedere a sua cura e spese alla rimozione ed
al diverso collocamento dell'antenna.
Cass. 15/04/94 - n. 3542 - tabelle millesimali
La deliberazione dell'assemblea condominiale che modifichi a maggioranza una tabella millesimale
contrattualmente approvata ovvero fissi criteri di ripartizione delle spese comuni secondo criteri diversi da quelli
stabiliti dalla legge, inficiata da nullit, per il cui accertamento sono legittimati, dal lato attivo, ciascun
condomino, ivi compreso quello che abbia espresso voto favorevole - non operando al riguardo la regola,
propria della materia processuale (art. 157 c.p.c.), secondo cui la nullit non pu essere fatta valere dalla parte
che vi ha dato causa - e, passivamente, soltanto l'amministratore del condominio, senza necessit di
partecipazione al giudizio dei singoli condomini, i quali, invece, sono parti necessarie esclusivamente rispetto
alla diversa azione diretta ad ottenere modificazioni in sede giudiziale della tabella millesimale.
Cass. 16/04/94 - n. 3600 - riscaldamento e risparmio energetico
In tema di ripartizione delle spese condominiali attinenti al servizio centralizzato di riscaldamento di un edificio
adibito ad uso abitativo, che costituito da due appartamenti sia in comunione pro indiviso tra due comproprietari,
trova applicazione la disciplina dettata per la comunione dall'art. 1104 c.c., con la conseguenza che ogni
comproprietario obbligato a sostenere le spese stesse in proporzione al valore della sua quota,

indipendentemente dal concreto vantaggio che tragga dal detto servizio e senza possibilit di sottrarsi a
quest'obbligo rinunciando al servizio medesimo, ove tale rinuncia possa produrre effetti pregiudizievoli per l'altro
comproprietario.
Cass. 18/04/94 - n. 3666 - alberi
Alle spese di potatura degli alberi, che insistono su suolo oggetto di propriet esclusiva di un solo condomino
sono tenuti, tuttavia, a contribuire tutti i condomini allorch si tratti di piante funzionali al decoro dell'intero edificio
e la potatura stessa avvenga per soddisfare le relative esigenze di cura del decoro stesso.
Cass. 20/04/94 - n. 3747 - amministratore - assemblea
L'approvazione da parte dell'assemblea dei condomini del rendiconto di un determinato esercizio non
presuppone che la contabilit sia redatta dall'amministratore con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per
i bilanci delle societ, ma sufficiente che la contabilit sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di
entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione. Per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c. la deliberazione
dell'assemblea condominiale che approva il rendiconto annuale dell'amministratore pu essere impugnata dai
condomini assenti e dissenzienti nel termine stabilito dall'art. 1137, terzo comma, c.c. non per ragioni di merito,
ma solo per ragioni di mera legittimit, restando esclusa una diversa forma di invalidazione ex art. 1418 c.c., non
essendo consentito al singolo condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se
non nella forma dell'impugnazione della delibera.
Criteri per la redazione del bilancio da parte dell'amministratore di condominio
Cassazione civile Sentenza 28/04/2005, n. 8877
L'amministratore di condominio, nella tenuta della contabilit e nella redazione del bilancio, non obbligato al
rispetto rigoroso delle regole formali vigenti per le imprese, essendo sufficiente che egli si attenga, nella tenuta
della contabilit, a principi di ordine e di correttezza e che, nel redigere il bilancio, appronti un documento chiaro
e intelligibile, con corretta appostazione delle voci dell'attivo e del passivo, che siano corrispondenti e congrue
rispetto alla documentazione relativa alle entrate e alle uscite.
Cass. 22/04/94 - n. 3832 - terrazze a livello
In tema di edifici in condominio, affinch una terrazza a livello, che esplichi anche funzioni di copertura dei piani
sottostanti, possa ritenersi di propriet esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui si accede alla terrazza
stessa, ove tale appartenenza non risulti dal titolo, necessario che essa faccia parte integrante da un punto di
vista strutturale e funzionale del piano cui annessa, di guisa che la funzione di copertura dei piani sottostanti si
profili come meramente sussidiaria.
Cass. 26/04/94 - n. 3952 - amministratore - assemblea
Per le deliberazioni dell'assemblea in seconda convocazione concernenti le materie indicate dall'art. 1136,
quarto comma, c.c., tra le quali la nomina dell'amministratore, il richiamo alle maggioranze stabilite dall'art. 1136,
secondo comma, c.c., non vale ad estendere il quorum costitutivo dell'assemblea in prima convocazione, ma
importa che per la costituzione dell'assemblea, come per l'approvazione di esse, richiesta una maggioranza
che rappresenti almeno la met del valore dell'edificio e che sia costituita dalla maggioranza degli intervenuti e
da almeno un terzo dei partecipanti al condominio. In difetto di norme particolari, i rapporti tra il rappresentante
intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato sono disciplinati dalle regole sul mandato con la
conseguenza che solo il condomino delegante legittimato a far valere gli eventuali vizi della delega.
Cass. 29/04/94 - n. 4152 - ascensore - barriere architettoniche
Il pregiudizio, per alcuni condomini, della originaria possibilit di utilizzazione delle scale e dell'andito occupati
dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto
posto dall'art. 1120, secondo comma, c.c., ove risulti che alla possibilit dell'originario godimento della cosa
comune offerto un godimento migliore, anche se di diverso contenuto.
Cass. 12/05/94 - n. 4632 - regolamento - uso della propriet esclusiva
Le norme del regolamento condominiale che incidono sulla utilizzabilit e la destinazione delle parti dell'edificio
di propriet esclusiva, distinguendosi dalle norme regolamentari, che possono essere approvate dalla
maggioranza dell'assemblea dei condomini, hanno carattere convenzionale e, se predisposte dall'originario
proprietario dello stabile, debbono essere, pertanto, accettate dai condomini nei rispettivi atti di acquisto o con
atti separati; se deliberate, invece dall'assemblea, debbono essere approvate all'unanimit, dovendo, in
mancanza, considerarsi nulle, perch eccedenti i limiti dei poteri dell'assemblea.
Cass. 17/05/94 - n. 4814 - tabelle millesimali
La partecipazione con voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall'assemblea dei condomini di un edificio
per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello
espresso nelle tabelle millesimali, o l'acquiescenza alla concreta applicazione di queste delibere, pu assumere
il valore di unico comportamento rivelatore della volont di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei
condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e pu
dar luogo, quindi, per facta concludentia, ad una convenzione modificatrice della disciplina sulla ripartizione delle
spese condominiali che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta
ma solo il consenso, anche tacito o per facta concludentia, purch inequivoco, di tutti i condomini.

Cass. 17/05/94 - n. 4804 - riscaldamento e risparmio energetico


Con riguardo al risarcimento del danno dovuto a norma dell'art. 1494 c.c. il credito dei comproprietari di un bene
unico ed indivisibile (nella specie, impianto di riscaldamento condominiale) per il rimborso delle spese occorrenti
alla sua riparazione, deve considerarsi indivisibile perch, essendo indivisibile, per finalit e funzione, la
prestazione che ne oggetto, indivisibile anche il fatto ed il risultato del ripristino; tale credito pu essere
pertanto fatto valere da ciascuno dei comproprietari per l'intero, ai sensi dell'art. 1319 c.c. (salva la successiva
definizione del rapporto all'interno della contitolarit).
Cass. 18/05/94 - n. 4831 - assemblea - riscaldamento e risparmio energetico - spese
Nel condominio degli edifici anche le spese di manutenzione ordinaria e quelle fisse relative ai servizi comuni
essenziali richiedono la preventiva approvazione dell'assemblea dei condomini essendo questa espressamente
richiesta dall'art. 1135, n. 2 c.c. per tutte le spese occorrenti durante l'anno e non solo per le spese di
straordinaria manutenzione alle quali si riferisce il citato art. 1135, n. 5. pertanto annullabile la delibera
dell'assemblea che autorizza l'amministratore ad aumentare i contributi previsti dal preventivo di spese
approvato. La sostituzione del bruciatore dell'impianto di riscaldamento di un edificio condominiale, nei casi in
cui il bruciatore sostituito era guasto o obsoleto, deve considerarsi atto di straordinaria manutenzione, in quanto
diretto a ripristinare la funzionalit dell'impianto senza alcuna modifica sostanziale e funzionale dello stesso,
mentre deve essere ricondotta alle modifiche migliorative, e non alle innovazioni, se ha lo scopo di consentire
l'utilizzazione di una fonte di energia pi redditizia, pi economica o meno inquinante. (Nella specie, si trattava
della sostituzione di un bruciatore alimentato da gasolio con un bruciatore alimentato da gas metano).
Cass. 25/05/94 - n. 5083 - amministratore - cose in custodia
In tema di responsabilit per danni da cose in custodia il caso fortuito idoneo a superare la presunzione di
responsabilit del custode pu anche consistere nel comportamento del danneggiato, allorch questo abbia
costituito la causa esclusiva dell'evento dannoso, esistendo per il danneggiato agevoli e valide condotte
alternative idonee a scongiurare l'eventualit dell'accadimento dannoso.
La nomina di un nuovo amministratore di condominio in sostituzione del precedente dimissionario per spiegare
efficacia nei confronti dei terzi deve avvenire con una deliberazione dell'assemblea nelle forme di cui all'art. 1129
cod. civ.
Cass. 03/06/94 - n. 5374 - coniugi
In tema di separazione personale, qualora il giudice attribuisca ad uno dei coniugi la casa familiare di propriet
dell'altro coniuge, la gratuit di tale assegnazione si riferisce solo all'uso dell'abitazione (per il quale non deve
versarsi corrispettivo), ma non si estende alle spese correlate a tale uso, quali quelle condominiali, che
riguardano la manutenzione delle cose comuni - poste a servizio anche della casa familiare - e vanno
legittimamente poste a carico del coniuge assegnatario.
Cass. 09/06/94 - n. 5608 - amministratore
La nomina di un nuovo amministratore del condominio di edificio non richiede la previa formale revoca
dell'amministratore in carica, atteso che dando luogo ad un rapporto di mandato, comporta, ai sensi dell'art.
1724 c.c., la revoca di quello precedente. L'amministratore del condominio negli edifici non pu essere una
persona giuridica sia perch il rapporto di mandato essenzialmente caratterizzato dalla fiducia sia perch le
norme del codice civile sull'amministrazione dei condomini presuppongono che l'amministratore sia una persona
fisica, ed in tal senso ne disciplinano il controllo giudiziario dei relativi atti.
Cass. 21/06/94 - n. 5956 - amministratore - rappresentanza
Il condominio, contro il quale prodotta una scrittura privata sottoscritta da un suo precedente amministratore
nella vigenza del suo incarico, ha l'onere, se vuole sottrarsi alla presunzione di cui all'art. 2702 c.c., di
disconoscere la sottoscrizione della scrittura medesima, perch la cessazione del rapporto di rappresentanza
per sostituzione dell'amministratore non esclude la riferibilit, al condominio, degli atti validamente compiuti dal
precedente amministratore.
Cass. 25/06/94 - n. 6109 - ascensore - barriere architettoniche
L'art. 2 L. 9 gennaio 1989 n. 13, recante norme per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere
architettoniche negli edifici privati, che prevede la possibilit per l'assemblea condominiale di approvare le
innovazioni preordinate a tale scopo con le maggioranze indicate nell'art. 1136 comma secondo e terzo c.c. in
deroga all'art. 1120 comma primo, che richiama il comma quinto dell'art. 1136 e, quindi, le pi ampie
maggioranze ivi contemplate, dispone tuttavia che resta fermo il disposto dell'art. 1120 comma secondo, il quale
vieta le innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un
solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell'utilit secondo l'originaria costituzione della
comunione. Ne deriva che a maggior ragione sono nulle le delibere che ancorch adottate a maggioranza al fine
indicato siano lesive dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua propriet esclusiva, indipendentemente
da qualsiasi considerazione di eventuali utilit compensative. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione
dei giudici di merito i quali avevano dichiarato la nullit della deliberazione adottata a maggioranza in base
all'art. 2 legge n. 13/1989 cit. di installazione di un ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino
portatore di handicap, che comportava peraltro un sensibile deprezzamento dell'unit immobiliare di altro
condomino sita a piano terra).

Cass. 27/06/94 - n. 6187 - condominio apparente - coniugi - spese


In tema di ripartizione delle spese condominiali, passivamente legittimato, rispetto all'azione giudiziale per il
recupero della quota di competenza, il vero proprietario della porzione immobiliare e non anche chi possa
apparire tale - come uno dei coniugi che curi personalmente ed attivamente la gestione della propriet dell'altro
coniuge - difettando, nei rapporti fra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso le condizioni per l'operativit
del principio dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dei terzi in buona fede.
Cass. 23/07/94 - n. 6884 - scantinati
Poich l'edificio condominiale comprende l'intero manufatto che va dalle fondamenta al tetto e, quindi, anche i
vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse ed il suolo su cui sorge l'edificio, costituisce oggetto di
propriet comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., non la superficie a livello del piano di campagna che viene scavata
per la posa delle fondamenta, bens quella porzione del terreno su cui viene a poggiare l'intero edificio ed
immediatamente, la parte infima di esso. Di conseguenza, per stabilire a chi spetti la propriet di un locale
dell'edificio condominiale sottostante al piano terreno deve farsi riferimento alle norme che regolano la propriet
condominiale per piani orizzontali e, perci, con riguardo ai piani o porzioni di piano che siano o meno sotto il
livello del circostante piano di campagna, agli atti di acquisto dei singoli appartamenti e delle altre unit
immobiliari ed al regolamento di condominio allegato agli atti di acquisto o in essi richiamato (cosiddetto
regolamento contrattuale).
Cass. 22/08/94 - n. 7464 - solai
Dal solaio che divide due unit abitative, l'una all'altra sovrapposta, formando una struttura comune che i
proprietari delle due unit possono modificare solo alla condizione che non venga alterata la destinazione della
cosa e che non sia impedito all'altro di farne parimenti uso secondo il suo diritto, deve essere distinta la
copertura del solaio, che appartiene esclusivamente al proprietario dell'abitazione sovrastante e che pu essere,
quindi, da questo liberamente rimossa o sostituita secondo la sua utilit e convenienza.
Cass. 29/08/94 - n. 7569 - decreto ingiuntivo
Non esiste un obiettivo rapporto di pregiudizialit comportante la necessit della sospensione del processo a
norma dell'art. 295 c.p.c. tra il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell'art. 63 att. c.c.
sulla base di una deliberazione dell'assemblea condominiale che approva la ripartizione delle spese tra i
condomini ed il giudizio di impugnazione della deliberazione ex art. 1137 c.c., giacch la condanna al
pagamento condizionata non alla validit della delibera assembleare, ma soltanto al perdurare della sua
efficacia sicch il giudice dell'opposizione deve limitarsi a prender atto che la sospensione dell'esecuzione della
deliberazione non sia stata ordinata dal giudice investito dell'impugnazione ai sensi dell'art. 1137 cit. Qualora
l'opponente a decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell'art. 63 att. c.c. per il pagamento di contributi condominiali
contesti la sussistenza del debito e la documentazione posta a fondamento dell'ingiunzione (verbale della
delibera assembleare), incombe all'amministratore del condominio, in quanto attore, l'onere di dimostrare i fatti
costitutivi del credito con la produzione di tutti gli opportuni documenti.
Cass. 05/09/94 - n. 7652 - porticato - uso della cosa comune
L'art. 1102 c.c. intende assicurare al singolo partecipante, per quel che concerne l'esercizio del suo diritto, la
maggior possibilit di godimento della cosa comune, nel senso che, purch non resti alterata la destinazione del
bene comune e non venga impedito agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa, egli deve ritenersi
libero di servirsi della cosa stessa anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilit, senza
che possano costituire vincolo per lui forme pi limitate di godimento attuate in passato dagli altri partecipanti, e
pu scegliere, tra i vari possibili usi quello pi confacente ai suoi personali interessi. (Nella specie si escluso
che esorbiti dal corretto uso della cosa comune la transennatura e l'occupazione periodica di un portico con
legna da parte di un condomino, in assenza di prova del carattere stabile dell'occupazione e di un apprezzabile
pregiudizio per gli altri condomini).
Cass. 05/09/94 - n. 7651- appalto - autorimesse - parcheggi - posti auto
Al tetto posto a copertura delle autorimesse esterne all'edificio condominiale - svolgente, nella sua struttura
unitaria ed omogenea, una funzione di riparo e di protezione delle unit sottostanti, ciascuna delle quali
costituisce pertinenza della propriet esclusiva dei singoli condomini - applicabile la presunzione di comunione
stabilita dall'art. 1117, n. 1, c.c. con la conseguenza che esso costituisce, al pari del tetto dell'edificio
condominiale, oggetto di propriet comune e che l'amministratore del condominio legittimato ad esercitare le
azioni che lo concernono. (Nella specie, condanna del costruttore al rifacimento della impermeabilizzazione o al
rimborso per eseguirla direttamente). Qualora una parte tenuta per legge alla garanzia per vizi, come
l'appaltatore ed il venditore, riconosca, sulla base del precedente impegno negoziale, la sussistenza di vizi della
prestazione eseguita ed assuma, in luogo dell'obbligazione di garanzia rientrante nel contenuto dell'originario
contratto, l'obbligo di eliminare i vizi stessi, si configura a carico di tale parte un'obbligazione nuova ed autonoma
(rispetto a quella di garanzia), non soggetta ai termini di prescrizione e decadenza previsti dalla disciplina del
contratto di appalto (art. 1667 c.c.) e da quello del contratto di vendita (art. 1495 c.c.), restando soggetta
all'ordinaria prescrizione decennale.
Cass. 27/09/94 - n. 7885 - condominio parziale
I presupposti per l'attribuzione della propriet comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le

cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per
l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte, o di
alcune parti di esso, ricavandosi dall'art. 1123, comma 3, che le cose, i servizi, gli impianti, non appartengono
necessariamente a tutti i partecipanti. Ne consegue che dalle situazioni di cosiddetto "condominio parziale"
derivano implicazioni inerenti la gestione e l'imputazione delle spese, in particolare non sussiste il diritto di
partecipare all'assemblea relativamente alle cose, ai servizi, agli impianti, da parte di coloro che non ne hanno la
titolarit, ragion per cui la composizione del collegio e delle maggioranze si modificano in relazione alla titolarit
delle parti comuni che della delibera formano oggetto.
Cass. 19/10/94 - n. 8528 - locazione - uso della cosa comune
La sospensione necessaria del processo, prevista dall'art. 295 c.p.c., deve essere disposta soltanto quando la
preventiva definizione di una controversia civile, penale o amministrativa, avente carattere pregiudiziale e dalla
cui risoluzione dipende la decisione della causa, sia imposta da un'espressa norma di legge ovvero ne
costituisca l'indispensabile antecedente logico-giuridico il cui accertamento venga postulato con autorit di
giudicato. (Nella specie, il giudice del merito - in una causa promossa per sentire dichiarare la nullit della
deliberazione condominiale con la quale era stato concesso in locazione un intero immobile di propriet comune
alle parti - aveva escluso il carattere pregiudiziale della separata causa promossa tra le stesse per
l'accertamento della comoda divisibilit del bene, sul presupposto che tale accertamento avrebbe risolto solo la
questione dell'attribuzione del cespite ai comproprietari pro quota, non quella della sua utilizzabilit diretta o
indiretta. La S.C. ha confermato la pronuncia, ribadendo il principio di cui alla massima). L'uso indiretto della
cosa comune (nella specie, mediante locazione), incidendo sull'estensione del diritto reale che ciascun
comunista possiede sull'intero bene indiviso, pu essere disposto dal giudice o deliberato dall'assemblea dei
condomini a maggioranza, soltanto quando non sia possibile o ragionevole l'uso promiscuo, semprech la cosa
comune non consenta una divisione, sia pure approssimativa, del godimento. L'indivisibilit del godimento
costituisce il presupposto per l'insorgenza del potere assembleare circa l'uso indiretto, onde la deliberazione che
l'adotta senza che ne ricorrano le condizioni nulla, quale che sia la maggioranza, salvoch ricorra l'unanimit.
Cass. 19/10/94 - n. 8531- legittimazione - rappresentanza
Le azioni reali nei confronti dei terzi a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio tendono a
statuizioni relative alla titolarit ed al contenuto dei diritti medesimi che esulando dall'ambito degli atti meramente
conservativi (art. 1130 n. 4 c.c.) possono essere proposte dall'amministratore del condominio solo se autorizzato
dall'assemblea a norma dell'art. 1131 comma 1 cod. civ. Ai fini dell'ammissibilit della domanda riconvenzionale
che non importi spostamento di competenza sufficiente un qualsiasi rapporto o situazione giuridica in cui sia
ravvisabile un collegamento obiettivo tra domanda principale e domanda riconvenzionale, tale da rendere
consigliabile e opportuna la celebrazione del simultaneus processus. In tema di condominio, ciascun
partecipante legittimato a proporre le azioni a difesa della propriet della cosa comune senza necessit di
integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini salvo che la controparte non si limiti a negare
la situazione soggettiva dell'attore, ma opponga la propriet esclusiva del bene contestando il diritto di tutti i
condomini, sicch la controversia riguardi l'esistenza stessa della condominialit e pertanto un rapporto
soggettivo unico ed inscindibile, nel qual caso necessaria la presenza nel processo anche degli altri
condomini, dovendo la pronuncia avere effetto nei confronti di tutti.
Cass. 26/10/94 - n. 8777 - terrazze a livello - tetto
La trasformazione in tutto o in parte nell'ambito di un condominio di un bene comune in bene esclusivo di uno
dei condomini pu essere validamente deliberata soltanto all'unanimit, ossia mediante una decisione che abbia
valore contrattuale. Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva
dichiarato la nullit della deliberazione dell'assemblea presa a maggioranza con cui un condomino era stato
autorizzato ad aprire un varco nel tetto, trasformandolo in terrazza a livello per il proprio uso esclusivo.
Cass. 29/10/94 - n. 8946 - rappresentanza
La rappresentanza processuale dell'amministratore del condominio dal lato passivo, ai sensi del comma 2
dell'art. 1131 c.c., non incontra limiti quando le domande proposte contro il condominio medesimo riguardano le
parti comuni dell'edificio. (Nella specie, la S.C., in applicazione del principio enunciato, ha confermato la
sentenza di merito, la quale aveva ritenuto ben instaurata nei confronti del condominio l'azione tendente ad
ottenere la consegna della chiave del cancello d'accesso alla scala dell'edificio, che l'attore presupponeva anche
ad esso comune e, come tale, illegittimamente sottratta al suo godimento).
Cass. 04/11/94 - n. 9062 - parti comuni in genere
Ai fini di stabilire se esista un titolo contrario alla presunzione di comunione sancita dalla norma dell'art. 1117
c.c. occorre fare riferimento all'atto costitutivo del condominio, cio al primo atto di trasferimento di una unit
immobiliare dall'originario proprietario ad altro soggetto.
Cass. 07/11/94 - n. 9221 - parti comuni in genere - pertinenze
Il vincolo pertinenziale comporta l'esclusivit della funzione accessoria, onde nell'ipotesi di un immobile
contemporaneamente adibito al servizio di diversi altri, appartenenti ciascuno a proprietari diversi pu solo
verificarsi un caso di propriet comune ovvero un caso di servit. In tema di condominio la presunzione di
propriet comune di ciascuna delle parti indicate nell'art. 1117 c.c. non pu essere vinta se non da elementi di
significato certo ed univoco, idonei a far ritenere che la parte in contestazione sia stata considerata dalla
comune volont dei contraenti oggetto della propriet esclusiva di uno di essi.

Cass. 15/11/94 - n. 9629 - rimborso spese anticipate dal condominio


L'esperibilit dell'azione generale di arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c. postula, per il disposto dell'art.
2042, la non esperibilit di altra azione per conseguire l'indennizzo del pregiudizio subito. Ne consegue che il
giudice, in presenza di una pluralit di domande - oltre quella ex art. 2041 c.c. - fondate su titoli diversi, deve
preliminarmente decidere sulla fondatezza di queste ultime e solo ove decida di non accoglierle potr esaminare
l'azione sussidiaria di arricchimento, semprech l'impossibilit di proporre quest'ultima non derivi da un divieto
stabilito dalla legge. (Nella specie, un condomino aveva chiesto il rimborso della spesa sostenuta per la
manutenzione della cosa comune, in base ad un triplice titolo: l'accordo di tutti i condomini, l'urgenza della spesa
ex art. 1134 c.c. e l'arricchimento senza causa. La Suprema Corte nel formulare il principio di cui in massima ha
precisato che al condomino non compete l'azione di arricchimento in caso di spesa non urgente, stante il divieto
di rimborso stabilito dall'art. 1134 c.c. al di fuori delle ipotesi ivi previste).
Cass. 29/11/94 - n. 10217 - autorimesse - parcheggi - posti auto
La norma di cui all'art. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765 - la quale stabilisce che nelle nuove costruzioni ed
anche nelle opere di pertinenza delle costruzioni stesse debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in
misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione - pone un vincolo pubblicistico
di destinazione degli spazi in questione al servizio delle unit abitative dei condomini, ma tale regime, rimasto
immutato anche dopo l'entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (il cui art. 26, ultimo comma,
stabilisce che gli spazi anzidetti costituiscono pertinenze delle costruzioni, ai sensi e per gli effetti degli artt. 817,
818 e 819 c.c.), non comporta affatto che le aree di parcheggio, fermo il vincolo di destinazione, rientrino tra le
parti comuni dell'edificio a norma dell'art. 1117 c.c. e tanto meno che il loro godimento da parte dei proprietari
delle unit abitative debba essere gratuito ove esse siano rimaste di propriet del costruttore o di un terzo.
Cass. 03/12/94 - n. 10397 - sopraelevazione
L'art. 1127 del codice civile, disciplinante il regime legale delle sopraelevazioni, derogabile, come emerge
dall'espressa riserva contenuta nel comma 1, da una convenzione preesistente o coeva alla costituzione del
condominio. Ne consegue che il divieto assoluto di sopraelevazione - nella specie, stabilito dal regolamento di
condominio (costituente parte integrante del contratto di acquisto dei singoli cespiti) a carico dell'ultimo piano
dell'edificio ed a favore tanto delle parti di propriet comune, quanto delle unit immobiliari in propriet esclusiva
dell'edificio - avendo sostanzialmente natura di servit altius non tollendi, pu essere fatto valere sia dai singoli
condomini che dal condominio.
Cass. 13/12/94 - n. 10652 - distanze legali - tubature - usucapione
Il requisito della continuit, necessario per la configurabilit del possesso ad usucapionem, ex art. 1158 c.c., si
fonda sulla necessit che il possessore esplichi costantemente il potere di fatto corrispondente al diritto reale
posseduto e lo manifesti con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualit ed alla destinazione
della cosa e tali da rivelare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria di fatto sulla cosa stessa
contrapposta all'inerzia del titolare del diritto. La continuit si distingue, pertanto, dall'interruzione del possesso,
giacch la prima si riferisce al comportamento del possessore, mentre la seconda deriva dal fatto del terzo che
privi il possessore del possesso (interruzione naturale) o dall'attivit del titolare del diritto reale che compia un
atto di esercizio del diritto medesimo. Nella specie, il possessore di una servit di veduta ne aveva dismesso per
un certo periodo l'esercizio, eliminando con la schermatura di una terrazza ogni possibilit di inspectio e di
prospectio sul fondo limitrofo. La distanza di almeno un metro dal confine che l'art. 889, comma 2, c.c. prescrive
per l'installazione dei tubi dell'acqua, del gas e simili, si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante
di sostanze liquide o gassose e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo per il fondo vicino, in
relazione alla naturale possibilit di trasudamento e di infiltrazioni. Detta norma, pertanto, non applicabile con
riguardo alle canne fumarie per la dispersione dei fumi delle caldaie le quali, avendo una funzione identica a
quella del camino, vanno soggette alla regolamentazione di cui all'art. 890 c.c. e, quindi, poste alla distanza
fissata dai regolamenti locali.
Cass. 14/12/94 - n. 10704 - porte - vedute
Nel caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte
corrispondente agli appartamenti di propriet esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti o
trasformando finestre in balconi o in pensili, a condizione che l'esercizio della indicata facolt, disciplinata dagli
artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilit e il decoro architettonico dell'edificio e non menomi o
diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori. Nella specie il giudice di
merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto sussistente una sensibile diminuzione
di aria e luce in danno dell'appartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione di balconi da parte
dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al secondo piano, in relazione anche alla giacitura particolare
dell'edificio condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della latistante via pubblica.
Cass. 14/12/94 - n. 10699 - innovazione - sopraelevazione - uso della cosa comune
Poich l'uso della cosa comune sottoposto dall'art. 1102 c.c. ai due limiti fondamentali consistenti nel divieto
per ciascun partecipante di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso
secondo il loro diritto, esso non pu estendersi alla occupazione di una parte del bene comune, tale da portare,
nel concorso degli altri requisiti di legge, alla usucapione della parte occupata.
La normativa dell'art. 936 c.c. postula che autore delle opere realizzate su suolo altrui sia un terzo e, pertanto,
non potendo qualificarsi come tali il titolare di un qualsiasi diritto, di natura reale o personale avente oggetto il
fondo su cui le opere sono state eseguite, la normativa suddetta non si applica quando l'autore delle opere sia
uno dei comproprietari del fondo. Ove una fattispecie trovi specifica disciplina nell'art. 1102, che regola l'uso
della cosa comune da parte dei partecipanti alla comunione, preclusa l'applicazione alla stessa, in via
analogica, dell'art. 936 c.c. in materia di accessione, non essendo consentito il ricorso alle disposizioni che
regolano casi simili o materie analoghe (c.d. analogia legis) in assenza di una qualsivoglia lacuna

dell'ordinamento.
L'art. 1127 c.c. in tema di sopraelevazione sopra l'ultimo piano dell'edificio, essendo inserito nella
regolamentazione del condominio, pi specifica rispetto a quella della comunione in generale, ed avendo, nel
comma 1, quale destinatario il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, postula una divisione della propriet in
senso orizzontale e non trova pertanto applicazione nella comunione disciplinata negli artt. da 1100 a 1116 cod.
civ. In materia di innovazioni e di altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione il consenso dei partecipanti alla
comunione deve risultare espresso nelle forme previste dall'art. 1108 cod. civ.
Cass. 23/12/94 - n. 11138 - sottosuolo uso della cosa comune
Per il combinato disposto degli artt. 1117 e 840 c.c., il sottosuolo costituito dalla zona esistente in profondit al di
sotto dell'area superficiaria che alla base dell'edificio condominiale, ancorch non menzionato espressamente
da detto art. 1117, va considerato di propriet comune in mancanza di un titolo che ne attribuisca la propriet
esclusiva a uno dei condomini, e ci anche con riguardo alla funzione di sostegno che esso contribuisce a
svolgere per la stabilit del fabbricato. Pertanto, un condomino non pu senza il consenso degli altri partecipanti
alla comunione procedere alla escavazione in profondit del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o per
ingrandire quelli preesistenti, giacch con l'attrarre la cosa comune nell'orbita della sua disponibilit esclusiva,
viene a ledere il diritto di propriet dei condomini su una parte comune dell'edificio. L'esercizio della facolt di
ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall'art. 1102 c.c., deve esaurirsi nella sfera
giuridica e patrimoniale del diritto di compropriet sulla cosa medesima e non pu essere esteso, quindi, per il
vantaggio di altre e diverse propriet del medesimo condomino perch in tal caso si verrebbe ad imporre una
servit sulla cosa comune per la cui costituzione necessario il consenso di tutti i condomini.
Cass. 24/12/94 - n. 11155 - amministratore
Le norme del codice civile sulla nomina, la revoca e l'attivit dell'amministratore del condominio negli edifici (artt.
1129 c.c. 64 e 65 att. c.c.) non escludendo la possibilit che l'amministrazione del condominio sia affidata ad
una pluralit di amministratori dato che, per un verso, la carenza di una specifica disposizione per
l'individuazione tra i diversi amministratori di quello tenuto a rappresentare il condominio nei rapporti con i terzi
comporta solo, ai sensi dell'art. 1131 c.c., l'attribuzione a tutti del potere di rappresentanza anche nei confronti di
terzi e che, per altro verso, grazie al rinvio alle norme sulla comunione, operato dall'art. 1139 c.c., deve ritenersi
applicabile al condominio negli edifici l'art. 1106 c.c., che, per una esigenza di tutela degli interessi dei
comproprietari e di razionalizzazione delle amministrazioni particolarmente complesse, comune anche al
condominio negli edifici, espressamente consente la delega per l'amministrazione della cosa comune ad uno o
pi partecipanti o anche ad un estraneo. Ne consegue la possibilit che l'amministrazione del condominio sia
affidata anche ad una societ di fatto in cui la disciplina del potere di amministrazione come derivante da un
rapporto di mandato fra la collettivit dei soci amministratori (art. 2260 c.c.) e l'attribuzione, nei rapporti esterni,
della rappresentanza del socio amministratore (art. 2266 c.c.) presenta un notevole parallelismo con quella
dell'art. 1131 c.c., alla quale aggiunge la predisposizione di regole legali per la risoluzione del conflitto tra gli
amministratori (art. 2257), dovendosi escludere che la possibilit di inserimento di nuovi soci, nelle societ di
persone, si rilevi incompatibile con il carattere personale del mandato conferito all'amministratore dall'assemblea
dei condomini, dato che, come nel caso di nomina dell'amministratore unico, che dotato della facolt di delega
dei suoi poteri ad un sostituto, l'intuitus personae risiede nella originaria scelta del mandatario e che l'ingresso di
nuovi soci non riduce, ma semmai accresce, la garanzia per i condomini.
Cass. Civ. 384 - 13/1/95
Quella prevista dall'art. 10 della legge 27 luglio 1978 n. 392 un'assemblea condominiale allargata alla
partecipazione, per determinate materie (spese e modalit di gestione dei servizi di riscaldamento e
condizionamento dell'aria), dei conduttori, i quali, su queste, deliberano in luogo dei condomini. Trattasi di
un'ipotesi di sostituzione legale del conduttore al locatore, ispirata dal principio che, poich le spese di
riscaldamento gravano su di lui (art. 9 della legge n. 392 del 1978), il conduttore maggiormente interessato alle
relative deliberazioni. Ne consegue che le predette disposizioni si riferiscono solo ai rapporti tra locatore e
conduttore, mentre il condominio, essendo privo di un'azione diretta nei confronti del conduttore - tant' che l'art.
5 della legge stessa prevede la risoluzione del contratto di locazione, a favore del solo locatore, se il conduttore
non gli rifonde gli oneri accessori a suo carico - pu rivolgersi solo ai condomini per il rimborso delle spese
condominiali.
Cass. Civ. 602 - 19/01/95
La delibera condominiale di accertamento e ricognizione dell'esistenza di una determinata tabella millesimale,
con riserva di successivo riesame, ed il pagamento per diversi anni da parte dei condomini in base a tale tabella
accertata essere di fatto applicata, costituiscono prova certa e sicura della vigenza di quella tabella che
rappresenta il criterio concreto di ripartizione delle spese per la gestione delle cose comuni. Ne consegue che il
singolo condomino, il quale per vari anni ha effettuato il pagamento in base a tabella millesimale di fatto in vigore
- ancorch difforme da quella originaria - non pu opporsi al decreto ingiuntivo, emesso ai sensi dell'art. 63 att.
c.c., finch non propone domanda giudiziaria (nei confronti di tutti i condomini e non del solo amministratore)
diretta ad ottenere la revisione di tale tabella di fatto e salva ripetizione delle maggiori somme pagate.
Cass. Civ. 724 - 23/01/95
Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra propriet autonome
e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio
condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative all'uso delle
cose comuni (art. 1102 c.c.), cio nel caso in cui l'applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime

e delle une e delle altre sia possibile una complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative
all'uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilit di quelle relative alle distanze legali che, nel
condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di
subordinazione rispetto alle prime. (Nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro
condominiale, ed in prossimit della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica
condominiale).
Cass. Civ. 870 - 25/01/95
Poich a norma dell'art. 1122 c.c. il limite alla facolt di ogni condomino di eseguire opere sul proprio piano (o
porzione di piano di sua propriet) si identifica in ogni danno consistente nella diminuzione di valore della cosa
comune riferito alla funzione della cosa, considerata nella sua unit, costituisce danno per le cose comuni anche
il pericolo attuale e non meramente ipotetico connesso con il rischioso funzionamento o con la realizzazione
imperfetta di un impianto autonomo di riscaldamento, quando la tecnica di realizzazione e la complessit delle
operazioni necessarie per l'uso dello stesso comportino la possibilit di recare danno all'impianto di
riscaldamento centrale.
Cass. Civ. - 948 - 26/01/95
In tema di condominio, poich l'art. 70 att. c.c. prevede che per le infrazioni al regolamento di condominio pu
essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento, sono nulle, in quanto contra
legem, le eventuali disposizioni del regolamento di condominio che dovessero prevedere sanzioni di importo
maggiore
Cass. Civ. 1028 - 28/01/95
L'accettazione, da parte dei condomini, della tabella millesimale predisposta dal venditore- costruttore ed
allegata ai singoli contratti di vendita d luogo ad una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese che,
anche se si discosta da quelli fissati dalla legge per la ripartizione delle spese relative alle parti comuni
dell'edificio, vincolata tra le parti, attesa la derogabilit dei predetti criteri legali, salva la possibilit di revisione
delle tabelle millesimali per errore sul valore effettivo delle singole unit immobiliari, prevista dall'art. 69 att. cod.
civ.
Cass. Civ. 1033 -28/01/95
La comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea dei condomini pu essere data con qualsiasi
forma idonea al raggiungimento dello scopo e pu essere provata anche da univoci elementi dai quali risulti che
il condomino ha, in concreto, ricevuta la notizia. (Nella specie, si ritenuta sufficiente la prova desumibile da un
foglio nel quale risultava apposta la firma dei condomini per "ricevuta convocazione assemblea condominiale del
25-26 febbraio 1988).
Cass. Civ. 1255 - 02/02/95
Nel condominio degli edifici la compropriet delle parti comuni indicate dall'art. 1117 del codice civile e, pi in
generale, che servono per l'esistenza e l'uso delle singole propriet immobiliari, alla quale si lega l'obbligo di
partecipazione alle relative spese di manutenzione e conservazione (che il comma 1 dell'art. 1123 c.c. pone a
carico dei condomini in proporzione delle rispettive quote, indipendentemente dalla misura dell'uso) ha il suo
fondamento nel collegamento strumentale, materiale o funzionale ed, in altri termini, nella relazione di
accessorio a principale con le singole unit (piani o porzioni di piano) in propriet individuale dell'immobile, per
cui le cose, i servizi e gli impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle unit immobiliari di una parte soltanto
dell'edificio appartengono solo ai proprietari di queste (unit) e non ai proprietari delle unit immobiliari dell'altra
parte, rispetto alle quali manca quel rapporto di pertinenza che il presupposto necessario del diritto di
comunione. Ne consegue che le spese di manutenzione e conservazione delle cose e degli impianti che
servono solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, debbono essere sostenute
solo dai proprietari delle unit immobiliari di questa parte, e non dagli altri, secondo il principio generale del
comma 3 dell'art. 1123 c.c., a norma del quale "quando un edificio abbia pi scale, cortili, lastrici solari, opere o
impianti le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilit (nel
caso specifico, stato negato che i proprietari dei box contenuti in un immobile che, bench posto all'interno del
perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, era separato dall'edificio con le unit abitative, dovessero
concorrere alle spese di manutenzione della facciata di questo edificio).
Cass. Civ. 1455 - 09/02/95
Nel condominio degli edifici la compropriet delle parti comuni indicate dall'art. 1117 del codice civile e, pi in
generale, che servono per l'esistenza e l'uso delle singole propriet immobiliari, alla quale si lega l'obbligo di
partecipazione alle relative spese di manutenzione e conservazione (che il comma 1 dell'art. 1123 c.c. pone a
carico dei condomini in proporzione delle rispettive quote, indipendentemente dalla misura dell'uso) ha il suo
fondamento nel collegamento strumentale, materiale o funzionale ed, in altri termini, nella relazione di
accessorio a principale con le singole unit (piani o porzioni di piano) in propriet individuale dell'immobile, per
cui le cose, i servizi e gli impianti necessari per l'esistenza e l'uso delle unit immobiliari di una parte soltanto
dell'edificio appartengono solo ai proprietari di queste (unit) e non ai proprietari delle unit immobiliari dell'altra
parte, rispetto alle quali manca quel rapporto di pertinenza che il presupposto necessario del diritto di
comunione. Ne consegue che le spese di manutenzione e conservazione delle cose e degli impianti che
servono solo una parte del fabbricato, formando oggetto di condominio separato, debbono essere sostenute

solo dai proprietari delle unit immobiliari di questa parte, e non dagli altri, secondo il principio generale del
comma 3 dell'art. 1123 c.c., a norma del quale "quando un edificio abbia pi scale, cortili, lastrici solari, opere o
impianti le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilit (nel
caso specifico, stato negato che i proprietari dei box contenuti in un immobile che, bench posto all'interno del
perimetro condominiale delimitato da un muro di cinta, era separato dall'edificio con le unit abitative, dovessero
concorrere alle spese di manutenzione della facciata di questo edificio).
Cass. Civ. 1560 -13/02/95
I divieti e le limitazioni di destinazione delle unit immobiliari di propriet esclusiva dei singoli condomini, come i
vincoli di una determinata destinazione ed il divieto di mutare la originaria destinazione, posti con il regolamento
condominiale predisposto dall'originario proprietario ed accettati con l'atto d'acquisto, devono risultare da una
volont chiaramente ed espressamente manifestata nell'atto o da una volont desumibile, comunque, in modo
non equivoco dall'atto stesso, e non certamente sufficiente, a tal fine, la semplice indicazione di una
determinata attuale destinazione delle unit immobiliari medesime, trattandosi di una volont diretta a
restringere facolt normalmente inerenti alla propriet esclusiva da parte dei singoli condomini. I divieti e le
limitazioni di cui sopra possono essere formulati nel regolamento sia mediante la elencazione delle attivit
vietate (in tal caso, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, baster verificare se
la destinazione stessa sia inclusa nell'elenco) sia mediante riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di
evitare; in questo secondo caso, naturalmente, al fine suddetto, necessario accertare la idoneit in concreto
della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vollero evitare.
Cass. Civ. 1597 - 14/02/95
Il distacco delle diramazioni relative ad una o pi unit immobiliari dell'edificio condominiale dall'impianto
centrale di riscaldamento consentito quando il condomino interessato provi che da questo deriver un'effettiva
proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificher uno squilibrio in pregiudizio del regolare
funzionamento dell'impianto centrale stesso.
Cass. Civ. 1890 - 21/02/95
In materia di condominio negli edifici, al potere dell'assemblea del condominio di deliberare, nelle forme e con le
maggioranze prescritte, l'esecuzione delle opere necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti
comuni e per l'esercizio dei servizi condominiali, fa riscontro l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle
relative spese, discendente dalla titolarit del diritto reale sull'immobile ed integrante un'obbligazione propter rem
preesistente all'approvazione, da parte dell'assemblea, dello stato di riparto, ed in concreto direttamente
correlato alla precedente deliberazione, di esecuzione delle opere. Ne consegue che, quando la contestazione
del condomino investa, prima ancora che il quantum dell'obbligo di contribuzione, il relativo an, tale ultima
deliberazione che deve essere impugnata nel termine di decadenza di cui all'art. 1137, comma 3, c.c., ove si
assuma essere la deliberazione affetta da vizi formali, perch presa in violazione di prescrizioni legali,
convenzionali o regolamentari attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea, o da
eccesso di potere o da incompetenza; svincolata da tale termine invece la delibera radicalmente nulla perch
esorbitante dai limiti delle attribuzioni dell'assemblea o concernente innovazioni lesive dei diritti di ciascun
condomino sulle cose o servizi comuni o su quelle di propriet esclusiva di ognuno di essi.
Cass. Civ. 1980 - 22/02/95
Nella causa promossa da un condomino contro il condominio, ai sensi dell'art. 1136, comma sesto, c.c.,
l'assemblea del condominio, chiamata a dichiarare se debba costituirsi e resistere, non pu deliberare, se non
consta che sono stati invitati tutti i condomini, ivi compreso il condomino che ha promosso la causa.
Cass. Civ. 2329 - 01/03/95
Il condominio pu deliberare, con la maggioranza qualificata di cui al comma 1 dell'art. 1120 c.c., che il
dismesso impianto centralizzato di riscaldamento sia mantenuto in esercizio solo per il riscaldamento dei locali
condominiali, trattandosi di un'attivit che, senza alterarne la consistenza e la destinazione originaria, attua il
potenziamento ed il migliore godimento della cosa comune.
Cass. Civ. 2324 - 01/03/95
La norma di cui all'art. 1117 c.c., che include le scale tra le cose che si presumono comuni, ove non risulti
espressamente dal titolo, non limitata all'ipotesi di edifici divisi per piano, ma applicabile, per analogia, anche
quando si tratti di edifici limitrofi appartenenti a proprietari diversi, persino se aventi caratteristiche di edifici
autonomi, sempre che le cose di cui si controverte, pur insistenti sull'area di uno solo di essi (o a cavallo del
confine), risultino destinate oggettivamente e stabilmente alla conservazione o all'uso di entrambi gli edifici
medesimi.
Cass. Civ. 2861 - 11/03/95
Nel caso in cui un cortile a livello del piano stradale, che sia in uso esclusivo al condominio, funga da copertura
ad un locale cantinato di propriet di un terzo, ove dalla cattiva manutenzione del cortile siano derivate
infiltrazioni d'acqua nel sottostante locale, l'obbligazione risarcitoria del condominio trova la sua fonte, non gi
nelle norme in materia di ripartizione degli oneri condominiali di cui agli artt. 1123, 1125 e 1126 c.c., bens nel
disposto dell'art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini dell'accertamento della responsabilit, sufficiente
che il danneggiato fornisca la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso (che risulti
riconducibile ad una anomalia, originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa stessa),

nonch dell'esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di
vigilare onde evitare che produca danni a terzi.
Cass. Civ. 3366 - 23/03/95
L'art. 1130 n. 4 c.c. che attribuisce all'amministratore del condominio il potere di compiere gli atti conservativi dei
diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio deve interpretarsi estensivamente nel senso che oltre agli atti
conservativi necessari ad evitare pregiudizi a questa od a quella parte comune, l'amministratore ha il
potere-dovere di compiere analoghi atti per la salvaguardia dei diritti concernenti l'edificio condominiale
unitariamente considerato. Rientra, pertanto, nel novero degli atti conservativi di cui all'art. 1130 n. 4 l'azione
dell'art. 1669 c.c. intesa a rimuovere i gravi difetti di costruzione, nel caso in cui questi riguardino l'intero edificio
condominiale e i singoli appartamenti, vertendosi in una ipotesi di causa comune di danno che abilita
alternativamente l'amministratore del condominio ed i singoli condomini ad agire per il risarcimento, senza che
possa farsi distinzione fra parti comuni e singoli appartamenti o parte di essi soltanto.
Cass. Civ. 3368 - 23/03/95
Non sussiste un rapporto di inscindibilit fra le cause riguardanti i vari condomini di un edificio in ordine all'uso
delle cose comuni sicch non ricorre la necessit di integrazione del contraddittorio in sede di impugnazione ex
art. 331 c.p.c. nei confronti del condominio pretermesso. La nozione di pari uso della cosa comune che ogni
compartecipe nell'utilizzare la cosa medesima deve consentire agli altri, a norma dell'art. 1102 c.c., non va
intesa nel senso di uso identico perch l'identit nello spazio o addirittura nel tempo potrebbe importare il divieto
per ogni condomino di fare della cosa comune un uso particolare o a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che
per stabilire se l'uso pi intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio fra i
partecipanti al condominio - e perci da ritenersi non consentito a norma dell'art. 1102 - non deve aversi
riguardo all'uso fatto in concreto di detta cosa da altri condomini in un determinato momento, ma di quello
potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.
Cass. Civ. 3708 -29/03/95
Qualora un servizio condominiale (nella specie: portierato) sia previsto nel regolamento di condominio, la sua
soppressione comporta una modificazione del regolamento che deve essere approvata dall'assemblea con la
maggioranza stabilita dall'art. 1136, secondo comma, c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno
la met del valore dell'edificio) richiamato dall'art. 1138, comma 3.
Cass. Civ. 3840 - 01/04/95
L'opera nuova pu dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune o sue singole parti,
interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se
l'opera, pur essendo utilizzabile da tutti i condomini, stata costruita esclusivamente a spese di uno solo dei
condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi
della stessa contribuendo, ai sensi dell'art. 1120 c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione. (Nella
specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne dell'edificio condominiale con una strada
posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il
sottosuolo comuni, anche un terreno in propriet esclusiva del condomino che le aveva eseguite).
Cass. Civ. 4156 -11/04/95
Allorquando, ai sensi degli artt. 61 e 62 att. c.c., l'unico condominio comprendente un complesso immobiliare si
sciolga e si costituiscano tanti condominii separati, si verifica, ai fini processuali, una situazione cui va applicata,
in via analogica, la disposizione di cui all'art. 110 c.p.c. Ne consegue che il processo intrapreso contro l'originario
condominio, venuto meno quest'ultimo, deve essere proseguito nei confronti dei nuovi condominii risultanti dallo
scioglimento.
Cass. Civ. 4465 -20/04/95
In virt della natura pubblicistica del vincolo di destinazione che l'art. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765 ha
imposto sulle aree di parcheggio pertinenti ai fabbricati ed alle esigenze di carattere generale che stanno alla
base dell'imposizione del detto vincolo, nelle ristrutturazioni di edifici preesistenti alla sua entrata in vigore che
comportino la realizzazione di fabbricati dotati di spazi di parcheggio, questi, entro i limiti quantitativi stabiliti dalla
legge, restano assoggettati alla disciplina di cui alla citata disposizione normativa e, quindi, al diritto d'uso dei
proprietari dei fabbricati stessi e delle relative porzioni. Ogni partecipante al condominio titolare della facolt di
agire anche da solo e individualmente a difesa dei diritti comuni inerenti al fabbricato condominiale ed alle sue
componenti. Pertanto, sussiste la legittimazione del singolo condomino ad agire, in base all'art. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765, per l'accertamento del diritto condominiale di uso degli spazi di parcheggio inerenti al
fabbricato. A norma dell'art. 345 c.p.c., pu configurarsi un mutamento di domanda non consentito, riguardo al
petitum, solo quando risulti innovato l'oggetto della pretesa, inteso non come petitum immediato (ossia, come
provvedimento richiesto), bens come petitum mediato (cio, come richiesta di attribuzione di un determinato
bene). Ne consegue che da escludere la ravvisabilit di una mutatio libelli vietata, dovendosi invece ritenere
ricorrente una consentita emendatio, allorch la modifica della domanda iniziale venga ad incidere sul petitum
solo nel senso di adeguarlo in una direzione pi idonea a legittimare la concreta attribuzione del bene materiale
oggetto dell'originaria domanda. (Nella specie, i ricorrenti avevano chiesto la tutela dei loro diritti sugli spazi di
parcheggio di un edificio, a norma dell'art. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765, reclamando l'attribuzione del bene
a titolo di dominio in primo grado ed a titolo di uso in secondo grado. Il giudice d'appello aveva ritenuto

improponibile la domanda siccome nuova. La Suprema Corte, in applicazione dell'enunciato principio, ha


ritenuto, invece, ricorrere una lecita emendatio libelli ed ha cassato la pronunzia del giudice di merito).
Cass. Civ. 4588 -22/04/95
Il credito del locatore per il pagamento degli oneri condominiali posti a carico del conduttore dall'art. 9 della
legge sull'equo canone si prescrive nel termine di due anni indicato dall'art. 6 della L. 22 dicembre 1973, n. 841
per il diritto del locatore al rimborso delle spese sostenute per la fornitura dei servizi posti, per contratto, a carico
del conduttore, perch tale norma, anche se inserita in una legge relativa alla proroga dei contratti di locazione
degli immobili ad uso d'abitazione, introduce una deroga al principio codicistico della prescrizione quinquennale
del canone di locazione e di ogni altro corrispettivo di locazione fissato dall'art. 2948, n. 3, c.c. che risponde ad
un'esigenza di rapida definizione di quell'accessorio rapporto giuridico, comune ad ogni locazione, e che ,
pertanto, applicabile anche agli oneri accessori dovuti dal conduttore in base all'art. 9 della L. 27 luglio 1978, n.
392, senza che a ci osti l'art. 84 di quest'ultima legge che, disponendo l'abrogazione di tutte le norme
incompatibili con la legge sull'equo canone, non pu essere riferita anche alla disposizione in materia di
prescrizione del sopra citato art. 6, che trascende il regime vincolistico.In tema di condominio negli edifici, dal
combinato disposto degli artt. 1137 c.c., 9 e 10 della L. 27 luglio 1978, n. 392 si desume che il conduttore, il
quale abbia partecipato all'assemblea condominiale avente ad oggetto le spese e le modalit di gestione dei
servizi di riscaldamento e condizionamento d'aria o sia stato posto in condizione di parteciparvi, contribuendo
alla relativa deliberazione, non pu, nel caso che abbia omesso di impugnare la deliberazione stessa, sottrarsi
dal rimborsare al condomino - locatore le menzionate spese, a meno che non provi, nel caso che lamenti la
mancanza o l'insufficienza della relativa fornitura, che esse derivino da difetti o guasti della parte dell'impianto di
esclusiva propriet del condomino - locatore stesso (art. 1117 c.c.), la cui riparazione sia posta dalla legge a
carico di quest'ultimo (artt. 1575 e 1576 c.c.).
Cass. Pen. 5215 - 09/5/95
Ai fini della configurabilit dei reati di cui agli artt. 659, comma primo, e 674 c.p., l'attitudine, rispettivamente, dei
rumori a disturbare le occupazioni o il riposo delle persone e delle emissioni di gas, vapori o fumi a molestare
persone non deve necessariamente essere accertata mediante perizia, ben potendo, al contrario, il giudice,
secondo le regole generali, fondare il proprio convincimento al riguardo su elementi probatori di diversa natura
quali, in particolare, le dichiarazioni testimoniali di coloro che siano in grado riferire caratteristiche ed effetti dei
rumori e delle emissioni summenzionati, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell'espressione di valutazioni
meramente soggettive o di giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dai
dichiaranti medesimi. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto che legittimamente fosse
stata affermata la responsabilit dell'imputato, gestore di una discoteca, in ordine ai reati in questione, sulla base
delle dichiarazioni testimoniali di soggetti i quali avevano riferito che durante le ore notturne non riuscivano a
dormire a cagione delle emissioni sonore provenienti da detta discoteca e che i fumi parimenti da essa
provenienti invadevano abitualmente la tromba delle scale condominiali).
Cass. Civ. 5385 - 16/5/95
Il condomino tenuto al pagamento dei contributi per le spese preesistenti all'approvazione del bilancio, ma
fornite di forza esecutiva in quanto costituenti obbligazione nei confronti di terzi estranei.
Cass. Civ. 5612 - 22/5/95
L'actio negatoria servitutis pu essere utilmente esperita anche soltanto da uno dei comproprietari del fondo,
senza che ci comporti la necessit di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri.
Cass. Civ. 5640 - 23/5/95
Il comproprietario pu usucapire la propriet esclusiva della cosa comune solo possedendola, animo domini, per
il tempo necessario, in modo inconciliabile con la possibilit di fatto di un godimento comune, come nel caso in
cui la cosa venga attratta nella sua sfera di materiale ed esclusiva disponibilit mediante una attivit che valga,
comunque, ad escludere il concorrente compossesso degli altri comproprietari.
Cass. Civ. 6496 - 8/6/95
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica
data dall'insieme delle linee e delle strutture che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti
dell'edificio, nonch all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica, fisionomia, senza che
occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico. L'indagine volta a stabilire se, in concreto,
un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico, demandata al giudice del merito, il cui
apprezzamento sfugge al sindacato di legittimit, se congruamente motivato. L'art. 1120 c.c., nel richiedere che
le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con una determinata maggioranza, mira
essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una spesa da ripartire tra tutti i
condomini su base millesimale. Ne consegue che, quando le spese debbano far carico esclusivamente al
gruppo di condomini che ne trae utilit, trattandosi di innovazioni destinate a servire solo una parte dell'edificio
condominiale (art. 1123), terzo comma, c.c., il computo della maggioranza prescritta dal primo comma dell'art.
1120 c.c. deve operarsi con riferimento ai soli condomini interessati, ossia a quelli facenti parte di detto gruppo.
Cass. Civ. 7069 - 22/6/95
La facciata e il relativo decoro architettonico di un edificio costituiscono un modo di essere dell'immobile e cos
un elemento del modo di godimento da parte del suo possessore; di conseguenza la modifica della facciata,

comportando una interferenza nel godimento medesimo, pu integrare una indebita turbativa suscettibile di
tutela possessoria.
Cass. Civ. 7077 - 22/6/95
In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalit tra spese ed uso di cui al secondo comma dell'art.
1123 c.c., secondo cui (salva contraria convenzione) le spese per la conservazione ed il godimento delle parti
comuni dell'edificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in
proporzione dell'uso che ciascuno pu farne, esclude che le spese relative alla cosa che in alcun modo, per
ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, pu servire ad uno o pi condomini possano essere poste
anche a carico di questi ultimi. (Nella specie, si trattava delle spese di installazione delle porte tagliafuoco
dell'atrio comune nel quale si aprivano le porte di alcune autorimesse in propriet esclusiva di singoli condomini,
secondo le prescrizioni della legge 7 dicembre 1984 n. 818 e del D.M. 16 febbraio 1982).
Cass. Civ. 7148 - 23/6/95
I balconi, essendo elementi accidentali rispetto alla struttura del fabbricato e non avendo funzione portante
(assolta da pilastri ed architravi), non costituiscono parti comuni dell'edificio ai sensi dell'art. 1117 c.c., anche se
inseriti nella facciata, in quanto formano parte integrante dell'appartamento che vi ha accesso come
prolungamento del piano. Conseguentemente la domanda di demolizione dei medesimi va proposta nei
confronti dei condomini proprietari degli appartamenti ai quali sono annessi i balconi, sicch il contraddittorio pu
considerarsi integro anche se non sono stati chiamati in giudizio il condominio ovvero tutti gli altri condomini
dell'edificio.
Cass. Civ. 7155 - 23/6/95
La domanda di accertamento del diritto reale di uso dell'area destinata a parcheggio condominiale ai sensi
dell'art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942 n. 1150 (nel testo novellato dalla legge 6 agosto 1967 n. 765) e
dell'art. 26 comma 5 legge 28 febbraio 1985 n. 47, non nuova rispetto alla domanda di accertamento del diritto
di compropriet originariamente proposta dalla parte, quale proprietaria di una unit abitativa dell'edificio, perch
non altera radicalmente il petitum di tale domanda, il cui oggetto mediato (l'area condominiale destinata a
parcheggio) rimane comunque inalterato, ma lo modifica soltanto, adeguandolo in una direzione pi idonea a
legittimare la concreta attribuzione del bene materiale che ne oggetto.
Cass. Civ. 7544 - 08/7/95
La rappresentanza processuale dell'amministratore del condominio non incontra, dal lato passivo, limite alcuno
nelle controversie riguardanti cose o parti comuni, in ordine alle quali l'amministratore pu, quindi, anche
proporre impugnazioni, compreso il ricorso per cassazione, senza autorizzazione dell'assemblea.
Cass. Civ. 7546 - 08/7/95
L'unit sistematica tra la disposizione dell'art. 1118 primo comma c.c., a norma del quale il diritto di ciascun
condomino sulle parti comuni dell'edificio proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli
appartiene, e la disposizione del primo comma dell'art. 1123 c.c., per il quale le spese necessarie per la
conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse
comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale
al valore della propriet di ciascuno, non impedisce, trattandosi di norme derogabili, che siano
convenzionalmente previste discipline diverse e differenziate tra loro dei diritti di ciascun condomino sulle parti
comuni (che possono essere attribuiti in proporzione diversa - maggiore o minore - rispetto a quella della sua
quota individuale di piano o porzione di piano) e degli oneri di gestione del condominio, che possono farsi
gravare sui singoli condomini indipendentemente dalla rispettiva quota di propriet delle cose comuni o dall'uso.
(Nella specie, stata riconosciuta la validit dell'accordo che attribuiva ai condomini, proprietari di unit abitative
di diverso valore, un uguale diritto dominicale sulle parti comuni prevedendo la formazione di tabelle millesimali
solo ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione e pulizia delle stesse).
Cass. Civ. 7752 - 15/7/95
L'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante sottoposto dall'art. 1102 c.c. a due limiti
fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli
altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Pertanto, a rendere illecito l'uso basta il mancato
rispetto dell'una o dell'altra delle due condizioni, sicch anche l'alterazione della destinazione della cosa comune
determinato non soltanto dal mutamento della funzione, ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore,
ricade sotto il divieto stabilito dall'art. 1102 cod. civ. Negli edifici condominiali l'utilizzazione delle parti comuni
con impianto a servizio esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle regole dettate dall'art. 1102
c.c., comportanti il divieto di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto, ma anche l'osservanza delle norme del codice in tema di distanze,
onde evitare la violazione del diritto degli altri condomini sulle porzioni immobiliari di loro esclusiva propriet.
Tale disciplina, tuttavia, non opera nell'ipotesi dell'installazione di impianti che devono considerarsi indispensabili
ai fini di una reale abitabilit dell'appartamento, intesa nel senso di una condizione abitativa che rispetti
l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo
l'apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unit immobiliari altrui.
Cass. Civ. 8079 - 24/7/95

La dichiarazione del condomino soccombente di non voler avvalersi dell'impugnazione avverso la sentenza
emessa nei confronti suoi, del condominio e di altri condomini, validamente resa, con effetti preclusivi della
proponibilit del gravame, nel corso di un'assemblea condominiale, senza necessit che il verbale nel quale
essa viene riportata sia sottoscritto dal condomino, giacch la dichiarazione di voler prestare acquiescenza ad
una sentenza, potendo essere resa anche tacitamente, non soggetta al requisito della forma scritta, mentre la
sottoscrizione del verbale assembleare da parte dei condomini necessaria solo quando la delibera abbia il
contenuto di un contratto per il quale sia richiesto ad substantiam il suddetto requisito.
Cass. Civ. 8085 - 25/7/95
Il potere di ogni condomino di agire per la gestione ordinaria della cosa comune, traendo origine dal diritto di
concorrere all'amministrazione di tale bene (art. 1105 c.c.), incontra il suo limite nell'obbligo di rispettare la
volont della maggioranza. Pertanto, allorch un immobile locato appartenga ad una molteplicit di condomini e
dagli stessi sia congiuntamente stipulato il relativo contratto, la maggioranza dei condomini a stabilire circa
l'amministrazione ed il godimento della cosa comune e quindi, della possibilit e volont di disdire e far cessare,
alla scadenza contrattuale, il contratto di locazione, anche in contrasto con la minoranza dissenziente.
Cass. Civ. 8484 - 03/8/95
L'art. 10 della L. 27 luglio 1978 n. 392 non ha previsto che i conduttori possano sostituirsi al locatore nella
gestione dei servizi condominiali ed, in particolare, in quello della fornitura del riscaldamento, bens ha introdotto
un meccanismo volto a consentire la partecipazione dei conduttori stessi alle assemblee condominiali con
riguardo alle decisioni dei proprietari locatori, senza che, nel caso di edifici non in condominio, ne derivi un
obbligo del proprietario dell'edificio di convocare in assemblea i conduttori. Ne consegue che non configurabile
in capo al proprietario locatore n un inadempimento, n un obbligo di conseguente risarcimento dei danni in
confronto del conduttore per non averne convocato l'assemblea ed il conduttore non pu invocare il principio di
cui all'art. 1460 c.c. per esimersi dal concorrere alle spese di riscaldamento.
Cass. Civ. 8602 - 04/8/95
L'azione concessa al proprietario ex art. 844 c.c., per far dichiarare l'illiceit delle immissioni moleste provenienti
dal fondo altrui e per impedire che l'immobile proprio le subisca, costituisce un'azione di carattere reale, che
rientra nel paradigma delle azioni negatorie predisposte a tutela della propriet, in ordine alle quali il valore della
causa va determinato in base al disposto dell'art. 15 c.p.c. Ne consegue, che, quando agli atti non risulta il
reddito dominicale o la rendita catastale del bene immobile, si ha presunzione di competenza del giudice adito, e
grava sul convenuto, che eccepisce l'incompetenza per valore, l'onere di provare l'ammontare del predetto
reddito o della predetta rendita (o che, non risultando tali elementi di valutazione, la causa deve considerarsi di
valore indeterminabile), senza che i limiti di competenza per valore possano ritenersi superati per effetto di
un'ulteriore richiesta risarcitoria, atteso che la riserva di contenimento della competenza va riferita all'intero
petitum.
Cass. Civ. 8643 - 07/8/95
Il contenuto ed i limiti della servit di passaggio vanno desunti dal titolo costitutivo interpretato, ove occorra,
anche in rapporto alla situazione dei luoghi senza che questa possa assumere rilievo autonomo e
preponderante. In ogni caso, ove il titolo per la sua formulazione presenti dei dubbi sulle modalit di esercizio, la
servit deve ritenersi costituita in guisa da soddisfare il bisogno del fondo dominante con il minor aggravio del
fondo servente, sicch correttamente viene riscontrata dal giudice di merito la sola servit di passaggio
pedonale, ove non si possano ravvisare gli estremi del passaggio carrabile.
Cass. Civ. 9113 - 29/8/95
Sugli immobili oggetto di comunione concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestorii da parte di tutti i
comproprietari, in virt della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri. Ne consegue che il
singolo condomino pu stipulare il contratto di locazione avente ad oggetto l'immobile in comunione e che un
condomino diverso da quello che ha assunto la veste di locatore legittimato ad agire per il rilascio del bene
stesso (senza che sia necessaria l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini), purch non
risulti l'espressa ed insuperabile volont contraria degli altri comproprietari, la quale fa venire meno il presunto
consenso della maggioranza.
Cass. Civ. 10837 - 17/10/95
L'art. 70 att. c.c., in base al quale il regolamento di condominio pu prevedere delle sanzioni pecuniarie a carico
dei trasgressori delle sue disposizioni, ha carattere di norma eccezionale in quanto contempla una cosiddetta
"pena privata" che ha come destinatari i condomini. Essa, pertanto non pu ritenersi applicabile ai conduttori
degli alloggi condominiali, i quali, ancorch si trovino a godere delle parti comuni dell'edificio in base ad un
rapporto obbligatorio, rimangono estranei all'organizzazione condominiale.
Cass. Civ. 11068 - 24/10/95
Il contratto locativo stipulato tra il proprietario esclusivo dell'alloggio originariamente destinato al portiere ed il
condominio, ad uso di abitazione del portiere, non pu essere inquadrato in nessuna delle categorie di cui alla
legge 27 luglio 1978 n. 392 per uso abitativo o per uno degli usi di cui all'art. 27, restando quindi regolato dalla
disciplina ordinaria e residuale del codice civile. Le parti dell'edificio condominiale (locali per la portineria e per
l'alloggio del portiere ecc.) indicate al n. 2 dell'art. 1117 c.c. - che al pari di quelle indicate ai nn. 1 e 3 dello

stesso articolo sono oggetto di propriet comune se il contrario non risulta dal titolo - sono anche suscettibili, a
differenza delle parti dell'edificio di cui ai citati nn. 1 e 3 di utilizzazione individuale in quanto la loro destinazione
al servizio collettivo dei condomini non si pone in termini di assoluta necessit. Pertanto, in relazione ad esse
occorre accertare nei singoli casi se l'atto che le sottrae alla presunzione di propriet comune contenga anche la
risoluzione o il mantenimento del vincolo di destinazione derivante dalla loro natura, configurandosi nel secondo
caso l'esistenza di un vincolo obbligatorio propter rem fondato su una limitazione del diritto del proprietario e
suscettibile di trasmissione in favore dei successivi acquirenti dei singoli appartamenti anche in mancanza di
trascrizione (peraltro possibile ai sensi dell'art. 2646 c.c.).
Cass. Civ. 11138 - 26/10/95
La deliberazione dell'assemblea condominiale di sigillare le cosiddette "canne pattumiere" non concreta
l'approvazione di un'innovazione vietata a norma del secondo comma dell'art. 1120 c.c., bens la statuizione di
una modalit di svolgimento del servizio di smaltimento dei rifiuti, per il quale dette "canne" non sono
indispensabili, che pu essere adottata dalla maggioranza dei condomini sulla base di valutazioni di opportunit
(nella specie, relativa ai costi ed alle ragioni di igiene) e, come tale, insindacabile, quanto al merito, dall'autorit
giudiziaria.
Cass. Civ. 11197 - 27/10/95
Tra la domanda proposta dal condomino, nei confronti degli altri partecipanti al condominio, tendente ad
ottenere il rimborso delle spese effettuate per le cose comuni (nella specie, di riparazione del tetto dell'edificio
condominiale), in considerazione della loro urgenza, e la medesima domanda, fondata sulla prova dell'esistenza
del consenso manifestato dagli altri partecipanti, sussiste diversit di causa petendi, in quanto la prima diretta
a provare un'attivit gestoria del condomino, la seconda l'esistenza di un'autorizzazione o di una delega da parte
dell'assemblea condominiale. Ne consegue, che, a norma dell'art. 345 c.p.c., nel caso in cui in primo grado sia
stata proposta la prima domanda, inammissibile, in quanto nuova, la seconda domanda proposta in grado
d'appello.
Cass. Civ. 11276 - 28/10/95
nulla la delibera adottata da una assemblea di supercondominio, a maggioranza dei suoi componenti, istitutiva
di un unico condominio tra i vari edifici interessati, in quanto lesiva del diritto di ciascun condomino di far parte
del condominio costituito dal solo edificio in cui era proprietario di unit immobiliari; sono altres nulle, di
conseguenza, le delibere assunte successivamente da assemblee convocate come se esistesse un unico
condominio, per deliberare su materie attinenti ai singoli fabbricati.
Cass. Civ. 11278 - 28/10/95
L'interpretazione del regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice del merito insindacabile in
sede di legittimit, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica, oppure vizi logici.
Cass. Civ. 11227 - 25/11/95
In tema di uso della cosa comune, non pu ritenersi consentita l'installazione, da parte di un condomino, per suo
esclusivo vantaggio ed utilit, di un cancello in un certo punto di un viottolo comune, destinato fin dalla
costituzione del condominio al passaggio dei condomini, per l'accesso, tra l'altro, a vani di propriet esclusiva dei
medesimi (nei quali sono sistemate e custodite, nella specie, le utenze domestiche di ciascuno di essi), in
quanto detta installazione costituisce - anche in caso di messa a disposizione degli altri condomini delle chiavi
del cancello - una modificazione delle modalit di uso o di godimento della cosa comune, che interferisce sul
"pari uso" della stessa spettante agli altri condomini.
Cass. Civ. 12342 - 29/11/95
Il regolamento di condominio, quali ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche quando
abbia natura contrattuale, si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto
della collettivit condominiale, come atto volto ad incidere con un complesso di norme giuridicamente vincolanti
per tutti i componenti di detta collettivit, su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico ed a porsi come
fonte di obblighi e diritti non tanto per la collettivit come tale quanto, soprattutto, per i singoli condomini;
consegue da ci che l'azione promossa per ottenere declaratoria della nullit, totale o parziale, del regolamento
medesimo esperibile non da e nei confronti del condominio, carente di legittimazione in ordine ad una siffatta
domanda ma da uno o pi condomini nei confronti di tutti gli altri, in situazione di litisconsorzio necessario, non
potendo, altrimenti, risultare utiliter data l'eventuale sentenza di accoglimento.
Cass. Civ. 12636 - 09/12/95
Il condominio non legittimato passivo nei confronti della domanda di risarcimento dei danni proposta
dall'amministratore per la revoca dell'incarico disposta dall'autorit giudiziaria, atteso che i condomini che
chiedono la revoca, ai sensi dell'art. 1129 c.c., esercitano un diritto proprio e non agiscono in virt di un mandato
reciproco esistente tra tutti i condomini.
Cass. Civ. 12894 - 18/12/95
La spesa per la riparazione dei canali di scarico dell'edificio in condominio, che, ai sensi dell'art. 1117 n. 3 c.c.,
sono oggetto di propriet comune fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di propriet esclusiva dei
singoli, sono a carico di tutti i condomini per la parte relativa alla colonna verticale di scarico ed a carico dei

rispettivi proprietari per la parte relativa alle tubazioni che si diramano verso i singoli appartamenti. (Nella specie,
sulla base del principio affermato, si ritenuto che il giudice di merito avesse correttamente posto a carico del
singolo la spesa di riparazione del tratto della tubazione orizzontale che si innesta in quella verticale).
Cassazione del 19/11/1996 n. 10144
Titolo: Lamministratore, pu effettuare verifiche negli appartamenti, per verificare la parit di godimento dei beni
e/o servizi erogati.
Massima: Tra gli obblighi dellamministratore del condominio, ai sensi dellart.1130 comma 2 cod.civ. rientra la
vigilanza sui servizi comuni compreso alle interferenze su tali servizi, dai singoli appartamenti. A tal fine,
lamministratore pu eseguire verifiche e ripartire le necessarie provvidenze intese a mantenere integra la parit
del godimento dei beni e servizi da parte di tutti i condomini. (Art.1130 cod.civ.).
Cassazione del 28/11/1996 n. 10615
Titolo: Solo una delibera dell'assemblea pu' autorizzare l'amministratore ad agire contro terzi per la tutela delle
parti comuni..
Massima: Le azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio, quali
quelle volte a denunziare la violazione delle distanze legali tra costruzioni, essendo dirette a ottenere statuizioni
relative alla titolarit e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano, tra gli atti meramente conservativi e
possono, quindi, promuoversi dall'amministratore del condominio solo se sia autorizzato dall'assemblea a norma
dell'art.1131 comma primo, cod.civ. (Artt.872, 1130, 1131, 1136 cod.civ.).
Cassazione 16/02/1996 n. 1206
Titolo: E valida la convocazione assembleare quando, lavviso viene inviato al domicilio di uno coniugi
conviventi comproprietari dellappartamento.
Massima: La validit della convocazione per la riunione dellassemblea condominiale di uno dei comproprietari
"pro-indiviso" di piano o porzione di piano di un condominio pu evincersi anche dallavviso dato allaltro
comproprietario, qualora ricorrano circostanze presuntive tali da far ritenere che il secondo proprietario abbia
reso edotto il primo della convocazione stessa (nella specie, trattandosi di coniugi comproprietari di un
appartamento, conviventi in pieno accordo e senza contrasti di interessi tra loro, stato ritenuto presumibile che
lavviso notificato ad uno di essi per lassemblea condominiale fosse stato portato a conoscenza anche
dellaltro). (Art.1136 cod. civ., art. 66 disp .att. cod. civ.).
Cassazione del 10/04/1996 n. 3296
Titolo: L'amministratore pu chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo anche in base ai prospetti mensili delle
spese, ma non otterr la immediata esecuzione di tale decreto.
Massima: L'amministratore pu chiedere l'emissione del decreto ingiuntivo per i contributi dovuti dai condomini
non solo in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, ma anche in base ai prospetti mensili delle
spese condominiali non contestati, ma in questo secondo caso non pu ottenere la clausola di immediata
esecuzione nonostante opposizione. (Art.1130, 1131,cod.civ. art.63 disp. att. cod. civ.).
Corte di cassazione del 22/4/1996 n. 3805
Titolo : Mancata nomina dell'amministratore. Litisconsorzio necessario. L'azione va proposta nei confronti di tutti
i condomini.
Massima : Nell'ipotesi di mancata nomina dell'amministratore di condominio, la domanda giudiziaria riguardante
beni comuni deve essere proposta nei confronti di tutti i condomini, con la conseguenza che, ove si accerti in
grado di appello il difetto di integrit del contraddittorio, per essere stati convenuti in giudizio soltanto alcuni di
essi, il giudice di appello, a norma dell'art. 354 c.p.c. , deve dichiarare la nullit della sentenza impugnata e
rimettere la causa al giudice di primo grado per l'integrazione del contraddittorio e la trattazione della causa con
la partecipazione di tutti i condomini. (c.c., art. 1117 ; c.p.c., art. 354).
Cassazione del 24/04/1996 n. 3862
Titolo: Non indispensabile trascrivere nel verbale che l'assemblea in prima convocazione non si tenuta.
Massima: In tema di assemblea condominiale, la sua seconda convocazione condizionata dall'inutile e
negativo esperimento della prima, sia per completa assenza dei condomini, sia per insufficiente partecipazione
degli stessi in relazione al numero ed al valore delle quote. La verifica di tale condizione va' espletata nella
seconda convocazione, sulla base delle informazioni orali rese dall'amministratore, il cui controllo pu essere
svolto dagli stessi condomini, che o sono stati assenti alla prima convocazione, o, essendo stati presenti, sono
in grado di contestare tali informazioni. Pertanto, una volta accertata la regolare convocazione dell'assemblea,
l'omessa redazione del verbale che consacra la mancata riunione dell'assemblea in prima convocazione non
impedisce che si tenga l'assemblea in secondo convocazione, n la rende invalida. (Art.1136 cod. civ.).
Cassazione del 10//05/1996 n. 4388
Titolo: Il singolo condomino pu agire contro un terzo o contro il singolo condomino, a tutela degli spazi o dei
servizi comuni.
Massima: Ciascun comproprietario, in quanto titolare di un diritto che, sia pure nei limiti segnati dalla
concorrenza dei diritti degli altri partecipanti, investe l'intera cosa comune (e non una frazione della stessa),
legittimato ad agire o resistere in giudizio, senza il consenso degli altri, per la tutela della cosa comune, nei
confronti dei terzi o di un singolo condomino.(Artt.1102, 1105, cod.civ. 102 cod. proc. civ.).
Cassazione 27/01/1996 n. 642
Titolo: La destinazione d'uso dell'alloggio portiere, pu' essere variata con un'assemblea che deliberi con la
maggioranza degli intervenuti in seconda convocazione, che rappresentino almeno la met del valore
dell'edificio.
Massima: In tema di condominio negli edifici, la modifica della destinazione pertinenziale dei locali adibiti ad
alloggio portiere, anche se di origine contrattuale, non richiede l'unanimit dei consensi, bens una deliberazione
dell'assemblea dei condomini adottata con la maggioranza qualificata di cui al quinto comma dell'art.1136

cod.civ. (Artt.1136, 1138, cod.civ.)


Cassazione del 08/08/1996 n. 7286
Titolo: Nozione di supercondominio. Servizi comuni. Delibera di licenziamento del portiere assunta da uno solo
dei fabbricati.
Massima: Singoli edifici costituiti in altrettanti condomini vengono a formare un "supercondominio" quanto talune
cose, impianti e servizi comuni (viale d'ingresso, impianto centrale per il riscaldamento, parcheggio, locali per la
portineria o per l'alloggio portiere, ecc.) contestualmente sono legati, attraverso la relazione di accessorio a
principale, con pi edifici, appartengono ai proprietari delle singole unit immobiliari comprese nei diversi
fabbricati e sono regolati, se il titolo non dispone altrimenti, in virt di interpretazione estensiva o analogica, delle
norme dettate per il condominio degli edifici. Ne consegue che le disposizioni dettate dall'art. 1136 cod.civ. in
tema di convocazione, costituzione, formazione e calcolo delle maggioranze si applicano con riguardo agli
elementi reale e personale sul supercondominio, rispettivamente configurati da tutte le unit immobiliari
comprese nel complesso e da tutti i proprietari. (Nella specie, il servizio di portierato era destinato al servizio
degli edifici "A" e "B", costituiti in condomini autonomi; l'assemblea del condominio del solo edificio "A" deliber
la divisione del servizio di portierato ed il licenziamento del portiere. La S.C., in applicazione dell'enunciato
principio di diritto, ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato la nullit della predetta
deliberazione, per non essere stati convocati a partecipare alla assemblea in cui essa fu assunta, anche i
condomini dell'edificio "B"). (Art.1136 cod.civ.).
Cassazione del 09/08/1996 n. 7353
Titolo: In caso di nuovo condomino, la ripartizione di spese in deroga ai principi legali, non lo vincola se non
abbia manifestato la volont ad aderirvi.
Massima: L'efficacia di una convenzione con la quale, ai sensi dell'art.1123 primo coma, cod.civ., si deroga al
regime legale di ripartizione delle spese non si estende, in base all'art.1372 cod.civ., agli aventi causa a titolo
particolare degli originari stipulanti, a meno che detti aventi causa non abbiano manifestato il loro consenso nei
confronti degli altri condomini, anche per fatti concludenti, attraverso un'unica manifestazione tacita di volont,
dalla quale possa desumersi un determinato intento con preciso valore sostanziale (Artt.1123, 1372 cod.civ.).
Cassazione del 09/08/1996 n.7359
TITOLO: L'amministratore pu rispondere in un giudizio promosso da un condomino sul conflitto sorto inerente
le spese.
MASSIMA: L'amministratore del condominio e' legittimato passivamente a stare in causa, senza necessita' di
essere autorizzato dall'assemblea, nei giudizi aventi ad oggetto la ripartizione delle spese per le cose ed i servizi
comuni promossi dal condominio dissenziente dalla relativa deliberazione assembleare, in quanto la
controversia ha per oggetto un interesse comune dei condomini e coinvolge l'interesse di altri partecipanti alla
comunione in antitesi con l'interesse individuale del singolo condomino (Art.1131, c.c.)
Cassazione del 07/09/1996 n. 8159
Titolo: E' il proprietario del balcone che ha l'onere di provare che il materiale distaccato dai balconi che hanno
causato il danno, era parte di quelle parti del balcone che rientrano tra i beni ornamentali e comuni.
Massima: I balconi sono elementi accidentali e non portanti della struttura del fabbricato, non costituiscono parti
comuni dell'edificio e appartengono ai proprietari delle unit immobiliari corrispondenti, che sono gli unici
responsabili dei danni cagionati dalla caduta di frammenti di intonaco o muratura, che si siano da essi staccati,
mentre i fregi ornamentali e gli elementi decorativi, che ad essi ineriscono (quali i rivestimenti della fronte o della
parte sottostante della soletta, i frontalini e i pilastrini), sono condominiali, se adempiono prevalentemente alla
funzione ornamentale dell'intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi
corrispondenti, con la conseguenza che onere di chi vi ha interesse (il proprietario del balcone, da cui si sono
distaccati i frammenti, citato per il risarcimento), al fine da esimersi da responsabilit, provare che il danno f
causato dal distacco di elementi decorativi, che per la loro funzione ornamentale dell'intero edificio
appartenevano alle parti comuni di esso. (Art.1117 cod.civ).
Cassazione del 27/09/1996 - 8530
Titolo: L'amministratore cessato dall'incarico pu chiedere (al nuovo amministratore), il rimborso delle spese da
lui anticipate.
Massima: L'amministratore cessato dall'incarico, pu chiedere il rimborso delle somme da anticipate per la
gestione condominiale sia nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore
(dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente
dall'espletamento del mandato, che appunto riflette la gestione e la conservazione di quelle cose e impianti
comuni) sia, cumulative, nei confronti di ogni singolo condomino, la cui obbligazione di rimborsare
all'amministratore, mandatario, le anticipazioni da questo fatte nell'esecuzione dell'incarico deve considerarsi
sorta nel momento stesso in cui avviene l'anticipazione per effetto di essa, non pu considerarsi estinta dalla
nomina del nuovo amministratore, che amplia la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle
originali, sostanziali e processuali. L'amministratore del condominio ha diritto di richiedere ai singoli condomini in
rimborso delle spese da lui anticipate per la gestione condominiale solo nei limiti delle rispettive quote dovendosi
ritenere applicabili anche nei rapporti esterni la disposizione dell'art.1123 cod.civ.. (Artt.1123, 1720, 1129, 1130
cod.civ.).
Cassazione del 13/11/1996 n. 9942
Titolo: La nomina di un amministratore da parte del Presidente del Tribunale atto amministrativo e non
ammesso il ricorso alla Corte di Appello n alla Cassazione.
Massima: Il procedimento di nomina dell'amministratore adottato dal Presidente del tribunale, a norma
dell'art.1129 c.c. sul presupposto che il condominio ne sia sprovvisto, costituisce attivit di carattere non
giurisdizionale ma amministrativa, in quanto non diretta alla risoluzione di un conflitto di interessi, ma solo ad

assicurare al condominio dell'organo necessario e imposto dalla legge. Tale atto, non soggetto a reclamo
innanzi alla Corte di Appello in quanto manca una previsione normativa in tal senso. Di conseguenza,
inammissibile il ricorso per cassazione ex art.111 Costituzione, art.1129 cod. civ. art.64 disp. att. cod. civ..
SENTENZE 1997
Patti in deroga
Al regime dei "patti in deroga" e alla proroga biennale prevista dall'art. 11 comma 2 bis L. n. 359 del 1992 sono
soggetti anche i contratti di locazione in corso al momento dell'entrata in vigore della suddetta legge, posto che
l'espressione "contratti rinnovati successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione", di cui al citato
art. 11 comma 2 bis, va intesa come comprensiva di quei contratti che, quantunque stipulati o rinnovati prima
dell'entrata in vigore della legge, sono destinati a scadere (e, quindi, potenzialmente, ad essere ulteriormente
rinnovati) in epoca successiva. Cass. Civ. 24/01/97 - 761
Legittimazione
La peculiare natura del condominio, ente di gestione sfornito di personalit distinta da quella dei suoi
componenti, i quali devono intendersi rappresentati ex mandato dall'amministratore, comporta che l'iniziativa
giudiziaria di quest'ultimo a tutela di un diritto comune dei condomini non priva i medesimi del potere di agire
personalmente a difesa di quel diritto nell'esercizio di una forma di rappresentanza reciproca atta ad attribuire a
ciascuno una legittimazione sostitutiva scaturente dal fatto che ogni singolo condomino non pu tutelare il
proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere i diritti degli altri condomini. Pertanto il
condomino che interviene personalmente nel processo promosso dall'amministratore per far valere diritti della
collettivit condominiale non un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei ma una delle parti
originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni, sicch, ove tale intervento sia stato spiegato
in grado di appello, non possono trovare applicazione i principi propri dell'intervento dei terzi in quel grado fissati
nell'art. 344 cod. proc. civ. Cass. Civ. 27/01/97 - 826
Assemblea
Deve ritenersi legittimo il rifiuto apposto da un condomino alla ricezione dell'avviso di convocazione
dell'assemblea, qualora l'avviso suddetto sia consegnato a mani, e non - cos come previsto dal regolamento di
condominio - tramite raccomandata. Trib. Monza 6/02/97 - 352
Amministratore
L'amministratore di condominio - nel quale non ravvisabile un ente fornito di autonomia patrimoniale, bens la
gestione collegiale di interessi individuali, con sottrazione o compressione dell'autonomia individuale - configura
un ufficio di diritto privato oggettivamente orientato alla tutela del complesso di interessi suindicati e realizzante
una cooperazione, in regime di autonomia, con i condomini, singolarmente considerati, che assimilabile, pur
con tratti distintivi in ordine alle modalit di costituzione ed al contenuto "sociale" della gestione, al mandato con
rappresentanza, con la conseguente applicabilit, nei rapporti tra amministratore ed ognuno dei condomini,
dell'art. 1720, comma 1, c.c., secondo cui il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nella
esecuzione dell'incarico diretta ad ottenere il rimborso di somme anticipate nell'interesse della gestione del
condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore, anche contro il singolo condomino
inadempiente all'obbligo di pagare la propria quota L'amministratore di condominio cessato dall'incarico
attivamente legittimato a proporre l'azione per il recupero delle somme da lui anticipate nell'interesse del
condominio nel corso della sua gestione, non soltanto nei confronti di quest'ultimo, bens anche nei confronti dei
singoli condomini, per le quote rispettivamente a loro carico; tale legittimazione attiva trova il suo fondamento
nella disciplina del rapporto di mandato, quale quello configurabile tra i condomini e l'amministratore (art. 1720
c.c.). (Nella specie il convenuto aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva, affermando che l'attore, non
essendo pi amministratore del condominio, non poteva pretendere dai condomini il pagamento di quanto essi
dovevano per spese condominiali). . Cass. Civ. 12/02/97 -1286
Assemblea : spese
La nullit di una delibera condominiale disciplinata dall'art. 1421 c.c., a norma del quale chiunque vi ha
interesse pu farla valere e quindi anche il condomino che abbia partecipato, con il suo voto favorevole, alla
formazione di detta delibera, salvo che con tale voto egli si sia assunto o abbia riconosciuto una sua personale
obbligazione. L'accertamento della sussistenza della completezza o meno dell'ordine del giorno di un'assemblea
condominiale demandato all'apprezzamento del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimit, se
congruamente motivato. Affinch la delibera di un organo collegiale (nella specie assemblea di condominio) sia
valida necessario che l'avviso di convocazione elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso,
specificatamente gli argomenti da trattare, in modo da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire
agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla partecipazione, diretta o indiretta, alla
deliberazione. illegittima la delibera di un condominio, adottata a maggioranza, con la quale si stabilisce un
onere di contribuzione, nelle spese di gestione, maggiore a carico di alcuni condomini, sul presupposto della loro
pi intensa utilizzazione, rispetto agli altri, di parti o servizi comuni, non solo perch la modifica ai criteri legali
(art. 1123 c.c.) o di regolamento di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, ma anche perch
il criterio di riparto in base all'uso differenziato, derivante dalla diversit strutturale della cosa, previsto dal
comma 2 dell'art. 1123 c.c., non applicabile alle spese generali, per le quali opera invece il criterio di cui al
comma 1 dello stesso articolo, ossia la proporzione al valore della propriet di ciascuno. Cass. Civ.19/02/97 1511
Muri
A differenza dalle innovazioni - configurate dalle nuove opere, le quali immutano la sostanza o alterano la
destinazione delle parti comuni, in quanto rendono impossibile la utilizzazione secondo la funzione originaria, e
che debbono essere deliberate dall'assemblea (art. 1120, comma 1, c.c.) nell'interesse di tutti i partecipanti - le

modifiche alle parti comuni dell'edificio, contemplate dall'art. 1102 c.c., possono essere apportate dal singolo
condomino, nel proprio interesse ed a proprie spese, al fine di conseguire un uso pi intenso, sempre che non
alterino la destinazione e non impediscano l'altrui pari uso. Pertanto, legittima l'apertura di vetrine da
esposizione nel muro perimetrale comune, che per sua ordinaria funzione destinato all'apertura di porte e di
finestre, realizzata dal singolo condomino mediante la demolizione della parte di muro corrispondente alla sua
propriet esclusiva. Alla eventuale autorizzazione ad apportare tale modifica concessa dall'assemblea pu
attribuirsi il valore di mero riconoscimento dell'inesistenza di interesse e di concrete pretese degli altri condomini
a questo tipo di utilizzazione del muro comune. Cass. Civ. 20/02/97 - 1554
Autorimesse parcheggi:
illegittimo il divieto rivolto ai condomini proprietari di autocaravan di parcheggiare tali mezzi nelle aree
condominiali adibite a parcheggio autoveicoli, sempre che i proprietari suddetti non utilizzino il parcheggio
condominiale come area per campeggio. Giud. Pace Foligno 6/03/97 - 15
Lastrico solare
Poich il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del
fabbricato anche se appartiene in propriet superficiaria o se attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso
con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati
all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di
manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni
stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due
terzi, ed il titolare della propriet superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre utilit, nella misura del
terzo residuo. . Cass. Civ. 29/04/97 - 3672
Pagamento a mezzo vaglia postale Efficacia liberatoria per il condominio debitore - Esclusione. (Cc, articoli 1182,1184,1185,1197 e 1277).
Il vaglia postale e' un documento di legittimazione all'ordine, che impone al creditore al fine di incassare in
contanti la somma in esso indicata, l'onere di recarsi presso un ufficio postale; come tale esso non ha efficacia
liberatoria per il condominio debitore, perch non costituisce ne' pagamento al domicilio del creditore ne'
esecuzione di prestazione di moneta avente corso legale, non diversa da quella dovuta, secondo i principi
enunciati negli articoli 1182, 1197, e 1277 del Cc. Sezione II, sentenza 22 marzo 1997 n. 2558 .
Muro perimetrale delledificio condominiale Apertura praticata da parte del singolo condomino per mettere in comunicazione un proprio locale sito nel
condominio con altro immobile - Uso indebito della cosa comune - Sussiste. (Cc. articoli 1102 e 1122)
In tema di utilizzazione del muro perimetrale da parte del singolo condomino, costituisce uso indebito della cosa
comune, alla stregua dei criteri di cui agli articoli 1102 e 1122 del Cc, lapertura praticata dal condomino nel
detto muro per mettere in comunicazione locali di sua esclusiva propriet, esistenti nelledificio condominiale,
con altro suo immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro,
incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo allacquisto di una servit di passaggio a carico
della propriet condominiale. Sezione II, sentenza 19 aprile 1996 n. 3719
Aree di parcheggio Vincolo in favore dei proprietari di nuove costruzioni - Obbligo per questi ultimi in forza della imperativit della
norma di acquistare detti spazi e di pagare il corrispettivo - Sussiste. (Cc, articoli 1064, 1102, 1118e 1119; legge
47/1985, articolo 26; legge 765/1967, articolo 18)
Il vincolo di destinazione a parcheggio degli appositi spazi nelle nuove costruzioni, in favore dei proprietari delle
unit immobiliari site nel fabbricato, scaturisce da norme cogenti per cui la norma imperativa, da cui ha origine la
costituzione di un diritto reale duso, non opera solo a vantaggio dellacquirente. Essendo, infatti, il costruttore
tenuto a destinare gli appositi spazi per parcheggio, in favore degli acquirenti delle unit immobiliari site
nelledificio, questi ultimi non possono sottrarsi allacquisto del diritto e al pagamento del corrispettivo. Una volta
chiesta in giudizio lapplicazione della norma imperativa, questa deve trovare integrale applicazione,
comportando la sostituzione di diritto della clausola negoziale nulla e la costituzione del diritto reale duso, con il
diritto del proprietario costruttore a conseguire il compenso. Sezione II, sentenza 16 aprile 1996 n. 3580
Suolo su cui sorge ledificio - Parti comuni - Sottosuolo - Sbancamento del terreno sottostante il piano terreno.
Illegittimit (Cc, articoli 840 e 1117)
Il suolo, su cui sorge un edificio condominiale, di propriet comune, ai sensi dellarticolo 1117 del Cc, la
porzione di terreno sulla quale viene a poggiare lintero edificio e, immediatamente, la parte infima dello stesso
e, per effetto, degli articoli 1117 e 840 del Cc, lo spazio sottostante, che costituisce il sottosuolo, in mancanza di
titolo che ne attribuisca la propriet esclusiva a uno dei condomini, deve considerarsi in propriet comune,
indipendentemente dalla sua destinazione. Deriva, da quanto precede, che ove i proprietari del piano terreno
abbiano eseguito uno sbancamento del terreno sottostante con un abbassamento del pavimento di circa 50
centimetri, con tale opera costoro non hanno realizzato un intervento necessario e indispensabile per la messa
in opera dei manufatti, o di rinforzo delle fondazioni, ma hanno sottratto il sottosuolo comune a vantaggio del
singolo comunista, con conseguente violazione del combinato disposto degli articoli 1117 e 840 del Cc. Sezione
II, sentenza 19 marzo 1996 n. 2295
Patti in deroga
Al regime dei "patti in deroga" e alla proroga biennale prevista dall'art. 11 comma 2 bis L. n. 359 del 1992 sono
soggetti anche i contratti di locazione in corso al momento dell'entrata in vigore della suddetta legge, posto che
l'espressione "contratti rinnovati successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione", di cui al citato

art. 11 comma 2 bis, va intesa come comprensiva di quei contratti che, quantunque stipulati o rinnovati prima
dell'entrata in vigore della legge, sono destinati a scadere (e, quindi, potenzialmente, ad essere ulteriormente
rinnovati) in epoca successiva. Cass. Civ. 24/01/97 - 761
Legittimazione
La peculiare natura del condominio, ente di gestione sfornito di personalit distinta da quella dei suoi
componenti, i quali devono intendersi rappresentati ex mandato dall'amministratore, comporta che l'iniziativa
giudiziaria di quest'ultimo a tutela di un diritto comune dei condomini non priva i medesimi del potere di agire
personalmente a difesa di quel diritto nell'esercizio di una forma di rappresentanza reciproca atta ad attribuire a
ciascuno una legittimazione sostitutiva scaturente dal fatto che ogni singolo condomino non pu tutelare il
proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere i diritti degli altri condomini. Pertanto il
condomino che interviene personalmente nel processo promosso dall'amministratore per far valere diritti della
collettivit condominiale non un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei ma una delle parti
originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni, sicch, ove tale intervento sia stato spiegato
in grado di appello, non possono trovare applicazione i principi propri dell'intervento dei terzi in quel grado fissati
nell'art. 344 cod. proc. civ. Cass. Civ. 27/01/97 - 826
Amministratore
L'amministratore di condominio - nel quale non ravvisabile un ente fornito di autonomia patrimoniale, bens la
gestione collegiale di interessi individuali, con sottrazione o compressione dell'autonomia individuale - configura
un ufficio di diritto privato oggettivamente orientato alla tutela del complesso di interessi suindicati e realizzante
una cooperazione, in regime di autonomia, con i condomini, singolarmente considerati, che assimilabile, pur
con tratti distintivi in ordine alle modalit di costituzione ed al contenuto "sociale" della gestione, al mandato con
rappresentanza, con la conseguente applicabilit, nei rapporti tra amministratore ed ognuno dei condomini,
dell'art. 1720, comma 1, c.c., secondo cui il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nella
esecuzione dell'incarico diretta ad ottenere il rimborso di somme anticipate nell'interesse della gestione del
condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore, anche contro il singolo condomino
inadempiente all'obbligo di pagare la propria quota L'amministratore di condominio cessato dall'incarico
attivamente legittimato a proporre l'azione per il recupero delle somme da lui anticipate nell'interesse del
condominio nel corso della sua gestione, non soltanto nei confronti di quest'ultimo, bens anche nei confronti dei
singoli condomini, per le quote rispettivamente a loro carico; tale legittimazione attiva trova il suo fondamento
nella disciplina del rapporto di mandato, quale quello configurabile tra i condomini e l'amministratore (art. 1720
c.c.). (Nella specie il convenuto aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva, affermando che l'attore, non
essendo pi amministratore del condominio, non poteva pretendere dai condomini il pagamento di quanto essi
dovevano per spese condominiali). . Cass. Civ. 12/02/97 -1286
Assemblea : spese
La nullit di una delibera condominiale disciplinata dall'art. 1421 c.c., a norma del quale chiunque vi ha
interesse pu farla valere e quindi anche il condomino che abbia partecipato, con il suo voto favorevole, alla
formazione di detta delibera, salvo che con tale voto egli si sia assunto o abbia riconosciuto una sua personale
obbligazione. L'accertamento della sussistenza della completezza o meno dell'ordine del giorno di un'assemblea
condominiale demandato all'apprezzamento del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimit, se
congruamente motivato. Affinch la delibera di un organo collegiale (nella specie assemblea di condominio) sia
valida necessario che l'avviso di convocazione elenchi, sia pure in modo non analitico e minuzioso,
specificatamente gli argomenti da trattare, in modo da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire
agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla partecipazione, diretta o indiretta, alla
deliberazione. illegittima la delibera di un condominio, adottata a maggioranza, con la quale si stabilisce un
onere di contribuzione, nelle spese di gestione, maggiore a carico di alcuni condomini, sul presupposto della loro
pi intensa utilizzazione, rispetto agli altri, di parti o servizi comuni, non solo perch la modifica ai criteri legali
(art. 1123 c.c.) o di regolamento di riparto delle spese richiede il consenso di tutti i condomini, ma anche perch
il criterio di riparto in base all'uso differenziato, derivante dalla diversit strutturale della cosa, previsto dal
comma 2 dell'art. 1123 c.c., non applicabile alle spese generali, per le quali opera invece il criterio di cui al
comma 1 dello stesso articolo, ossia la proporzione al valore della propriet di ciascuno. Cass. Civ.19/02/97 1511
Autorimesse parcheggi:
illegittimo il divieto rivolto ai condomini proprietari di autocaravan di parcheggiare tali mezzi nelle aree
condominiali adibite a parcheggio autoveicoli, sempre che i proprietari suddetti non utilizzino il parcheggio
condominiale come area per campeggio. Giud. Pace Foligno 6/03/97 - 15
Vincolo in favore dei proprietari di nuove costruzioni - Obbligo per questi ultimi in forza della imperativit della
norma di acquistare detti spazi e di pagare il corrispettivo - Sussiste. (Cc, articoli 1064, 1102, 1118e 1119; legge
47/1985, articolo 26; legge 765/1967, articolo 18)
Il vincolo di destinazione a parcheggio degli appositi spazi nelle nuove costruzioni, in favore dei proprietari delle
unit immobiliari site nel fabbricato, scaturisce da norme cogenti per cui la norma imperativa, da cui ha origine la
costituzione di un diritto reale duso, non opera solo a vantaggio dellacquirente. Essendo, infatti, il costruttore
tenuto a destinare gli appositi spazi per parcheggio, in favore degli acquirenti delle unit immobiliari site
nelledificio, questi ultimi non possono sottrarsi allacquisto del diritto e al pagamento del corrispettivo. Una volta
chiesta in giudizio lapplicazione della norma imperativa, questa deve trovare integrale applicazione,
comportando la sostituzione di diritto della clausola negoziale nulla e la costituzione del diritto reale duso, con il

diritto del proprietario costruttore a conseguire il compenso. Sezione II, sentenza 16 aprile 1996 n. 3580
Suolo su cui sorge ledificio - Parti comuni - Sottosuolo - Sbancamento del terreno sottostante il piano terreno.
Illegittimit (Cc, articoli 840 e 1117)
Il suolo, su cui sorge un edificio condominiale, di propriet comune, ai sensi dellarticolo 1117 del Cc, la
porzione di terreno sulla quale viene a poggiare lintero edificio e, immediatamente, la parte infima dello stesso
e, per effetto, degli articoli 1117 e 840 del Cc, lo spazio sottostante, che costituisce il sottosuolo, in mancanza di
titolo che ne attribuisca la propriet esclusiva a uno dei condomini, deve considerarsi in propriet comune,
indipendentemente dalla sua destinazione. Deriva, da quanto precede, che ove i proprietari del piano terreno
abbiano eseguito uno sbancamento del terreno sottostante con un abbassamento del pavimento di circa 50
centimetri, con tale opera costoro non hanno realizzato un intervento necessario e indispensabile per la messa
in opera dei manufatti, o di rinforzo delle fondazioni, ma hanno sottratto il sottosuolo comune a vantaggio del
singolo comunista, con conseguente violazione del combinato disposto degli articoli 1117 e 840 del Cc. Sezione
II, sentenza 19 marzo 1996 n. 2295
Cassazione del 09/01/1998 n 138
Titolo:
Pu essere presunta la conoscenza dellavvenuta convocazione dellassemblea del condominio.
Massima:
La convocazione dellassemblea di un condominio, a pena di invalidit della medesima(art.1136 cod.civ.), deve
essere comunicata a tutti i comproprietari pro indiviso di un piano o di una porzione di piano, ma in assenza di
particolari formalit per la notifica dellavviso, la conoscenza di esso da parte di tutti i comproprietari pu essere
presunta se le circostanze sono gravi, precise e concordanti in assenza di forma necessaria per le modalit di
notifica, la conoscenza di essi pu essere presunta, se le circostanze sono precise e concordanti.
Cassazione del 02/03/1998 n 2259
Titolo:
Lamministratore deve al pi presto comunicare allassemblea lazione legale intrapresa nei suoi confronti che
esorbita le sue attribuzioni. Se rientra invece nella sue attribuzioni non tenuto a farsi autorizzare
dallassemblea.
Massima:
Lamministratore del condominio, convenuto in giudizio da un terzo o da un condomino tenuto a darne senza
indugio notizia allassemblea quando la domanda abbia un contenuto esorbitante dalle sue attribuzioni, cos
come delineate dallart. 1130 cod.civ. Pertanto poich in base a detto articolo deve ritenersi spettante
allamministratore nellambito dei compiti di conservazione delle cose comuni (ossia di preservazione della loro
integrit e di reazione ad attentati o pretese di terzi) il potere discrezionale, autonomamente esercitabile, di
impartire le disposizioni necessarie ad eseguire lavori di manutenzione ordinaria delle parti comuni delledificio e
di erogare le relative spese, non pu considerarsi esorbitante dalle dette attribuzioni la decisione autonoma
dellamministratore rispetto ad una lite quando con la domanda proposta contro il condominio si facciano valere
pretese risarcitorie (in forma specifica, oltrech per equivalente) correlata a difetto di manutenzione ordinaria di
una parte comune quale il tetto di copertura delledificio. Ne deriva, ulteriormente, la mancanza, in siffatta
ipotesi, della condizione essenziale per lesercizio da parte del condomino dissenziente del potere di estraniarsi
dalla lite scindendo la propria responsabilit in ordine alle sue conseguenze per il caso di soccombenza, non
potendo tale potere esercitarsi ove legittimamente manchi intorno alla lite promossa contro il condominio una
specifica decisione dellassemblea.
Cassazione del 27/03/1998 n 3238
Titolo:
Il singolo pu agire contro il condominio per la tutela del decoro architettonico. Se viene sollevata leccezione di
esecuzione di opere nelle parti esclusive il contraddittorio deve essere integrato a tutti i condomini.
Massima:
Ciascun partecipante al condominio di edifici, pu agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della
propriet comune, ma se la controparte di aver apportato modifiche e innovazioni sulla propriet esclusiva,
necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini perch oggetto di controversia
laccertamento della natura condominiale o meno, in base ai rispettivi titoli di acquisto, delle parti di edificio
alterate.
Cassazione del 27/03/1998 n 3251
Titolo:
La delibera di formazione o di modifica delle tabelle millesimali pu essere delegata verbalmente ad una
commissione, "facta concludentia" con lapprovazione dei successivi bilanci.
Massima:
In tema di condominio, la delibera di formazione e modifica delle tabelle millesimali, valida anche se il
consenso espresso da delegati verbali dei condomini, senza necessit di procura scritta, potendo il mandato
essere provato con qualsiasi mezzo, anche per "facta concludentia" - come nel caso di prolungata accettazione
dei successivi bilanci - perch le dette tabelle hanno funzione accertativa e valutativa delle quote condominiali
onde ripartire le relative spese stabilire la misura del dirittodi partecipazione alla volont assembleare, ma non
incidono sui diritti reali spettanti a ciascun condomino.
Cassazione del 03/04/1998 n 3422
Titolo:
Gli spazi esterni nei condomini per legge (18/08/1967 n765) vanno destinati a parcheggio. Questo non vieta la
trattazione e la vendita separata da quella dellabitazione.
Massima:

Lart.41 "sexies" della Legge 17 agosto 1942 n. 115, nel testo introdotto dallart.18 Legge 6 agosto 1967 n. 765,
ha istituito tra costruzioni e spazio per parcheggio ad essi progettualmente annessi una relazione che ha
connotati di necessit e di indispensabile permanenza di rilievo pubblicistico e con caratteristiche di realt che
nellipotesi in cui la costruzione sia costituita da un edificio in condominio, comporta che detti spazi ricadono
sulle parti comuni ex art.1117 cod. civ. quando appartengano in comunione a tutti i condomini ovvero vengano a
costituire oggetto di un diritto reale duso spettante ai condomini medesimi, quando la relativa propriet competa
a terzi estranei alla collettivit condominiale o ad uno solo dei componenti di questa. Tale disciplina non vieta la
negoziazione separata delle costruzioni e delle aree di parcheggio ad esse pertinenti, ma esclude che tale
negoziazione possa incidere sulla permanenza del vincolo reale di destinazione sulle aree accennate.
Cassazione del 03/04/1998 n 3424
Titolo:
E valida la delibera o la decisione dellamministratore che autorizzi laccesso carraio in uno spazio prima adibito
a passaggio pedonale.
Massima:
La delibera condominiale, che autorizza il passaggio carrabile dei condomini, gi titolari di un diritto di passaggio
pedonale, su un viale comune del fabbricato, regola luso del bene comune - demandato allamministratore, a
cui per possono sostituirsi, in qualit di mandanti, i condomini - costituendo un diritto personale a loro favore,
ed valida, anche se adottata a maggioranza, purch non comprima i diritti ad essi appartenenti per
convenzione o per effetto dellacquisto delle unit immobiliari o per legge.
Cassazione del 17/04/1998 n 3887
Titolo:
L'obbligo di vigilare sul pozzo comune, anche se allocato in un determinato spazio o locale esclusivo, incombe
sull'intero condominio.
Massima:
In tema di condominio di edifici, l'obbligo di vigilare e mantenere il bene comune (nella specie il pozzo) in stato
da non creare danni ad altri condomini o a terzi estranei al condominio, incombe su tutti gli aventi diritto senza
che rilevi l'ubicazione della cosa comune rispetto alle propriet esclusive.
Cassazione del 26/01/1998 n 714
Titolo:
Il regolamento del condominio non trascritto comunque valido ma non opponibile ai successivi acquirenti. Se
il regolamento prevede che una parte di condomini siano esonerati dalla contribuzione alle spese, tali beni non
ricadono nella compropriet di questi.
Massima:
La trascrizione prevista dall'art.1138 comma terzo cod. civ. del regolamento di condominio nel registro (peraltro
non istituito), di cui all'art.1129 cod. civ. integra un mero onere di pubblicit dichiarativa, la cui inosservanza non
comporta la nullit o l'inefficacia del regolamento approvato dall'assemblea dei condomini o predisposto
dall'originario costruttore dell'edificio condominiale. L'omessa trascrizione del regolamento nei RR.II. determina
invece l'inopponibilit ai successivi acquirenti delle singole unit immobiliari comprese nell'edificio condominiale
delle eventuali clausole limitative di diritti esclusivi di propriet spettanti a ciascun condomino senza influire
anch'essa sulla validit ed efficacia del regolamento. La norma di un regolamento di condominio che stabilisca
per una determinata categoria di condomini l'esenzione dal concorso dalle spese di conservazione di una delle
parti dell'edificio indicate nell'art. 1117 cod. civ., comporta il superamento nei riguardi di detta categoria di
condomini della presunzione di compropriet su detta parte del fabbricato.
Cassazione del 02/02/1998 n 981
Titolo:
Il venditore deve comunque pagare tutte le spese fino alla data della vendita.
Massima:
Il condomino di un edificio che venda l'appartamento di sua esclusiva propriet tenuto al pagamento dei
contributi condominiali deliberati dall'assemblea quando egli era ancora proprietario.
REGOLAMENTO DI CONDOMINIO PREDISPOSTO DAL COSTRUTTORE
Cass. civ., sez. II, 6 agosto 1999 n. 8486 Acquirente di unit immobiliare facente parte del fabbricato - Impegno contrattuale a rispettare il regolamento
condominiale da predisporsi da parte del costruttore - Vincolativit
L'obbligo dell'acquirente, previsto nel contratto di compravendita di un'unit immobiliare di un fabbricato, di
rispettare il regolamento di condominio da predisporsi in futuro a cura del costruttore non pu valere come
approvazione di un regolamento allo stato inesistente, poich solo il concreto richiamo nel singolo atto di
acquisto ad un regolamento che consente di considerare quest'ultimo come facente parte, per relationem, di
quest'atto.
LA PROPRIETA' DEL SOTTOTETTO
Cass. civ., se. II, 20 luglio 1999, n. 7764
Sottotetto - Utilizzabilit da parte di tutti i condomini - Presunzione di propriet comune
In un edificio di pi piani appartenenti a proprietari diversi, l'appartenenza del sottotetto ( non indicato
nell'articolo 1117, Codice civile, tra le parti comuni dell'edificio ) si determina in base al titolo ed in mancanza in
base alla funzione cui esso destinato in concreto. Pertanto, ove trattasi di vano destinato esclusivamente a
servire da protezione dell'appartamento dell'ultimo piano, esso ne costituisce pertinenza e deve perci
considerarsi di propriet esclusiva del proprietario dell'ultimo piano, mentre va annoverato tra le parti comuni se
utilizzabile, anche solo potenzialmente, per gli usi comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di
comunione prevista dalla norma citata, la quale opera ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile,

per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi.


DIRITTO DI SOPRAELEVAZIONE
Cass. civ., sez. II, 19 luglio 1999, n. 7678 - Ercolino c. Cond. via Doria 40 - Roma
Terrazza a livello - Equiparazione al lastrico solare - Diritto di sopraelevazione - Regolamento di condominio Limitazione - Condizioni
La terrazza a livello, anche se di propriet esclusiva, equiparata (in relazione alla sua funzione di copertura
dell'edificio) al lastrico solare in senso stretto e tale considerata anche nel regime della sopraelevazione; ne
consegue che il regolamento condominiale pu limitare il diritto di sopraelevazione spettante al proprietario
dell'appartamento a cui la terrazza afferisce soltanto se esso ha natura contrattuale.
IMPUGNAZIONE DEL RENDICONTO: SOGGETTI LEGITTIMATI
Appello Milano 6 agosto 1999, n. 2215
Azione di rendiconto - Legittimazione ad agire - Passaggio di consegne
Si deve escludere che l'azione di rendiconto dia azione che spetta esclusivamente al singolo condomino,
dovendosi rilevare che fra le attribuzioni dell'assemblea sicuramente quella di approvare il preventivo delle
spese, il piano di riparto ed il rendiconto annuale dell'amministratore (art. 1135 nn. 2 e 3, Codice civile). N
riveste alcuna efficacia sul punto il rilievo che l'impugnativa del rendiconto spetti al singolo condomino e non al
condominio, considerato che il richiamo da intendersi riferito al rendiconto approvato dall'assemblea, onde la
norma giustamente ha previsto l'ipotesi di impugnativa da parte del condomino dissenziente o che comunque ne
abbia interesse. Non dubitabile che normale destinataria del rendiconto di gestione sia l'assemblea quale
tipica espressione della collettivit condominiale, onde in assenza di spontanea sottomissione del rendiconto
all'organo che per legge destinato all'esame e all'approvazione del rendiconto, la medesima assemblea sia
legittimata ad investire l'amministratore del potere di agire per richiedere la presentazione del conto al
precedente amministratore.
CRITERI DI REVISIONE DELLE TABELLE MILLESIMALI
Appello Milano 20 luglio 1999, n. 1938 - Tabelle millesimali - Revisione e modificazione - Condizioni
Non pu considerarsi conseguenza di un errore, ai sensi e per gli effetti della revisione e modificazione delle
tabelle millesimali prevista dall'articolo 69, disp. att., Codice civile, l'adozione di criteri pi o meno soggettivi con
cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima sia stata compiuta, allorch questi criteri non portino
ad una palese e obbiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unit immobiliari e il valore
proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle. Se, dunque, i criteri utilizzati sono espressione di un libero e
consentito apprezzamento, per giungere alla dimostrazione della sussistenza di un errore tabellare occorre una
ricostruzione del procedimento logico e tecnico di valutazione seguito dal primo redattore e l'individuazione, in
tale ambito, di un errore della cui prova onerato colui che ha promosso l'azione. Neppure potrebbe portare ad
una diversa soluzione il denunciato mutamento del regime di mercato degli immobili e la sua incidenza sui criteri
di redditivit originariamente attribuiti alle singole unit immobiliari, per il quale viene invocata l'applicazione della
norma di cui all'articolo 69, n. disp. att., Codice civile, relativa al mutamento di condizioni, atteso che il fatto che
le "mutate condizioni" cui si riferisce il n. 2 del citato articolo 69 sono solo quelle tassativamente elencate, ossia
quelle che comportano una "notevole" alterazione del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di
piano "in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta
portata". Tra le predette tassative condizioni non potrebbe perci farsi rientrare quella, diversa, della mutata
situazione di redditualit di alcune unit immobiliari, e per di pi adottata indipendentemente da ogni
dimostrazione sul fatto che il rapporto originario tra i piani o le porzioni di piano ne sia effettivamente risultato
"notevolmente alterato".
CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE DI RIFACIMENTO DEI BALCONI
Trib. Milano 17 giugno 1999, n. 5934 Balconi - Lavori di rifacimento - Ripartizione della spesa - Intervento sulla facciata - Interesse generale Interesse particolare - Criteri distintivi
Deve essere dichiarata invalida la delibera, che avendo disposto la ripartizione dei costi delle opere di ripristino
sui balconi dell'edificio senza tenere conto della regola ex articolo 1123, secondo comma, Codice civile, e,
quindi, senza alcuna valutazione della diversa utilit della spesa rispetto ai due gruppi di condomini configurabili
nell'edificio quanto ai balconi. Mentre, infatti, per i condomini i cui appartamenti non sono dotati di balconi l'unit
dell'intervento va individuata nel mero ripristino del complessivo decoro della facciata dell'edificio, per tutti gli altri
a tale generale utilit si aggiunge anche quella specificatamente concernente il permanere della possibilit di
utilizzo diretto della zona balcone quale esclusivo prolungamento della propriet individuale.
Balconi - Lavori di rifacimento - Ripartizione della spesa - Portieri dell'assemblea - Esclusivit
Alla pronuncia di invalidit di una delibera (relativa alla ripartizione di una spesa riguardante il rifacimento dei
balconi ) non pu conseguire alcuno specifico accertamento "dell'esatto criterio per la ripartizione della spesa"
controversa, accertamento richiesto dal convenuto in via subordinata: la ripartizione dei costi risulta invero
secondo le regole ex articolo 1135 Codice civile, riservata alle determinazioni della collettivit, secondo il
principio del funzionamento assembleare della stessa, cosicch non appare possibile una sostituzione a tale
esplicazione di autonomia privata dell'Autorit giudiziaria; quest'ultima potendo solo valutare, a seguito di
un'impugnazione degli interessati, la validit delle deliberazioni in concreto adottate, nell'ambito di discrezionalit
propria, dalla collettivit in applicazione dei canoni legali ovvero regolamentari.
RESPONSABILITA' PER DANNI A PERSONE O COSE
Tribunale Napoli, sez. IV, 3 giugno 1999, n. 3492 Parti comuni e parti esclusive - Danni a persone o cose - Risarcimento dei danni - Legittimazione passiva
Allorquando si siano verificati danni a persone e/o cose a causa della caduta di un marmo che si trova sotto la
ringhiera di un balcone, deve escludersi la legittimazione passiva del condominio, in quanto "in un edificio

condominiale.. ..l'aggetto costituito da un balcone appartiene esclusivamente al proprietario dell'unit


immobiliare corrispondente, il quale, pertanto, esclusivo responsabile del danno cagionato a terzi da un pezzo
di muratura staccatosi dal balcone"
IMPUGNAZIONE DI DELIBERA ASSEMBLEARE E TERMINE DI DECADENZA
Tribunale Napoli, sez. VI, 20 maggio 1999, n. 3303
Assemblea - Deliberazioni - Nullit e annullabilit - Impugnazione - Esercizio del diritto - Termine di decadenza
Per stabilire se si verificata o meno l'ipotesi di decadenza del diritto per l'esercizio dell'impugnativa di
assemblea condominiale, ai sensi dell'articolo 1137, Codice civile, bisogna dapprima valutare il tipo d'invalidit
da cui sarebbe affetta la delibera impugnata. Le delibere radicalmente nulle - la cui impugnativa (cosiddetta
azione di nullit) di mero accertamento, infatti, non soggetta ad alcun termine di decadenza ed
imprescrittibile, mentre sono soggette al termine di decadenze, di cui al secondo comma del citato articolo 1137,
Codice civile, le sole delibere cosiddette "annullabili". Sono nulle le delibere che ledono i diritti dei condomini, sia
nel singolo condominio (si parla, in tal caso, di nullit relativa, quanto dei condomini tutti, nel qual caso si parla di
nullit assoluta). La delibera assembleare con la quale si decida di "consentire la sosta ed il parcheggio nel
cortile condominiale ai soli residenti nel palazzo", laddove, in precedenza - data la esiguit dei posti disponibili si era previsto che questi restassero a disposizione "dei condomini primi giunti" , costituisce un'innovazione
incidente sulla disciplina dell'uso del cortile in relazione al parcheggio delle autovetture che va ad incidere sui
diritti dei singoli condomini, e, pertanto, vietata ai sensi del secondo comma dell'articolo 1120, Codice civile, non
potendo l'assemblea dei condomini, seppure a maggioranza, disporre la sottrazione di parti comuni condominiali
all'uso e al godimento anche di uno solo dei condomini.
ASSEMBLEA: PROVA DELL'AVVENUTA CONSEGNA DELL'AVVISO DI CONVOCAZIONE
Cass. Civ., sez. II, 25 marzo 1999, n. 2837
Assemblea - Convocazione - Avviso ai condomini - Prova del recapito - onere dell'amministratore Dimostrazione della consegna dell'avviso a persona priva di stabile potere di rappresentanza nei confronti del
condominio.
L'onere di provare che tutti i condomini sono stati tempestivamente convocati fa carico al condominio. Tale
prova non pu essere offerta con la dimostrazione della consegna dell'avviso a soggetti ai quali non stato
conferito uno stabile potere di rappresentanza nei confronti del condominio.
CONTRIBUTI E SPESE CONDOMINIALI
Cass. Civ., sez. II, 20 marzo 1999, n. 2617
Contributi e spese condominiali - Soggetti obbligati - Condominio apparente - Giustificazione dell'errore
incolpevole dell'amministratore terzo in buona fede.
L'amministratore di un condominio pu invocare il principio dell'apparenza del diritto, che giustifica il suo errore
di terzo in buona fede, per ottenere il pagamento della quota per spese comuni da colui che si comporta da
condomino, non avendo l'onere di controllare preventivamente i registri immobiliari per accertare la titolarit della
propriet (nella specie promissario acquirente di appartamenti dell'edificio condominiale, trasferitigli
coattivamente con sentenza di primo grado, bench non definitiva perch appellata dalla soccombente
controparte, e locati in qualit di proprietario).
DELIBERE NON PREVISTE NELL'ORDINE DEL GIORNO
Tribunale Milano 8 febbraio 1999, n. 1320
Assemblea - Avviso di convocazione - Ordine del giorno - Invalidit delle delibere su questioni non all'ordine del
giorno.
Nell'ipotesi di assenza di espressa convocazione sul punto nell'ordine del giorno diramato ai condomini, deve
ritenersi la ricorrenza del vizio di incompletezza della convocazione stessa, determinante invalidit della
deliberazione conseguente, senza che il rilievo di tale invalidit possa essere precluso dal carattere totalitario
della riunione, posto che, comunque, taluni dei condomini risultano rappresentati "per delega" da altri e, dunque,
in ogni caso, il difetto di compiuta informazione acquista rilevanza rispetto alla posizione del condominio non
personalmente presente e non in grado di impartire preventivamente al proprio rappresentante ragionevoli
istruzioni su di un tema non "prevedibile " quale oggetto di discussione.
MODIFICA DEI CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE
Tribunale Milano 8 febbraio 1999, n. 1320
Spese - Ripartizione - Accettazione tacita protratta nel tempo - Modifica dei criteri di ripartizione
Deve ritenersi che la ripetuta approvazione assembleare (senza alcun voto contrario sul punto) per quindici anni
di rendiconti evidenzianti costantemente criteri di riparto, differenti da quelli negoziali originari, abbia integrato
una specifica volont collettiva di modifica convenzionale di tali originari canoni negoziali. Volont collettiva da
ritenersi idonea a determinare tale convenzione modificatrice in quanto, pur non essendo essa riferibile sempre
alla totalit dei condomini , il consenso di tutti i membri della collettivit da ritenere poi sopraggiunto in forma
tacita, per facta concludentia, attraverso l'accettazione del "nuovo" schema di reparto da parte degli assenti, i
quali hanno comunque provveduto costantemente al pagamento dei contributi determinati secondo tale schema.
DELIBERAZIONE CONTRARIA ALLA LEGGE O AL REGOLAMENTO
Tribunale Milano 8 febbraio 1999, n. 1320
Delibera assembleare - Impugnazione - Atto introduttivo - Citazione ordinaria - Deposito di ricorso
Il "ricorso all'autorit giudiziaria" previsto dall'art. 1137, Codice Civile, contro le deliberazioni assembleari
contrarie alla legge o al regolamento d luogo ad un procedimento contenzioso, soggetto al principio del
contraddittorio e, come tale, introducibile anche con atto di citazione, purch notificato al condominio nel termine
di decadenza indicato dal terzo comma della norma citata
APERTURA DI LUCI TRA UN VANO E L'ALTRO DEL MEDESIMO EDIFICIO
Cass. civ., sez. II, 10 settembre 1999, n. 9637

Limitazioni legali della propriet - Apertura di luci - Caratteri - Conseguenze - Acquisto per usucapione o
destinazione del padre di famiglia - configurabilit
All'apertura tra due vani di un medesimo edificio, realizzata allo scopo di dare aria e luce ad uno di essi
attraverso l'altro, non applicabile la disciplina dettata dagli articoli 901 - 904, Codice di procedura civile,
giacch tale apertura non costituisce estrinsecazione del diritto di propriet, ossia manifestazione di una facultas
del diritto di dominio, ma ponendo in essere una vera e propria incursione sulla sfera di godimento della
propriet altrui, ha sostanza, struttura e funzioni di uno ius in re aliena, acquisibile perci mediante usucapione o
destinazione del padre di famiglia, sempre che l'apertura si concreti in opere visibili e parametri, strutturalmente
destinate ad un inequivoco e stabile assoggettamento del vano, s da rilevare all'esterno l'imposizione di un peso
a suo carico per l'utilit dell'altro.
NOMINA E REVOCA DELL'AMMINISTRATORE
Cass. civ., sez. II, 23 agosto 1999, n. 8837
Amministratore - Nomina e revoca - Revoca - Qualit di parte dell'amministratore
Nel giudizio promosso da alcuni condomini per la revoca dell'amministratore per violazione del mandato,
l'interessato legittimato a contraddire soltanto l'amministratore e non il condominio, il quale non tenuto n ad
autorizzare n a ratificare la resistenza in giudizio dell'amministratore medesimo, trattandosi d'ipotesi estranea a
quelle previste dagli articoli 1130 e 1131, Codice civile, e ci malgrado le ripercussioni nei confronti del
condominio degli effetti della pronuncia giudiziale.
IMPIANTI CONDOMINIALI E APPLICABILITA' DELLE NORME SULLE DISTANZE LEGALI
Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1999, n. 8801
Distanze legali - Unit abitative di edifici in condominio - Disciplina applicabile
La disposizione dell'articolo 889, Codice civile, relativa alle distanze da rispettare per i pozzi, cisterne, fossi e
tubi, applicabile anche con riguardo agli edifici in condominio, salvo che si tratti di impianti da considerarsi
indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell'immobile, tale da essere adeguata all'evoluzione
delle esigenze generali dei cittadini nel campo abitativo e alle moderne concezioni in tema di igiene.
RAPPRESENTANZA GIUDIZIALE DELL'AMMINISTRATORE
Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1999, n. 8589
Rappresentanza giudiziale - Legittimazione dell'amministratore - Azioni reali contro terzi a tutela delle cose
comuni - Rivendica - Autorizzazione dell'assemblea
A norma dell'articolo 1131, comma primo, Codice civile, tra i maggiori poteri che l'assemblea o il regolamento di
condominio possono conferire all'amministratore per la rappresentanza nel condominio stesso rientrano anche
quelli attinenti all'esercizio dell'azione di rivendica.
SPESE DI RIPARAZIONE DEL LASTRICO SOLARE
Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1999, n. 8532
Parti comuni dell'edificio - Terrazze, lastrici solari, logge - Ripartizione delle spese in base all'uso
L'articolo 1126, Codice civile, nel disciplinare la ripartizione delle spese di riparazione e ricostruzione del lastrico
solare per chi ne ha l'uso esclusivo, non specifica la natura reale o personale di esso, che invece determinata
dal titolo, n a tal fine rileva l'attribuzione millesimale, utilizzata come criterio per contribuire agli oneri
condominiali.
CONTESTAZIONE DEL VERBALE DI ASSEMBLEA
Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1999, n. 11526
Assemblea dei condomini - Deliberazioni - Verbale - Valore di prova presuntiva - Contestazione da parte del
condomino della verit di quanto riferito nel verbale - Onere della prova
Il verbale dell'assemblea condominiale offre una prova presuntiva dei fatti che afferma essersi in essa verificati,
per modo che spetta al condomino che impugna la deliberazione assembleare contestando la rispondenza a
verit di quanto riferito nel relativo verbale, di provare il suo assunto.
UTILIZZO DELLA COSA COMUNE DA PARTE DEL SINGOLO
Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1999 n. 11520
Parti comuni dell'edificio - Utilizzazione della cosa comune da parte del condomino in modo particolare e diverso
dall'uso comune - Ammissibilit - Limiti
Il limite che l'articolo 1102, Codice civile, pone al potere di utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun
condomino quello del divieto di alterarne la destinazione e di impedire che altri ne faccia parimenti uso
secondo il suo diritto. Pertanto l'uso particolare della cosa comune da parte del condomino non deve
determinare pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari, ancorch non ne sia
impedito l'uso.
LIMITAZIONI DEI DIRITTI DEI CONDOMINI
Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121
Regolamento contrattuale - Imposizioni di limitazioni dei diritti dei condomini sia sulle parti comuni che sulle
propriet individuali - Ammissibilit - Condizioni
In materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano
limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parte comuni, sia riguardo al
contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva propriet, senza che rilevi che l'esercizio del diritto
individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni. Ne discende che legittimamente le
norme di un regolamento di condominio - aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario
proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti d'acquisto dai condomini ovvero adottate in sede
assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini - possono derogare ed integrare la disciplina legale ed
in particolare possono dare al concetto di decoro architettonico una definizione pi rigorosa di quella accolta
dall'articolo 1120, Codice civile, estendendo il divieto di mutazione sino ad imporre la conservazione degli

elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della
sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva.
SPESE STRAORDINARIE E IMPUGAZIONE DEL PIANO DI RIPARTO
Tribunale Milano 22 novembre 1999, n. 10109
Spese straordinarie - Ripartizione - Approvazione del piano di riparto - Legittimazione ad impugnare
A fronte di una specifica richiesta di pagamento da parte dell'amministratore, conseguente ad una deliberazione
assembleare con la quale viene approvata l'esecuzione di opere straordinarie la cui ripartizione della spesa
stata dalla stessa assemblea demandata allo stesso "secondo le normative vigenti e tabelle millesimali" (ndr.
senza, quindi che vi sia stata approvata una concreta ripartizione della spesa), ogni condomino appare portatore
di un interesse concreto ed attuale all'accertamento giudiziale della erroneit della richiesta nei suoi confronti
specificatamente formulata e da qualificarsi, comunque, quale pretesa creditoria promanante dalla collettivit
rappresentata dall'amministratore, anche in base allo specifico mandato da questi ricevuto nel corso
dell'assemblea che autorizza i lavori.
SPESE DI IMPERMEABILIZZAZIONE DEL CORTILE
Tribunale Milano 15 novembre 1999, n. 9960
Spese di impermeabilizzazione del cortile - Ripartizione - Criteri - Onere a carico della collettivit
Considerato invero il diverso grado di "servizio" del "cortile" rispetto alle porzioni immobiliari "box" (rispetto alle
quali una parte del cortile funge da copertura e via costante di accesso a mezzi motorizzati) e rispetto al restante
edificio (per il quale il cortile funge solo da zona di generico passaggio e di accesso al locale rifiuti), non se ne
pu che trarre la conclusione di una pi intensa destinazione d'uso della porzione interessata dalle opere di
rifacimento dell'impermeabilizzazione del cortile (sovrastante alcuni box nonch due locali comuni adibiti alla
raccolta dei rifiuti dello stabile principale) per i soli condomini proprietari dei box: e ci, si noti,
indipendentemente da ogni questione in termini di uso "potenziale" ovvero concreto da parte dei membri della
collettivit, alla diversa destinazione della cosa essendo direttamente discendente dalla conformazione del
complesso. La delibera impugnata deve quindi essere dichiarata invalida in quanto essa disattende la regola di
riparto ex articolo 1123, secondo comma, Codice civile, applicabile alla fattispecie.
MODALITA' DI CONVOCAZIONE DELL'ASSEMBLEA
Tribunale Napoli, sez. II, 30 settembre 1999, n. 6867
Assemblea - Convocazione - Modalit - Presunzione di conoscenza - Onere della prova
Se vero, secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, che la convocazione dell'assemblea di un
condominio, a pena d'invalidit della medesima, ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 1136, Codice civile, va
comunicata a tutti i comproprietari pro indiviso di un piano o di una porzione di piano, stante l'inapplicabilit
anche in via analogica dell'art. 2347, Codice civile, altrettanto vero che in assenza di particolari formalit per la
notifica dell'avviso di convocazione il coniuge convivente, allorquando la stessa sia stata notificato all'altro
coniuge, comproprietario, talch una volta dimostrata tale presunzione, spetta alla controparte fornire la prova
che in concreto tale conoscenza non vi sia stata. Cos pure da ritenersi che sussistano elementi tali da poter
affermare l'esistenza della presunzione di conoscenza della convocazione da parte degli altri comproprietari, se
pur non conviventi, allorquando - come nel caso di specie - uno dei coeredi, in quanto, secondo l'orientamento
della Suprema Corte, uno dei comproprietari pu ritenersi ritualmente convocato a partecipare ad un'assemblea
del condominio, nonch validamente rappresentato nella medesima, con riguardo ad affari di ordinaria
amministrazione, dall'altro comproprietario della stessa unit immobiliare, senza il bisogno di particolari formalit
essendo sufficiente che risulti provata - anche per presunzioni - l'effettiva notizia della convocazione di
assemblea ed abbia conferito, sia pure verbalmente, il potere di rappresentanza.
CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE DI RIFACIMENTO DELLA FACCIATA
Tribunale Milano 30 dicembre 1999, n. 10526
Rifacimento delle facciate - ripartizione della spesa - Art. 1123, Codice civile - Inapplicabilit tabelle millesimali di
propriet
Merita accoglimento la domanda di impugnazione di delibera con la quale sia stato deciso di ripartire in base al
criterio millesimale, indistintamente tra tutti i condomini, le spese per una serie di interventi di ristrutturazione
dello stabile che comprendevano il rifacimento della facciata previa demolizione dell'intonaco e sostituzione con
l'altro, comprese le balconate (n. d. r. nel caso in esame comunque correttamente addebitate ai soli proprietari di
queste, per la parte loro esclusiva). Ci si trova qui in presenza di opere non di opere di semplice manutenzione
estetica della facciata, suscettibili, secondo noti principi, di essere ripartite tra tutti i condomini in ragione delle
rispettive quote di propriet, ma interessanti strutture di cui si avvalgono principalmente i proprietari di
appartamenti cui la facciata serve da protezione, o addirittura, come nel caso di balconi, i soli proprietari di
questi (n. d. r. vedi quanto gi sopra precisato e quindi in questo caso non oggetto d'impugnazione).
Rappresenta quindi un eccesso di potere da parte dell'organo decisorio condominiale la ripartizione di queste
spese indiscriminatamente tra tutti i partecipanti al condominio comprendendovi coloro che, essendo proprietari
di un'unit situata al livello delle cantine, non si avvale in alcun modo diretto della facciata se non per le parti
comuni che appartengono all'edificio riparato dalla facciata (come l'androne).
CONDOMINIO - PARTI COMUNI
Cass. civ., sent. n. 875, 3 febbraio 1999, Sez. II
Delibera assembleare di chiusura dei cancelli di accesso al sottosuolo - Innovazione - Esclusione - Maggioranza
prevista
In tema di condominio negli edifici, non richiesta, per la legittimit della delibera assembleare avente a oggetto
la chiusura dei cancelli di accesso al sottosuolo ove sono collocati i posti macchina riservati ai condomini,
l'adozione con la maggioranza qualificata dei due terzi del valore dell'edificio, non concernendo tale delibera una
"innovazione", secondo il significato attribuito a tale espressione dal codice civile, ma riguardando solo la

regolamentazione dell'uso ordinato della cosa comune consiste nel non consentire a terzi estranei al condominio
l'indiscriminato accesso al sottosuolo dello stesso.
CONDOMINIO - REGOLAMENTO
Cass. civ., sent. n. 1057, 6 febbraio 1999, Sez. II
Assembleare - Modifiche delle disposizioni in materia di uso delle parti comuni - Modificabilit - Condizioni
Qualora il regolamento condominiale non abbia natura contrattuale, l'assemblea dei condomini, anche in
mancanza di unanimit, pu modificare le disposizioni regolamentari in materia di uso delle cose comuni, purch
sia assicurato il diritto al pari uso di tutti i condomini, e cio il diritto di ciascun condomino di trarre dalle cose
comuni il massimo godimento possibile, dovendo, peraltro, la eventuale maggiore utilizzazione consentire, sia
pure a livello di previsione potenziale, un godimento di pari natura ed intensit da parte degli altri condomini.
Cass. civ., sent. n. 3749, 15 aprile 1999, Sez. II
Contrattuale - Effetti vincolanti
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato dagli
iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso o
il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facolt dei singoli
condomini sulle loro propriet esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servit reciproca.
CONDOMINIO - RESPONSABILITA CIVILE
Cass. civ., Sent. n. 3753, 15 aprile 1999, Sez. II
Umidit conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali - Danni a singoli condomini Responsabilit del condominio
L'umidit conseguente a inadeguata coibentazione delle strutture perimetrali di un edificio, pu integrare, ove sia
compromessa l'abitabilit e il godimento del bene, grave difetto dell'edificio ai fini della responsabilit del
costruttore ex art. 1669 cod. civ.; tuttavia, qualora il fenomeno sia causa di danni a singoli condomini, nei
confronti di costoro responsabile in via autonoma ex art. 2051 cod. civ. il condominio, che tenuto, quale
custode, a eliminare le caratteristiche lesive insite nella cosa propria.
CONDOMINIO - RIPARTIZIONE SPESE
Cass. civ., sent. n. 3568, 12 aprile 1999, Sez. II
Manutenzione dei soffitti, delle volte e dei solai - modalit di ripartizione per i danni ascrivibili a singoli condomini
In tema di condominio di edifici, la ripartizione delle spese per la manutenzione, ricostruzione dei soffitti, delle
volte e dei solai secondo i criteri dell'art. 1125 cod. civ., riguarda le ipotesi in cui la necessit delle riparazioni
non sia da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli condomini trova
applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni a carico di colui che li ha cagionati.
Cass. civ., sent. n. 2617, 20 marzo 1999, Sez. II
Pagamento della quota per spese comunali - Applicabilit del principio dell'apparenza
L'amministratore di un condominio pu invocare il principio dell'apparenza del diritto, che giustifica il suo errore
di terzo in buona fede, per ottenere il pagamento delle quota per spese comuni da colui che si comporta da
condomino, nella specie promissario acquirente di appartamenti nell'edificio condominiale, trasferitigli
coattivamente con sentenza di primo grado, bench non definitiva perch appellata dalla soccombente
controparte, e locati in qualit di proprietari, non avendo l'onere di controllare preventivamente i registri
immobiliari per accertare la titolarit della propriet.
CONDOMINIO - RISCALDAMENTO CENTRALE
Cass. civ., sent. n. 1165, 11 febbraio 1999, Sez. II
Trasformazione di impianti autonomi a gas - Validit della delibera approvata ai sensi dell'art. 26 della legge
10/1991 anche in mancanza del progetto dell'opera
La delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari, ai
sensi dell'art. 26, comma 2, legge 10 del 9 gennaio 1991, in relazione all'art. lett. g), stessa legge, assunta a
maggioranza delle quote millesimali, valida anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato
dalla relazione tecnica di conformit di cui all'art. 28, comma 1, stessa legge, attenendo tale progetto alla
successiva fase di esecuzione della delibera.
CONDOMINIO - USO DELLE PARTI COMUNI
Cass. civ., sent. n. 1162, 11 febbraio 1999, Sez. II
Tubatura di scarico di un servizio esclusivo di un condomino - Collocazione in un muro maestro - Legittimit Infiltrazioni causate alla propriet di un altro condomino - Obbligo di risarcire i danni
La collocazione di una tubatura di scarico di un servizio, di pertinenza esclusiva di un condomino, in un muro
maestro dell'edificio condominiale, rientra nell'uso consentito del bene comune, per la funzione accessoria cui
esso adempie, restando impregiudicata la domanda di condanna del risarcimento del danno, anche in forma
specifica, ossia mediante sostituzioni e riparazioni, proponibile per le infiltrazioni derivatene alla propriet, o
compropriet, di altro condomino
Cass. 25/03/99 - n. 2837
Assemblea - Convocazione - Prova del recapito - Onere dell'amministratore
L'onere di provare che tutti i condomini siano stati tempestivamente convocati, fa carico al condominio. Tale
prova non pu essere offerta con la dimostrazione della consegna di un avviso a soggetti quali non stato
conferito uno stabile potere di rappresentanza nei confronti del condominio.
Parcheggio - Rivendica del diritto reale nei confronti del venditore/costruttore - litisconsorzio con gli altri
condomini.
Qualora alcuni condomini abbiano convenuto in giudizio il venditore - costruttore dell'edificio, per rivendicare il
diritto reale d'uso sull'area dell'edificio destinata a parcheggio, non ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario,

nei confronti degli altri condomini, ai quali pertanto non va notificato l'atto d'impugnazione per l'integrazione del
contraddittorio.
Cass. 12/04/99 - n. 3568
Contributi e spese - Manutenzione - Danno ascrivibile a singoli condomini - Risarcimento.
In tema di condomini ed edifici, la ripartizione delle spese, per la manutenzione, ricostruzione di soffitti, delle
volte e dei solai, secondo i criteri previsti dall'art. 1125 c. c., riguarda le ipotesi in cui le necessit delle
riparazioni non siano da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli
condomini, trova applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni a carico di colui che li
ha provocati.
Cass. 12/04/99 - n. 3574
Pertinenza - Trasferimento a terzi del bene principale - Estensione alla cosa accessoria.
Costituitosi un rapporto pertinenziale tra beni a seguito della destinazione operata dal proprietario della cosa
principale, che ha piena che ha piena disponibilit anche della cosa accessoria ( nella specie una veranda a
servizio di un appartamento, realizzata su un'area condominiale, dall'originario proprietario costruttore dell'intero
edificio), gli atti di disposizione aventi ad oggetto la cosa principale, si estendo a quella accessoria. Ci sempre
che non intervenga un atto del proprietario di cessazione della destinazione, vale a dire l'esplicita esclusione
della pertinenza in un atto avente in un atto avente ad ogni oggetto la cosa principale o il compimento di un atto
avente ad oggetto la sola pertinenza.
Cass. 15/04/99 - n. 3749
Regolamento contrattuale - Clausole delimitanti il potere e le facolt dei singoli condomini sulle propriet
esclusive - Opponibilit ai successivi acquirenti .
Il regolamento di condominio, predisposto dall'originario e unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato
dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto presso i registri immobiliari, assume carattere di
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti, non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso
e il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facolt dei singoli
condomini sulle propriet esclusive, venendo a costruire su queste ultime una servit reciproca.
Cass. 16/04/99 - n. 3803
Contributi e spese - Soggetti obbligati - Lastrico con funzione di copertura e di raccolta di acque di scolo manutenzione.
In un condominio il lastrico di copertura di una parte individuata dell'edificio condominiale, che ha la funzione,
oltre che di copertura di tale parte, anche di raccolta delle acque di scolo di altre parti dell'edificio, deve ritenersi
destinato a scrivere anche queste ultime. Conseguentemente le spese di manutenzione devono essere ripartite
fra tutti i condomini che ne traggono utilit, tenendo conto della diversa utilit che ciascuna parte pu trarne.
Cass. 28/04/99 n. 4266
Parti comuni dell'edificio - Sottotetti, soffitti e solai - Presunzione di comunione.
Il sottotetto di un edificio pu considerarsi pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano, soltanto ove assolva
l'esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento stesso dal caldo, dal freddo e dall'umidit, mediante
la creazione di una camera d'aria. Di contro tale principio non si applica allorch il sottotetto ambia dimensioni e
caratteristiche strutturali tali da consentire l'utilizzazione come vano autonomo, nel qual caso deve presumersi di
propriet condominiale, se esso risulti in concreto, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all'uso
comune o all'esercizio di un interesse comune.
RESPONSABILITA' DEL COMMITTENTE PER I DANNI CAUSATI DALL'APPALTATORE
Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2000, n. 187
Appalto - Responsabilit per danni cagionati a terzi - Ingerenze del committente - Esclusione della responsabilit
dell'appaltatore - Condizioni
La responsabilit per i danni arrecati a terzi nell'esecuzione dell'opera, rimane esclusa solo se vi sia la prova che
egli ha reso edotto il committente dell'erroneit delle istruzioni ricevute e ci nonostante si dovuto attenere alle
dette istruzioni, per averle il committente ribadite.
MODIFICA DEI CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE GENERALI
Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2000, n. 126
Contributi e spese condominiali - Ripartizione delle spese generali - Modifica dei criteri - Difetto del consenso di
tutti i condomini - Nullit della delibera - Sussistenza - Conseguenze - Esperibilit dell'azione di nullit anche da
parte del condomino consenziente
E' affetta da nullit ( la quale pu essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato
all'assemblea e ancorch abbia espresso voto favorevole, e risulta sottratta al termine d'impugnazione previsto
dall'art. 1137, Codice civile,) la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i
condomini, si modifichino i criteri legali (art. 1123, Codice civile) o di regolamento contrattuale di riparto delle
spese necessarie per la prestazione di servizi nell'interesse comune, e ci perch il riparto in base all'uso
differenziato, previsto dal secondo comma del citato art. 1123, non applicabile alle spese generali.
RESPONSABILITA' DELL'APPALTATORE
Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2000, n. 117
Gravi difetti di costruzione - Infiltrazioni di acqua per carenze di impermeabilizzazione - Responsabilit del
costruttore - Garanzia a carico dell'appaltatore.
Tra i vari difetti di costruzione per i quali operante a carico dell'appaltatore la garanzia prevista dall'art. 1669,
Codice civile, rientrano le infiltrazioni d'acqua determinate da carenze dell'impermeabilizzazione perch incidono
sulla funzionalit dell'opera menomandone il godimento.
APERTURA DI UN VARCO D'ACCESSO DAL CORTILE CONDOMINIALE ALLA PROPRIETA' ESCLUSIVA

Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2000, n. 42


Parti comuni - Uso - Estensione e limiti - Apertura nel muro perimetrale comune di un varco di accesso dal
cortile condominiale ai locali di propriet esclusiva - Ammissibilit e limiti
Le modificazioni di un bene condominiale per iniziativa del singolo sono lecite nelle sole ipotesi in cui esse, oltre
a non compromettere la stabilit, la sicurezza ed il decoro architettonico, ed a non alterare la destinazione del
bene, non siano lesive dei diritti degli altri condomini relativi al godimento sia delle parti comuni interessate alla
modificazione, sia delle parti di loro propriet. Pi in particolare, il condomino, nel caso in cui il cortile comune
sia munito di recinzione che lo separi dalla sua propriet esclusiva, pu apportare a tale recinzione, pur essa
condominiale, senza bisogno di consenso da parte degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che
gli consentono di trarre dal bene comune una particolare utilit aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri
condomini e, quindi, procedere anche all'apertura di un varco d'accesso dal cortile condominiale alla sua
propriet esclusiva, purch tale varco non impedisca agli altri condomini di continuare ad utilizzare il cortile,
come in precedenza.
RISCOSSIONE DI CONTRIBUTI CONDOMINIALI
Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2000, n. 29
La riscossione dei contributi condominiali in base ad una deliberazione dell'assemblea di approvazione del
relativo stato di ripartizione rientra tra le attribuzioni dell'amministratore ( artt. 1130 1131, Codice civile), il quale
per ottenere il pagamento pu avvalersi del decreto ingiuntivo nell'interesse comune senza necessit di una
preventiva autorizzazione dell'assemblea, e a fortiori pu impugnare la sentenza che sia stata emessa nel
giudizio nel quale abbia rivestito la qualit di parte.
AMMINISTRAZIONE DELLA COSA COMUNE E INERZIA DELL'ASSEMBLEA
Tribunale Napoli, sez. X, 10 febbraio 2000, n. 1927
Assemblea - Amministrazione della cosa comune - Inerzia dell'assemblea - Ricorso in sede di volontaria
giurisdizione - Legittimazione del condominio - Condizioni e limiti
Il ricorso all'Autorit giudiziaria in sede di volontaria giurisdizione, previsto dall'art. 1105, quarto comma, Codice
civile, presuppone l'inerzia dell'assemblea nell'adottare quei provvedimenti necessari per l'amministrazione della
cosa comune, o provvedimenti dell'amministratore che non esegua le decisioni prese dall'organo deliberante
l'atto. Ne consegue che, ove tale presupposto venga meno, ancorch l'A.G. sia gi intervenuta, per esercitare i
poteri di supplenza conferitale dalla norma in esame, consentito ai condomini di provvedere
all'amministrazione della cosa comune attraverso i propri organi.
ESERCIZIO DI ATTIVITA' APERTE AL PUBBLICO
Tribunale Napoli, sez. IV, 3 febbraio 2000, n. 1296
Regolamento condominiale - Destinazione d'uso - Attivit di scuola di danza - Divieto
L'esercizio dell'attivit di "scuola di danza" all'interno di un fabbricato condominiale costituisce attivit idonea a
determinare un turbamento del bene e della tranquillit degli altri partecipanti al condominio che, se tutelati da
espressa norma regolamentare, come nel caso di specie, vietata. L'obbligo per il singolo condomino di
adeguarsi a detta norma discende in via immediata e diretta ex contratto, per il principio generale espresso
dall'art. 1137, Codice civile.
PASSAGGIO DI CONSEGNE TRA AMMINISTRATORI
Tribunale Milano 24 gennaio 2000, n. 646
Amministratore - Documentazione - Passaggio di consegne - Obbligo - Proponibilit del ricorso d'urgenza
Sussiste il diritto della collettivit ad ottenere la consegna del cessato amministratore della documentazione
inerente lo svolgimento del mandato di gestione delle cose comuni e, in particolare, della documentazione
relativa al personale dipendente e alla esecuzione di lavori straordinari, diritto che ben pu essere fatto valere
attraverso il procedimento d'urgenza.
RESPONSABILITA' DELL'AMMINISTRATORE USCENTE PER I DEBITI RIMASTI INSOLUTI
Giudice di Pace Milano 31 gennaio 2000, n. 837
Amministratore - Passaggio di consegne - Mancata informazione dell'esistenza di un debito - Oneri aggiuntivi Responsabilit dell'amministratore uscente
L'ex amministratore che non abbia provveduto al pagamento di un fornitore e non abbia informato dell'esistenza
di un debito il suo successore, senza peraltro aver fornito in giudizio alcuna giustificazione di tale mancato
pagamento, tenuto a rimborsare al condominio la differenza tra l'originario credito del terzo fornitore e quanto il
condominio sia stato costretto a pagare a seguito di azione giudiziaria da parte del terzo medesimo.
RISARCIMENTO DEI DANNI DOVUTI A INFILTRAZIONE DI ACQUA
Tribunale Firenze 15 maggio 2000, n.330
Oneri condominiali Richiesta giudiziale di pagamento Eccezione del convenuto di esistenza di un giudizio
instaurato per risarcimento di danni da infiltrazioni nella propriet esclusiva Ipotesi di pregiudizialit
Esclusione
Lesistenza di un contenzioso instaurato da un condomino nei confronti del condominio per ottenere il
risarcimento dei danni causati dallesistenza di infiltrazioni di acqua nella propriet esclusiva, avendo un oggetto
di causa completamente diverso da quello instaurato successivamente dal condominio, nei confronti dello
stesso proprietario, per il mancato pagamento di oneri condominiali di sua spettanza, non costituisce unipotesi
di pregiudizialit e, quindi, non pu essere disposta la sospensione del giudizio instaurato per secondo.
La mancata contestazione, come nel caso di specie, degli importi richiesti e dalla sussistenza delle delibere
condominiali e il mancato svolgimento di tempestive impugnazioni avverso le delibere assembleari, determinanti
le quote e gli importi posti a carico dei condomini, comporta sul piano giuridico il riconoscimento da parte del
condomino convenuto del credito del condominio.
RESPONSABILITA DELLAMMINISTRATORE

Tribunale Milano 15 maggio 2000, n. 5883


Amministratore Responsabilit Risarcimento del danno Solidariet fra due amministratori
Non apparendo credibile che lamministratore (n.d.r. subentrato nella carica nel corso dellesercizio) abbia
omesso un comportamento di ordinaria diligenza quale il controllo dei rendiconti (n.d.r. di fatto stilati dal suo
predecessore) e della relativa documentazione al momento dellassunzione del mandato, ed avendo egli
illustrato allassemblea per ottenere lapprovazione il rendiconto dellesercizio, deve ritenersi lo stesso
responsabile in solido con il suo predecessore dei danni causati al condominio che derivassero da
irregolarit presenti nel rendiconto medesimo
VARIAZIONE DI DESTINAZIONE DUSO
Tribunale Milano provvedimento reso in giudizio cautelare R.G.34286/2000
Variazione di destinazione Assemblea Richiesta di autorizzazioneLa mancata richiesta di autorizzazione per
lesecuzione dei lavori allamministratore non pu di per s rappresentare esito in ogni caso preclusivo della
facolt del condomino di procedere a variazioni di destinazione della propria unit, la mancata autorizzazione (in
via amministrativa e assembleare) potendo rappresentare non gi un discrezionale divieto allesercizio di facolt
duso della cosa privata ma solo una ricognizione della non corrispondenza di tale esercizio a vincoli normativi o
convenzionali e come tale rimanendo sempre soggetta a valutazione di liceit in sede contenziosa.
IMMISSIONI ILLECITE
Cass. civ. sez. II 2 giugno 2000, n. 7420
Le propagazioni nel fondo del vicino che oltrepassino il limite della normale tollerabilit costituiscono un fatto
illecito perseguibile, in via comulativa, con lazione diretta a farle cessare (avente carattere reale e natura
negatoria) e con quella intesa ad ottenere il risarcimento del pregiudizio che ne sia derivato (di natura
personale), a prescindere dalla circostanza che il pregiudizio medesimo abbia assunto i connotati della
temporaneit e non della definitivit.
USO DELLE PERTINENZE
Cass. civ.,sez. II, 10 maggio 2000, n. 6001
Una pertinenza in comunione pu essere destinata al contemporaneo servizio di pi cose principali appartenenti
ciascuna in propriet esclusiva ai condomini della pertinenza.
USO DELLE PARTI COMUNI
La cosa comune, ai sensi dellart. 1102, Codice civile, pu essere utilizzata dal condomino anche in modo
particolare e diverso rispetto alla sua normale destinazione se ci non alteri lequilibrio tra le concorrenti
utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari, e non determini pregiudizievoli invadenze dellambito
dei coesistenti diritti di costoro (nella specie, utilizzazione, da parte di un condomino, degli scariche condominiali
senza alterarne la destinazione e senza impedirne pari uso, attuale o potenziali, agli altri condomini).
IMPUGNAZIONE DELLA DELIBERA DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE STRAORDINARIE
Tribunale di Napoli, sez. XI, 15 maggio 2000, n. 6516
Lesecuzione di lavori per un importo elevato rientra tra le opere di straordinaria manutenzione, per la
approvazione delle quali necessita la maggioranza qualificata, di cui allart. 1136, quarto comma del Codice
civile, e, cio, la met pi uno degli intervenuti ed almeno la met dei millesimi.
Il riparto della relativa spesa deve necessariamente essere effettuato in base a tabella, anche per quanto
concerne il solo fondo di accantonamento ad essa destinato.
Il condomino che intenda impugnare una delibera assembleare vi ha comunque interesse, indipendentemente
dal risultato, in quanto detto interesse consiste nella rimozione della delibera impugnata.
La delibera con la quale si approva un consuntivo (gi approvato in altra assemblea) nonostante la mancata
verifica della documentazione contabile richiesta dai condomini e posta allordine del giorno della assemblea,
non costituisce "ratifica" di una precedente delibera, bens nuova delibera che, atteso, appunto, il mancato
riscontro, viziata da accesso di potere, determinante unerrata formazione del consenso assembleare e,
pertanto, soggetta ad annullabilit.
RESPONSABILITA PER DANNI DERIVATI ALLA PROPRIETA INDIVIDUALE
Tribunale Napoli, sez. V, 12 maggio 2000, n. 6612
Il condominio non pu essere ritenuto responsabile dei danni derivati alla propriet individuale del singolo
condomino a causa della cattiva esecuzione, da parte dellimpresa designata, di lavori di natura condominiale,
essendo, invece, responsabile degli stessi limpresa esecutrice di detti lavori, nei cui confronti va richiesto il
risarcimento del danno, a meno non si possa attribuire al condominio una "culpa in eligendo" nella scelta
dellimpresa da parte del committente.
CORTILI E CAVEDI
Cass. civ., sez.II, 7 aprile 2000, n.4350.
Parti comuni delledificio Cortili, chiostrine, finestre Cavedio Nozione
Il cavedio talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce un cortile di piccole dimensioni, circoscritto
dai muri perimetrali e dalle fondamenta delledificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a
locali secondari ( quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi ), e perci sottoposto al medesimo regime giuridico
del cortile, espressamente contemplato dall art. 1117, n. 1, Codice civile, tra i beni comuni, salvo specifico titolo
contrario.
AZIONI A DIFESA DELLA COSA COMUNE
Cass. civ., sez.II, 7 aprile 2000, n.4345
Azioni a difesa o a vantaggio della cosa comune Necessit dintegrazione del contraddittorio nei confronti degli
altri partecipanti alla comunione Esclusione
Le azioni a difesa o a vantaggio della cosa comune possono essere esperite dai singoli condomini senza che sia
necessaria lintegrazione del contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti alla comunione.

AREE DESTINATE A PARCHEGGIO


Cass. civ. sez.II, 5 aprile 2000, n.4197
Area di parcheggio Alienazione degli appartamenti di un immobile Elusione del vincolo di destinazione
dellarea di parcheggio Violazione di una norma edilizia Diritto al risarcimento dei soggetti privati del
godimento dellarea Configurabilit
Di fronte alla violazione di norme pubblicistiche incidenti sul regime della propriet privata, la posizione del
privato che subisca un danno pur sempre posizione di diritto soggettivo, onde il danno segue al mancato
godimento del bene, oggetto del diritto riconosciuto. (Fattispecie in tema dalienazione degli appartamenti di un
immobile, con elusione del vincolo di destinazione dellarea di parcheggio edificata ai sensi dellart.41 sexies
della legge 17 agosto 1942, n.1150, aggiunto dallart.18 della legge "ponte").
APERTURA DI VEDUTE
Cass. civ., sez. II, 5 aprile 2000, n. 4190
Distanze legali delle costruzioni dalle vedute Rapporti tra condomini Obbligo dosservanza delle distanze
Sussistenza
Le norme sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano anche nei rapporti tra condomini di un
edificio in quanto lart.1102, Codice civile, non deroga al disposto dellart.907, Codice civile
DOMICILIO DEL CONDOMINIO
Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2000, n. 976
Domicilio del condominio - Individuazione - Criteri
Il condominio di edifici, che non una persona giuridica, ma un ente di gestione e non ha, pertanto, una sede in
senso tecnico, ove non abbia designato nell'ambito dell'edificio un luogo espressamente destinato e di fatto
utilizzato per l'organizzazione e lo svolgimento della gestione condominiale, ha il domicilio coincidente con
quello privato dell'amministratore che lo rappresenta.
QUANDO SORGE L'OBBLIGO DI ADEMPIERE AL PAGAMENTO DELLE SPESE
Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 857
Contributi e spese condominiali - Obbligazioni del condomino - Insorgenza dell'obbligo di effettuare il pagamento
L'obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva
non dalla preventiva approvazione della spesa e della ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione
dell'attivit di manutenzione e sorge, quindi, per effetto dell'attivit gestionale concretamente compiuta e non per
effetto dell'autorizzazione accordata all'amministrazione per il compimento di una determinata attivit di gestione
( nella specie avendo il condomino ammesso di non avere pagato le quote richieste e non contestato il loro
ammontare, stata ritenuta superflua e priva di fondamento ogni altra questione, ivi compresa quella
concernente la nullit delle deliberazioni assembleari poste a fondamento del decreto ingiuntivo emanato nei
suoi confronti).
DIFFERENTE ESERCIZIO DEL DIRITTO DI POSSESSO SULLE PARTI COMUNI
Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 855
Parti comuni dell'edificio - Possesso - Modalit di esercizio - Differenze - Obbiettiva utilit ai piani o alle porzioni
di piano a cui sono collegate ovvero alle attivit dei rispettivi proprietari
Il possesso dei condomini sulle parti comuni di un edificio si esercita diversamente a seconda che le cose, gli
impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unit immobiliari, a cui sono collegati materialmente o
per destinazione funzionale ( come ad esempio per suolo, fondazioni, muri maestri, facciata, tetti, lastrici solari,
oggettivamente utili per la statica ), oppure siano utili soggettivamente, e perci la loro unione materiale o la
destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipende dall'attivit dei rispettivi proprietari ( come ad
esempio per scale, portoni, anditi, portici stenditoi, ascensore, impianti centralizzati per l'acqua calda o l'aria
condizionata ). Infatti nel primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di
piano - soltanto per traslato proprietario - trae da tali utilit; nel secondo caso nell'espletamento delle predetta
attivit da parte da parte del proprietario.
ASSEMBLEA CONVOCATA IN ORA NOTTURNA
Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2000, n. 697
Assemblea dei condomini - Convocazione - Orario della convocazione - Limiti - Esclusione
In mancanza di una norma che disponga il contrario, non esistono limiti di orario alla convocazione di
un'assemblea condominiale; n la fissazione di un'assemblea in ora notturna pu ritenersi completamente
preclusiva della possibilit di parteciparvi. Ne consegue che non sono applicabili, ai fine della verifica della
regolare costituzione dell'assemblea e della validit delle delibere adottate in seconda convocazione, allorch, in
prima, l'assemblea stessa sia andata deserta a causa dell'orario notturno, le maggioranze richieste dall'art.
1136, Codice civile con riferimento alla validit delle deliberazioni adottate in prima convocazione.
RIPARTIZIONE DELLE SPESE DEL LASTRICO SOLARE
Appello Milano 11 gennaio 2000, n. 4, a conferma Tribunale Milano del 27 novembre 1995, n. 10618
Lastrico solare - Duplice funzione: calpestio e copertura - Ripartizione delle spese - onere della manutenzione
I lastrici solari, in generale, assolvono a una duplice funzione di copertura e di piano di calpestio, e tali diverse
funzioni possono essere anche a favore di soggetti diversi, come evidente nell'ipotesi di lastrico che, pur
coprendo una porzione di edificio condominiale ( e in tale funzione servendo una pluralit di condomini), sia
come piano di calpestio, in propriet superficiaria esclusiva, ovvero in uso esclusivo di godimento di un singolo
condomino ( conforme Cass. sez. un., 29 aprile 1997, n. 3672 ). La duplicit di funzioni assolte da un lastrico
solare comporta dunque che in applicazione dei criteri desumibili dagli artt. 1123 e 1126, Codice civile,
l'obbligazione propter rem di tutelarne l'integrit e quindi di provvedere alla manutenzione e conservazione vada
attribuita sia al soggetto per cui funge da copertura, sia a quello che ne gode come piano di calpestio. La

particolarit di una situazione che vede praticamente rovesciate le posizioni presupposte dall'art. 1126, ove cio
la pluralit dei condomini gode del piano di calpestio, mentre la copertura serve ad un solo condomino, potrebbe
suggerire una diversa suddivisine dell'onere economico ( la norma chiaramente non intende penalizzare il
singolo condomino ) ma identica rimane la ratio desumibile, ossia una corresponsabilit tra l'intera comunit
condominiale ed il singolo condomino che dal bene trae una particolare ed esclusiva utilit ( come del resto
chiaramente previsto dall'art. 1123, secondo comma, Codice civile ). Deve pertanto ritenersi che l'utilit fornita
come copertura abbia rilevanza pari a quella fornita all'intera comunit condominiale per il calpestio: con la
conseguenza che la responsabilit per i danni derivanti dalla cattiva manutenzione del lastrico solare vanno
posti per met a carico del condominio e per l'altra a carico del singolo per cui funge da copertura.
ORDINE DEL GIORNO: REQUISITI
Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2000, n. 3634
Assemblea dei condomini - Avviso di convocazione - Ordine del giorno - Contenuto - Elencazione specifica degli
argomenti da trattare - Accertamento della sua completezza
Affinch la delibera di un'assemblea condominiale sia valida necessario che l'avviso di convocazione elenchi,
sia pure in modo non analitico e minuzioso, specificatamente gli argomenti da trattare s da far comprendere i
termini essenziali di essi e consentire agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla
partecipazione alla deliberazione. In particolare la disposizione dell'art. 1105, terzo comma, Codice civile,
applicabile anche in materia di condominio di edifici, la quale prescrive che tutti i partecipanti debbano essere
preventivamente informati delle questioni e delle materie sulle quali sono chiamati a deliberare, non comporta
che nell'avviso di convocazione debba essere prefigurato lo sviluppo della discussione ed il risultato dell'esame
dei singoli punti da parte dell'assemblea. L'accertamento della completezza o meno dell'ordine del giorno di
un'assemblea condominiale, nonch della pertinenza della deliberazione dell'assemblea al tema in discussione
indicato nell'ordine del giorno contenuto nel relativo avviso di convocazione, poi demandato all'apprezzamento
del giudice del merito, insindacabile in sede di legittimit se adeguatamente motivato.
APERTURA DI VEDUTE
Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2000, n. 3421
Distanze legali - Costruzione a distanza inferiore a quella stabilita dall'art. 873, Codice civile - Apertura in essa di
una veduta diretta - Inammissibilit
La disposizione dell'art. 905, Codice civile, secondo cui, per l'apertura di vedute dirette verso il fondo del vicino si
deve osservare la distanza di un metro e mezzo, va posta in relazione con l'art. 873 dello stesso codice che
prescrive una distanza non minore di tre metri ( o quella maggiore stabilita dai regolamenti edilizi locali ) per le
costruzioni su fondi finitimi. Da ci consegue, pertanto, che, ove nel compiere la costruzione non sia stata
rispettata la distanza dal fondo del vicino fissata dal Codice civile, non possa aprirsi in detta costruzione una
veduta iure proprietatis.
PRESUNZIONE DI COMUNIONE SULLE PARTI COMUNI
Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2000, n. 3409
Parti comuni dell'edificio - Presunzione di comunione - Titolo contrario - Necessit - Situazione di fatto non
risultante dal titolo - Ininfluenza - Superamento della presunzione
La presunzione di comunione, tra i condomini di un edificio condominiale, delle parti comuni indicate dall'art.
1117, Codice civile, pu esser superata soltanto se il contrario risulta dal titolo, non dalla singola situazione di
fatto ( principio affermato dalla Cassazione in una specie in cui unitamente all'acquisto del primo piano era stato
acquistato, in propriet esclusiva, l'accesso ad esso da una scala esterna, mentre era stato murato l'altro
accesso attraverso una scala interna comune, che per costituiva l'unico transito per accedere ai lastrici solari,
comuni anche al proprietario del primo piano ).
AMMINISTRATORE NOMINATO DALL'AUTORITA' GIUDIZIARIA
Non fondata la questione di legittimit costituzionale degli arte. 1105, comma quarto, 1129, comma primo, c.c.
737 e ss. c.p.c. nelle parti in cui non prevedono che il ricorso introduttivo del procedimento per la nomina
dell'amministratore del condominio da parte dell'autorit giudiziaria debba essere notificato agli altri condomini,
questione sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione.
* Corte cost., 27 novembre 1974, n. 267, in Arch. civ. 1975, 175.
L'amministratore della cosa comune nominato dall'autorit giudiziaria a norma dell'art. 1105, quarto comma, c.c.,
al pari dell'amministratore nominato dall'assemblea dei comproprietari, ha il mero compito di amministrare, non
gi quello di deliberare o di risolvere conflitti di diritti soggettivi tra i vari cointeressati; la risoluzione dei conflitti di
diritti soggettivi tra i comproprietari costituisce, infatti, compito esclusivo dell'autorit giudiziaria in sede
contenziosa, ovvero dell'autonoma condotta contrattuale degli interessati.
* Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1977, n. 571.
Il ricorso all'autorit giudiziaria in sede di volontaria giurisdizione previsto dall'art. 1105 (quarto comma) c.c., per
l'ipotesi in cui non vengano adottati i provvedimenti necessari all'amministrazione della cosa comune,
improponibile quando tra i partecipanti alla comunione si controverta sull'esistenza e sull'estensione di diritti
soggettivi.
* Cass. civ., sez. II, 17 giugno 1974, n. 1765.
Il provvedimento di nomina dell'amministratore adottato dal presidente del tribunale, a norma dell'art. 1129,
comma 1, c.c., sul presupposto che il condominio ne sia sprovvisto, costituisce attivit di carattere non
giurisdizionale ma amministrativo, non essendo diretta a risolvere un conflitto di interessi ma solo ad assicurare
al condominio l'esistenza dell'organo necessario per l'espletamento delle incombenze ad esso demandate dalla
legge. Esso non soggetto a reclamo innanzi alla corte d'appello, mancando una previsione normativa in tal
senso (a differenza del provvedimento di revoca dell'amministratore adottato ai sensi del comma 3 del citato art.
1129 nonch dell'ultimo comma dell'art. 1131, per il quale il reclamo previsto dall'art. 64 att. c.c.) con

conseguente inammissibilit del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost., avverso il provvedimento della corte
d'appello che abbia dichiarato inammissibile il reclamo contro lo stesso proposto.
* Cass. civ., sez. II, 13 novembre 1996, n. 9942, Minelli c. Siani ed altri, in Arch. loc. e cond. 1997, 439.
L'amministratore di un compendio immobiliare nominato ex art. 1105, ultimo comma, c.c., non pu, in virt della
fonte giudiziaria dei propri poteri, sottrarsi all'adempimento delle obbligazioni derivanti dalla precedente
gestione. Egli, infatti, effettivamente estraneo al bene gestito soltanto quale persona fisica, con la
conseguenza che non risponde con il proprio patrimonio delle obbligazioni gi contratte nell'interesse comune.
* Trib. civ. Brescia, ord. 24 novembre 1999, Bonfiglio c. Soc. A.S.M. in Arch. loc. e cond. 2000, 98.
E' improponibile il ricorso ex art. 700 cod. proc. civ. presentato da un condomino nel caso in cui non si adottino i
provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si formi una maggioranza ovvero se la
deliberazione adottata non venga eseguita: in tali ipotesi deve essere prima promosso il procedimento di
volontaria giurisdizione, in camera di consiglio, previsto dall'art. 1105, quarto comma, cod. civ.
* Pret. civ. Taranto, 12 aprile 1988, Paduano Picciolo c. Condominio Via Di Palma n. 41, Taranto, in Arch. loc. e
cond. 1988, 460.
Allorquando il provvedimento di nomina dell'amministratore di un condominio di edificio da parte dell'autorit
giudiziaria, a norma dell'art. 1129 cod. civ., impugnato perch affetto da nullit sotto il profilo dell'inesistenza
del condominio, assumendosi che si verta, invece, in tema di comunione di cose, legittimi contraddittori sono
soltanto i comproprietari di queste e non l'amministratore nominato, di cui implicitamente si contesta in radice lo
stesso potere di gestione e rappresentanza. (Nella specie, la C.S., rilevato che era stato citato in giudizio il solo
amministratore anche come comproprietario delle cose comuni, ha disposto l'integrazione del contraddittorio nei
confronti degli altri compartecipi ai sensi dell'art. 102 cod. proc. civ.).
* Cass. civ., sez. II, 4 aprile 1985, n. 2309, Dalla Bona c. Lauwero.
L'amministratore giudiziario di un condominio un mandatario dei condomini partecipanti alla comunione e
pertanto il compenso allo stesso spettante, ove non concordato tra le parti, deve essere determinato in sede
contenziosa e non pu, quindi, essere liquidato dal giudice che ha provveduto alla nomina a norma dell'art.
1129, primo comma, c.c.
* Corte app. civ. Lecce, sez. dist. Taranto, 3 maggio 1995, Marturano c. Condominio villaggio Fatamorgana di
Marina di Pulsano, in Arch. loc. e cond. 1996, 73.
La domanda diretta ad ottenere dal giudice la risoluzione del contrasto insorto tra i comunisti in ordine alle sole
modalit di realizzazione di interventi di riparazione della cosa comune, va proposta nelle forme camerali
previste dall'art. 1105, quarto comma cod. civ., a nulla rilevando che, nel corso del giudizio contenzioso a tal fine
promosso, siano sollevate questioni di conflitto su diritti soggettivi influenti sulla scelta della soluzione pratica da
adottare.
* Trib. civ. Monza, 24 febbraio 1987, Mufan c. Sala e altri, in Arch. loc. e cond. 1987, 529.
a) Danno cagionato da animali
In tema di responsabilit per danni cagionati da animali, l'art. 2052 cod. civ. stabilisce a carico del proprietario
dell'animale una presunzione di colpa a vincere la quale non sufficiente la prova di avere usato la comune
diligenza nella custodia dell'animale, ma occorre la prova del caso fortuito. In questo riconducibile anche la
colpa del danneggiato, che, per, per avere effetti liberatori, deve consistere in un comportamento cosciente che
assorba l'intero rapporto causale, e cio in una condotta che, esponendo il danneggiato al rischio e rendendo
questo per ci stesso possibile in concreto, si inserisca in detto rapporto con forza determinante.
* Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1983, n. 1400, Parini c. Olivari.
La responsabilit sancita dall'art. 2052 c.c. ricorre tutte le volte che il danno sia stato prodotto, con diretto nesso
causale, dal fatto proprio dell'animale secundum o contra naturam, comprendendosi in tale concetto qualsiasi
atto o moto dell'animale quod sensu caret, che dipenda dalla natura dell'animale medesimo e prescinda
dall'agire dell'uomo.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 1977, n. 261.
La presunzione di responsabilit per danno cagionato da animali, ai sensi dell'art. 2052 cod. civ., pu essere
superata esclusivamente qualora il proprietario o colui che si serve dell'animale provi il caso fortuito e pertanto
non pu attribuirsi identica efficacia liberatoria alla semplice prova dell'uso della normale diligenza nella custodia
dell'animale stesso o della mansuetudine di questo, essendo, pertanto irrilevante che il suo comportamento
dannoso sia stato causato da impulsi interni imprevedibili o inevitabili ed essendo, invece, sufficiente al
permanere della suddetta presunzione che il danno sia stato prodotto con diretto nesso causale, da fatto proprio
dell'animale.
* Cass. civ., sez. III, 6 gennaio 1983, n. 75, Ente Teatr. Op. c. Ricci.
La responsabilit per fatto di animale, di cui all'art. 2052 c.c., riguarda alternativamente il proprietario
dell'animale e chi si serve dell'animale, per tutto il periodo in cui lo ha in uso.
* Pret. civ. Torino, 4 ottobre 1991, in Arch. civ. 1992, n. 3.
b) Divieto di detenzione
In tema di condominio di edifici il divieto di tenere negli appartamenti comuni animali domestici non pu essere
contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo
detti regolamenti importare limitazioni delle facolt comprese nel diritto di propriet dei condomini sulle porzioni
del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva, sicch in difetto di un'approvazione unanime le
disposizioni anzidette sono inefficaci anche con riguardo a quei condomini che abbiano concorso con il loro voto
favorevole alla relativa approvazione, giacch le manifestazioni di voto in esame, non essendo confluite in un
atto collettivo valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali atipici, di per s inidonei ai sensi dell'art. 1987 c.c. a
vincolare i loro autori, nella mancanza di una specifica disposizione legislativa che ne preveda l'obbligatoriet.
* Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1993, n. 12028.

La detenzione di animali in un condominio, essendo la suddetta facolt una esplicazione del diritto dominicale,
pu essere vietata solo se il proprietario dell'immobile si sia contrattualmente obbligato a non detenere animali
nel proprio appartamento, non potendo un regolamento condominiale di tipo non contrattuale, quand'anche
approvato a maggioranza, stabilire limiti (oneri reali e servit) ai diritti ed ai poteri dei condomini sulla loro
propriet esclusiva, salvo che l'obbligo o il divieto imposto riguardino l'uso, la manutenzione e la eventuale
modifica delle parti di propriet esclusiva, e siano giustificati dalla necessit di tutelare gli interessi generali del
condominio, come il decoro architettonico dell'edificio.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 10 aprile 1990, n. 231, Copelli c. Cassi e Paganuzzi, in Arch. loc. e cond. 1990,
287.
La detenzione di un animale pu integrare in astratto la fattispecie di cui all'art. 844 cod. civ., in quanto tale
norma, interpretata estensivamente, suscettibile di trovare applicazione in tutte le ipotesi di immissioni che
abbiano carattere materiale, mediato o indiretto e provochino una situazione di intollerabilit attuale; pertanto, in
mancanza di un regolamento condominiale di tipo contrattuale che vieti al singolo condomino di detenere
animali nell'immobile di sua esclusiva propriet, la legittimit di tale detenzione deve essere accertata alla luce
dei criteri che presiedono la valutazione della tollerabilit delle immissioni.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 10 aprile 1990, n. 231, Copelli c. Cassi e Paganuzzi, in Arch. loc. e cond. 1990,
287.
Nel caso in cui un regolamento condominiale di tipo contrattuale vieti di tenere animali che possano recare
disturbo ai condomini, il giudice, accertati tali disturbi, pu ordinare, con provvedimento di urgenza,
l'allontanamento degli animali dagli appartamenti in cui sono tenuti.
* Trib. civ. Napoli, ord. 25 ottobre 1990, Ragosta ed altri c. Miranda e Cario, in Arch. loc. e cond. 1990, 737.
Il giudice pu, con provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c., ordinare l'allontanamento di animali molesti (
nella specie, cane) dal condominio, affidando l'esecuzione ad organi pubblici, con divieto assoluto di ritorno
nell'edificio condominiale.
* Trib. civ. Napoli, ord. 8 marzo 1994, in Arch. loc. e cond. 1994, 337.
Qualora una norma contenuta in un regolamento condominiale vieti la detenzione di animali che possano
turbare la quiete o l'igiene della collettivit, il semplice possesso di cani o di altri animali non sufficiente a far
incorrere i condomini in questo divieto, essendo necessario che si accerti effettivamente il pregiudizio causato
alla collettivit dei condomini sotto il profilo della quiete o dell'igiene.
* Pret. civ. Campobasso, 12 maggio 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 176.
Non pu l'assemblea, con voto di maggioranza, imporre ad un condomino il divieto di detenere cani negli
appartamenti, ma occorre che il divieto sia posto nel regolamento condominiale.
* Trib. civ. Parma, 11 novembre 1968, in Riv. giur. edil. 1971, 446.
L'amministratore del condominio legittimato ad agire giudizialmente per il rispetto del regolamento e per la
cessazione di molestie derivanti dalla detenzione di animali negli appartamenti, e la competenza in ordine a tale
questione spetta al pretore.
* Trib. civ. Parma, 11 novembre 1968, in Riv. giur. edil. 1971, 446.
La delibera assembleare di approvazione del regolamento di condominio presa a maggioranza invalida,
perch limitativa delle propriet individuali, nella parte in cui vieta ai condomini di tenere cani anche nelle logge
e nei terrazzi.
* Trib. civ. Messina, 8 aprile 1981, n. 743, in Riv. giur. dottr. leg. e giur. 1981, 53.
c) Immissioni
In caso di regolamento condominiale che vieti tassativamente di recare disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi
natura, il continuo abbaiare di tre cani pastori ed il suono di una batteria configurano sia la lesione di tale
norma regolamentare che violazione dell'art. 844 c.c.
* Trib. civ. Milano, 28 maggio 1990, In Arch. loc. e cond. 1991, 792.
d) Omessa custodia e malgoverno
L'art. 672 c.p. configura tre fattispecie criminose: lasciar liberi, custodire senza le debite cautele, affidare
a persona inesperta animali pericolosi. Consuma la seconda di tali ipotesi colui che, nella sua dimora, tenga un
cane lupo da guardia di grossa taglia, slegato e privo di museruola, quando al medesimo sia possibile portarsi
nell'ingresso, nella portineria e in ogni altro luogo ove siano ammessi i visitatori, per tal modo esposti al rischio di
improvvisi assalti.
* Cass. pen., sez. VI, 17 marzo 1970, n. 684, Fraschini.
L'obbligo di custodire e di governare animali dotati di naturale ed istintiva ferocia o che in determinate
circostanze possano diventare aggressivi incombe sul detentore a qualsiasi titolo. Risponde, quindi, della
contravvenzione di cui all'art. 672 c.p. il custode non proprietario di un cane lupo affidatogli se omette di
osservare le regole di condotta previste dal detto articolo.
* Cass. pen., sez. IV, 29 ottobre 1968, n. 1738, Scali.
Pericolosi per l'altrui incolumit devono ritenersi non soltanto gli animali la cui ferocia caratteristica naturale o
istintiva, ma tutti quelli che, sebbene domestici, possono divenire pericolosi in determinati casi e determinate
circostanze. Dal novero di questi ultimi non si pu escludere il cane normalmente mansueto; per tale categoria di
animali la pericolosit deve essere accertata in concreto considerando la razza di appartenenza ed ogni altro
elemento rilevante.
* Cass. pen., sez. IV, 3 marzo 1970, n. 822, Bonichini.
Ai fini dell'integrazione del reato p.p. dell'art. 672 n. 1 cod. pen. non occorre l'accertamento della pericolosit
dell'animale n l'esposizione e pericolo della pubblica incolumit e non rileva la durata, ancorch breve,
dell'omessa custodia.
* Cass. pen., sez. IV, 26 febbraio 1982, n. 1942, (ud. 27 ottobre 1981), Nolli.

I cani da guardia in genere, e quelli appartenenti anche per somiglianza alla razza dei pastori tedeschi in
particolare, sono da considerarsi pericolosi e, quindi, rientranti nella disciplina di cui all'art. 672 c.p. (omessa
custodia e malgoverno di animali).
* Cass. civ., sez. I, 8 marzo 1990, n. 1840, Vara c. Pref. Caltaniss.
a) Inquinamento elettromagnetico (telefonia cellulare)
In materia di installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, in presenza di documentazione,
consistente in una relazione clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite da una
persona residente nello stabile e lattivazione degli impianti, deve cautelarmente essere considerato prevalente
linteresse primario alla salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente
sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati urgenti i lavori e le opere concernenti
linstallazione e lattivazione dellimpianto. (Fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia cellulare era
stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale).
* Cons. Stato, sez. VI, ord. 25 marzo 1997, Soc. Omnitel c. Condominio di Corso Vittorio Emanuele II n. 184 in
Roma e Codacons.
Linstallazione di un ripetitore per telefonia cellulare su di un lastrico solare situato in un edificio condominiale
non costituisce violazione dellart. 1122 c.c., in quanto: a) non sussiste alcun riscontro scientifico della
pericolosit di tale impianto per la salute dei condomini; b) la concessionaria del servizio di telefonia presenti
allautorit competente un progetto che attesti come limpianto suddetto non arrechi danni alla statica
delledificio.
* Trib. civ. Piacenza, 13 febbraio 1998, n. 51, Condominio di Via S. Francesco n. 8 in Piacenza c. Soc. Omnitel
Pronto Italia e Cella.
In materia di installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, in presenza di documentazione,
consistente in una relazione clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite da una
persona residente nello stabile e lattivazione degli impianti, deve cautelarmente essere considerato prevalente
linteresse primario alla salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente
sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati urgenti i lavori e le opere concernenti
linstallazione e lattivazione dellimpianto. (Fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia cellulare era
stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale).
* Tar Lazio, sez. I, ord. 18 dicembre 1996, n. 3806, Codacons e Condominio di Corso Vittorio Emanuele II n. 184
in Roma c. Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e Soc. Omnitel.
b) Installazione
Il diritto allinstallazione di antenne ed accessori - sia esso configurabile come diritto soggettivo autonomo che
come facolt compresa nel diritto primario allinformazione e diretta alla attuazione di questo (art. 21, Cost.) limitato soltanto dal pari diritto di altro condomino, o di altro coabitante nello stabile, e dal divieto di menomare
(in misura apprezzabile) il diritto di propriet di colui che deve consentire linstallazione su parte del proprio
immobile. Pertanto, qualora sul terrazzo di uno stabile condominiale sia installata (per volont della maggioranza
dei condomini) unantenna televisiva centralizzata e un condomino (o un abitante dello stabile) intenda invece
installare unantenna autonoma, lassemblea dei condomini pu vietare tale seconda installazione solo se la
stessa pregiudichi luso del terrazzo da parte degli altri condomini o arrechi comunque un qualsiasi altro
pregiudizio apprezzabile e rilevante ad una delle parti comuni. Al di fuori di tali ipotesi, una delibera che vieti
linstallazione deve essere considerata nulla, con la conseguenza che il condomino leso pu fare accertare il
proprio diritto allinstallazione stessa, anche se abbia agito in giudizio oltre i termini previsti dallart. 1137 cod.
civ. o, essendo stato presente allassemblea, senza esprimere voto favorevole alla delibera, non abbia
manifestato espressamente la propria opposizione alla delibera stessa.
* Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1985, n. 5399, Acinapura c. Cond. via Colli.
Lart. 1 della L. 6 maggio 1940, n. 554, con lo stabilire che i proprietari di uno stabile o di un appartamento non
possono opporsi allinstallazione nella loro propriet di aerei esterni destinati al funzionamento di apparecchi
radiofonici appartenenti agli abitanti degli stabili e degli appartamenti stessi, non impone una servit, ma si limita
allattribuzione di un diritto, a favore degli abitanti dello stabile e degli appartamenti, allinstallazione, e quindi
anche alla manutenzione degli impianti, pure contro la volont di altri abitanti. Tale diritto non ha contenuto
reale, ma ha natura personale e il titolare di esso, in virt della detta norma, pu esercitarlo indipendentemente
dalla qualit di condomino, per il solo fatto di abitare nello stabile e di essere o diventare utente radio-televisivo.
Conseguentemente, quando il locatario di un appartamento, nellinstallare unantenna televisiva, arrechi danno
al tetto comune delledificio, legittimato allazione di risarcimento del danno proposta dal condominio il solo
locatario e non anche il locatore-proprietario dellappartamento.
* Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 1986, n. 1176, Cond. Pollaiuol. c. Parodi.
Gli artt. 1 e 3 L. 6 maggio 1940 n. 554, dettati con riguardo alla disciplina degli aerei esterni per audizioni
radiofoniche, ma applicabile per analogia anche alle antenne televisive e lart. 231 del d.p.r. 29marzo 1973 n.
156, stabilendo che i proprietari delledificio non possono opporsi alla installazione esterna di antenne da parte
di abitanti dello stesso stabile per il funzionamento di apparecchi radiofonici o televisivi, attribuiscono al titolare
dellutenza il diritto allinstallazione dellantenna sulla terrazza delledificio, ferma restando la facolt del
proprietario al libero uso di questa secondo la sua destinazione ancorch comporti la rimozione od il diverso
collocamento dellantenna, che resta a carico del suo utente, alluopo preavvertito. Ne deriva che il proprietario
della terrazza che vi abbia eseguito dei lavori comportanti la rimozione dellantenna non pu essere condannato
al ripristino nello stato preesistente, posto che spetta allutente provvedere a sua causa e spese alla rimozione
ed al diverso collocamento dellantenna.
* Cass. civ., sez. Il, 24 marzo 1994, n. 2862.
Il diritto riconosciuto dallart. 232, secondo comma, D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 ad ogni occupante,

proprietario od inquilino, di unit immobiliari di appoggiare antenne televisive sui muri e sulle coperture dei
fabbricati, si configura come un diritto soggettivo perfetto ed assoluto di natura personale, avente la sua fonte
nella primaria libert, costituzionalmente garantita, allinformazione e, pertanto, va ritenuto, per sua natura,
insuscettibile di valutazione pecuniaria, con la conseguenza che le azioni ad esso relative rientrano fra quelle da
considerarsi di valore indeterminabile, riservate alla competenza per valore del tribunale, a norma dellart. 9,
secondo comma, c.p.c.
* Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 1993, n. 1139, Carro L. c. Carro A.
In tema di compossesso, ricorre lipotesi dello spoglio quando latto compiuto dal compossessore (preteso
spoliatore) abbia travalicato i limiti del compossesso (impedendo o rendendo pi gravoso luso paritario della res
agli altri compossessori), ovvero abbia comportato lapprensione esclusiva del bene, con mutamento
delloriginario compossesso in possesso esclusivo, ne consegue che, con riguardo allutilizzazione del tetto di un
immobile da parte di uno dei compossessori mediante linstallazione di unantenna ricetrasmittente, la
configurabilit di uno spoglio o di una turbativa del possesso nei confronti degli altri compossessori postula,
necessariamente, laccertamento di un impedimento ad un analogo uso del bene comune da parte di costoro,
conseguente allo specifico comportamento in concreto tenuto dal primo utilizzatore.
* Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1998, n. 5517, Obbialero c. Esposito.
Il diritto di installare lantenna televisiva comprende la facolt di compiere tutte le attivit necessarie per la messa
in opera, ivi compreso il diritto di accedere temporaneamente attraverso la propriet aliena, e tale imposizione
del limite al diritto di propriet da riconoscersi a favore non solo di chi titolare di un diritto di compropriet o di
altri diritti reali sullo stabile, ma anche di chiunque vi abiti a qualunque titolo.
* Pret. civ. Salerno, ord. 24 ottobre 1990.
Il diritto di installazione di antenna non ha natura reale, ovvero non si configura come una speciale limitazione
del diritto di propriet, inquadrabile in unipotesi di servit coattiva, ma personale, poich la norma che lo
contempla prescinde, nellattribuirlo, dalla titolarit di un diritto di propriet o di un altro diritto reale
sullappartamento ed ha la propria origine in un rapporto obbligatorio ex lege, onde lo stesso ha diretta rilevanza
nei confronti del proprietario o del condominio e, come tale, da ritenersi azionabile dinanzi al giudice ordinario.
* Pret. civ. Salerno, ord. 24 ottobre 1990.
E' tutelabile ex art. 700 cod. proc. civ. il diritto dei condomini di un edificio di passare attraverso lappartamento
di un altro condomino al fine di poter installare unantenna televisiva sul tetto delledificio, purch non ne risulti
menomato, in modo apprezzabile, il diritto di propriet di questultimo.
* Pret. civ. Roma, ord. 16 dicembre 1989, Marras e altri c. Salata.
Il diritto di installare unantenna TV spetta esclusivamente al condomino e allinquilino dello stabile interessato
allinstallazione, ma non allutente che non abita in tale stabile. Appare quindi manifestamente infondata
leccezione di incostituzionalit dellart. 232 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, nella parte in cui, in violazione
dellart. 21 Cost., non prevede la possibilit di installare antenne TV anche sui terrazzi degli stabili adiacenti a
quello in cui abita lutente ove questi non capti sufficientemente i segnali televisivi con lantenna installata sul
proprio stabile a causa della interclusione di questultimo tra edifici pi alti.
* Corte app. civ. Lecce, 8 febbraio 1994.
Linstallazione su di un lastrico solare di propriet di un condomino di un ripetitore per telefonia cellulare, con
utilizzo delle cose comuni che consista esclusivamente nellancoraggio dellimpianto suddetto ai muri esterni,
non configura alcuna violazione dellart. 1102 cc.
*Trib civ. Piacenza, 13 febbraio 1998, n. 51, Condominio di Via S. Francesco n. 8 in Piacenza c. Soc. Omnitel
Pronto Italia e Cella.
Linquilino di un immobile condominiale ha un diritto personale e non reale, ai sensi dellart. 1 del D.P.R. 6
agosto 1990, n. 233, di installare e mantenere qualsiasi tipo di antenna di ricezione televisiva sul terrazzo di
copertura dello stabile (sia comune che di propriet esclusiva di alcuni condomini) e di compiere tutte le attivit
necessarie alla sua messa in opera ed al suo funzionamento: tale diritto tutelabile in via cautelare col ricorso
ex art. 700 c.p.c. compete, pertanto, in via autonoma ed immediata, anche al detentore qualificato (conduttore
o comodatario) dellalloggio.
* Trib. civ. Palermo, 13 maggio 1991.
Lart. 1 della L. 6 maggio 1940 n. 554 che sancisce il diritto del condomino ad installare unantenna sul
terrazzo comune o di propriet altrui si applica anche allesercizio di attivit radiofonica in una unit
immobiliare sita in un edificio condominiale. Ed infatti siffatta attivit, anche se svolta da privati, non solo
espressione di esercizio di impresa tesa al lucro, ma altres strumento di esternazione del pensiero. Il solo
limite che la installazione non deve in alcun modo impedire il libero uso della propriet secondo la sua
destinazione n arrecare danni alla propriet medesima od a terzi.
* Trib. civ. Latina, 16 novembre 1992.
Il diritto allinstallazione di una antenna parabolica sul lastrico solare condominiale non va riferito al parametro
dei diritti reali su cosa altrui, ma costituisce una facolt compresa nellamplissimo diritto primario alla libera
manifestazione del pensiero ed , pertanto, soggetto alla tutela prevista dallart. 700 cod. proc. civ.
*Pret. civ. Manfredonia, 4 maggio 1989, n. 16, Agenzia Ippica c. Condominio Palazzo di Largo San Francesco
nn. 21/42 di Manfredonia
e) Manutenzione
Il difetto di manutenzione dellantenna televisiva suscettibile di creare pericolo nella statica dellantenna
medesima, pregiudicando la ricezione e compromettendo il diritto allinformazione televisiva per cui legittima la
richiesta di tutela in via durgenza ex art. 700 cod. proc. civ., da parte del locatore che sia impedito alla
manutenzione predetta dal conduttore.
* Pret. civ. Roma, sez. I, decr. 13 giugno 1983, Durante ed altri c. Gay e altro.

La ristrutturazione dellantenna centralizzata televisiva gi esistente, comportante lo smantellamento delle


strutture preesistenti allo scopo di ampliare la gamma dei programmi da ricevere, non costituisce innovazione.
* Trib. civ. Genova, 18 giugno 1988, n. 1850.
Il passaggio di un radioamatore e del personale tecnico da questi incaricato attraverso labitazione di un
condomino, al fine di eseguire dalle finestre di esso interventi di riparazione o manutenzione di cavi di
collegamento ad una antenna installata sul tetto delledificio condominiale, con sacrificio della libert di domicilio,
non consentito dagli artt. 397 e 232 comma 4, del D.P.R. 29marzo 1973, n. 156, interpretati in modo conforme
alla Costituzione, quando gli interventi stessi siano possibili in altro modo, ancorch pi costoso.
*Corte app. civ. Milano, 30 giugno 1995.
d) Ponte radio
In materia di radiodiffusione, il reato di cui allart. 195, secondo comma, D.P.R. n. 156/1973, che si riferisce
soltanto allinstallazione o allesercizio senza concessione di un impianto, non configurabile in relazione
allinstallazione di un semplice "ponte radio", che non pu certamente considerarsi autonomo impianto di
radiodiffusione, essendo un semplice "collegamento di telecomunicazione" per migliorare il segnale in un
determinato bacino di utenza.
*Cass. pen., sez. III, 19 maggio 1997, n. 1653 (cc. 10 aprile 1997), Calcante.
e) Ricetrasmittenti
Il dovere dei comproprietari o coabitanti di un fabbricato di non opporsi a che altro comproprietario o coabitante,
in qualit di radioamatore munito della prescritta autorizzazione amministrativa, installi unantenna
ricetrasmittente su porzione di propriet altrui o condominiale, nei limiti in cui ci non si traduca in
unapprezzabile menomazione dei loro diritti o della loro possibilit di procedere ad analoga installazione, deve
essere riconosciuto, anche in difetto di unespressa regolamentazione delle antenne da radioamatore nella
disciplina della legge 6 maggio 1940 n. 554 e del d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, dettata a proposito delle antenne
per la ricezione radiotelevisiva, tenuto conto che tale dovere, anche per le antenne radiotelevisive, non si
ricollega ad un diritto dellinstallatore costituito dalla citata normativa, ma ad una sua facolt compresa nel diritto
primario alla libera manifestazione del proprio pensiero e ricezione del pensiero altrui, contemplato dallart. 21
della Costituzione, e che, pertanto, un pari dovere ed una pari facolt vanno riconosciuti anche nellanalogo
caso delle antenne da radioamatore.
* Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1983, n. 7418, Rudelli c. Cerina.
Il titolare del diritto di installazione di unantenna ricetrasmittente pu legittimamente rinunciare a determinate
modalit di esercizio di tale diritto. Per essere valida, la suddetta rinuncia deve essere manifestazione di una
libera e cosciente determinazione della volont di disporre del proprio diritto, nonch risultare da espressioni
incontrovertibii rivelatrici di un intento chiaro in tal senso. (Fattispecie in ordine a clausole, contenute in un
contratto di locazione, relative alle modalit di uso di unantenna radioamatoriale installata sul tetto dellimmobile
locato).
* Trib. civ. Milano, 15 dicembre 1997, Sfreddo e. Campeotto. [99800621]
Limpedimento allesercizio del diritto di installazione di antenna ricetrasmittente sul terrazzo condominiale
(manifestatosi attraverso il rifiuto opposto da alcuni condomini di consentire ai tecnici di accedere alla terrazza
per riparare lantenna, nonch attraverso il rifiuto dellamministratore di consegnare le chiavi della porta di
accesso ditale terrazza) non legittima lazione di reintegrazione, in quanto il predetto diritto non ha natura reale,
ma personale, spettando a chiunque abiti nel condominio.
* Pret. civ. Roma, ord. 13 luglio 1987, Ciocca e Soc. Road Runner c. Condominio Via De Saint Bon, 49 di Roma.
Con riguardo ad un edificio in condominio ancorch dotato di antenna televisiva centralizzata, n lassemblea
dei condomini, n il regolamento da questa approvato possono vietare linstallazione di singole antenne
ricetrasmittenti sul tetto comune da parte dei condomini, in quanto in tal modo non vengono disciplinate le
modalit di uso della cosa comune, ma viene ad essere menomato il diritto di ciascun condomino alluso della
copertura comune, incidendo sul diritto di propriet dello stesso.
* Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1990, n. 7825, Del Degan c. Cond. Malbor. Ud.
Ai sensi dellart. 1 lett. g), L. 28 dicembre 1993, n. 561, lesercizio senza autorizzazione di impianto radioelettrico
ricetrasmittente, previsto dallart. 195 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, non costituisce pi reato ed soggetto
soltanto al pagamento di una sanzione amministrativa.
* Cass. pen., sez. III, 5 aprile 1994, n. 3969 (ud. 16 maggio 1994), Cazzola.
f) Sul balcone di un appartamento
E' da ritenersi lecita linstallazione sul balcone di un appartamento condominiale di una antenna televisiva
trasmittente non diversa dalle comuni antenne riceventi, non potendo essere qualificati innovazioni gli atti di
maggior utilizzazione della cosa comune che non importino alterazione o modificazione e non precludano agli
altri condomini un uguale maggior uso.
Trib. civ. Roma, 27 ottobre 1980, Cond. via Govoni 1 c. Aladino S.p.a. e altro.
AREE VERDI CONDOMINIALI
L'indagine sull'uso della cosa comune da parte del condomino, ai fini della valutazione della sussistenza e della
liceit o meno dell'alterazione o del mutamento di destinazione del bene e della salvezza del pari uso da parte
degli altri condomini, va compiuta con riferimento non alla sola parte della cosa comune oggetto diretto della
modificazione, bens alla cosa stessa nella sua interezza. Pertanto, nel caso in cui un condomino abbia
eliminato un tratto dell'aiuola condominiale (antistante un proprio vano) rendendola carrabile, la sussistenza
dell'alterazione o del mutamento di destinazione deve essere accertata con riguardo all'aiuola

complessivamente considerata.
* Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1984, n. 2206, Sansalone c. Cond. Somma Dona.
Nel caso in cui un condomino chieda il risarcimento dei danni ed, innanzitutto, l'eliminazione totale o parziale di
alberi che, piantati a distanza ravvicinata l'uno dall'altro in un'aiuola comune, con le loro chiome a ridosso del
proprio alloggio impediscano l'ingresso a questo dell'aria e della luce, tale questione deve essere risolta non
soltanto alla stregua dell'art. 892 c.c., occorrendo invece indagare se la mancata manutenzione degli alberi,
anche se piantati alla distanza legale, non costituisca un comportamento negligente del condominio, idoneo a
cagionare ingiusto danno ed a violare il principio per il quale l'uso delle parti comuni non deve mai risolversi in
pregiudizio di alcun condomino.
* Cass. civ., sez. I, 24 agosto 1992, n. 9829, Corso ed altri c. Condominio di Via Castellino n.
115 di Napoli.
Nella nozione di superficie condominiale a verde che, ai sensi dell'art. 13, lett. f), della L. 27 luglio 1978, n. 392,
nella misura percentuale del 10 per cento, si traduce in una maggiore superficie convenzionale di un'unit
immobiliare facente parte di un edificio in condominio (in proporzione alla relativa quota millesimale) ai fini della
determinazione del canone di locazione, non rientrano soltanto quelle aree che - arricchite da fiori, piante,
panchine, ecc.- vengono ad impreziosire lo svolgimento della vita dei condomini, perch anche un semplice
prato realizza quel minimo di godimento estetico, di pi serena vivibilit dell'abitazione e di riservatezza che il
legislatore ha inteso valorizzare, con esclusione, invece delle superfici scoperte mantenute allo stato naturale, le
quali sviliscono, pi che esaltare, il conseguimento delle finalit perseguite dal legislatore.
* Cass. civ., 17 aprile 1991, n. 4113.
La copertura a lastrico, sovrastata da terra e da manto erboso, che assolva anche alla funzione di sostenere
un'area verde condominiale, rientra nelle parti necessariamente comuni.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in
Parma e Condominio di via Rav n. 1 in Parma, in Arch. loc. e cond. 1996, 75.
Le spese di manutenzione di una copertura a lastrico con funzione di sostegno di un'area verde condominiale,
vanno ripartite tra i condomini proprietari del lastrico e della sovrastante area verde da una parte e i proprietari
delle sottostanti autorimesse, e devono essere rapportate alla diversa utilit ritratta, che pu equitativamente
fissarsi rispettivamente in 1/3 e 2/3. Gli interventi di manutenzione di tale copertura sono di competenza
dell'amministratore, ed l'assemblea che delibera sulle spese di manutenzione straordinaria.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in
Parma e Condominio di via Rav n. 1 in Parma.
ASCENSORE CONDOMINIALE
SOMMARIO: a) Condominio multiscale; b) Gettoniera; c) Impignorabilit; d) Installazione; e) Limitazioni all'uso;
f) Locali macchina; g) Manutenzione e conservazione; h) Presunzione di comunione; i) Proprietari dei locali al
piano terreno; I) Separato godimento; m) Sostituzione; n)Spese (ripartizione).
a) Condominio multiscale
Se in un unico complesso condominiale esiste una pluralit di servizi di cose comuni, ciascuna delle quali serve,
per obiettiva destinazione, in modo esclusivo all'uso e al godimento di una parte soltanto dell'immobile, essa
cosa o servizio deve considerarsi comune non gi alla totalit dei condomini. bens soltanto a quella parte di
essi al cui uso comune funzionalmente e strutturalmente destinata. (Nella specie, in relazione ad un edificio
condominiale fornito di due scale, ciascuna delle quali destinata a servire esclusivamente gli appartamenti cui d
accesso, stato escluso che, deliberata la installazione dell'ascensore in una delle scale, potesse opporvisi un
condomino proprietario di appartamento servito dall'altra scala)
*Cass. civ., 26 gennaio 1971, n. 196.
In un condominio ove siano due scale da applicarsi per il collocamento dell'ascensore il condominio parziale;
inoltre in applicazione dell'art. 2, L. n. 13/89 le maggioranze sono quelle previste dall'art. 1136 secondo e terzo
comma c.c.
*Trib. civ., Milano, 12 aprile 1990, in L'Amministratore 1990, n. 5.
In un condominio multiscale e dovendo occupare gli ascensori parte del cortile comune le decisioni spettano
all'assemblea globale. Per il vantaggio che l'innovazione porta pu essere sacrificato 1'uso degli spazi occupati
dagli impianti degli ascensori stessi.
Trib. civ., Milano, 21 dicembre 1989, in L'Amministratore 1990, n. 7/8.
b) Gettoniera
Nei regolamenti condominiali, accettati in seno agli atti di acquisto delle singole unit immobiliari. hanno natura
negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini, mentre hanno
natura tipicamente regolamentare quelle che concernono le modalit d 'uso delle cose comuni e, in genere,
lorganizzazione e il funzionamento dei servizi condominiali, e che non riguardano quindi il diritto alloro
godimento, n qualsivoglia altro diritto spettante ai condomini come tali. Le disposizioni oggettivamente
regolamentari, a differenza di quelle a contenuto negoziale, possono essere modificate con deliberazione
assembleare maggioritaria, ai sensi dell'art. 1136 c.c., pur se formalmente inserite in un regolamento a tipo
contrattuale. (Nella specie, la Suprema Corte ha affermato le legittimit della deliberazione assembleare
maggioritaria, che aveva disposto l'installazione di una gettoniera nell'ascensore, in deroga alla disposizione a

contenuto regolamentare, fissata in un regolamento condominiale a tipo contrattuale, prevedente un sistema


diverso di pagamento delle spese relative all'ascensore stesso).
*Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1976. n. 864.
L'installazione della gettoniera al servizio dell'ascensore, comporta una notevole incidenza sull'economia del
servizio in quanto risulta addirittura mutato il sistema di reperimento dei fondi necessari per l'esercizio del
servizio.
*Trib. civ., Roma, 25 marzo 1964, n. 1225.
c) Impignorabilit
Gli ascensori e gli impianti di riscaldamento, comprese le caldaie ed i bruciatori, sono parti integranti degli edifici
nei quali sono installati, e non semplici pertinenze; essi, infatti, non hanno una funzione propria, ancorch
complementare e subordinata rispetto a quella degli edifici, ma partecipano alla funzione complessiva ed
unitaria degli edifici medesimi, quali elementi essenziali alla loro destinazione, da ci consegue che l'ascensore
e l'impianto di riscaldamento non sono pignorabili, come beni mobili, separatamente dall'edificio in cui sono
installati, e che I' opposizione con la quale il debitore deduca detta impignorabilit, in quanto tendente a
contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente su quei beni, configura, ai sensi dell'art. 615 c.p.c.,
opposizione all'esecuzione, e non opposizione agli atti esecutivi.
*Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1976, n. 654; conf. Cass. 27 febbraio 1976, n. 653.
d) Installazione
La installazione in un edificio in condominio (o in una parte di esso) di un ascensore di cui prima esso era
sprovvisto costituisce, ai sensi dell'art. 1120. primo comma, c.c., una innovazione, con la conseguenza che la
relativa deliberazione deve essere presa con la maggioranza di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c., secondo
cui l'approvazione deve avvenire "con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al
condominio e i due terzi del valore dell'edificio". L'installazione di un ascensore in un edificio in condominio (o
parte autonoma di esso), che ne sia sprovvisto, pu essere attuata, riflettendo un servizio suscettibile di
separata utilizzazione, anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, purch sia fatto salvo il diritto degli altri
di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione
dell'impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera. Sono innovazioni vietate, che, quindi, debbono essere
approvate dalla unanimit dei condomini, soltanto quelle che, pur essendo volute dalla maggioranza
nell'interesse del condominio, compromettono la facolt di godimento di uno o di alcuni condomini in confronto
degli altri, mentre non lo sono quelle che compromettono qualche facolt di godimento per tutti i condomini. A
meno che il danno che subiscono alcuni condomini non sia compensato dal vantaggio. Pertanto, qualora, al
posto della tromba delle scale e dell'andito corrispondente a pianterreno, si immette un impianto di ascensore, a
cura e spese di alcuni condomini soltanto, il venir meno dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio
nell'identico modo originario non contrasta con la norma del secondo comma dell'art. 1120 c.c. perch, se pur
resta eliminata la possibilit di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne offre uno diverso, ma di contenuto
migliore, onde la posizione dei dissenzienti salvaguardata dalla possibilit di entrare a far parte della
comunione del nuovo impianto.
*Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1975, n. 2696.
L'art. 1120 cc., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con
determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una
spesa da ripartire fra tutti i condomini su base millesimale, mentre qualora non debba farsi luogo ad un riparto di
spesa, per essere stata questa assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la
norma generale di cui all'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, e secondo cui ciascun partecipante
pu servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto e pu apportare a tal fine a proprie spese le modificazioni necessarie
per il miglior godimento della cosa medesima. Ricorrendo le suddette condizioni, pertanto, un condomino ha
facolt di installare nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione
degli altri condomini, e pu far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri
condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera
assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo.
*Cass. civ., sez. II, 12febbraio 1993, n. 1781, Fonti e altri c. Colombo e altri.
Il pregiudizio, per alcuni condomini, della originaria possibilit di utilizzazione delle scale e dell'andito occupati
dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto
posto dall'art. 1120, secondo comma, c.c., ove risulti che alla possibilit dell'originario godimento della cosa
comune offerto un godimento migliore, anche se di diverso contenuto.
*Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1994, n. 4152. Bava c. Condominio edificio in C.so Vittorio Emanuele.
L'opera nuova pu dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune o sue singole parti,
interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se
l'opera, pur essendo utilizzabile da tutti i condomini, stata costruita esclusivamente a spese di uno solo dei
condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi
della stessa contribuendo, ai sensi dell'art. 1120 c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione. (Nella
specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne dell'edificio condominiale con una strada

posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il
sottosuolo comuni, anche un terreno in propriet esclusiva del condomino che le aveva eseguite).
*Cass. civ., sez. II, 1 aprile 1995, n. 3840, Chiappara c. Villari.
L'installazione di un servizio in precedenza inesistente, suscettibile di uso separato ed a spese del solo
condomino interessato non richiede l'approvazione da parte dell'assemblea con la maggioranza qualificata
richiesta per le innovazioni ex art. 1120 cod. civ., trovando, in questo caso, applicazione l'art. 1102 cod. civ.
(Nella fattispecie. trattavasi dell'installazione di un ascensore da parte di un condomino portatore di handicap, il
quale si era accollato l'intero onere delle Spese).
*Trib. civ., Milano, Il maggio 1989, Soli c. Condominio via Ozanam 10/a, Milano, in Arch. loc. e cond. 1990, 325.
Allorch I'uso della cosa comune, pur comportando innovazione, venga effettuato dal singolo condomino a sue
spese e non risulti alterata la destinazione della cosa n ne sia impedito l'uso agli altri condomini. non
necessaria una preventiva delibera assembleare di approvazione. (Nella specie stata accolta, in base al
suddetto principio, la richiesta di provvedimento d'urgenza avanzata da soggetto affetto da incapacit
deambulatoria che lamentava il rifiuto opposto all'installazione di un impianto di ascensore nel condominio ove
risiedeva).
*Pret. civ., Milano, ord. 19 maggio 1987, Soli e L.E.D.H.A. c. Condominio di via Ozanam 10/A, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1988, 197.
La norma dell'art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini
con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino
per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale. Ove non si faccia questione di spese, torna
applicabile la norma generale dell'art. 1102 c.c. - che contempla anche le innovazioni - secondo cui ciascun
partecipante pu servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ed, a tal fine, pu apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune, come (nel caso di specie) applicare nella
tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione di tutti i condomini.
*Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1977, n. 1300.
Sussiste, alla stregua dell'art. 1102 cod. civ., il diritto del condomino di installare, a proprie cure e spese, un
impianto di ascensore nel vano delle scale in cui ubicata la propria unit immobiliare, salva la facolt di ogni
altro condomino interessato di richiedere la partecipazione all'utilizzo dell'opera, previa corresponsione delle
quote di spesa dovute secondo legge.
*Trib. civ., Milano, sez. VIII, 12 ottobre 1989, n. 8434, Quajanni c. Condominio Via Burlamacchi n. 3, Milano, in
Arch. loc. e cond. 1990, 543.
L'installazione dell'ascensore, riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, pu essere attuata
anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai
vantaggi della innovazione contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera.
*Pret. civ., Taranto, ord. 5 ottobre 1993, in Arch. loc. e cond. 1994. 383.
In tema di condominio negli edifici, la delibera assembleare, che, pur senza approvare uno specifico progetto e
preventivo di spesa, autorizzi l'installazione di un ascensore ad opera ed a spese di un singolo condomino. ma
con salvezza del diritto degli altri condomini di partecipare in qualunque momento ai vantaggi dell'installazione
medesima, tramite contributo ai costi di esecuzione e manutenzione, configura innovazione diretta al
miglioramento della cosa comune, e come tale, validamente adottata con le maggioranze prescritte dall'art.
1136 quinto comma. c.c..N sulla legittimit di detta delibera incide l'indicata mancanza di progetto e di
preventivo, la quale comporta soltanto la necessit che la delibera stessa venga integrata da successive
decisioni assembleari, per determinare le modalit di attuazione ed esecuzione dell'innovazione, nel rispetto dei
limiti e dei divieti fissati dal secondo comma dell'art. 1120 c.c..
*Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1977, n. 4921, Molinari c. Cond. V.S. Stefano.
Costituisce innovazione vietata ex art. 1120, secondo comma, c.c., 1'installazione di un impianto di ascensore
che, rispettando le dimensioni minime della cabina previste dalle prescrizioni tecniche sia della legge nazionale
che di quella regionale, comporti una riduzione del piano di calpestio dei vari piani.
*Trib. civ., Milano, 23 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Ciascun condomino pu procedere alla installazione, a proprie cure e spese, di un impianto di ascensore, salva
la facolt degli altri condomini di chiedere la partecipazione all'uso previa corresponsione della quota di spesa, e
semprech non venga alterata la destinazione della cosa comune e non venga impedito agli altri condomini di
farne parimenti uso.
*Pret. civ., Messina, ord. 7 dicembre 1991, in Giur. mer. 1993, 351.
Nel caso in cui i condomini siano gravati, in base ad un atto pubblico di acquisto, dalla servit passiva di
installazione di un ascensore a favore di una singola porzione immobiliare, non occorre una nuova
manifestazione di volont in sede di assemblea condominiale per autorizzare tale installazione e la realizzazione
delle relative opere.

*Pret. civ., Roma, sez. IV, 28 giugno 1994, n.4191, Orsini c. Rossetti, Albertazzi e altri, in Arch. loc. e cond.
1994, 846.
Le norme della L. n. 13/89 che prevedono una deroga alle maggioranze stabilite dal codice civile per le
innovazioni consistenti nella realizzazione di un ascensore in un edificio condominiale al fine dell'eliminazione
delle barriere architettoniche sono applicabili indipendentemente dalla presenza o meno di portatori di handicap
nell'immobile.
*Trib. civ., Milano, 19 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Una modesta compressione del diritto di cui all'art. 1102 c.c. deve ritenersi tollerabile quando sia giustificato
dall'interesse altrui ad un pi proficuo uso della cosa comune e non rechi in concreto alcun serio pregiudizio o
grave sacrificio (Fattispecie in tema di installazione di un ascensore comportante un limitato restringimento dello
spazio di passaggio comune).
*Trib. civ., Milano, 9 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Non sussiste alcun concreto interesse ad impugnare una deliberazione dell'assemblea condominiale che si limiti
a disporre l'installazione di un ascensore rinviando ad una successiva riunione l'approvazione della spesa e la
relativa ripartizione, non potendo affatto escludersi che l'assemblea non approvi la spesa e non potendo in ogni
caso prefigurarsi quale potrebbe essere l'effettivo contenuto di una futura deliberazione sulla materia.
*Trib. civ., Milano. 18 aprile 1991. in Arch. loc. e cond. 1992. 154.
Quando l'installazione di un ascensore consiste in un uso pi intenso della cosa comune, senza alterazione
della sua destinazione e senza sottrazione agli altri condomini del pari uso della cosa, si ha uso della cosa
comune ai sensi dell'art. 1102 e non innovazione ex art. 1120.
*Trib. civ., Foggia 29 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
L'installazione di ascensore nella tromba delle scale, pur comportando la riduzione o il venire meno
dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio nel modo originario, non contrasta con la norma dell'art. 1120
comma 2 c.c., in quanto, pur se resta eliminata la possibilit di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne
offre uno diverso e di contenuto migliore, anche alla luce della L. n. 13 del 1989, mentre la posizione dei
dissenzienti salvaguardata dalla possibilit di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto. Pertanto
non sussiste una vera alterazione della destinazione, n si compromette la facolt di godimento della cosa
comune da parte di tutti i condomini.
*Pret. civ., Catania. ord. 14 maggio 1991, in Giur. mer. 1993, 351.
L 'installazione dell'ascensore costituisce una delle eccezioni alla regola dell'applicabilit delle norme sulle
distanze in campo condominiale in quanto l'ascensore va considerato alla stregua di un impianto indispensabile
ai fini di una civile abitabilit in sintonia con l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini.
*Trib. civ., Napoli, 16 novembre 1991, n.13008. in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
La disciplina in materia di distanze non opera per quegli impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di
una reale abitabilit dell'appartamento e che riflettono l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini. Inoltre,
l'art. 3 comma 2 L. n. 13 del 1989, nel porre l'obbligo dell'osservanza delle distanze di cui all'art. 907 c.c. per la
sola ipotesi in cui "tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di
propriet o uso comune" implicitamente riconosce che tali distanze, se eventualmente applicabili, non debbano
comunque essere osservate con riferimento alle unit immobiliari comprese nel medesimo edificio condominiale.
*Pret. civ., Catania, ord. 20 marzo 1992, in Giur. mer. 1993, 351.
La nullit di una delibera assembleare che abbia disposto l'installazione di un ascensore in uno stabile
condominiale non impedisce che tale installazione possa essere realizzata autonomamente da uno o pi singoli
condomini.
*Trib. civ., Napoli, 1 ottobre 1991. in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
L'impianto dell'ascensore costituisce uno degli interventi volti ad eliminare una barriera architettonica rendendo
possibile ai soggetti in minorate condizioni fisiche che abitano l'immobile o che possono frequentarlo la vita di
relazione interpersonale.
*Trib. civ., Firenze, 19 maggio 1992, n. 849, in Arch. loc. e cond. 1992, n. 4.
nulla la delibera - adottata secondo la maggioranza prevista dall'art. 2 della L. n. 13/1989 - di installazione di
un ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino portatore di handicap, qualora ci comporti un
sensibile deprezzamento dell'unit immobiliare di altro condomino.
*Corte app. civ., Napoli, sez. II, 27 dicembre 1994. n. 3074. Condominio di via Salvator Rosa n. 253 in Napoli c.
Lovallo, in Arch. loc. e cond. 1995, 393.
L'installazione dell'ascensore non pu comportare un pregiudizio intollerabile o un danno apprezzabile ad un
singolo condominio, nel qual caso l'innovazione non pu essere considerata legittima, e ci vale anche se
l'ascensore viene installato a norma dell'art. 3 della L. 9 gennaio 1989, n. 13.
*Trib. civ., Napoli, 16 novembre 1991, n. 13008, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.

Ai sensi della L. n. 13/1989 anche se l'ascensore da considerarsi innovazione per la sua approvazione sono
sufficienti le semplici maggioranze del secondo e terzo comma dell'art. 1136 e non quelle del quinto comma del
citato articolo.
*Trib. civ., Milano, 14 novembre 1991, in L'Ammin. 1992, 3, 13.
e) Limitazioni all'uso
Anche nel condominio degli edifici trova applicazione, relativamente ai beni comuni, il principio, desumibile
dall'art. 1102 cod. civ., che consente al singolo condomino di usare della cosa comune anche per un suo fine
particolare, con conseguente possibilit di ritrarre dal bene una specifica utilit aggiuntiva rispetto a quelle
generali ridondanti a favore degli altri condomini, con il solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto
spettante a questi ultimi. Da tanto consegue che in difetto di specifiche limitazioni stabilite dal regolamento di
condominio, l'uso dell'ascensore per il trasporto di materiale edilizio pu essere legittimamente inibito al singolo
condomino solo qualora venga concretamente e specificatamente accertato che esso risulti dannoso, sia
compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la
tempestiva e conveniente utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alle frequenze
giornaliere, alla durata e all'eventuale orario di esercizio del suddetto uso particolare, alle cautele adoperate per
la custodia delle cose trasportate, tenendo conto di ogni altra circostanza rilevante per accertare le eventuali
conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto, possono derivare dal suddetto uso particolare
dell'ascensore.
*Cass. civ., sez. II, 6 aprile l982, n. 2ll7, Colaci c. Cond. V. Casilina.
Integra una molestia possessoria la regolamentazione dell'uso delle cose comuni da parte dell'amministratore di
un condominio, anche se adottata nel convincimento di agire nel legittimo esercizio delle attribuzioni a lui
devolute dall'art. 1130 n. 2 cod. civ. - in difetto di esplicite limitazioni stabilite nel regolamento di condominio e
sempre che tale regolamentazione non risulti giustificata da particolari ragioni connesse, ad esempio, alla
sicurezza dei condomini o dei terzi o alla salvaguardia della stessa conservazione della cosa comune - che
attenti al contenuto del diritto che su di esse compete a ciascun condomino, in violazione dei principi che
regolano l'uso delle cose comuni da parte dei singoli partecipanti alla comunione. pertanto, illegittimo il divieto
dell'uso del lastrico solare per limitate e temporanee esigenze connesse al trasporto di alcuni mobili da un
appartamento all'altro dello stesso fabbricato, nonch il divieto di usare l'ascensore per il trasporto di materiale
edilizio, ove non si accerti che tale uso risulti concretamente dannoso, sia compromettendo la buona
conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente
utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alla frequenza giornaliera del suddetto uso
particolare e agli inconvenienti che possono derivarne al decoro dell'edificio, tenuto conto delle cautele che
vengono o meno adoperate in ciascun caso concreto per la custodia del materiale trasportato, del numero degli
utenti che normalmente si servono dell'ascensore per accedere alle varie unit immobiliari, nonch di ogni altra
circostanza rilevante per accertare le eventuali conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto,
possono realmente derivare dal su indicato uso particolare dell'ascensore.
*Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1982, n. 686, Colaci c. Cond. Casilina.
Le innovazioni di cui all'art. 1120, primo comma, cod. civ. (nella specie, consistenti nella collocazione di una
porta sulla scala condominiale e nel blocco con chiave della pulsantiera dell'ascensore), realizzate
dall'amministratore del condominio in assenza di preventiva delibera assembleare, in quanto idonee a turbare il
pacifico godimento e l'utilizzazione del singolo condomino su alcune parti comuni dell'edificio, rendono
ammissibile l'azione di manutenzione a tutela del (com)possesso (delle menzionate parti comuni) proposta da
quest'ultimo. Peraltro l'adozione, nel corso del giudizio possessorio, di una delibera condominiale che ratifichi,
con la maggioranza qualificata prevista dall'art. 1136, quinto comma. cod. civ., le spese relative alle eseguite
innovazioni e sostanzialmente autorizzi le innovazioni medesime, legittima, sia pure tardivamente, sotto il profilo
dell'esercizio del possesso, la condotta posta in essere dall'amministratore suddetto, facendo venir meno i
connotati della molestia e turbativa in essa (condotta) originariamente ravvisabili, con conseguente rigetto nel
merito della domanda di manutenzione come sopra proposta.
*Pret. civ., Gallarate, 16 gennaio 1990, Steri c. Galli, in Arch. loc. e cond. 1990, 361.
f) Locali macchina
La servit di accesso ai locali macchina degli ascensori attraverso il seminterrato di propriet di un condomino,
comprende il diritto del condominio, e per esso dell'amministratore, ad avere copia delle chiavi di accesso a
detto locale.
*Trib. civ., Napoli, sez. III, 30 ottobre 1993, n. 10600, Cond. di via degli Aranci. n. 25 di Sorrento c. Stinga, in
Arch. loc. e cond. 1994, 597.
g) Manutenzione e conservazione
La Sostituzione dell'argano e del motore di un ascensore condominiale, non pu avere altra finalit che la
conservazione dell'ascensore stesso ed un atto di amministrazione ordinaria della cosa comune, non
comportando innovazione.
*Corte app. civ., Bologna, Sez. II, 1 aprile 1989, n. 273
da ritenersi inefficace e non produttivo di alcuna conseguenza giuridica in capo al condominio un contratto
decennale di manutenzione degli ascensori stipulato dall'amministratore condominiale senza la preventiva
delibera dell'assemblea, trattandosi di atto eccedente l'ordinaria amministrazione.

*Pret. civ., Bologna, 28 novembre 1992, n. 948.


h) Presunzione di comunione
L'area di base del vano di corsa dell'ascensore deve considerarsi parte comune dell'edificio, ai sensi dell'art.
1117, n. 3, cc., ed ogni condomino legittimato a far valere il suo diritto reale sulle aree condominiali e far
cessare occupazioni illecite od usi non consentiti.
*Trib. Civ., Napoli, 15 novembre 1989, in Rass. equo canone 1990, 272.
L'ascensore quando non sia installato originariamente nell'edificio all'atto della sua costruzione e vi venga
installato successivamente per iniziativa di tutti o parte dei condomini non costituisce propriet comune di tutti i
condomini, bens appartiene in propriet a quei condomini che l'hanno impiantato a loro spese, salvo la facolt
degli altri condomini. prevista dall'art. 1121 ultimo comma c.c., di partecipare successivamente all'innovazione.
*Cass. civ., 18 novembre 1971, n. 3314.
i) Proprietari dei locali al piano terreno
Non risultando il contrario dai titoli di acquisto delle singole propriet individuali, l'ascensore deve considerarsi di
propriet comune anche dei condomini proprietari di negozi siti al piano terreno, poich occorre far riferimento
non all'utilizzo in concreto, ma alla potenzialit del medesimo.
*Corte app. civ., Bologna, sez. II, 1 aprile 1989. n. 273, Zerbini e altri c. Condominio di via Marconi 6, Bologna, in
Arch. loc. e cond. 1990, 67.
Il proprietario di unit immobiliari sue al piano terreno o aventi accesso separato mediante scala in propriet
esclusiva, tenuto a concorrere nelle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale o degli ascensori
comuni, limitatamente a quella parte di oneri che viene suddivisa, ai sensi dell 'art. 1124 cod. civ., in ragione del
valore del piano o della porzione di piano: non invece dovuta alcuna quota di quella parte di spese ripartite, in
base alla medesima norma, in misura proporzionale alla distanza dei piani dal suolo.
*Trib. civ., Monza, 12 novembre 1985, Tarasconi c. Condominio Assiria I di Sesto San Giovanni, in Arch. loc. e
cond. 1986, 299.
L'ascensore una parte comune anche per i proprietari delle unit condominiali site al piano terra poich essi
possono trarre utilit dall'impianto, che idoneo a valorizzare l'intero immobile e normalmente permette di
raggiungere pi comodamente parti superiori che sono comuni a tutti.
* Trib. civ., Milano, sez. VIII, 16 marzo 1989, Mazzilli ed altri c. Condominio di via Valassina 45, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1989, 515.
l) Separato godimento
In caso di installazione da parte di un condomino di un ascensore suscettibile di suo separato godimento, trova
applicazione l'art. 1102 cod. civ. - a mente del quale il singolo condomino pu apportare alla cosa comune le
modificazioni necessarie al migliore godimento - e non l' arti. 1120 cod. civ.. dettato per le ipotesi di innovazione
della cosa comune, per cui non pare necessaria l'approvazione da parte dell'assemblea con la maggioranza
qualificata richiesta per le innovazioni e le spese di installazione sono esclusivamente a carico dell'interessato.
*Trib. civ. Milano, 1 maggio 1989. Sole c. Condominio di via Ozanam,10/A di Milano, in Arch. loc. e cond. 1990,
74.
Nel condominio di edificio, in caso di godimento separato di servizi comuni, ai fini della validit delle
deliberazioni assembleari. configurabile una maggioranza limitata ai soli condomini della parte di edificio alla
quale destinato il servizio in separato godimento. (Nella specie, in un edificio in condominio, provvisto di tre
scale, ciascuna fornita di proprio ascensore, la deliberazione assembleare di sostituzione dell'ascensore di una
scala, vecchio, con un ascensore nuovo, era stata presa con maggioranza limitata ai condomini di quella parte
di edificio servita dall'ascensore da sostituire).
*Cass. civ., sez. II, 4 settembre 1970, n. 1188.
In caso di godimento separato di servizi comuni all'interno di un unico condominio, ai fini della validit delle
delibere assembleari configurabile una maggioranza limitata ai soli condomini della parte di edificio alla quale
destinato il servizio in separato godimento. (Fattispecie in tema di installazione di un ascensore).
*Trib. civ, Milano, 12 aprile 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 336.
m) Sostituzione
La sostituzione di ascensori usurati e non pi agibili con ascensori nuovi, anche di tipo e marca diversi, conformi
alle nuove tecniche, non costituisce innovazione poich le cose comuni oggetto delle modifiche (strutture del
vano ascensore e locali annessi, cabina) non subiscono alcuna sostanziale trasformazione e conservano la loro
destinazione strumentale al servizio, anche se si realizzano mutamenti alla loro conformazione.
*Corte app. civ., Milano, sez. I, 9 ottobre 1987, n. 1983, Condominio di via Console Marcello 18/2 di Milano c.
Dondoli, in Arch. loc.e
cond. 1989, 707.
n) Spese

In tema di condominio degli edifici, la disciplina di cui agli arti. 1123, 1125 cod. civ. sul riparto delle spese
inerenti ai beni comuni, suscettibile di deroga con patto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento
condominiale, ove abbia natura convenzionale, e sia di conseguenza vincolante nei confronti di tutti i
partecipanti. Pertanto, con riguardo alla ripartizione delle spese per la manutenzione degli ascensori, deve
ritenersi valida ed operante la disposizione del suddetto regolamento, che preveda il concorso di tutti i
condomini, inclusi quelli abitanti al piano terreno, in base ai millesimi delle rispettive propriet.
*Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1986, n. 6499, Jannace c. C. V. Petrarca NA.
Gli interventi di adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento di obiettivi di
sicurezza della vita umana e incolumit delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti e i terzi, non
attengono all'ordinaria manutenzione dello stesso o al suo uso e godimento, bens alla straordinaria
manutenzione, riguardando l'ascensore nella sua unit strutturale. Le relative spese devono quindi essere
sopportate da tutti i condomini, in ragione dei rispettivi millesimi di propriet, compresi i proprietari degli
appartamenti sui al piano terra.
Trib. civ., Parma, sez. II, 29 settembre 1994, n. 859, Paini e altra c. Condominio Elisabetta, in Arch. loc. e cond.
1994, 831.
Le spese che ineriscono al mantenimento e all'uso dell'ascensore - ossia della comodit vanno ripartite
proporzionalmente fra i condomini in ragione dei diversi piani cui lo stesso posto al servizio, mentre quelle che
attengono allimpianto come tale, per modificazioni e migliorie, vanno sopportate dai comproprietari in ragione
dei rispettivi millesimi. (Nel caso di specie i giudici hanno ritenuto che la spesa per la sostituzione dellargano e
del motore dellascensore debba essere ripartita tra i condomini in ragione delle rispettive propriet millesimali).
Trib. civ., Bologna, sez. V, 27 febbraio 1986, n. 357
ASSISTENZA DELLA FORZA PUBBLICA
SOMMARIO: a) Competenza; b) Discrezionalit: c) Esercizio arbitrario delle proprie ragioni; d) Giurisprudenza
costituzionale; e) Poteri del prefetto: f) Proroga; g) Senzatetto; h) Sospensione.
a) Competenza
Ai fini dellesecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili urbani adibiti ad uso abitativo. le questioni relative
alla necessit del locatore per la concessione della forza pubblica rientrano nellesclusiva competenza
dellautorit prefettizia.
* Pret. civ. Padova, 4 dicembre 1997, n. 1315. Alibardi c. Agostini, in Arch. loc. e cond. 1998, 105.
Le norme di cui al D.L. 30 dicembre 1988. c. 551, convertito con modificazioni dalla L. 21 febbraio 1989, n. 61,
fanno obbligo al Prefetto di assicurare ai proprietari, in possesso dei requisiti di legge, lassistenza della forza
pubblica, ma al tempo stesso lasciano alla sua prudente e responsabile valutazione, con riferimento alle diverse
realt locali, il compito di stabilire - sulla base di criteri predeterminati - il tempo, le modalit e la gradualit
dellintervento, in guisa da evitare da un lato che lordine di rilascio dellimmobile, impartita dal Pretore, risulti
tamquam non esset e, dallaltro, che la sua esecuzione, ove lasciata alle sole cure del proprietario, possa
determinare incontrollabili (per quanto antigiuridiche) reazioni da parte del conduttore sfrattato con possibili
negativi riflessi sullordine pubblico. Trattasi di procedimento che assume inequivoche connotazioni di
procedimento amministrativo dal punto di vista sia soggettivo (cio per lAutorit cui affidato il suo svolgimento)
che oggettivo (cio per gli specifici interessi pubblici che preordinato a tutelare) per cui ad esso certamente si
applica la legge sulla trasparenza n. 241 del 1990.
* Cons. Stato, sez. IV, 20 febbraio 1995, n. 108. Ministero dellInterno c. Carmignato, in Arch. loc. e cond. 1995,
127.
illegittimo, perch viziato da incompetenza assoluta, latto amministrativo con il quale la Commissione
prefettizia, dopo aver prima graduato la forza pubblica per un determinato giorno, differisce lesecuzione ad altra
data. Detto atto va disapplicato dal giudice dellesecuzione investito dellopposizione agli atti esecutivi.
* Pret. civ. Torre Annunziata, sez. dist. Sorrento, 2 maggio 1994, n. 156, Celentano c. Marotta ed altra, in Arch.
loc. e cond. 1995, 181.
Trascorsi i quarantotto mesi previsti dallart. 3. n. 5. L. n. 61/1989 entro i quali deve essere concessa lassistenza
della forza pubblica per lesecuzione di qualsiasi sfratto ad uso abitativo, anche se per finita locazione, il pretore,
quale giudice dellesecuzione, non pi competente ad emettere pronunce di decadenza ex artt. 2 e 3 della L.
n. 61/1989 venendo a cessare qualsiasi sua competenza in merito.
* Pret. civ. Roma. sez. V, 19 luglio 1993. n. 4628, Facconio c. Silva, in Arch. loc. e cond. 1993, 802.
Il pretore, quale giudice dellesecuzione, incompetente a valutare e decidere in ordine alla mancata
concessione dellassistenza della forza pubblica negli sfratti per finita locazione ad uso abitativo anche se sono
scaduti i quarantotto mesi previsti dallart. 3, n. 5. L. n. 61/1989 trattandosi di valutazioni attinenti la
discrezionalit della P.A. e quindi di competenza del giudice amministrativo.
* Pret. civ. Roma, sez. V, ord. 16 luglio 1993, Contera c. Angeli, in Arch. loc. e cond. 1993, 802.
Nel caso di disponibilit di altra abitazione da parte del conduttore, la valutazione dei tempi necessari per la
eliminazione di tutti gli inconvenienti che ostano ad unimmediata utilizzazione dellimmobile medesimo da parte
del proprietario non compete al giudice dellesecuzione, ma potr essere effettuata dal prefetto in sede di
assegnazione dellassistenza della forza pubblica, al fine dellesecuzione dello sfratto.
* Pret. civ. Napoli, sez. VII, 29 giugno 1991, n. 3603, Troise c. Vigo, in Arch. loc. e cond. 1992, 420.
Lautorit amministrativa (prefetto) non ha alcun potere o facolt di stabilire se un procedimento di rilascio da

eseguire in un dato circondario, in un determinato periodo di tempo, ricada o meno tra quelli da eseguire con
lassistenza della forza pubblica. Questo giudizio di specie spetta allufficiale giudiziario e - in caso di difficolt al giudice dellesecuzione.
* Pret. civ. Pietrasanta, ord. 8 maggio 1990, Nardini e. Ricci, in Arch. loc. e cond. 1990, 575.
Lautorit amministrativa non ha alcun potere o facolt. ex art. 31. n. 61/1989, di stabilire se un procedimento di
rilascio da eseguirsi in un dato circondario in un determinato periodo di tempo, ricada o meno tra quelli da
eseguire con lassistenza della forza pubblica, per cui il provvedimento del prefetto che statuisca in tal senso
inesistente perch preso in carenza assoluta di potere, spettando il relativo giudizio allufficiale giudiziario e, in
caso di difficolt, al giudice dellesecuzione.
* Pret. civ. Pietrasanta, 24marzo 1990. Mazzotti c. Santanch, in Arch. loc. e cond. 1990, 342.
Lattivit amministrativa del prefetto nellesecuzione degli sfratti per finita locazione, di cui allart. 3 D.L. 30
dicembre 1988 n. 551, conv. con mod. dalla L. 21 febbraio 1989, n. 61, non pu intaccare il diritto soggettivo
dellesecutante, di cui allart. 608 comma secondo c.p.c., di ottenere effettiva esecuzione del provvedimento di
sfratto o di licenza del giudice. Per cui lesecutante che ha gi ottenuto la monitoria e laccesso dellufficiale
giudiziario. di cui allart. 608 c.p.c., ma non ha ancora ottenuto, per linterposizione dellattivit prefettizia
allinterno del processo giudiziario, leffettiva esecuzione dello sfratto, non pu essere considerato decaduto dai
suoi diritti, di cui all art. 608 c.p.c. e il pretore, investito ex art. 610 c.p.c., pu rifissare laccesso dellufficiale
giudiziario.
* Pret. civ. Torino, ord. 1 agosto 1996, Brunelli c. Gualtieri, in Arch. loc. e cond. 1996, 765.
A seguito del mancato accoglimento della richiesta di un privato di accesso a documenti amministrativi
concernenti limpiego della forza pubblica in riferimento ad una procedura di sfratto, configurabile una
situazione giuridicamente tutelabile davanti al giudice amministrativo, ai sensi dellart. 25, quarto comma, della
legge 7 agosto 1990 n. 241 (che individua un caso di giurisdizione esclusiva, poich la disposizione citata fa
riferimento, senza distinzioni, alle impugnazioni avverso le determinazioni della P.A. concernenti il diritto di
accesso) - fermo restando che appartiene al merito del giudizio laccertamento circa lesistenza o meno del
diritto fatto valere - perch il diritto di accesso, disciplinato dagli artt. 22 ss. della legge citata, compresi nel capo
quinto della legge, ha un ambito di applicazione non limitato a quello dei procedimenti amministrativi, regolati dai
capi precedenti, essendo riconosciuto "a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente
rilevanti", e poich, comunque, la concessione della forza pubblica per lesecuzione degli sfratti
(procedimentalizzata con listituzione a livello provinciale di commissioni consultive per la individuazione dei
criteri circa limpiego della forza pubblica e lattribuzione al prefetto della competenza a determinare tali criteri
sulla base di determinate priorit fissate dalla legge: cfr. lart. 3 DL. n. 708 del 1986, convertito dalla legge n. 899
del 1986 e lart. 4 del DL. n. 551 del 1988, convertito dalla legge n. 61 del 1989) appartiene interamente ed
esclusivamente allambito amministrativo, nonostante il suo collegamento con lesecuzione di un provvedimento
giurisdizionale.
* Cass. civ., sez. un., 16 dicembre 1996, n. 11214, Prefetto di Roma c. Azzali ed altro, in Arch. loc. e cond. 1997,
223.
b) Discrezionalit
Lazione esecutiva, come strumento del diritto sostanziale, costituisce un diritto soggettivo pubblico del singolo
ad ottenere dallo Stato quelle attivit che si rendano necessarie allesercizio del diritto riconosciuto nel titolo, tra
le quali rientra senza dubbio anche luso della forza pubblica: la PA. pu negare al privato lassistenza della
forza pubblica soltanto per comprovate esigenze di servizio, che rendano temporaneamente indisponibile la
forza pubblica e che sostanzialmente costituiscano causa di forza maggiore.
* Trib. civ. Genova, 27maggio 1997, n. 1352, Linoso c. Ministero dellInterno, in Arch. loc. e cond. 1997, 847.
Lazione esecutiva, in quanto strumentale rispetto al diritto riconosciuto nel titolo, costituisce un diritto soggettivo
pubblico del singolo ad ottenere dallo Stato quelle attivit che si rendano necessarie per lesercizio del diritto
riconosciuto nel titolo e fra tali attivit deve senza dubbio annoverarsi luso della forza pubblica. Pertanto, il
provvedimento di concessione o di diniego della forza pubblica nellipotesi di esecuzione di sfratto non ha
margine di discrezionalit se non con riferimento esclusivamente alla disponibilit della forza e ad eventi
equivalenti (al limite anche per un gravissimo fatto impeditivo per il conduttore, purch assolutamente
momentaneo) e, sempre, per tempi tecnici assolutamente ristretti.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 27 ottobre 1981, n. 1694, Min. Interno c. Abbatangelo, in Arch. loc. e cond. 1981,
421.
c) Esercizio arbitrario delle proprie ragioni
Non esclude il reato di esercizio arbitrario di private ragioni la circostanza che la questura abbia concesso
lassistenza della forza pubblica e ne abbia dato pubblica notizia, qualora il locatore, nel giorno fissato per
lesecuzione dello sfratto, provveda a sostituire la serratura della porta dellappartamento del conduttore, in
assenza dellufficiale giudiziario.
* Pret. pen. Milano, sez. I, 28 ottobre 1993, n. 4536, Catapano e altra, in Arch. loc. e cond. 1994, 143.
d) Giurisprudenza costituzionale
manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale degli artt. 1 e 3 del d. l. 30 dicembre 1988,
n. 551 (Misure urgenti per fronteggiare leccezionale carenza di disponibilit abitative), convertito con
modificazioni nella l. 21febbraio 1989. n. 61, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto
non vi alcuna omogeneit fra lipotesi che il locatore faccia valere la propria necessit come causa di priorit
nellottenimento della forza pubblica, ai fini dellesecuzione del proprio titolo rispetto ad altri locatori richiedenti
del pari la detta assistenza, e lipotesi che il conduttore esecutato intenda far valere la non persistenza della
necessit del locatore, accertata nel giudizio di cognizione fra le dette due parti, per opporsi allesecuzione
promossa dal locatore.

* Corte cost., ord. 26 marzo 1989, n. 142. Panariello c. Castellano, in Arch. loc. e cond. 1990, 207.
e) Poteri del prefetto
illegittimo il decreto prefettizio di costituzione della commissione sui criteri di concessione della forza pubblica
per lesecuzione dei rilasci di immobili ad uso abitativo e di cui allart. 4 L. 22 febbraio 1989. n. 61, ove il
rappresentante delle organizzazioni dei proprietari sia stato nominato su designazione non di tutte le
organizzazioni di categoria maggiormente rappresentative, ma solo di alcune.
* Tar Liguria. sez. I, 13 febbraio 1992, n. 88. Confedilizia c. Ministero dellinterno, Ass. Piccoli proprietari case di
Imperia e U.P.P.I., in Arch. loc. e cond. 1992, 178.
Il potere del prefetto di stabilire i criteri per limpiego della forza pubblica nellassistenza allufficiale giudiziario, in
sede di esecuzione degli sfratti presuppone che vi sia una effettiva disponibilit di uomini delle forze dellordine
da utilizzare nello specifico impiego. (Nella specie un provvedimento prefettizio aveva sospeso lesecuzione
degli sfratti non concedendo la forza pubblica per i mesi in cui si erano svolti in Firenze i campionati mondiali di
calcio e le elezioni).
* Tar Toscana, sez. I, 18 dicembre 1991, n. 669, Confedilizia di Firenze ed altro c. Pref. Firenze, Muller e
U.P.P.I. di Firenze, in Arch. loc. e cond. 1992, 178.
f) Proroga
Ogni provvedimento amministrativo deve essere motivato, e la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e
le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dellamministrazione. Sono pertanto illegittimi il parere
non motivato con il quale la Commissione provinciale per la graduazione degli sfratti decida la proroga per la
concessione dellassistenza della forza pubblica, ed il successivo provvedimento prefettizio che si limiti a
recepirne il contenuto.
* Tar Toscana, sez. I, 9 marzo 1995, n. 240, Grippo c. Prefetto di Pistoia ed altri, in Arch. loc. e cond 1995, 902.
g) Senzatetto
illegittima, per mancanza del presupposto della carenza di una disciplina legislativa e regolamentare che
abbia specificamente considerato la situazione in oggetto, lordinanza con la quale il Prefetto di Roma aveva
disposto che la quota di appartamenti sfitti che gli istituti di previdenza e le compagnie assicuratrici devono
annualmente mettere a disposizione dei senzatetto, dovesse essere interamente assegnata, per due anni, a
particolari categorie di sfrattati. Inoltre, la priorit riconosciuta dallordinanza prefettizia in sede di assegnazione
degli alloggi a coloro che si sono rifiutati di obbedire allordine di rilascio impartita dal giudice, s da provocare
lintervento della forza pubblica, non pu non avere, come effetto immediato, il generalizzarsi di tale situazione di
ribellione e di minaccia per lordine pubblico. dal momento che al comportamento illegittimo viene riconosciuta
valenza privilegiata agli effetti dellassegnazione degli alloggi. In tal modo risultano premiati ed incentivati
comportamenti antigiuridici idonei ad aggravare le tensioni sociali, che lordinanza dichiara invece di voler
prevenire.
* Cans. Stato, sez. IV, 2 giugno 1994. n. 467, Prefetto di Roma e altri c. Soc. Alleanza Assicurazioni ed altri, in
Arch. Ioc. e cond. 1994, 572.
h) Sospensione
Per i titoli esecutivi di rilascio di immobili urbani destinati ad uso di abitazione - nei comuni ad alta tensione
abitativa - la sospensione totale dellesecuzione di cui allart. 1, L. 21 febbraio 1989 n. 61 opera solo per titoli di
formazione anteriore al 30 aprile 1989: i provvedimenti emessi e divenuti esecutivi dopo il 30 aprile 1989 - e
quindi di formazione successiva alla scadenza del termine di sospensione delle esecuzioni - non sono soggetti
al regime di graduazione degli sfratti.
* Trib. civ. Genova, 27maggio 1997, n. 1352. Linoso c. Ministero dellInterno, in Arch. loc. e cond. 1997, 847.
Lart. 1, L. n. 61/1989 dispone la sospensione dellesecuzione del rilascio di immobili in numerosi centri soltanto
sino al 30 aprile 1989 e lart. 3 dispone che, terminato il periodo di sospensione, lassistenza della forza pubblica
per lesecuzione di rilasci sospesi sino al 30 aprile 1989, ai fini della esecuzione di cui allart. 1, avverr secondo
i criteri stabiliti dal prefetto; pertanto evidente che il caso di specie (data di rilascio fissata per il 30 giugno
1992) non sottoposto alla regolamentazione della L. n. 61/1989 atteso che termine del contratto, intimazione,
convalida, precetto, esecuzione sono successivi al 30 aprile 1989.
* Pret. civ. Trani, ord. 14 novembre 1992, Simone c. Lattanzio. in Arch. loc. e cond. 1993, 817.
Il provvedimento con il quale il prefetto abbia sospeso lesecuzione di un provvedimento di rilascio di immobile
per finita locazione illegittimo e deve essere disapplicato dal giudice dellesecuzione chiamato a dare i
provvedimenti occorrenti per lulteriore corso dellesecuzione, in quanto il prefetto, ai sensi dellart. 3, comma
primo, del D.L. n. 551/1988 convertito nella L. n. 61/1989, ha il compito di dettare criteri di ordine generale circa
lassistenza della forza pubblica e non pu scendere nellesame dei casi particolari.
* Pret. civ. Firenze, ord. 31 agosto 1990, Iovino e altro c. Auditore, in Arch. loc. e cond. 1991, 642.
a) Atti osceni
Gli atti osceni messi in atto in una autorimessa condominiale si intendono commessi in luogo aperto al pubblico
anche se laccesso consentito ad una determinata categoria di terze persone.
* Cass. pen., sez. IV, 10 ottobre 1989.
b) Autorimessa sotterranea
In tema di condominio di edifici, costituisce innovazione vietata ai sensi del secondo comma dellart. 1120 cod.
civ. (e, pertanto, deve essere approvata dalla unanimit dei condomini), la costruzione di autorimesse nel
sottosuolo del cortile comune, in quanto comporta il mutamento di destinazione del sottosuolo da sostegno delle
aree transitabili e delle aree verdi a spazio utilizzato per il ricovero di automezzi (con conseguente modifica di
destinazione anche dellarea scoperta soprastante a copertura di locali sotterranei) e determina una situazione
di permanente esclusione di ogni altro condomino dalluso e dal godimento di ciascuna autorimessa sotterranea,
assegnata ai singoli condomini, ancorch rimasta di propriet comune.

* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1988, n. 6817, Cond. Collignon c. Cavallini.
La costruzione di "autorimesse interrate" fatta utilizzando unarea comune destinata a giardino con conseguente
trasformazione della stessa in una somma di singole propriet, corrispondenti ai "boxes" erigendi, traducendosi
in un mutamento di destinazione della cosa comune in pregiudizio dei diritti dei singoli condomini, non pu
essere validamente deliberata dallassemblea del condominio con le maggioranze previste per le innovazioni
utili (artt. 1120, comma 1 e 1136, comma 5, cod. civ.), ma postula il consenso di tutti i condomini.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 6 giugno 1985, n. 5410, Medeghini e altro c. Cond. via Orbetello 3, Milano, motivaz.
e nota in Arch. loc. e cond. 1986. 112.
c) Box
Il condomino che abbia acquistato in propriet esclusiva lo spazio destinato al parcheggio di un autoveicolo,
ancorch sito nel locale adibito ad autorimessa comune del condominio, ha facolt a norma dellart. 841 c.c. di
recintarlo anche con la struttura di un cosiddetto "box", sempre che non gliene facciano divieto latto di acquisto
o il regolamento condominiale avente efficacia contrattuale e non derivi un danno alle parti comuni delledificio
ovvero una limitazione al godimento delle parti comuni dellautorimessa.
* Cass. civ., 25 maggio 1991, n. 5933.
Lassegnazione in uso esclusivo di porzione di area condominiale destinata a parcheggio, con delimitazione sul
pavimento dellarea dei singoli posti macchina. esclude la facolt di ciascun condomino di migliorare il
godimento della cosa mediante lerezione di box chiuso sulla porzione di area assegnata.
* Trib. civ. Napoli, sez. III, 8 luglio 1977
Il condominio deve provvedere alle riparazioni e al risarcimento dei danni derivanti dallinfiltrazione di acqua
piovana o di irrigazione nei boxes, la cui copertura rappresentata dal fondo del giardino, di cui il condominio
detentore e custode.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 9 marzo 1989
Ripartizione spese di manutenzione e riparazione di un giardino pensile
Trib. civ. Udine, 1 settembre 2004, n. 1089
La ripartizione fra condomini delle spese di manutenzione e riparazione di un giardino pensile che serva da
copertura ad autorimesse sottostanti, secondo il principio dettato dall'art. 1126 c.c. riguarda non solo le spese
per il rifacimento o la manutenzione della copertura, e cio del manto impermeabilizzato, ma altres quelle
relative agli interventi che si rendono necessari in via conseguenziale e strumentale, s da doversi considerare
come spese accessorie.
Posta la natura comune del cortile sovrastante i box e posto il conseguente godimento del medesimo da parte di
tutti i condomini, ne consegue la necessit di ripartizione delle relative spese di manutenzione tra tutti i
condomini, sia pure con ladozione di criteri correttivi in riferimento allulteriore godimento della cosa comune da
parte dei boxisti, non potendo i condomini non proprietari di box pretendere di essere esclusi da tale ripartizione.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 5aprile 1993
La realizzazione, in difetto di concessione edilizia, di box per auto (nella specie, costruiti dopo la demolizione di
locali destinati a magazzini), siti in cortile separato dalledificio principale, configura il reato di cui allart. 17, lett.
b), L. 28 gennaio 1977, n. 10, applicabile pur dopo lentrata in vigore del D.L. 20 novembre 1981, n. 663, in
quanto lart. 7, lett. a) di questo si riferisce solo alle pertinenze di modesta entit, strutturalmente collegate alla
preesistente costruzione principale.
* Pret. pen. Foggia, 1 dicembre 1981, Di Lascia ed altri, motivaz. e nota in Riv. pen. 1982, 515.
Nel caso in cui un box per auto sia locato, ancorch con separato contratto, al conduttore di un appartamento
destinato ad abitazione, sito nello stesso stabile, da parte del proprietario di entrambi i detti immobili, si che
questi risultino destinati ad un uso unitario per un pi completo godimento dellabitazione concessa in locazione,
il rapporto locativo del box, il cui uso si attua in funzione di pertinenza dellabitazione, va assoggettato allo
stesso regime giuridico relativo alla locazione di tale secondo immobile.
* Cass. civ., sez. III, 4settembre 1990, n. 9115,
La costruzione di muri lungo i due lati del posto auto sito nel cortile condominiale, in guisa di trasformarlo in un
box, configura una iniziativa compatibile con i principi e con i limiti di uso delle cose comuni, nella misura in cui
non comporti alcuna alterazione dal punto di vista architettonico ed estetico, n alcuna alterazione ai diritti degli
altri condomini.
* Trib. civ. Milano, 2 maggio 1991.
d) Cancelli
Non costituisce innovazione, ma semplice modificazione della cosa comune, la sostituzione dei cancelli di
ingresso e uscita dei box, con sistema di apertura manuale, con altri a movimento automatizzato. Pertanto la
relativa spesa pu essere validamente deliberata dallassemblea dei condomini con le maggioranze previste
dallart. 1136, secondo e terzo comma, cod. civ.
* Trib. civ. Monza 14 dicembre 1984,
Il soggetto che quale proprietario di un appartamento di un edificio in condominio agisca in giudizio nei confronti
di un terzo, perch gli sia inibita la sosta ed il parcheggio di veicoli effettuata sullarea di propriet condominiale
in violazione delle disposizioni del regolamento del condominio, non esercita unazione possessoria di
manutenzione (rientrante nellesclusiva competenza per materia del pretore) bens unazione petitoria, agendo in
forza ed a tutela dei poteri e delle facolt inerenti alla compropriet del suddetto bene, con la conseguenza che
per la individuazione del giudice per essa competente trovano applicazioni gli ordinari criteri della competenza
per valore.

* Cass. civ.. sez. II, 25 maggio 1992, n. 6225.


La controversia promossa dal proprietario di appartamento in fabbricato condominiale, nei confronti del
costruttore-venditore, per sentire riconoscere la destinazione a parcheggio di veicoli di spazi realizzati nel
fabbricato stesso, in conformit del disposto dellart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150
(introdotto dallart. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765), non investe direttamente atti amministrativi, quali quelli
in base a cui stato costruito e destinato ledificio, ma riguarda esclusivamente posizioni di diritto soggettivo
nellambito di rapporti privatistici, e, pertanto, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario.
* Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 1984, n. 6602
Lazione diretta ad ottenere laccertamento della destinazione dellautorimessa a servizio dello stabile
condominiale introduce una controversia che concerne lestensione del diritto dei singoli condomini in
dipendenza dei rispettivi acquisti e, pertanto, esula dalla sfera di rappresentanza attribuita dallart. 1131 cod. civ.
allamministratore del condominio, il quale quindi sfornito di legittimatio ad processum.
* Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 1988, n. 2129,
Il singolo condomino da solo ovvero un gruppo di condomini senza necessit di chiamare in giudizio gli altri
condomini o lamministratore del condominio possono proporre lazione giudiziaria contro il costruttore-venditore
per rivendicare il diritto reale duso sullarea delledificio destinata a parcheggio con atto dobbligo nei confronti
dellamministrazione comunale, non ricorrendo un ipotesi di litisconsorzio necessario.
* Cass. civ., sez. II, 19 aprile 1994, n. 3717,
La domanda di un condomino di sistemazione in via definitiva dei postimacchina del garage condominiale non
rientra fra le cause relative alla misura o comunque alle modalit d uso dei servizi o dei beni del condominio.
* Pret. civ. Taranto, 22 ottobre 1985, o. 523,
Il fatto di chi parcheggia la propria vettura in uno spazio privato adeguatamente segnalato come interdetto alla
sosta, pu senza dubbio qualificarsi come una molestia al pacifico godimento della strada privata da parte
dellente proprietario e possessore. Ne consegue che la rimozione dellauto parcheggiata contro le disposizioni
date e rese adeguatamente conoscibili integra il lecito esercizio dellautotutela possessoria, che trova il suo
fondamento normativo nellart. 2044 c.c. che esclude lantigiuridicit della reazione ad unazione obiettivamente
ingiusta.
* Giud. conc. Bologna 9 ottobre 1991
f) Destinazione di un locale comune a garage
Lassemblea di un condominio edilizio pu validamente deliberare con la maggioranza di cui allart. 1136,
secondo comma, cc. la specifica destinazione di un locale di propriet comune a garage in relazione alle
caratteristiche obbiettive del locale medesimo (nella specie: locale situato al piano terra delledificio con accesso
alla via pubblica mediante una rampa carrabile) non importando una sostanziale modifica della cosa comune
bens trattandosi di un atto di amministrazione diretto ad assicurare a tutti i condomini il miglior godimento e la
migliore utilizzazione della cosa comune, senza che ne derivi una violazione del principio del godimento paritario
per limpossibilit di assicurare a ciascun condomino un posto macchina, in quanto il pari uso della cosa comune
non postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i compartecipi della comunione,
che resta affidato alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza.
* Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1992, n. 2084
g) Difficolt di manovra
illegittima la costruzione di un ripostiglio nel corridoio condominiale, sia pur deliberata a maggioranza
dallassemblea condominiale, che diminuisca in modo apprezzabile il godimento della propriet esclusiva anche
di uno solo dei condomini. (Nel caso di specie originariamente loperazione di fuoriuscita dellautovettura
dallautorimessa del condomino dissenziente era facilmente eseguibile con manovra in due tempi, mentre dopo
la costruzione del ripostiglio, di fronte allautorimessa, tale manovra poteva compiersi soltanto in quattro tempi).
* Pret. civ. Monza, 5 luglio 1982, n. 666,
La deliberazione dellassemblea condominiale, con la quale venga autorizzato luso di un bene comune in modo
incompatibile con lutilizzazione ed il godimento di parti delledificio di propriet di un singolo condomino,
illegittima indipendentemente dalla circostanza che, per ragioni contingenti e transitorie, il bene di propriet
individuale ed esclusiva non sia attualmente utilizzato secondo la sua naturale destinazione. (In base al suddetto
principio la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato la
illegittimit di una delibera con la quale era stata decisa lutilizzazione come parcheggio di unarea condominiale
sotto il profilo che detto uso avrebbe ostacolato laccesso ad alcuni locali di propriet individuale destinati ad
essere utilizzati come autorimesse, a nulla rilevando che detto uso non fosse attuale per la necessit di
realizzare alcuni lavori di rifinitura e di adattamento dellimmobile).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1989, n. 3858,
h) Diritto di parcheggio nellautorimessa comune
Nel condominio degli edifici la disciplina delle parti comuni, o presuntivamente dichiarate tali dallart. 1117 cod.
civ., informata ai principi dellindivisibilit e della loro inseparabilit, in ragione della loro destinazione al relativo
servizio, da quelle di pertinenza esclusiva dei condomini, sicch, non potendo il singolo condomino, senza il
consenso degli altri condomini, unilateralmente disporre delle parti comuni in modo autonomo ed indipendente
da quelle di sua propriet esclusiva, il cedente di una porzione di piano di sua esclusiva propriet non pu
riservare a s il diritto di compropriet e quindi luso di parti comuni destinate al complesso condominiale (nella
specie, diritto al parcheggio nellautorimessa comune), con la conseguenza che, essendo inopponibile al
condominio lanzidetta riserva di propriet, egli, ormai terzo rispetto al condominio, non pi legittimato a
partecipare alle assemblee n ad impugnarne le deliberazioni.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1990, n. 9,

Il locale autorimessa, anche se situato entro il perimetro delledificio condominiale (nella specie, nel
seminterrato), non pu ritenersi incluso tra le "parti comuni delledificio" indicate dallart. 1117 c.c., neppure sotto
laspetto di "parte delledificio necessaria alluso comune", cos che, da un canto, il condominio non pu giovarsi
della relativa presunzione al fine di pretendere il contributo di ogni condomino alle relative spese di
manutenzione e dallaltro, sul condomino che adduca di non essere tenuto a tale contributo (per non essere
comproprietario del locale) non incombe lonere della relativa prova negativa. Al fine di accertare la esistenza, o
meno, dellobbligo del singolo condomino di sostenere, in misura proporzionale, le spese di manutenzione del
detto locale occorre, pertanto, la prova positiva dellappartenenza di esso in propriet comune, determinante
essendo, al fine anzidetto, lesame dei titoli di acquisto dei singoli comproprietari dellimmobile.
* Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 1997, n. 10371
In tema di furto, la circostanza aggravante dellesposizione alla pubblica fede configurabile anche quando la
cosa si trova in luogo privato, ma aperto al pubblico o comunque facilmente accessibile, ovvero in un cortile di
casa di abitazione in diretta comunicazione con una pubblica via ovvero in parcheggio privato non custodito.
* Cass. pen., sez. II, 5 settembre 1991, n. 8798 (ud. 17 gennaio 1991
Sussiste laggravante di cui allart. 625, n. 1, c.p., nel caso di furto di due biciclette commesso in unautorimessa
condominiale, comunicante con ledificio soprastante ove erano le abitazioni dei condomini, sebbene la porta di
comunicazione fosse chiusa a chiave al momento del furto.
* Cass. pen., sez. II, 17 gennaio 1981, Pelamatti.
l) In area comune alberata
In tema di condominio degli edifici, lutilizzazione a parcheggio di autovetture private di unarea comune alberata,
originariamente goduta come "parco-giardino", in relazione alla sua apprezzabile estensione, non si traduce in
un miglioramento della cosa comune, ma comporta mutamento ed alterazione della destinazione della
medesima, in pregiudizio dei diritti dei singoli condomini. Essa, pertanto, non pu essere validamente deliberata
dallassemblea del condominio, con le maggioranze previste per le innovazioni utili (artt. 1120 primo comma e
1136 quinto comma c.c.), ma postula lunanimit di tutti i condomini.
* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1977, n. 4922.
m) Opere di prevenzione anti incendio
In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalit tra spese ed uso di cui al comma 2 dellart. 1123
c.c., secondo cui (salva contraria convenzione) le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni
delledificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in
proporzione delluso che ciascuno pu farne, esclude che le spese relative alla cosa che in alcun modo, per
ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, pu servire ad uno o pi condomini possano essere poste
anche a carico di questi ultimi. (Nella specie, si trattava delle spese di installazione delle porte tagliafuoco
dellatrio comune nel quale si aprivano le porte di alcune autorimesse in propriet esclusiva di singoli condomini,
secondo le prescrizioni della L. 7 dicembre 1984, n. 818 e del D.M. 16 febbraio 1982).
* Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7077,
Le spese per la riparazione delle porte tagliafuoco e limpianto di ventilazione dei box vanno ripartite unicamente
tra i proprietari dei medesimi beni, e non anche tra gli altri condomini che non ne possiedono, non potendo avere
alcuna rilevanza a riguardo la circostanza che tali misure attengono alla sicurezza dellintero edificio.
* Corte app. civ. Roma 24 aprile 1991,
n) Parcheggio a pagamento
Il potere della maggioranza dei partecipanti alla comunione di disporre le modalit per il miglior godimento della
cosa comune presuppone il rispetto della condizione che il diritto di compropriet debba potersi estrinsecare
liberamente, con lunico limite derivante dal divieto di impedire uguale uso da parte degli altri compartecipanti e
di alterare la destinazione della cosa comune. (Nella specie la Corte di cassazione ha ritenuto corretta
laffermazione dei giudici del merito secondo cui la deliberazione della maggioranza che stabiliva lonere del
pagamento di una somma per il parcheggio di autobus dei comproprietari su di un area comune da essi
utilizzata per il deposito di detti autoveicoli, veniva a limitare illegittimamente il potere di ciascuno di disporre
liberamente del bene comune).
* Cass. civ., sez. II, 24giugno 1974, n. 1905.
Il riconoscimento del diritto di uso di aree destinate a parcheggio comporta per i fruitori lobbligo di integrare il
pagamento (c.d. conguaglio del prezzo).
* Trib. civ. Napoli ord. 24 ottobre 1991, in Nuovo dir. 1992, 454.
legittima la norma del regolamento della comunione che stabilisce che i viali e i marciapiedi comuni, la cui
funzione normale quella del transito pedonale, siano destinati al parcheggio oneroso degli autoveicoli degli
inquilini; siffatta innovazione vincola tutti i partecipanti nel senso che essi devono accollarsi lonere della
manutenzione delle cose per lusura che il transito e la sosta delle vetture comportano.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 29 gennaio 1987, n. 840,
o) Sosta su spazio destinato al libero accesso del pubblico
Le disposizioni del regolamento condominiale e la relativa delibera assembleare, adottate non allunanimit ma
a maggioranza, le quali pregiudichino i diritti di un condominio risultanti dallatto originario del suo acquisto sono
radicalmente nulle e lazione giudiziaria per far valere tale nullit non soggetta al termine di decadenza di cui
allultimo comma dellart. 1137 cod. civ. (Nella specie, alla stregua del citato principio, la Suprema Corte ha
confermato la pronuncia del giudice del merito di nullit di una delibera dellassemblea dei condomini che a
maggioranza aveva consentito la sosta dei veicoli su uno spazio condominiale destinato, per una clausola del
contratto di acquisto, al libero accesso del pubblico).
* Cass. civ., sez. II, 5 agosto 1988, n. 4851,
p) Strisce di vernice

lecita la realizzazione di strisce in vernice tracciate sulla pavimentazione dellaccesso alle autorimesse
condominiali da parte di chi eserciti su di esse una servit di passaggio, a patto che non vengano menomati i
diritti del proprietario del fondo dominante ex art. 1067, secondo comma, c.c.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 giugno 1993
q) Superficie convenzionale
Allautorimessa concessa dal locatore con separato contratto di locazione allo stesso conduttore
dellappartamento di propriet del medesimo locatore si applicano i criteri di determinazione del canone fissati
dallart. 13, L. n. 392 del 1978 solo se ne sia concretamente provato il rapporto di pertinenza, per essere
lautorimessa destinata in modo durevole ed effettivo al servizio dellabitazione, anche nella sua componente
soggettiva (oltre che oggettiva), la quale implica lesigenza che il detto collegamento funzionale tra i due beni sia
leffetto della volont, anche tacita, del proprietario (o del titolare di un diritto reale sulla cosa) e non solo la
conseguenza delluso a cui stata destinata dal conduttore. (Nella specie in base allenunciato principio la
Suprema Corte ha annullato la decisione del merito che non riguardo ad autorimessa posta nello stesso edificio
in cui si trovava lappartamento, in locazione con distinto contratto e per un canone autonomamente
determinato, aveva ritenuto il vincolo pertinente con lappartamento solo in base "alla situazione di fatto
esistente").
* Cass. civ., sez. III, 27 settembre 1991, n. 10124,
In tema di determinazione del canone di locazione di un immobile destinato ad uso di abitazione, lart. 13 della L.
27luglio 1978, n. 392, riferendosi alle autorimesse ed ai posti macchina, stabilisce che essi vanno considerati, ai
fini del calcolo complessivo del canone, quali componenti della superficie convenzionale degli immobili locati; ne
consegue che, qualora unautorimessa ed un appartamento, siti nello stesso immobile, siano stati locati dal
proprietario ad uno stesso conduttore, con pattuizione di due canoni separati, la subordinazione funzionale tra
lautorimessa e lappartamento e cio la utilizzazione della stessa da parte del conduttore per il ricovero della
sua autovettura - il cui accertamento compete al giudice di merito - comporta che, ove con la pattuizione
intervenuta le parti abbiano inteso eludere i criteri imperativi posti dalla legge, la pattuizione stessa incorre nella
sanzione di nullit prevista dallart. 79 della citata legge.
* Cass. civ., sez. III, 16 marzo 1990, n. 2203
Con riguardo alla locazione di immobili urbani, sussiste la presunzione di un rapporto pertinenziale a norma
dellart. 817 cod. civ. tra lappartamento destinato ad abitazione ed il posto macchina sito nellautorimessa
condominiale, qualora gli immobili appartengano al medesimo proprietario, siano ubicati nel medesimo edificio,
siano concessi in locazione allo stesso conduttore ed il posto macchina risulti destinato a soddisfare le esigenze
abitative della famiglia alloggiata nellappartamento anche se ci avvenga con separati e successivi contratti,
atteso che la volont del locatore in ordine alla destinazione dellautorimessa, pu anche essere desunta da un
successivo negozio con il quale egli, trasferendo il bene considerato accessorio in godimento allo stesso
soggetto che si trova gi nel possesso, in forza di un rapporto di natura personale, della cosa principale,
consente di fatto una miglior utilizzazione di questultima.
* Cass. civ., sez. III, 8 marzo 1990, n. 1857,
Nel caso in cui un appartamento per uso abitativo ed il locale per il posto macchina sito nellautorimessa
condominiale siano stati concessi in locazione dal loro proprietario, anche con separati contratti, al medesimo
conduttore, che abbia destinato il posto macchina per il posteggio dei veicoli propri e dei suoi familiari, il rapporto
di pertinenza stabilito tra i due beni, secondo il vincolo di servizio imposto, tra gli stessi beni, dall art. 26, ultimo
comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (a norma del quale gli spazi destinati a parcheggi nelle nuove costruzioni
a norma dellart. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765, costituiscono pertinenza della costruzione al servizio della
quale sono stati posti) non pu essere efficacemente escluso da una contraria volont delle parti, perch il
predetto vincolo, per quanto ispirato da finalit pubblicistiche inerenti alla normalizzazione della viabilit urbana,
incide, per la sua natura cogente ed inderogabile, anche nei rapporti intersoggettivi di diritto privato, tra cui quelli
di locazione degli immobili per uso abitativo, che restano, conseguentemente, assoggettati alla
regolamentazione unica del computo dellequo canone prevista dallart. 13 della legge del 1978, n. 392.
* Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 1992, n. 1155, Ina c. Nicosia.
Ai fini della determinazione dellequo canone, sussiste un vincolo pertinenziale e di accessoriet, derivante da
una relazione di subordinazione funzionale, tra un immobile locato ad uso abitazione ed un altro locato ad uso
autorimessa.
* Pret. civ. Pordenone, 5 marzo 1990.
r) Tetto a copertura delle autorimesse
Al tetto posto a copertura delle autorimesse esterne alledificio condominiale - svolgente, nella sua struttura
unitaria ed omogenea, una funzione di riparo e di protezione delle unit sottostanti, ciascuna delle quali
costituisce pertinenza della propriet esclusiva dei singoli condomini - applicabile la presunzione di comunione
stabilita dallart. 1117 n. 1 c.c. con la conseguenza che esso costituisce, al pari del tetto delledificio
condominiale, oggetto di propriet comune e che lamministratore del condominio legittimato ad esercitare le
azioni che lo concernono. (Nella specie, condanna del costruttore al rifacimento della impermeabilizzazione o al
rimborso per eseguirla direttamente).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1994, n. 7651,
s) Trasformazione dellarea di parcheggio
Lassemblea dei condomini, con deliberazione presa a maggioranza, mentre ha potere di predeterminare, sul
cortile comune, le aree destinate a parcheggio delle automobili e di stabilire, nellinterno di esse, le porzioni
separate di cui ciascun condomino pu disporre, non ha, altres, il potere di disporre la trasformazione dellarea
di parcheggio in una vera e propria area edificabile, destinata alla costruzione di alcune autorimesse (a
beneficio, oltretutto, non della collettivit, bens dei singoli che intendano profittarne).

* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1977, n. 697.


t) Uso del cortile
In tema di condominio di edifici, poich la naturale e principale funzione dei cortili (cose comuni ex art. 1117 cod.
civ.) quella di dare aria e luce ai locali prospicienti di propriet esclusiva e di consentire il libero transito per
accedere ai medesimi, lassemblea condominiale, con deliberazione presa a maggioranza, ha il potere di
predeterminare, nel cortile comune, le aree destinate a parcheggio delle automobili e di stabilire, al loro interno,
le porzioni separate di cui ciascun condominio pu disporre, ma non quello di deliberare la trasformazione in
unarea edificabile destinata alla installazione, con stabili opere edilizie, di autorimesse, a beneficio di alcuni
soltanto dei condomini, configurandosi una innovazione vietata a norma dellultimo comma dellart. 1120 cod.
civ., in ragione, oltre che del venir meno della stessa funzione della detta area comune, della sua utilizzazione
esclusiva da parte di alcuni dei condomini, con la sottrazione alluso ed al godimento anche di un solo
condomino.
* Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1988, n. 6673,
Il comproprietario di un cortile destinato al parcheggio degli autoveicoli dei condomini non pu utilizzarne una
parte per la costruzione di una autorimessa per la propria auto, comportando questa una alterazione sia della
consistenza strutturale della cosa comune che della destinazione funzionale della stessa, cos utilizzata, oltre
che per la sosta della autovettura, per il deposito dei relativi accessori e di altri beni.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1994, n. 4996,
La sussistenza di un divieto assoluto per tutti i condomini di sostare con le auto nel cortile condominiale non
comporta necessariamente che leventuale deroga concessa ad un terzo (nella specie lamministratore) debba
essere adottata con il consenso di tutti i condomini, giacch non sussiste in tale ipotesi violazione di alcun diritto
soggettivo dei singoli condomini.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 17settembre 1987, n. 1349,
E' illegittima, in quanto lesiva dei diritti dei partecipanti pretermessi, la delibera con la quale, nellipotesi in cui il
cortile comune non sia abbastanza ampio da accogliere le autovetture di tutti i condomini, lassemblea anzich
prevedere un uso turnario dellarea abbia stabilito di concedere in locazione i posti macchina disponibili ad
alcuni soltanto dei condomini stessi.
Trib. civ. Milano, sez. VIII, 12 febbraio 1987, n. 1266,
Lespressione "sosta di autoveicoli", usata nel regolamento di un condominio, al fine di consentire la medesima
alle autovetture dei condomini nel cortile interno dello stabile, va interpretata alla luce della situazione dei luoghi,
al fine di stabilire se la citata espressione faccia riferimento ad un uso a parcheggio stabile, ovvero ad un uso a
sosta temporanea di automezzi per carico e scarico di merci o per altre necessit eccezionali.
* Trib. civ. Milano 25 maggio 1992,
La deliberazione assembleare che specifica le modalit di utilizzo del cortile come parcheggio, precludendo ai
residenti di posteggiare in aree diverse dalle due fasce laterali libere e mantenendo inalterato il precedente
divieto di lasciare lauto davanti al proprio box o in spazi che impediscono il diritto di tutti allagevole uso del
cortile comune, non pu essere considerata come introduttiva di uninnovazione, ex art. 1120 cod. civ., nel caso
in cui la suddetta deliberazione sia astrattamente e concretamente inidonea a ledere linteresse di uno o pi
condomini in particolare, poich garantisce a tutti, indistintamente, il diritto di parcheggio nelle due aree laterali
individuate. (Nella specie, stata pienamente rispettata la destinazione molteplice che il cortile aveva in
precedenza, in quano area destinata non esclusivamente a parcheggio, bens al transito ed alla sosta di
persone e veicoli, al gioco dei bambini e allaccesso agli stessi edifici).
*Pret. civ. Legnano, 21 novembre 1988, n. 122
La norma di un regolamento contrattuale di condominio che vieti di parcheggiare e lavare le auto nel cortile
interno non fissa un modo di regolamentare la cosa comune (di tal tipo sarebbe stata invece ad esempio una
clausola che, sul presupposto che fosse consentito il parcheggio e il lavaggio delle auto, regolamentasse tali
diritti fissando gli orari, i giorni e le modalit), bens limita il diritto di godimento dei condomini sulla cosa comune
escludendo che di essa si possa fare un certo uso perch, evidentemente, non ritenuta confacente agli interessi
dei condomini. Trattasi quindi di una norma che fa nascere un vero e proprio diritto soggettivo in capo a tutti i
condomini, e che, in quanto tale, pu essere modificata solo con il consenso unanime di tutti i condomini.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 29 ottobre 1992, n. 438
Il fatto di parcheggiare con sistematicit nel cortile comune unautocisterna, ove contrasti con la destinazione
abitativa dellintero complesso immobiliare causando altres un danno di natura estetica allaspetto dei luoghi,
nonch la sostanziale trasformazione del cortile in luogo di deposito, integra quel mutamento di destinazione
che lart. 1102 cod. civ. pone come limite alluso di ogni singolo condomino.
* Pret. civ. Foligno, 12 marzo 1987, n. 16
In mancanza di un divieto contrattuale lecito realizzare nel cortile comune posti macchine per lassegnazione
ai condomini in uso esclusivo unitamente ad archetti per impedire il parcheggio selvaggio ed ai limitatori di
velocit.
* Trib. civ. Milano 17 giugno 1991, in LAmmin. 1991, n. 9.
E' da ritenere legittima la delibera assembleare che, disciplinando le modalit duso del cortile condominiale,
abbia previsto la possibilit per i singoli condomini di parcheggiarvi le proprie vetture a condizione che la sosta
degli automezzi avvenga in spazi ben delimitati e non impedisca agli altri condomini le manovre di accesso e di
uscita dai garages ivi esistenti nonch un uso proprio del cortile comune.
* Giud. conc. Lanciano, 14 dicembre 1987,
E' legittima la delibera dellassemblea dei condomini che attribuisca a tutti i condomini la facolt di occupare il
cortile comune con autovetture proprie, purch senza pregiudizio per il godimento delle propriet o pertinenze
degli altri condomini, anche se lo spazio limitato non consente il parcheggio contemporaneo delle autovetture di

tutti i partecipanti.
* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990, in Arch. /oc. e cond. 1991, 623.
u) Uso del parcheggio
Sussiste la violazione di cui allart. 1120, secondo comma, cod. civ., allorch il condominio, deliberando che
luso del parcheggio sia riservato ai soli condomini proprietari di una determinata quota millesimale (nella
fattispecie 112,33 millesimi), inibisca agli altri proprietari, con quota millesimale inferiore a detto limite, luso
dellarea destinata a parcheggio.
* Pret. civ. Modugno, 29 maggio 1987
Il riconoscimento del diritto di uso di aree destinate a parcheggio comporta per i fruitori lobbligo di integrare il
pagamento (cd. conguaglio del prezzo).
*Trib. civ. Napoli, ord. 24 ottobre 1991
Anche dopo le innovazioni allart. 18 L. n. 765 del 1967 con la L. n. 47 del 1985, il titolare del potere di
disposizione degli spazi per parcheggi ha lobbligo di consentire la concreta utilizzazione degli stessi a favore dei
condomini che ne facciano richiesta.
* Pret. civ. Bari, 4 ottobre 1988, in Giur. merito 1989, 1132.
E' lecito il parcheggio negli spazi comuni condominiali a condizione che sia ben delimitato e non impedisca agli
altri condomini luso dei garages ivi esistenti ed un uso proprio del bene comune.
* Giud. conc. Lanciano, 14 dicembre 1987, in Nuovo dir. 1988, 743.
v) Vincolo di destinazione
Il vincolo pubblicistico inderogabile riguardante gli spazi adibiti a parcheggio di cui allart. 18 della L. n. 765 del
1967 (che ha trovato conferma nella successiva L. n. 122 del 1982), traducendosi in un rapporto di
pertinenzialit necessaria con diritto reale dei singoli condomini alluso dellautorimessa, non pu riguardare le
costruzioni anteriori allentrata in vigore della detta norma, alle quali sar da ritenersi applicabile la disciplina
ordinaria di cui agli artt. 817 ss. c.c. (secondo la quale, per lesistenza del vincolo pertinenziale tra beni,
richiesta la sussistenza di un elemento oggettivo che, cio, il bene sia destinato al servizio o allornamento di
altro bene e di un elemento soggettivo che, cio, tale destinazione risponda alleffettiva volont dellavente
diritto di creare un vincolo di strumentalit necessaria o complementariet funzionale tra i beni ), con la
conseguenza che, per affermare la esistenza di un vincolo pertinenziale tra una abitazione oggetto di
alienazione e lautorimessa (specie se individuata in distinta particella catastale) sar necessario accertare
lesistenza, oltre che del rapporto funzionale tra la cosa principale e quella accessoria, anche dellelemento
soggettivo della destinazione pertinenziale, consistente nella effettiva volont dei titolari della propriet sui beni
collegati di destinare durevolmente la cosa accessoria al servizio di quella principale.
* Cass. civ., sez. II, 17 giugno 1997, n. 5395
Lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n. 1150, nel testo introdotto dallart. 18 della L. 6 agosto 1967 n. 765, il
quale prescrive che "nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse debbono
essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri
cubi di costruzione", pone un vincolo pubblicistico di destinazione, che non pu subire deroga negli atti privati di
disposizione degli spazi stessi, le cui clausole difformi sono perci sostituite di diritto dalla norma imperativa.
Tale principio resta immutato anche dopo lentrata in vigore della L. 28 febbraio 1985 n. 47, atteso che lart. 26
ultimo comma di detta legge, nello stabilire che "gli spazi di cui allart. 18 della L. 6 agosto 1967 n. 765
costituiscono pertinenze delle costruzioni ai sensi degli artt. 817, 818 ed 819 cod. civ.", non ha portata
innovativa, ma assolve soltanto alla funzione di esplicitare la regola, gi evincibile nella norma interpretata,
secondo cui i suddetti spazi possono essere oggetto di atti o rapporti separati, fermo per rimanendo quel
vincolo pubblicistico.
* Cass. pen., sez. un., 18 luglio 1989, n. 3363
Lart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150. introdotto dallart. 18 della legge 6 agosto 1967,
n. 765, il quale dispone che nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse
debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni
venti metri cubi di costruzione, configura norma imperativa ed inderogabile, in correlazione degli interessi
pubblicistici da essa perseguiti, che opera non soltanto nel rapporto fra il costruttore o proprietario di edificio e
lautorit competente in materia urbanistica, ma anche nei rapporti privatistici inerenti a detti spazi, nel senso di
imporre la loro destinazione ad uso diretto delle persone che stabilmente occupano le costruzioni o ad esse
abitualmente accedono. Ci comporta, in ipotesi di fabbricato condominiale, che, qualora il godimento dello
spazio per parcheggio non sia assicurato in favore del proprietario del singolo appartamento in applicazione dei
principi sullutilizzazione delle parti comuni delledificio o delle sue pertinenze, essendovi un titolo contrattuale
che attribuisca ad altri la propriet dello spazio medesimo, deve affermarsi la nullit di tale contratto nella parte
in cui sottrae lo spazio per parcheggio alla suddetta inderogabile destinazione, e conseguentemente deve
ritenersi il contratto stesso integrato "ope legis con il riconoscimento di un diritto reale di uso di quello spazio in
favore di detto condomino (salva restando la possibilit delle parti di ottenere, anche giudizialmente, un
riequilibrio del sinallagma contrattuale. alterato dallindicata integrazione delloggetto di una delle prestazioni).
*Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 1984, n. 6600,
Il regime di cui allart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 introdotto dallart. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765 (cosiddetta legge ponte) e rimasto immutato dopo lentrata in vigore della L. 28 febbraio
1985, n. 47 il cui art. 26, ultimo comma, stabilisce che gli spazi di parcheggio costituiscono pertinenze, non
comporta che tali aree, fermo restando il vincolo di destinazione, rientrino tra le parti comuni delledificio a norma
dellart. 1117 cc.
* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1994, n. 6696, Alvaro c. Galvani.
Le aree degli edifici riservate a parcheggio ex art. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dallart.

18 della L. 6 agosto 1967 n. 765, devono presumersi comuni ai sensi dellart. 1117 cod. civ. (la cui elencazione
non tassativa), atteso che sussiste per dette aree, obiettivamente destinate per legge ad uso comune,
lidentica ratio che sta alla base della presunzione di comunione stabilita da detta norma codicistica. Ove, poi,
tale presunzione sia vinta dal titolo, risultando quelle aree di propriet esclusiva di uno o pi condomini, il vincolo
di destinazione comune determina la costituzione ope legis a favore dellintero edificio o delle sue singole parti,
appartenenti a proprietari diversi, di un diritto reale di uso sulle aree medesime.
* Cass. civ., sez. II, 20 luglio 1987, n. 6365, De Santis c. Acconcia.
Lobbligo di riservare a parcheggio, nelle nuove costruzioni ed aree ad esse inerenti, appositi spazi (in misura
non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri di fabbricato), ai sensi e nel vigore dellart. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765 (e quindi prima della L. 28 febbraio 1985, n. 47, il cui art. 26, in via innovativa, qualifica
come pertinenziale il rapporto con i suddetti spazi), si ricollega ad esigenze pubblicistiche e costituisce un
vincolo di destinazione, in favore degli abitanti delle costruzioni medesime, non derogabile, n da parte del
costruttore, n da parte di successivi rapporti privatistici. che restano colpiti da nullit ove si pongano in
contrasto con tale destinazione. Pertanto, in edificio condominiale, e per il caso in cui gli indicati spazi si trovino
in aree incluse fra i beni comuni, la citata norma rende invalida la clausola del regolamento condominiale,
recepita nei contratti di vendita, che introduca divieti di parcheggio, e, quindi, legittima la deliberazione
assembleare che consenta il parcheggio stesso in contrasto con tale regolamento.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1988, n. 3370, Pignone c. Cond. P. S. Ant.
Lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942, n. 1150, cos come modificato dallart. 18, della L. 6 agosto 1967, n.
765, il quale prescrive che nelle nuove costruzioni e anche nelle aree di loro pertinenza debbono essere riservati
appositi spazi per parcheggi, pone un vincolo pubblicistico di destinazione, ed un rapporto di pertinenza
necessario tra gli appartamenti delledificio e gli spazi per parcheggio posti al loro servizio, che non pu essere
spezzato da atti di autonomia privata e che conseguentemente comporta, nel caso di locazione, con separati
contratti, dellappartamento e dellarea di parcheggio o del box al medesimo conduttore, lassoggettamento, ai
sensi dellart. 818 cc., della cosa accessoria (il box o larea di parcheggio) al regime locativo della cosa
principale (lappartamento). Per gli immobili in precedenza costruiti, ai quali la predetta norma, essendo
irretroattiva, non pu essere applicata, lassoggettamento del distinto contratto di locazione del box al regime del
contratto di locazione dellappartamento presuppone, invece, laccertamento, in concreto, sotto il profilo
oggettivo e soggettivo, di un rapporto pertinenziale tra i due beni, secondo gli ordinari criteri fissati dalle
disposizioni del codice civile.
* Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 1992, n. 11731, Centore c. Pinto.
Lart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dallart. 18 L. 6 agosto 1967 n. 765
(cosiddetta legge ponte) prescrivendo che negli edifici di nuova costruzione siano riservati appositi spazi di
parcheggio, pone un vincolo pubblicistico di destinazione non suscettibile di deroga negli atti privati di
disposizione degli spazi ridetti, ma non ne indica la localizzazione in una parte piuttosto che in unaltra del
complesso condominiale, n crea per essi una presunzione di comunione inquadrabile nellart. 1117 c.c.,
implicando soltanto il divieto per il propritario di disporne in modo da sottrarlo a detta destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1993, n. 4934, De Lucia c. Chiaro.
In tema di spazi riservati a parcheggio secondo quanto prescrive, per le nuove costruzioni, lart. 18 della L. 6
agosto 1967 n. 765, il riconoscimento in via giudiziaria del diritto dei proprietari acquirenti degli appartamenti
dellimmobile di usufruire dellarea di parcheggio nonostante la riserva di propriet a favore dellalienante,
originario proprietario delledificio, non presuppone n condizionato al previo accordo sulla misura della
integrazione del corrispettivo della vendita degli appartamenti, n allaccertamento giudiziale di tale integrazione,
che pu essere anche successivo ed indipendente dal predetto riconoscimento.
* Cass. civ., sez. II, 28 maggio 1993, n. 5979, Todaro e altra c. Di Noi.
Anche a norma dellart. 26, ultimo comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47, che non ha modificato il regime
vincolistico imposto dallart. 18 della legge ponte 26 agosto 1967, n. 765 fra unit abitativa e spazi di
parcheggio condominiali, chiarendone solo loriginaria portata, deve ritenersi che i contratti di autonoma
disposizione di detti parcheggi, pur ammissibili, non possono intaccare il diritto reale duso a favore del titolare
dellunit abitativa. pertanto nulla e va sostituita ope legis la clausola contrattuale con la quale il venditore
dellimmobile abbia riservato a s la propriet dellarea di parcheggio, salvo il diritto del venditore e
correlativamente lobbligo dellacquirente dellunit abitativa di integrare il prezzo convenuto per il riequilibrio del
sinallagma del contratto di compravendita.
* Cass. civ., sez. II, 18luglio 1991, n. 7994, Berlino c. Calabr.
Lart. 41 sexies della L. 17agosto l942, n. 1150, nel testo introdotto dallart. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765 (a
norma del quale nelle nuove costruzioni o nelle aree di pertinenza di queste debbono essere riservati appositi
spazi per parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione) ed
ulteriormente chiarito dallart. 26 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (che, conferendo certezza testuale alla regola
gi desumibile dallart. 18 della L. n. 765 del 1967, ha precisato che larea destinata a parcheggio costituisce
pertinenza della costruzione), pone un inderogabile vincolo pubblicistico di destinazione di detta area, che non
impedisce al proprietario delledificio di riservarsi, negli atti di vendita dei singoli appartamenti, la propriet
dellarea stessa destinata a parcheggio o di trasferire ad altri la propriet, atteso che non attribuisce tale
propriet ai condomini per effetto automatico dellacquisto dellappartamento, ma esclude solo la possibilit che
la riserva o il trasferimento a terzi della propriet privi i proprietari degli appartamenti delledificio del diritto reale
di utilizzazione di tale area per il parcheggio dei loro veicoli, sottraendola al vincolo pubblicistico di destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 1 giugno 1993, n. 6104, Lisandrelli c. Snc lannozzi.
Con riguardo agli spazi riservati a parcheggio, secondo quanto prescrive per le nuove costruzioni lart. 18 della
L. 6 agosto 1967, n765, deve ritenersi consentita, in applicazione delle regole dettate dal codice civile sulle

pertinenze, ed anche prima dellentrata in vigore dellart. 26, ultimo comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (che
comunque chiarisce la portata di detto art. 18, inquadrando quelle porzioni nella normativa delle pertinenze), la
riserva di propriet in favore del costruttore, con gli atti di trasferimento delle singole unit condominiali o
dellintero fabbricato, semprech venga rispettato lindicato vincolo di destinazione (come nel caso in cui il
parcheggio resti assicurato ai condomini mediante il pagamento di un canone).
* Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 1988, n. 2129, Cond. V. Imprunet. c. Soc. Pian. 2 Torri.
Costituiscono un valido strumento interpretativo del contratto di vendita di appartamento condominiale, nel
silenzio o nellambiguit della convenzione in ordine al diritto dellacquirente al godimento dellarea di parcheggio
realizzata dal costruttore, le norme disciplinanti le costruzioni tra cui lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n.
1150 (introdotto dallart. 18 della L. 6agosto 1967,0.765), statuente che nelle nuove costruzioni debbono essere
riservati appositi spazi per parcheggi e ci per il principio che il bene casa deve essere concepito nella sua
regolare conformazione, delineata dalle norme suindicate, nonch in virt del principio di buona fede, di cui agli
artt. 1366 e 1375 cod. civ., ed in base allart. 1374 dello stesso codice, che obbliga le parti anche a tutte le
conseguenze che ne derivano secondo le leggi, tra le quali vanno incluse quelle regolanti erga omnes, in vista
del pubblico interesse, le caratteristiche del bene oggetto della compravendita.
* Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1981, n. 2452. Cond. Porris. S. c. Marrazzo.
La nullit della clausola del contratto di compravendita di appartamento che esclude il trasferimento della
propriet o del diritto reale di utilizzazione dellarea condominiale da riservare a parcheggio, ai sensi dellart. 41
sexies L. 27 agosto 1942 n. 1150, aggiunto dallart. 18 L. 6 agosto 1967 n. 765, ed il conseguente trasferimento
ex lege del predetto diritto al compratore, comporta il diritto del venditore al corrispettivo di tale trasferimento,
che d luogo ad un credito di valore rivalutabile perch ha la funzione di integrazione non del prezzo, in senso
proprio, ma degli effetti legali della compravendita, con laggiunta di un effetto legale che articolandosi nel
trasferimento della propriet o del diritto reale di godimento dellarea di parcheggio e nella integrazione del
corrispettivo, in egual misura le parti sono tenute a rispettare ed in egual misura deve conseguentemente
incidere sul loro patrimonio, senza alterare lobbligo del venditore di rimborsare lavente diritto dei frutti civili
eventualmente percepiti con lo sfruttamento dellarea dalla data del contratto.
* Cass. civ., sez. II, 20 aprile 1993, n. 4622, Cond. di via G. Pilli 86/b di Camaro Inferiore c. Lascari.
Lart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 - come introdotto dallart. 18 della L. 6 agosto
1967 n. 765, che dispone lobbligatoria riserva, a servizio delle nuove costruzioni, di spazi per parcheggi ha, per la finalit perseguita (ordinato assetto urbanistico), carattere imperativo ed opera non solo come norma
di azione, nel rapporto pubblicistico tra la pubblica amministrazione e chi domanda la licenza edilizia, bens
anche come norma di relazione, nei rapporti privatistici concernenti detti parcheggi, in quanto pone un limite
allautonomia privata, sanzionando di nullit, ai sensi degli artt. 1418 e 1419 cod. civ., ogni convenzione che, per
privato interesse del costruttore o del rivenditore degli immobili (o anche dei condomini stessi), sottragga gli
spazi suindicati alla funzione loro assegnata dalla legge. Ne deriva che va dichiarata nulla, per contrariet alla
disposizione imperativa in questione, sia la clausola con cui il costruttore od altri nel vendere i singoli
appartamenti, escludano dalla vendita la compropriet dei locali di parcheggio, come parte di natura
condominiale (art. 1117 cod. civ.), o, comunque, il godimento del servizio di parcheggio a titolo di servit, sia
latto con cui lacquirente di un appartamento rinuncia al servizio medesimo, con il conseguente diritto di
questultimo di fruire del servizio e dellalienante di esigere il relativo corrispettivo pecuniario.
* Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 1982, n. 483, Paolillo c. Napoli.
Per sentir dichiarare la destinazione di unarea a parcheggio condominiale, ai sensi dellart. 18 della L. 6 agosto
1967, n. 765, e la nullit dei negozi contrari alla citata norma vincolistica, ove larea stessa sia comune a due
condominii (rendendosi applicabili le norme specifiche della comunione ex art. 1100 e 1105 c.c. e non anche
quelle che regolano il condominio), la legittimazione dei singoli partecipanti, e per essi degli amministratori, ad
agire contro terzi, o contro altri partecipanti, pu sorgere anche da una semplice manifestazione di volont dei
partecipanti.
*Cass. civ., sez. II, 4gennaio 1993, n. 18, Prosperi c. Bucci.
Lart. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765 (introduttivo dellart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942
n. 1150) disponendo che nelle nuove costruzioni devono essere riservati spazi per parcheggi in misura non
inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione non delinea una servit di uso
pubblico, ma crea una situazione pertinenziale tra la propriet delledificio e larea di parcheggio ad esso
destinata (confermata, per la Regione siciliana, dalla qualifica dellarea di parcheggio come dotazione
delledificio, ex art. 21 della legge regionale 26 maggio 1973 n. 21), la quale, nellipotesi di edificio condominiale,
assume la forma della compropriet, in capo ai condomini, dellarea, come parte necessaria alluso comune (art.
1117 cod. civ.), se larea stessa era di propriet del costruttore, ovvero di un diritto (comune) di servit dei
condomini sullarea, se questa appartiene ad un terzo. La normativa, dato il fine pubblico perseguito, ha natura
cogente e pertanto qualsiasi negoziazione avente ad oggetto unit immobiliari di un edificio dotato dellarea di
parcheggio comporta ipso iure il trasferimento al compratore della proporzionale quota dellarea medesima
(quota di compropriet o di coservit), in virt dellintegrazione ope legis degli effetti del contratto ai sensi dellart.
1374 cod. civ., senza il versamento di un ulteriore corrispettivo, salva, per il venditore, ricorrendo gli estremi
richiesti dallart. 1429 n. 4 cod. civ., lazione di annullamento del contratto, ove lomesso computo nel prezzo del
valore della quota dellarea di parcheggio si ricolleghi ad un errore sulle conseguenze giuridiche del negozio.
* Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1981, n. 6714, Romano c. Trio.
Nella disciplina urbanistica di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765, lobbligo di riservare nelle nuove costruzioni spazi
per parcheggio, ai sensi dellart. 18 della citata legge, pu essere osservato realizzando tali spazi tanto in aree
di pertinenza, quanto in locali facenti parte delle costruzioni stesse (e da trasferire agli acquirenti delle singole
unit immobiliari), come nel caso di boxes o garages ricavati in piani interrati.

*Cass. civ., sez. II, 20 marzo 1989, n. 1390, Calcagna c. Cianfriglia.


La mera circostanza che il costruttore di un fabbricato condominiale, il quale, prima di vendere i singoli alloggi,
nel destinare delle aree a parcheggio ai sensi e nel vigore dellart. 18 della L. 6 agosto 1967. n. 765, se ne sia
riservato la propriet, come il fatto che i successivi atti di vendita non contengano espressa menzione del
trasferimento anche della compropriet delle aree medesime, non sufficiente a superare la presunzione di
inclusione delle dette aree fra i beni comuni, posta dallart. 1117 cot. civ.
* Cass. civ., sez. II, 26 giugno 1990, n. 6472, Di Giuseppe c. Massafra.
La superficie a parcheggio pu essere oggetto di qualunque negozio traslativo utilizzabile nella libera
disponibilit privatistica: pu restare di propriet del costruttore delledificio nellipotesi di vendita separata delle
singole unit immobiliari; pu diventare unentit condominiale; pu essere ceduta a terzi estranei al
condominio; pu essere infine collegata alla propriet esclusiva d un singolo appartamento. Ci che importa
che il titolare di tale bene ne rispetti la destinazione al servizio del fabbricato o del singolo appartamento cui il
parcheggio afferisce. In questultima ipotesi fatto salvo il diritto del proprietario attuale dellalloggio di cui il
parcheggio costituisce pertinenza a reclamare il parcheggio medesimo: in tale momento il proprietario del
parcheggio, previo pagamento di una indennit, dovr metterlo a disposizione del proprietario
dellappartamento.
* Trib. civ. Latina. 29 ottobre 1987, n. 830, Giovannelli e altro c. Riccardo, motivaz. e nota in .Arch. loc. e cond.
1988, 438.
In tema di spazi per parcheggi e del relativo vincolo pubblicistico di destinazione di cui allart. 41 sexies della L.
n. 1150/1942, il singolo condomino pu invocare la forzosa costituzione in suo favore del diritto reale duso
nonch la titolarit di uno jus possessionis di analogo contenuto non con riferimento a qualunque area
strutturalmente annessa alledificio ma sottratta dal costruttore al regime condominiale di cui allart. 1117 cc., ma
solo nelle ipotesi nelle quali risulti acclarato il vincolo di destinazione a parcheggio di quellarea siccome
originariamente previsto nellambito del progetto approvato.
*Pret. civ. Trani, 25 marzo 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 343.
Ai sensi dellart. 18 L. 6 agosto 1967, n. 765 gli spazi per parcheggi debbono intendersi coattivamente vincolati
alla destinazione di pertinenza delle singole unit abitative delledificio e le parti non hanno il potere di
concludere contratti contrastanti con la detta destinazione.
* Trib. civ. Napoli, 12 ottobre 1988, in Giur. merito 1990, 44.
Lamministratore di condominio non legittimato a proporre azioni per lacquisizione delle aree destinate a
parcheggio di cui allart. 18 della L. n. 765/1967, nemmeno quando agisca in base a delibera maggioritaria
dellassemblea.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 29 agosto 1994, n. 7225
La superficie a parcheggio pu essere oggetto di qualunque negozio traslativo utilizzabile nella libera
disponibilit privatistica: pu restare di propriet del costruttore delledificio nellipotesi di vendita separata delle
singole unit immobiliari; pu diventare unentit condominiale: pu essere ceduta a terzi estranei al
condominio; pu essere, infine, collegata alla propriet esclusiva di un singolo appartamento. Alla legge importa
solo che chiunque risulti poi essere il titolare di tale bene ne rispetti la destinazione al servizio del fabbricato o
del singolo appartamento cui il parcheggio afferisce. In tale ultima ipotesi, invero, tanto il proprietario costruttore
che si sia riservata la propriet dellarea alienando separatamente lalloggio, quanto il terzo acquirente della sola
superficie a parcheggio senza alcun diritto sullalloggio cui essa afferisce, possono liberamente disporre del loro
diritto di propriet fintantoch luso o la propriet del parcheggio non vengano reclamati dal proprietario attuale
dellalloggio di cui esso costituisce pertinenza. In tale momento, previo pagamento di unindennit, il proprietario
del parcheggio dovr metterlo a disposizione del proprietario dellappartamento.
* Trib. civ. Latina. 29 ottobre 1987, in Nuovo dir, 1988, 339.
Il vincolo di dotazione di aree destinate a parcheggio, previsto dallart. 41 sexies della L. n. 1150/1942, ha natura
di diritto reale di uso a favore degli inquilini dello stabile condominiale: pertanto, ove non sia contemplato nel
contratto di vendita. questo si reputa inficiato da nullit nella parte in cui sottrae lo spazio per parcheggio alla
suddetta inderogabile destinazione.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 17 novembre 1993, n. 9856,
Lart. 41 sexies L. n. 1150/1941 non attribuisce alcun diritto soggettivo ai condomini di nuova costruzione,
integrando piuttosto una norma di azione destinata a disciplinare lattivit della P. A. in sede di controllo degli
interventi urbanistici privati sul territorio.
* Trib. civ. Napoli, sez. I, 13 aprile 1994, n. 3447, Soc. Presud c. Cond. Parco La Nuova Residenza di Napoli, in
Arch. loc. e cond. 1995, n. 1.
Nel caso in cui gli acquirenti di appartamenti in condominio agiscono per il riconoscimento del diritto di
parcheggio contro lacquirente dei relativi spazi, questultimo non ha diritto di chiedere il pagamento del valore
dello spazio riconosciuto (cd. conguaglio).
* Trib. civ. Napoli, 7 febbraio 1994, in Giur. merito 1994, 470.
Lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942, n. 1l50 stabilisce solo misure quantitative per la determinazione degli
spazi da destinare a parcheggi, senza statuire alcuna formalit in ordine alla localizzazione delle aree da
asservire a tale scopo, ragion per cui i parcheggi possono essere localizzati sia in luoghi interrati delledificio, sia
al suo piano terreno, sia in aree esterne, anche se non strettamente adiacenti.
* Cons. Stato, sez. IV, 3 febbraio 1992, n. 140, in Giur. it. 1992, III, 1, 560.
BALCONI
SOMMARIO: a) Ballatoi; b) Chiusura a vetro; c) Costruzione di sporti, balconi e pensili; d) Elementi decorativi;
e) Fioriere; f) Propriet; g) Soletta o piattaforma; h) Spese; i) Sporti chiusi; l) Stendimento panni; m) Tende; n)

Veranda.
a) Ballatoi
I ballatoi delle cosiddette case a ringhiera devono intendersi parti comuni e le spese per la loro manutenzione e
ricostruzione devono essere divise secondo l'art. 1124 c.c.
* Trib. civ. Milano, 24 novembre 1988.
Non esiste un diritto del singolo condomino a farsi installare, nei muri perimetrali interni dei ballatoi condominiali,
nicchie per immettervi contatori del gas o della luce; anzi, l'apposizione di tali nicchie-portacontatori deve essere
considerata un peso di diritto reale sulle parti comuni.
* Pret. civ. Torino, ord. 23 dicembre 1995.
b) Chiusura a vetri
La chiusura con finestre a vetri con telaio metallico realizzata su balconi di propriet esclusiva dei singoli
condomini illegittima, allorch, limitando la circolazione dell'aria all'interno delle scale e dei pianerottoli e
determinando conseguenti ristagni di odori, pu creare situazioni di pericolo o danni alle parti comuni
dell'edificio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 giugno 1989, Gallo e altri c. Condominio di via Val Lagarina 67, Milano e Istituto
Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Milano e Pastino e altri.
Salve limitazioni di natura pubblicistica, la chiusura a vetri di balconi o terrazzi di pertinenza esclusiva deve, di
norma, ritenersi consentita ai rispettivi proprietari, purch non alteri il decoro architettonico dell'edificio
condominiale e non rechi pregiudizio, sotto alcun profilo, agli altri condomini, ai quali deve essere comunque
assicurato un pari uso del bene comune.
* Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1981, n. 4861, Malentacchi c. Galletti.
c) Costruzione di sporti, balconi e pensili
L'immissione di balconi e pensili su un cortile comune, pur comportando l'occupazione con un'opera solida e
stabile dell'area sovrastante, si risolve in un ampliamento della presa di aria e luce da parte del singolo
condomino e, non alterando la destinazione normale del cortile, deve ritenersi pienamente legittima, salvo che,
per la dimensione degli sporti, non si verifichi un uso della cosa comune esorbitante dai limiti previsti dalla legge.
Ben diversa, invece, la situazione che si determina per l'aggetto di un vero e proprio corpo di fabbrica, poich
in tal caso alla incorporazione di una parte della colonna d'aria del cortile si connette anche la finalit di
assegnare alla superficie del cortile stesso la qualit e la natura di spazio sfruttabile a fini costruttivi dai singoli
comproprietari, a vantaggio delle rispettive propriet, e quindi per l'utilit e disponibilit esclusiva degli stessi,
con la conseguente alterazione della destinazione normale del cortile comune che non pu essere consentita.
* Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 1976, n. 624.
Gli sporti che il singolo condomino ha diritto di costruire sul cortile comune debbono essere concretamente
realizzati in maniera che non venga alterata la destinazione di tale cortile, che principalmente quella di fornire
luce e aria agli immobili circostanti, ed in modo che la loro costruzione non si ponga in contrasto con le esigenze
di un pari uso dello stesso cortile da parte degli altri comproprietari, nei limiti di cui all'art. 1102 cod. civ., in
relazione alle prospettive offerte dalla struttura e ubicazione delle propriet individuali.
* Cass. civ., sez. II, 9 marzo 1988, n. 2370, Carcano c. Maggi.
Deve ritenersi pertinenza, al fine di assoggettarla a semplice autorizzazione e non a concessione ex art. 7, cpv.,
lettera a) D.L. 23 gennaio 1982, n. 9, convertito nella L. 25 maggio 1982, n. 94, l'opera la quale, pur
conservando la propria individualit fisica ed autonomia funzionale, venga posta in un durevole rapporto di
subordinazione strumentale con altra persistente, per renderne pi agevole o comunque migliorarne l'uso. Per
delimitare la relativa nozione, che, nell'ambito della normativa edilizia, non pu farsi coincidere completamente
con quella di cui all'art. 817 c.c., possibile far ricorso interpretativo alla normativa catastale, secondo la quale
la pertinenza consiste in un volume privo di autonomo accesso dalla via pubblica ed insuscettibile di produrre un
proprio reddito senza subire modificazioni fisiche. (Nella fattispecie la Suprema Corte ha ritenuto che la
superficie realizzata mediante la costruzione di un balcone non possa qualificarsi pertinenza, essendo opera
accessoria, soggetta al diverso regime concessorio, la quale congiunta intimamente con altra costituisce parte
costitutiva ed integrante del tutto. La Suprema Corte ha inoltre precisato che mentre le pertinenze possono
anche fisicamente essere separate dalla cosa principale senza alterarne l'essenza fisica e funzionale, le opere
accessorie non sono suscettibili di separazione, senza determinare frazionamenti fisici del tutto ovvero riportare
alterazioni funzionali dell'immobile).
* Cass. pen., sez. III, 5 maggio 1992, n. 5331 (ud. 3 marzo 1992), Staiano.
La costruzione, da parte del condominio, di sporti sul cortile o sul passaggio comune, con conseguente
occupazione della colonna d'aria sovrastante il terreno comune, costituisce esplicazione del diritto di
utilizzazione della cosa, ai sensi dell'art. 1102 c.c., quando non ne pregiudichi la normale funzione o le
possibilit di utilizzazione particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 21 giugno 1993, n. 6850, Malizia c. Rizzo e altro.
La costruzione, nel muro perimetrale dell'edificio condominiale, di balconi prospicienti sul cortile comune costruzione che si risolve in un ampliamento della presa di aria e di luce da parte del singolo condomino - pu
ritenersi legittima soltanto quando la dimensione di tali sporti, oltre a non compromettere la stabilit e la
sicurezza del fabbricato, nonch a non alterare la destinazione normale del cortile, non menomi il pari diritto
degli altri condomini a fruire della normale presa di aria e luce.
* Cass. civ., sez. II, 28 luglio 1977, n. 3351.
Il proprietario di un appartamento sito in uno stabile condominiale ha diritto di ottenere l'eliminazione di uno
sporto costruito sul muro comune, in corrispondenza dell'appartamento sovrastante, quando tale manufatto
importa una sensibile diminuzione di luce e di aria ai danni dell'unit immobiliare di sua propriet; e ci

indipendentemente dal fatto che il terreno contiguo allo stabile, cui aggetta il manufatto medesimo, appartenga
al condominio ovvero al condomino attore in via esclusiva.
* Cass. civ., sez. II, 18 maggio 1978, n. 2408.
Nel caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte
corrispondente agli appartamenti di propriet esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti o
trasformando finestre in balconi o in pensili, a condizione che l'esercizio della indicata facolt, disciplinata dagli
artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilit e il decoro architettonico dell'edificio e non menomi o
diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori. (Nella specie il giudice di
merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto sussistente una sensibile diminuzione
di aria e luce in danno dell'appartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione di balconi da parte
dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al secondo piano, in relazione anche alla giacitura particolare
dell'edificio condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della latistante via pubblica).
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n. 10704, Scibetta c. Naro e Alongi.
Con riguardo ad un edificio in condominio a norma dell'art. 1102 cod. civ. consentita al condomino la
costruzione di balconi e pensili sul cortile comune quando, pur comportando l'occupazione con un'opera solida e
stabile dell'area sovrastante, concreti solo un ampliamento della presa d'aria e luce dell'appartamento del
singolo condomino senza alterare la destinazione normale del cortile ai fini costruttivi dei singoli proprietari, con
vantaggio delle rispettive propriet, e quindi per l'utilit e disponibilit esclusiva degli stessi. (Nella specie la
C.S., in applicazione di tale principio, ha confermato la decisione dei giudici del merito che avevano ritenuto che
il vano occupante la colonna d'aria sovrastante il cortile comune, per le sue dimensioni di oltre mq. 4 e mezzo,
alterasse la destinazione economica del cortile stesso, diminuendo l'utilizzazione dell'aria e della luce che esso
era destinato ad assicurare).
* Cass. civ., sez. II, 29 dicembre 1987, n. 9644, Jaccarino c. Marino.
L'art. 1102 cod. civ., nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione, prescrive che in ogni caso non pu
essere alterata la destinazione della cosa comune, sicch solo le modificazioni di questa, in quanto consentano
il pari uso secondo il diritto di ciascuno, rientrano nella previsione legale, mentre vietata ogni diversa attivit
innovatrice. (Nella specie, alla stregua del principio enunciato, stata giudicata corretta la decisione che ha
ritenuta vietata la costruzione di un terrazzo pensile soprastante un cortile comune, con la costruzione, inoltre di
gradini e di un'aiuola sul cortile stesso).
* Cass. civ., sez. II, 26 luglio 1983, n. 5132, Bono c. D`Accordo.
La tollerabilit, o meno, del pregiudizio che la costruzione di uno sporto nel muro perimetrale comune pu
arrecare alla presa di aria e luce di locali appartenenti a uno dei condomini dipende non solo dall'ampiezza dello
sporto e dalla superficie del cortile eventualmente antistante all'edificio, ma soprattutto, dalla distanza in cui tale
sporto viene a trovarsi dalle sottostanti aperture; se tale distanza risulta esigua, anche l'esistenza di un ampio
cortile potrebbe non compensare adeguatamente una diminuzione di aria e soprattutto di luce.
* Cass. civ., sez. II, 28 luglio 1977, n. 3351.
E' nulla la delibera dell'assemblea condominiale per la parte in cui autorizza il condomino del terzo piano alla
costruzione di due balconi sulla facciata prospiciente il cortile interno, e ci in quanto la delibera medesima
esorbita dai limiti delle attribuzioni dell'assemblea ed lesiva dei diritti dei condomini del secondo piano sulla
cosa comune e sulla loro propriet esclusiva.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 9 maggio 1989, n. 720, Colombo c. Battezzati.
Il condomino di un edificio che sia proprietario esclusivo dell'area scoperta adiacente alla facciata dell'edificio
stesso, pu legittimamente procedere alla costruzione di una balconata appoggiandola al muro comune in
corrispondenza dell'appartamento di sua propriet; n il proprietario dell'appartamento sottostante, il quale
lamenti la diminuzione di luce e di aria attraverso un'apertura, avente natura di luce, per effetto della costruzione
eseguita, pu vantare alcuna ragione di danno, poich l'aggetto della balconata rappresenta l'utilizzazione della
colonna d'aria soprastante il suolo, sul quale il condomino dell'edificio, che ne proprietario esclusivo, pu
compiere opere che limitano la funzione delle luci aperte nella facciata dell'edificio posto a confine dell'area di
propriet esclusiva.
* Cass. civ., sez. II, 20 marzo 1974, n. 776.
d) Elementi decorativi
Gli elementi decorativi situati al di sotto dei balconi, avendo soltanto una funzione estetica volta a rendere
armonica la facciata dell'edificio condominiale, sono cose che servono all'uso e al godimento comune e, quindi,
ai sensi dell'art. 1117, n. 3, cod. civ., sono oggetto di propriet comune e non di propriet esclusiva del
condomino cui appartengono i singoli balconi. Ne consegue che la delibera con la quale l'assemblea abbia
ripartito tra i condomini le spese necessarie alla rimozione e alla riparazione dei predetti elementi decorativi
pericolanti non viziata da nullit assoluta, ma pu essere impugnata nel termine di trenta giorni di cui all'art.
1137 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1980, n. 4377, Porcaro c. Condominio di Via Sammartino 128, Palermo.
Gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, cementi decorativi relativi ai frontali
ed ai parapetti) svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all'intero edificio, del quale accrescono il pregio
architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell'art. 1117 n. 3 c.c., con la conseguenza che la
spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della propriet di
ciascuno.
* Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 2000, n. 568, Stanganini ed altro c. Condominio di Via Reggimento Savoia
Cavalleria 10, Milano.

Gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, aggiunte sovrapposte con malta
cementizia, viti di ottone e piombi ai pilastrini della balaustrata) svolgendo una funzione decorativa estesa
all'intero edificio, del quale accrescono il pregio architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi
dell'art. 1117, n. 3, cod. civ., con la conseguenza che la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1986, n. 176, Cond. V. Cusuman. c. Fortuna.
La legittimit o meno della costruzione ad opera di un condomino di un muro di mattoni forati sul lato esterno di
un balcone di sua esclusiva propriet aperto su una chiostrina condominiale destinata a dare luce ed aria anche
ai vani degli altri condomini che si aprono su di essa, va accertata in relazione all'utilizzazione della cosa
comune che consentita al singolo condomino in misura anche pi intensa del normale, quando non alteri la
destinazione della cosa e non pregiudichi il pari diritto degli altri partecipanti al condominio.
* Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 1982, n. 6869, Grammatica c. Nuovo.
L'assemblea condominiale non pu assumere decisioni che riguardino i singoli condomini nell'ambito dei beni di
loro propriet esclusiva, salvo che non si riflettano sull'adeguato uso delle cose comuni; ne consegue che nel
caso in cui i balconi, che appartengono in modo esclusivo al proprietario dell'appartamento di cui fanno parte,
presentino nella facciata esterna elementi decorativi, o anche semplicemente cromatici, che si armonizzano con
la facciata del fabbricato dal quale sporgono, per i lavori di restauro o di manutenzione straordinaria della
facciata, decisi con la prescritta maggioranza, legittimamente viene incluso nei lavori comuni il contemporaneo
rifacimento della facciata esterna dei detti balconi, essendo il decoro estetico dell'edificio condominiale un bene
comune, della cui tutela competente l'assemblea.
* Cass. civ., sez. II, 30 agosto 1994, n. 7603, Masella c. Cond. via Campania 15-17, Taranto.
Il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte e della parte sottostante della soletta dei balconi degli
appartamenti di un edificio debbono essere considerati di propriet comune dei condomini, in quanto destinati
all'uso comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di
rendere esteticamente gradevole l'edificio. Tale funzione pu essere esclusa solo in presenza di prova contraria,
da cui risulti che trattasi di un fabbricato privo di qualsiasi uniformit architettonica, o che trovasi in uno stato di
scadimento estetico tale da rendere irrilevante l'arbitrariet costruttiva o di manutenzione dei singoli particolari.
* Cass. civ., sez. II, 17 luglio 1999, n. 7603, P.M. Raimondi.
Il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte o della parte sottostante della soletta dei balconi degli
appartamenti di un edificio debbono essere considerati di propriet comune dei condomini, in quanto destinati
all'uso comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di
rendere esteticamente gradevole l'edificio, mentre sono pertinenze dell'appartamento di propriet esclusiva
quando servono solo per il decoro di quest'ultimo; conseguentemente, nel caso di distacco, per vizio di
costruzione, del rivestimento o degli elementi decorativi predetti, l'azione di responsabilit nei confronti del
costruttore legittimamente esperita dal condominio, ai sensi dell'art. 1669 c.c., se il rivestimento o gli elementi
decorativi abbiano prevalente funzione estetica per l'intero edificio.
* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1992, n. 12792, Soc. Gefim c. Cond. Flox.
I balconi aggettanti, non avendo una funzione portante, non costituiscono parti comuni anche se siano inseriti
nella facciata, in quanto formano parte integrante dell'appartamento cui accedono. Per contro, il rivestimento e
gli elementi decorativi del fronte (parapetto) o della parte sottostante della soletta debbono essere considerati di
propriet comune dei condomini laddove essi assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente
gradevole l'edifico.
* Trib. civ. Salerno, sez. I, 16 febbraio 2001, n. 542, Cornetta c. Condominio Rubino di Via Generale Clark 15 in
Salerno.
Le lastre applicate alla parte inferiore di ogni balcone e i listelli incollati sotto la copertina di finitura dei parapetti
dell'edificio condominiale, costituendo elementi con funzione estetica, volti a rendere armonica la facciata
dell'edificio (le copertine) ovvero anche posti al servizio di una parte comune quale la facciata (i listelli), devono
essere considerati di propriet comune dei condomini. Conseguentemente, nel caso di distacco dei predetti
elementi decorativi, per vizio di costruzione, la legittimazione ad causam relativamente all'azione di
responsabilit nei confronti del costruttore ex art. 1669 c.c. compete all'amministratore del condominio.
* Trib. civ. Udine, 23 novembre 1998, n. 925, Condominio S. Marco di Udine c. Soc. Side ed altri.
Le spese di manutenzione riguardanti il frontalino dei balconi, che un elemento della struttura esterna del
balcone destinato a garantire l'integrit architettonica dell'edificio come componente della facciata, devono
gravare su tutti i condomini.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 settembre 1988, Aletti e altra e Marconari e altra c. Condominio di via Treviso
16/18, Milano.
La spesa per la riparazione delle colonnine e dei pilastrini che fanno parte integrante del parapetto dei balconi e
della terrazza a livello deve gravare esclusivamente sul proprietario dei beni medesimi, in quanto il parapetto
assolve alla funzione primaria di protezione dell'unit immobiliare del condomino ed perci soggetta
all'autonomo diritto dominicale.
* Corte app. civ. Napoli, 16 ottobre 1990.
Gli elementi verticali dei balconi, soprattutto quando si tratti di edifici moderni nei quali i balconi, incolonnati ed
allineati secondo un preciso disegno architettonico rappresentano il tratto ornamentale essenziale della facciata,
devono considerarsi parti integranti della facciata e componenti del bene del decoro dell'edificio, onde alle loro
riparazioni devono concorrere tutti i condomini in proporzione dei rispettivi millesimi di partecipazione alla

propriet comune; fra tali elementi rientrano pertanto i frontalini, le piantane e le fasce marcapiano.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 maggio 1992.
Gli interventi riguardanti la parte dei balconi prospettante verso l'esterno (nella specie i frontalini) gravano
sull'intera collettivit dei condomini in quanto tali elementi costituiscono parte integrante della facciata.
* Trib. civ. Milano, 14 ottobre 1991.
La sostituzione del materiale e del tipo di balaustra (non pi a scudo ma a fasce verticali) di un balcone non
comporta una innovazione in senso proprio, ma una semplice manutenzione straordinaria.
* Corte app. civ. Milano, 20 settembre 1991, n. 1316, .
La propriet esclusiva delle terrazze e dei balconi si estende a tutte le opere necessarie al godimento e
all'utilizzazione, quali la pavimentazione, la parte interna ed i davanzali dei parapetti, mentre invece sono di
propriet condominiale la parte esterna dei parapetti, la fascia di coronamento (cornicione o marcapiano) e
quella di rivestimento dei bordi aggettanti (frontalini) con relativi intradossi.
* Corte app. civ. Salerno, 16 marzo 1992, n. 97.
Con riguardo al rivestimento del fronte della soletta dei balconi di un edificio in condominio, la loro natura di beni
comuni in quanto destinati all'uso comune a norma del terzo comma dell'art. 1117 c.c. ovvero pertinenze ad
ornamento dell'appartamento di propriet esclusiva, ove i balconi sono siti, va accertata in base al criterio della
loro precipua e prevalente funzione in rapporto all'appartamento di propriet esclusiva e alla struttura e
caratteristica dell'intero edificio. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione del merito, in cui si era
riconosciuta la natura di parti comuni ai suddetti manufatti, frontalini di marmo, con riguardo alla esclusa loro
funzione protettiva od ornamentale dei balconi ed alla rilevata efficacia decorativa dell'intero edificio nonch
all'utilizzazione come gocciolatoi). Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1990, n. 7831, Lattanzio c. Cond. Miram. Arm.
e) Fioriere
La collocazione di vasi di geranei su dei sottovasi ed all'interno di fioriere saldamente ancorate alla ringhiera dei
balconi non contrasta n con la disposizione di cui all'art. 844 c.c. n con la norma regolamentare che vieti la
collocazione di vasi di piante su parapetti, ove gli stessi non siano fissi e creino problemi di stillicidio.
* Trib. civ. Bologna, sez. V, 1 marzo 1993, n. 245, Billi c. Cavazza.
f) Propriet
I balconi sono elementi accidentali e non portanti della struttura del fabbricato, non costituiscono parti comuni
dell'edificio e appartengono ai proprietari delle unit immobiliari corrispondenti, che sono gli unici responsabili
dei danni cagionati dalla caduta di frammenti di intonaco o muratura, che si siano da essi staccati, mentre i fregi
ornamentali e gli elementi decorativi, che ad essi ineriscano (quali i rivestimenti della fronte o della parte
sottostante della soletta, i frontalini e i pilastrini), sono condominiali, se adempiono prevalentemente alla
funzione ornamentale dell'intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi
corrispondenti, con la conseguenza che onere di chi vi ha interesse (il proprietario del balcone, da cui si sono
distaccati i frammenti, citato per il risarcimento), al fine di esimersi da responsabilit, provare che il danno fu
causato dal distacco di elementi decorativi, che per la loro funzione ornamentale dell'intero edificio
appartenevano alle parti comuni di esso.
* Cass. civ., sez. II, 7 settembre 1996, n. 8159, Cima c. Mastrantonio.
I balconi di cui sono dotate le scale di un edificio condominiale, che sono accessibili unicamente da queste ed
hanno una funzione architettonica, lucifera e di aerazione, costituiscono parte organica ed integrante dell'intero
fabbricato e debbono, pertanto, presumersi di propriet comune, ai sensi dell'art. 1117 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 13 dicembre 1979, n. 6502, Davoli c. Rotta.
g) Soletta o piattaforma
La presunzione assoluta di comunione, ex art. 1125 cod. civ., del solaio divisorio di due piani di edificio
condominiale tra i proprietari dei medesimi si estende anche alla piattaforma o soletta dei balconi, la quale,
avendo gli stessi caratteri, per struttura e funzione, del solaio, di cui costituisce prolungamento, attratta nel
regime giuridico dello stesso. Consegue che per tale piattaforma o soletta si configura un compossesso degli
indicati proprietari, che si attua con l'uso esclusivo delle rispettive facce della stessa, esercitato da quello del
piano superiore anche e soprattutto in termini di calpestio ed estrinsecantesi, per quello del piano inferiore, oltre
che nella fruizione del commodum proveniente dalla copertura, nell'acquisizione di ogni ulteriore attingibile utilit
cui non ostino ragioni di statica o di estetica, e comporta a loro rispettivo carico la manutenzione e la
ricostruzione. Pertanto, qualora il proprietario del piano inferiore alleghi la esistenza di fatti, come infiltrazioni di
acqua o altro, che abbiano danneggiato la faccia inferiore del balcone, sussiste la sua legittimazione a
pretendere il risarcimento dal proprietario del piano superiore.
* Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 1987, n. 283, Rocco c. Forni.
La presunzione assoluta di comunione (ex art. 1125 cod. civ.) del solaio divisorio di due piani di edificio
condominiale tra i proprietari dei medesimi vale pure per la piattaforma o soletta del balcone dell'appartamento
del piano superiore, la quale, avendo gli stessi caratteri, per struttura e funzione (separazione in senso verticale,
sostegno, copertura), del solaio, di cui costituisce prolungamento, attratta nel regime giuridico dello stesso.
Consegue che per tale piattaforma o soletta si configura un compossesso degli indicati proprietari, esercitato dal
proprietario del piano superiore anche e soprattutto in termini di calpestio ed estrinsecantesi per l'altro
proprietario, oltre che nella funzione del commodum proveniente dalla copertura, nell'acquisizione di ogni
ulteriore attingibile utilit, cui non ostino ragioni di statica e di estetica, sicch quest'ultimo pu ancorare a detta
soletta le strutture di chiusura necessarie per la realizzazione di una veranda ed altres utilizzarne la faccia
inferiore (prolungamento del proprio soffitto) per installarvi apparecchi d'illuminazione, per farvi vegetare piante
rampicanti, ecc.

* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1983, n. 4821, Falcone c. Caldareri.


La presunzione assoluta di comunione ex art. 1125 c.c. si estende alla parte ferma o soletta dei balconi.
Pertanto, l'aggancio di tendaggi alla soletta legittimo a norma dell'art. 1102 c.c., non alterando la destinazione
del bene comune e non impedendo agli altri partecipanti alla comunione di farne pari uso secondo il loro diritto.
* Trib. civ. Napoli, sez. III, 11 aprile 1994, n. 3348.
In riferimento al rivestimento della fronte della soletta dei balconi di un edificio in condominio, la loro natura di
beni comuni in quanto destinati all'uso comune ovvero pertinenze a ornamento dell'appartamento di propriet
esclusiva, ove i balconi sono siti, va accertata in base al criterio della loro precipua e prevalente funzione in
rapporto all'appartamento di propriet esclusiva e alla struttura e caratteristica dell'intero edificio (nella specie, la
Corte ha riconosciuto la prevalente natura condominiale degli sporti dei balconi in considerazione della loro
forma, valenza architettonica, integrazione cromatica nella struttura dell'immobile e, soprattutto,
dell'omogeneizzazione degli stessi nella linea del disegno dell'intero palazzo, anche considerando che non tutte
le unit immobiliari dell'edificio erano fornite di balcone).
* Corte app. civ. Roma, 12 giugno 1997, n. 2047, Sebastianelli c. Cond. di Viale Ungheria.
h) Spese
In tema di ripartizione delle spese di manutenzione dei balconi di un edificio, per stabilire se le stesse devono
essere sostenute esclusivamente dai proprietari dei piani in cui detti balconi si aprono o essere ripartite tra tutti i
condomini, deve essere accertato se le opere di manutenzione concernono parti costituenti proiezioni della
propriet individuale o, invece, elementi che, per la loro attinenza alla facciata, devono essere considerati parti
comuni dell'edificio ex art. 1117 cod. civ. Alla luce dell'individuato criterio rientrano tra le prime quelle dirette a
preservare e consentire l'utilizzazione della superficie praticabile del balcone, quali gli interventi di manutenzione
della pavimentazione del piano di calpestio, tra le seconde quelle concernenti elementi del balcone - tra i quali i
pilastrini e i sottobalconi - che, prospettando all'esterno dell'edificio, ineriscono alla facciata, concorrendo
insieme a questa a conferire allo stabile, attraverso l'armonia ed unit di linee e di stile, quel decoro
architettonico che costituisce bene comune dell'edificio.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 24 febbraio 1988, n. 1791, Saggese c. Condominio di via del Parco Margherita 24,
Napoli.
In tema di condominio degli edifici, le spese occorrenti per il ripristino dei rivestimenti esterni dei muretti di
recinzione delle terrazze a livello e delle balconate di propriet esclusiva, afferendo ad elementi che
costituiscono parte integrante della facciata - oggetto di propriet comune - e che si inquadrano nell'aspetto
estetico dell'edificio, sono a carico di tutti i condomini e non soltanto dei proprietari esclusivi delle singole
terrazze.
* Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1989, n. 1361, Cimmino c. Nadalet e altro.
Le spese concernenti gli elementi del balcone che prospettano all'esterno dell'edificio condominiale gravano
sempre e comunque sul condominio, in quanto tali elementi (frontalini, balaustre, ecc.) ineriscono alla facciata e
concorrono a conferire all'immobile, attraverso l'armonia e l'unit di linee e di stile, quel decoro architettonico che
costituisce bene comune, economicamente valutabile e - come tale - autonomamente tutelato ex art. 1120 c.c.
* Trib. civ. Napoli, 27 ottobre 1993, Gallo c. Condominio di via Manzoni n. 120 di Napoli.
Le spese relative ad interventi sui balconi e sulle parti a vista delle terrazze di un edificio condominiale vanno
ripartite in proporzione ai millesimi di propriet generale.
* Trib. civ. Roma, sez. II, 7 ottobre 1985, n. 12483, Cimarelli e altri c. Condominio di via Giacomo Corradi, n. 3,
Roma.
La tinteggiatura dei sottobalconi non pu qualificarsi come intervento su parti individuali dell'edificio
condominiale; pertanto legittimo l'addebito della spesa relativa all'intera collettivit dei condomini.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 14 settembre 1992, Barone e altri c. Condominio di Via Zoia 5 di Milano.
In materia di riparazione di balconi negli edifici condominiali, le relative spese sono in parte a carico del
proprietario dell'appartamento di cui costituiscono accessorio, in quanto consentono il calpestio e l'affaccio; ed in
parte a carico dei condomini, in quanto costituiscono elementi della facciata dell'edificio, di cui concorrono a
formare struttura e decoro.
* Trib. civ. Napoli, 18 dicembre 1991, in Nuovo dir. 1992, 348.
E' nulla la delibera con la quale l'assemblea condominiale abbia ripartito le spese inerenti ai lavori di
manutenzione straordinaria dei balconi, per la loro interezza, tra i soli proprietari dei piani in cui si trovano i
balconi medesimi che, contribuendo a determinare l'aspetto estetico-formale della facciata, attengono per ci
stesso al decoro architettonico dell'edificio e, quindi, ad un bene comune a tutti i condomini.
* Trib. civ. Milano, 14 gennaio 1991.
l) Stendimento panni
Lo stendimento dei panni su di un balcone condominiale, consistendo non in un'opera materiale ma in una
attivit comportamentale a carattere necessariamente saltuario, non pu essere assunto come elemento di
deturpamento del decoro architettonico, per il quale si richiede appunto il compimento di opere materiali idonee
a modificare stabilmente le linee strutturali del fabbricato.
* Pret. civ. Pisa, 3 maggio 1993, n. 140.
m) Tende
Le norme sulle distanze legali sono applicabili nei rapporti reciproci fra condomini, in relazione alle parti
immobiliari di propriet esclusiva, qualora uno di essi, utilizzando una parte comune a vantaggio della sua
propriet, sia pure nei limiti di cui all'art. 1102 cod. civ., incorra nella violazione dei diritti di un altro condomino.
N al riguardo sono configurabili temperamenti, alla stregua di una valutazione di compatibilit delle norme
suindicate con gli interessi da considerare nei rapporti condominiali, allorch trattasi di utilizzazione implicante la

violazione di una norma del regolamento condominiale predisposto dall'originario unico proprietario e recepito
nei singoli atti di acquisto. (Nella specie, in base al surriportato principio, il Supremo Collegio ha ritenuto corretta
la decisione dei giudici del merito con la quale, in accoglimento della domanda di un condomino, altri condomini
erano stati condannati a rimuovere una struttura metallica a sostegno di una tenda, realizzata su di un balcone
di loro propriet esclusiva a distanza inferiore a quella prescritta dall'art. 907 cod. civ. dal balcone soprastante
dell'attore ed in violazione di una norma del regolamento condominiale, vietante ogni modificazione dei balconi).
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1981, n. 2531, Giordano c. Politi.
Nell'ambito di un unico immobile condominiale le norme che regolano i rapporti di vicinato trovano applicazione
solo in quanto compatibili con la struttura dell'edificio e con le caratteristiche dello stato dei luoghi. Pertanto,
qualora esse siano invocate in una controversia tra condomini, spetta al giudice del merito valutare se, nel
singolo caso, dette norme debbano essere osservate o meno, in considerazione dell'esigenza di contemperare i
diversi interessi di pi proprietari conviventi in un unico edificio, al fine dell'ordinato svolgimento di tale
convivenza, propria dei rapporti condominiali. (Nella specie la Corte di cassazione, applicando tale principio, ha
rigettato il ricorso avverso la pronuncia del giudice di merito che aveva ritenuto legittima la tettoia in lamiera di
una tenda parasole (quest'ultima conforme al tipo e colore previsti dal regolamento condominiale) installata da
un condomino, ritenendola necessaria - nel caso concreto - per la tutela della sua privacy e per il riparo dagli
agenti atmosferici, nonostante fosse di dimensioni maggiori rispetto a quella di analoghi manufatti di altri
condomini, provocasse fastidiosi riverberi di luce a causa della copertura metallica, e comprimesse l'esercizio
del diritto di veduta in appiombo del condomino dell'appartamento sovrastante).
* Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2000, n. 3891, Frunzo c. Piaggi.
Nel divieto, contenuto in una norma di un regolamento condominiale, di applicare a finestre e balconi tende
esterne diverse per tipo e per colore da quelle adottate dal condominio e di esporre qualsiasi targa, insegna o
altro... sulle facciate, sui balconi, nei vani delle finestre nonch sui vetri delle finestre stesse, si deve
ricomprendere anche la collocazione - da parte di un condomino - di doppi infissi che non si limitino a rinforzare
gli infissi precedenti, ma intercludano spazi dei balconi, prima aperti, creando un effetto di tuttopieno laddove in
precedenza esisteva un'alternanza fra pieni e vuoti.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 19 novembre 1993, n. 2392, Azzola ed altri c. Chiodaroli e altri.
I condomini possono far uso delle parti comuni per le utilit accessorie inerenti al godimento della propria
propriet esclusiva, anche nelle parti corrispondenti ai piani degli altri proprietari, quando tale utilizzazione non
viene ad alterare la naturale funzione di sostegno dei muri medesimi; di conseguenza, ammissibile
l'installazione di tende da attaccarsi alla base del balcone del piano superiore, con la sola limitazione che le
stesse devono essere conformi al tipo approvato dall'assemblea. (Nella specie, alcuni condomini avevano
lamentato che l'installazione di detti tendaggi poteva comportare una limitazione della loro veduta e una
mancanza di sicurezza personale, affermazioni comunque confutate dalle fotografie e dalla documentazione
prodotte in atti).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 31 maggio 1988, n. 1824, Gagliardoni e Personeni c. Condominio di via Bassini,
n. 17/2-19, Milano.
Una delibera assembleare che indichi tassativamente le caratteristiche estetiche delle tende da sole apponibili
dai singoli condomini lecita e vincolante anche per chi non ebbe a parteciparvi.
* Trib. civ. Monza, 16 novembre 1990.
L'installazione di una tenda su di un balcone di un edificio condominiale non incide sul decoro architettonico del
fabbricato qualora la stessa fuoriesca solo minimamente dal limite del parapetto e presenti le stesse
caratteristiche di modello e di colorazione di tutte le altre installate sulle facciate condominiali.
* Pret. civ. Pisa, 3 maggio 1993, n. 140, in Arch. loc. e cond. 1994, 385.
n) Veranda
I balconi di un edificio condominiale prospicienti sul cortile comune appartengono in via esclusiva, assieme alla
colonna d'aria, soprastante a ciascuno di essi, ai proprietari dei singoli appartamenti ai quali accedono, in qualit
di pertinenza. Ne consegue che ciascun condomino ha il diritto di trasformare in veranda il balcone di sua
propriet senza dover richiedere l'autorizzazione degli altri compartecipi imposta dal regolamento del
condominio soltanto per le innovazioni delle parti comuni dell'edificio.
* Cass. civ., sez. II, 7 luglio 1976, n. 2543.
I poteri dell'assemblea condominiale concernono la disciplina dell'uso delle cose comuni, senza mai invadere la
sfera delle propriet individuali, salvo le limitazioni accettate convenzionalmente dai singoli condomini, i quali,
conseguentemente, eccettuate queste limitazioni, non possono essere autorizzati dall'assemblea ad una
utilizzazione pi ampia di parti comuni, che si risolva in una violazione delle norme sui rapporti di vicinato, quale
la realizzazione di una veranda su un terrazzo di propriet esclusiva, senza il rispetto della distanza legale della
veduta esercitata dal proprietario dell'appartamento sovrastante.
* Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1980, n. 5652, Vignale c. Servetti.
La trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura
a mezzo di installazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, non ha natura precaria n costituisce
intervento di manutenzione straordinaria o di restauro, ma opera soggetta a concessione edilizia.
* Cass. pen., sez. III, 27 marzo 2000, n. 3879 (ud. 13 gennaio 2000), Spaventi.
Il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale non pu eseguire nella sua propriet esclusiva
opere che, in contrasto con quanto stabilito dalla norma dell'art. 1122 cod. civ., rechino danno alle parti comuni
dell'edificio stesso, n, a maggior ragione, opere che, attraverso l'utilizzazione delle cose comuni, danneggino le
parti di una unit immobiliare di propriet esclusiva di un altro condomino. (Nella specie, in applicazione del
surriportato principio la S.C. ha confermato la decisione di merito con cui si ritenuto che al proprietario di un
appartamento non sia consentito costruire sul suo balcone una veranda in appoggio al muro comune dell'edificio

condominiale la quale raggiunga l'altezza del piano superiore diminuendo il godimento dell'aria e della luce al
proprietario del piano contiguo).
* Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1985, n. 1132, Dambruoso c. Spinelli.
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120, secondo comma, cod. civ.,
deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota
dominante ed imprimono alle varie parti dell'edificio, nonch all'edificio stesso nel suo insieme, una sua
determinata armonica fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico.
L'indagine volta a stabilire se, in concreto, un'innovazione (nella specie: veranda in ferro e vetro) determini o
meno alterazione del decoro architettonico demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al
sindacato di legittimit, se congruamente motivato.
* Cass. civ., sez. II, 13 aprile 1981, n. 2189, Maisano c. Troiolo.
Ciascun condomino ha il diritto di trasformare in veranda il balcone di sua propriet (senza dover richiedere
l'autorizzazione degli altri condomini), purch la trasformazione non arrechi danno alle parti comuni dell'edificio
ed, in particolare, non alteri il decoro architettonico dell'edificio e non arrechi pregiudizio agli altri condomini, ai
quali deve essere comunque assicurato un pari uso del bene comune.
* Trib. civ. Milano, 31 gennaio 1991.
Nel caso in cui una norma contenuta in un regolamento condominiale preveda che qualsiasi modificazione al
fabbricato, anche quando non se ne guasti l'estetica e la simmetria esteriore, deve essere autorizzata
dall'amministrazione del condominio, il condomino che intenda costruire una veranda in struttura metallica e
vetro sul proprio terrazzo prospiciente la facciata verso strada dello stabile condominiale, deve informarne
preventivamente l'amministratore.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 22 ottobre 1993, n. 2028, Cond. di via Redi n. 8 di Milano c. Vivaldi.
Se un condomino agisce per la demolizione di un manufatto - nella specie veranda - realizzato su una striscia di
terreno in compropriet con il coniuge del convenuto, pur se in base all'assunto attore o soltanto questi l'autore
delle opere, il contraddittorio deve essere integrato nei confronti di entrambi i comproprietari e la relativa
violazione rilevabile anche per la prima volta in Cassazione, se emerge dagli atti e sul punto non si formato il
giudicato.
* Cass. civ., sez. II, 13 giugno 1997, n. 5335, Lucarelli c. Minucci.
Una veranda da considerarsi, in senso tecnico-giuridico, una vera e propria costruzione assoggettata al
requisito della concessione, poich difetta normalmente del carattere di precariet, trattandosi di opera destinata
non a sopperire ad esigenze temporanee e contingenti con la sua successiva rimozione, ma a durare nel tempo,
ampliando cos il godimento dell'immobile. La definizione di tale sua natura non da ritenersi modificata dalla
disciplina normativa introdotta con la L. 28 febbraio 1985, n. 47, la quale anzi precisa, tra l'altro, che sono da
giudicarsi opere in assenza di concessione anche quelle rivolte alla esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti
indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza o
autonomamente utilizzabile. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso, l'imputato aveva sostenuto che per la
veranda, in quanto destinata alla protezione dagli agenti atmosferici, non fosse necessaria la concessione
edilizia. La Suprema Corte ha invece affermato la necessit della concessione prospettando che la salvaguardia
dalle intemperie si realizza con la semplice apposizione alle aperture dei cosiddetti doppi infissi in alluminio
anodizzato, mentre la veranda non solo non rappresenta un'opera precaria, ma, realizzando anche la difesa
dagli agenti atmosferici, pone in essere un rilevante aumento della volumetria abitativa, comunque utilizzabile,
assicurando, infine, spazio e privacy al corpo immobiliare).
* Cass. pen., sez. III, 19 maggio 1988, n. 6127 (ud. 6 aprile 1988), Rossi.
Il proprietario o condomino il quale realizzi un manufatto in appoggio o in aderenza al muro in cui si apre una
veduta diretta o obliqua esercitata da un sovrastante balcone, e lo elevi sino alla soglia del balcone stesso, non
soggetto, rispetto a questo, alle distanze prescritte dall'art. 907, comma terzo, c.c. nel caso in cui il manufatto
sia contenuto nello spazio volumetrico delimitato dalla proiezione verticale verso il basso della soglia predetta, in
modo da non limitare la veduta in avanti e a piombo del proprietario del piano di sopra. Infatti, tra le normali
facolt attribuite al titolare della veduta diretta od obliqua esercitata da un balcone compresa quella di
inspicere e prospicere in avanti e a piombo, ma non di sogguardare verso l'interno della sottostante propriet
coperta dalla soglia del balcone, non potendo trovare tutela la pretesa di esercitare la veduta con modalit
abnormi e puramente intrusive, ossia sporgendosi oltre misura dalla ringhiera o dal parapetto.
* Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 2000, n. 13012, Cannone Palumbo c. Lo Muscio Sibillano.
La normativa introdotta per la prima volta dall'art. 7 del D.L. n. 88 del 1995 e successivamente reiterata ha
espressamente abrogato gli artt. 7 e 8 della legge n. 94 del 1982, per cui venuta meno la disciplina
differenziata delle cosiddette pertinenze, se non ricomprese nelle categorie individuate nel nuovo regime o in
quello predisposto dalle regioni in base alla lettera n) del settimo comma dell'art. 9 del D.L. n. 285 del 1996, che
ha confermato la cosiddetta denuncia legittimante. (Fattispecie relativa ad una struttura intelaiata, simile ad una
veranda a vetri, che non costituisce pertinenza, perch non pu essere considerata come un vano accessorio a
servizio della costruzione principale, bens un ampliamento ed un ambiente nuovo, n opera precaria, poich
non realizzata per motivi di carattere contingente e con caratteristiche oggettive ed intrinseca destinazione
temporanea, non assumendo rilievo n la cosiddetta facile rimovibilit n la soggettiva destinazione data dal
costruttore).
* Cass. pen., sez. III, 18 luglio 1996, n. 2676 (c.c. 18 giugno 1996), Ciuffarella.
La cosiddetta veranda si caratterizza come manufatto costruttivo, anche se privo di individualit propria, siccome
destinato ad integrare il restante edificio, che determina comunque una modifica esterna del territorio,
suscettibile di rilievo urbanistico. Ne consegue che la relativa superficie va calcolata al fine di stabilire la limitata
entit dei volumi illegittimamente realizzati quale requisito richiesto per l'applicazione dell'amnistia, ai sensi del

D.P.R. n. 75 del 1990. (Fattispecie relativa ad una costruzione abusiva che impegnava una superficie pilastrata
di mq 150, inclusa quella destinata a veranda; la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del giudice di
merito, che aveva escluso l'applicazione dell'amnistia, osservando che le opere eseguite erano sufficienti a
delimitare una porzione di volume di complessivi 860 mc ed a conseguire, compresa la veranda, una
trasformazione urbanistica dello spazio, asservendolo, abusivamente, a fini edilizi).
* Cass. pen., sez. V, 24 ottobre 1991, n. 10648 (ud. 14 settembre 1991), Antonuccio.
BARRIERE ARCHITETTONICHE
SOMMARIO: a) Applicabilit delle agevolazioni; b) Disciplina antisismica; c) Eliminazione; d) Installazione di
ascensore; e) Piani di intervento; f) Piattaforma mobile.
E' nulla la delibera adottata secondo la maggioranza prevista dall'art. 2 della L. n. 13/1989 - di installazione di un
ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino portatore di handicap, qualora ci comporti un sensibile
deprezzamento dell'unit immobiliare di altro condomino.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 27 dicembre 1994, n. 3074, Condominio di via Salvator Rosa n.253 in Napoli c.
Lovallo, in Arch. loc. e cond. 1995, 393.
Ai fini dell'applicabilit delle agevolazioni consentite alla eliminazione delle barriere architettoniche ex L. n.
13/1989, non necessaria la presenza nell'edificio interessato di handicappati che vi abitino, posto che la ratio
degli interventi della legge del 1971 era proprio quella di consentire la <<visitabilit>> degli edifici medesimi da
parte di tutti coloro che hanno occasione di accedervi e che i portatori di handicap possono avere relazioni con
l'immobile anche di natura diversa dalla propriet (ad esempio in forza di un rapporto di locazione).
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 aprile 1993, n. 4466, Sciutti c. Cond. di Via Goldoni di Milano, in Arch. loc. e
cond. 1994, 130.
Le agevolazioni consentite dalla L. n. 13/1989 in tema di eliminazione delle barriere architettoniche sono
applicabili anche senza la presenza nell'edificio interessato di handicappati che vi abitino, posto che la ratio degli
interventi della L. n. 118/1971 (richiamata espressamente dall'art. 2 della L. n. 13/1989) proprio quella di
consentire la visitabilit degli edifici medesimi da parte di tutti coloro che hanno occasione di accedervi e che i
portatori di handicap possono avere relazioni con l'immobile anche di natura diversa dalla propriet ( si pensi
agli inquilini, ai loro parenti, agli abituali frequentatori, eccetera). La presenza nello stabile di abitanti
handicappati vale invece a rendere operanti le provvidenze di ordine economico previste dalla legislazione
regionale.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 22 marzo 1993, Societ Lory e altro c. Condominio di Via Sapeto 7 di Milano, in
Arch. loc. e cond. 1993, 314.
L'art. 2 della L. n. 13/1989 applicabile anche riguardo alle necessit di un invalido civile e non solo di un
portatore di handicap.
* Trib. civ. Firenze, 19 maggio 1992, n. 849, in Arch. loc. e cond. 1992, 814.
L'art. 2 della L. n. 13/1989 applicabile anche riguardo ai soggetti ultrasessantacinquenni che abbiano difficolt
persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro et.
* Trib. civ. Napoli, 14 marzo 1994, n. 2606, in Arch. loc. e cond. 1994, 335.
La normativa concernente l'abbattimento delle barriere architettoniche applicabile non solo relativamente a
quei soggetti che presentino difficolt di deambulazione, ma anche a coloro - quali le persone anziane - che pur
non essendo affetti da menomazioni motorie, si trovino comunque in minorate condizioni fisiche.
* Pret. civ. Roma, 15 maggio 1996, Lucisano ed altri, in Arch. loc. e cond. 1996, 564.
b) Disciplina antisismica
In base all'art. 6 della L. 9 gennaio 1989, n. 13, per l'esecuzione delle opere dirette a favorire il superamento e
l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati vanno rispettate le disposizioni della legge n. 64
del 1974 con esclusione dell'obbligo dell'autorizzazione. Ne deriva che l'ottemperanza della disciplina
antisismica in parte qua espressamente statuita. Il richiamo concerne l'intera normativa e quindi anche la
previsione sanzionatoria, che applicabile con riferimento alle residue ipotesi tipiche. L'ordine di demolizione
conseguenziale non ad ogni condanna per contravvenzione antisismica, ma soltanto alle violazioni di specifiche
disposizioni tecniche, dalle quali possa derivare un concreto pericolo per la incolumit pubblica. Rientrano nel
novero delle incombenze formali, applicabili anche alle costruzioni de quibus, le disposizioni che prevedono la
necessit del preavviso di inizio dei lavori e del deposito del progetto. Per la loro inosservanza il giudice non
deve ordinare la demolizione.
* Cass. pen., sez. III, 18 dicembre 1993, n. 11605 (ud. 11 novembre 1993), Fiumara.
c) Eliminazione
Non pu essere autorizzata la collocazione di una rampa d'accesso al portone d'ingresso di uno stabile, richiesta
da un portatore di handicap, con riferimento alle disposizioni previste dalla L. n. 13/1989 (disposizioni per
favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati), qualora tale
collocazione determini innovazioni di carattere murario all'ingresso ed interventi sul giardino comune tali da
modificare l'estetica dell'immobile e da sottrarre una porzione della cosa comune allo sfruttamento da parte di
tutti i condomini, per attrarla nella sfera di esclusiva disponibilit del singolo.
* Pret. civ. Milano, ord. 18 aprile 1989, Fumagalli c. Condominio di via Trentacoste 34, Milano,
in Arch. loc. e cond. 1990, 143; Arch. civ. 1990, 293.
I provvedimenti di urgenza previsti dall'art. 700 c.p.c. non possono essere applicati al fine di eliminare le barriere
architettoniche in un edificio privato, se il condomino disabile che li richiede non risiede nel comune in cui si

trova l'immobile.
* Trib. civ. Savona, ord. 26 maggio 1994, Cardinali c. Condominio Eucaliptus di Alassio, in Arch. loc. e cond.
1995, 668.
Va accolta la richiesta di provvedimenti di urgenza diretti a consentire al portatore di handicap, stante il rifiuto o il
ritardo nell'assunzione della prevista delibera condominiale, l'esecuzione a proprie spese delle opere necessarie
per l'eliminazione delle barriere architettoniche che ne impediscono l'accesso all'abitazione.
* Pret. civ. Roma, ord. 21 luglio 1989, in Foro it. 1991, I, 1614.
Al portatore di handicap non compete alcuna azione di condanna ad un facere, nei confronti del condominio ove
situata la sua abitazione, avente ad oggetto l'attuazione delle opere dirette ad eliminare le barriere
architettoniche dello stabile, bens un'azione di accertamento del proprio diritto ad eseguire a proprie spese le
opere necessarie all'abbattimento delle barriere architettoniche (costituite, nel caso di specie, dalle scale, che si
proponeva di superare attraverso l'installazione di un ascensore).
* Pret. civ. Roma,15 maggio 1996, Lucisano ed altri, in Arch. loc. e cond. 1996, 564.
d) Installazione di ascensore
Una modesta compressione del diritto di cui all'art. 1102 c.c. deve ritenersi tollerabile quando sia giustificato
dall'interesse altrui ad un pi proficuo uso della cosa comune e non rechi in concreto alcun serio pregiudizio o
grave sacrificio. (Fattispecie in tema di installazione di un ascensore comportante un limitato restringimento dello
spazio di passaggio comune).
* Trib. civ. Milano, 9 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992,138.
L'installazione dell'ascensore non pu comportare un pregiudizio intollerabile o un danno apprezzabile ad un
singolo condomino, nel qual caso l'innovazione non pu essere considerata legittima, e ci vale anche se
l'ascensore viene installato a norma dell'art. 3 della L. 9 gennaio 1989,n. 13.
* Trib. civ. Napoli, 16 novembre 1991,n. 13008, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
La delibera adottata dall'assemblea condominiale relativamente all'installazione di un ascensore nulla quando,
sebbene assunta nel rispetto delle maggioranze previste dall'art. 2 L. n. 13/1989 (recante norme per favorire il
superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati),sia lesiva dei diritti di altro
condomino sulla porzione di sua propriet esclusiva.
* Corte app. civ. Genova, 27 dicembre 1997, n. 947, Pollacchioli c. Iozzelli ed altri, in Arch. loc. e cond. 1998,
719.
L'impianto dell'ascensore costituisce uno degli interventi volti ad eliminare una barriera architettonica rendendo
possibile ai soggetti in minorate condizioni fisiche che abitano l'immobile o che possono frequentarlo la vita di
relazione interpersonale.
* Trib. civ. Firenze,19 maggio 1992,n. 849, in Arch. loc. e cond. 1992, 814.
Nel caso in cui un condomino affetto da grave infermit fisica richieda di installare a proprie spese un ascensore
nell'edificio condominiale, la suddetta patologia ha rilievo solo nella fase cautelare, al fine di valutare il periculum
in mora; nella successiva fase cognitiva le condizioni fisiche del condomino non hanno rilievo alcuno, dovendosi
giudicare solo della sussistenza o meno del diritto del richiedente all'installazione, a proprie spese, di un
ascensore. (Fattispecie in materia di edificio con due soli condomini).
* Trib. civ. Napoli,sez. X, 19 giugno 1996,n. 6328, Coppola c. Picariello, in Arch. loc. e cond. 1996, 941.
E' ammissibile l'installazione di un ascensore nella gabbia scale di un edificio condominiale operata a proprie
spese da un condomino portatore di handicap, dovendosi contemperare l'eventuale modesto sacrificio subito
dagli altri condomini con il prioritario interesse dell'handicappato ad una vita sociale agevolata.
Trib. civ. Foggia, 29 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.

Le norme della L. n. 13/89 che prevedono una deroga alle maggioranze stabilite dal codice civile per le
innovazioni consistenti nella realizzazione di un ascensore in un edificio condominiale al fine dell'eliminazione
delle barriere architettoniche sono applicabili indipendentemente dalla presenza o meno di portatori di handicap
nell'immobile.
* Trib. civ. Milano, 19 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
In caso di installazione di un ascensore in un edificio condominiale applicabile la disposizione di cui all'art. 2
della L. n. 13/1989 sulla eliminazione delle barriere architettoniche anche in caso di mancata esistenza di
handicappati all'interno del condominio, in quanto tale normativa persegue la finalit di consentire la libera
frequentabilit di tutte specie di edifici anche da parte di handicappati che possano recarvisi e non solo di
agevolare quelli che vi abitano.
* Trib. civ. Milano, 14 novembre 1991,n. 9287,in Arch. loc. e cond. 1992, 814.
Posto che l'uso della cosa comune a spese del singolo condomino, anche quando comporti innovazione, non
necessita di previa delibera assembleare di approvazione, a patto che non sia alterata la destinazione della cosa
e non ne sia impedito l'uso agli altri condomini, va accolta la richiesta di provvedimento d'urgenza avanzata da
chi, affetto da incapacit de ambulatoria, lamenti il rifiuto opposto all'installazione di un ascensore nella tromba
delle scale condominiali.
* Pret. civ. Milano,19 maggio 1987, in Foro it. 1987.
Dovendosi coordinare la disciplina legale sulle innovazioni con la normativa contenuta nell'art. 2 della L. 9
gennaio 1989, n. 13, in relazione alla installazione di un ascensore, ragioni di pubblico interesse e di solidariet
sociale (invocabili in ogni caso in cui destinatari dell'impianto siano i portatori di handicap, sia pure nell'ambito di
una struttura associativa) rendono lecite anche le opere di escavazione che incidono sul compossesso dei
condomini.
* Pret. civ. Pordenone, 14 giugno 1994, n. 212, Condominio Isonzo in Pordenone c. Merlo, in Arch. loc. e cond.

1996, 102.
e) Piani di intervento
Gli interessi della categoria dei portatori di handicap nel suo complesso all'eliminazione delle barriere
architettoniche possono essere soddisfatti solo tramite l'adozione di piani organici degli interventi da effettuare e
non per mezzo di interventi contingenti e disorganici.
* Pret. pen. Firenze, 23 ottobre 1989, n. 2239, Frangioni, in Riv. pen. 1990, 268.
E' legittima (oltre che conforme alle regole di buona amministrazione) la deliberazione con cui un comune affida
all'istituto autonomo case popolari anche la sola progettazione (ed eventualmente pure l'esecuzione) di un piano
per l'eliminazione delle barriere architettoniche.
* Tar Lombardia, 8 settembre 1990, n. 977, in Foro it. 1992, III, 85.
f) Piattaforma mobile
L'installazione ex L. n. 13/1989 di una piattaforma mobile idonea al sollevamento dal livello giardino al livello del
piano della hall, pur comportando l'avanzamento di 40 cm. verso l'esterno di una struttura metallica con la
creazione di un nuovo scalino esterno al portone, non determina alcuna innovazione n con riferimento alla
funzione propria dell'atrio e del portone d'ingresso, n nei confronti del decoro architettonico dell'edificio, la cui
tutela deve essere contemperata anche con le altre esigenze nella specie particolarmente rilevanti in quanto
connesse ai principi di eguaglianza e di solidariet anche costituzionalmente protetti.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 maggio 1992, Romanelli ed altri c. Condominio di via Ripamonti n. 255/257 di
Milano, in Arch. loc e cond. 1994, 139.
CANNE FUMARIE
SOMMARIO: a) Concessione edilizia; b) Installazione; c) Propriet; d) Spese; e) Sostituzione; f) Uso.
a) Concessione edilizia
I lavori di innalzamento e copertura di una canna fumaria, in quanto completano "funzionalmente" unopera
preesistente, richiedono la concessione edilizia.
* Cass. pen., sez. III, 25 ottobre 1988, n. 10396 (ud. 9 febbraio 1988), Amatori.
Lautorizzazione edilizia per la realizzazione di una canna fumaria in un muro perimetrale di un edificio pu
essere rilasciata al singolo condomino proprietario dellunit immobiliare che la canna fumaria destinata a
servire.
* Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 1997, n. 699, Comune di Milano c. Ardizzon, in Arch. loc. e cond. 1997, 1058.
b) Installazione
Il condomino che inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione,
con opere murarie, al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazione
particolare della cosa che non ne compromette necessariamente la destinazione e che deve essere, pertanto,
considerato del tutto legittimo se, trattandosi della occupazione di una zona periferica di una parte del tutto
trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, possa, in concreto, escludersi, che la predetta
utilizzazione, menomi la funzione di copertura e calpestio del lastrico o le possibilit di uso degli altri
comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2774, Cenci E. c. Cenci G.
Negli edifici in condominio, qualora distinte canne adibite a sfiatatoi, destinate a servire singolarmente diversi
locali o appartamenti, siano incorporate nel muro comune e preesistano al condominio, il servizio pu essere
qualificato comune quanto meno nel suo complesso.
* Cass. civ., 16 luglio 1964, n. 1931.
illegittima linstallazione di unautonoma canna fumaria nel tratto di facciata compreso tra i balconi e le finestre
di cinque piani di un edificio condominiale in quanto, pur non alterando la naturale destinazione del muro
comune n la stabilit delledificio, viola le
norme sulle distanze legali, riduce la visuale laterale che si gode dalle finestre ed altera in modo sensibile il
decoro architettonico della facciata.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII. 26 marzo 1992, Soc. Milmar c. Alescio; Condominio Chiocciola e Agnello e altri,
motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1992, 354.
Linstallazione da parte di un condomino di una canna fumaria in aderenza, appoggio o con incastro nel muro
perimetrale di un edificio, attivit lecita rientrante nelluso della cosa comune, previsto dallart. 1102 c.c. e,
come tale, non richiede n interpello n consenso degli altri condomini.
* Trib. civ. Napoli, sez. IV, 17 marzo 1990, n. 3422, in Arch. loc. e cond. 1991, 145.
illegittima linstallazione in appoggio alla facciata di un edificio condominiale di un condotto in lamiera ad uso
camino per lestrazione di fumi ed odori da un vano retrostante un negozio, qualora turbi lesercizio del possesso
di una terrazza a livello esclusivamente posseduta da un singolo condomino limitandone il prospetto e la veduta.
* Pret. civ. Pordenone, 7 dicembre 1990, n. 508.
Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra propriet autonome
e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio
condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con lapplicazione delle norme particolari relative alluso
delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cio nel caso in cui lapplicazione di queste ultime non sia in contrasto con le
prime e delle une e delle altre sia possibile una complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme
relative alluso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilit di quelle relative alle distanze legali
che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di
subordinazione rispetto alle prime. (Nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro

condominiale, ed in prossimit della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica
condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 23gennaio 1995, n. 724, Albini c. Cond. "Il Pino" di Como, in Arch. loc. e cond. 1995, 320.
Il singolo condomino non ha diritto alla tutela possessoria nei confronti del condominio con riferimento ai
comportamenti di fatto posti in essere in attuazione di decisioni prese da alcuno dei suoi organi. (Nella
fattispecie, un condomino aveva proposto lazione di manutenzione contro lattuazione della delibera
assembleare riguardante linstallazione delle canne fumarie).
* Trib. civ. Parma, ord. 3 gennaio 1997, Bottini c. Condominio "I Tigli" in Salsomaggiore, in Arch. loc. e cond.
1997,97.
c) Propriet
La canna fumaria soggetta alla presunzione di comunione di cui allart. 1117 c.c. e deve, quindi, ove il
contrario non risulti dal titolo, ritenersi comune e la circostanza che la canna inizi da un determinato
appartamento irrilevante e non pu giustificare la pretesa del proprietario dellappartamento stesso di un
acquisto per accessione.
* Cass. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.
La canna fumaria destinata a servire un determinato appartamento da ritenersi di propriet esclusiva del
titolare dellappartamento medesimo anche se non sia formata da tubi in cotto o cemento o altro materiale
idoneo, ma risulti, invece, ricavata nel vuoto di un muro perimetrale per tutta laltezza delledificio.
* Cass. civ., 17 maggio 1967, n. 1033.
Il condomino, titolare della servit di tenere canne fumarie e di ventilazione sulla propriet comune, non ha
anche il diritto di passaggio attraverso le parti di propriet esclusiva altrui per procedere alla installazione ed alla
manutenzione delle canne.
* Cass. civ., 2 agosto 1977, n. 3385.
Con riguardo ad edificio in condominio, una canna fumaria, anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, non
necessariamente di propriet comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini, se sia destinata a
servire esclusivamente lappartamento cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla
presunzione legale di comunione.
* Cass. civ., sez. II, 29agosto 1991, n. 9231, Battista ed altro c. Signorelli ed altro.
d) Spese
Lobbligazione di ricostruire una canna fumaria, la cui originaria consistenza sia stata mutata nel tratto che
attraversa un singolo appartamento, a carico del proprietario di questo come obbligazione reale e non gi a
carico comune dei condomini.
* Corte app. civ. Napoli, 14 gennaio 1950.
Le spese per la riparazione di una canna fumaria che serve un appartamento non possono essere messe a
carico della collettivit.
* Trib. civ. Milano, 18 gennaio 1990, in LAmministratore 1990, n. 3.
e) Sostituzione
consentito sostituire una vecchia canna fumaria in metallo, comune a due edifici in condominio, distinti e
contigui, alla quale erano collegate le caldaie delle lavanderie dei due stabili, con una nuova canna in eternit
collegata allimpianto di riscaldamento di uno soltanto dei suddetti fabbricati, alla condizione, per, che sia
possibile allaltro condominio di servirsi della nuova canna collegandovi il proprio impianto.
*Cass. civ., 21 maggio 1976, n. 1836.
f) Uso
La riduzione della sezione di una canna fumaria ad opera di uno dei condomini (nella specie mediante
immissione di un tubo in eternit) non consentita qualora di fatto alteri la destinazione della cosa comune ed
impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto.
* Cass. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.
Nel caso in cui cessi luso di un impianto di riscaldamento condominiale non viene meno per questa sola ragione
il compossesso dei singoli comproprietari sulla relativa canna fumaria, sia perch riconducibile ai poteri del
titolare di un diritto reale la facolt di mettere o non mettere in attivit un impianto, sia perch la canna fumaria
va considerata come un manufatto autonomo, suscettibile di svariate utilizzazioni.
* Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 1995, n. 1719, Massafra c. Longhini.
CONDOMINIO MINIMO
In base all'art. 1139 c.c., la disciplina del capo II del titolo VII del terzo libro del codice civile (artt. 1117-1138)
applicabile - e solo per quanto in tali norme non espressamente previste possono osservarsi le disposizioni sulla
comunione in generale (artt. 1100-1116 c.c.) - ad ogni tipo di condominio e, quindi, anche, in quanto per essi n
esplicitamente n implicitamente derogato, ai cosiddetti condomini minimi, e cio a quelle collettivit
condominiali composte da due soli partecipanti, in relazione alle quali sono da ritenersi inapplicabili le sole
norme procedimentali sul funzionamento dell'assemblea condominiale, che resta regolato, dunque, dagli artt.
1104, 1105, 1106.
* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1993, n. 5914, Solaro srl c. Testa.
Nella ipotesi di condominio composto di due soli partecipanti (c.d. piccolo condominio), le spese necessarie alla
conservazione o riparazione della cosa comune (nella specie, rifacimento del tetto e dei solai) devono essere
oggetto di regolare delibera, adottata previa rituale convocazione dell'assemblea dei condomini, della quale non
costituisce valido equipollente il mero avvertimento o la mera comunicazione all'altro condomino della necessit
di procedere a determinati lavori, bench urgenti ed indifferibili.
* Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1998, n. 5298, Antonetti c. Fabiani.

Anche nei cosiddetti piccoli condomini (nella specie, con due soli comproprietari), pur non essendo prescritte
particolari formalit per la convocazione dell'assemblea, sempre necessario che una delibera sia adottata e
che l'altro compartecipe sia stato posto in grado di conoscere l'argomento con una preventiva convocazione.
* Cass. civ., sez. II, 15 novembre 1996, n. 10009, R. Santoro c. T. Santoro, Arch. loc. e cond. 1997, 1025.
Nell'ipotesi di condominio composto di due soli partecipanti (cosiddetto piccolo condominio) le spese necessarie
alla conservazione o alla riparazione della cosa comune devono essere oggetto di regolare delibera, adottata
previa rituale convocazione dell'assemblea dei condomini, della quale non costituisce valido equipollente il mero
avvertimento o la mera comunicazione all'altro condominio della necessit di provvedere a determinati lavori. Il
principio anzidetto pu esser derogato solo se vi sono ragioni di particolare urgenza ovvero trascuratezza da
parte degli altri comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 3 luglio 2000, n. 8876, Caffaratti U. c. Caffaratti G., Arch. loc. e cond. 2000, 715.
Se il condominio di edificio costituito da due soli partecipanti e difetta quindi, per mancanza del presupposto di
una pluralit di condomini, la possibilit di applicare la disciplina dettata dall'art. 1136 c.c. sulla costituzione delle
assemblee e la validit delle sue delibere, operano le norme sulla comunione in generale e, fra queste, l'art.
1105 c.c., il quale consente il ricorso all'autorit giudiziaria per superare un contrasto fra i due partecipanti che
pregiudichi la necessaria amministrazione della cosa comune: ove per uno dei due partecipanti intenda
procedere, contro la volont dell'altro, ad innovazioni (nella specie l'installazione di un ascensore) o, in genere,
ad atti eccedenti l'ordinaria amministrazione, applicabile non l'art. 1105 c.c., riguardante i soli atti di ordinaria
amministrazione, ma l'art. 1108 c.c. e pertanto, di fronte alla materiale impossibilit di formare fra due soli
condomini la maggioranza prevista da quest'ultima norma, deve concludersi con l'escludere che l'interesse di
uno dei due partecipanti all'innovazione od all'atto di straordinaria amministrazione trovi nell'ordinamento tutela
giuridica per superare l'opposizione dell'altro partecipante.
* Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1975, n. 1604.
Con riguardo al rimborso delle spese fatte da un condomino per le cose comuni, nel caso di c.d. condominio
minimo non trova applicazione l'art. 1134 c.c., bens il regime, dettato in tema di comunione, di cui all'art. 1110
c.c., da interpretarsi estensivamente nel senso che il potere di gestione del condominio deve ritenersi sussistere
non solo con riferimento alle spese necessarie per la conservazione della cosa comune, secondo la previsione
testuale dell'articolo da ultimo citato, ma altres con riferimento alle spese realmente indispensabili per il
godimento della cosa stessa. (Nella specie quelle relative all'acqua potabile, all'acqua irrigua per il giardino e
all'alimentazione e manutenzione dell'impianto di riscaldamento).
* Trib. civ. Verona, 17 settembre 1999, n. 1530, Solito c. Rama G. ed altro, Arch. loc. e cond. 2000, 281.
La riduzione a due sole unit del numero dei partecipanti al condominio di edificio non comporta il venir meno
del condominio medesimo, ma determina soltanto l'inapplicabilit della disciplina dettata dall'art. 1136 c.c., in
tema di costituzione della assemblea e di validit delle relative delibere, la quale postula un numero di
partecipanti superiore a due. In tale ipotesi, in forza della norma di rinvio contenuta nell'art. 1139 c.c., le
deliberazioni del condominio, ivi comprese quelle attinenti alla nomina dell'amministratore, sono soggette alla
regolamentazione prevista per l'amministrazione della comunione in generale dagli artt. 1105 e 1106 c.c. e la
legittimazione a riscuotere dai condomini i contributi per la manutenzione delle parti comuni e per l'esercizio dei
servizi condominiali spetta all'amministratore nominato con la maggioranza indicata nel combinato disposto dai
citati artt. 1105 e 1106.
* Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1978, n. 535.
Giusta il disposto dell'art. 1139 c.c., la nomina di un amministratore giudiziale ai sensi dell'art. 1105, quarto
comma, c.c. applicabile ai c.d. condomini minimi, e cio alle collettivit condominiali composte da due soli
partecipanti.
* Trib. civ. Ariano Irpino, decr. 14 ottobre 1997, Gambacorta c. Cardinale, Arch. loc. e cond. 1998, 574.
Nel caso di condominio formato da due soli condomini ogni comunista pu apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune mentre gli interdetto effettuare innovazioni
o atti di straordinaria amministrazione che pregiudichino il godimento della cosa comune da parte degli altri
comunisti.
* Trib. civ. Milano, 23 maggio 1991.
Anche nell'ipotesi di cosiddetto piccolo condominio, composto di due soli partecipanti, per la convocazione
dell'assemblea dei condomini, come della comunione in generale, non sono prescritte particolari formalit, ma
pur sempre necessario che tutti i compartecipi siano stati posti in grado di conoscere l'argomento della
deliberazione, per cui la preventiva convocazione costituisce requisito essenziale per la sua validit. Detta
rituale convocazione non pu essere sostituita dall'avvertimento o mera comunicazione della necessit di
procedere a determinati lavori richiesti dall'autorit amministrativa.
* Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1991, n. 7126, Nutini c. Stellini, Arch. loc. e cond. 1992, 322.
Nel c.d. piccolo condominio - al quale si applicano, per l'amministrazione, le norme degli artt. 1104, 1105 e 1106
c.c., piuttosto che quelle dell'art. 1136 c.c. - pur non essendo prescritte formalit particolari per la convocazione
dell'assemblea, sempre necessario che a) una delibera sia adottata a seguito di regolare convocazione
dell'assemblea e che b) la delibera riceva il voto favorevole della maggioranza dei partecipanti, calcolata
secondo il valore delle quote ex art. 1105 c.c.
* Trib. civ. Brescia, sez. II, 11 gennaio 2001, n. 199, Breda A. c. Breda G., Arch. loc. e cond. 2001, 575.
CORTILI CONDOMINIALI
SOMMARIO: a) Attraversamento di condutture; b) Chiostrine; c) Differenze tra cortili e intercapedini; d) Di
propriet individuale; e) Evasione; f) Funzione; g) Modificazione della destinazione; h) Nozione; i) Opere vietate;

l) Pavimentazione; m) Presunzione di compropriet; n) Tra edifici limitrofi e autonomi; o) Uso; p) Utilizzazione del
sottosuolo; q) Vanelle o cavedi.
a) Attraversamento di condutture
Ciascun partecipante alla comunione immobiliare non pu, senza il consenso degli altri condomini, servirsi della
cosa comune a vantaggio di altro immobile di sua esclusiva propriet, distinto dai fondi a servizio dei quali la
cosa medesima sia stata originariamente destinata, in quanto tale uso verrebbe a risolversi nell'imposizione di
una servit. Pertanto, con riguardo ad un cortile comune fra i proprietari dei fabbricati circostanti ed adibito al
miglior godimento dei medesimi, deve ritenersi precluso al proprietario del singolo fabbricato, in difetto di
consenso degli altri condomini, di attraversare detto cortile con condutture di gas od acqua, che siano destinate
ad approvvigionare non quel fabbricato, ma un altro distinto immobile di sua propriet, rimanendo irrilevante che
tale ultimo fine sia realizzato, non con condutture autonome, rispetto a quelle adducenti al fabbricato compreso
nell'area condominiale, ma con successive derivazioni da tali condutture.
* Cass. civ., sez. II, 8 aprile 1977, n. 1355.
b) Chiostrine
In un edificio in condominio le chiostrine, vale a dire i cortili interni destinati a dare aria e luce a determinati piani
o porzioni di piano, attribuite per titolo in propriet esclusiva ai proprietari dei piani superiori, raffigurano beni
giuridici diversi rispetto ai muri maestri (interni) dell'edificio, che le delimitano. Questi muri, in quanto parti
essenziali per l'esistenza del fabbricato, essendo destinati a sorreggere l'edificio, appartengono in propriet
comune a tutti i partecipanti al condominio, con la conseguenza che alle spese per la conservazione dei muri
maestri (che delimitano le chiostrine) devono concorrere tutti i partecipanti, compresi i proprietari dei negozi siti a
piano terra, ancorch essi non siano proprietari delle chiostrine.
* Cass. civ., sez. II, 19 novembre 1993, n. 11435.
c) Differenze tra cortili e intercapedini
Costituisce cortile lo spazio scoperto circondato dai corpi di fabbrica di uno stesso edificio o da pi fabbricati
contermini, che sia destinato, nell'ambito di un rapporto condominiale o implicante, comunque, una disciplina, a
carattere interno, di interessi comuni od omogenei, a fornire, in via primaria, aria e luce agli edifici che vi si
affacciano ed a servire, in via complementare, da disimpegno per le esigenze degli immobili che lo circondano,
consentendo il traffico delle persone e, in via eventuale, dei veicoli. Costituiscono, invece, intercapedini, le zone
di rispetto fra diversi edifici prescritte al fine di regolare, con una disciplina a carattere esterno, il
contemperamento degli interessi contrapposti di proprietari vicini, nell'ambito del rapporto di vicinato e non di
comunione. Le dette intercapedini, dirette a soddisfare esigenze di igiene e di sicurezza pubblica o privata,
svolgono, diversamente dai cortili, la funzione di assicurare aria e luce, solo in via subordinata e nei limiti
inderogabili del rispetto delle distanze fra costruzioni.
* Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1977, n. 3380.
d) Di propriet individuale
Allorch si verifica la separazione tra la propriet di un cortile (o di altro bene rientrante in astratto nel novero di
quelli cui si riferisce la presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. civ.) e la propriet delle unit
immobiliari di un edificio, i rapporti tra tali distinte propriet vanno disciplinati non gi secondo l'art. 1102 cod. civ.
sebbene secondo la normativa dei rapporti di vicinato, cio dei rapporti che corrono tra propriet contigue
separate, per cui, tra tali propriet, vanno rispettate le distanze legali, tranne che sussista un titolo che deroghi al
rispetto di tali distanze, con la conseguenza che, mentre il proprietario esclusivo del cortile obbligato a
rispettare le aperture esistenti all'atto della separazione, i proprietari delle singole unit immobiliari non possono
creare nuove vedute sul cortile. (Nella specie trattavasi di un'area di propriet esclusiva, destinata, in
dipendenza della situazione dei luoghi, a cortile).
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4605, Apuzzo O. c. Apuzzo S.
Allorch un cortile gi appartenente ad un condominio diventi propriet individuale, da un lato il proprietario
obbligato a rispettare le aperture esistenti all'atto della separazione e dall'altro i proprietari dell'immobile a cui era
annesso il cortile non possono creare nuove vedute (n altre servit) e debbono da quel momento rispettare le
norme sulle distanze legali tra propriet confinanti.
* Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 1984, n. 101, Apuzzo c. Apuzzo.
e) Evasione
Ai fini della configurazione del reato di evasione l'ambito di fruibilit dello spazio della persona ristretta agli
arresti domiciliari limitato al luogo in cui questa conduce vita domestica, per definizione strettamente riferibile
allo spazio destinato alle relazioni di vita comunitaria di quanti in esso coabitano, con esclusione quindi del
cortile condominiale.
* Cass. pen., sez. VI, 22 luglio 1995, n. 8248 (ud. 23 marzo 1995), Buffa.
E' configurabile il reato di evasione nel fatto del soggetto agli arresti domiciliari che venga sorpreso dai
carabinieri nel cortile condominiale, a pochi metri dalla sua abitazione.
* Cass. pen., sez. VI, 20 luglio 1995, n. 8150 (ud. 26 aprile 1995), Idotta.
La funzione in relazione alla quale il legislatore ha disposto che, in mancanza di titoli contrari, i cortili debbono
presumersi comuni, quella di dare accesso, aria e luce a edifici che, senza il cortile, resterebbero totalmente o
parzialmente privi di codesti essenziali benefici. Tale funzione, pertanto, non configurabile, e la presunzione
non si applica, in rapporto a edifici che siano separati dal cortile stesso da giardini, terreni o altri spazi liberi gi
di per s idonei a garantire il soddisfacimento delle predette esigenze.
* Cass. civ., 24 maggio 1972, n. 1619.
g) Modificazione della destinazione
L'accertamento, operato in concreto, circa il contenuto, la qualit e l'ampiezza della destinazione impressa dai
condomini al cortile, nonch la coerenza, con essa, delle modificazioni impressevi dal condomino per una

migliore utilizzazione e la non esorbitanza dai limiti imposti all'esercizio di un tale potere, si risolve in un
apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimit, ove immune da vizi logico-giuridici.
* Cass. civ., sez. II, 9 settembre 1970, n. 1378.
In tema di condominio di edifici, ciascuno condomino pu servirsi delle parti comuni a condizione che non ne
alteri la naturale destinazione, che non pregiudichi la stabilit, la sicurezza e il decoro architettonico del
fabbricato e che non arrechi danno alle singole propriet esclusive e non impedisca, infine, agli altri partecipanti,
di farne parimenti uso secondo il loro diritto; con la conseguenza che devono ritenersi vietate le innovazioni alla
cosa comune che ne mutino la sostanza e la forma, incidendo sull'entit materiale della cosa, alterandone in
tutto o in parte la consistenza, la conformazione o la destinazione impressavi dalla volont dei compartecipanti
ed espressa dal titolo (regolamento di condominio, deliberazioni assembleari o gradatamente dall'uso o dalla
natura stessa della cosa) o che arrechino limitazioni o danno all'uso degli altri condomini in guisa da turbare
l'equilibrio tra i concorrenti interessi dei medesimi. (In applicazione del principio di cui in massima, stata
ritenuta vietata la costruzione nel cortile comune di uno scivolo per accedere ad un'unit immobiliare sita ad un
livello pi alto, attraverso una finestra trasformata in accesso carrabile, in quanto determinante modificazione
della struttura e della destinazione del cortile, adibito al servizio di passo carrabile e di area di parcheggio del
traffico veicolare a servizio dell'unit immobiliare utilizzata non pi ad uso abitativo, bens commerciale).
* Cass. civ., sez. II, 10 marzo 1983, n. 1789, Gaudioso c. Toscano.
Il notaio, in occasione della stipula del contratto "definitivo", ha l'obbligo, ai sensi dell'artt. 1176 e 1375 c.c., di
informare gli acquirenti - ove questi ultimi non ne siano gi a conoscenza aliunde - della eventuale circostanza
per cui, trattandosi di compravendita di appartamento condominiale, lo stato giuridico di una cosa comune (nella
specie il cortile dell'edificio di cui faccia parte l'appartamento oggetto della compravendita), sia mutato e la cosa in difformit rispetto a quanto originariamente previsto nel contratto "preliminare", ed in deroga rispetto all'art.
1117 c.c. - sia divenuta, in forza di un altro suo rogito, di propriet esclusiva di un singolo soggetto (nella specie,
la societ venditrice). Sotto un tal profilo, i riflessi di responsabilit conseguenti all'inadempimento di un tale
obbligo non vengono superati dalla semplice circostanza per cui, in sede di contratto "definitivo", gli acquirenti
dichiarino di accettare le tabelle millesimali allegate al predetto altro rogito in questione.
* Cass. civ., sez. II, 19 maggio 2000, n. 6514, Chirici c. Franchi.
h) Nozione
Il cortile, tecnicamente, l'area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di pi edifici, che serve a
dare luce e aria agli ambienti circostanti. Ma avuto riguardo all'ampia portata della parola e, soprattutto alla
funzione di dare aria e luce agli ambienti, che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi
anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell'edificio - quali gli spazi verdi, le zone di rispetto,
le intercapedini, i parcheggi - che, sebbene non menzionati espressamente nell'art. 1117 c.c., vanno ritenute
comuni a norma della suddetta disposizione.
* Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7889, Lombardi c. Lonigro ed altra.
Da un punto di vista generale, "cortile" anche lo spazio a disimpiego di uno o pi fabbricati, siano essi di
propriet di uno solo o di pi soggetti, ovvero anche comune a pi immobili che su di esso prospettano.
* Cass. civ., 2 luglio 1969, n. 2431.
L'accertamento in concreto che un determinato spazio adiacente all'edificio in condominio sia o meno pertinenza
dell'entit condominiale e appartenga strutturalmente al condominio, non pu essere fondato semplicemente ed
unicamente sull'interpretazione della fattispecie astratta dell'art. 1117 c.c. ma occorre effettuare, con riferimento
all'epoca di costituzione del condominio, una valutazione dello stato effettivo dei luoghi, dei rapporti, in relazione
alla volont delle parti che possono aver voluto escludere proprio la presunzione di comunione.
* Cass. civ., 11 febbraio 1969, n. 463.
La presunzione di comunione del cortile trae la sua ratio dalla obiettiva destinazione del bene a servizio e utilit
degli edifici circostanti, sicch nella nozione di cortile devono intendersi compresi anche gli spazi esterni che,
oltre a dare aria e luce agli stessi, soddisfano altres l'esigenza dell'accesso alla via pubblica.
* Cass. civ., 23 marzo 1970, n. 783.
i) Opere vietate
Anche nel caso in cui una parte dell'edificio condominiale necessaria all'uso comune si appartenga in propriet
esclusiva ad uno soltanto dei condomini, questi tenuto, nell'esercizio delle sue facolt di godimento, a
rispettare la destinazione obiettiva della suddetta parte all'utilit generale dell'intero condominio. Per cui, financo
al condomino che sia proprietario esclusivo dell'intero cortile sul quale prospettano gli appartamenti dello stabile,
vietato di eseguirvi costruzioni o manufatti che impediscano o limitino l'esercizio del diritto, spettante ex lege
agli altri condomini, di trarre dallo stesso cortile la luce e l'aria necessarie ai loro rispettivi appartamenti.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1977, n. 78. Conforme, Cass. II, 17 ottobre 1974, n. 2897.
La costruzione di manufatti nel cortile comune di un fabbricato condominiale consentita al singolo condomino
solo se non alteri la normale destinazione di quel bene, non anche, pertanto, quando si traduca in corpi di
fabbrica aggettanti, con incorporazione di una parte della colonna d'aria sovrastante ed utilizzazione della stessa
ai fini esclusivi (nella specie, trattavasi della costruzione di "bovindi").
* Cass. civ., 13 aprile 1991, n. 3942.
L'utilizzazione della cosa comune pu avvenire da parte di uno o pi compartecipi alla comunione anche in
modo particolare e diverso da quello degli altri, senza sconfinare in abuso, sempre che la destinazione della
cosa resti rispettata: a tal fine la legittimit d'un tale uso va verificata, dal giudice del merito, in base al confronto
tra uso diverso e destinazioni possibili della cosa quali stabilite, anche per implicito, dalla volont comune dei
condomini. (In base a tale principio, la corte di cassazione ha confermato la decisione del giudice del merito che
aveva considerato incompatibile con la destinazione a cortile dell'area comune la costruzione su di essa di
gabinetti da parte di alcuni condomini).

* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1990, n. 4566, De Falco c. Panno.


L'occupazione da parte di un condomino dello spazio aereo sovrastante una striscia di terreno comune,
destinata a mettere in comunicazione due cortili, per mezzo di una costruzione aggettante che sporge all'altezza
di tre metri dal suolo, costituisce un'illegittima estensione della propriet individuale sulla cosa comune a danno
degli altri proprietari, i quali subiscono una definitiva sottrazione del loro potere dispositivo e di utilizzazione a
seguito di opere che impediscano o diminuiscano sensibilmente il passaggio e l'utilizzazione dell'aria e della
luce.
* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1976, n. 501.
l) Pavimentazione
La pavimentazione di un cortile condominiale, originariamente in terra, pu essere valutata come ricostruzione o
riparazione straordinaria di notevole entit per la quale sufficiente che la deliberazione venga assunta con
l'approvazione di un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la met del valore
dell'edificio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 8 maggio 1989, Visentin c. Condominio di via Tortona, 31, Milano.
La sostituzione della pavimentazione del cortile condominiale opera di ordinaria manutenzione e non gi
innovazione, essendo quest'ultima costituita dalle modificazioni materiali della cosa comune che ne importino
l'alterazione dell'entit sostanziale o il mutamento della sua originaria destinazione e non da mutamenti delle sue
modalit di utilizzazione o da modificazioni e sostituzioni che non ne alterino la struttura sostanziale da
precedente destinazione.
* Trib. civ. Piacenza, 5 febbraio 1991.
m) Presunzione di compropriet
In tema di condominio di edifici la presunzione di comunione del cortile trae la sua ratio dalla obiettiva
destinazione del bene a servizio e utilit degli edifici circostanti, sicch nella nozione di cortile devono intendersi
compresi anche gli spazi esterni che oltre a dare aria e luce agli stessi, soddisfano altres l'esigenza dell'accesso
alla via pubblica.
* Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1991, n. 10309, Gallia c. Fontana.
Ai fini della presunzione di compropriet del cortile per le unit immobiliari che vi si affacciano sufficiente che
queste da esso traggano aria e luce, poich la ratio della norma contenuta nell'art. 1117 c.c. si fonda sulla
funzionalit obiettiva dei beni ivi indicati e cio sulla loro attitudine a servire l'immobile condominiale. Pertanto,
una volta accertato insindacabilmente in sede di merito che l'unit immobiliare costituita da un fabbricato con
giardino " servita"dal cortile col quale confina e dal quale riceve aria e luce, ininfluente che il cortile confini
con la parte scoperta, dalla quale separato da un muretto, anzich con la parte coperta dell'unit immobiliare.
* Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1976, n. 2142.
In tema di condominio negli edifici, l'art. 1117 c.c. individua i beni, tra i quali ricomprende i cortili, che sono
oggetto di propriet comune per loro natura o destinazione, salvi la vindicatio ex titulo, ovvero l'accertamento
della destinazione particolare del bene al servizio di una o pi determinate unit immobiliari. Pertanto, non
necessario, ai fini del riconoscimento della propriet collettiva sul cortile, la dimostrazione della utilit specifica
che da esso tragga ciascuna delle unit dell'edificio, dovendo, al contrario, essere dimostrata la destinazione
particolare del bene di cui si tratta al servizio di alcune soltanto delle unit al fine di escludere il diritto di tutti i
proprietari sul bene stesso. N sufficiente, a tale scopo, il rilievo della mancata fruizione, da parte delle unit
immobiliari prive di affaccio sul cortile, delle specifiche utilit di presa d'aria e luce o di accesso, non esaurendo
dette utilit le potenzialit di sfruttamento del cortile, attinenti, tra l'altro, al parcheggio di veicoli o al deposito
temporaneo di materiali durante i lavori di manutenzione delle singole unit.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2000, n. 14128, Acampora c. Apuzzo G. ed altri.
La presunzione di propriet comune di cui all'art. 1117 c.c. si applica per analogia anche ai cortili che si trovano
fra edifici strutturalmente autonomi ed appartenenti a proprietari diversi e sono obiettivamente destinati a dare
aria e luce ai fabbricati che li fronteggiano.
* Cass. civ., sez. II, 10 luglio 1991, n. 7630, Di Scala c. Parisi.
La presunzione di compropriet del cortile, ubicato fra diversi fabbricati, ovvero nell'ambito di un unico edificio
condominiale, trova il suo fondamento nella funzione principale del cortile medesimo, consistente nell'essere
esso destinato a fornire aria e luce alle unit immobiliari circostanti e non gi nella destinazione, puramente
accessoria ed eventuale, consistente nel consentire l'accesso a tali unit. Ne discende che la suddetta
presunzione sussiste anche nel caso in cui l'ubicazione del cortile rispetto alle diverse unit immobiliari sia tale
da consentire l'accesso ad un solo condomino con esclusione degli altri comproprietari i quali, pertanto, usano
dello stesso nella sua interezza, iure proprietatis e non iure servitutis. Per vincere tale presunzione di comunione
occorre un titolo contrario, cui si riferisce l'art. 1117 c.c., il quale pu essere rappresentato solo dal negozio
concluso da colui o da coloro che costituiscono il condomino, in quanto rappresenta la fonte comune dei
rispettivi diritti dei condomini, mentre i successivi negozi che determinano l'acquisto di una parte dell'edificio,
sono rispetto agli altri condomini res inter alios acta e quindi inutilizzabili per la ricerca di una eventuale
disposizione contraria alla presunzione legale.
* Cass. civ., 3 settembre 1976, n. 3085.
In tema di condominio negli edifici, l'art. 1117 c.c. individua i beni, tra i quali ricomprende i cortili, che sono
oggetto di propriet comune per loro natura o destinazione, salvi la vindicatio ex titulo, ovvero l'accertamento
della destinazione particolare del bene al servizio di una o pi determinate unit immobiliari. Pertanto, non
necessario, ai fini del riconoscimento della propriet collettiva sul cortile, la dimostrazione della utilit specifica
che da esso tragga ciascuna delle unit dell'edificio, dovendo, al contrario, essere dimostrata la destinazione
particolare del bene di cui si tratta al servizio di alcune soltanto delle unit al fine di escludere il diritto di tutti i
proprietari sul bene stesso. N sufficiente, a tale scopo, il rilievo della mancata fruizione, da parte delle unit

immobiliari prive di affaccio sul cortile, delle specifiche utilit di presa d'aria e luce o di accesso, non esaurendo
dette utilit le potenzialit di sfruttamento del cortile, attinenti, tra l'altro, al parcheggio di veicoli o al deposito
temporaneo di materiali durante i lavori di manutenzione delle singole unit.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2000, n. 14128, Acampora c. Apuzzo G. ed altri.
I cortili sono previsti espressamente dall'art. 1117 c.c. fra le parti dell'edificio che si presumono comuni, salvo
che il contrario risulti da titolo. Deve considerarsi cortile non soltanto lo spazio esistente nell'interno di un
fabbricato, circoscritto dalla superficie del suolo, ma anche tutta l'area soprastante, limitata ai lati dalle
costruzioni che la fronteggiano, e delle quali esso pu ritenersi un accessorio, destinato a dare aria e luce ai
vani delle costruzioni stesse; per tali sue speciali caratteristiche la legge presume che il cortile rientri nelle cose
del condominio, sicch ne consegue che i proprietari ne usino iure domini e non iure servitutis. La presunzione
di comunione, che dunque fondata su questa attitudine funzionale obiettiva del cortile al servizio e al
godimento collettivo, opera anche se il cortile si trova circondato (ed accessorio) da edifici diversi.
* Trib. civ. Milano, 7 gennaio 1991.
n) Tra edifici limitrofi e autonomi
Ove due edifici diversi siano in origine appartenuti ad un solo proprietario, che li trasferiva a persone diverse, il
cortile destinato a servizio comune resta in condominio tra gli acquirenti, mentre ove non risulti l'unica propriet
originaria, non sussiste alcuna ragione di incompatibilit tra la propriet del cortile da parte di uno solo dei
proprietari degli edifici e l'uso comune del cortile, ben potendo tale uso esercitarsi, dai non proprietari, a titolo di
servit.
* Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 1975, n. 3197.
Nel caso in cui un cortile sia racchiuso tra edifici appartenenti a proprietari diversi e, per la sua ubicazione,
appaia destinato all'uso e al godimento di alcuni soltanto degli edifici che lo delimitano, in mancanza di titoli
validi, la presunzione iuris tantum di condominio opera solo ed esclusivamente a favore di questi.
* Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1977, n. 1486.
Il cortile ubicato fra due fabbricati deve ritenersi di propriet comune, ai sensi dell'art. 1117 cod. civ., qualora ne
costituisca accessorio, in quanto stabilmente destinato all'uso ed all'accesso dei medesimi. Ne consegue che la
domanda, con la quale il proprietario di un fabbricato chieda, nei confronti del proprietario dell'altro,
l'accertamento della comunione di tale cortile, al fine di conseguire la rimozione di una costruzione realizzata dal
convenuto su parte del cortile stesso, non soggetta al rigoroso onere probatorio previsto in tema di
rivendicazione, ma trova sufficiente fondamento nella dimostrazione di detta relazione di accessoriet, evincibile
dall'obiettiva situazione dei luoghi, ed anche dagli elementi indiziari forniti dalle risultanze catastali.
* Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 1980, n. 286, Barbaro c. Tisiot.
La presunzione di comunione dei cortili prevista dall'art. 1117 cod. civ., e quindi il regime delle parti comuni
dell'edificio, applicabile per analogia anche al cortile compreso tra edifici limitrofi appartenenti a proprietari
diversi, trovando fondamento sull'obiettiva destinazione del cortile al servizio o utilit delle abitazioni dei
proprietari che vi si affacciano o lo circondano, e tale situazione pu verificarsi anche nell'ipotesi della
destinazione del cortile per l'uso ed i bisogni di pi edifici limitrofi.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1980, n. 2984, Soc. ACSA c. Cond. Ariston.
Con riguardo ad un cortile comune a pi fabbricati ma in possesso di un solo condomino, il giudizio contro di
questi promosso da altro condomino per sentirsi riconoscere condomino del cortile stesso per una quota pari
alla met, nel quale sia invocata dal convenuto, in via riconvenzionale, la verificatasi usucapione dell'intero
immobile in suo favore, deve essere svolto nei confronti di tutti i proprietari dei fabbricati circostanti sussistendo
una situazione di litisconsorzio necessario in ragione dell'unit ed inscindibilit del rapporto plurisoggettivo su cui
deve incidere la richiesta pronuncia giudiziale.
* Cass. civ., sez. II, 24 agosto 1991, n. 9092, Raimo c. Spiezia.
Il regime condominiale riguarda non solo le parti comuni di uno stesso edificio diviso per piano o porzioni di
piano tra proprietari diversi, ma anche parti comuni - quale il cortile - di edifici limitrofi ed autonomi, appartenenti
a differenti proprietari, semprech ali parti, anche se fisicamente distaccate, siano destinate al servizio comune
dei proprietari medesimi.
* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1904, Soc. Edifar c. Cond. via Fara.
La presunzione di propriet comune dei cortili, dettata dall'art. 1117 c.c. in materia di condominio, applicabile
anche nel caso in cui un cortile sia circondato da edifici appartenenti a proprietari diversi. A vincere la
presunzione di comunione - la quale trae origine dal silenzio del titolo - necessario che il titolo contrario - vale
a dire l'attribuzione di propriet esclusiva ad una o a pi determinate persone - risulti in modo non equivoco.
* Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1982, n. 318.
La presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. civ., riguarda gli edifici in condominio per piani orizzontali e
non applicabile al fine di dimostrare la comunione di un cortile esistente fra edifici appartenenti a proprietari
diversi, e destinato all'uso e godimento di uno solo degli edifici quanto all'accesso a questo ed al godimento
anche dell'altro edificio quanto all'aria e alla luce. Pertanto in tale ipotesi, chi invoca la comunione ha l'onere di
provarne i fatti costitutivi.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 647, Lunardini c. Collina.
La presunzione di propriet comune posta dall'art. 1117 c.c. si applica per analogia anche ai cortili che si trovino
fra edifici strutturalmente autonomi ed appartenenti a proprietari diversi e siano obiettivamente destinati a dare
aria e luce ai fabbricati che li fronteggiano. N tale presunzione pu essere vinta, nel silenzio del titolo di
acquisto della porzione immobiliare, dalla mera possibilit di accesso al bene comune in favore di uno solo dei
condomini o proprietari di accesso al bene comune in favore di uno solo dei condomini o proprietari dei singoli
edifici, in quanto l'utilit particolare che da siffatta circostanza deriva non incide sulla destinazione tipica e
normale del bene, che di dare aria e luce ai circostanti edifici.

* Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1984, n. 4625, Acquaviva c. Piric.


Quando un cortile sia comune a due edifici, ciascuno costituente un autonomo condominio, e manchi al suo
riguardo una disciplina contrattuale vincolante per tutti i comproprietari dei due edifici, l'uso del cortile da parte di
questi ultimi non assoggettato sia al regolamento dell'uno che a quello dell'altro condominio, essendo, invece,
applicabili le norme sulla comunione in generale, e, in particolare, l'art. 1102 cod. civ., in base al quale ciascun
partecipante alla comunione pu servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la sua destinazione e non
impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
* Cass. civ., sez. II, 10 marzo 1986, n. 1598, Pipan c. Cond. V. Cor. App.
Il principio di diritto secondo il quale il regime legale della comunione stabilito dall'art. 1117 c.c., applicabile
anche quando non si tratti di parti comuni di uno stesso edificio diviso per piani bens di parti comuni di edifici
limitrofi ed autonomi, presuppone che le parti siano destinate al servizio comune degli edifici medesimi. Il vincolo
di destinazione di un bene (cortile) che risulti contemporaneamente adiacente a edifici distanti ed autonomi, al
servizio esclusivo di uno di essi soltanto condizione sufficiente per escludere in radice il regime condominiale.
(Nella specie, i magazzini dei contendenti erano originariamente appartenuti ad un unico proprietario e
comunicavano con il cortile in contestazione. Successivamente il proprietario aveva chiuso la comunicazione di
uno dei magazzini con il cortile, comunicazione costituita dal passaggio attraverso una grotta, mediante la
costruzione di un muretto e l'apposizione di una grata di ferro e poi aveva venduto il magazzino a terzi. Attesa
tale situazione, i giudici di merito avevano ritenuto che il cortile non fosse comune anche al magazzino venduto.
Il S.C. ha condiviso tale decisione ed ha enunciato il principio che precede).
* Cass. civ., 28 aprile 1971, n. 1242.
La presunzione di comunione del cortile prevista dall'art. 1117 c.c. per il caso di un tipico edificio in propriet
separata per piani o per porzioni di piani, sussiste analogicamente nel caso in cui trattasi di cortile racchiuso tra
edifici appartenenti a proprietari diversi.
* Cass. civ., 22 febbraio 1964, n. 380.
La norma dettata dall'art. 1117, n. 1, c.c., con riguardo ai cortili negli edifici condominiali, applicabile per
analogia anche ai cortili ed agli spazi permanentemente destinati per l'uso e per l'accesso ad edifici limitrofi,
appartenenti a proprietari diversi, con la conseguenza che quei cortili e quegli spazi si presumono in comunione
fra i predetti proprietari, fino a prova contraria.
* Cass. civ., 13 ottobre 1976, n. 3411.
La presunzione di comunione dei cortili di fabbricati in condominio, prevista dall'art. 1117 c.c., si estende anche
ai cortili compresi tra edifici limitrofi, anche se appartenenti a proprietari diversi, poich tale presunzione si fonda
sulla normale destinazione del cortile al servizio dell'edificio in condominio, e tale situazione pu verificarsi
anche nell'ipotesi di destinazione all'uso ed alle necessit di pi edifici limitrofi. A vincere la presunzione,
necessario che il "titolo contrario"(e cio l'attribuzione in propriet esclusiva) risulti in modo inequivoco,
apprezzabile incensurabilmente dal giudice del merito.
* Cass. civ., 8 ottobre 1975, n. 3197.
o) Uso
Il comproprietario di un cortile il quale, trasformando vani terranei di propriet esclusiva, costruisca un ampio
androne che consenta il transito nel cortile comune con mezzi pesanti, realizzando un uso che, per qualit ed
intensit, diverso da quello che, per la conformazione dei luoghi, era possibile in precedenza a tutti i
comproprietari, viola il divieto ex art. 1102 cod. civ. di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire
agli altri proprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
* Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1980, n. 4841, Sorrentino c. Nappi.
Il cortile (sia esso interno al fabbricato condominiale ovvero racchiuso da costruzione di propriet distinta e
destinato a dare ad esse accesso, luce ed aria) rientra fra le cose in comunione ex art. 1117 cod. civ. che i
proprietari pro quota usano iure domini e non iure servitutis, con la conseguenza che il comportamento relativo
del singolo partecipante alla comunione costituisce utilizzazione legittima della cosa comune ex art. 1102 cod.
civ., se mantenuto nei limiti posti dalla norma stessa (nella specie, transito pedonale e veicolare attraverso il
cortile, previa apertura di nuovi accessi ad esso attraverso il muro delimitante fabbricati insistenti sul cortile
stesso).
* Cass. civ., sez. II, 23 novembre 1982, n. 6336, Antonazzo c. Pastore.
In un edificio in condominio la funzione naturale di un cortile, di fornire aria e luce alle unit abitative che vi
prospettano, non incompatibile con l'appartenenza o la destinazione di esso all'uso esclusivo di uno o pi
condomini, n l'obbligo da parte di costoro di rispettare quella funzione comporta il sorgere di diritti particolari in
favore degli altri partecipanti al condominio.
* Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1984, n. 1209, Pitanza c. Fecarotta.
Qualora il cortile di un condominio sia destinato all'esclusivo transito pedonale, l'usufruttuario dei vani terranei
non pu aprire su di esso un accesso per automezzi, atteso che tale modifica esorbita dall'ambito di un uso "pi
intenso ed esteso"dell'area comune, rientrando in quello delle innovazioni vietate ai sensi dell'art. 1102 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 30 agosto 1991, n. 9273, Bucci c. Condominio Via Giovanni XXIII, 47 di Isernia.
Il proprietario di un edificio, legato con rapporto pertinenziale ad un cortile di propriet comune ad altri frontisti,
non pu servirsi della cosa comune per accedere ad altro immobile di sua propriet esclusiva, in quanto tale uso
comporterebbe l'asservimento ad una o pi servit delle quote ideali degli altri partecipanti.
* Cass. civ., 21 ottobre 1972, n. 3187.
In materia di condominio negli edifici, illegittimo l'accordo di destinare la corte comune a spazi di uso esclusivo,
mediante la fruizione esclusiva dei singoli appezzamenti, qualora l'accordo medesimo non risulti comprovato da
alcuna delibera o atto scritto; ne deriva, quindi, la legittimit del provvedimento con il quale il giudice ordina la

rimozione di tutte le recinzioni e dei manufatti abusivi, dovendosi restituire all'uso e al godimento di tutti i
condomini l'intera area verde o corte comune che circonda il fabbricato.
* Corte app. civ. Perugia, 9 febbraio 1988, n. 17, Cardoni e altri c. Miceli, in Arch. loc. e cond. 1988, 585.
In mancanza di vincoli convenzionali l'assemblea condominiale, con deliberazione presa a maggioranza e non
all'unanimit dei partecipanti, ha soltanto il potere di predeterminare le forme di disciplina dell'uso del cortile, ma
non pu disporre la sottrazione all'uso e al godimento anche di uno solo dei condomini.
* Trib. civ. Milano, 29 aprile 1991.
La deliberazione con la quale l'assemblea di un condominio autorizza un condomino ad occupare per il proprio
uso esclusivo una parte del cortile condominiale d luogo in via contrattuale alla costituzione di una servit
soggetta al consenso unanime di tutti i condomini in forma scritta. In difetto di tali requisiti, l'avente causa del
condomino a cui favore l'occupazione era stata prevista non ha titolo per pretendere il rispetto della
deliberazione n per impugnare la successiva delibera con la quale l'assemblea abbia revocato la pregressa
autorizzazione.
* Trib. civ. Monza, 20 maggio 1993, Soc. Irte c. Cond. di via Raiberti n. 14 di Monza.
In tema di condominio, e con riferimento alle parti comuni dell'edificio, il termine "godimento"designa due
differenti realt, quella della utilizzazione obiettiva della res, e quella del suo godimento soggettivo in senso
proprio, con la prima intendendosi l'utilit prodotta (indipendentemente da qualsiasi attivit umana) in favore
delle unit immobiliari dall'unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti, dei servizi
(suolo, fondazioni, muri maestri, tetti, lastrici solari, cortili), la seconda concretantesi, invece, nell'uso delle parti
comuni quale effetto dell'attivit personale dei titolari dei piani o porzioni di piano (utilizzazione di anditi,
stenditoi, ascensori, impianti centralizzati di riscaldamento e condizionamento). Nondimeno, talune delle parti
comuni elencate nell'art. 1117 c.c. (solitamente destinate a fornire utilit oggettiva ai condomini) sono talora,
suscettibili anche di uso soggettivo, uso, pervero, particolare ed anomalo, diverso, cio, da quello connesso con
la funzione peculiare di tali parti ed indipendente dalla relativa funzione strumentale (i muri maestri utilizzati, ad
esempio, per l'applicazione di vetrine o insegne luminose), con la conseguenza che i cortili, funzionalmente
destinati a fornire aria e luce al fabbricato (destinazione "oggettiva") ben possono esser destinati (anche) ad un
uso soggettivo (sistemazione di serbatoi, deposito merci, parcheggio auto), di talch, pur costituendo
"normalmente"oggetto di trasferimento conseguenziale al trasferimento della propriet del piano o porzione di
piano, purtuttavia possono, ex titulo, formare, quanto al relativo godimento soggettvo, oggetto di diversa
pattuizione, quale, come nella specie, l'esclusione del trasferimento della relativa quota di compropriet dell'uso
(soggettivo) come parcheggio auto, specie qualora il cortile stesso non risulti sufficiente ad ospitare le
autovetture di tutti i condomini (s che la clausola di esclusione de qua appare destinata a perseguire interessi
non immeritevoli di tutela). Peraltro, nell'ipotesi di cessione a terzi di un uso siffatto della cosa comune, non al
singolo condomino che spetta la legittimazione alla cessione stessa, essendo, all'uopo, necessario il consenso
di tutti i partecipanti alla comunione, giusta disposto dell'art. 1108, comma 3 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 1 marzo 2000, n. 2255, Lichino ed altro c. Folchi Vici Merighi.
In tema di azione di reintegrazione, la dimostrazione dell'esercizio di fatto del possesso deve essere fornita
dall'attore, ai sensi dell'art. 2697 c.c.; in mancanza di tale prova la domanda va rigettata, poich l'invocata
inversione dell'onere della prova collegabile solo ad eccezionali previsioni di legge (nella specie gli attori,
proprietari e possessori d'un appartamento condominiale, lamentavano la sottrazione di parte del cortile comune
al loro godimento).
* Trib. civ. S. Maria Capua Vetere, 28 giugno 1990.
p) Utilizzazione del sottosuolo
Con riguardo all'utilizzazione del sottosuolo di un cortile interno in fabbricato condominiale, effettuata dal singolo
condomino per l'installazione di un impianto di riscaldamento destinato alla sua propriet esclusiva, la
configurabilit di uno spoglio o di una turbativa del compossesso di altro condomino (denunciabile con azione di
reintegrazione o manutenzione) postula il riscontro di una situazione di compossesso del cortile medesimo da
parte di questo altro condomino (corrispondente all'esercizio del diritto di propriet e non di un mero diritto di
servit di passaggio), desumibile anche dalla destinazione funzionale del bene al soddisfacimento di esigenze di
accesso, affaccio, luce ed aria dei singoli partecipanti, oltre che, "ad colorandam possessionem", dalla sua
inclusione, in difetto di titolo contrario, fra le parti comuni dell'edificio (art. 1117 cod. civ.), nonch l'accertamento
ulteriore che l'indicata utilizzazione ecceda i limiti segnati dalle concorrenti facolt del compossessore,
traducendosi in un impedimento totale o parziale ad un analogo uso da parte di quest'ultimo.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1985, n. 432, Costa c. Dellerba.
Nel regime giuridico del condominio di edifici, l'uso particolare che il condomino faccia del cortile comune,
interrando nel sottosuolo di esso un serbatoio per gasolio, destinato ad aliminare l'impianto termico del suo
appartamento condominiale, conforme alla destinazione normale del cortile, a condizione che si verifichi in
concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a quelle del sottosuolo, o per altre eventuali ragioni di
fatto, tale uso non alteri l'utilizzazione del cortile praticata dagli altri condomini, n escluda per gli stessi la
possibilit di fare del cortile stesso analogo uso particolare.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1997, n. 4394, Boretti c. Bellini.
Il comproprietario di un cortile pu legittimamente scavare il sottosuolo per installarvi tubi onde allacciare un
bene di sua propriet esclusiva agli impianti idrico-fognario centrali perch da un lato non perci ne viene
alterata la destinazione ad illuminare ed arieggiare le unit immobiliari degli altri condomini; dall'altro rientra nella
funzione sussidiaria del sottosuolo del cortile il passaggio in esso di tubi e condutture.
* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 85, Cond. Stabile Palagiano via Manzoni c. Di Sarno.
q) Vanelle o cavedi

Il cavedio - talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce - un cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai
muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali
secondari (quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi), e perci sottoposto al medesimo regime giuridico del
cortile, espressamente contemplato dall'art. 1117, n. 1 c.c. tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario.
* Cass. civ., sez. II, 7 aprile 2000, n. 4350, Maga Moda srl c. Cond. Via Settembrini 36, Milano.
Le vanelle o cavedi, che consistono in un cortile di dimensioni ridotte circondato da tutti i lati, con funzione di
assicurare aria e luce ai singoli appartamenti dell'edificio, sono soggette allo stesso regime del cortile. Tali spazi,
pur potendo essere di propriet esclusiva di taluni condomini, si presumono comuni e costituiscono una
pertinenza dell'edificio condominiale.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 13 novembre 1989.
La vanella un cortile di dimensioni ridotte, circondato da tutti i lati, avente essenzialmente la funzione di
assicurare aria e luce ai singoli appartamenti dell'edificio (pozzo di luce); essa presunta comune anche nel
caso in cui sia delimitata da pi edifici contigui, anzich essere situata entro un unico edificio.
* Trib. civ. Napoli, 25 giugno 1962.
Le cosiddette vanelle, pur potendo essere di esclusiva propriet di taluni condomini, non possono essere
considerati fondi distinti dall'edificio condominiale di cui sono pertinenze.
* Trib. civ. Napoli, 17 settembre 1962.
DANNI IN CONDOMINIO
SOMMARIO: a) Allagamento di locali; b) Assicurazione del fabbricato; c) Azione risarcitoria; d) Caduta di neve
dal tetto; e) Caduta di oggetti; f) Cattivo funzionamento di impianto comune; g) Cose in custodia; h) Denuncia di
nuova opera; i) Furto; l) Getto di acqua piovana da terrazza; m) Getto pericoloso di cose; n) Indennit; o)
Infiltrazioni d'acqua; p) Libretto casa; q) Precariet fondale dell'edificio; r) Responsabilit concorrente del
condominio; s) Responsabilit dell'amministratore; t) Responsabilit del locatore; u) Responsabilit solidale; v)
Scarsa illuminazione; z) Violenza privata.
a) Allagamento di locali
In caso di allagamento di locali seminterrati a causa esclusivamente del riflusso entro la fogna privata di acque
provenienti da quella comunale, riflusso dovuto unicamente alla mancata e doverosa predisposizione dei
dispositivi antirigurgito, si deve ritenere che responsabile dei danni sia il condominio, ove lo stesso non abbia
adottato le prescritte valvole antirigurgito, e non il Comune proprietario della fognatura.
* Corte app. civ. Roma, sez. I, 15 febbraio 1988, n. 477, Comune di Roma c. Parenza, Cond. Via dei Colli
Portuensi, Di Bernardino e Soc. L'Architettonica I e II, in Arch. loc. e cond. 1989, 498.
Nel caso in cui l'attore richieda il risarcimento del danno per l'allagamento dell'abitazione da parte di acque
piovane, a seguito del loro mancato deflusso nei canali e nell'impianto fognario, imputandolo non ad una
inosservanza delle comuni norme di diligenza, bens a scelte e operazioni di manutenzioni riguardanti i canali
collettori di acque piovane ed alluvionali, la controversia, a norma dell'art. 150, lettera e), R.D.L. 11 dicembre
1933, n. 1775, devoluta alla competenza del Tribunale regionale delle acque, comportando l'esame e la
definizione di questioni attinenti ad atti materiali od a provvedimenti dell'amministrazione nell'esercizio dei poteri
di governo delle acque pubbliche.
* Cass. civ., sez. I, 23 marzo 1994, n. 2784, Consorzio di bonifica di Pisa c. Berti Lorenzi F.
b) Assicurazione del fabbricato
Con riguardo a contratto di assicurazione della responsabilit civile del proprietario di un fabbricato, la clausola
di polizza, la quale delimiti l'obbligazione dell'assicuratore in relazione al valore dell'immobile, implicando una
riduzione proporzionale dell'obbligazione medesima in caso di inferiorit di tale valore rispetto a quello effettivo
alla data dell'evento, configura legittima espressione dell'autonomia negoziale e non abbisogna di specifica
approvazione scritta, vertendosi in tema di patto inerente all'individuazione e quantificazione del rischio
assicurato.
* Cass. civ., sez. I, 8 giugno 1994, n. 5535, Condominio Ponte Italia di Parma - Viale Caprera n. 3 c. La
Fondiaria Compagnia di Assicurazioni e Riassicurazioni Spa.
La stipulazione di contratti di assicurazione del fabbricato, in quanto atto volto a conservare la cosa comune,
rientra fra i compiti propri dell'amministratore e non necessita di preventiva autorizzazione dell'assemblea.
* Trib. civ. Roma, 11 agosto 1988, Marullo c. Condominio via Nomentana 314, Roma, in Arch. loc. e cond. 1989,
532.
In tema di delibere assembleari di un condominio, non sono da considerarsi atti eccedenti l'ordinaria
amministrazione quelli relativi alla riparazione dell'impianto idrico dell'edificio, all'autorizzazione a resistere ad un
atto di citazione proposto contro il condominio ed all'aggiornamento dell'assicurazione dell'immobile, con la
conseguenza che per la validit della delibera in ordine agli atti suddetti sufficiente che, in seconda
convocazione, sia rappresentato un terzo del valore dell'immobile.
* Cass. civ., sez. II, 8 novembre 1989, n. 4691, Renza c. Cond. Via De Ce.
La spesa per l'assicurazione del fabbricato va posta a carico del locatore e del conduttore in parti uguali, cos
come quelle postali e di cancelleria.
* Trib. civ. Napoli, sez. V, 13 gennaio 1984, n. 160, Colella Legnami Spa c. Maione e altro, in Arch. loc. e cond.
1984, 474.
Nel caso in cui un condominio stipuli un contratto di assicurazione per la responsabilit civile verso terzi, il
condomino che abbia sofferto danni per infiltrazioni da tubature condominiali non legittimato ad agire in proprio
nei confronti della compagnia assicuratrice.
* Cass. civ., sez. I, 26 marzo 1996, n. 2678, Florio c. Coop. Cattolica Ass. Srl.

L'assicurazione per la responsabilit civile non pu riguardare i fatti meramente accidentali, dovuti cio a caso
fortuito o forza maggiore, dai quali non sorge responsabilit, ma importa necessariamente che il fatto dannoso,
per il quale l'assicurazione sia stipulata, debba essere colposo, coprendo, con la sola eccezione dei fatti dolosi,
ogni rischio derivante da quella responsabilit, anche se dipendenti da colpa grave o gravissima. (Nella
fattispecie, con riferimento ad una polizza assicurativa stipulata da un condomino per danni arrecati a terzi, il
tribunale ha riconosciuto l'operativit della garanzia per i danni subiti da infiltrazioni prodottesi nella tubatura
condominiale a causa della vetust ed usura degli impianti).
* Trib. civ. Nocera Inferiore, sez. II, 25 febbraio 1999, n. 35, Condominio Palazzo Guarna c. Rainone e Soc.
Polaris, in Arch. loc. e cond. 1999, 839.
c) Azione risarcitoria
Con riguardo al danno subito da cosa oggetto di compropriet, l'azione risarcitoria esperibile da ciascun
partecipante nei limiti della propria quota verso il responsabile, senza che insorga necessit di integrazione del
contraddittorio nei confronti degli altri condomini.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 14 gennaio 1987, n. 186, Com. Di Rosa c. Infante.
Con riguardo ai danni che siano derivati ad un condominio di edificio dall'imperfetta esecuzione di un appalto,
conferito con deliberazione maggioritaria dell'assemblea, il singolo condominio assente o dissenziente, oltre che
agire direttamente contro l'appaltatore, pu impugnare detta deliberazione, ai sensi e nei casi di cui all'art. 1137
cod. civ., ma non anche esperire azione risarcitoria nei confronti del condominio o degli altri condomini, non
essendo configurabile una loro responsabilit aquiliana per il solo fatto della partecipazione alla maggioranza
attraverso la quale si esprime la volont dell'ente condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1988, n. 3395, Bovenzi - Irollo c. Con. Riv. Chiaia.
Ciascun condomino pu agire a tutela del suo diritto sulla cosa comune contro il condomino che, con l'uso
pregiudizievole delle cose di sua esclusiva pertinenza, abbia determinato il deterioramento o la distruzione della
cosa stessa, senza essere tenuto a ricercare se il danno sia stato prodotto dal condomino personalmente o da
persona a lui legata da un qualsiasi rapporto, cui il condomino che agisce sia estraneo, e ferma restando la
possibilit per quest'ultimo di agire contro il terzo responsabile con l'azione ordinaria di risarcimento per fatto
illecito di cui all'art. 2043 c.c. e per il condomino giudizialmente chiamato a ripristinare la cosa danneggiata o
distrutta a seguito di lavori eseguiti nella parte dell'immobile di sua esclusiva propriet, di rivalersi nei confronti
dell'autore o degli autori materiali del danneggiamento.
* Cass. civ., 13 aprile 1991, n. 3942.
Il singolo condomino risponde verso gli altri condomini dei danni causati da guasti verificatisi nella sua propriet
esclusiva, e deve, perci, sostenere la relativa spesa, ove abbia riconosciuto la propria responsabilit o essa sia
stata accertata in sede giudiziale. Tuttavia, fino a quando l'obbligo risarcitorio del condomino non risulti in uno di
tali modi accertato, l'assemblea non pu porre a suo carico detto obbligo, n imputargli a tale titolo alcuna
spesa, non potendo l'assemblea disattendere l'ordinario criterio di ripartizione, n la tabella millesimale e
dovendo, invece, applicare la regola generale stabilita dall'art. 1123 c.c., secondo cui ogni addebito di spesa
deve essere effettuato in base alla quota di partecipazione di ciascun condomino alla propriet comune, cio in
base ai millesimi. Pertanto, in difetto di accertamento dell'obbligo risarcitorio in uno dei due modi indicati, la
suddetta spesa dev'essere dall'assemblea provvisoriamente ripartita, secondo gli ordinari criteri di ripartizione,
tra tutti i condomini, fermo restando il diritto di costoro di agire, singolarmente o per mezzo dell'amministratore,
contro il condomino ritenuto responsabile, per ottenere il rimborso di quanto anticipato. (Nella specie, in
applicazione di tali principi, la Suprema Corte ha cassato senza rinvio la sentenza di merito e, decidendo nel
merito, ha dichiarato nulla la deliberazione condominiale impugnata, la quale, senza che vi fosse stato
riconoscimento di responsabilit ed essendo riservato, quindi, al giudice il relativo accertamento, aveva attribuito
all'assemblea condominiale il potere di deliberare sulla responsabilit di un singolo condomino ed aveva
addebitato al medesimo la spesa occorsa in conseguenza del fatto dannoso imputatogli).
* Cass. civ., sez. II, 22 luglio 1999, n. 7890, Fusco c. Cond. Via Santuario Regina degli Apostoli 25.
Il principio della compensatio lucri cum damno, che ha fondamento nella norma contenuta nell'art. 1223 c.c.,
trova applicazione quando sia il danno che il vantaggio siano conseguenza immediata e diretta dello stesso
fatto, il quale abbia in s l'idoneit a produrre ambedue gli effetti. (In un'azione di responsabilit proposta dai
condomini di un edificio, nei confronti del costruttore, per gravi difetti riscontrati nello stabile stesso, la Suprema
Corte, in applicazione del principio di cui alla massima, ha escluso che potessero compensarsi i danni subiti dai
condomini stessi - infiltrazioni di acqua, muffe e condense - con il vantaggio, indiretto e riflesso, costituito
dall'isolamento esterno del fabbricato, quale unico rimedio necessario per eliminare, a spese del costruttore, i
menzionati danni).
* Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1994, n. 10218, Soc. In. Im. c. Giovannini A.
E' ammissibile l'azione proposta in sede contenziosa dal singolo condomino - soggetto attivo dell'obbligazione
risarcitoria verso il condominio per il danno cagionato dalla cosa comune alla sua propriet esclusiva - anche
quando, persistendo il processo dannoso, il condomino medesimo non abbia fatto preventivo ricorso allo
speciale procedimento previsto dall'art. 1105, quarto comma, cod. civ. per eliminare le cause della lesione
lamentata.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 14 gennaio 1987, Mottola c. Condominio di via Solimene n. 139, Napoli, in Arch. loc. e
cond. 1987, 738.
In caso di danno subito dalle cose comuni, il singolo condomino pu agire anche per l'intero, quale concreditore
solidale ex lege, fatta salva la destinazione della somma cos conseguita alla riparazione delle cose comuni, se
possibile, ovvero, in subordine, la ripartizione dell'importo tra i compartecipi, in proporzione delle rispettive quote.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 8 giugno 1992, Mantegazza c. Acquaro e Cond. di Via Don Minzoni n. 38 di Bresso,

in Arch. loc. e cond. 1993, 570.


La rinuncia al risarcimento dei danni causati ad un locale da infiltrazioni di umidit provocate dalla rottura del
pluviale di smaltimento delle acque meteoriche, per essere valida deve essere espressa all'amministratore del
condominio e non a singoli condomini.
* Pret. civ. Lecce, 23 novembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 409.
Il singolo condomino, allorch agisce per il risarcimento dei danni derivati alla sua propriet individuale per la
difettosit delle parti comuni dell'edificio, si presenta in posizione di terzo nei confronti del condominio: questi
obbligato a risarcire il danno ex art. 2051 c.c. e, qualora la situazione dannosa sia potenzialmente produttiva di
ulteriori danni, anche obbligato a rimuovere ex art. 1172 c.c. le cause del danno stesso; e ci anche quando
trattasi di vizi costruttivi dell'edificio, in relazione all'obbligo del condominio, nella sua qualit di custode e in virt
del precetto generale del neminem laedere, di rimuovere le caratteristiche dannose delle cose comuni,
ancorch, da altri create.
* Trib. civ. Roma, 13 novembre 1991, n. 14418, in Arch. loc. e cond. 1992, 132.
Agisce, non quale condomino, ma come proprietario esclusivo (e quindi come terzo rispetto al condominio) chi
chiede il risarcimento di danni alla propriet esclusiva cagionati dalla mancata manutenzione di parti comuni
dell'edificio e la delibera condominiale che respinge tale pretesa risarcitoria non impugnabile, perch non
pregiudica il diritto del condomino ad agire giudizialmente, quale terzo, nei confronti del condominio per ottenere
il risarcimento dei danni.
* Trib. civ. Parma, 9 dicembre 1991, n. 1150, in Arch. loc. e cond. 1992, 128.
d) Caduta di neve dal tetto
E' da escludersi la responsabilit del custode di un immobile per i danni causati dalla caduta di un blocco di neve
dal tetto del medesimo, quando il fatto sia da attribuirsi unicamente a forza maggiore. (Nella specie:
precipitazioni nevose di inusitata ed eccezionale intensit verificatesi nel giorno del fatto dannoso o nei giorni
immediatamente precedenti, tanto da provocare la paralisi della citt e dei mezzi pubblici di trasporto).
* Cass. civ., sez. III, 11 novembre 1987, n. 8308, Zucchini c. Calzolari.
Il condominio responsabile ed tenuto a risarcire i danni provocati a terzi da cose comuni dello stabile
condominiale. (Nella specie, il danno era stato causato da un blocco di neve e ghiaccio caduto su un autoveicolo
in sosta dal tetto dello stabile condominiale).
* Pret. civ. Milano, sez. I, 10 dicembre 1979, n. 8589, Grossi c. Condominio di Via Famagosta 24, Milano, in
Arch. loc. e cond. 1980, 277.
Sussiste la responsabilit ex art. 2051 cod. civ. a carico del condominio riguardo ai danni causati ad un
autoveicolo da un lastrone di ghiaccio caduto dal tetto dello stabile condominiale presso il quale il veicolo era
parcheggiato, semprech il condominio medesimo non provi ovvero identifichi il caso fortuito che ha reso
eccezionalmente possibile l'evento dannoso. (Nella specie il giudice ha escluso, date le circostanze in cui si
verificato l'evento, che il caso fortuito potesse essere rappresentato da una abbondante nevicata). La suddetta
responsabilit pu altres concorrere con quella del danneggiato allorch questi abbia parcheggiato il proprio
veicolo in modo imprudente, non prestando attenzione alle segnalazioni di pericolo apprestate dal condominio.
* Pret. civ. Torino, 14 gennaio 1988, Vittonatto c. Condominio di Via Migliara n. 9, Torino, in Arch. loc. e cond.
1988, 389.
Nel caso di caduta di neve dal tetto di un edificio configurabile una responsabilit civile per danni a norma
dell'art. 2051 c.c. il quale pone una presunzione legale di responsabilit per il danno cagionato da cosa in
custodia. Il titolare e/o il custode del bene-edificio si libera da tale responsabilit soltanto provando il caso
fortuito, da intendersi comprensivo anche della condotta colposa dello stesso danneggiato qualora tale condotta
abbia un rilievo causale esclusivo. Vi concorso di colpa del danneggiato, qualora la colpa di questo,
inserendosi nella serie causale produttrice del danno, risulti priva di un'autonoma efficienza causale, apparendo
prevedibile da parte del titolare o custode del bene.
* Pret. civ. L'Aquila, 14 giugno 1984, in Giust. civ. 1985, 1490.
e) Caduta di oggetti
In un edificio condominiale, a differenza del solaio divisorio di due piani, che funziona da sostegno del piano
soprastante e da copertura di quello sottostante, l'aggetto costituito da un balcone (o terrazzo) appartiene
esclusivamente al proprietario dell'unit immobiliare corrispondente, il quale, pertanto, esclusivo responsabile
del danno cagionato a terzi da un pezzo di muratura staccatosi dal balcone.
* Cass. civ., sez. III, 10 settembre 1986, n. 5541, Amoruso c. De Bellis.
La terrazza ancorch prospiciente il cortile comune dell'edificio condominiale appartiene in via esclusiva al
proprietario dell'appartamento al quale accede in qualit di pertinenza. Ne consegue che il predetto proprietario
e non il condominio obbligato al risarcimento dei danni cagionati a terzi dalla caduta di materiali distaccatisi
dalla terrazza anzidetta.
* Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1992, n. 12317, Graziani c. Cecchi.
Non sussiste l'infrazione prevista dall'art. 30, primo comma, c.s., secondo il quale i fabbricati ed i muri
fronteggianti le strade devono essere conservati in modo di non compromettere l'incolumit pubblica, nel caso in
cui la caduta di lastroni di pietra cementati alla facciata di un edificio condominiale, avvenuta nonostante fossero
stati compiuti i normali controlli, sia da attribuire ad eventi accidentali ed episodici.
* Pret. civ. Piacenza, 29 ottobre 1997, n. 437, Carini c. Comune di Piacenza e Prefetto di Piacenza, in Arch. loc.
e cond. 1998, 252.
Il mandatario a vendere un autoveicolo che, in sosta, abbia subito danni per la caduta di calcinacci da un
edificio, legittimato a chiederne il risarcimento ancorch non ne sia il proprietario, purch dimostri che il
dovere di custodia della cosa altrui ha avuto un'incidenza negativa sulla sua sfera patrimoniale per colpa di un
terzo.

* Pret. civ. Chieti, 22 maggio 1996, n. 46, Zappacosta c. Assitalia, in Arch. loc. e cond. 1997, 866.
In caso di danni prodotti dalla caduta nel cortile sottostante di un ombrellone con il proprio basamento posto sul
terrazzo di un condominio, deve dichiararsi l'esistenza del caso fortuito qualora i convenuti abbiano provato di
aver adottato tutte le misure indispensabili per evitare l'evento, verificatosi a causa di un eccezionale ed
imprevedibile fortunale abbattutosi sulla zona.
* Trib. civ. Milano, 12 dicembre 1991, inedita.
f) Cattivo funzionamento di impianto comune
La domanda del condomino di risarcimento dei danni per il cattivo funzionamento di un impianto comune (nella
specie: condotta delle acque luride), derivando dal pregiudizio effettivamente subito per il fatto del terzo (il
condominio rispetto ad esso condomino) e tendendo alla ricostituzione dell'integrit patrimoniale del detto
soggetto leso dal difetto del bene comune, non postula, per la sua procedibilit, la previa richiesta
all'amministratore, n la necessit di istanza o convocazione dell'assemblea condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 19 giugno 1984, n. 3629, Ciaccia c. Migliore.
g) Cose in custodia
Riguardo ai danni che una porzione di propriet esclusiva in edificio condominiale subisca per vizi delle parti
comuni, imputabili all'originario costruttore-venditore, deve riconoscersi al titolare di detta porzione la possibilit
di esperire azione risarcitoria contro il condominio, non in forza dell'art. 1669 c.c., dato che il condominio quale
successore a titolo particolare di detto costruttore non subentra nella responsabilit posta a suo carico da detta
norma, ma in base all'art. 2051 in relazione alla ricollegabilit di quei danni all'inosservanza da parte del
condominio medesimo dell'obbligo di provvedere quale custode ad eliminare le caratteristiche dannose della
cosa.
* Cass. civ., sez. II, 21 giugno 1993, n. 6856, Greco c. Ponte e altri.
Nell'espletamento delle attribuzioni di cui all'art. 1131 cod. civ. l'amministratore un rappresentante dei
partecipanti al condominio, alla tutela dei cui interessi di gruppo egli deve indirizzare la propria attivit. La
violazione di tale dovere, se lo rende responsabile dei danni subiti dal gruppo dei condomini, si esaurisce nei
rapporti interni con il condominio, e, pertanto, non esclude o diminuisce l'eventuale responsabilit del
condominio medesimo nei confronti di altri soggetti, compreso tra questi il singolo condomino, distinto dal
gruppo e come tale rimasto danneggiato per la difettosit di parti comuni dell'edificio, da considerarsi nella
custodia del condominio agli effetti dell'art. 2051 cod. civ.
* Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 1981, n. 859, Lonza c. Marletta.
In caso di danni provocati a terzi a causa di difetti strutturali dell'edificio o di carenze di elementi accessori in
esso stabilmente incorporati dal proprietario, la responsabilit di questi non viene meno per effetto della
locazione ad altri dell'edificio con i suoi accessori, poich il contratto di locazione non esclude la responsabilit
ex art. 2053 cod. civ. ed il dovere di vigilanza sull'efficienza dell'edificio e dei suoi impianti ex art. 2051 cod. civ.
* Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1989, n. 4155, Albenzio c. Banco Napoli.
La responsabilit del custode, ai sensi dell'art. 2051 c.c., esclusa dall'accertamento positivo che il danno
stato causato dal fatto del terzo, il quale ha avuto efficacia causale esclusiva nella produzione del danno. (Nella
specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito, la quale aveva escluso la responsabilit del condominio per
i danni causati da un rigurgito della conduttura condominiale di abduzione delle acque, occlusa da oggetti ivi
scaricati da un condomino).
* Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 1998, n. 10556, Musso ed altro c. Cond. via Cassini, 95.
La norma di cui all'art. 2051 c.c. (danno cagionato da cose in custodia) si applica anche in materia di
condominio, in quanto il singolo partecipante si pone come terzo nei confronti del gruppo della collettivit
condominiale, che tenuto alla custodia e alla manutenzione delle parti e degli impianti comuni dell'edificio; di
conseguenza il singolo pu agire contro il gruppo per il cattivo funzionamento di un impianto comune o per i
difetti di parti comuni dell'edificio (fattispecie in tema di danni causati da periodici allagamenti).
* Trib. civ. Milano, 4 luglio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 586. Nello stesso senso, v. Trib. civ. Milano, 27
maggio 1993, ivi 1994, 613.
Il condominio obbligato a risarcire i danni causati dalla cattiva custodia di una parte comune dell'edificio (nella
specie: frattura tibiotarsica causata da una caduta provocata da un pezzo di moquette collocato nell'andito con
la parte pelosa rivolta verso il suolo e quella gommosa verso l'alto).
* Trib. civ. Milano, 21 marzo 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 594.
Il condominio, essendo responsabile delle eventuali conseguenze dannose derivanti dalla cattiva custodia di un
manufatto comune, obbligato a risarcire i danni (nella specie: ferita all'avambraccio di un minore) causati da un
riquadro rotto da tempo di una porta a vetri dell'edificio condominiale.
* Trib. civ. Milano, 14 febbraio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 594.
La responsabilit per danno cagionato da cose in custodia (nella specie, da un cancello azionato elettricamente
mediante l'uso di un apposito pulsante) postula che l'evento lesivo derivi da mancata o inadeguata custodia della
cosa - da intendersi nel senso ampio, comprensivo di inidoneo governo o impiego di essa da parte di chi ne ha
l'obbligo e senza che rilevi che la cosa stessa sia o non munita di autonoma capacit di nuocere - e si distingue,
pertanto, da quella connessa all'esercizio di attivit pericolose, la quale postula una successione continua e
ripetuta di atti che si svolge nel tempo e che rivela una notevole potenzialit di danno, superiore al normale ed
apprezzabile in un momento anteriore all'evento dannoso, cos da consentire all'operatore la predisposizione di
adeguate misure di prevenzione e da costituire il parametro di commisurazione della diligenza dovuta, la cui
mancanza integra la colpa presunta dall'art. 2050, anche qualora tali atti si coordinino non gi, come di norma,
all'esercizio di una impresa, bens semplicemente ad un fine tipico oggettivamente pericoloso.
* Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 1983, n. 1425, Soc. Peugeot c. Vescia.
Con riguardo ai danni derivanti dal crollo di un solaio divisorio fra due appartamenti, l'applicabilit degli artt. 2051

e 2053 cod. civ., con conseguente presunzione di corresponsabilit sia del proprietario dell'immobile sovrastante
sia di quello dell'immobile sottostante, non introduce deroghe ai principi generali in tema di nesso di causalit e
di concorso di cause, sicch la responsabilit dell'uno deve essere esclusa quando egli fornisca la prova che il
danno sia stato determinato, con autonoma efficienza causale, dal fatto imputabile all'altro (nella specie, il
proprietario dell'appartamento sovrastante, essendo il solaio caduto per infiltrazioni di acqua provenienti dagli
scarichi del suo immobile).
* Cass. civ., sez. II, 30 marzo 1985, n. 2234, Cardillo c. Anglesio.
Il singolo condomino, allorch agisce per il risarcimento dei danni derivanti alla sua propriet individuale per la
difettosit delle parti comuni dell'edificio, si presenta in posizione di terzo nei confronti del condominio: questi
obbligato a risarcire il danno ex art. 2051 c.c. e, qualora la situazione dannosa sia potenzialmente produttiva di
ulteriori danni, anche obbligato a rimuovere ex art. 1172 c.c. le cause del danno stesso; e ci anche quando
trattasi di visi costruttivi dell'edificio, in relazione all'obbligo del condominio, nella sua qualit di custode e in virt
del precetto generale del neminem laedere, di rimuovere le caratteristiche dannose delle cose comuni,
ancorch da altri create.
* Trib. civ. Roma, 13 novembre 1991, n. 14418, in Arch. loc. e cond. 1992, 132.
Nel caso di appalto del servizio di manutenzione, continuativa o periodica, di cose, macchinari o impianti, non si
verifica il passaggio dei poteri di custodia e degli oneri di vigilanza - e della connessa responsabilit presunta ex
art. 2051 c.c. - a carico dell'appaltatore: quando il bene resti in potere del committente, pertanto, nel caso di
manutenzione dell'impianto di ascensore da parte di un'impresa specializzata, poich l'impianto continua a
restare nella sfera di disponibilit dei proprietari dell'edificio, i quali ne conservano, con carattere di continuit,
l'uso e il godimento, ad essi incombono, conseguentemente, gli oneri di custodia e di vigilanza con l'inerente
responsabilit presunta.
* Cass. civ., 21 luglio 1979, n. 4385.
L'obbligo di custodia e la relativa responsabilit verso i terzi danneggiati, ai sensi dell'art. 2051 cod. civ., non
vengono meno per il proprietario dell'immobile concesso in locazione, essendo la temporanea sottrazione della
cosa alla sua disponibilit compatibile con l'obbligo, su di lui gravante, di effettuarvi visite periodiche e di
eseguire gli opportuni interventi; conseguentemente egli non resta dispensato dall'obbligo di vigilanza e di
custodia, connesso con quello di manutenzione e riparazione dell'immobile locato, in relazione agli analoghi
poteri che spettano al conduttore, sicch le loro responsabilit verso i terzi - per un evento riconducibile al
mancato esercizio di quei poteri nell'ambito delle rispettive sfere di azione - sono concorrenti, salva la facolt di
rivalsa del locatore nei confronti del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 1985, n. 1589, Spagnoletto c. Angiolini.
Il condominio responsabile ex art. 2051 c.c. dei danni cagionati dalla fuoriuscita delle acque fognarie dalle
relative tubazioni a seguito dell'occlusione delle stesse. (Nella fattispecie, la recente pulizia delle fosse settiche
non stata considerata - in assenza della prova positiva del fortuito - quale elemento sufficiente ad escludere la
responsabilit del condominio).
* Corte app. civ. Milano, sez. II, 3 giugno 1997, n. 1773, Condominio San Pietro c. Brusaferri e Soc. Maeci
Ass.ni, in Arch. loc. e cond. 1997, 1029.
Malgrado il contratto di locazione comporti il trasferimento al conduttore dell'uso e del godimento sia della
singola unit immobiliare sia dei servizi accessori e delle parti comuni dell'edificio, una siffatta detenzione non
esclude i poteri di controllo, di vigilanza e, in genere, di custodia spettanti al proprietario-locatore, il quale
conserva un effettivo potere fisico sull'entit immobiliare locata - ancorch in un ambito in parte diverso da
quello in cui si esplica il potere di custodia del conduttore - con conseguente obbligo di vigilanza sullo stato di
conservazione delle strutture edilizie e sull'efficienza degli impianti. Gravano, pertanto, sui condomini le
responsabilit per danni subiti da terzi (nel novero dei quali vanno ricompresi anche i conduttori di appartamenti
siti nell'edificio) in conseguenza di omissioni addebitabili all'amministratore del condominio ovvero di inerzia da
parte dell'assemblea condominiale nell'adottare gli opportuni provvedimenti atti ad eliminare una situazione di
pericolo (nella specie, anomalo funzionamento del congegno meccanico di chiusura del cancello).
* Cass. civ., sez. III, 5 dicembre 1981, n. 6467, Cond. V. Sessant. c. Palmieri.
Per ottenere il risarcimento del danno cagionato da cosa in custodia, il danneggiato deve provare: a) che il
danno si verificato per lo sviluppo di un agente insito nella cosa; b) che il preteso danneggiante potesse
effettivamente esercitare un potere di vigilanza e custodia sulla medesima. Per esimersi dalla dichiarazione di
responsabilit il danneggiante deve provare che il danno derivato da caso fortuito, comprensivo del fatto del
terzo o della colpa del danneggiato.
* Cass. civ., sez. III, 6 maggio 1977, n. 1747.
Accertato che la fatiscenza del soffitto di un balcone dovuta a difetto di manutenzione dello sgocciolatoio
destinato allo smaltimento delle acque provenienti dal piano di calpestio del balcone sovrastante, il proprietario
di questo tenuto, ex art. 2051 c.c. al risarcimento, anche in forma specifica, dei danni causati alla contigua
propriet dal proprio fatto doloso o colposo, e non vengono in rilievo norme riguardanti la disciplina del
condominio.
* Cass. civ., sez. II, 23 maggio 1981, n. 3399, Onofri c. Battista.
h) Denuncia di nuova opera
Nel giudizio promosso da alcuni condomini contro altro condomino per ottenere, a seguito di denuncia di nuova
opera, la sospensione dei lavori ed il ripristino della precedente situazione, l'intervento di altro condomino
proprietario di appartamento direttamente interessato dall'opera, il quale, deducendo l'illegittimit della
costruzione ed aderendo alle ragioni degli altri condomini contro lo stesso convenuto, introduce nel processo
domande dipendenti dal proprio specifico titolo, integra un intervento adesivo autonomo. Detto interventore pu

proporre domande nuove, non essendo la sua attivit processuale legata a quella della parte che ha iniziato il
giudizio, stante l'autonomia del diritto fatto valere nei confronti dell'altra parte convenuta.
* Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1996, n. 4505, Pucci c. Grandoni.
i) Furto
Con riguardo al danno derivante dal furto consumato da persona introdottasi in un appartamento servendosi
delle impalcature installate per lavori di riattazione dello stabile condominiale configurabile ai sensi dell'art.
2043 c.c. la responsabilit dell'imprenditore che si sia avvalso di tali impalcature per l'espletamento dei lavori,
ove siano state trascurate le ordinarie norme di diligenza e non siano state adottate le cautele idonee ad
impedire un uso anomalo delle suddette impalcature; altres configurabile la responsabilit del condominio ex
art. 2051 c.c., atteso l'obbligo di vigilanza e custodia gravante sul soggetto che ha disposto il mantenimento
della struttura.
* Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 1997, n. 9707, Mecheri c. Cond. Via Villa Massimo n. 33 Roma.
Il furto aggravato dall'introduzione in edificio abitativo condominiale, attraverso parti comuni o pertinenze di esso,
reato complesso, unificandosi in esso, quale circostanza aggravante, la violazione di domicilio consumata
anche nei confronti dei condomini, poich questa costituisce reato-mezzo, legato da nesso di strumentalit a
quello di furto, preminente, del quale integra la circostanza. In tal caso l'amministrazione condominiale, come il
singolo condomino, riceve indiretta tutela penale e, in quanto soggetto danneggiato dal reato, complessivamente
considerato, pu costituirsi parte civile per il risarcimento del danno patito.
* Cass. pen., sez. II, 28 luglio 1987, n. 8790 (ud. 15 maggio 1987), Noris.
In caso di reati in danno del condominio (nella fattispecie, sottrazione di cose comuni in relazione
all'appropriazione di energia elettrica condominiale da parte di un condomino), in assenza di una unanime
manifestazione di volont dei condomini a che si proceda penalmente in ordine al fatto contestato all'imputato e
di un corrispondente unanime specifico incarico conferito all'amministratore, deve escludersi la legittimazione del
rappresentante del condominio alla presentazione della querela.
* Cass. pen., sez. II, 5 gennaio 2001, n. 3031 (ud. 29 novembre 2000), Panichella.
E' ravvisabile la responsabilit colposa del condominio, in concorso con l'impresa appaltatrice, per i furti subiti da
terzi in abitazioni vicine, qualora siano montate impalcature adiacenti ai relativi balconi prive di accorgimenti
tecnici di protezione idonei ad impedire l'agevole accesso e intrusione da parte di estranei.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 16 maggio 1997, n. 1548, Condominio di via Costanza n. 2 in Milano c. Arosio e
De Pascale, in Arch. loc. e cond. 1997, 1030.
l) Getto di acqua piovana da terrazza
Lo spazzare acqua piovana da una terrazza sporcando i panni ed i vetri della sottostante abitazione non integra
l'ipotesi prefigurata dall'art. 674 cod. pen. che punisce solamente chiunque getta o versa in un luogo di pubblico
transito o in un luogo privato, ma di comune o di altrui uso, cose atte ad imbrattare persone.
* Pret. pen. Foligno, 16 novembre 1984, Cavallone ed altro, in Riv. pen. 1985, 712.
m) Getto pericoloso di cose
Nell'ipotesi di emissione di gas, di vapori o fumi, punita ai sensi dell'art. 674 c.p. si configura un reato di mero
pericolo, per cui non necessario che l'emissione stessa provochi un effettivo nocumento, essendo invece
sufficiente l'attitudine del gas, del vapore o del fumo, emesso ad offendere, imbrattare, molestare le persone.
* Cass. pen., sez. VI, 11 aprile 1990, n. 5312 (ud. 4 luglio 1989), Toffarin.
La contravvenzione di cui all'art. 674 cod. pen., nelle ipotesi di emissione moleste di gas, di vapori o di fumo,
un reato non necessariamente ma solo eventualmente permanente, in dipendenza cio della durata, istantanea
o continuativa, della condotta che provoca le emissioni stesse.
* Cass. pen., sez. I, 25 febbraio 1989, n. 3162 (ud. 10 novembre 1988), Mazzoni.
In tema di getto pericoloso di cose con il termine molestia alla persona deve intendersi ogni fatto idoneo a recare
disagio, fastidio o disturbo ovvero a turbare il modo di vivere quotidiano.
* Cass. pen., sez. I, 4 novembre 1986, n. 12261 (ud. 4 luglio 1986), Sdi Leo.
Con riferimento alla contravvenzione di getto pericoloso di cose, previsto dall'art. 674 c.p., il versamento
concerne materie liquide e pu avvenire per mano dell'agente o in qualsiasi altro modo da lui posto in essere o
lasciato dolosamente o colposamente in azione, e va posto in relazione con l'effetto possibile di offendere,
imbrattare o molestare le persone, anche se questo effetto non si sia verificato. (Nella fattispecie, la Suprema
Corte ha ritenuto che integrasse la contravvenzione di cui all'art. 674 c.p. il getto di acqua con una pompa
all'interno dell'abitazione altrui).
* Cass. pen., sez. I, 24 luglio 1992, n. 8386 (ud. 2 luglio 1992), Mauro.
Il contenuto della norma di cui all'art. 674 c.p. comprende due ipotesi di reato, entrambe di pericolo, la seconda
delle quali descrive una fattispecie causalmente orientata in cui la condotta - indifferentemente attiva od
omissiva - conduce a provocare, nei casi non consentiti dalla legge, emissioni di gas, di vapore o di fumo, atti a
cagionare offesa od imbrattamento ovvero molestia alla persona. Per la sussistenza del reato , quindi
sufficiente l'idoneit del fatto alla produzione degli effetti previsti dalla norma; poich, per, si richiede che tali
effetti siano cagionati nei casi non consentiti dalla legge, il parametro di legalit deve dedursi unicamente dalle
disposizioni di cui all'art. 844 c.c. (Fattispecie in cui la Corte ha annullato la decisione di condanna, per essere
assente in essa qualsivoglia indicazione delle ragioni del superamento della soglia di legalit fissata dalla detta
disposizione civilistica).
* Cass. pen., sez. I, 26 gennaio 1994, n. 781 (ud. 17 novembre 1993), Scionti, in Arch. loc. e cond. 1995, 124.
La seconda ipotesi prevista dall'art. 674 c.p., "chiunque... provoca emissioni... di fumo... atte a molestare le
persone nei casi non consentiti dalla legge", richiama espressamente i limiti legali posti dalla legge civile a tutela
del diritto della propriet fondiaria (e di godimento anche a titolo personale della stessa), in tema di immissioni
oltre il limite della propriet. Pertanto, si deve fare riferimento in generale a tutte le immissioni dannose per il

vicino sanzionate dall'art. 844 c.c. ove si riscontri il superamento del minimo di tollerabilit. (Nella specie, relativa
a rigetto di ricorso di imputato il quale aveva dedotto che l'accensione di un caminetto domestico non era
certamente un caso vietato dalla legge stato ritenuto che non la mera accensione di un caminetto, ma le
emissioni di fumo cagionate da quella accensione nella unit abitativa dell'imputato e la loro immissione in quella
della persona offesa avesse superato la soglia della normale tollerabilit).
* Cass. pen., sez. I, 26 febbraio 1994, n. 2544 (ud. 4 ottobre 1993), Uzzi, in Arch. loc. e cond. 1995, 124.
Pur non essendovi l'obbligo (giuridico e penalmente sanzionato) di tenere pulita la propria abitazione, tuttavia
l'art. 674 c.p. vieta di tenerla talmente sporca da arrecare molestia o disturbo, mediante esalazioni maleodoranti,
alle persone che si trovano nelle vicinanze dell'abitazione medesima. (Nella specie la S.C. ha osservato,
replicando alla censura del ricorrente secondo cui non sussiste alcun obbligo giuridico di tenere pulita la propria
abitazione, che all'imputato non si rimprovera di avere trascurato la pulizia della propria abitazione, bens di
avere provocato emissioni di esalazioni moleste per le persone, tenendo numerosi cani in un terreno comune
adiacente alla propria abitazione ed a quella delle parti lese e che certamente, se si fosse attivato per eliminare
tali inconvenienti, avrebbe evitato che la sua condotta (di tenere numerosi cani) integrasse gli estremi del reato
previsto dall'art. 674 c.p.). * Cass. pen., sez. I, 15 novembre 1993, n. 10336 (ud. 28 settembre 1993), Grandoni,
in Arch. loc. e cond. 1995, 124.
In tema di getto pericoloso di cose, la sussistenza di una regolare autorizzazione amministrativa all'esercizio di
una attivit non esclude di per s la configurabilit della contravvenzione di cui all'art. 674 c.p., ove da tale
esercizio derivi l'emissione di gas, vapori, fumi atti ad offendere, molestare o imbrattare i vicini, dovendosi tale
autorizzazione intendere comunque condizionata ad un esercizio che non superi i limiti della tollerabilit
normale, e quindi previa adozione delle misure necessarie ad evitare il superamento di tali limiti o di quelli
imposti da specifiche normative, correlate alle peculiarit delle attivit lavorative da cui conseguono le emissioni.
Per ritenere la sussistenza del reato pertanto necessario accertare il superamento di tali limiti.
* Cass. pen., sez. I, 18 marzo 1992, n. 3204 (ud. 12 febbraio 1992), Mellino.
Per la sussistenza della contravvenzione di getto pericoloso di cose non si richiede un effettivo nocumento alle
persone in dipendenza del getto stesso, essendo sufficiente l'attitudine della cosa gettata a cagionare effetti
dannosi.
* Cass. pen., sez. V, 13 aprile 1988, n. 4537 (ud. 27 gennaio 1988), Freistener.
In tema di getto pericoloso di cose, la sussistenza di una regolare autorizzazione amministrativa all'esercizio di
una attivit non esclude di per s la configurabilit della contravvenzione di cui all'art. 674 c.p., ove da tale
esercizio derivi l'emissione di gas, vapori, fumi atti ad offendere, molestare o imbrattare i vicini, dovendosi tale
autorizzazione intendere comunque condizionata ad un esercizio che non superi i limiti della tollerabilit
normale, e quindi previa adozione delle misure necessarie ad evitare il superamento di tali limiti o di quelli
imposti da specifiche normative, correlate alla peculiarit delle attivit lavorative da cui conseguono le emissioni.
Per ritenere la sussistenza del reato pertanto necessario accertare il superamento di tali limiti. (Fattispecie in
tema di emissioni di vapori da canna fumaria).
* Cass. pen., sez. I, 18 marzo 1992, n. 3204, Mellino.
n) Indennit
Nel caso in cui a causa di lavori di ripristino di una facciata condominiale venga collocato per alcuni mesi un
ponteggio che impedisca la sistemazione dei tavolini esterni di un esercizio commerciale (nella specie: un bar)
con un danno per la perdita della clientela e dell'avviamento commerciale, oltre all'inutile spesa dell'indennit di
occupazione di area pubblica per quel periodo di tempo, ricorrono le condizioni per l'applicazione della norma di
cui all'art. 843 c.c., che riconosce il diritto ad un indennizzo in caso di occupazione del fondo per la esecuzione
di opere, anche se compiute nell'interesse comune allo stesso proprietario del fondo.
* Trib. civ. Milano 20 febbraio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, n. 3.
Il condominio ha il diritto di eseguire, in forza di propri legittimi deliberati, lavori di interesse comune, pur se
comportanti il passaggio o la temporanea occupazione di beni di propriet esclusiva di singolo condomino (nella
specie una terrazza). Ne consegue che l'incomodo derivante a quest'ultimo dai lavori condominiali, in quanto
diretta conseguenza dell'esercizio di un diritto, non configura gli estremi di un danno giuridicamente rilevante, e
quindi risarcibile, bens comporta solo un pregiudizio con rilevanza economica. E tale pregiudizio, in mancanza
di espressa previsione di legge, la cui necessit discende dalla dedotta inapplicabilit degli artt. 2043 e seguenti,
c.c., non indennizzabile.
* Trib. civ. Napoli, 16 febbraio 1994, in Arch. loc. e cond. 1994, 342.
o) Infiltrazioni d'acqua
L'amministratore del condominio passivamente legittimato rispetto all'azione per responsabilit extra
contrattuale, promossa dal conduttore di locali inseriti nell'edificio condominiale, per danni sofferti a causa di
infiltrazioni di acqua piovana da parti comuni dell'edificio stesso (esempio il tetto, i lastrici solari, le fognature)
salva, nel merito, l'efficacia liberatoria della prova, a carico del condominio, che l'effettiva disponibilit e, quindi,
l'obbligo di manutenzione di quelle parti comuni competevano ad un singolo condomino o ad altro soggetto, in
forza di diverso rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 7 maggio 1981, n. 2998, Monti c. Cond. V. Milano.
Il singolo condomino pu agire a norma dell'art. 2051 cod. civ. nei confronti del condominio per il risarcimento
dei danni sofferti per il cattivo funzionamento di un impianto comune o per la difettosit di parti comuni
dell'edificio - dalle quali provengono infiltrazioni d'acqua pregiudizievoli per gli ambienti di sua propriet esclusiva
- ponendosi quale terzo nei confronti del condominio stesso, tenuto alla custodia ed alla manutenzione delle
parti e degli impianti comuni dell'edificio.
* Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 1987, n. 1500, Condom. Mottol. c. Latorrata.
In tema di condominio di edifici, qualora il proprietario esclusivo di una terrazza a livello sia responsabile dei

danni da infiltrazioni d'acqua e tale responsabilit abbia natura extracontrattuale ex art. 2051 c.c., le
conseguenze del fatto illecito, anche con riferimento al concorso di colpa del (condomino) danneggiato,
proprietario del sottostante terrazzo trasformato in veranda, devono essere regolate esclusivamente dalle norme
poste dagli artt. 2051 e 2056 c.c., con riferimento all'art. 1227 c.c., che disciplinano la responsabilit aquiliana e
non gi secondo le norme relative alla ripartizione tra condomini delle spese di riparazione o ricostruzione di
parti comuni.
* Cass. civ., sez. II, 7 giugno 2000, n. 7727, Marotti Bartoli c. Cao di San Marco Efisio.
Nel caso in cui un cortile a livello del piano stradale, che sia in uso esclusivo al condominio, funga da copertura
ad un locale cantinato di propriet di un terzo, ove dalla cattiva manutenzione del cortile siano derivate
infiltrazioni d'acqua nel sottostante locale, l'obbligazione risarcitoria del condominio trova la sua fonte, non gi
nelle norme in materia di ripartizione degli oneri condominiali di cui agli artt. 1123, 1125 e 1126 c.c., bens nel
disposto dell'art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini dell'accertamento della responsabilit, sufficiente
che il danneggiato fornisca la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso (che risulti
riconducibile ad una anomalia, originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa stessa),
nonch dell'esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di
vigilare onde evitare che produca danni a terzi.
* Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1995, n. 2861, Condominio di via Masaniello 3 in Catania c. Castagnola e Bianco,
in Arch. loc. e cond. 1996, 540.
Nel caso in cui il cortile di un condominio funge da copertura di un locale interrato di un terzo, se la cattiva
manutenzione del cortile provoca infiltrazioni d'acqua nel sottostante locale, l'obbligazione risarcitoria del
condominio trova la sua fonte non gi nelle norme di cui agli artt. 1123, 1125 e 1126 c.c., bens nel disposto
dell'art. 2051 c.c., con la conseguenza che, ai fini dell'accertamento della responsabilit, sufficiente che il
danneggiato fornisca la prova di una relazione tra la cosa in custodia e l'evento dannoso (che risulti riconducibile
ad una anomalia, originaria o sopravvenuta nella struttura e nel funzionamento della cosa stessa), nonch
dell'esistenza di un effettivo potere fisico su di essa da parte del custode, sul quale incombe il dovere di vigiliare
onde evitare che produca danni a terzi.
* Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 1999, n. 1477, Cond. via Carlo Poma c. Cond. Garage di via Andreoli.
La tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. deve ammettersi anche con riguardo al pregiudizio patrimoniale sofferto dal
titolare di diritti di credito, non trovando ostacolo nel carattere relativo di questi ultimi in considerazione della
nozione ampia ormai generalmente accolta di danno ingiusto come comprensivo di qualsiasi lesione
dell'interesse che sta alla base di un diritto, in tutta la sua estensione. Trova, in tal modo, protezione non solo
l'interesse rivolto a soddisfare il diritto (che, nel caso di diritti di credito, attivabile direttamente nei confronti del
debitore della prestazione oggetto del diritto), ma altres l'interesse alla realizzazione di tutte le condizioni
necessarie perch il soddisfacimento del diritto sia possibile, interesse tutelabile nei confronti di chiunque
illecitamente impedisca tale realizzazione. In siffatta prospettiva trova fondamento la tutela aquiliana del diritto di
credito. L'area di applicazione della responsabilit extracontrattuale per la lesione del diritto di credito, va
peraltro, circoscritta ai danni che hanno direttamente inciso sull'interesse oggetto del diritto. (In applicazione di
tali principi, la S.C., nella specie, ha riconosciuto in capo alla ricorrente, titolare di un'azienda commerciale, e
conduttrice dell'immobile in cui si svolgeva la relativa attivit, che aveva richiesto la condanna dei proprietari
delle terrazze sovrastanti il negozio al risarcimento dei danni subiti a seguito di infiltrazioni di acqua, l'interesse
al ripristino del godimento dell'immobile, con il limite della risarcibilit del solo danno per il mancato uso per il
quale la locazione era stata stipulata, con esclusione dei danni derivanti da un eventuale deprezzamento
dell'immobile, che riguardavano direttamente il proprietario).
* Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1998, n. 7337, Pardo c. Franceschelli, in Arch. loc. e cond. 1998, 672.
Il condominio, che ha in custodia i beni comuni, tenuto a mantenerli e conservarli in modo tale da evitare
eventi dannosi, per cui responsabile del danno causato da infiltrazioni d'acqua attribuibili a mancata
manutenzione o ristrutturazione delle condutture sicuramente comuni del condominio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 16 gennaio 1989, n. 241, in Arch. loc. e cond. 1991, 342.
In ipotesi di danni cagionati da una parte comune alla propriet esclusiva di un condomino (nella specie:
infiltrazioni di acqua provenienti da un muro perimetrale dell'edificio), l'azione risarcitoria di quest'ultimo nei
confronti del condominio non postula per la sua ammissibilit, ancorch il processo dannoso sia ancora in atto,
il previo esperimento della procedura prevista dall'art. 1105, quarto comma, c.c. per l'eliminazione della causa
dei danni, rilevando la relativa omissione, quale inerzia imputabile anche a detto condominio, solo in sede di
liquidazione de danni stessi agli effetti e nei limiti di cui all'art. 2056, in relazione all'art. 1227 c.c.
* Trib. civ. Napoli, 14 gennaio 1987, in Rass. equo can. 1988, 91.
Sussiste la responsabilit decennale dell'appaltatore nel caso in cui in un edificio condominiale si manifestino
infiltrazioni d'acqua nei muri e il dissesto dell'impianto di depurazione, posto che tra i gravi difetti - che
consentono di far valere tale responsabilit - sono comprese non solo le deficienze costruttive vere e proprie
(quelle cio che si risolvono nella realizzazione dell'opera con materiali inidonei o non a regola d'arte) e le
carenze riconducibili ad erronee previsioni progettuali, ma anche quei vizi che, pur non incidendo sulla statica o
sulla struttura dell'immobile, pregiudicano in modo grave la funzione cui destinato e ne limitano in modo
notevole le possibilit di godimento.
* Trib. civ. Piacenza, 10 luglio 1996, n. 412, in Arch. loc. e cond. 1996, n. 5.
Poich il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del
fabbricato anche se appartiene in propriet superficiaria o se attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso
con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati

all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di
manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni
stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due
terzi, ed il titolare della propriet superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre utilit, nella misura del
terzo residuo.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 29 aprile 1997, n. 3672, Norsa c. Condominio di Via Borgognone n. 31 in Milano, in
Arch. loc. e cond. 1997, 395.
Il danno temuto dal condomino dalla infiltrazione di acqua nell'appartamento di propriet esclusiva, proveniente
dal sovrastante terrazzo comune, consente il ricorso al pretore, competente per materia, ai sensi dell'art. 688,
primo comma, c.p.c., nei confronti della gestione condominiale, quale custode dei beni comuni.
* Trib. civ. Nocera Inf., 6 febbraio 1995, in Rass. loc. cond. 1995, 289.
Nel caso di danni da infiltrazioni di acque provenienti dal piano superiore il proprietario di questo responsabile
nei confronti del danneggiato, anche se trattasi di casa locata, salvo rivalsa nei confronti del conduttore.
* Pret. civ. Catania, sez. I, 12 dicembre 1994, Lauria c. Valenza e Soc. Centruffici, in Arch. loc. e cond. 1995,
169.
Ai fini della determinazione del valore della causa le richieste di condanna ad un facere ed al risarcimento del
danno si cumulano e se non sono precisate nel loro ammontare si intendono entrambe proposte per il limite
massimo del giudice adito. Le eventuali modifiche o precisazioni nel corso del giudizio non rilevano ai fini della
determinazione del valore, desumibile soltanto dalla domanda iniziale. (Fattispecie in tema di richiesta, da parte
di un condomino, del risarcimento dei danni cagionati al proprio immobile da infiltrazioni d'acqua, e di
eliminazione delle cause delle infiltrazioni medesime).
* Pret. civ. Catania, 27 gennaio 1998, Landro c. Condominio di via Aprile n. 102 in Catania, in Arch. loc. e cond.
1998, 247.
La ditta appaltatrice dei lavori di rifacimento del tetto condominiale responsabile, in qualit di custode, del
danno provocato ad un condomino da infiltrazioni d'acqua cagionate dalla mancata predisposizione - da parte
della ditta in questione - degli accorgimenti necessari per evitare danni da allagamento.
* Trib. civ. Piacenza, 10 giugno 1997, n. 147, Girometta c. Condominio Daniela di Via Talamoni in Piacenza, in
Arch. loc. e cond. 1998, 96.
Il giudice ordinario competente a condannare la P.A. al risarcimento dei danni cagionati ad un condominio da
infiltrazioni d'acqua provenienti da una strada pubblica (nella specie, priva di marciapiede e in cattivo stato di
manutenzione), ma non pu condannare la stessa all'eliminazione delle cause del fenomeno dannoso, ossia ad
un facere che finisca per tradursi in un atto di ingerenza dell'esercizio discrezionale dell'attivit pubblica.
* Corte app. civ. Roma, 15 gennaio 1997, n. 85, Comune di Roma c. Condominio di Via Boccea n. 192 in Roma,
in Arch. loc. e cond. 1998, 82.
Dei danni da infiltrazione di umidit subiti dal soffitto di un balcone (anche se trasformato in veranda) risponde il
proprietario del balcone sovrastante dalla cui pavimentazione imperfetta penetra l'acqua che determina l'umidit
stessa.
* Pret. civ. Taranto, 29 aprile 1994, n. 264, Masiello c. Millarte, in Arch. loc. e cond. 1995, 183.
Posto che l'art. 844 c.c. contiene un elenco esemplificativo e non tassativo delle immissioni suscettibili di divieto,
l'azienda cessionaria degli impianti di funzionamento di un acquedotto pu, con azione di manutenzione ex art.
1170 c.c., chiedere la interruzione di infiltrazioni in una sorgente di acqua in suo possesso, provocate dalla
tracimazione dei pozzetti fognari di un condominio situato nelle vicinanze.
* Pret. civ. Torre Annunziata, ord. 25 novembre 1994, in Foro it. 1995, 3035.
In caso di danni causati da infiltrazioni d'acqua e di umidit verificatesi in una unit immobiliare a causa di
un'apertura praticata nel tetto condominiale da un condomino proprietario di un appartamento immediatamente
sottostante al tetto, sussiste la responsabilit del condominio in solido (ex art. 2055 c.c.) con il condomino che
ha praticato l'apertura, a nulla rilevando che in relazione all'art. 1102 c.c. sarebbe facolt del condomino
praticare aperture nel tetto condominiale qualora egli sia proprietario dell'unit immobiliare sottostante: tale
facolt, infatti, non fa comunque venir meno il rapporto di custodia intercorrente tra condominio e parti comuni
dell'edificio, rapporto che persiste indipendentemente dal soggetto che abbia eseguito i lavori sulle parti comuni
stesse.
* Pret. civ. Roma, 31 gennaio 1996, n. 687, Andrelli c. Condominio di Via della Caffarelletta, in Arch. loc. e cond.
1997, 868.
p) Libretto casa
L'adozione di ordinanze contingibili ed urgenti da parte del sindaco deve essere assistita da congrua
motivazione in ordine alle circostanze che impongono lo straordinario esercizio del potere extra ordinem.
Pertanto, illegittima per mancanza di motivazione, l'ordinanza sindacale avente ad oggetto l'obbligo imposto a
carico dei proprietari di immobili siti nel comune di certificare l'idoneit statica degli edifici (c.d. libretto casa),
ordinanza motivata sul mero allarme suscitato nella popolazione dai tragici avvenimenti relativi al crollo di una
palazzina in Foggia e sulla consequenziale crisi degli uffici tecnici comunali, sovraccaricati dalle richieste di
sopralluoghi urgenti atti a verificare la tenuta statica degli edifici stessi.
* Tar. Puglia, sez. Lecce, 16 novembre 2000, Scarcella c. Comune di Lecce e Associazione Propriet Edilizia Confedilizia Sez. di Lecce.
q) Precariet fondale dell'edificio
Il condominio non tenuto alla rimessione in pristino della statica del fabbricato, qualora la precariet fondale
dell'edificio, a causa della quale siano derivati fenomeni di lesionamento strutturale a carico di un appartamento
condominiale, sia dovuta a difetto costruttivo dell'opera, come tale non ascrivibile al condominio.

* Trib. civ. Napoli, sez. IV, 14 giugno 1995, n. 5447, Bonetti c. Condominio di Via Da Caravaggio n. 42 in Napoli,
in Arch. loc. e cond. 1996, 79.
r) Responsabilit concorrente del condominio
L'accertata responsabilit di una ditta incaricata di lavori di riparazione nell'edificio condominiale nella
causazione di un evento dannoso, non esclude la responsabilit concorrente del condominio, qualora il danno
sia derivato da cosa di propriet comune. (Fattispecie relativa ad infiltrazioni di acqua dal canale di scarico della
fognatura del condominio).
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 17 aprile 1989, Intergamma Srl c. Condominio di via Pucci 6, Milano, Societ
Generale di Manutenzione Edile Srl e Italiana Incendio Vita e Rischi Diversi Spa, in Arch. loc. e cond. 1990, 77.
s) Responsabilit dell'amministratore
E' da ritenersi responsabile l'amministratore condominiale per il danno causato dalla tracimazione dei pozzetti di
decantazione delle acque nere e bianche in quanto, ex art. 1130 n. 2 c.c., spetta ad esso il compito di vigilare
sull'uso delle cose comuni da parte dei singoli proprietari.
* Trib. civ. Pordenone, 14 febbraio 1992, Gasparotto c. Stellin, in Arch. loc. e cond. 1993, 127.
t) Responsabilit del locatore
L'obbligo di custodia e la correlativa responsabilit verso i terzi danneggiati ai sensi dell'art. 2051 c.c. non
vengono meno per il proprietario dell'immobile concesso in locazione, permanendo in capo al medesimo un
effettivo potere di controllo dell'immobile locato finalizzato a vigilare sullo stato di conservazione e di efficienza
delle strutture edilizie e degli impianti. Tuttavia, l'operativit nei confronti del proprietario-locatore della
presunzione di responsabilit ex art. 2051 c.c. resta circoscritta nell'ambito dell'anzidetto obbligo di vigilanza e
non si estende alle ipotesi in cui il danno sia stato cagionato da sostanze collocate all'interno dell'immobile
dall'inquilino, in ordine alle quali l'obbligo di custodia grava esclusivamente su quest'ultimo, essendo esclusa
ogni concreta possibilit di controllo da parte del locatore, non essendo configurabile alla stregua della disciplina
del contratto di locazione un rapporto di dipendenza o subordinazione del conduttore al locatore, che cos
privo di correlati poteri di vigilanza sul conduttore. (Nella specie la S.C., affermando il suesposto principio, ha
confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la responsabilit del proprietario locatore per i danni
prodotti a terzi da un incendio causato da materiali altamente infiammabili depositati dall'inquilino nei locali locati
senza idonee precauzioni).
* Cass. civ., sez. III, 28 maggio 1992, n. 6443, Di Martino c. Enasarco.
L'obbligo di custodia e la relativa responsabilit verso i terzi danneggiati non vengono meno per il proprietario
dell'immobile concesso in locazione, essendo la temporanea sottrazione della cosa alla sua disponibilit
compatibile con la permanenza di un potere fisico di controllo sulla unit immobiliare, con il conseguente obbligo
di vigilanza sullo stato di conservazione e sull'efficienza delle strutture edilizie e degli impianti. Ne consegue che
permane a carico del proprietario la presunzione di responsabilit ex art. 2053 c.c., superabile soltanto se
ricorrono gli estremi del caso fortuito e della forza maggiore.
* Trib. civ. Roma, 7 luglio 1999, n. 12628, Botti c. Condominio di via Pigafetta ed altre, in Arch. loc. e cond.
2000, 468.
u) Responsabilit solidale
Dalla compropriet delle cose, dei servizi e degli impianti comuni nascono per i condomini delle obbligazioni
propter rem con la conseguenza che, in particolare, la responsabilit per i danni derivanti alle unit immobiliari in
propriet esclusiva dalle cose comuni grava su tutti i condomini, essendo questi tenuti alla manutenzione delle
cose comuni, con l'obbligo di adottare tutte le cautele idonee a scongiurare i pregiudizi, e quindi, responsabili
ove tali pregiudizi si verifichino.
* Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1994, n. 2454, Perale c. Condominio Maurizio 64.
Nel caso di danno provocato dalla rovina del lastrico solare, parte comune dell'edificio condominiale, tutti i
condomini devono presumersi solidalmente responsabili e, pertanto, il danneggiato ben pu pretendere il
risarcimento da uno solo di essi, senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti degli altri
debitori, i quali non hanno veste di litisconsorti necessari.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 8 giugno 1990, n. 6432, in Arch. loc. e cond. 1991, 134.
v) Scarsa illuminazione
Il condominio non tenuto a risarcire i danni subiti dal condomino, a seguito di caduta avvenuta lungo le scale
condominiali in condizioni di scarsa visibilit per non essere funzionante l'impianto di illuminazione, qualora
questi si sia inoltrato nonostante l'incompleta visibilit, omettendo di procedere con la dovuta attenzione per
affidarsi alla propria cognizione del sito.
* Trib. civ. Roma, sez. V, 16 settembre 1995, n. 11893, Petroni c. Condominio di Via Conca d'Oro n. 284 in
Roma, in Arch. loc. e cond. 1995, 865.
Qualora per la scarsa illuminazione del cortile un terzo non abbia visto un muretto di cm 30 e sia precipitato
lungo il vano scale, il condominio deve essere condannato al risarcimento del danno biologico per complessivi
cinquantadue milioni.
* Trib. civ. Milano 7 novembre 1991, in L'Ammin. 1991, n. 10.
Le catenelle collocate su paletti e pergolati a pochi centimetri dal suolo costituiscono il tipico caso di insidia e
richiedono una particolare illuminazione ed una opportuna segnaletica.
* Trib. civ. Milano 4 aprile 1991, in L'Ammin. 1992, 3, 13.
z) Violenza privata
Nell'ipotesi di uso di violenza fisica e di privazione della libert personale esercitati dall'agente nei confronti di un
coabitante nello stesso stabile condominiale, autore di rumori molesti, al fine di determinarne la cessazione,
sono ravvisabili le ipotesi delittuose di cui agli artt. 605 e 610 cod. pen. e non il reato di esercizio arbitrario delle
proprie ragioni. (Nella specie stato ritenuto che la violenza privata fosse elemento costitutivo del delitto di

sequestro di persona).
* Cass. pen., sez. V, 31 ottobre 1983, n. 9075 (ud. 4 luglio 1983), Riga.
DANNI PER RITARDATA RESTITUZIONE DELLA COSA LOCATA
SOMMARIO: a) Caratteristiche del contratto; b) Casistica; c) Corrispettivo; d) Controversie; e) Differenze da altri
contratti; f) Pluralit di contraenti; g) Qualit di locatore; h) Rappresentanza; i) Verbale (denuncia del contratto).
a) Caratteristiche del contratto
Seppure il contratto di locazione ha natura personale e prescinde dall`esistenza e titolarit nel locatore di un
diritto reale sulla cosa, essendo sufficiente che egli ne abbia la disponibilit, necessario tuttavia che tale
disponibilit abbia genesi in un rapporto (o titolo) giuridico che comprenda il potere di trasferirne al conduttore la
detenzione e il godimento, con la conseguenza che non pu assumere la qualit di locatore colui che abbia
soltanto la disponibilit di fatto della cosa stessa.
* Cass. civ., sez. III, 25 agosto 1982, n. 4714.
Nessuna norma autorizza presunzioni di sorta - n di segno affermativo, n di segno negativo - sulle possibili
connotazioni di un contratto di locazione (circa le eventuali esigenze abitative che esso inteso a soddisfare)
posto in essere in forma verbale.
* Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2000, n. 4591, Cerbone ed altri c. Franchi.
Il contratto di locazione pu essere provato con testimoni e, quindi, anche con presunzioni.
* Cass. civ., sez. III, 28 settembre 1979, n. 5014.
Poich il contratto di locazione non soggetto alla forma scritta ab substantiam, la novazione soggettiva del
contratto stesso, anche se scritto, pu essere provata con testi, ovvero con elementi deducibili da documenti e
fatti successivi alla sua stipulazione.
* Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 1980, n. 649 in Arch. loc. e cond. 1980, 226.
b) Casistica
Nel contratto di locazione quando il conduttore acquista la detenzione della cosa, che entra cos nell`ambito
della sua disponibilit, su di lui ricadono i rischi inerenti all`utilizzazione di essa, con la conseguenza che, se con
l`attribuzione del godimento della cosa il locatore mette a disposizione del conduttore l`attivit dei suoi
dipendenti per l`utilizzazione della cosa stessa, costoro agiscono come preposti del conduttore, senza che tale
circostanza faccia venir meno la natura di locatio rei propria del rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1999, n. 1127, Molinari c. Silvi.
Il venir meno, per qualsiasi causa, di uno dei titolari del contratto di locazione non costituisce motivo di
risoluzione del contratto nei confronti degli altri conduttori, avendo ciascuno un diritto autonomo al godimento
della cosa, compatibilmente all`uguale godimento degli altri partecipanti, e restando ciascuno, per la stessa
indivisibilit della prestazione, obbligato solidamente nei confronti del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 27 novembre 1972, n. 3458.
In caso di concessione di un bene in locazione ad uno dei comproprietari, venuto a conclusione il rapporto
locatizio per scadenza del termine o per la pronuncia della sua risoluzione per inadempimento del conduttore,
questo - avendo diritto al godimento dello stesso in proporzione della sua quota - non pu essere condannato al
rilascio del bene medesimo agli altri comproprietari, restando invece ai comunisti di disciplinare l`ordinaria
amministrazione della cosa comune senza privare alcuno dei contitolari del bene delle sue facolt di godimento
e cos eventualmente di ricorrere, in caso di persistente disaccordo, all`autorit giudiziaria, ai sensi dell'art. 1105,
ultimo comma, c.c., per la nomina di un amministratore.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1999, n. 6405, Cappucci c. Sommaruga F. ed altri, in Arch. loc. e cond. 1999,
789.
La locazione, da parte di un socio di una societ di persona, ad altro socio della propria quota sociale
ammissibile. (Nella specie l`usufruttuario di una quota sociale, costituita da parte dei locali e dell`azienda
commerciale in essi gestita, aveva locato la stessa ad altro socio. La Corte Suprema ha enunciato il principio
che precede).
* Cass. civ., sez. II, 12 settembre 1970, n. 1401.
La denunzia di un contratto verbale di locazione, avendo finalit meramente fiscali, non attribuisce alle
dichiarazioni in essa contenute valore determinante, potendo le stesse essere liberamente apprezzate dal
giudice attraverso un raffronto critico con le altre risultanze di causa.
* Cass. civ., sez. III, 9 maggio 1985, n. 2896.
Le sole variazioni di misura del canone e la modificazione del termine di scadenza non sono di per s indice

della novazione di un rapporto di locazione, trattandosi di modificazioni accessorie della correlativa obbligazione
o di modalit non rilevanti. Inoltre, la novazione deve essere connotata non solo dall`aliquid novi, ma anche dagli
elementi dell`animus novandi inteso come manifestazione inequivoca dell`intento novativo, e della causa
novandi intesa come interesse comune delle parti all`effetto novativo.
* Cass. civ., sez. III, 19 novembre 1999, n. 12838, Bonina c. De Leito.
Il contratto con il quale si concede una macchina (nella specie, autogru) in godimento, per un certo tempo e
dietro un determinato corrispettivo, non perde i connotati tipici della locazione, per assumere quelli dell`appalto,
per il fatto che la manovra ed il funzionamento della macchina medesima vengano affidati ad un dipendente del
concedente, ove ci non comporti alcuna ingerenza nell`utilizzazione del bene, che rimane a disposizione
dell`altra parte, perch se ne serva per i propri fini, con ampia discrezionalit di iniziativa. In tale situazione,
infatti, le prestazioni inerenti al funzionamento del mezzo non si ricollegano ad un risultato da conseguire a cura
del concedente, con propria organizzazione ed a proprio rischio, ma assumono carattere meramente accessorio
e strumentale rispetto al godimento del bene, che resta l`oggetto principale del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 20 luglio 1977, n. 3249.
Qualora un`associazione, con finalit di assistenza morale e materiale in favore di coloro che si trovino in
determinate condizioni di bisogno (nella specie, associazione cattolica internazionale al servizio della giovane),
conferisca ad una di dette persone il godimento di una stanza in proprio fabbricato, la revocabilit "ad nutum" di
tale concessione non pu essere esclusa, sotto il profilo della ricorrenza di un rapporto tipico di locazione, per il
solo fatto del versamento periodico di una certa somma da parte del beneficiario di quella stanza, poich
l`affermazione del rapporto locativo postula che la suddetta somma configuri controprestazione dell`obbligo del
concedente di garantire il godimento del bene, e non anche, pertanto, mero rimborso di spese nell`ambito di un
comodato o di una concessione gratuita in uso, ovvero mero onere nell`ambito di una locazione atipica e
precaria.
* Cass. civ., sez. III, 25 marzo 1985, n. 2091.
Un contratto misto, con cui una parte si obbliga a dare in godimento un impianto per l`erogazione di carburante,
e l`altra si obbliga a fornire carburante in esclusiva ed a prezzo ridotto, ha i caratteri della locazione e della
somministrazione, ma non del comodato, non essendo concesso il godimento della cosa a titolo gratuito.
Pertanto ad esso applicabile la disciplina degli artt. 1578 e 1581 c.c. per i vizi della cosa.
* Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 1977, n. 580, in Arch. civ. 1977, 401.
L`acquirente di un immobile locato da considerare terzo rispetto al contratto di locazione intervenuto fra il suo
dante causa venditore ed il conduttore dell`immobile. Consegue, che l`acquirente il quale agisce per la
dichiarazione della simulazione del contratto di locazione, in quanto terzo pu, a norma dell`art. 1417, fornire la
prova della simulazione anche per mezzo di presunzioni.
* Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 1999, n. 721, Redeghieri c. Immobiliare di Gargioni F. & C. Snc.
La normativa della legge (sull`equo canone) 27 luglio 1978, n. 392, non trova applicazione per quelle
convenzioni in cui al godimento dell`immobile si accompagni la fornitura di servizi di natura genericamente
alberghiera o "personali" (dazione, cambio e lavaggio della biancheria da letto e da bagno e somministrazione di
riscaldamento, luce, acqua e simili), atteso che in tali ipotesi - sempre che non sia ravvisabile un rapporto di
affittacamere per l`assenza di organizzazione e professionalit, dell`abitualit della fornitura a terzi di camere e
servizi relativi e del requisito della precariet e brevit dei soggiorni - si configura un contratto da ricomprendere
tra quelli "d`alloggio" come contratto atipico avente ad oggetto la concessione di un`ospitalit onerosa
"pensione" con imprescindibile e qualificante prestazione, sia pure in forma "familiare", dei servizi su indicati.
* Cass. civ., sez. III, 12 giugno 1984, n. 3493.
Nell`ipotesi di inadempienza ad un preliminare di locazione da parte del promittente locatario, cui sia seguita la
stipula di un nuovo contratto di locazione a condizioni meno favorevoli, il lucro cessante in favore del locatore
non va in ogni caso e quasi automaticamente calcolato nella differenza tra l`importo del canone locatizio
stipulato con il promittente inadempiente e quello stipulato con il nuovo conduttore ma in base all`effettiva
diminuzione dell`utile che il locatore avrebbe ricavato dalla stipula del contratto definitivo, previsto nel
preliminare, in relazione cio non soltanto all`importo dei canoni locatizi ma all`economia generale dei due
contratti ed al complesso delle obbligazioni rispettivamente assunte dalle parti.
* Cass. civ., sez. III, 19 agosto 1971, n. 2561.
La mancanza dei requisiti di abitabilit previsti dalla legge non determina la nullit del contratto di locazione di
un immobile per uso abitativo per impossibilit dell`oggetto, se non ne impedisca concretamente in modo
assoluto il godimento, sia pure con difficolt e disagi per il conduttore.
* Cass. civ., sez. I, 5 ottobre 2000, n. 13270, Biondi c. Amm. autonoma Monopoli di Stato in Arch. loc. e cond.
2000, n. 6.
Non sussiste nell`ordinamento un divieto per le parti di un contratto di attribuire ad esso efficacia retroattiva in
modo da regolamentare i rapporti di fatto tra loro esistenti. Pertanto, le parti che possono liberamente
determinare il contenuto di un contratto tipico nei limiti imposti dalla legge (art. 1322 c.c.) possono attribuire
efficacia retroattiva ad un contratto di locazione da loro stipulato disponendo che il rapporto derivante da detto

contratto vada considerato iniziato da una data anteriore alla sua conclusione. N tale possibilit di dare effetto
retroattivo al contratto pu ritenersi esclusa per essersi verificata la situazione illecita di mora prevista dall`art.
1591 c.c., non sussistendo nell`ordinamento il divieto per le parti di disciplinare contrattualmente gli effetti di un
inadempimento e/o di considerare regolare una situazione di fatto non conforme a diritto.
* Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 2000, n. 15530, Siracusano c. Ministero delle Finanze, in Arch. loc. e cond.
2001, 147.
c) Corrispettivo
Il corrispettivo a carico del conduttore nel contratto di locazione pu essere costituito anche, in parte, da
un`attivit lavorativa resa in favore del locatore, non dissimilmente dall`ipotesi in cui il godimento di un locale pu
costituire parte della retribuzione del lavoratore in un rapporto di lavoro subordinato. La distinzione tra le due
ipotesi consiste nella diversa importanza della prestazione lavorativa nell`economia del contratto. (Nella specie
la S.C. ha confermato la pronuncia del giudice del merito che aveva ritenuto che tra le parti fosse stato posto in
essere non gi un rapporto di lavoro subordinato, bens un rapporto atipico che prevedeva l`obbligo per un
soggetto di svolgere l`attivit di verifica dell`ingresso e dell`uscita dei fruitori di un`area di parcheggio e
rimessaggio con esazione del prezzo del servizio a fronte del diritto per il medesimo soggetto di godimento di un
appartamento sito nella medesima area).
*Cass. civ., sez. lav., 29 dicembre 1998, n. 12871, Carbone c. Curatela Eredit giacente Chieco.
Il corrispettivo della locazione pu consistere in cose diverse dal denaro ed essere rappresentato da utilit di
varia natura, ma pur sempre necessario che ricorra il duplice requisito della sua determinatezza (o, almeno,
della determinabilit) e del suo carattere obbligatorio, nel senso che esso non pu essere costituito da
prestazioni che trovino la loro causa in ragioni diverse (di convenienza, di opportunit, di liberalit, di cortesia)
non caratterizzate dalla forza cogente di un rapporto contrattuale.
* Cass. civ., sez. III, 14 novembre 1977, n. 4937, in Arch. civ. 1978, 484.
Per la validit della locazione non necessario che il corrispettivo dovuto dal conduttore sia determinato, ma
sufficiente che sia determinabile, in applicazione di criteri o sulla base di elementi precostituiti, vale a dire fissati
nell`atto stesso della stipulazione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 18 aprile 1975, n. 1484.
Il rilascio di quietanze per somme pagate a titolo di pigione non costituisce, di per s, prova della sussistenza di
un contratto di locazione, essendo idonee, per il loro carattere unilaterale, soltanto ad indicare l`autore del
pagamento ed il quantum ricevuto.
* Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1989, n. 2207, Faustini c. Angilella.
Non si pu presumere il carattere gratuito dell`uso di un immobile di propriet del datore di lavoro accordato al
lavoratore e costituisce onere di quest`ultimo provare l`eventuale esistenza di un rapporto di comodato. (Nella
specie la S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che, sulla base di una situazione di incertezza probatoria,
aveva escluso la detraibilit, dalle somme dovute al lavoratore per differenza retributiva ex art. 36 Cost., del
corrispettivo dovuto per l`uso dell`abitazione).
* Cass. civ., sez. lav., 7 novembre 2000, n. 14472, Stortoni c. Di Bu, in Arch. loc. e cond. 2001, 78.
d) Controversie
Nelle controversie aventi ad oggetto i diritti nascenti da un contratto di locazione, elemento costitutivo della
pretesa del locatore la disponibilit del bene locato. Tale disponibilit deve essere legittima, concreta ed attuale,
ed - in caso di contestazione da parte del conduttore convenuto - deve essere dimostrata dal locatore. Questo
principio trova applicazione anche nell`ipotesi in cui locatore e conduttore, concluso un contratto di transazione
avente ad oggetto i rispettivi obblighi sorti dalla locazione, controvertano in giudizio sulla validit delle
obbligazioni sorte dalla transazione.
* Cass. civ., sez. III, 7 novembre 1996, n. 9711, Cirillo c. Camilli ed altro.
Nelle controversie relative al rapporto di locazione, come quella per recesso del locatore ex art. 59 della L. 27
luglio 1978, n. 392 (sull`equo canone), l`indagine sulla legittimazione attiva attiene, non alla qualit di
proprietario del bene, ma a quella di locatore, che non deve necessariamente identificarsi con la persona del
proprietario.
* Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 1983, n. 358.
Il conduttore risponde quale custode a norma dell`art. 2051 c.c. dei danni che la cosa locata abbia cagionato a
terzi (compreso in essi il locatore, se danneggiato in altra sua cosa o nella persona) e si libera da tale
responsabilit solo dando la prova del fortuito, che pu anche consistere nella dimostrazione che il fattore
determinante il danno ha riguardato strutture o apparati dell`immobile sottratti alla disponibilit dello stesso
conduttore ed estranei, quindi, alla sfera dei suoi poteri e doveri di vigilanza.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2001, n. 782, Carlone c. Soc. Flep, in Arch. loc. e cond. 2001, 220.
e) Differenze da altri contratti

La differenza tra locazione di immobile con pertinenze e affitto di azienda consiste nel fatto che, nella prima
ipotesi l`immobile concesso in godimento viene considerato specificamente, nell`economia del contratto, come
l`oggetto principale della stipulazione, secondo la sua consistenza effettiva e con funzione prevalente ed
assorbente rispetto agli altri elementi, i quali (siano essi legati materialmente o meno all`immobile) assumono
carattere di accessoriet e rimangono collegati all`immobile funzionalmente, in posizione di subordinazione e
coordinazione. Nell`affitto di azienda, invece, l`immobile non viene considerato nella sua individualit giuridica,
ma come uno degli elementi costitutivi del complesso di beni mobili ed immobili, legati tra di loro da un vincolo di
interdipendenza e complementariet per il conseguimento di un determinato fine produttivo, sicch l`oggetto del
contratto costituito dall`anzidetto complesso unitario.
* Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 2000, n. 1243, Zanin c. Innocente.
Il criterio discretivo tra locazione di immobile ad uso non abitativo e affitto d`azienda fondato, rispettivamente,
sulla valenza assorbente ed esclusiva dell`immobile nel primo caso e, viceversa, sulla sua considerazione
funzionalmente paritaria e complementare con gli altri beni organizzati per l`azienda, nel secondo caso.
* Cass. civ., sez. III, 2 agosto 2000, n. 10106, Savina c. Pelizzi Faro di Pelizzi Ivan e Giuseppe, in Arch. loc. e
cond. 2000, n. 5.
Al fine di stabilire la sussistenza di un rapporto di comodato ovvero di locazione, occorre mettere a confronto i
sacrifici ed i vantaggi che dal negozio derivano rispettivamente alle parti, con contenuto di equivalenza sullo
stesso piano, cosicch il carattere di essenziale gratuit del comodato non viene meno se vi inserisce un modus
posto a carico del comodatario, mentre cessa se il vantaggio fornito da questi si pone come corrispettivo del
godimento della cosa con natura di controprestazione.
* Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1984, n. 2151.
Ogni qualvolta che per il godimento di un bene sia stata pattuita una controprestazione di qualsiasi natura, forma
o misura, si realizzano gli estremi di un rapporto locatizio e non di un comodato.
* Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 1975, n. 276.
Qualora insieme alla merce il venditore consegni al compratore recipienti che sono destinati ad essere restituiti
ad uso avvenuto, sorge, accando al rapporto di vendita, un rapporto accessorio, ma autonomo, che pu
considerarsi una locazione, qualora risulti conglobato nel prezzo della merce anche il canone di noleggio, e pu
invece essere un comodato, ove manchi il corrispettivo. In ogni caso l`obbligazione di restituire sorge nel
momento e nel luogo in cui il recipiente ha adempiuto la sua funzione di raccolta e conservazione; onde la
competenza relativa all`azione tendente ad ottenere l`adempimento dell`obbligazione di restituzione dei
recipienti, ovvero al risarcimento dei danni per la mancata o incompleta restituzione si radica nel luogo di
consegna dei recipienti stessi.
* Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1970, n. 87.
L`affitto di azienda si differenzia dalla locazione di immobile con pertinenze perch in esso l`immobile non
considerato nella sua consistenza effettiva e nella sua individualit giuridica, ma costituisce uno dei beni del
complesso unitario destinato al perseguimento di un determinato scopo produttivo, anche se la azienda, nel
momento della conclusione del contratto, non sia ancora in grado di funzionare ovvero richieda una diversa e
pi efficiente organizzazione rispetto alla struttura preesistente.
* Cass. civ., sez. III, 26 luglio 1986, n. 4809.
Si versa in ipotesi di affitto di azienda alberghiera quando l`immobile non considerato nella sua individuabilit
giuridica, ma viene a costituire uno dei beni aziendali in rapporto di complementariet e di interdipendenza con
gli altri elementi in vista del fine economico perseguito dall`imprenditore, non rilevando che, al momento della
conclusione del contratto, l`azienda non sia ancora in grado di funzionare per mancanza di alcuni suoi elementi;
si versa, invece, in ipotesi di locazione di immobile adibito ad attivit alberghiera, quando l`immobile conserva la
natura di cosa principale oggetto del contratto ed attrae ed assorbe gli altri elementi, che assumono carattere di
accessoriet, in quanto, pur se non siano materialmente legati all`immobile s da perdere la propria individualit
economica, vi siano funzionalmente collegati in posizione di subordinazione e di coordinazione. Accertare se nel
caso concreto ricorra l`una o l`altra figura rientra nei compiti riservati al giudice del merito, il quale deve
procedere ad una duplice indagine, interpretando, da un lato, la comune intenzione dei contraenti, ed avendo
riguardo, dall`altro, all`obiettiva consistenza dei beni dedotti in contratto.
* Cass. civ., sez. III, 2 marzo 1984, n. 1498.
La cessione del godimento di un locale, adibito ad esercizio commerciale, pu integrare affitto d`azienda,
ovvero locazione d`immobile munito di pertinenze, secondo che, alla stregua dell`effettiva e comune intenzione
delle parti, in relazione alla consistenza del bene e ad ogni altra circostanza del caso concreto, risulti che
l`oggetto del contratto sia un`entit organica e capace di vita economica propria, della quale l`immobile configuri
una mera componente, in rapporto di complementariet ed interdipendenza con gli altri elementi aziendali,
ovvero sia in via principale l`immobile medesimo, ancorch dotato d`accessori, come entit non produttiva.
* Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1980, n. 2132, in Arch. loc. e cond. 1980, 202.
Si ha locazione di immobile quando questo sia stato specificamente considerato nella sua effettiva consistenza,

con funzione prevalente rispetto ad altri beni che abbiano carattere accessorio e non siano collegati fra loro da
un vincolo che li unifichi ai fini produttivi; ricorre invece l`affitto di azienda quando oggetto del contratto sia il
complesso unitario di tutti i beni mobili ed immobili, materiali ed immateriali concessi in godimento in quanto
organizzati per la produzione di beni e di servizi. Ai fini dell`individuazione, nel caso concreto, dell`una o
dell`altra figura di contratto, il giudice deve procedere ad una duplice indagine, interpretando, da un lato, la
comune intenzione delle parti contraenti ed avendo riguardo, dall`altro, all`obiettiva consistenza dei beni dedotti
in contratto.
* Cass. civ., sez. III, 4 febbraio 1987, n. 1069.
L`attivit di affittacamere, pur differenziandosi da quella alberghiera per le sue modeste dimensioni, ne presenta
analoga natura, in quanto richiede non solo la cessione del godimento di locale ammobiliato e provvisto delle
necessarie somministrazioni (luce, acqua, ecc.), ma anche la prestazione di servizi personali, quali il riassetto
del locale stesso e la fornitura della biancheria da letto e da bagno (con caratteristiche professionali e finalit
speculative), pur a prescindere dal conseguimento o meno della prescritta licenza amministrativa. In difetto di
tale ultimo requisito, pertanto, quella cessione non pu essere ricondotta nell`ambito dell`indicata attivit (n
quindi sottratta alla disciplina della locazione ad uso abitativo).
* Cass. civ., sez. III, 25 gennaio 1991, n. 755.
L`art. 1 comma nono septies del D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, conv., con modificazioni, in L. 5 aprile 1985, n. 118,
ai sensi del quale si ha locazione di immobile ad uso alberghiero (come tale assoggettata alla disciplina degli
artt. 27-42 della L. 27 luglio 1978, n. 392), e non affitto di azienda, quando l`attivit alberghiera sia stata iniziata
dal conduttore, opera, a norma del successivo comma nono octies, anche con riguardo ai rapporti in precedenza
costituiti, se siano in atto (pure solo sul piano fattuale) alla data di entrata in vigore di detta legge di conversione
(24 aprile 1985). Per tali rapporti, pertanto, la questione della ricorrenza dell`una o dell`altra delle indicate ipotesi
contrattuali, ove ancora sub iudice, resta vincolata allo ius superveniens, di modo che, in caso di attivit
alberghiera iniziata dal cessionario, deve essere necessariamente risolta nel senso della locazione, a
prescindere da ogni indagine sull`intenzione delle parti contraenti o sull`obiettiva consistenza dei beni dedotti in
contratto.
* Cass. civ., sez. III, 2 luglio 1991, n. 7253, Pizzoli c. S.p.A. Immobiliare Arca.
Poich la normale onerosit incompatibile con la nozione generale della locazione a norma dell`art. 1571 c.c.,
non si pu presumere il carattere gratuito dell`uso di un immobile di propriet del datore di lavoro accordato al
lavoratore e costituisce onere di quest`ultimo provare l`eventuale esistenza di un rapporto di comodato. (Nella
specie al S.C. ha annullato la sentenza impugnata, che, sulla base di una situazione di incertezza probatoria,
aveva escluso la detraibilit, dalle somme dovute al lavoratore per differenza retributiva ex art. 36 Cost., del
corrispettivo dovuto per l`uso dell`abitazione).
* Cass. civ., sez. lav., 7 novembre 2000, n. 14472, Stortoni c. Di Bu, in Arch. loc. e cond. 2000, n. 6.
f) Pluralit di contraenti
Qualora il conduttore di un bene immobile acquisti in costanza del rapporto la propriet di una quota pro indiviso
del bene locato, si verifica la contemporanea condizione di comproprietario-locatario del bene comune o di parte
di esso, con la conseguenza che il conduttore viene a disporre della res locata, in parte, in virt del pregresso
titolo obbligatorio locatizio, in parte, in base all`assunta nuova qualit di proprietario, mentre il rapporto di
locazione estinto parzialmente per avvenuta confusione nello stesso soggetto delle anzidette qualit di
conduttore e locatore continua a sussistere tra gli altri condomini originari ed il nuovo comproprietario sempre in
veste di conduttore, vincolato quanto alla durata del contratto e alla destinazione d`uso del bene secondo le
pregresse pattuizioni. Ne deriva altres che il comproprietario locatore pu validamente esperire l`azione di
risoluzione del contratto per intervenuta scadenza ai sensi dell`art. 1103 c.c.
* Cass. civ., sez. III, 28 settembre 2000, n. 12870, Bastogi SpA c. La Rosa in Arch. loc. e cond. 2000, n. 6.
Nelle vicende del rapporto locatizio, l`eventuale pluralit di locatori integra una parte unica, nel cui interno i
diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione.
Conseguentemente, ciascuno dei condomini-locatori pu svolgere le azioni che derivano dal contratto,
presumendosi il consenso degli altri alla proposizione dell`azione giudiziaria e salva la possibilit per costoro,
ove rappresentino nell`ambito della comunione una quota maggioritaria, di opporsi all`azione medesima; mentre,
in caso di quote eguali e di dissenso tra i condomini, necessario il preventivo intervento dell`autorit giudiziaria
ex art. 1105 c.c.
* Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 1985, n. 158.
Nel caso in cui pi soggetti siano titolari, quali conduttori, della locazione di un immobile ed abbiano tra loro
convenuto le modalit di utilizzazione dello stesso, non consentito ad alcuno di essi di chiedere al giudice di
stabilire giudizialmente le modalit di godimento per ciascuno dei conduttori, atteso che in tal caso non sono
applicabili le norme sulla compropriet, riguardando una comunione di interessi che scaturisce dalla contitolarit
di un rapporto di natura meramente obbligatoria non solo nei confronti del locatore, ma anche nei loro rapporti
interni, che pu essere modificato soltanto con il consenso di tutti.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1990, n. 11, Denaro c. Farina.

Con riguardo alla locazione di immobile, che sia poi pervenuto, per successione al locatore, a diversi eredi, il
diritto del singolo erede di conseguire la risoluzione del rapporto limitatamente alla propria porzione, deve
essere negato qualora la prestazione fissata con l`originario contratto abbia carattere indivisibile, alla stregua
dell`unitaria funzione assegnata dalle parti al contratto stesso, atteso che, in tale ipotesi, detta indivisibilit opera
anche nei riguardi degli eredi, ai sensi dell`art. 1318 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 11 aprile 1987, n. 3611.
g) Qualit di locatore
Poich, nel rapporto di locazione, si prescinde dalla titolarit del diritto di propriet o di usufrutto del locatore
sull`immobile - essendo sufficiente, in relazione all`obbligazione principale da lui assunta di consentire al
conduttore l`uso ed il godimento dell`immobile stesso, che egli abbia la disponibilit del bene - spetta allo stesso
la legittimazione ad agire per tutte le questioni che concernano la costituzione, lo svolgimento e la cessazione
del rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1983, n. 2973, Lambiase c. Sica.
Poich per l`assunzione della qualit di locatore non necessario essere proprietario della cosa locata, ma
sufficiente averne la disponibilit, non pu il conduttore contrastare la pretesa del locatore di pagamento dei
canoni negando il diritto di propriet di quest`ultimo sulla cosa stessa.
* Cass. civ., sez. II, 18 maggio 1985, n. 3060.
Chiunque abbia la disponibilit di fatto di una cosa in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico
(esclusi, cio, il ladro, il ricettatore, l`usurpatore di immobile, etc.) pu validamente concederla in locazione, in
comodato o costituirvi altro rapporto obbligatorio ed , di conseguenza, legittimato a richiederne la restituzione
allorch il rapporto venga a cessare.
* Cass. civ., sez. II, 13 luglio 1984, n. 4119.
h) Rappresentanza
Tra i partecipanti alla comunione esiste un reciproco rapporto di rappresentanza, in virt del quale ciascuno di
essi pu procedere alla locazione della cosa comune ed agire per la cessazione o la risoluzione del contratto e
la consegna del bene locato, anche nell`interesse degli altri partecipanti alla comunione, trattandosi di atti di utile
gestione rientranti nell`ambito dell`ordinaria amministrazione della cosa comune, per i quali da presumere,
salvo prova contraria, che il singolo comunista abbia agito anche con il consenso degli altri.
* Cass. civ., sez. III, 26 marzo 1983, n. 2158.
i) Verbale (denuncia del contratto)
La denuncia di contratto verbale di locazione ha finalit di ordine puramente fiscale e non ha altro valore se non
quello di una mera dichiarazione della parte che l`ha fatta: ci non esclude, tuttavia, che essa possa offrire al
giudice elementi di convincimento circa l`esistenza del contratto, non solo quando il suo contenuto non sia
contestato dall`altra parte, ma anche quando, nonostante la contestazione, essa risulti effettuata in epoca
ritenuta non sospetta dal giudice del merito.
* Cass. civ., sez. III, 18 aprile 1984, n. 2507. Conforme, Cass. civ., sez. III, 30 aprile 1979, n. 2511.
La denunzia di un contratto verbale di locazione avendo finalit meramente fiscali, deve, in una controversia fra
privati, essere liberamente valutata come dichiarazione di parte in un raffronto critico con gli altri elementi
probatori acquisiti alla causa, e ci anche nell`ipotesi in cui chi l`ha sottoscritta e redatta abbia dichiarato fatti a
s sfavorevoli e favorevoli alla controparte, dovendo escludersi che in tale atto, attesa la specificit dello scopo
che lo caratterizza, sia configurabile una confessione stragiudiziale, mancando nel dichiarante la
consapevolezza e la volont di porre in essere una attestazione della verit dei fatti utilizzabili tra le parti nei
rapporti contrattuali.
* Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 1997, n. 1100, Mendola c. Sacco.
La denuncia di un contratto verbale di locazione all`ufficio del registro ha finalit di solo ordine fiscale, sicch la
stessa, quand`anche sottoscritta da entrambe le parti contraenti e quand`anche annualmente ripresentata al
fisco, una volta prodotta in giudizio e contestata dalla controparte, non idonea, in s, a provare che una
pregressa convenzione scritta di locazione pluriennale sia stata novata con accordi di diverso contenuto.
* Cass. civ., sez. III, 13 gennaio 2000, n. 329, Picco Mariagrazia ed altro c. Toffolo.
DEPOSITO CAUZIONALE
La controversia relativa alla restituzione del deposito cauzionale diversa da quella per la quale previsto il rito
speciale e va devoluta al giudice competente ratione valoris secondo i principi generali.
* Pret. civ. Molfetta, 3 aprile 1987, n. 44, La Forgia c. Sciancalepore. in Arch. loc. e cond. 1987, 561.
Il terzo acquirente dellimmobile locato subentra, ai sensi dellart. 1602 c.c., nei diritti e nelle obbligazioni
derivanti dal contratto di locazione e cos anche nellobbligazione accessoria di restituzione del deposito
cauzionale versato dal conduttore, a nulla rilevando la mancata consegna del relativo importo da parte

delloriginario locatore.
* Pret civ. Milano, 18 luglio l989, Collini c. La Via e Fiscella, in Arch. loc. e cond. 1991, 188.
Esauritosi il rapporto di locazione e avendo il conduttore provveduto al pagamento dei canoni dovuti e alla
consegna dellimmobile, il locatore non pu trattenere il deposito cauzionale versato dal conduttore a garanzia
delle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione, eccependo la mancata restituzione di mobili lasciati dal
locatore nellimmobile e concessi al conduttore in comodato mediante un diverso ed autonomo rapporto
giuridico.
* Pret. civ. Milano, 18 luglio 1989, Collini c. La Via e Fiscella, in Arch. loc. e cond. 1991, 188.
In tema di locazione, lobbligazione del locatore di restituire il deposito cauzionale versato dal conduttore, a
garanzia degli obblighi contrattuali, sorge al termine della locazione non appena avvenuto il rilascio dellimmobile
locato, con la conseguenza che, ove il locatore trattenga la somma anche dopo il rilascio dellimmobile da parte
del conduttore, senza proporre domanda giudiziale per lattribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura
di specifici danni subiti, la sua obbligazione di restituzione ha per oggetto un credito liquido ed esigibile, che
legittima il conduttore ad ottenere decreto ingiuntivo. In tal caso i diritti del locatore potranno essere fatti valere in
sede di opposizione allingiunzione, sempre che la sua pretesa sia compresa nei limiti della competenza del
giudice che ha emesso il decreto.
* Cass. civ., sez. III, 9 novembre 1989, n. 4725, Pascalino c. Argenti.
La omma versata a titolo di deposito cauzionale - conservando la funzione di garanzia in ordine
alladempimento, da parte del conduttore, di tutte le obbligazioni sorgenti dal contratto, sino al momento
della risoluzione del rapporto - diventa esigibile solo da questo momento.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 8 febbraio 1990, n. 1018, Golia c. Vicini, in Arch. loc. e cond. 1991, 339.
In tema di locazioni di immobili urbani, il patto contrattuale che preveda il versamento del deposito cauzionale su
libretto di risparmio intestato al conduttore con capitalizzazione degli interessi affetto da nullit rilevabile anche
dufficio dal giudice, ex art. 79, L. n. 392/1978, nei limiti in cui da esso consegua un trattamento deteriore per il
conduttore rispetto a quello stabilito dall art. 11 della stessa legge, per il quale il deposito cauzionale "
produttivo di interessi legali che debbono essere corrisposti al conduttore alla fine di ogni anno".
* Pret. civ. Milano, 20 aprile 1990, Bollati c. Gasparini, in Arch. Ioc. e cond. 1990, 579.
nulla la clausola di un contratto di locazione avente ad oggetto limposizione al conduttore di un secondo
deposito cauzionale.
* Trib. civ. Roma, sez. III, 11 giugno 1990, Carnevali e altri c. S.p.A. Immob. Salce, in Arch. loc. e cond 1990,
749.
In tema di locazioni di immobili urbani, lart. 11 della L. 27 luglio 1978 n. 392 - il quale, disponendo che il
deposito cauzionale non pu essere superiore a tre mensilit del canone produttive di interessi legali da
corrispondere al conduttore alla fine di ogni anno, ha abrogato per incompatibilit, ai sensi del successivo art.
84, lart. 4 della L. 22 dicembre 1973 n. 841, statuente che il deposito cauzionale non poteva essere superiore a
due mensilit del canone e doveva essere depositato su conto bancario vincolato - pur applicandosi come jus
superveniens, a decorrere dallentrata in vigore della citata legge n. 392 del 1978, non solo ai rapporti di nuova
costituzione ma anche a quelli in corso, in regime transitorio, non pu trovare applicazione con riferimento a quei
contratti per i quali, sempre alla data di entrata in vigore della legge sia in corso un giudizio, poich a questi
rapporti continuano ad applicarsi le leggi precedenti (nella specie il citato art. 4 della legge n. 841 del 1973), ai
sensi dellart. 82 della legge n. 392 del 1978, il quale si riferisce sia alla disciplina sostanziale che a quella
processuale in materia di locazioni urbane.
* Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1990, n. 7580, Fondi c. Rancati.
Possono essere considerate nulle, ai sensi del combinato disposto degli artt. 79 e 11, L. n. 392/1978, soltanto le
clausole tendenti a costituire forme di garanzia assimilabili (quanto al contenuto ed alloggetto) al deposito di cui
al citato art. 11, limitatamente alla parte eccedente la misura ivi fissata; ne deriva che deve affermarsi la piena
validit della clausola che preveda lobbligo del conduttore di fornire garanzia fidejussoria, atteso che, cos
formulata, lobbligazione non comporta necessariamente, per il conduttore stesso, quella privazione di mezzi
finanziari, che il citato art. 11, intende sanzionare.
* Trib. civ. Verona. sez. III, 22 agosto 1990, n. 1401, Impresa Coltri Prefabbricati c. Ditta Metalveneta, in Arch.
loc. e cond. 1990, 742.
La somma versata dal conduttore al locatore a garanzia del pagamento del canone, della restitutio in integrum e
per la copertura degli aumenti previsti e prevedibili del canone per effetto degli scatti ISTAT, sintende versata a
titolo di deposito cauzionale (e non a fondo perduto) e leventuale vertenza relativa allattribuzione di detta
somma assoggettata alla disciplina ordinaria della competenza per valore.
* Trib. civ. Napoli, sez. VI, 29 dicembre 1990, n. 13562, Marseglia c. Marino. in Arch. loc. e cond. 1991, 605.
Il mancato versamento del deposito cauzionale motivo di risoluzione del contratto locatizio.
*Trib. civ. Brescia, sez. III, 17 febbraio 1992, Mori c. Bianchi, in Arch. loc. e cond. 1992, 362.
Sono valide le clausole di pagamento anticipato del canone annuo di locazione degli immobili urbani per uso
non abitativo, soggetti al regime della legge sullequo canone, non essendo applicabile il divieto dellart. 11 di
tale legge, che si riferisce esclusivamente al deposito cauzionale, n la disposizione dellart. 2 ter. della L. 12
agosto 1974, n. 351 (che commina la nullit delle clausole di pagamento anticipato del canone per periodi
superiori a tre mesi) che stata implicitamente abrogata non essendo compatibile con la libert di
determinazione del canone locativo degli immobili per uso non abitativo consentita alle parti dalla legge sullequo
canone.
* Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1992, n. 6247, Carbone c. De Grecis Ville Arredamenti Srl.
In materia di locazione di immobili urbani il diritto del conduttore di ottenere la restituzione del deposito
cauzionale si prescrive nel termine ordinario decennale, atteso che la funzione di mera garanzia del suddetto

deposito ne esclude lassimilabilit al canone o, comunque, ad un corrispettivo della locazione, e che la


prescrizione breve quinquennale riguarda esclusivamente lazione del locatore volta al pagamento del canone.
* Cass. civ., sez. III, 5 giugno 1992, n. 6941, Di Geronimo c. Falconi.
A norma dell art. 11, della L. 27 luglio 1978, n. 392, gli interessi legali sul deposito cauzionale devono essere
corrisposti dal locatore alla fine di ogni anno senza che occorra una richiesta del conduttore, e, se non si cosi
provveduto, vanno restituiti unitamente al deposito una volta che il vincolo contrattuale sia stato risolto ed il
conduttore abbia integralmente adempiuto alle proprie obbligazioni.
* Cass. civ., sez. III, 28 luglio 1993, n. 8405, New Shoes Srl c. Cal P e G.
Lobbligo del locatore di un immobile urbano, di corrispondere al conduttore gli interessi legali sul deposito
cauzionale versato da questultimo - obbligo stabilito non soltanto dallart. 11, L. n. 392 del 1978 (norma
applicabile anche ai contratti in corso alla sua entrata in vigore), ma anche dallart. 4, L. n. 841 del 1973 - ha
natura imperativa, in quanto persegue finalit di ordine generale, tutelando il contraente pi debole ed
impedendo che la cauzione, mediante i frutti percepibili dal locatore, possa tradursi in un incremento del
corrispettivo della locazione; con la conseguenza che tali interessi devono essere corrisposti al conduttore
anche in difetto di una sua espressa richiesta.
* Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 1995, n. 979, Mazza c. Braghieri.
Similmente agli interessi sui salari e sulle altre prestazioni dei lavoratori, per i quali la prescrizione non pu che
decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro, per gli interessi sulla cauzione versata allatto della stipula del
contratto di locazione la prescrizione non potr mai decorrere durante il rapporto di locazione ma soltanto dalla
cessazione del medesimo.
* Pret. civ. Parma, 4 gennaio 1996, n. 2. Larini c. Levati, in Arch. loc. e cond. 1996, 256.
Lobbligo del locatore di restituire il deposito cauzionale sorge al termine della locazione, ma soltanto se il
conduttore abbia integralmente adempiuto alle proprie obbligazioni, giacch, diversamente, assume rilievo la
funzione specifica del deposito, che quella di garantire preventivamente il locatore dagli inadempimenti del
conduttore. (Nella specie il locatore aveva dedotto che la conduttrice, essendo receduta senza preavviso, gli
aveva cagionato un danno di importo corrispondente al cumulo dei canoni scaduti durante tutto il periodo per il
quale limmobile era rimasto sfitto).
* Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 1997, n. 538, Cascella c. Soc. Meridional Fusbet e C.
Il locatore, ancorch abbia ottenuto un titolo esecutivo per lintera somma dovuta dal conduttore per il mancato
pagamento dei canoni, pu soddisfare anche in parte il suo credito con il deposito cauzionale ed eccepire
lestinzione del credito di restituzione del deposito del conduttore per effetto della compensazione con il proprio
credito pregiudicando in tal modo le eventuali successive pretese del terzo creditore pignorante ex art. 543
c.p.c..
* Cass. civ., sez. III, 8 agosto 1997, n. 7360, Contarino c. Benediktinerkloster, in Arch. Ioc. e cond. 1997, 995.
DESTINAZIONE DEGLI IMMOBILI A PARTICOLARI ATTIVITA'
Con riguardo ai contratti di locazione di immobili adibiti a una delle particolari attivit di cui all'art. 42 della legge
n. 392 del 1978, il comma 2 di detto articolo, richiamando il preavviso per il rilascio di cui all'art. 28, importa
l'applicabilit a tali contratti dell'intera disciplina della durata contenuta nell'art. 28 e, pertanto, anche del diniego
motivato di rinnovazione alla prima scadenza contrattuale, dettato dagli artt. 28, comma 2, e 29 della stessa
legge.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 9 luglio 1997, n. 6227, Lazzaro c. Democrazia Cristiana, in Arch. loc.e cond. 1997,
595.
Ai fini della riconducibilit di un contratto di locazione concernente immobile non abitativo nell'ambito di
applicabilit degli artt. 67 e 42 della legge n. 392 del 1978 - per i quali rientrano nel regime transitorio di tale
legge i contratti concernenti immobili urbani adibiti ad attivit ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche
nonch a sede di partiti o di sindacati - occorre aver riguardo non alla natura od alla qualifica del conduttore,
bens all'attivit che in concreto viene svolta nell'immobile locato. (Nella specie, sulla scorta di tale principio, la
Suprema Corte ha escluso l'applicabilit della richiamata normativa con riguardo alla locazione di alcuni locali
all'Inps, da tale istituto destinati ad ufficio).
* Cass., sez. III, 5 dicembre 1985, n. 6101, Soc. Edil. Ce. c. Inps.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l'attivit scolastica
esercitata a fini di lucro integra una attivit commerciale rientrante nella previsione dell'art. 27 della legge n. 392
del 1978, e pertanto pu costituire per il locatore motivo di recesso dal contratto a norma degli artt. 73 e 29 della
detta legge la necessit di adibire l'immobile a tale attivit, senza che venga in rilievo la disposizione dell'art. 42
della stessa legge che - nel dettare particolari disposizioni per gli immobili urbani adibiti ad attivit ricreative,
assistenziali, scolastiche... - non ha escluso che la scuola possa avere fine speculativo, n ha esentato le
locazioni concernenti la stessa dall'applicabilit del richiamato art. 27.
* Cass., sez. III, 20 agosto 1985, n. 4449, Com. Napoli c. Messuri.
Il dato letterale dell'art. 42 della L. n. 392 del 1978 - relativo a quei rapporti locatizi, estranei alla previsione del
precedente art. 27, ma concernenti immobili adibiti ad attivit che per le finalit perseguite (ricreative,
assistenziali, culturali, scolastiche o politiche) o per i soggetti che le attuano, sono ritenuti meritevoli di
particolare tutela - comporta che qualsiasi contratto di locazione o di sublocazione di immobile urbano stipulato,
in qualit di conduttore, dallo Stato o da altro ente pubblico territoriale, sia assoggettato, in virt di detto
esclusivo criterio soggettivo ed indipendentemente dall'uso cui l'immobile destinato, alla disciplina propria delle
locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo nelle parti richiamate dalla citata norma (segnatamente, con
riguardo alla durata, all'aggiornamento del canone liberamente determinabile ed al preavviso di rilascio, alle
disposizioni di cui agli artt. 27, 32 e 28 della legge medesima). (Nella specie, la Suprema Corte ha affermato il
principio di cui alla massima con riguardo ad un contratto di locazione stipulato dal Comune di Roma come

conduttore e relativo ad un complesso immobiliare massimamente costituito da appartamenti da destinare ad


alloggio di famiglie sfrattate o disagiate, giusta delibera comunale richiamata nel contratto).
* Cass., sez. III, 4 marzo 1988, n. 2274, Comune di Roma c. Soc. Immobiliare Catullo.
La norma dettata dall'art. 42, comma primo, L. n. 392/1978, nella parte in cui equipara per la durata le locazioni
di immobili prevedute dall'art. 27, comma primo, della stessa legge e quelle stipulate in qualit di conduttore
dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali, non si applica a soggetti diversi da quelli espressamente
contemplati, quali la Cassa per il mezzogiorno e l'Agenzia per la promozione dello sviluppo del mezzogiorno,
che alla stregua della relativa disciplina legislativa, vanno considerati enti pubblici distinti dallo Stato e non
organi di questo.
* Cass., sez. III, 2 maggio 1990, n. 3620, Ag. Prom. Sv. Mezz. c. Soc. Fimi.
Ai fini della speciale disciplina dettata per i contratti di locazione di immobili dall'art. 42 della L. 27 luglio 1978 n.
392 non possono essere ricompresi tra gli enti pubblici territoriali enti diversi dai comuni, dalle province e dalle
regioni, anche se ad essi strutturalmente legati.
* Cass. civ., sez. III, 19 agosto 1991, n. 8880, E.R.S.A. c. Peragallo.
Rientrano nella previsione dell'art. 42 della L. n. 392/1978 tutti i contratti di locazione di immobili urbani stipulati
dallo Stato o da enti pubblici territoriali e tutti i contratti di locazione stipulati da soggetti diversi dai suddetti che
riguardino immobili che siano adibiti ad una delle attivit indicate nella norma, senza distinzione fra fine di lucro
o meno e senza alcun riferimento al carattere imprenditoriale o meno delle strutture, poich lo spirito della norma
unicamente quello di facilitare la diffusione e lo svolgimento di attivit di rilevante carattere sociale che la
Costituzione non riserva esclusivamente allo Stato e ad altri enti pubblici territoriali.
* Trib. civ. Lucca, 29 luglio 1991, Brancoli c. Giulivo, in Arch. loc.e cond., 1991, 770.
La norma di cui all'art. 42 della legge n. 392 del 1978 ha disposto la particolare disciplina - implicante fra l'altro la
non applicabilit delle disposizioni dei precedenti artt. 38 e 39 - esclusivamente in funzione del tipo di attivit
esercitata, e non vi alcun appiglio - n letterale n sistematico - per ritenere che il legislatore avesse voluto
limitare la portata della norma in relazione alle particolari modalit di esplicazione o alle finalit perseguite
dall'attivit svolta.
* Trib. Roma, 10 aprile 1985, Verdarelli c. Benedini.
L'attivit assistenziale prevista dall'art. 42 della L. 392/78 quella diretta a soddisfare le esigenze essenziali
della vita ed a difendere i cittadini contro i principali rischi dai quali possono essere colpiti, sottraendoli al loro
stato di bisogno economico, sanitario o sociale.
* Corte app. Potenza, 27 gennaio 1982, Ente Sviluppo Agricolo Basilicata c. Palese.
Le disposizioni di cui agli artt. 27 e 42 della L. n. 392/1978 sono inapplicabili agli enti pubblici non territoriali, e
non economici.
* Pret. Roma, ord. 10 febbraio 1982, Vanoni c. E.N.C.C.
L'attivit didattica impartita in un'autoscuola non rientra in quelle previste dall'art. 42 legge 392/78 essendo la
stessa esercitata con scopo di lucro ed accompagnandosi alla somministrazione di taluni servizi ed
all'espletamento di varie incombenze.
* Trib. Forl, 4 novembre 1982, n. 504, Bastoni c. Berardi.
Va considerato immobile adibito ad attivit assistenziali, agli effetti di quanto dispone l'art. 70 L. 27 luglio 1978,
n. 392, in relazione al precedente art. 42, l'immobile condotto in locazione dall'E.N.P.I., considerato il fine
statutario di questo ente, inquadrato nelle oggi pi ampie dimensioni del concetto di assistenza.
* Pret. Como, 3 aprile 1982, Societ Comense Beni Stabili Spa c. E.N.P.I. - Ente Nazionale per la Prevenzione
degli Infortuni.
I contratti di locazione e sublocazione di immobili urbani adibiti ad attivit consolari debbono ritenersi di natura
assistenziale, atteso che a norma dell'art. 5 della convenzione di Vienna del 24 aprile 1963, ratificata dalla L. 9
agosto 1967, n. 804, i consolati in particolare prestano assistenza e soccorso alle persone nonch
salvaguardano i minori e gli incapaci dello Stato di invio, sicch detti contratti rientrano tra quelli disciplinati
dall'art. 42 della L. 27 luglio 1978, n. 392 ed hanno la durata di cui al primo comma dell'art. 27 della medesima
legge.
* Cass. civ., sez. III, 19 novembre 1990, n. 11168, Consolato della Repubblica del Venezuela c. Capasso.
L'elencazione di cui all'art. 42 della L. n. 392/1978 non pu estendersi ad altre attivit ivi non previste, restando
quindi esclusa l'attivit di culto.
* Trib. Prato, 6 dicembre 1983, n. 685, Rao c. Tardito.
La destinazione dell'immobile locato ad attivit di culto, pur non essendo espressamente menzionata dall'art. 42
della L. n. 392/1978, deve ritenersi egualmente ricompresa nella previsione della norma: tale attivit, infatti,
bench non si identifichi in modo integrale ed esaustivo in alcuna delle attivit indicate nell'art. 42, ben pu
inquadrarsi, ad un tempo, sia tra le attivit ricreative sia tra quelle assistenziali sia tra quelle culturali.
* Pret. Milano, sez. II, 30 novembre 1982, n. 6011, Asti c. Oratorio Aschenazita Beth Shelomo.
I botteghini del lotto - dovendosi ritenere che negli stessi si svolga attivit ricreativa - rientrano tra le locazioni di
cui all'art. 42 della L. n. 392/1978, anche se al conduttore (gestore della ricevitoria) non pu riconoscersi il diritto
all'indennit di avviamento in quanto non qualificabile come imprenditore.
* Pret. Monza, ord. 19 ottobre 1983, Ceraso c. Colombo.
Il rapporto di locazione nel quale parte conduttrice la Camera di commercio, industria, artigianato ed
agricoltura non riconducibile all'art. 42 L. n. 392/1978.
* Pret. Firenze, 6 aprile 1987, Grazzini e altra c. Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura.
Il secondo comma dell'art. 42, L. 27 luglio 1978 n. 392, nella parte in cui contiene un richiamo all'art. 28 della
stessa legge, va interpretato in forza del suo tenore letterale nel senso che alla locazione di cui al primo comma
dell'art. 42 non si applica integralmente la disciplina contenuta nell'art. 28, ma solo quella di cui al primo comma

relativa al preavviso di rilascio, con la conseguenza che il locatore pu far cessare il rapporto alla prima
scadenza, anche in assenza dei motivi indicati nel successivo art. 29 e richiamati dal secondo comma dell'art.
28, in presenza di regolare disdetta.
* Pret. civ. Lecco, 14 ottobre 1996, n. 422, Gilardi c. Circolo lavoratori Endas.
I contratti di locazione di cui all'art. 42 della L. n. 392 del 1978, i quali hanno un regime giuridico diverso rispetto
a quello dei contratti ad uso abitativo o di quelli per uso diverso, godono di una tutela attenuata rispetto agli altri;
infatti a tali contratti applicabile il solo comma primo dell'art. 28 della legge citata e non anche il secondo,
sicch la disdetta risulta essere di per s sufficiente a produrne la cessazione alla normale scadenza del
contratto.
* Trib. Roma, sez. II, 22 marzo 1986, n. 4338, Vernarelli c. Universit degli Studi di Roma.
Alla prima scadenza dei contratti di locazione di immobili adibiti alle attivit di cui all'art. 42 L. n. 392/1978,
sufficiente ad impedire il rinnovo del contratto la mera disdetta di cui all'art. 28, legge citata, non richiedendosi
che essa sia motivata in base all'art. 29.
* Pret. Firenze, 17 maggio 1988, Istituto Gould c. Tosques.
I contratti di locazione di cui all'art. 42 della L. n. 392/1978 hanno la durata minima, prevista dall'art. 27 primo
comma della medesima legge, di sei anni. Anche a tali contratti si applicano gli istituti della rinnovazione
automatica e del diniego di rinnovazione di cui, rispettivamente, agli artt. 28 e 29 della legge sull'equo canone.
* Trib. Milano, sez. X, 7 settembre 1987, n. 7464, Aiazzi c. Ussl 75/10 - Comune di Milano.
Deve ritenersi che rispetto ai contratti considerati nell'art. 42 della legge n. 392 del 1978 non trovino applicazione
le norme relative al diritto di prelazione in caso di vendita o di nuova locazione dell'immobile.
* Corte app. Catanzaro, sez. I, 23 maggio 1985, n. 130, Minervini c. Amm. Prov. Cosenza.
In base al disposto dell'art. 42 della legge 392/78, che estende ai rapporti ivi considerati l'applicazione di alcuna
delle norme dettate per le locazioni di immobili destinati all'esercizio di attivit economiche di cui all'art. 27 della
stessa legge, onere del conduttore provare che l'immobile oggetto del contratto concretamente adibito ad
una delle particolari attivit elencate dalla norma, non essendo a tal fine sufficiente il generico richiamo alle
finalit istituzionali del conduttore.
* Corte app. Potenza, 27 gennaio 1982, Ente Sviluppo Agricolo Basilicata c. Palese.
Il richiamo contenuto nell'ultima parte dell'art. 15 bis della legge n. 94 del 1982 (c.d. Nicolazzi bis) non pu
essere inteso come applicazione di ulteriore proroga a tutti i contratti rientranti nella previsione dell'art. 42 della
legge 392 del 1978; il richiamo stesso deve intendersi limitato nell'ambito dello stesso articolo, nel senso che la
ulteriore proroga biennale si applica a quei particolari contratti, previsti dall'art. 42 della L. 392/78 che, per
quanto attiene alla durata nel periodo transitorio, sono regolati dalle disposizioni degli artt. 67 e 70 della stessa
legge.
* Trib. Roma, 9 gennaio 1984.
IL DINIEGO DI RINNOVAZIONE DEL CONTRATTO ALLA PRIMA SCADENZA
SOMMARIO: a) Albergo; b) Ambito di operativit; c) Attivit commerciale; d) Coltivatore diretto; e) Controversie;
f) Enti pubblici; g) Farmacia; h) Forma della disdetta; i) Impresa familiare; l) Onere della prova; m) Porzione di
mmobile; n) Restauro; o) Ricostruzione; p) Ristrutturazione; q) Seriet dell`intento del locatore; r) Societ di
persone; s) Specificazione dei motivi; t) Strumenti urbanistici; u) Tempestivit della disdetta; v) Terzo acquirente;
z) Utilizzazione parziale.
a) Albergo
Ad una locazione ad uso alberghiero sorta nell`anno 1938 e, quindi, soggetta al regime transitorio, non sono
applicabili gli artt. 29 e 59 della L. 392/78; conseguentemente, nessuna motivazione di diniego del rinnovo
occorre che i locatori diano con l`intimazione di finita locazione.
* Trib. civ. Torre Annunziata, sez. stralcio, 11 maggio 2001, n. 971, D`Anna L. ed altri c. Ercolano G. ed altri, in
Arch. loc. e cond. 2002, 188.
In tema di recesso dal contratto di locazione, l`art. 29, secondo comma, della L. 27 luglio 1978 n. 392, in materia
alberghiera, ha natura speciale rispetto al primo comma e contiene una regolamentazione autonoma rispetto
alla generalit degli immobili adibiti ad uso diverso dall`abitazione; ne consegue che solo nelle specifiche ipotesi
ivi previste, e cio, in caso di ristrutturazione dell`immobile, ferma restando la destinazione alberghiera, o di
apporto allo stesso di notevoli migliorie tali da aumentarne la capacit ricettiva, o comunque da determinare il
passaggio dell`azienda ad una categoria superiore, qualora l`immobile sia oggetto di intervento sulla base di un
programma comunale di attuazione ai sensi delle leggi vigenti, o, infine, in caso di esercizio diretto della attivit
alberghiera possibile per il proprietario ottenere la disponibilit dell`immobile, restando esclusa la possibilit di
esercitare la facolt di far cessare tale locazione per necessit abitativa contemplata, per gli altri immobili adibiti
ad uso diverso dall`abitazione, dalla lett. a) del primo comma.
* Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 1990, n. 11954, Scarpa c. Nardi.
In tema di locazione alberghiera la facolt di recesso del locatore per esercitare nell`immobile locato la
medesima attivit del conduttore non subordinata all`accertamento del requisito della capacit professionale,
da documentare con il nulla osta della autorit amministrativa preposta al settore alberghiero, atteso che l`art. 29
della legge n. 392 del 1978 (applicabile anche nel regime transitorio per l`espresso disposto dell`art. 73 della
stessa legge) limita il suo richiamo solo all`art. 5 della legge n. 191 del 1963 (come modificato dall`art. 4 bis della
L. 28 luglio 1967 n. 628) e non anche al successivo art. 6, che tale nulla osta prevedeva e che deve altres
ritenersi abrogato, ai sensi dell`art. 15 delle preleggi, per incompatibilit con la nuova disciplina organica della
materia locatizia introdotta dalla legge dell`equo canone.
* Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1994, n. 5664, Raimondo c. Iacoangeli.
In tema di locazioni urbane, la disciplina dettata dall`art. 29, secondo comma, della L. 27 luglio 1978 n. 392, con
riguardo agli immobili adibiti all`esercizio di albergo, pensione o locanda, trova applicazione anche con riguardo

agli immobili adibiti all`esercizio dell`attivit di affittacamere, la quale, sia pure con proporzioni ridotte, presenta
caratteristiche imprenditoriali analoghe.
* Cass. civ., sez. III, 13 luglio 1982, n. 4124, Tabacco c. Maggiorino.
b) Ambito di operativit
Il diniego di rinnovo del contratto di locazione non abitativa alla prima scadenza non trova ostacolo nel mancato
possesso, da parte del locatore, delle specifiche necessarie autorizzazioni amministrative, che non possono
incidere sul rapporto privatistico di locazione; n rileva l`eccepita disponibilit di altri immobili utilizzabili per la
destinazione addotta, avendo il locatore il diritto insindacabile di scegliere quello ritenuto pi idoneo.
* Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 2002, n. 537, Miniero c. Esposito Lazzazara.
In tema di locazione di immobili destinati ad una delle particolari attivit indicate dall`art. 42 della L. 27 luglio
1978 n. 392, il secondo comma del citato art. 42, nella parte che richiama il preavviso per il rilascio di cui all`art.
28 e lo dice applicabile ai contratti indicati nel primo comma, assoggetta questi contratti alla disciplina del
diniego di rinnovazione alla prima scadenza contrattuale dettata dagli artt. 28 comma secondo e 29 della stessa
legge.
* Cass. civ., sez. III, 5 novembre 1991, n. 11756, Ministero dell`Interno c. Zannelli.
In materia di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, alla cessazione del regime transitorio, non
solo la rinnovazione tacita del contratto, ma a maggior ragione la stipulazione (tra le stesse parti e avente ad
oggetto il medesimo immobile ancora occupato dal conduttore) di un nuovo contratto, svincolato da quello
precedente, determina l`assoggettamento del rapporto locativo alla disciplina ordinaria e quindi anche la
applicazione alla prima scadenza del nuovo contratto delle norme in materia di diniego della rinnovazione di cui
agli artt. 28 e 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392.
* Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 1996, n. 8786, Buongiovanni c. Landucci.
La semplice classificazione di un immobile come suscettivo di intervento di recupero nell`ambito di un
programma pluriennale di attuazione non sufficiente a realizzare il presupposto di cui all`art. 29 lett. c) legge n.
392/78.
* Pret. civ. Piacenza, 15 febbraio 1982, n. 43, Grazioli e altri c. Bigatti.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza sufficiente che nella disdetta si faccia
riferimento ad una delle ipotesi prefigurate dall`art. 29 della L. n. 392/78 nel caso in cui il locatore, per motivi
organizzativi e strutturali, non sia in grado - pur nella certezza della destinazione dell`immobile ad una delle
attivit previste dalla norma - di determinare all`origine ed in dettaglio l`utilizzazione specifica che ne sar fatta.
(Fattispecie nella quale una Banca, locatrice di immobile, aveva indicato nella disdetta di voler utilizzare lo
stesso "per ampliamento della propria attivit" senza ulteriormente specificare per quale servizio bancario
particolare il medesimo immobile sarebbe stato utilizzato).
* Trib. civ. Bologna, sez. III, 16 maggio 1991, n. 373, Soc. Banca Agricola Mantovana c. Mistroni.
La clausola con cui le parti fanno decorrere il termine di preavviso del diniego di rinnovazione dalla data di
spedizione della raccomandata che contiene la disdetta motivata e non dalla data in cui la relativa
comunicazione pervenga al conduttore, nulla ai sensi dell`art. 79 L. n. 392/1978.
* Pret. civ. Milano, sez. I, 12 novembre 1990, Fidinvest Spa c. Banca del Monte di Lombardia.
c) Attivit commerciale
In tema di locazione di immobili urbani destinati ad uso non abitativo il diniego del rinnovo del contratto alla
prima scadenza per l`intenzione del locatore di destinare l`immobile all`esercizio della propria attivit
commerciale, non pu trovare ostacolo nel mancato possesso da parte del locatore medesimo delle specifiche
necessarie autorizzazioni amministrative, che non possono incidere sul rapporto privatistico di locazione, pur
essendo tenuto il giudice, ai sensi dell`art. 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392, a verificare la seriet,
concretezza e attualit del proposito del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 22 maggio 1997, n. 4568, Noi Incontro Soc. c. Comandini.
Ai fini della cessazione della locazione d`immobile destinato ad uso diverso dall`abitazione per diniego di
rinnovo del contratto alla prima scadenza da parte del locatore per il manifestato proposito di esercitarvi attivit
commerciale (o anche alberghiera), irrilevante il difetto delle prescrizioni richieste per l`esercizio del
commercio, quale l`iscrizione nel registro degli esercenti commerciali, trattandosi di inosservanza di norme non
operanti nell`ambito del rapporto privatistico.
* Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1994, n. 5664, Raimondo c. Iacoangeli.
In tema di diniego di rinnovazione della locazione non abitativa alla prima scadenza del contratto per la
necessit addotta dal locatore di adibire l`immobile ad esercizio in proprio di attivit commerciale (nella specie,
negozio di rivendita di generi alimentari), ove il conduttore deduca l`impedimento della detta destinazione per
impossibiit giuridica delle necessarie autorizzazioni amministrative, con riguardo ai disposti di regolamenti
locali, il giudice deve provvedere d`ufficio all`acquisizione di tali fonti normative per il principio iura novit curia.
* Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 1992, n. 11095, Carmelo c. Morelli.
La disciplina di cui all`art. 29 L. n. 392/78 (diniego di rinnovazione alla prima scadenza solo per i casi ivi
tassativamente indicati), si applica anche laddove le parti di un contratto di locazione commerciale abbiano
pattuito convenzionalmente che il suddetto contratto abbia durata superiore a quella minima imposta dalla legge
(nella fattispecie quindicennale).
* Trib. civ. Modena, sez. II, 12 settembre 2001, X c. Y.
d) Coltivatore diretto
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il d<%-2>iniego di rinnovazione
del contratto alla prima scadenza, previsto dall`art. 29 lett. b) della legge 27 luglio 1978 n. 392 per il caso in cui il
locatore intenda adibire l`immobile ad una delle attivit indicate nel precedente art. 27, si riferisce a tutte le
attivit elencate in tale ultima norma, ivi compreso, pertanto, l`esercizio abituale e professionale di lavoro

autonomo. Ne consegue che la suddetta disposizione pu essere invocata anche dal coltivatore diretto, per
riacquistare la disponibilit dell`immobile locato, pure se non insistente sul fondo coltivato, in relazione ad
esigenze che rientrino funzionalmente nell`economia dell`impresa agricola (nella specie, conservazione dei
prodotti del fondo in vista della successiva vendita).
* Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1983, n. 2972, Bozzo c. De Angelis.
e) Controversie
Per la controversia che riguarda il rilascio di immobile ad uso non abitativo per finita locazione alla scadenza
fissata dalle disposizioni transitorie della legge sull`equo canone, senza che siano posti in discussione i motivi di
recesso previsti dagli artt. 73 e 29 stessa legge (dal locatore non invocati) e senza che il conduttore abbia
richiesto in via riconvenzionale la determinazione dell`indennit eventualmente spettante per la perdita
dell`avviamento commerciale, non va applicata la disciplina processuale di cui all`art. 30 della legge n. 392/1978
e la competenza va determinata secondo gli ordinari criteri di valore dettati dal codice di procedura civile.
* Cass. civ., sez. III, 10 settembre 1999, n. 9614, Borriello c. Inail, in Arch. loc. e cond. 2000, 56.
Poich l`obbligo del giudice di conoscere le norme vigenti dell`ordinamento si estende ai regolamenti locali che
integrino elementi fondamentali della fattispecie dedotta in giudizio, qualora, in tema di diniego di rinnovo della
locazione non abitativa alla prima scadenza del contratto, il conduttore alleghi che il regolamento edilizio
ostativo alla realizzazione della modifica di destinazione del bene indicata nella dichiarazione effettuata dal
locatore ai sensi dell`art. 29 della legge n. 392 del 1978, la cognizione del giudice deve estendersi al
regolamento, da acquisirsi all`occorrenza anche d`ufficio.
* Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 2000, n. 361, Randazzo c. Cosentino.
La giurisdizione del giudice ordinario, nella controversia che il locatore promuova nei confronti del conduttore per
ottenere la cessazione del rapporto, in relazione alla dedotta esigenza di procedere ad integrale ristrutturazione
dell`immobile, non resta esclusa, in favore della giurisdizione del giudice amministrativo, per il fatto che si debba
accertare, quale condizione di legge della domanda, il conseguimento da parte dell`istante di licenza o
concessione edilizia per l`esecuzione di dette opere (nella specie, ai sensi dell`art. 29, lett. c della L. 27 luglio
1978 n. 392), nonch la legittimit, formale e sostanziale, di tale licenza o concessione, poich la relativa
indagine ha carattere meramente incidentale, in una causa che investe diritti soggettivi scaturenti da un rapporto
privatistico (e rispetto alla quale resta estranea l`autorit amministrativa che ha adottato detto provvedimento).
* Cass. civ., Sezioni Unite, 18 dicembre 1985, n. 6449, Soc. Bettuzzi c. Soc. Imm. S. Greco.
Qualora il locatore di immobile eserciti il recesso, per la necessit di procedere a lavori di ristrutturazione del
bene (art. 29 lett. c della L. 27 luglio 1978, n. 392), le questioni poste dal conduttore sulla legittimit del
provvedimento municipale di autorizzazione di dette opere, mentre sono conoscibili, in via incidentale, dal
giudice ordinario, nell`ambito della controversia fra le parti del rapporto locativo, sui diritti inerenti al rapporto
stesso, spettano alla giurisdizione del giudice amministrativo, ove siano sollevate, in via principale, con
domanda di annullamento del provvedimento proposta nei confronti del comune, dato che tale domanda attiene
al rapporto con l`amministrazione e si ricollega all`interesse legittimo dell`istante circa l`osservanza
dell`amministrazione medesima alle norme che regolano la sua attivit pubblicistica a tutela di esigenze
generali.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 23 gennaio 1990, n. 369, Soc. Bettuzzi c. Res. Soc. Imm. S. Greg.
L`elezione di domicilio fatta dalla parte in sede di stipula del contratto (nella specie: locazione) deve ritenersi a
carattere non esclusivo, in difetto di chiara ed espressa volont contraria e, come tale, non ostativa a che l`atto
unilaterale recettizio inerente al rapporto contrattuale (nella specie: comunicazione del diniego di rinnovazione
alla prima scadenza ex art. 29 della legge sull`equo canone) venga trasmesso al diverso indirizzo della parte
medesima, ai sensi dell`art. 1335 c.c.
* Cass. civ., sez. III, 23 settembre 1996, n. 8399, Graziano c. Fattibene.
In tema di diniego della rinnovazione alla prima scadenza della locazione non abitativa per uno dei motivi indicati
nell`art. 29 della L. 27 luglio 1978, n. 392, la motivata disdetta si pone come condizione di procedibilit della
domanda di rilascio che, pertanto, pu essere fondata solo sugli stessi motivi indicati nella disdetta.
* Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 1995, n. 1865, Gattor c. Prisco.
In tema di diniego di rinnovazione della locazione non abitativa a norma dell`art. 29, lett. b) legge n. 392 del
1978, l`accertamento relativo alla corrispondenza della destinazione effettiva dell`immobile a quella indicata dal
locatore si risolve in un apprezzamento di fatto, riservato al giudice del merito, non censurabile in sede di
legittimit qualora sia sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici. (Nella specie, la S.C. ha
confermato la decisione di merito che ha ritenuto il diniego di rinnovazione fondato sulla seria intenzione,
espressa dal locatore, di adibire l`immobile ad attivit di pittore, sul presupposto che anche la sola eventualit di
vendita al pubblico dei propri quadri sia sufficiente ad integrare la pi ampia destinazione ad una fruizione
pubblica, che conferisce natura imprenditoriale all`attivit del locatore medesimo e legittima il diniego di
rinnovazione).
* Cass. civ., sez. III, 16 aprile 1996, n. 3562, Fichera c. Viola.
La sentenza di accertamento della risoluzione di un contratto ad esecuzione continuata, quale quello di
locazione, per recesso unilaterale di una parte, ai sensi dell`art. 1373 c.c., o per diniego di rinnovazione alla
prima scadenza, ai sensi dell`art. 29 della L. 27 luglio 1978 n. 392, non preclude la pronuncia, in un successivo
e distinto giudizio, della sentenza di risoluzione del medesimo contratto per inadempimento anteriormente
verificatosi, la cui domanda ha contenuto e presupposti diversi, e tale ultima pronuncia, sebbene di carattere
costitutivo, avendo efficacia retroattiva al momento dell`inadempimento (art. 1458 c.c.), prevale rispetto alle altre
cause di risoluzione del medesimo rapporto contrattuale per la priorit nel tempo dell`operativit dei suoi effetti.
* Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 1993, n. 2070, Galli c. Togni.
f) Enti pubblici

Anche i contratti di locazione di immobili destinati ad una delle attivit particolari indicate dall`art. 42 della legge
sull`equo canone e quelli stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in qualit di conduttori sono
soggetti, in virt dell`espresso rinvio contenuto nell`ultimo comma dell`art. 42, al regime della tacita rinnovazione
alla prima scadenza in mancanza di disdetta per uno dei motivi indicati dall`art. 29 della stessa legge.
* Cass. civ., sez. III, 14 novembre 1991, n. 12167, Min. Poste e Telecomunicazioni c. Tosti A.
L`art. 29 comma primo lett. b) della L. 27 luglio 1978 n. 392 in forza del quale pu essere negato il rinnovo della
locazione di immobili non abitativi alla prima scadenza quando il locatore sia un ente pubblico o di diritto
pubblico che intenda adibire l`immobile locato per l`esercizio di attivit tendenti al conseguimento delle loro
finalit istituzionali, non applicabile agli enti con scopi di assistenza e beneficenza, anche di origine religiosa
come le Opere Pie, che, non essendo di diretta creazione statale, hanno natura di enti privati.
* Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1993, n. 8380, Cemon Srl c. Prov. Ital. Ist. Suore Rave di santa Elisabetta.
Ai fini dell`applicabilit dell`art. 29 della legge n. 392 del 1978 - in forza del quale pu essere negato il rinnovo
del contratto di locazione concernente immobile non abitativo alla prima scadenza, qualora il locatore sia un
ente pubblico o di diritto pubblico ed intenda adibire l`immobile stesso all`esercizio di attivit tendenti al
conseguimento delle sue finalit istituzionali - esula dalla nozione di ente pubblico il beneficio parrocchiale, il
quale svolge attivit essenzialmente religiosa, persegue finalit non riconducibili fra quelle di interesse generale
demandate alla P.A. e non fa parte dell`organizzazione dello Stato.
* Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1985, n. 5118, Di Palma c. Scognamiglio.
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, il diniego della rinnovazione del contratto ai sensi
dell`art. 29, lett. b) della L. n. 392 del 1978 qualora il locatore, trattandosi di una P.A., intenda adibire l`immobile
all`esercizio di attivit tendenti al conseguimento delle finalit istituzionali, postula che la dedotta necessit abbia
carattere di seriet e di attualit, non anche di definitivit. (Nella specie, un comune aveva addotto la necessit
di sistemare nuovo personale assunto per effetto della L. n. 285 del 1977 sull`occupazione giovanile ed il giudice
del merito, la cui pronuncia stata confermata dalla S.C. alla stregua del principio esposto, aveva accolto la
domanda).
* Cass. civ., sez. III, 3 marzo 1989, n. 1194, Messina c. Com. Frazzan.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora il locatore, trattandosi di ente
pubblico anche non economico, intenda adibire l`immobile all`esercizio di attivit tendenti al conseguimento
delle sue finalit istituzionali, non pu nella comunicazione del diniego della rinnovazione del contratto ai sensi
dell`art. 29 lett. b) della legge 27 luglio 1978 n. 392, limitarsi ad un generico richiamo dei suoi fini istituzionali, in
special modo in caso di molteplicit e diversificazione di essi, ma deve specificare, ai sensi del quarto comma
dell`art. 29 citato, la concreta attivit da svolgere nell`immobile, perch il conduttore ed il giudice devono essere
messi in condizione di verificare la seriet e l`attuabilit della intenzione indicata nonch di accertare in sede
contenziosa la ricorrenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto di diniego del rinnovo, oltre che di
operare il successivo controllo sull`effettiva destinazione dell`immobile all`uso indicato, in caso di richiesta di
applicazione delle misure sanzionatorie previste dall`art. 31.
* Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2000, n. 15752, Maimone c. Azienda Usl/5 Messina.
g) Farmacia
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso non abitativo, il diniego della rinnovazione del contratto alla prima
scadenza ai sensi dell`art. 29 della L. n. 392 del 1978 pu essere esercitato anche con riguardo ai locali adibiti
ad esercizio di farmacia, non sussistendo nella citata legge alcuna disposizione in contrario.
* Cass. civ., sez. III, 21 novembre 1988, n. 6272, La Vista c. Curini.
La disposizione di cui all`art. 35 della L. n. 253 del 1950, secondo cui non pu eseguirsi lo sfratto dai locali
adibiti ad esercizio di farmacia senza la previa autorizzazione prefettizia, attiene alla fase esecutiva del
provvedimento di rilascio e non enuncia un presupposto della decisione di cessazione del rapporto locativo da
emettere in sede di cognizione. (Nella specie giudizio di recesso ai sensi degli artt. 29 lett. b e 73 della L. 27
luglio 1978 n. 392).
* Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 1994, n. 8784, Barbero c. Vernassa.
h) Forma della disdetta
La disdetta della locazione, comunitata a fini di diniego della rinnovazione tacita, alla prima scadenza, di un
rapporto relativo ad un immobile adibito ad uso non abitativo deve necessariamente pervenire al conduttore
nella forma della lettera raccomandata, ma non anche obbligatoriamente provenire dal locatore, che pu
legittimamente incaricare, all`uopo, un diverso soggetto (in qualit di mandatario) in forma anche soltanto
verbale, poich l`onere dell`avviso al conduttore per il tramite della raccomandata sancito (attesa la natura
recettizia dell`atto) unicamente al fine di garantire a quest`ultimo una tempestiva conoscenza dell`intenzione
della controparte.
* Cass. civ., sez. III, 28 giugno 1997, n. 5802, Fag Ind Mobili c. Europa Auto.
Dalla norma dell`art. 1335 c.c. che collega la presunzione di conoscenza delle dichiarazioni recettizie al fatto che
esse giungano all`indirizzo del destinatario, deriva che tale dichiarazione deve ritenersi conosciuta dal
destinatario medesimo, a meno che non provi di non averne avuto notizia senza sua colpa, mentre il mittente
non tenuto a provare tale conoscenza, essendo sufficiente che dimostri l`avvenuto recapito della dichiarazione
all`indirizzo del destinatario, non essendo necessario che egli provi invece la ricezione della dichiarazione da
parte del destinatario o di persona autorizzata a riceverla, ai sensi dell`art. 37 del regolamento di esecuzione del
codice postale (R.D. n. 698 del 1940). (Fattispecie concernente la disdetta dal contratto di locazione di immobile
non abitativo ai sensi dell`art. 29 legge 27 luglio 1978 n. 392).
* Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 1997, n. 12866, Rtc Soc. Roma c. Mendici Tabet.
In tema di diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di immobile ad uso diverso
dall`abitazione, la comunicazione da effettuarsi ai sensi dell`art. 29 L. 27 luglio 1978, n. 392, quantunque

contenente l`indicazione di un motivo specifico, deve essere sottoscritta personalmente ed in forma autografa
dal locatore, conseguendo, diversamente, la nullit della stessa.
* Pret. civ. Salerno, 5 febbraio 1990, n. 62, Valente c. Norditalia Assicurazioni Spa.
Nell`ipotesi di diniego di rinnovazione alla prima scadenza per la locazione di immobili adibiti ad uso diverso
dall`abitazione, per la disdetta richiesta solo una particolare modalit di trasmissione, mentre la mancanza
assoluta della sottoscrizione, da parte del locatore, non comporta l`inefficacia della stessa, qualora la
raccomandata, non sottoscritta da alcuno, sia poi integrata in giudizio da elementi probatori idoeni a dimostrare
che l`atto aveva, comunque, perseguito lo scopo di far conoscere al conduttore la volont del locatore stesso.
L`atto di intimazione produce l`effetto di ratificare la disdetta intimata dal procuratore del locatore, difettante
precedentemente al giudizio di procura, ed il conduttore non deve ritenersi terzo rispetto a tale ratifica.
* Pret. civ. Salerno, 22 marzo 1991, n. 152, Gioia c. Laudati.
i) Impresa familiare
Costituisce valido motivo di diniego della rinnovazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non
abitativo l`intenzione di destinarlo, ai sensi dell`art. 29, lettera b) della L. n. 392 del 1978, all`esercizio dell`attivit
commerciale praticata dalla figlia del locatore in regime di impresa familiare insieme al di lei marito, ancorch
titolare ne sia quest`ultimo, atteso che la disciplina dettata al riguardo dall`art. 230 bis cod. civ. - conferendo ai
familiari ed al coniuge collaboratori nell`impresa poteri direttivi e di gestione patrimoniale - consente, in presenza
di idonei elementi presuntivi, di considerarli contitolari dell`impresa stessa.
* Cass. civ., sez. III, 29 febbraio 1988, n. 2122, Gargiulo c. De Lizza.
l) Onere della prova
In tema di locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo, grava sul locatore che agisce per fare valere
la facolt di diniego del rinnovo del contratto alla prima scadenza per uno dei motivi indicati dall`art. 29 della
legge sull`equo canone, l`onere di provare - ove sorga al loro riguardo contestazione - gli elementi richiesti dalla
legge, quali, in particolare, se il diniego sia fatto dipendere dai motivi indicati dalla lett. b del predetto articolo, il
rapporto di parentela che lo lega al soggetto in favore del quale chiede il rilascio e la seriet dell`intenzione di
destinare l`immobile ad una delle attivit di cui all`art. 27.
* Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 1992, n. 11734, Tragletti c. Dolei.
m) Porzione di immobile
In difetto di patto contrario, il locatore di immobile urbano per uso abitativo pu esercitare la facolt di diniego
della rinnovazione tacita del contratto alla prima scadenza, nei casi previsti dall`art. 29 della L. 27 luglio 1978 n.
392, anche soltanto per una porzione dell`immobile, ove questa sia idonea a soddisfare l`indicata necessit e
l`immobile possa essere comodamente diviso, salva restando la facolt del creditore di scegliere tra il
mantenimento del rapporto per la parte residua o il suo integrale scioglimento.
* Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 1994, n. 10686, Breschi c. Lippi.
n) Restauro
Ai fini della facolt di recesso del locatore dal contratto di locazione nell`ipotesi di cui al combinato disposto degli
artt. 73 e 29 lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, la nozione di -completo restauro", da riferirsi all`immobile
locato e non all`intero edificio, va ricavata dall`art. 31 della L. 5 agosto 1978 n. 457, e consiste in un intervento
caratterizzato da un insieme sistematico di opere, tra loro coordinate ed effettuate in una visione di compiutezza
su una pluralit di parti dell`immobile, s da conferire a questo, pur nel rispetto dei suoi elementi tipologici,
formali e strutturali, una nuova identit, o comunque un quid novi che presenti l`immobile come ontologicamente
e qualitativamente diverso da quello precedente, mentre gli interventi di manutenzione straordinaria, i quali non
danno luogo alla facolt di recesso, pur consistendo, in genere, in opere di una certa consistenza dirette a
rinnovare e sostituire parti anche strutturali dell`immobile, sono privi del detto carattere di sistematicit e di
compiutezza, e si concretano in un`attivit edilizia di conservazione che non comporta una modificazione
ontologica di risultato rispetto a ci che preesisteva, n, in relazione all`estensione dell`intervento, una diversit
qualitativa dell`immobile.
* Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1984, n. 4740, Pagani c. Cassinelli.
o) Ricostruzione
In tema di diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di immobile urbano adibito ad
uso non abitativo, ai sensi dell`art. 29 lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, la ricostruzione dell`edificio previa
demolizione comporta la cessazione dell`oggetto del rapporto, generato dal contratto di locazione, che
sostituito da un bene diverso, ancorch riproduca la struttura di quello demolito; l`integrale ristrutturazione
comporta, come risultato, la modificazione della struttura dell`edificio, che viene ad assumere un diverso modo
d`essere e, perci, il sorgere di un quid novi; il completo restauro comporta il ripristino dell`edificio nel suo modo
di essere originario, attraverso il quasi integrale rifacimento delle parti distrutte o deteriorate e la eliminazione di
aggiunzioni sovrapposte.
* Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 1982, n. 5452, Grovili c. Cellino S. Marco.
p) Ristrutturazione
Ai sensi dell`art. 29 della legge n. 392 del 1978 il possesso della prescritta licenza o concessione costituisce una
condizione dell`azione quando il rilascio dell`immobile locato sia richiesto per ricostruirlo, o ristrutturarlo, ovvero
restaurarlo (art. cit. lett. c), non anche quando venga chiesto per la finalit di cui alla precedente lett. a) ed
occorra ristrutturare l`immobile per adattarlo alle (nuove) esigenze abitative fatte valere, con la conseguenza che
in quest`ultima ipotesi il mancato conseguimento della licenza per i necessari lavori pu comportare la
sopravvenuta impossibilit di destinare l`immobile all`uso per il quale stato ottenuto il rilascio, e l`eventuale
applicazione delle sanzioni previste dall`art. 31 della citata legge n. 392 del 1978.
* Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 1987, n. 1739, Natale c. Muzzo.
In tema di recesso da contratto di locazione di immobile adibito ad uno diverso da quello di abitazione ai sensi

dell`art. 29 lett. b) della L. 27 luglio 1978 n. 392 e nel caso in cui il locatore (nella specie, una banca che
intendeva aprire nei locali una propria filiale), per utilizzare l`immobile, debba eseguire lavori di ristrutturazione e
trasformazione, non costituiscono condizioni necessarie all`azione di rilascio n il possesso della prescritta
concessione edilizia per l`esecuzione delle opere predette, n il rilascio dell`autorizzazione amministrativa per il
mutamento della destinazione d`uso, salvo che la disciplina urbanistica precluda in modo assoluto e
inderogabile l`adozione dei predetti provvedimenti, cos da rendere impossibile l`attuazione della nuova
destinazione.
* Cass. civ., sez. III, 24 marzo 1995, n. 3421, Sita spa c. Banca Popolare dell`Etruria e del Lazio.
In tema di diniego di rinnovazione della locazione non abitativa alla prima scadenza del contratto, ai sensi
dell`art. 29 della L. n. 392 del 1978, nell`ipotesi di integrale ristrutturazione o di completo restauro ai sensi della
lett. c) dell`art. 29 cit. (da valutarsi in relazione non all`edificio nel suo complesso ma alla singola unit
immobiliare locata), l`impossibilit di permanenza del conduttore nel godimento del bene oggetto di una
presunzione iuris tantum (data l`ampiezza dell`intervento operativo) che esonera il locatore-attore da ogni prova
al riguardo ma che superabile, per via di eccezione, dal conduttore-convenuto.
* Cass. civ., sez. III, 22 marzo 1995, n. 3266, Winkler Ulrich c. Lauderi ed altro.
Ai fini del diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di immobili ad uso abitativo,
qualora il locatore intenda, ai sensi dell`art. 29, comma 1, lett. c) della L. n. 392 del 1978, demolire l`immobile
per ricostruirlo ovvero procedere alla sua integrale ristrutturazione o completo restauro ovvero eseguire su di
esso un intervento sulla base di un programma comunale pluriennale di attuazione, il possesso della prescritta
concessione amministrativa, costituendo condizione dell`azione di rilascio, deve sussistere al momento della
decisione. Pertanto, la sopravvenuta inefficacia della concessione, per mancato inizio dei lavori nel termine di un
anno, impedisce la pronuncia di rilascio.
* Cass. civ., sez. III, 25 settembre 1996, n. 8460, Sica Snc c. Battaglini.
L`art. 29 lett. c) della legge n. 392 del 1978, nel consentire al locatore di immobile urbano adibito ad uso diverso
da quello di abitazione il diniego di rinnovazione alla prima scadenza (ovvero, in regime transitorio, il recesso dal
contratto ai sensi dell`art. 73 della legge stessa) nel caso in cui intenda procedere, tra l`altro, all`-integrale
ristrutturazione", si riferisce esclusivamente all`immobile locato e non all`intero edificio di cui quello fa parte,
risultando ci sia dal dato testuale - che usa la dizione -immobile" e non quella di -edificio" - e dalla possibile
indipendenza funzionale del singolo immobile locato, sia dalla ratio della disposizione, potendo l`integrale
ristrutturazione del singolo immobile essere impedita dalla permanenza in esso del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 1991, n. 296, Pitronacci c. Puleo.
Il combinato disposto dell`art. 73 e dell`art. 29 lett. d) della L. 27 luglio 1978 n. 392, <%-2>nell`ammettere il
recesso del locatore in caso di ristrutturazione di immobile destinato ad uso non abitativo, al fine di rendere la
superficie del locale conforme a quanto previsto dall`art. 12 della legge 11 giugno 1971 n. 426, sempre che le
opere da effettuarsi rendano incompatibile la permanenza del conduttore nell`immobile stesso, consente la
ristrutturazione non solo quando questo sia libero e nella disponibilit del proprietario, ma anche nel corso del
rapporto locatizio, restando affidato al giudice del merito il compito di valutare se i lavori autorizzati dalle
competenti autorit comunali - il cui provvedimento condizione per l`esercizio dell`azione di rilascio - siano o
meno compatibili con la prosecuzione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 20 maggio 1983, n. 3498, Di Donna c. Ciarrapico.
In tema di locazione concernente immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione, per il diniego della
rinnovazione alla prima scadenza del contratto quando il locatore intenda effettuare lavori di ristrutturazione, ai
sensi dell`art. 29 lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, l`intervento edilizio deve riguardare l`immobile oggetto del
contratto, a nulla rilevando che i progettati lavori interessino altre parti dell`edificio in cui detto immobile situato,
o che per la loro esecuzione il locatore abbia a subire un aggravio di spesa in conseguenza della permanenza
del conduttore nello stesso, venendo quest`ultima situazione in rilievo solamente nella diversa ipotesi, prevista
dalla lett. d) del medesimo art. 29, dell`esecuzione di interventi sulla base di un programma comunale
pluriennale di attuazione, ai sensi delle leggi vigenti.
* Cass. civ., sez. III, 14 maggio 1984, n. 2929, Cuochi c. Molinaro.
L`integrale ristrutturazione dell`immobile locato - che legittima, ai sensi dell`art. 29 lett. c) della L. n. 392 del
1978, il recesso del locatore dal contratto concernente immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione non ristretta ai soli casi di rifacimento o rafforzamento degli elementi essenziali dell`immobile stesso, ma
comprende anche i casi di modificazione e trasformazione, che lo interessino nella sua totalit e si traducano
nella realizzazione, dal punto di vista qualitativo, di un`entit del tutto diversa da quella preesistente. Tale
intervento, inoltre, va riferito esclusivamente all`unit immobiliare locata e non all`intero edificio di cui questa
faccia parte.
* Cass. civ., sez. III, 22 marzo 1995, n. 3266, Winkler Ulrich c. Lauderi ed altro.
In tema di recesso del locatore dal contratto di locazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 73 e 29 lett.
c) della legge n. 392 del 1978, la nozione di integrale ristrutturazione va ricavata dall`art. 31 della L. 5 agosto
1978 n. 457 che, nella definizione degli interventi sull`immobile, ha carattere di norma generale, in
considerazione della sua inclusione tra le norme generali per il recupero del patrimonio edilizio ed urbanistico
esistente, nonch del disposto dell`ultimo comma dello stesso articolo per il quale le definizioni in questione
prevalgono sulle disposizioni degli strumenti urbanistici generali e dei regolamenti edilizi. Rientrano
conseguentemente nella nozione di integrale ristrutturazione (distinta dalla manutenzione straordinaria, avente
finalit solo conservative) gli interventi che comportano, come risultato, modificazione della struttura
dell`immobile, che viene a costituire una entit ontologicamente o qualitativamente diversa da quella
precedente.
* Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1987, n. 5058, Ceracchi c. Prabboni.

q) Seriet dell`intento del locatore


Gli artt. 28 e 29 della L. 27 luglio 1978 n. 392, che consentono al locatore di escludere alla prima scadenza la
rinnovazione del contratto di locazione di immobile destinato per uso non abitativo, non richiedono la necessit
ma solo la seria intenzione del locatore di servirsi dell`immobile per uno degli scopi indicati dall`art. 29 cit. per
cui, ove il motivo sia quello di destinare l`immobile per il trasferimento di un`attivit commerciale (propria o di un
familiare) gi esercitata in altro locale, il diniego non presuppone la inidoneit di questi locali n pu essere
impedito dalla circostanza che il trasferimento comporterebbe un aggravio di spese o lo sviamento della
clientela.
* Cass. civ., sez. III, 12 maggio 1993, n. 5413, Priolo c. Di Mauro.
Il diniego di rinnovo alla prima scadenza del contratto di locazione di un immobile urbano non abitativo per
l`intenzione del locatore di destinare l`immobile all`esercizio della propria attivit commerciale, non pu trovare
ostacolo nella mancanza di elementi di carattere amministrativo - quali l`autorizzazione all`esercizio della nuova
attivit o l`iscrizione alla camera di commercio - che oltre a presupporre, nella generalit dei casi, la raggiunta
disponibilit dei locali, non possono incidere nell`ambito della disciplina del rapporto privatistico della locazione,
stante la loro attinenza alla normativa pubblicistica.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 1999, n. 463, Pianeta Paradies Srl fall. c. Serenissima Sas di Bertocco Patrizia.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di
abitazione, alla prima scadenza, ai sensi dell`art. 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392, l`intenzione di destinare
l`immobile alla propria attivit professionale deve esprimere un intento serio, cio realizzabile tecnicamente e
giuridicamente.
* Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 2000, n. 358, Immob. Sirios Spa c. Eltrongros Spa.
Gli artt. 28 e 29 della L. 27 luglio 1978 n. 392, che consentono al locatore di escludere alla prima scadenza la
rinnovazione del contratto di locazione di immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, non richiedono la
necessit ma solo l`intenzione del locatore di servirsi dell`immobile per uno dei motivi indicati dallo stesso art.
29, ci che, per, non esclude che, in caso di controversia, il giudice debba verificare la seriet e realizzabilit
dell`intento del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 1991, n. 10758, Lumachi c. Martinelli.
La comunicazione del diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di un immobile
adibito ad uso diverso da quello abitativo non pu limitarsi ad una generica dichiarazione dell`intento di svolgere,
da parte del locatore, nell`immobile stesso, una attivit non meglio specificata (pur se ricompresa tra quelle
previste dall`art. 29 della legge sull`equo canone), ma deve contenere, a pena di nullit, inequivoche indicazioni
in relazione alla medesima, sia perch, in mancanza, il conduttore non sarebbe in grado di valutare la seriet
dell`intenzione indicata (n il giudice potrebbe verificare, in sede contenziosa, la sussistenza delle condizioni per
il riconoscimento del diritto al rinnovo), sia perch verrebbe cos impedito il successivo controllo sulla effettiva
destinazione dell`immobile all`uso indicato, ai fini dell`applicazione delle sanzioni di cui all`art. 31 della legge
citata (invocabili anche quando l`immobile sia stato adibito ad un uso riconducibile, s, ad una delle ipotesi
previste dall`art. 29, ma diverso da quello indicato).
* Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1997, n. 5637, Soc. Nadia c. Pagliaro.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto di locazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello
di abitazione, alla prima scadenza, ai sensi dell`art. 29 della L. n. 392 del 1978, l`intenzione di destinare
l`immobile alla propria attivit professionale non concreta una cessazione del rapporto ad libitum del locatore,
ma deve esprimere un intento serio, cio realizzabile tecnicamente e giuridicamente. (Nella specie, la S.C.,
enunciando il principio di cui alla massima, ha confermato la sentenza del giudice di merito, il quale aveva
ritenuta la sussistenza della seriet dell`intento della locatrice di destinare l`immobile a studio professionale di
suo figlio architetto, per essere rimasto provato che quest`ultimo svolgeva effettivamente tale professione e che
l`immobile in oggetto era idoneo ad essere adibito a tale uso).
* Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1994, n. 9550, Giurato c. Cravario.
In tema di locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo, il locatore che agisce per far valere la facolt
di diniego del rinnovo del contratto alla prima scadenza per il motivo indicato dall`art. 29 lett. b) L. 27 luglio 1978
n. 392, ha l`onere di provare la seriet della dedotta intenzione di adibire l`immobile all`esercizio, in proprio o da
parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta di una delle attivit indicate dall`art. 27, e,
quindi, la realizzabilit tecnica e giuridica, non anche l`effettiva e concreta realizzazione, di quell`intento.
* Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 1994, n. 10423, Marisemma srl c. De Floris.
La realizzabilit giuridica dell`intenzione, posta dal locatore a fondamento del diniego di rinnovo, di adibire
l`immobile all`esercizio di attivit di ristorante non trova ostacolo nel dissenso di alcuni comproprietari
dell`immobile stesso, atteso che, integrando la gestione di detta attivit un atto di ordinaria amministrazione, non
necessario il consenso di tutti i partecipanti alla comunione, ma sufficiente quello della maggioranza di essi.
* Cass. civ., sez. III, 25 novembre 1995, n. 12241, Soc. Fieramosca al Fosso c. Ranieri, in Arch. loc. e cond.
1996, 361.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello di
abitazione alla prima scadenza, ai sensi dell`art. 29 L. 27 luglio 1978 n. 392, l`intenzione di destinare l`immobile
alla propria attivit professionale non concreta cessazione del rapporto ad libitum del locatore, ma deve
esprimere un intento serio, realizzabile tecnicamente e giuridicamente. Il locatore ha l`onere di provare la seriet
dell`intento, da valutarsi con giudizio ex ante in caso di contestazione, e quindi la realizzazione tecnica e
giuridica dell`intento, e non anche, nel trascorrere del tempo, l`effettiva e concreta realizzazione dell`intento

stesso.
* Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2000, n. 15075, Pizzo c. Galdieri.
r) Societ di persone
La facolt di diniego del rinnovo del contratto relativo ad un immobile locato per uso non abitativo alla prima
scadenza pu legittimamente esser fatta valere da una societ di persone attraverso la rappresentazione della
necessit di destinare l`immobile all`esercizio di una attivit (non della societ stessa ma) di uno dei soci, a
condizione che tale attivit risulti tra quelle elencate nell`oggetto sociale, poich, non essendo le vicende
imprenditoriali della societ (priva di personalit giuridica, ancorch dotata di autonomia patrimoniale) imputabili
ad un soggetto distinti dai singoli soci, la destinazione dell`immobile alla indicata attivit integra gli estremi di una
situazione di necessit del socio considerato non individualmente, ma quale membro della compagine
societaria, con conseguente coincidenza di interessi di entrambi ad ottenere la disponibilit della res locata.
* Cass. civ., sez. III, 28 giugno 1997, n. 5802, Fag Ind Mobili c. Europa Auto.
s) Specificazione dei motivi
In tema di locazione di immobile urbano ad uso diverso da abitazione, la disdetta del contratto di locazione,
quale atto di natura negoziale, ha la funzione di impedire, se non opposta, la rinnovazione del contratto; con la
conseguenza che, ancorch detto atto sia inefficace per mancanza di valido motivo di diniego, il rilascio non pu
essere ricondotto alla volont del conduttore in ordine alla cessazione del rapporto od al mutuo consenso delle
parti, non venendo meno il diritto del medesimo all`indennit per la perdita dell`avviamento commerciale. Per
poter contestare validamente la spettanza dell`indennit al conduttore occorre infatti che la cessazione del
rapporto sia dovuta all`iniziativa del medesimo ovvero alla sua partecipazione ad una convenzione risolutoria
(scioglimento per mutuo consenso ex art. 1372, primo comma, c.c.); mentre assolutamente irrilevante la
circostanza che il conduttore abbia rilasciato l`immobile senza contestazioni in sede giudiziale o stragiudiziale,
prestando adesione, espressa o tacita, alla richiesta del locatore, poich, in tal caso, la genesi della cessazione
del rapporto si identifica pur sempre nella condotta del locatore, che abbia manifestato la volont di porre
termine alla locazione. L`accertamento, sia pure di carattere presuntivo, della sussistenza di un rapporto di
causa ed effetto tra diniego di rinnovo della locazione da parte del locatore e rilascio da parte del conduttore
costituisce pertanto una mera quaestio facti, come tale insuscettibile di sindacato in sede di legittimit se
congruamente motivata.
* Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2001, n. 14728, Cavaliere ed altro c. Cioffi.
La specificazione del motivo per cui il locatore nega al conduttore, alla prima scadenza, il rinnovo del contratto di
locazione di immobile adibito ad uso diverso dall`abitazione, condiziona l`efficacia della disdetta e la procedibilit
della domanda di rilascio, che, dovendo esser fondata sul medesimo motivo, non pu essere integrato o
modificato in corso di giudizio stante la necessaria tempestivit della disdetta - 12 o 18 mesi prima della
scadenza - mentre nel processo verificabile soltanto la realizzabilit giuridica e tecnica dell`intento manifestato
dal locatore, in caso di contestazione del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 9 settembre 1998, n. 8934, Maffi c. Soc. Fag Infissi.
L`art. 30 della L. n. 392/1978 prevede quale condizione di procedibilit della domanda di rilascio la dichiarazione
della volont di escludere la rinnovazione del contratto di locazione non abitativa con riguardo alla prima
scadenza contrattuale nella forma di comunicazione a mezzo di raccomandata con la specificazione d`uno dei
motivi previsti dall`art. 29 della citata legge del 1978, n. 392, senza che tale forma possa essere sostituita da
quella contenuta nell`atto introduttivo del giudizio di rilascio, sottoscritto da procuratore cui sia stata conferita
procura nello stato stesso atto, ancorch con riguardo ad una successiva riproposizione della domanda di
rilascio.
* Cass., sez. III, 1 marzo 1990, n. 1574, De Simone c. Sgarilla.
L`art. 29, comma quarto, della L. n. 392/1978 - a norma del quale nella comunicazione del diniego di
rinnovazione deve essere specificato, a pena di nullit, il motivo, tra quelli tassativamente indicati nei precedenti
commi dello stesso art. 29, su cui la disdetta fondata - va interpretato nel senso che esso imponga una
specificazione analitica del motivo di diniego con riguardo alle concrete ragioni che giustificano la disdetta, in
modo da consentire, in caso di controversia, la verifica della seriet e realizzabilit dell`intento del locatore e,
dopo il rilascio, il controllo circa l`effettiva destinazione dell`immobile all`uso indicato, nel caso in cui il conduttore
pretenda l`applicazione delle misure sanzionatorie previste dall`art. 31 della legge.
* Cass., sez. III, 21 aprile 1990, n. 3352, Biagi c. Soc. Vigna Card.
Per la validit del diniego di rinnovazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo,
sufficiente che il locatore, nella disdetta, faccia riferimento ad uno dei motivi tassativamente previsti dall`art. 29
della legge n. 392 del 1978, non essendo invece necessario che venga specificamente indicata la particolare
attivit che si intende svolgere nell`immobile, in quanto il quarto comma dell`art. 29 citato non introduce un
onere di specificazione descrittiva nell`ambito del motivo indicato. Ne consegue che le sanzioni previste dall`art.
31 della legge n. 392 del 1978 sono applicabili solo ove, nel termine di sei mesi dall`avvenuta consegna, il
locatore non abbia adibito l`immobile ad esercizio in proprio di una delle attivit indicate dall`art. 27 della legge
n. 392 del 1978, non anche quando egli abbia variato, nell`ambito del motivo indicato, le modalit attuative di
esercizio dell`impresa. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto
non sanzionabile il comportamento del locatore che, dopo avere denegato il rinnovo alla prima scadenza
deducendo di voler adibire i locali a deposito e vendita all`ingrosso di articoli di abbigliamento, aveva poi adibito
gli stessi a vendita al minuto, trattandosi, in entrambi i casi, di attivit commerciale in proprio, come tale
rientrante nelle attivit indicate dall`art. 27 citato).
* Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 1997, n. 1191, Boutique Laurens Soc. c. Mode Club S.O.C.
La nullit comminata dal quarto comma dell`art. 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392 alla disdetta di un contratto
di locazione di immobile per l`esercizio delle attivit previste dal precedente articolo 27, se priva della

specificazione dei motivi - previsti dai commi primo e secondo del medesimo articolo 29 per tutelare non solo il
conduttore, ma anche l`interesse generale dell`economia alla stabilit delle locazioni non abitative - assoluta e
perci rilevabile sia d`ufficio sia dallo stesso locatore, purch dimostri che dall`incertezza sulla validit di tale
disdetta gli deriva un danno giuridicamente rilevante.
* Cass. civ., sez. III, 29 settembre 1997, n. 9545, Mondial Lus Spa. c. Berrini.
L`onere della specificazione del motivo della disdetta, imposto dall`art. 29 comma quarto della L. 27 luglio 1978
n. 392, assolto dal locatore anche nel caso che abbia indicato congiuntamente alcune delle ipotesi previste dal
citato articolo ove al conduttore siano note le attivit del locatore e gli sia, quindi, possibile verificare, prima del
rilascio, che l`intenzione indicata appare seria e realizzabile e controllare, dopo il rilascio, la effettiva
destinazione dell`immobile per uno degli usi indicati.
* Cass. civ., sez. III, 4 novembre 1991, n. 11681, Bottaro c. Spa Centro dei Liguri.
Per la validit del diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di immobili adibiti ad uso
non abitativo (art. 29 legge equo canone) non sufficiente una indicazione generica da parte del locatore
dell`attivit che egli o un suo familiare intende esercitare nell`immobile, ma necessaria una indicazione
specifica, onde consentire al conduttore e, successivamente in sede giudiziaria al giudice, di verificare la seriet
e la realizzabilit dell`intento manifestato.
* Cass. civ., sez. III, 2 dicembre 1996, n. 10709, Market Carinelli c. Casali.
La comunicazione del diniego di rinnovazione alla prima scadenza del contratto di locazione di un immobile
adibito ad uso diverso da quello abitativo non pu limitarsi ad una generica dichiarazione dell`intento di svolgere,
da parte del locatore, nell`immobile stesso, una attivit non meglio specificata (pur se ricompresa tra quelle
previste dall`art. 29 della legge sull`equo canone), ma deve contenere, a pena di nullit, inequivoche indicazioni
in relazione alla medesima, sia perch, in mancanza, il conduttore non sarebbe in grado di valutare la seriet
dell`intenzione indicata (n il giudice potrebbe verificare, in sede contenziosa, la sussistenza delle condizioni per
il riconoscimento del diritto al rinnovo), sia perch verrebbe cos impedito il successivo controllo sulla effettiva
destinazione dell`immobile all`uso indicato, ai fini dell`applicazione delle sanzioni di cui all`art. 31 della legge
citata (invocabili anche quando l`immobile sia stato adibito ad un uso riconducibile, s, ad una delle ipotesi
previste dall`art. 29, ma diverso da quello indicato).
* Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1997, n. 5637, Soc. Nadia c. Pagliaro, in Arch. loc. e cond. 1997, 811.
Il locatore di un immobile destinato ad uso non abitatvo che intenda esercitare la facolt di diniego di
rinnovazione del contratto alla prima scadenza, ai sensi degli artt. 28 e 29 L. 27 luglio 1978, n. 392, ha l`onere di
specificare dettagliatamente, ai sensi del citato art. 29 commi 4 e 5, nella comunicazione da inviare al
conduttore, il motivo tra quelli tassativamente indicati nei commi precedenti sul quale la disdetta fondata, al
fine di consentire la verifica preventiva della seriet dell`intento dichiarato ed il controllo successivo circa
l`effettiva destinazione dell`immobile all`uso indicato, non essendo sufficiente l`indicazione cumulativa di una
pluralit di destinazioni dell`immobile, stante l`inammissibilit di un cambiamento successivo (nella specie, la
S.C. nell`affermare il principio surriportato ha annullato la decisione di merito che aveva ritenuto la validit della
disdetta intimata dal locatore, il quale si era limitato, nella lettera di comunicazione al conduttore, ad un generico
riferimento alle ipotesi di cui alla lett. b) dell`art. 29 cit., dichiarando di dover adibire l`immobile all`esercizio in
proprio o da parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta ad una delle attivit indicate
dall`art. 27).
* Cass. civ., sez. III, 29 novembre 1994, n. 10208, Adaframe srl c. Triozzi.
Il locatore di immobili destinato ad uso non abitativo che intenda esercitare la facolt di diniego di rinnovazione
del contratto alla prima scadenza, ai sensi degli artt. 28 e 29 L. 27 luglio 1978 n. 392, ha l`onere di specificare
analiticamente, ai sensi del citato art. 29 commi quarto e quinto, nella comunicazione da inviare al conduttore, il
motivo fra quelli tassativamente indicati (nei commi precedenti) sul quale la disdetta fondata, al fine di
consentire la verifica preventiva dlela seriet e della pratica realizzabilit dell`intento dichiarato ed il controllo
successivo circa l`effettiva destinazione dell`immobile agli usi indicati, senza che di conseguenza sia sufficiente
l`indicazione cumulativa di una pluralit di destinazioni dell`immobile, restando inammissibile un cambiamento
successivo ovvero una specificazione del motivo della disdetta nel corso del giudizio. (Nella specie la S.C.
nell`enunciare il principio surriportato ha confermato la decisione di merito, la quale aveva ritenuto nulla per
genericit la disdetta intimata dal locatore, il quale si era limitato a dichiarare che intendeva adibire l`immobile
locato ad uso personale, ai sensi dell`art. 29 lett. a e b della legge sull`equo canone).
* Cass. civ., sez. III, 1 aprile 1993, n. 3894, Persichetti c. S.C.S.
L`esigenza di specificazione del motivo di diniego della rinnovazione, alla prima scadenza, del contratto di
locazione di immobile adibito per uso non abitativo, posta dall`art. 29 comma quarto della L. 27 luglio 1978 n.
392 a pena di nullit dell`atto, comporta la necessit di una precisa indicazione della situazione dedotta e non
pu, quindi, considerarsi soddisfatta dal generico richiamo, nella disdetta, alle ipotesi indicate dall`art. 29 comma
primo lett. a) perch la pluralit di questa ipotesi, diverse l`una dall`altra sotto il profilo delle persone alle quali si
riferisce l`esigenza abitativa, non consente al conduttore di individuare quella, tra le varie previste, in concreto
addotta per giustificare il recesso.
* Cass. civ., sez. III, 14 maggio 1991, n. 5376, Marcucci c. Domenella.
L`onere di specificazione del motivo della disdetta, imposto dall`art. 29 della legge sull`equo canone a carico del
locatore di immobile adibito per uso non abitativo che intenda avvalersi della facolt di non rinnovare la
locazione alla prima scadenza, deve ritenersi assolto in tutti i casi in cui il motivo sia stato chiaramente indicato
in modo da consentire al conduttore di valutare la seriet della manifestata intenzione del locatore. (Nella specie
il locatore, imprenditore edile, aveva chiarito di volere utilizzare i locali per il deposito di materiale dei proprie
cantieri).
* Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 1991, n. 10847, Regione Campania c. Sibilia.

La disdetta alla prima scadenza del contratto di locazione per uso non abitativo, nulla per la mancata
specificazione del motivo, tra quelli tassativamente indicati dall`art. 29 della legge sull`equo canone, pu essere
validamente rinnovata, anche prima dell`accertamento giudiziale del vizio della prima disdetta, con un nuovo
atto contenente l`indicazione dei motivi in precedenza omessi o non sufficientemente indicati, ed essere posta a
fondamento di un`autonoma domanda giudiziale.
* Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 1992, n. 1834, Snc Blue-in Di Doufour Maria Pia c. Massa.
Nelle ipotesi di cui alla lett. a) ed alla lett. b) dell`art. 29 L. n. 392/78, per le quali previsto come motivo di
diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza la destinazione dell`immobile all`uso abitativo o di
lavoro autonomo di soggetti parenti entro il secondo grado in linea retta del locatore, la specificit dei motivi
deve riguardare non solo la indicazione della destinazione d`uso (con la menzione, per l`uso non abitativo, del
tipo di attivit commerciale, professionale ovvero artigianale, che si intende esercitare nell`immobile), ma anche
quella del soggetto beneficiario dell`uso medesimo, essenzialmente quando pi siano le persone nella
condizione di ottenere l`immobile per la particolare destinazione d`uso comunicata ed il locatore intenda
favorirne una soltanto ovvero alcune congiuntamente.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2001, n. 792, Soc. Hotel Margutta c. Pasta.
In materia di diniego di rinnovazione del contratto di locazione alla prima scadenza, la mancata specificazione
del motivo nonch la mancanza degli estremi della seriet e della realizzabilit della generica intenzione
manifestata dai locatori nella comunicazione della disdetta, non ne determinano la nullit di cui all`art. 29, quarto
comma, L. n. 392/1978, qualora la seriet e la responsabilit dell`intento di adibire l`immobile ad attivit
commerciale possono essere desunte dall`iscrizione del predetto locatore nel registro degli esercenti il
commercio e la richiesta del medesimo di licenza commerciale di vendita al minuto, entrambe sostanzialmente
contestuali alla comunicazione di diniego di rinnovo del contratto.
* Trib. civ. Venezia, sez. II, 21 gennaio 1989, n. 110, Atelier di Formentello & C. c. Palma.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza, la sanzione della nullit non colpisce
soltanto la disdetta completamente carente in ordine all`enunciazione delle ragioni poste a fondamento del
diniego di rinnovo, ma anche la comunicazione limitata ad una generica indicazione dei motivi. (Nella specie la
sentenza ha ritenuto che l`onere di specificazione posto dalla legge a carico del locatore non potesse ritenersi
soddisfatto poich nella disdetta il motivo di diniego risultava indicato nell`intenzione della Cassa di Risparmio di
adibire l`immobile "ad esercizio della propria attivit").
* Trib. civ. Lucca, 12 novembre 1988, n. 1024. * Azienda autonoma della Versilia c. Cassa di Risparmio di
Lucca.
In tema di diniego alla prima scadenza, il generico richiamo alla volont del locatore di voler adibire il locale a
"proprie attivit aziendali", senza indicazione della concreta attivit da svolgere nell`immobile, non sufficiente a
porre in grado il conduttore e il giudice di verificare la seriet e l`attuabilit dell`intenzione indicata nonch, in
sede contenziosa, di verificare la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto di diniego del
rinnovo, n di rendere possibile il successivo controllo sull`effettiva destinazione dell`immobile all`uso indicato, in
caso di richiesta di applicazione delle misure sanzionatorie previste dall`art. 31 della legge n. 392/78.
* Trib. civ. Napoli, 26 luglio 2001, Napoletanagas c. Soc. Mondo Moda.
La nullit sancita dall`art. 29, penultimo comma, della L. n. 392/1978 per il caso di comunicazione di diniego di
rinnovazione che non indichi il motivo sul quale il medesimo si fonda, pu essere fatta valere solo dal
conduttore.
* Pret. civ. Bergamo, 5 ottobre 1985, n. 204, Boldoni c. LO.MA. Srl.
t) Strumenti urbanistici
In tema di locazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione, il recesso del locatore per
necessit di destinare l`immobile medesimo all`esercizio diretto della propria attivit commerciale (artt. 73 e 29
della legge n. 392 del 1978) deve riflettere uno scopo giuridicamente possibile, postulando la realizzazione secondo diritto - della programmata destinazione. Detto recesso va conseguentemente negato quando gli
strumenti urbanistici impediscano inderogabilmente quella destinazione, realizzando siffatta situazione la
carenza di una condizione di fondatezza della domanda, senza che rilevi la previsione dell`art. 31 della
richiamata legge - il quale consente al conduttore di agire per il ripristino del contratto ove all`immobile non sia
data la dedotta destinazione - riguardando essa situazioni successive alla cessazione della locazione.
* Cass. civ., sez. III, 1 agosto 1986, n. 4920, Bellentani c. Cavedoni.
In tema di diniego di rinnovazione della locazione per necessit del locatore nell`ipotesi di cui all`art. 29, lett. b)
della L. 27 luglio 1978, n. 392, il mancato previo conseguimento delle autorizzazioni o concessioni prescritte per
l`esecuzione delle opere edilizie occorrenti a realizzare la progettata destinazione non preclude il riconoscimento
della necessit del locatore, quando tali provvedimenti siano in astratto consentiti, sia pure in via di eccezione od
in deroga alle previsioni urbanistiche generali, atteso che solo il divieto assoluto ed inderogabile di realizzare le
opere o il mutamento della destinazione impressa all`immobile, non rimovibile in presenza di particolari
condizioni o situazioni di fatto, comporta l`inidoneit del bene al soddisfacimento della necessit dedotta dal
locatore. Non vale ad integrare un caso di impossibilit giuridica assoluta il vincolo ostativo alla progettata
destinazione che sia impresso da una variante al piano regolatore adottata, ma non ancora approvata, malgrado
la previsione di misure di salvaguardia, considerato che in tal caso l`impossibilit di realizzazione delle opere o
del mutamento di destinazione transitoria e suscettibile di venir meno per effetto della mancata approvazione
della variante.
* Cass. civ., sez. III, 5 aprile 1995, n. 4003, Giaruglieri c. Banca Popolare dell`Etruria e del Lazio.
In tema di recesso dalle locazioni non abitative ai sensi dell`art. 73 della legge n. 392 del 1978, il possesso della
prescritta licenza o concessione amministrativa che, a norma dell`art. 29, primo comma, lett. c) della citata
legge, legittima il recesso nel caso in cui il locatore intenda -demolire l`immobile per ricostruirlo, ovvero

procedere alla sua integrale ristrutturazione o completo restauro, ovvero eseguire su di esso un intervento sulla
base di un programma comunale pluriennale di attuazione ai sensi delle leggi vigenti", costituendo condizione
per l`azione di rilascio, deve sussistere al momento della decisione e presuppone un provvedimento
autorizzativo efficace, con la conseguenza che il venir meno degli effetti della concessione prima della decisione
impedisce la pronuncia di rilascio e non solo gli effetti di questa.
* Cass. civ., sez. III, 12 giugno 1987, n. 5158, Natoli c. Damico.
In tema di recesso da contratto di locazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione ai
sensi dell`art. 29 lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, poich ai fini del diniego del rinnovo del contratto alla
prima scadenza il possesso della concessione edilizia condizione per l`azione di rilascio, la produzione di detto
provvedimento pu avvenire, oltre che in primo grado, anche nel giudizio di appello, al di fuori dei limiti previsti
dall`art. 437 c.p.c., sempre che il giudice ritenga la produzione indispensabile ai fini della decisione della causa.
* Cass. civ., sez. III, 22 marzo 1995, n. 3266, Winkler Ulrich c. Lauderi ed altro.
In tema di rilascio dell`immobile locato per l`esecuzione di ristrutturazione o restauri, secondo la previsione
dell`art. 29 primo comma lett. c) della L. 27 luglio 1978 n. 392, la condizione costituita dal possesso di
concessione edilizia resta soddisfatta, per il caso di interventi di manutenzione straordinaria, dal possesso di
autorizzazione del sindaco ad eseguire i lavori, idonea a sostituire la concessione medesima ai sensi dell`art. 48
della L. 5 agosto 1978 n. 457.
* Cass. civ., sez. III, 28 luglio 1984, n. 4492, Gravina c. Santoro.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, ai fini della proponibilit
della domanda di recesso ex artt. 29 lett. c) e 73 della legge n. 392 del 1978, necessario solo il possesso , da
parte del locatore, della concessione legittimamente rilasciata, la quale rende giuridicamente possibile il
compimento dei lavori di ricostruzione, di integrale ristrutturazione o di completo restauro per l`esecuzione dei
quali il locatore stesso ha agito in recesso; mentre resta irrilevante se a quello sia stato richiesto, da parte del
comune, anche il pagamento di eventuali contributi ed in quale misura, riguardando siffatta circostanza
esclusivamente il rapporto tra il richiedente e la P.A. e non quello privatistico tra locatore e conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 21 marzo 1985, n. 2066, Valenziano c. Messina.
In tema di recesso del locatore dal contratto di locazione concernente immobile adibito ad uso non abitativo, ai
sensi dell`art. 29 della legge 27 luglio 1978 n. 392, mentre nel caso contemplato dalla lett. c) del richiamato
articolo, l`esecuzione di opere edilizie (ristrutturazione o completo restauro) sull`immobile locato, costituisce lo
scopo unico ed immediato dell`azione del locatore volta a conseguire la declaratoria di legittimit del recesso,
nell`ipotesi riconducibile alla previsione della lett. b) scopo diretto e primario dell`azione il soddisfacimento
dell`interesse del locatore di destinare l`immobile all`esercizio di una delle attivit indicate nell`art. 27, avendo
carattere accessorio e strumentale rispetto allo scopo indicato l`eventuale esecuzione di opere edilizie che
possa rendersi necessaria per assicurare la destinazione stessa. In quest`ultimo caso, il possesso della licenza
o concessione edilizia non costituisce condizione necessaria dell`azione di rilascio, semprech il locatore
dimostri la seriet dell`intento di adibire l`immobile all`attivit indicata e, quindi, anche la realizzabilit tecnica e
giuridica di quell`intento.
* Cass. civ., sez. III, 21 maggio 1997, n. 4518, Brunazzo c. Mary Hermann.
In tema di diniego di rinnovazione del contratto di locazione ad uso diverso dall`abitazione, ex art. 29 della legge
27 luglio 1978, n. 392, qualora a motivo del diniego sia stata addotta l`intenzione di ristrutturare l`immobile, la
circostanza che il provvedimento di concessione edilizia sia intestato ad uno solo dei locatori irrilevante ai fini
della realizzabilit dei lavori di ristrutturazione e pertanto non incide negativamente sulla valutazione circa la
seriet dell`intenzione del locatore di eseguirli.
* Cass. civ., sez. III, 27 dicembre 1995, n. 13115, Barontini c. Delle Monache, in Arch. loc. e cond. 1996, 353.
Il controllo sulla legittimit degli atti amministrativi e dei regolamenti, devoluto al giudice ordinario, sia pure al
solo fine della loro disapplicazione, consentito per accertare non solo se la P.A. da cui l`atto promana avesse
in astratto il potere di emetterlo, ma anche se ricorressero i presupposti di legge per la sua emissione, nonch
per accertare l`osservanza della legge durante lo svolgimento del procedimento amministrativo, estendendosi
cos sia alla forma, sia al contenuto degli atti. Al predetto potere di controllo va ravvisato un solo limite, quello
della impossibilit per l`A.G.O. di sindacare le valutazioni della P.A., che involgano apprezzamenti discrezionali.
Conseguentemente, in tema di recesso del locatore dal contratto di locazione di immobili adibito ad uso diverso
da quello abitativo, a norma degli artt. 73 e 29 lett. c) della legge n. 392 del 1978 (nella specie, per procedere
alla sua ristrutturazione), il giudice ordinario ha il dovere di accertare incidenter tantum se sussista la eccepita
illegittimit della prescritta concessione (o licenza), al fine della sua eventuale disapplicazione nel caso concreto.
* Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 1986, n. 6391, Mazzaglia c. D`Odorico.
u) Tempestivit della disdetta
In tema di locazioni di immobili non abitativi, la disdetta intimata dal locatore al conduttore alla prima scadenza,
anche se intempestiva e non motivata, a norma dell`art. 29, L. 27 luglio 1978, n. 392, e cio inidonea, di per s
sola, a produrre gli effetti suoi propri (il mancato rinnovo della locazione), determina, tuttavia, in caso di adesione
del conduttore, la cessazione del rapporto locativo alla data bilateralmente concordata, non incorrendo nel
divieto di cui all`art. 79 legge citata la rinuncia del conduttore al diritto di novazione del contratto alla prima
scadenza, se compiuta dopo la stipulazione del contratto. Pertanto, dopo l`adesione del conduttore alla richiesta
di anticipato rilascio, il locatore non pu invocare vizi dell`atto di disdetta.
* Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2000, n. 15039, Silvestrini R. ed altri c. Soc. C.E.B.A.T.
In tema di locazioni di immobili non abitativi, la disdetta intimata dal locatore al conduttore alla prima scadenza,
anche se intempestiva e non motivata, a norma dell`art. 29 della L. 27 luglio 1978, n. 392, e, perci, inidonea, di
per s sola, a produrre gli effetti suoi propri (il mancato rinnovo della locazione), determina, tuttavia, in caso di
adesione del conduttore, la cessazione del rapporto locativo alla data bilateralmente concordata, non incorrendo

nel divieto di cui all`art. 79 della legge citata la rinuncia del conduttore al diritto di rinnovazione del contratto alla
prima scadenza, se compiuta dopo, la stipulazione del contratto. Pertanto, dopo l`adesione del conduttore alla
richiesta di anticipato rilascio, il locatore non pu invocare i vizi dell`atto di disdetta per inferirne l`adempimento
del conduttore nel pagamento dei canoni per il tempo successivo all`intervenuta cessazione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 13 settembre 1996, n. 8262, Bizzarro c. Furs Center.
Con riferimento ad un contratto di locazione di immobile adibito ad uso commerciale la previsione ab origine di
una durata dello stesso pari a dodici anni determina implicita rinuncia preventiva del locatore al diritto di recesso,
ex art. 29 L. n. 392/1978, decorso il primo sessennio, salva poi, allo spirare del termine pattuito, la facolt di
diniego di rinnovo tacito del contratto, mediante tempestiva, ancorch immotivata, disdetta.
* Pret. civ. Verona, 25 settembre 1998, Soc. Ovolat c. Soc. So.So.
Per accertare se la dichiarazione di diniego di rinnovo del contratto di locazione ex art. 29 della L. n. 392/1978,
sia stata effettuata tempestivamente occorre rifarsi alla data di spedizione della raccomandata relativa e non gi
a quella di arrivo della stessa al destinatario.
* Pret. civ. Pescara, 20 gennaio 1987, De Nobile c. Spa Standa.
v) Terzo acquirente
Sul piano formale la durata legale delle locazioni di immobili urbani ad uso commerciale di sei (e non dodici)
anni, essendo l`ulteriore sessennio condizionato dal fatto, pur sempre ipotetico, della mancata disdetta per uno
dei motivi di cui all`art. 29 legge 27 luglio 1978 n. 392. Tali locazioni, pertanto, sono opponibili al terzo
acquirente dell`immobile locato, a norma dell`art. 2923 c.c., anche se non trascritte. Tuttavia il limite di durata di
un novennio dall`inizio del contratto, posto dall`art. 2923 c.c. per l`opponibilit all`acquirente, deve intendersi
esteso a dodici anni, per effetto delle nuove disposizioni della legge n. 392/78.
* Corte app. civ. Napoli, 14 luglio 1997, Soc. Big Shop c. Soc. Secoim.
z) Utilizzazione parziale
In tema di locazione di immobile adibito ad uso diverso da abitazione e di conseguito rilascio dello stesso, ex art.
29 legge 27 luglio 1978, n. 392, alla prima scadenza, l`effettiva utilizzazione del bene da parte del locatore del
bene, atta ad evitare l`applicazione delle sanzioni previste dall`art. 31 della legge citata, da ritenersi rispettata sempre che realizzi la finalit dedotta a suo tempo dal locatore - anche nel caso in cui essa si riveli solo parziale.
* Cass. civ., sez. III, 25 agosto 1997, n. 7974, Culin c. Resch.
ESIGENZE ABITATIVE DI NATURA TRANSITORIA
SOMMARIO: a) Accertamento; b) Clausole contrattuali; c) Competenza; d) Dipendenti o collaboratori di una
ditta; e) Durata; f) Legge sullequo canone; g) Motivi di studio; h) Mutamento delle esigenze; i) Nozione; l)
Stabilit dellabitazione.
a) Accertamento
La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore, che esclude la locazione dellimmobile urbano per
uso abitativo dallambito di applicabilit della L. 27 luglio 1978, n. 392, deve essere accertata con riguardo alla
natura dellesigenza abitativa in relazione agli specifici bisogni del conduttore al momento della conclusione del
contratto e non solo dalle dichiarazioni di una o di entrambe le parti, n dalle circostanze che il contratto sia
stato stipulato per una durata inferiore al quinquennio o ad un canone superiore a quello ritenuto "equo" dalla
legge.
* Cass. civ., sez. III, 13 giugno 1994, n. 5722, Sansoni c. Moro.
La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore - che comporta lesclusione della locazione
dallambito di applicabilit della L. 27 luglio 1978, n. 392 ai sensi dellart. 26 lett. A della stessa legge - va
accertata con riferimento agli specifici bisogni del conduttore che limmobile locato destinato a soddisfare al
momento della conclusione del contratto; nel senso che la suddetta natura transitoria va riconosciuta nellipotesi
in cui labitazione del conduttore, in quanto eccezionale e temporanea, comporti una sua permanenza soltanto
precaria o sussidiaria nellimmobile locato, mentre va esclusa nel caso in cui limmobile rappresenti la normale e
continuativa dimora del conduttore. Lindagine diretta ad accertare quale delle due ipotesi ricorra nel caso
concreto va compiuta avendo riguardo alleffettiva destinazione dellimmobile e con riferimento alla natura della
esigenza abitativa del conduttore (desunta ad esempio dalla sua attivit lavorativa nel luogo in cui situato
limmobile, dalla disponibilit o non di un alloggio nel luogo di residenza anagrafica), e non alle espressioni
letterali del contratto fatto sottoscrivere dal locatore al conduttore allorquando la dichiarata transitoriet smentita dalla situazione di fatto - abbia costituito il mezzo, vietato dallart. 79 L. 27 luglio 1978, n. 392, per
eludere lapplicazione della normativa sullequo canone.
* Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1992, n. 6777, Riomaggiore snc c. De Curatis.
La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore, che comporta lesclusione della locazione dalla
sfera di applicazione delle norme della L. 27 luglio 1978, n. 392, deve essere desunta non dal termine di durata
della locazione stabilito dalle parti ma dalla natura dellesigenza abitativa che, nelle locazioni transitorie, in
quanto diversa da quella della normale e continuativa dimora, comporta una permanenza solo precaria e
saltuaria del conduttore nellimmobile, assumendo carattere eccezionale e temporaneo (nella specie, trattavasi
di locazione di appartamento utilizzato da una coppia per incontri saltuari che il giudice di merito aveva ritenuto
non transitoria solo a causa del termine quinquennale di durata convenzionalmente stabilito).
* Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 1992. n. 2371, Uberbacher Hans Peter c. Bertol Eric ed altro.
La natura transitoria delle esigenze abitative del conduttore - che comporta lesclusione della locazione
dallambito di applicabilit della legge 27 luglio 1978, n. 392 ai sensi dell art. 26, lett. a) della stessa legge - va
accertata con riferimento agli specifici bisogni del conduttore che limmobile locato destinato a soddisfare al
momento della conclusione del contratto, nel senso che la suddetta natura transitoria va riconosciuta nellipotesi
in cui labitazione del conduttore, in quanto eccezionale e temporanea, comporti una sua permanenza soltanto

precaria o sussidiaria nellimmobile beato, mentre va esclusa nel caso in cui limmobile rappresenti la normale e
continuativa dimora del conduttore. Lindagine diretta ad accertare quale delle due ipotesi ricorra nel caso
concreto va compiuta avendo riguardo alleffettiva destinazione dellimmobile e con riferimento alla natura
dellesigenza abitativa del conduttore (desunta ad esempio dal sistema di vita di costui, dalla sua attivit
lavorativa nel luogo in cui situato limmobile, dalla disponibilit o non di un alloggio nel luogo di residenza
anagrafica, ecc.) e non alle espressioni letterali del contratto fatto sottoscrivere dal locatore al conduttore
allorquando la dichiarata transitoriet - smentita dalla situazione di fatto - abbia costituito il mezzo, vietato
dallart. 79 della L. 27 luglio 1978, n. 392, per eludere lapplicazione della normativa sullequo canone.
* Cass. civ., sez. III, 18 dicembre 1990, n. 11984, Ressa c. Denaro; conf.: Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 1991, n.
10676, Marziale c. Benaglia.
La transitoriet delle esigenze abitative del conduttore (art. 1 e 26, L. 392 del 1978), da accertarsi dal giudice
con riferimento al momento della conclusione del contratto senza tener conto di eventi cronologicamente
successivi i quali possono aver reso stabile un esigenza inizialmente insorta come contingente e precaria, va
riferita tra laltro a quei rapporti nei quali laspirante conduttore, pur disponendo di propria stabile ordinaria
abitazione, voglia trasferire altrove la dimora per soddisfare bisogni di carattere contingente. tali da non
comportare nemmeno sotto il profilo intenzionale un cambiamento di residenza. Le ragioni pi o meno
oggettivamente cogenti o soggettivamente pressanti che possono essere alla origine delle suddette esigenze
abitative non incidono sul quadro della loro transitoriet quando, secondo un giudizio ex ante affidato ad un
criterio di normale prevedibilit, esse si palesino allatto della stipulazione dellaccordo destinate ad esaurirsi
entro un tempo breve, segnatamente inferiore comunque alla durata minima quadriennale previsto nel primo
comma dellart. 1, L. n. 392 del 1978 (fattispecie in cui il contratto dedotto in lite era stato stipulato dal conduttore
per fronteggiare una situazione di emergenza venutasi a creare a seguito di eventi sismici che avevano
interessato la localit ove egli aveva labilitazione e ne avevano consigliato il temporaneo, prudenziale
allontanamento).
* Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 1989, n. 4291, Matarazzo c. Sellitti.
Ai fini della qualificazione della natura transitoria del rapporto di locazione ai sensi dellart. 26 L. n. 392/1978,
non deve farsi riferimento alla pura e semplice volont dei soggetti contraenti. bens alla obiettiva natura
dellesigenza abitativa del conduttore, che comporti una permanenza precaria o sussidiaria nellimmobile,
diversa dalla normale e continuativa dimora, in base alle complessive risultanze del suo sistema di vita ed
attivit lavorativa.
* Trib. civ. Firenze, 21 gennaio 1991, n. 106, Milazzo c. Laurella, in Arch. loc. e cond. 1992, 159.
In virt del disposto dellart. 26 della L. n. 392 del 1978, la deroga alle norme sulla durata e sulla misura del
canone in relazione alle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria consentita
solo quando le suddette esigenze esistano effettivamente e siano state anche specificamente individuale nel
contratto, cosicch possa esserne apprezzata la particolarit della causa rispetto a quella generica del tipo
negoziale. Nel caso esse non sussistano, le relative clausole di deroga sono sostituite di diritto dalle norme
imperative della legge.
* Pret. civ. Bergamo, 9 maggio 1986, Brognoli c. Ghisalberti, in Arch. loc. e cond. 1986, 728.
Per definire "transitoria" una locazione occorre che detto requisito sussista veramente nella realt
indipendentemente dalla qualificazione data dalle parti al momento della conclusione del contratto.
* Pret. civ. Taranto, 27 maggio 1986, Chioppa c. Gargiulo, in Arch. loc. e cond. 1986, 724.
Integra una ipotesi di simulazione per interposizione fittizia di persona la stipulazione di un contratto di locazione
per il soddisfacimento di esigenze abitative di natura transitoria con conduttore apparente (persona
interponente), nellintesa (accordo simulatorio) che gli effetti della convenzione locatizia si producano nei
confronti di altro soggetto (persona interposta), che sia portatore di esigenza abitativa primaria. (Nella specie la
prova della intesa simulatoria e della natura primaria delle esigenze abitative delleffettivo conduttore stata
desunta, oltre che da dichiarazioni testimoniali, anche da elementi indiziari. plurimi e concordanti, non essendosi
ritenuto operante il divieto di prova per testi della simulazione del contratto, posto dallart. 1417 cc., in
considerazione del fatto che il conduttore ha inteso far valere la "illiceit" e nullit del contratto dissimulato di
locazione con riferimento alla clausola di "transitoriet" delluso abitativo per violazione della norma imperativa
dellart. 79 L. 392/78).
* Pret. civ. Busto Arsizio, 29 gennaio 1997, n. 21, Tripi c. Immobiliare Amba, in A rch. Ioc. e cond. 1997, 113.
Le esigenze abitative del conduttore, di natura transitoria, onde escludere ai sensi dellart. 26 della legge 27
luglio 1978 n. 392 lapplicabilit della disciplina dellequo canone, non necessitano, n in base a tale legge
speciale n ai sensi degli artt. 1418 e 1419 c.c., di specifica individuazione, ma possono essere anche soltanto
enunciate.
* Cass. civ., sez. III. 2 aprile 1997, n. 2868, Vienna c. Viziale, in Arch. loc. e cond. 1997, 635.
Qualora, dopo la stipulazione di un contratto di locazione per uso abitativo soltanto transitorio (art. 26 L. n. 392
del 1978), il conduttore invochi, in sede giudiziale, la riduzione del canone per esser limmobile adibito ad uso
diverso da quello pattuito, pur sussistendo, in ipotesi, un intento elusivo soltanto unilaterale ex latere
conductoris, nel senso che questi, intendendo adibire limmobile ad abitazione primaria e stabile, abbia
purtuttavia accettato la proposta di locazione transitoria formulatagli dal locatore, detto intento e resta
inevitabilmente circoscritto entro i confini di una (irrilevante) riserva mentale, non potendosi legittimamente
sostenere, (per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 185 del 1988 in virt della quale al locatore
riconosciuto il diritto alla risoluzione del contratto entro lanno dallavvenuto mutamento di destinazione con
decorrenza dalla data della sua effettiva conoscenza e non a prescindere da essa) che ci che rileva, in
subiecta materia, sta esclusivamente lelemento oggettivo della effettiva destinazione dellimmobile, senza
alcuna indagine sulla volont effettiva delle parti quale risultante dal contratto di locazione e senza la doverosa

verifica circa la consapevolezza o meno, da parte del locatore, delle effettive esigenze del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 20 agosto 1997, n. 7750, Cannavale c. Hotte, in Arch. loc. e cond. 1997, 993.
Una volta escluso che le parti abbiano, simulando un contratto di locazione volto a soddisfare esigenze abitative
transitorie (nella specie di natura turistica, per la durata di un anno) ai sensi dellart, 1, comma 2, L. n. 392 del
1978, dissimulato una locazione abitativa ordinaria, la rinnovazione tacita del contratto, non comporta in se
stessa, anche se reiterata, la soggezione della locazione alla disciplina di cui all art. 1, comma 1, della stessa
legge in ordine alla durata almeno quadriennale del rapporto, dovendo il giudice esaminare se le parti abbiano
inteso, anche se sol per facta concludentia, rinnovare il contratto originario per soddisfare le stabili e
continuative esigenze abitative del conduttore. In ogni caso, allorch tali esigenze attengano a motivi di lavoro o
di studio, il contratto resta sottratto alla disciplina della L. n. 392 del 1978 quanto alla durata della locazione (art.
1, comma 2), rimanendovi invece soggetto per il regime della determinazione legale del canone (art. 26, comma
1, lett. a).
* Cass. civ., sez. III, 25 luglio 1997, n. 6990, Pulliero c. Bratoz, in Arch. loc. e cond. 1997, 1007.
Nella ricerca della comune intenzione delle parti contraenti, il primo e principale strumento delloperazione
interpretativa costituito dalle parole ed espressioni del contratto, e, qualora queste siano chiare e dimostrino
una loro intima ratio, il giudice non pu invocarne una diversa, venendo cos a sovrapporre una propria
soggettiva opinione alleffettiva volont dei contraenti. (Nella fattispecie, la Corte ha cassato, con rinvio, la
pronuncia del tribunale, la quale, di contro al contenuto fatto proprio dal testo di un contratto di locazione e che
deponeva nel senso dellavvenuta stipula di un contratto di locazione per finalit abitative ordinarie, aveva
ritenuto di ricostruire, sulla base di una prova testimoniale, lavvenuta stipula di una locazione per esigenze
abitative meramente transitorie).
* Cass. civ., sez. III, 20 maggio 1997, n. 4480, Bacchieri c. Cardinali.
b) Clausole contrattuali
Il contratto di locazione per uso abitativo stipulato, con la falsa indicazione della transitoriet delluso da parte
del conduttore (art. 26 della L. n. 392 del 1978) al fine di eludere la sanzione della nullit di clausole concernenti
la durata e la misura del canone contrarie al regime giuridico rigidamente prestabilito per esse, integra gli
estremi di una fattispecie simulatoria relativa in fraudem legis, che cela, sotto lapparenza di una convenzione
negoziale di locazione transitoria, una locazione abitativa ordinaria pattiziamente regolata in difformit dal
regime coattivo cosiddetto dellequo canone che le proprio, con la conseguenza che il conduttore che invochi,
in giudizio, lapplicazione del regime legale al rapporto cos instaurato (con automatica sostituzione delle
clausole contrattuali nulle, ex art. 79 legge cit.) avr lonere di dimostrare lesistenza della simulazione
contrattuale, e la facolt di avvalersi, a tal fine, della prova per testi e per presunzioni al di l dei limiti sanciti, per
le parti, dallart. 1417, attesa la illiceit per contrasto con norme imperative del contratto simulato.
* Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1997, n. 6145, Longhi-tano c. Benvenuti, in Arch. loc. e cond. 1997, 798.
Quando un contratto di locazione abitativa sia stipulato con la previsione di un uso transitorio, il conduttore, che
assuma la nullit ex art. 79 della L. 27 luglio 1978, n. 392 di tale clausola per inesistenza in concreto della
dedotta natura transitoria delle esigenze abitative, deve dimostrare che questa inesistenza era ragionevolmente
apprezzabile dal locatore in base allobiettiva situazione di fatto da questultimo conosciuta al momento del
contratto, non potendo altrimenti rilevare contro il locatore n situazioni di fatto occultate dal conduttore, n la
riserva mentale di costui di non accettare la clausola.
* Cass. civ., sez. III, 24 luglio 1995, n. 8063, Ami Budget Cultura c. De Santis.
Quando un contratto di locazione abitativa sia stipulato con la previsione di un uso transitoria, il conduttore, che
assuma la nullit ex art. 79, L. 27 luglio 1978, n. 392 di tale clausola per inesistenza in concreto della dedotta
natura transitoria delle esigenze abitative, deve dimostrare che questa inesistenza era ragionevolmente
apprezzabile dal locatore in base alla obiettiva situazione di fatto da questultimo conosciuta al momento del
contratto, non potendo altrimenti rilevare contro il locatore n situazioni di fatto occultate dal conduttore, n la
riserva mentale di costui di non accettare la clausola.
* Cass. civ.. sez. III, 5 aprile 1995, n. 4001, Ghezzi c. Capasso.
Quando un contratto di locazione abitativa sia stipulato con la previsione di un uso transitorio, il conduttore, che
assuma la nullit ex art. 79 L. 27 luglio 1978, n. 392 di tale clausola per inesistenza in concreto della dedotta
natura transitoria delle esigenze abitative, deve dimostrare che questa inesistenza era ragionevolmente
apprezzabile dal locatore in base alla obiettiva situazione di fatto da questultimo conosciuta al momento del
contratto, non potendo altrimenti rilevare contro il locatore n situazioni di fatto occultate dal conduttore, n la
riserva mentale di costui di non accettare la clausola.
* Cass. civ., sez. III, 29 dicembre 1993, n. 12947, Sardi c. Suc. Montefili Immobiliare.
Ai sensi dellart. 26 lett. a) della L. 27 luglio 1978, n. 392, la deroga alle norme sulla durata della locazione e
sulla misura del canone consentita solo quando le esigenze abitative di natura transitoria non solo esistono
effettivamente, ma sono anche specificamente contemplate nel contratto, che ad esse deve fare chiaro
riferimento, pur senza formule solenni sacramentali, onde possa esserne apprezzata la particolarit della causa
rispetto a quella generica del tipo negoziale. In mancanza, le clausole di deroga sono sostituite di diritto dalle
norme imperative della legge, in modo particolare per quanto riguarda la misura massima del canone (art. 79
della L. 392/78). Leventuale diversa opinione del locatore a tal riguardo potr eventualmente costituire ragione
di annullamento del contratto, se potr dimostrarsi la sussistenza delle condizioni di legge (artt. 1427 segg. c.c.).
e salvo il diritto al risarcimento del danno se lerrore dovesse risultare imputabile al conduttore (artt. 1337 e 1338
c.c.).
* Trib. civ. Firenze, 31 maggio 1980, Samor c. Poggi Ricci, in Arch. loc. e cond. 1981, 77.
Lesigenza transitoria rilevante ai fini dellesclusione del contratto di locazione dalla tutela della L. n. 392/1978
deve essere espressamente evidenziata dalle parti al momento della stipula, mediante riferimento a fatti concreti

relativi alle esigenze abitative del conduttore, a nulla rilevando la qualificazione del rapporto come transitoria o la
pattuizione della sua durata infraquinquennale.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 8 ottobre 1990, n. 6947, Russo c. Varia e Societ Errevi, in Arch. loc. e cond. 1990,
739.
La clausola con la quale i contraenti prevedono, al momento della sottoscrizione del contratto, che nel caso di
specie si verte in unipotesi di "locazione transitoria non soggetta ad equo canone" non di per s nulla. Per
accentarne la validit o la nullit occorre procedere allinterpretazione della volont delle parti secondo il
disposto di cui agli artt. 1362 c.c. e seguenti.
* Pret. civ. Milano, 25 ottobre 1980, Fontanesi c. Valeri, motivaz. in Arch. loc. e cond. 1981, 127,
c) Competenza
Il giudice competente in ordine alla controversia concernente il rilascio per " finita locazione" di immobile adibito
ad esigenze abitative di natura transitoria - non essendo questa ricompresa in alcuna delle ipotesi di
competenza per materia poste, in materia locatizia, dagli artt. 30 e 45 della legge 27 luglio 1978 n. 392 - va
individuato secondo gli ordinari criteri della competenza per valore previsti dal codice di rito.
* Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1983, n. 2873, Farfarini c. Pucci.
d) Dipendenti o collaboratori di una ditta
La qualifica della transitoriet delluso di un immobile ai fini della esclusione dellapplicazione della L. n.
392/1978 deve essere operata con concreto riferimento alla situazione abitativa degli occupanti. Pertanto, nel
caso di immobile locato ad una ditta che intenda utilizzarlo a favore di propri dipendenti o collaboratori, la
transitoriet deve essere collegata alla situazione concreta degli occupanti e non alla teorica possibilit di una
rapida alternanza degli stessi, n rilevante linclusione nel contratto del termine "transitorio".
* Pret. civ. Bologna, 20 agosto 1990, Sticchi c. Galli, in Arch. loc. e cond. 1990, 777.
e) Durata
Alle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria (art. 1, comma primo, L. 27 luglio
1978, n. 392) non si applica il disposto dellart, 1, comma primo della stessa legge sulla durata minima legale del
contratto di locazione, non rilevando che il conduttore abiti stabilmente lappartamento per motivi di lavoro o di
studio (art. 26 lett. a, L. 27 luglio 1978, n. 392).
* Cass. civ., sez. III, 12 agosto 1991, n. 8785, Paglianini c. Caviglia.
Fra le locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria alle quali, ai sensi dellart. 1 della
legge 27 luglio 1978, n. 392 (cosiddetta sullequo canone), non si applica il disposto circa la durata almeno
quadriennale del contratto, rientrano quelle concernenti un appartamento per la sola villeggiatura.
* Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1982, n. 4808, Bottigliero c. Signorelli.
Ai fini della determinazione della durata della locazione stipulata per esigenze abitative di natura transitoria, tali
esigenze (che in caso di concreta sussistenza costituiscono i presupposti per lesclusione dellapplicabilit della
disciplina ex artt. 58 e 65, L. n. 392/1978) devono attenere a brevi periodi di occupazione degli immobili,
contraddistinti dal carattere della occasionalit e della particolarit di un bisogno momentaneo, anche se motivati
da esigenze di lavoro e di studio (nella specie, il conduttore ha posto nellimmobile locato la stabile e continua
dimora della famiglia).
* Pret. civ. Verona, 2 luglio 1986, n. 1040, Mainenti c. Tessani. in Arch. loc. e cond. 1989, 186.
La pattuizione di una durata inferiore a quella legale sostituita da quella legale in virt del fenomeno
dellintegrazione del contratto.
*Pret. civ. Varazze, 8 aprile 1989, Piazza c. Garau, in Arch. loc. e cond. 1989, 555.
La locazione stipulata per soddisfare esigenze di natura transitoria, ancorch per motivi di lavoro, seppure
prorogata ai sensi della legislazione vincolistica sino al 31 luglio 1978, resta estranea allapplicabilit degli artt.
58 o 65 della L. n. 392 del 1978 e cessa alla suddetta data, ove non sia stata rinnovata secondo i meccanismi
del codice civile.
* Pret. civ. Roma, sez. II, 15 aprile 1987, Triolo c. Ciabattoni, in Arch. loc. e cond. 1987, 756.
La determinazione della durata della locazione stipulata per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria ancorch si tratti di esigenze di lavoro o di studio - nel regime ordinario della L. n. 392 del 1978 resta affidata
allautonomia delle parti, ai sensi degli artt. 1, comma secondo, e 26, lett. a) della legge stessa. Una durata
legale di tali contratti parimenti esclusa nel regime transitorio, restando linapplicabilit degli artt. 58 e 65- che
prevedono siffatta ulteriore durata con riferimento, rispettivamente, ai contratti soggetti ovvero non soggetti a
proroga secondo la legislazione precedente - sancita dallart. 64 e dallultimo comma dellart. 65 che
considerano, ai fini suddetti, solo i contratti previsti alla lettera d) del primo comma e al secondo comma dellart.
26, con la conseguente esclusione degli altri contratti ivi previsti.
* Pret. civ. Roma. sez. II, 15 aprile 1987, Triolo c. Ciabattoni, in Arch. loc. e cond. 1987, 756.
Nelle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, che ai sensi dellart. 1, secondo
comma, della legge 392/78 sono sottratte alla durata quadriennale, la "stabilit" dellabitazione rileva soltanto ai
fini della determinazione del canone.
* Pret. civ. Pontassieve, 20 agosto 1982, Rapaccini c. Sigg. in Arch. loc. e cond. 1982, 764.
Costituisce esigenza abitativa di natura transitoria ai fini dellapplicazione della legge dellequo canone
quellesigenza adeguatamente soddisfatta soltanto con una locazione di durata inferiore al quadriennio, nonch
quella che non sia connessa con una stabile abitazione nellimmobile per ragioni di lavoro o di studio.
* Pret. civ. Taranto, 15 maggio 1981, Cofano c. Cartini. in Arch. loc. e cond. 1981, 242.
Lesigenza abitativa transitoria che consente la stipulazione di un contratto di locazione con durata inferiore al
quadriennio entra a fare parte della causa del contratto e ne costituisce quindi elemento essenziale. Incombe al
locatore, che chiede il rilascio allo scadere del termine pattuito, allegarla e dimostrarne lesistenza. Essa deve
essere oggettiva e non pu consistere in una mera aspettativa o in promessa di rilascio da parte del conduttore,

al termine pattuito.
* Pret. civ. Parma, 30 maggio 1980, Gorreri , Benincasa. in Arch. loc. e cond. 1980, 430.
f) Legge sullequo canone
disciplinata dalle regole generali di cui alla L. n. 392/78, relativamente alla determinazione del canone, lipotesi
in cui il conduttore che stipuli un contratto di locazione per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria,
debba abitare stabilmente nellimmobile per motivi di lavoro o di studio.
* Pret. civ. Bologna, 18 febbraio 1988, n. 159, Bernardini c. Gara, in Arch. loc. e cond. 1988, 785.
In tema di locazione per esigenze abitative di natura transitoria, la sussistenza delle ragioni di lavoro o di studio
non di per s idonea, ove difetti la prova di una effettiva stabile occupazione dellalloggio, ad integrare
compiutamente la fattispecie prevista dallart. 26, lett. a), L. n. 398/78; ne deriva che la disciplina di cui al capo I
della legge citata applicabile soltanto se la finalizzazione del rapporto ad esigenze di studio o di lavoro si
traduca in una concreta utilizzazione del bene locato.
* Trib. civ. Pavia, sez. I, 13 gennaio 1987, n. 5, Panigati c. Liapaki e altro, in Arch. loc. e cond. 1987, 113.
g) Motivi di studio
Non pu negarsi la ricorrenza delle condizioni di cui allart. 26 lett. a) L. 392/78 e cos ritenere la relativa
locazione soggetta a detta legge nel caso della studente universitaria che si mantenga la casa fuori sede per la
frequenza dei corsi, salvo, forse, solo lipotesi che vi andasse appena in occasione degli esami.
* Pret. civ. Chieti, 23 ottobre 1981, Liberi c. Trapani, in Arch. loc. e cond. 1982, 124.
Non pu essere compreso tra le locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria il
contratto atipico che preveda come oggetto della locazione la sola utilizzazione, da parte di uno studente
straniero dimorante in Italia, di uno spazio riservato alla collocazione di un letto con luso di servizi comuni.
* Pret. civ. Napoli, 26 aprile 1986, n. 1303, Cimmino c. Michalolia. in Arch. loc. e cond. 1986, 729.
Per gli studenti universitari "fuori corso", i quali non devono pi frequentare le lezioni ma soltanto dare gli esami
arretrati, non sussistono pi le "ragioni di studio" per occupare, con la crisi attuale degli alloggi, stabilmente un
immobile nella sede universitaria presso la quale devono recarsi saltuariamente solo per sostenere detti esami,
a meno che non dimostrino di dovere ugualmente attendere a corsi di pratica professionale, di laboratorio od
altri. Ne consegue che con tali studenti pu ben essere stipulata un contratto di locazione transitoria.
* Pret. civ. Parma, 18 ottobre 1980, Orsini c. Trombi, in Arch. loc. e cond. 1980, 624.
Nel caso di contratto di locazione stipulato a favore di terzo (nella fattispecie, dai genitori di uno studente), avuto
riguardo alla previsione di cui allart. 26 lett. a) della legge 392/78, ci si deve riferire al terzo beneficiario
dellalloggio al fine di accertare la presenza dei requisiti fissati da detta norma.
* Pret. civ. Bologna. sez. I, 3 aprile 1981, n. 681, Girola e altro c. S.a.s. Weisshorn, in Arch. loc. e cond. 1981,
487.
h) Mutamento delle esigenze
Le esigenze abitative transitorie di cui agli artt. 1 e 26 della L. 392/78 debbono effettivamente sussistere nel
momento della formazione genetica del contratto, a nulla rilevando le mutate esigenze del conduttore, non
valide per esigere una unilaterale modifica del contratto.
* Trib. civ. Genova, sez. III, 15 gennaio 1983, n. 409, Bacigalupo c. Trestin, in Arch. loc. e cond. 1983, 108.
i) Nozione
Lesigenza abitativa di natura transitoria si riferisce solo alle esigenze del conduttore e deve essere
"oggettivamente" tale nella realt e non perch le parti ritengono di concordare nel qualificarla tale.
* Pret. civ. Taranto, 15 maggio 1981, Cofano c. Cartini, in Arch. loc. e cond. 1981, 242.
Le esigenze abitative di natura transitoria di cui allart. 26 della L. n. 392 del 1978 non si caratterizzano alla luce
del mero dato obiettivo positivo dellesaurimento nel breve periodo, bens secondo il dato negativo della loro
intrinseca non meritevolezza di tutela per lobiettiva diversit dallesigenza abitativa primaria (ovvero giustificata
da ragioni di lavoro o di studio), attesone il carattere meramente sussidiario o voluttuario (quale quella inerente a
vicende di soggiorno turistico, di incontri saltuari con conoscenti ed amici, di utilizzazioni occasionali per i pi
disparati scopi). Tali esigenze sussidiarie ben possono, pertanto, protrarsi anche considerevolmente nel tempo,
ed essere soddisfacentemente appagate mediante la protratta disponibilit di un alloggio, con la conseguenza
che non pu legittimamente ritenersi incompatibile con la qualificazione di una locazione in termini di
transitoriet listituto della rinnovazione tacita del contratto ai sensi dellart. 1597 c.c., almeno nelle circostanze in
cui non risulti, tra le parti, una volont novativa rispetto alla originaria convenzione negoziale, con relativa
modificazione della fattispecie legale tipica da locazione transitoria non primaria a locazione abitativa primaria.
* Cass. civ., sez. III, 7 luglio 1997, n. 6145, Longhitano c. Benvenuti, in Arch. loc. e cond. 1997, 799.
l) Stabilit dellabitazione
Nelle locazioni stipulate per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria, che ai sensi dellart, 1, secondo
comma, della L. n. 392/1978 sono sottratte alla durata quadriennale, la "stabilit" dellabitazione rileva solo ai fini
della determinazione del canone.
*Pret. civ. Firenze, 2 dicembre 1985, Gabbrielli c. Demoustier, in Arch. loc. e cond. 1986, 134.
Ove sia stata pattuita una locazione per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria non per motivi di
studio o di lavoro, ed invece dellimmobile venga fatta dal conduttore una utilizzazione abitativa stabile
determinata da uno di detti motivi, il canone disciplinato dagli artt. 12 - 221. 392/78.
* Pret. civ. Firenze, 4 ottobre 1985,
Nel condominio di edificio, l'allacciamento di nuovi scarichi, che venga eseguito dal singolo partecipante, nella
colonna condominiale di smaltimento delle acque luride, configura un uso (pi intenso) della cosa comune. Ne
consegue che la legittimit o meno di detto allacciamento deve essere accertata non con riguardo alle
disposizioni dettate dall'art. 1067 c.c., in tema di esercizio delle servit, ma con esclusivo riferimento alle norme
che fissano i limiti del godimento del bene comune da parte dei singoli condomini (artt. 1102, 1118 e segg. c.c.).

* Cass. civ., sez II, 23 aprile 1977, n. 1529.


Va ravvisata alterazione della cosa comune nell'ipotesi in cui un partecipante alla comunione intenda usare un
condotto corrente lungo una parete dell'edificio condominiale e destinato allo scarico di acque piovane per
immettervi il liquame di una costruenda latrina, da scaricare in una fogna sottostante ad un cortile di propriet
altrui.
* Cass. civ., 2 aprile 1969, n. 1086.
L'allacciamento degli scarichi di un fabbricato alle fognature municipali, correnti nel sottosuolo stradale, integra
un uso eccezionale del demanio comunale, e, quindi, si ricollega ad un rapporto di concessione di bene
pubblico. Ne consegue che la controversia che attenga soltanto al canone reclamato dal comune per tale
allacciamento, senza mettere in discussione esistenza, validit ed efficacia di quel rapporto, rientra nella
giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 5 secondo comma della L. 6 dicembre 1971, n. 1034.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 27 maggio 1991, n. 5974, Comune di Verona c. Smanio.
Nel caso in cui il costruttore - venditore di un edificio condominiale abbia assunto - ancorch nei distinti contratti
di vendita dei singoli appartamenti - l'obbligo di provvedere all'allacciamento dell'edificio stesso alla rete idrica e
fognante, il valore della causa nella quale alcuni condomini chiedono la condanna del costruttore-venditore al
rimborso della quota da ciascuno di essi sopportata nella complessiva spesa del condominio, a seguito
dell'inadempimento, da parte del convenuto, alla detta obbligazione, deve essere determinato con riguardo non
alle singole quote rispettivamente dedotte in giudizio, bens all'ammontare dell'intera obbligazione, unitariamente
afferente ad opere inerenti all'edificio nel suo complesso e non riferibili singolarmente ai condomini.
*Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1989, n. 3237, Sanz Merico c. Faenza.
Qualora il canone per l'allacciamento alla fognatura municipale venga determinato dal comune con criterio
proporzionale al numero dei locali, ed il privato insorga contro tale provvedimento, sostenendo che il comune
stesso non ha facolt di imporre contributi per la manutenzione delle opere fognarie, la relativa domanda integra
azione di accertamento negativo di un'obbligazione di natura tributaria, e, pertanto, esula dalle attribuzioni
giurisdizionali del giudice amministrativo, incluse quelle in materia di concessioni di beni o servizi pubblici. (Nella
specie, il Consiglio di Stato con la decisione impugnata aveva negato la propria giurisdizione ed affermata quella
del giudice ordinario).
* Cass. civ., Sezioni Unite, 4 dicembre 1989, n. 5348, Forcuto c. Comune Verona.
Il proprietario di un immobile al cui servizio sia stata installata nel sottosuolo di un cortile, di cui egli
comproprietario con altri, una tubazione fognante, non pu permettere a terzi, senza il consenso degli altri
comproprietari del cortile, di allacciare a detta tubazione i loro scarichi, rappresentando tale allacciamento una
nuova servit che non pu essere costituita senza il consenso di tutti i comproprietari del fondo servente.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1976, n. 3892.
L'immissione, da parte del singolo condomino, di acque di rifiuto e di scarico di latrina in un cunicolo
condominiale destinato al solo smaltimento delle acque piovane integra un'alterazione del godimento della cosa
comune, suscettibile di tutela con azione possessoria.
* Cass. civ., 4 gennaio 1977, n. 14.
Un canale di scarico, pur passando nel sottosuolo comune, pu essere di propriet esclusiva, ed in tal caso gli
altri condomini non hanno diritto di usarne, n possono pretendere di usarne contribuendo nelle spese di
manutenzione dell'opera.
* Cass. civ., 26 aprile 1966, n. 1069.
Il principio secondo cui l'utilizzazione delle parti comuni dell'edificio condominiale per la realizzazione di impianti
a servizio esclusivo dell'appartamento del singolo condomino esige il rispetto sia delle regole dettate dall'art.
1102 cod. civ., sia delle norme sulle distanze, onde evitare la violazione dei diritti degli altri condomini sulle parti
di immobile di loro esclusiva propriet, non opera nell'ipotesi di installazione di impianti che debbano
considerarsi indispensabili per un'effettiva abitabilit dell'appartamento, al lume dell'evoluzione delle esigenze
generali dei cittadini e delle moderne concezioni in tema di igiene. Tuttavia, anche in tal caso, nel far uso della
cosa comune il condomino deve sempre rispettare la propriet esclusiva degli altri condomini, non potendo
invaderne la sfera di facolt e di diritti inerenti alla piena potest sulla cosa, n gravarla di pesi e limitazioni, ove
non abbia acquisito al riguardo - per legge o per convenzione - il relativo diritto. (Nella specie la Suprema Corte
ha cassato la decisione impugnata affinch i giudici di rinvio accertino se l'installazione di un tubo di fogna lungo
il muro perimetrale dell'edificio condominiale comporti violazione dei diritti del ricorrente, il quale , nel
contempo, condomino e proprietario esclusivo del fondo confinante con l'edificio condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1980, n. 597, Campria c. Laiacona.
Non costituisce innovazione, ma rientra nell'uso legittimo del cortile comune, la costruzione, nel sottosuolo del
cortile stesso, di tubo di scarico tra l'appartamento di un condomino e la fogna comunale, giacch essa, mentre
non altera la destinazione obiettiva del cortile, che quella di dare aria e luce agli appartamenti ed ai piani ed
agli edifici circostanti, costituisce un'utilit accessoria che il suddetto bene comune pu offrire ai condomini,
purch tale uso sia mantenuto nei limiti dell'art. 1102 c.c..
* Cass. civ., sez. II, 7 luglio 1978, n. 3405.
Lo stabilire se un determinato uso della cosa comune (nella specie, collocazione nel muro comune di tubi di
scarico dell'acqua) pregiudichi in concreto i diritti degli altri condomini si risolve in un giudizio di fatto, demandato
al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimit, se adeguatamente motivato.
* Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1980, n. 454, Sebastiani c. Specchio.
Deve ritenersi lecita la posizione di una conduttura di acque luride di scarico alla parete di un pianerottolo, in
modo che essa non sia visibile poich l'uso futuro ed eventuale, che di essa parete vogliano fare gli altri
condomini (a posizione di altri tubi, apertura di porte, ecc.), potr essere determinato secondo il criterio dell'equo
contemperamento dei diversi interessi.

* Cass. civ., 9 giugno 1975, n. 2293.


L'installazione di nuovi tubi, per lo scarico di servizi igienici nelle condutture di edificio condominiale, la quale
venga eseguita all'interno del solaio di separazione fra due piani, configura un uso legittimo della cosa comune
da parte del singolo condomino, ai sensi dell'art. 1102, ove non ne alteri la destinazione e non impedisca agli
altri partecipanti di farne pari uso, e cio non ostacoli l'allocazione di altre analoghe tubazioni, e non soggetta
alle disposizioni che sono dettate dall'art. 889 c.c., in tema di distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi e che
regolano i rapporti di vicinato fra costruzioni e fondi finitimi.
* Cass. civ., 23 aprile 1977, n. 1529.
Non altera la destinazione della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c. il comunista che installa un tubo di
scarico di acque luride nel cortile comune interno ad un fabbricato.
* Trib. civ. S. Maria Capua Vetere, 30 ottobre 1985, in Nuovo dir. 1987, 574.
Qualora a seguito della rottura di una installazione comune dell'edificio condominiale (nella specie, tubo di
scarico del liquame), riconducibile alla colpevole condotta di uno degli utenti del servizio comune, derivino danni
al terzo, al relativo risarcimento - stante il principio, in tema di responsabilit aquiliana, del carattere personale
della colpa - tenuto il condomino, da individuare specificamente, che ha causato l'evento dannoso e non il
gruppo dei condomini interessati al servizio ovvero l'intero condominio.
* Cass. civ., sez. III, 12 maggio 1981, n. 3146, Cond. Isola 98 c. Guerrera.
In caso di allagamento di locali seminterrati a causa esclusivamente del riflusso entro la fogna privata di acque
provenienti da quella comunale, riflusso dovuto unicamente alla mancata e doverosa predisposizione dei
dispositivi antirigurgito, si deve ritenere che responsabile dei danni sia il condominio, ove lo stesso non abbia
adottato le prescritte valvole antirigurgito, e non il Comune proprietario della fognatura.
* Corte app. civ. Roma, sez. I, 15 febbraio 1988, n. 477, Comune di Roma c. Parenza, Cond. via dei Colli
Portuensi, Di Bernardino e Soc. L'Architettonica I e II, in Arch. loc. e cond. 1989,498.
La domanda del condomino di risarcimento dei danni per il cattivo funzionamento di un impianto comune (nella
specie: condotta delle acque luride), derivando dal pregiudizio effettivamente subito per il fatto del terzo (il
condominio rispetto ad esso condomino) e tendendo alla ricostituzione dell'integrit patrimoniale del detto
soggetto leso dal difetto del bene comune, non postula, per la sua procedibilit, la previa richiesta
all'amministratore, n la necessit di istanza o convocazione dell'assemblea condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 19 giugno 1984, n. 3629, Ciaccia c. Migliore.
Il condominio responsabile dei danni causati all'appartamento di un condomino da infiltrazioni derivanti dalla
parte della fognatura condominiale che arriva sino al punto di innesto con la fognatura stradale, mentre non
responsabile dei danni causati alla rete di fognatura esterna al condominio stesso.
* Corte app. civ. Roma, 30 novembre 1964, in Riv. giur. edilizia 1965, I, 1308.
La P.A. tenuta sia ad adeguare la propria rete fognaria in modo di evitare il ripetersi di frequenti allagamenti
che si verifichino in occasione di precipitazioni meteoriche, sia al risarcimento dei danni subiti dai cittadini a
causa degli allagamenti suddetti. (Fattispecie nella quale stato riconosciuto il diritto al risarcimento dei danni ai
condomini di uno stabile i cui garages avevano subito gravi danni dovuti a consistenti allagamenti).
* Trib. civ. Roma, 28 febbraio 1997, n. 4522, Condominio di via Monte Gran Paradiso n. 28 in Guidonia c.
Comune di Guidonia, in Arch. loc. e cond. 1997, 650.
Qualora un pozzetto e tubi di ispezione della fognatura attengano ad un servizio generale dell'edificio esso
sottoposto a custodia condominiale anche se collocato in propriet solitaria. In caso di fuoriuscita per il
condominio perde la responsabilit se esso stato manomesso dall'occupante della propriet privata.
* Trib. civ. Milano, 27 febbraio 1992, in L'Ammin. 1992, n. 4.
e) Edifici limitrofi
Nell'ipotesi di cose destinate in modo permanente all'uso di edifici limitrofi, ma ubicate nell'area di uno solo di
essi (nella specie, scarico fognario), l'applicabilit della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. civ.
postula che quella destinazione all'uso comune sia avvenuta allorch non era ancora unico il proprietario di
entrambi gli edifici, atteso che, ove questi abbia venduto anche uno degli appartamenti dello stabile nella cui
area si trova quel bene, il bene stesso diventa comune nell'ambito di detto stabile e pu essere esteso in
comunione a terzi solo con il consenso dei relativi condomini.
* Cass. civ., sez. II, 19 giugno 1980, n. 3910, Cond. V. Grossi c. Cond. V. Corvisie.
f) Gronde
Le spese inerenti alla pulizia della gronda, trattandosi di spesa relativa a cosa comune, devono gravare su tutti i
condomini, difettando qualsiasi prova che l'intasamento della gronda stessa sia dovuto a fatto esclusivo di un
condomino.
*Trib. civ. Milano, 14 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond., 1991, n. 764.
g) Pozzo nero
La costruzione di un pozzo nero, eseguita nel cortile comune da parte di uno dei condomini dell'edificio, che
ricada, in virt del principio dell'accessione, in comunione pro indiviso, e del quale, pertanto, gli altri condomini
possono fare uso al pari del condominio costruttore, rappresenta un uso consentito della cosa comune, non
dando luogo ad alterazione dell'utilizzazione diretta dell'area sovrastante secondo la sua destinazione naturale e
non impedendo, nel caso in cui non sia sufficiente a soddisfare le esigenze delle varie unit immobiliari, la
possibilit di una pari utilizzazione della parte residua del fondo.
* Cass. civ., sez. II, 29 marzo 1978, n. 1456.
La compropriet di pozzi neri scavati sotto un cortile non comporta necessariamente la compropriet del cortile
soprastante, che pu essere esclusa dal titolo e da una diversa situazione di destinazione.
* Cass. civ., 17 ottobre 1966, n. 2488.
h) Scolo delle acque grondanti

Il naturale scolo, in un cortile condominiale, delle acque grondanti da cornicioni, balconi o terrazze delle
abitazioni che vi si affacciano, il quale non si ricollega ad un diritto di servit, ma configura esercizio del diritto di
compropriet, resta soggetto ai limiti fissati dall'art. 1102 cod. civ., e non pu quindi implicare un'alterazione
della destinazione della cosa comune, od un impedimento del pari uso degli altri partecipanti, n un
danneggiamento della cosa medesima o delle propriet esclusive dei singoli condomini. (Nella specie, alla
stregua del principio di cui sopra, la S.C. ha ritenuto corretta la decisione dei giudici del merito, che avevano
dichiarato illegittima l'apertura di un foro, alla base di un parapetto, convogliante l'acqua piovana nel cortile con
violenta caduta e danneggiamento di porzioni condominiali).
* Cass. civ., sez. II, 11 ottobre 1986, n. 5949, Truda c. Alfano.
i) Spese
L'art. 1123, primo cpv., cod. civ., che nell'ipotesi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa
dispone che le relative spese sono ripartite in proporzione dell'uso da ciascuno fattone, non pu subire deroga
per la circostanza che l'unit immobiliare sia compresa nella tabella millesimale generale dell'edificio
condominiale, in quanto tali tabelle, formate in base al solo valore delle singole unit immobiliari, servono solo
per il riparto delle spese generali e di quelle che riguardano le parti dell'edificio comuni a tutti i condomini, ma
non sono utilizzabili per il riparto delle spese che non sono comuni a tutti i condomini in ragione del diverso uso
delle cose condominiali. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la
pronuncia della corte di merito che aveva ritenuto non dovute dalla parte attrice, la cui propriet era pur inclusa
nelle tabelle millesimali, le spese per la manutenzione delle fognature, in quanto il suo locale al piano interrato
era sfornito di impianti igienici).
* Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1987, n. 8484, Cond. V. Nobili c. Carini.
Con riguardo all'impianto di fognatura di un edificio in condominio l'indagine diretta a stabilire se il condomino
che non utilizzi detto impianto, per essere l'unit abitativa di sua propriet collegata con l'impianto idrico sanitario
di un altro condominio, sia egualmente comproprietario dell'impianto condominiale e quindi, in applicazione
dell'art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere nelle spese inerenti alla sua conservazione, va condotta in base ai
criteri indicati nell'art. 1117 c.c. sull'individuazione delle parti comuni dell'edificio, tenendo conto che la
comunione di detto impianto ove debba essere negata in base alla citata norma pu essere riconosciuta per
effetto di diversa previsione del regolamento condominiale, quando esso abbia natura contrattuale perch
predisposta dall'originario unico proprietario dell'edificio e poi accettato con i singoli atti di acquisto, ovvero
perch adottato con il consenso unanime di tutti i partecipanti, manifestato nelle debite forme.
* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1991, n. 13160, Condominio via L. Nobili n. 46 Roma c. Pierboni.
Le opere destinate a servire una parte dell'intero fabbricato, e i conseguenti danni, sono a carico del gruppo di
condomini che ne trae utilit (nella specie si trattava di interventi condominiali diretti al rifacimento della condotta
fecale).
* Trib. civ. Napoli, sez. III, 27 giugno 1992, n. 8205, Coppeto c. Panaro, in Arch. loc. e cond., 1993, 116.
Le riparazioni alle tubature effettuate nell'interno degli appartamenti sono a carico dei rispettivi proprietari.
* Trib. civ. Milano, 26 giugno 1970, in Riv. giur. edilizia 1972, I, 216.
Le prese per la costruzione di nuovi canali di scarico e di nuova fognatura, necessari per sostituire il
preesistente sistema di scarico, a pozzi perdenti, con altro collegato direttamente alla fogna comunale, vanno
ripartite tra i condomini, non in proporzione all'uso che ciascuno di essi pu farne, secondo la previsione di cui
all'art. 1123, comma 2, c.c., bens in misura proporzionale ai valori di propriet individuale espressi in millesimi,
a norma del comma 1 dello stesso articolo, purch i relativi condotti costituiscano un impianto unico non
suscettibile di frazionamenti, quali parti integranti del medesimo condotto principale nel quale confluiscono
senza del quale non potrebbero funzionare.
* Cass. civ., 12 ottobre 1979, n. 533.
Le cause aventi ad oggetto con la formazione delle tabelle millesimali la ripartizione di spese attinenti all'uso e al
godimento dei servizi condominiali e dei beni comuni (nella specie spese di spurgo della fossa biologica e di
pozzetti) non rientrano tra le controversie relative alle modalit di uso e alla misura dei servizi condominiali
rispettivamente di competenza del conciliatore (art. 7 cpv., c.p.c.) e del pretore (art. 8, n. 4, c.p.c.) - in quanto la
patrimonialit del thema decidendum prevale sull'accertamento della misura e delle modalit dell'uso, che
costituisce soltanto un presupposto necessario per la determinazione delle singole quote di spesa.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6936, Piccirillo c. Cartaro ed altri.
IMMISSIONI (RUMORI, FUMI, ESALAZIONI)
SOMMARIO: a) Esalazioni maleodoranti; b) In genere; c) Inquinamento atmosferico; d) Limitazioni imposte dal
regolamento; e) Normale tollerabilit; f) Procedimento (azione inibitoria); g) Responsabilit del conduttore; h)
Rumori; i) Servit di immissione; l) Tutela della salute; m) Vibrazioni prodotte da automezzi.
a) Esalazioni maleodoranti
Per stabilire se la destinazione o la fruibilit di un ambiente comune, in un condominio edilizio, siano state
degradate dalle esalazioni di un gabinetto di decenza costruito da uno dei condomini, il giudice del merito non
pu limitarsi a constatare l'esistenza di un parere positivo dell'autorit sanitaria comune, poich quest'ultima
cura interessi pubblici diversi da quelli privati, tutelati dalle norme del codice civile sul condominio.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1978, n. 4844.
Le esalazioni maleodoranti o comunque sgradevoli non rientrano nella tutela penalmente apprestata dall'art. 674
del codice penale per le emissioni moleste di gas vapori e fumo, ma possono esser fonte di responsabilit civile,
ove eccedano i limiti posti dall'art. 844 c.c.
* Cass. pen., sez. I, 24 aprile 1991, n. 4539 (ud. 29 gennaio 1991), Garzia.
b) In genere

La disposizione dell'art. 844 c.c., applicabile anche negli edifici in condomino nell'ipotesi in cui un condomino
nel godimento della propria unit immobiliare o delle parti comuni dia luogo ad immissioni moleste o dannose
nella propriet di altri condomini. Nell'applicazione della norma deve aversi riguardo, peraltro, per desumerne il
criterio di valutazione della normale tollerabilit delle immissioni, alla peculiarit dei rapporti condominiali e alla
destinazione assegnata all'edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. In particolare,
nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unit immobiliari siano soggette a
destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione ed ad esercizio commerciale, il criterio dell'utilit sociale, cui
informato l'art. 844 citato, impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed
economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali (v. Cost., artt. 14, 31 e 47) le
esigenze personali di vita connesse all'abitazione, rispetto alle utilit meramente economiche inerenti
all'esercizio di attivit commerciali. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale
aveva ordinato la rimozione dal muro perimetrale comune di una canna fumaria collocata nella parte terminale a
breve distanza dalle finestre di alcuni condomini, destinata a smaltire le esalazioni di fumo, calore e gli odori
prodotti dal forno di un esercizio commerciale ubicato nel fabbricato condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1993, n. 3090, Cannata c. Pizzo.
La norma dell'art. 844 applicabile anche ai rapporti tra i condomini di uno stesso edificio, quando uno di essi,
nel godimento della cosa propria od anche comune, dia luogo ad immissioni moleste e dannose nella propriet
dell'altro.
* Cass. civ., 20 febbraio 1969, n. 570.
Ai fini della valutazione della liceit delle immissioni, l'art. 844 cod. civ. enuncia tre diversi criteri, di cui due
obbligatori ed uno facoltativo e sussidiario: i criteri obbligatori sono quelli della normale tollerabilit e del
contemperamento delle ragioni della propriet con le esigenze della produzione, mentre il criterio facoltativo
quello della priorit dell'uso.
* Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 1985, n. 6534, Dei A. c. Dei M.
Qualora i condomini, con il regolamento di condominio, abbiano disciplinato i loro rapporti reciproci in materia di
immissioni con norma pi rigorosa di quella dettata dall'art. 844 c.c., che ha carattere dispositivo, della liceit o
meno della concreta immissione si deve giudicare non alla stregua del principio generale posto dalla legge,
bens dal criterio di valutazione fissato nel regolamento (nella specie trattavasi dell'installazione di una tipografia
nonostante che il regolamento facesse divieto di svolgere attivit rumorose od emananti esalazioni nocive).
* Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1992, n. 1195.
La protezione della propriet da immissioni dannose concessa dagli artt. 949 e 844 cod. civ. anche nei rapporti
tra condomini di uno stesso edificio quando uno di essi, nel godimento della cosa propria o comune, dia luogo
ad immissioni moleste e dannose nella propriet di altro condomino, facendo sorgere in colui che subisce
l'immissione dannosa, il diritto al risarcimento del danno e ad una declaratoria giudiziale che sanzioni
l'illegittimit delle immissioni.
* Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 1982, n. 448, Leotta c. Greco.
La domanda di condanna all'eliminazione delle immissioni intollerabili di rumori, fumi e vibrazioni derivanti da
una centrale per la produzione di energia elettrica, proposta dal proprietario di un fondo adiacente alla stessa,
appartiene alla cognizione del giudice ordinario, in quanto, pur potendo comportare la chiusura di detta centrale,
essa diretta alla tutela di diritti soggettivi (propriet e salute), che si assumono lesi dalle modalit di attuazione
della produzione di energia, non gi alla soppressione del relativo servizio pubblico.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 29 luglio 1995, Soc. Sep. c. Mazzella.
Sebbene l'art. 844 c.c. contenga un elenco esemplificativo delle immissioni suscettibili di divieto, posto che, in
esso, dopo l'espressa menzione di alcune di tali immissioni seguono le parole "e simili propagazioni" , tuttavia il
carattere eccezionale dei limiti posti alla estrinsecazione del diritto di propriet fa s che la tassativit sussiste nel
genus, se non nella species. Pertanto, la norma passibile di applicazione, per interpretazione estensiva, ad
ipotesi che presentino tutti i seguenti requisiti: 1) materialit dell'immissione, cio che essa cada sotto i sensi
dell'uomo ovvero influisca oggettivmente sul suo organismo (per esempio, radiazioni nocive) o su
apparecchiature (per esempio, correnti elettriche e onde elettromagnetiche); 2) carattere indiretto o mediato
dell'immissione, nel senso che essa non consista in un facere in alienum, ma costituisca ripercussione di fatti
compiuti, direttamente o indirettamente dall'uomo, nel fondo da cui si propaga; 3) attualit di una situazione di
intollerabilit, non semplice pericolo di essa, derivante da una continuit, o almeno periodicit, anche se non a
intervalli regolari, dell'immissione. Questi requisiti non ricorrono nell'ipotesi in cui aggetti di gronda e tubazioni di
raccolta delle acque piovane sporgano oltre la linea di confine.
* Cass. civ., sez. II, 7 settembre 1977, n. 3889.
La possibilit di eliminare o di ridurre la immissione con l'adozione di idonei accorgimenti tecnici pu influire nella
valutazione della tollerabilit delle immissioni stesse, nel senso di far considerare intollerabile ci che pu essere
eliminato senza soverchio sacrificio e con mezzi normali; ma ci non consente di affermare, in via di illazione,
che possano valutarsi con minor rigore quelle immissioni rispetto alle quali ogni rimedio sia stato adottato e si sia
rivelato, o non possa che rivelarsi, inutile, ci perch l'adozione di accorgimenti tecnici non rileva, in relazione al
suo costo, sul piano della valutazione della normale tollerabilit delle immissioni bens, in relazione alla sua
efficienza (o, al pi, in relazione al rapporto tra il suo costo e la sua efficienza, ed impregiudicato restando, il
caso di totale o parziale inefficienza, il rimedio dell'indennizzo) sul piano della decisione circa i rimedi e le misure
da adottare.
* Cass. civ., 10 ottobre 1975, n. 3241.
Sia la norma dell'art. 844 cod. civ. e sia quella dell'art. 890 dello stesso codice sono ispirate all'esigenza di
contemperare le ragioni della propriet con le necessit economico-sociali, con potere del giudice di stabilire i
rispettivi limiti; mentre l'art. 844 tende a tutelare la propriet delle immissioni, il successivo art. 890 ha un pi

vasto campo di applicazione, estendendo la sua previsione a tutti i casi in cui le immissioni sono tali da
provocare anche soltanto il pericolo di pregiudizio alla stabilit di un immobile o alla salubrit del luogo.
* Trib. civ. Napoli, 18 luglio 1983, Longo c. Spa Italsider, in Arch. civ. 1984, 770.
Il problema dell'interpretazione analogica dell'art. 844 c.c. in ipotesi in cui sia stata (esclusivamente) proposta
azione ex art. 2043 c.c. in realt (ai fini di causa) un falso problema, perch quando l'attore si limita ad agire
contro l'autore delle immissioni per la loro eliminazione chiaro che egli svolge solo un'azione personale
inquadrabile nell'azione di risarcimento in forma specifica di cui all'art. 2058 c.c.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. loc. e cond. 1993, 496.
c) Inquinamento atmosferico
La L. 13 luglio 1966, n. 615, la quale, all'art. 20, stabilisce che tutti gli stabilimenti industriali devono possedere
impianti, installazioni o dispositivi tali da contenere entro i pi ristretti limiti che il progresso tecnico consenta, le
emissioni di fumi, gas, polveri o esalazioni ch, oltre a costituire comunque pericolo per la salute pubblica,
possono contribuire all'inquinamento atmosferico, non concerne la materia delle immissioni, cui si riferisce l'art.
844 c.c., n, pi in generale, quella dei rapporti privatistici di vicinato, come risulta dalle finalit di detta
disciplina, quale traspare dal riferimento alla tutela della "salute pubblica" e, in particolare, alla prevenzione
dell'inquinamento atmosferico.
* Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 1975, n. 3241.
In tema di immissioni i limiti di tollerabilit previsti dalla L. 13 luglio 1966 n. 615 non trovano applicazione nei
rapporti privatistici di vicinato, che restano disciplinati dall'art. 844 cod. civ., con la conseguenza che
l'accertamento dell'eventuale intollerabilit delle immissioni comporta l'esistenza del danno in re ipsa e per il
vicino il diritto ad ottenere il risarcimento del danno a norma dell'art. 2043, fintantoch non vengano eliminate le
dette immissioni.
* Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1987, n. 2580, Eridania c. Amoretti.
Le disposizioni della L. 13 luglio 1966 n. 615, contenente provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico,
disciplinano comportamenti che prescindono da qualsiasi collegamento con la propriet fondiaria e che vengono
presi in considerazione in s e per s nell'interesse collettivo alla salvaguardia della salute in generale e non per
stabilire i limiti di equilibrio nella utilizzazione di tale propriet che rimangono affidati alla disciplina delle
immissioni ex art. 844 cod. civ., senza trovare sanzione nella detta legge avente una diversa sfera di operabilit.
Pertanto, in materia di conflitti tra fondi vicini il comportamento dannoso del proprietario di uno di essi, quale
l'emissione di fumo prodotto da combustione dalla finestra di un locale adibito a panificio, pur essendo contraria
alle dette norme contro l'inquinamento atmosferico, non attribuisce ex se al proprietario di un appartamento
nell'edificio in condominio col primo il diritto di chiederne l'eliminazione se non nel caso in cui egli dimostri che
l'immissione di fumo nel suo appartamento supera il limite della normale tollerabilit ai sensi dell'art. 844 cod.
civ.
* Cass. civ., sez. II, 16 marzo 1988, n. 2470, Scannapiero c. Califri.
In caso di effetti pregiudizievoli subiti da immobili siti in prossimit di uno stabilimento a causa delle immissioni di
polveri provenienti da questo, possono essere ritenute intollerabili ai sensi dell'art. 844 c.c. anche le immissioni
che non superino i limiti fissati dalla L. 13 luglio 1966, n. 615, sull'inquinamento atmosferico.
* Corte app. civ. Napoli, sez. I, 14 maggio 1992, n. 1162, Societ Cementir c. Rigillo e altri, in Arch. loc. e cond.
1993, 311.
d) Limitazioni imposte dal regolamento
Quando l'attivit posta in essere da uno dei condomini di un edificio idonea a determinare il turbamento del
bene della tranquillit degli altri partecipi, tutelato espressamente da disposizioni contrattuali del regolamento
condominiale, non occorre accertare al fine di ritenere l'attivit stessa illegittima, se questa costituisca o non
immissione vietata a norma dell'art. 844 cod. civ., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale
possono sempre imporre limitazioni al godimento della propriet esclusiva anche maggiori di quelle stabilite
dalla indicata norma generale sulla propriet fondiaria.
* Cass. civ., sez. II, 15 luglio 1986, n. 4554, Graziosi c. Fiesoletti.
e) Normale tollerabilit
La disciplina relativa alle immissioni moleste provenienti dal fondo vicino, dettata dall'art. 844 cod. civ., ed il
limite della tutela inibitoria alle immissioni che superano la normale tollerabilit, trovano applicazione anche nei
rapporti di condominio, tra parte di propriet esclusiva e parte di propriet comune.
* Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1983, n. 2396, Casati c. Cond. Quadrio MI.
L'accertamento della tollerabilit o meno delle immissioni agli effetti previsti dall'art. 844 cod. civ., inerisce non
gi ad un presupposto processuale, ma concerne una condizione dell'azione, verificabile, come tale, tenendo
conto anche dei fatti sopravvenuti nelle more del giudizio. (Nella specie, il Supremo Collegio, enunciando il
surriportato principio, ha cassato la decisione d'appello, confermativa del giudizio di intollerabilit delle
immissioni espresse dal primo giudice, perch emessa senza il previo controllo sull'esistenza in atto di tale
intollerabilit).
* Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1981, n. 6718, Soc. Cartiere R. c. Amadori.
La circostanza che il capoverso dell'art. 844 c.c. dia all'autorit giudiziaria ampi poteri discrezionali nella
valutazione del limite della normale tollerabilit delle immissioni, dovendosi contemperare le esigenze della
produzione con quelle della propriet, tenendo anche conto, se del caso, della priorit dell'uso, non vuol dire che
quel limite possa essere superato, ma soltanto che esso debba essere valutato pi o meno rigorosamente, in
relazione alle indicazioni date dalla norma, e che conferito all'autorit giudiziaria il potere di dare quelle
disposizioni che valgono a ricondurre, quando sia possibile, al limite di tollerabilit le immissioni, nonch di
determinare un equo indennizzo quando quelle, bench tollerabili, producano un certo danno. Da ci deriva che

le immissioni ritenute intollerabili dal giudice del merito costituiscono fatto illecito, possibile causa di danno
risarcibile a norma dell'art. 2043 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1977, n. 740.
In tema di nozione della normale tollerabilit, agli effetti di quanto dispone l'art. 844 cod. civ., opera il criterio
della relativit, essendo affidato al giudice un compito moderatore ed equilibratore da esercitarsi di volta in volta,
con riguardo, oltre alle condizioni di tempo e di luogo nelle quali si verificano le immissioni, anche alla loro
intensit ed idoneit a ripercuotersi sfavorevolmente sui soggetti che le ricevono.
* Pret. civ. Taranto, sede distaccata di Massafra 23 novembre 1977, Iurlano ed altri c. Lombardo e Morelli, in
Arch. civ. 1978, 68.
Il parametro della normale tollerabilit, di cui all'art. 844 cod. civ., in tema di immissioni derivanti dal fondo del
vicino, va accertato in base al criterio della relativit e caso per caso, essendo affidato al giudice un compito
moderatore da esercitarsi in relazione alle singole situazioni e all'entit degli interessi in conflitto e con riguardo,
altres, alle esigenze della convivenza sociale e della funzione sociale della propriet.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 27 gennaio 1978, n. 206, Cooperativa Sportiva Villaggio Brugherio Srl c. Castelli,
in Arch. civ. 1978, 546.
f) Procedimento (azione inibitoria)
Qualora un gruppo di condomini chieda la cessazione di immissioni moleste provenienti da un locale adibito ad
esercizio commerciale sito nel medesimo edificio in condominio e il giudice disponga l'esecuzione delle opere
necessarie per l'eliminazione delle denunciate immissioni, deve esser disposta l'integrazione del contraddittorio
nei confronti di tutti quei condomini, estranei al giudizio, le cui propriet individuali riceverebbero pregiudizio
dall'esecuzione delle opere stesse. (Nella specie, i giudici di appello avevano disposto l'esecuzione di opere
idonee ad eliminare le immissioni stesse - costruzione di canna fumaria lungo la parete esterna dell'edificio - ma
avevano rigettato l'istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini rimasti estranei al
giudizio, limitandosi a disporre che le opere venissero eseguite "salva l'opposizione degli altri condomini aventi
diritto").
* Cass. civ., sez. II, 6 marzo 1978, n. 1108.
L'azione diretta ad impedire le immissioni intollerabili provenienti dal fondo del vicino non pu senz'altro essere
considerata azione reale a difesa della propriet o di altro diritto reale, perch ove la violazione materiale della
sfera giuridica altrui non sia accompagnata dalla pretesa di un diritto reale limitato sulla cosa, l'azione ha
carattere essenzialmente personale, a nulla rilevando che il diritto a pretendere l'eliminazione dell'attivit
materiale commessa dal terzo sia sorta a causa della lesione di un diritto reale. In detta ipotesi, la domanda
rivolta ad ottenere la rimozione della situazione lesiva del diritto di propriet esorbita dai limiti della negatoria e
va compresa nell'azione di risarcimento del danno mediante integrazione in forma specifica.
* Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1975, n. 4124.
L'azione concessa al proprietario ex art. 844 c.c., per far dichiarare l'illiceit delle immissioni moleste provenienti
dal fondo altrui e per impedire che l'immobile proprio le subisca, costituisce un'azione di carattere reale, che
rientra nel paradigma delle azioni negatorie predisposte a tutela della propriet, in ordine alle quali il valore della
causa va determinato in base al disposto dell'art. 15 c.p.c. Ne consegue, che, quando agli atti non risulta il
reddito dominicale o la rendita catastale del bene immobile, si ha presunzione di competenza del giudice adito, e
grava sul convenuto, che eccepisce l'incompetenza per valore, l'onere di provare l'ammontare del predetto
reddito o della predetta rendita (o che, non risultando tali elementi di valutazione, la causa deve considerarsi di
valore indeterminabile), senza che i limiti di competenza per valore possano ritenersi superati per effetto di
un'ulteriore richiesta risarcitoria, atteso che la riserva di contenimento della competenza va riferita all'intero.
* Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1995, n. 8602, Barbano c. Ricci, in Arch. loc. e cond. 1996, 50.
In tema di immissioni in alienum la domanda di cessazione della turbativa comprende necessariamente l'istanza
di eliminazione delle molestie e una tale finalit pu essere conseguita sia con la radicale rimozione dell'attivit
svolta dal vicino, sia con l'attuazione degli accorgimenti tecnici idonei ad evitare la denunciata situazione
pregiudizievole, sia, infine, consentendo le immissioni contro pagamento di un'indennit a carico dell'immittente
ed a favore del proprietario del fondo soggetto alle immissioni medesime.
* Cass. civ., 21 novembre 1973, n. 3138.
In caso d'immissioni che eccedano la normale tollerabilit, l'attore pu esperire azione inibitoria ex art. 844 cod.
civ., per far cessare le immissioni ed ottenere il risarcimento del danno subito.
* Trib. civ. Milano, 7 gennaio 1988, Saccone e altra c. Condominio Via Edison 12, Novate Milanese, in Arch. loc.
e cond. 1989, 538.
L'amministratore di condominio legittimato a proporre ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per far cessare
immissioni moleste solo qualora nel ricorso stesso venga prospettata la sussistenza di un pregiudizio
incombente sul condominio in quanto tale, vale a dire sui beni di propriet comune ex art. 1117 c.c.
* Trib. civ. Napoli, ord. 26 ottobre 1993, Condominio di via Terracina n. 81/25 di Napoli c. Miceli e Soc. Toscana,
in Arch. loc. e cond. 1995, 168.
Nell'azione ex art. 844, cod. civ., ove la tutela inibitoria sia richiesta per la tutela del diritto alla salute, lo schema
reale diventa un semplice presupposto formale al quale va ricollegata la legittimazione ad agire.
* Pret. Pietrasanta, ord. 17 marzo 1989, Bolgioni c. Moba, in Arch. civ. 1989, 520.
g) Responsabilit del conduttore
Nel caso di molestie determinate da attivit svolte in una abitazione data in locazione, il conduttore, che ha il
godimento e l'uso della cosa locata, responsabile, per le immissioni che superino la normale tollerabilit, nei
confronti dei proprietari o degli inquilini degli appartamenti vicini, e tale responsabilit non pu essere limitata al
fatto personale del conduttore medesimo e delle sole persone di cui egli abbia la legale rappresentanza, in
quanto la titolarit del rapporto di locazione implica che egli debba impedire lo svolgimento, nell'abitazione

locatagli, delle predette attivit da parte di tutte le persone appartenenti al suo nucleo familiare. La colposa
violazione di tale obbligo, che trova rispondenza in un principio di responsabilit sociale, fonte di responsabilit
extracontrattuale (ai sensi, peraltro, dell'art. 2043 e non dell'art. 2051 cod. civ.) del soggetto titolare del rapporto
di locazione, che , pertanto, passivamente legittimato in ordine alle azioni inibitoria e risarcitoria proposte, nei
suoi confronti da inquilini o condomini dello stabile.
* Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1981, n. 6356, Aiese c. Colletta.
h) Rumori
Il bene della salute ha carattere primario ed assoluto, e nello ambito della tutela dei diritti assoluti assicurata
dagli art. 2043 e 2058 cod. civ., deve essere protetto contro qualsiasi attivit che possa menomarlo, ma
l'assolutezza e l'incomprimibilit del diritto non escludono la necessit di accertare quali siano le condizioni
obiettive nel cui contesto il diritto viene esercitato, e se sia razionale il sacrificio totale di ogni altra esigenza in
potenziale conflitto con esso, tenuto anche conto che la ricerca dell'effettiva esistenza della menomazione (ossia
del confine tra un'attivit che reca un semplice fastidio psicofisico ed un'attivit che determina una vera e propria
menomazione di quel bene, nel senso di dar luogo ad oggettivi fenomeni patologici fisici o psichici) non pu
essere compiuta con criteri puramente astratti, che prescindano dal concreto ambiente in cui la persona vive ed
opera. Pertanto, sia al fine di accertare la concreta sussistenza della lesione, sia al fine di stabilire le concrete
modalit della tutela, non pu ritenersi ingiustificato il ricorso all'applicazione analogica delle disposizioni dell'art.
844 cod. civ. in tema di immissioni moleste, laddove fanno riferimento al criterio della tollerabilit della molestia
ed alla possibilit di estendere l'intervento del giudice al di l della barriera dell'inibizione assoluta, in modo da
ricomprendere la determinazione dei mezzi necessari per ricondurre l'attivit aggressiva nei limiti del diritto.
(Nella specie, l'occupante di un appartamento di un edificio in condominio aveva chiesto l'inibizione dell'esercizio
della centrale termica condominiale, ubicata in un locale sottostante allo appartamento, poich la rumorosit
dell'impianto recava nocumento alla sua salute; la Suprema Corte, alla stregua del principio di cui in massima,
ha ritenuto che, una volta accertata la lesione del diritto, non fosse a priori vietato al giudice, ai fini della tutela
dello stesso, di ordinare, anzich l'inibizione dell'uso dello impianto nel luogo in cui si trovava, l'esecuzione di
opere atte ad eliminare i rumori o a ricondurli nei limiti della tollerabilit).
* Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1983, n. 2396, Casati c. Cond. Quadrio MI.
In tema di immissioni (nella specie di rumori), le disposizioni dell'art. 844 cod. civ. trovano applicazione avendo
riguardo alla situazione del fondo che le riceve, con la conseguenza che se questo sito in zona residenziale, la
normale tollerabilit deve essere valutata in base ai criteri vigenti in tale zona, in cui le immissioni stesse si
propagano, a nulla rilevando la loro normalit riferita al luogo di provenienza (nella specie, zona industriale).
* Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1984, n. 4523, Sica c. Glielmi.
Dalla mancata emanazione da parte del Comune di una propria regolamentazione limitatrice delle attivit
rumorose, in base all'art. 66 del T.U. delle leggi di P.S., approvato con decreto 18 giugno 1931, n. 773, non si
pu desumere che il Comune stesso abbia ritenuto l'attivit produttiva prevalente sulle esigenze di quiete dei
privati, e che, in conseguenza, ogni imposizione di restrizioni debba considerarsi illegittima e l'art. 844 c.c. non
possa trovare applicazione. Le due norme, infatti, hanno finalit e campo di azione ben distinti: la prima, di
interesse pubblico, mira a tutelare la quiete pubblica, riguarda i rapporti tra l'esercente l'attivit e la collettivit in
cui egli opera, creando obblighi dell'esercente nei confronti degli enti preposti alla vigilanza, ma non diritti perfetti
nei confronti degli abitanti del Comune; la seconda, invece, regolando un rapporto fra fondi, tutela il diritto reale
di propriet.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1974, n. 1452.
La potenzialit diffusiva del rumore nelle abitazioni confinanti con il pubblico esercizio dal quale provengano le
immissioni sonore, e il pregiudizio per la tranquillit esistenziale delle persone presenti in tali abitazioni, possono
essere desunti sulla base di prove documentali e testimoniali, oltre che dall'esame degli imputati, senza la
necessit degli accertamenti fonometrici realizzati sulla base dei metodi di misurazione previsti dal D.P.C.M. 1
marzo 1991.
* Cass. pen., sez. I, 19 settembre 1996, Cantarella.
Il D.P.C.M. 1 marzo 1991 pone un limite di accettabilit dell'inquinamento acustico che deve essere tenuto
presente nella valutazione della tollerabilit delle immissioni sonore ex art. 844 c.c. per cui, oltre alla
determinazione dei limiti massimi assoluti, si deve tener conto anche dei limiti relativi, ossia della differenza
massima da non superare rispetto al livello del rumore ambientale.
* Corte app. civ. Milano, 29 novembre 1991, n. 1987, in Arch. loc. e cond. 1992, 113.
Tutte le immissioni sonore, anche se provengono da un appartamento ubicato nello stesso stabile in cui si trova
quello ove le stesse si propagano, devono essere mantenute entro i limiti di cui al D.P.C.M. 1 marzo 1991.
* Pret. civ. Pescara, ord. 15 marzo 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, n. 3.
Il D.P.C.M. 1 marzo 1991 non ha sostanzialmente modificato il precedente quadro giuridico di tutela
dall'inquinamento acustico (artt. 32 Cost. e 844 c.c.), in quanto i limiti previsti da tale normativa fanno riferimento
solo agli obblighi dei cittadini verso l'autorit, ma non autorizzano il singolo, una volta che egli abbia ottemperato
a tali norme, a violare i diritti specificamente previsti in favore dell'individuo e della propriet
* Trib. civ. Monza, sez. I, 14 agosto 1993, n. 1436, Monti e altro c. La Tessitura F.lli Caimi, in Arch. loc. e cond.
1994, 122.
I limiti di maggior favore previsti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 in materia di inquinamento acustico non hanno
modificato il quadro giuridico di cui agli artt. 844 c.c. e 32 della Costituzione per cui il punto di intollerabilit da
ritenersi ancora raggiunto allorch un determinato rumore superi di tre decibel il rumore di fondo.
* Trib. civ. Monza 4 novembre 1991, n. 1831, in Arch. loc. e cond. 1992, 345.
In materia di inquinamento acustico, i limiti previsti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 non hanno superato i criteri fissati
dall'art. 844 c.c.; pertanto, nel caso di immissioni sonore, deve farsi riferimento alla "rumorosit di fondo" della

zona, cio a quel complesso di suoni, di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici della
zona medesima, sui quali si innestano, di volta in volta, rumori pi intensi (voci, veicoli...); tali elementi devono
essere valutati in modo obiettivo, in relazione alla reattivit dell'uomo medio. In particolare, il principio da seguire
per determinare la tollerabilit del rumore quello del mancato superamento della soglia di 3 decibel oltre il
rumore di fondo, che equivale ad un raddoppio dell'intensit di quest'ultimo.
* Trib. civ. Como, 21 maggio 1996, n. 871, Moretti c. Carenzio e Gentili, in Arch. loc. e cond. 1997, 103.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilit, di cui all'art. 844 c.c., pur in assenza di prova idonea a
dimostrare la configurabilit di un danno biologico specifico, realizzano una lesione del diritto alla salute
genericamente inteso ex art. 32 Cost., che trova il fondamento della sua risarcibilit nell'art. 2043 c.c.
* Corte app. civ. Torino, 4 novembre 1992, in Giur. merito 1993, 949.
Il rumore, in quanto eccedente i valori della normale tollerabilit, di per s nocivo alla salute di chi lo deve
sopportare; per realizzarsi lesione del diritto alla salute non quindi necessaria alcuna ulteriore prova del danno
psicologico subito n del carattere ingiusto del rumore medesimo.
* Corte app. civ. Torino, 4 novembre 1991, n. 1304, in Arch. loc. e cond. 1992, 345.
In caso di immissioni di rumori intollerabili provenienti da parti comuni dell'edificio, il condomino turbato nel
possesso del proprio appartamento pu esperire azione di manutenzione contro il condominio in persona
dell'amministratore.
* Pret. civ. Roma, sez. I, 20 dicembre 1983, n. 9595, Savarese Colosi c. Cond. via Cocco Ortu 120, Roma, in
Arch. loc. e cond. 1985, 362.
Le immissioni sonore prodotte dall'impianto comune di riscaldamento nell'appartamento di un condomino
possono cagionare un danno alla salute del condomino medesimo qualora siano superiori di tre decibel al
normale rumore di fondo.
* Corte app. civ. Milano, 9 maggio 1986, Condominio Stella di Merate ed altro c. Novati, in Arch. loc. e cond.
1987, 334.
Ai fini della determinazione del limite di tollerabilit delle immissioni sonore, deve applicarsi il criterio che assume
come punto di riferimento il rumore di fondo e ritiene intollerabile le immissioni che lo superino di oltre 3dB(A).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 28 febbraio 1995, n. 637, Soc. Tessitura Fratelli Caimi c. Monti ed altri, in Arch.
loc. e cond. 1995, 390.
Ai fini della determinazione del limite di tollerabilit delle immissioni sonore, deve applicarsi il criterio
comparativo, consistente nel confrontare il livello medio dei rumori di fondo, costituiti dalla somma degli effetti
acustici prodotti dalle sorgenti sonore esistenti ed interessanti una determinata zona, con quello del rumore
rilevato nel luogo che subisce le immissioni, e nel ritenere superato il limite di "normale tollerabilit" per quelle
immissioni che abbiano un'intensit superiore di oltre tre decibel al livello sonoro di fondo.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 3 ottobre 1989, Bonza e altra e Calloni e altri c. De Bernardi Granaria Spa, in Arch.
civ. 1990, 1149.
Incorre nel reato di cui all'art. 650 cod. pen. l'amministratore di un condominio che ometta di intervenire per
evitare rumorosit di un impianto di riscaldamento. Tra i suoi compiti rientra infatti anche quello di vigilare sul
migliore uso delle cose comuni.
* Cass. pen., sez. VI, 15 marzo 1980, n. 3726 (ud. 6 dicembre 1980), Montagna.
Il limite di normale tollerabilit ex art. 844 cod. civ, in riferimento alle immissioni rumorose deve essere accertato
con riferimento al criterio relativo-comparativo del rumore di fondo e non al superamento di esso di un certo
livello di decibel in relazione ai diversi periodi della giornata e va tenuta presente, quindi, anche l'intensit in
assoluto del rumore.
* Trib. civ. Vigevano, 25 gennaio 1985, Dondoni c. Riseria F.lli Magni, in Arch. civ. 1985, 1454.
In presenza di immissioni sonore che superino il limite della normale tollerabilit vi lesione del bene salute nel
momento stesso della realizzazione del fatto illecito, con conseguente esonero del danneggiato dalla prova
dell'esistenza di patologie conseguenti alla lesione; pertanto la risarcibilit del danno biologico deve essere
collegata all'esistenza e alla sopportazione di un'esposizione ad intollerabili e fortemente lesive immissioni
acustiche, idonee a compromettere le utilit della vita di relazione non godute.
* Trib. civ. Milano, 25 giugno 1998, n. 7721, Sgalippa ed altri c. Soc. San Giulianese, in Arch. loc. e cond. 1998,
723.
Costituisce immissione acustica eccedente la normale tollerabilit quella che, avuto riguardo alla natura del
rumore immesso e alla durata dell'attivit immissiva, superi di almeno 3 decibel il c.d. rumore di fondo della
zona, inteso come quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e non,
caratteristici del luogo, sui quali si innestano di volta in volta i rumori pi intensi prodotti da voci, veicoli o altro,
considerato come fonte rumorosa che persiste in modo continuo nell'ambiente per almeno il 95% del tempo di
osservazione.
* Pret. civ. Busto Arsizio, sez. dist. Saronno, ord. 5 agosto 1997, Tuniz ed altra c. Bar Sunrise, in Arch. loc. e
cond. 1998, 752.
Ai fini della determinazione del limite di tollerabilit delle immissioni sonore e per valutare la sussistenza del
presupposto oggettivo della illiceit dell'immissione, deve applicarsi il criterio comparativo, consistente nel
confrontare il livello medio dei rumori di fondo costituiti dalla somma degli effetti acustici prodotti dalle sorgenti
sonore esistenti e interessanti una determinata zona, con quello del rumore rilevato sul luogo che subisce le
immissioni, e nel ritenere superato il limite della normale tollerabilit per quelle immissioni che abbiano una
intensit superiore di oltre tre decibel al livello sonoro di fondo; tale disciplina non ha ricevuto deroga dal
D.P.C.M. dell'1 marzo 1991, che stabilisce i limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e
nell'ambiente esterno: infatti, le norme ivi previste, che hanno valore puramente regolamentare, disciplinano
esclusivamente i rapporti fra imprese ed enti locali per la bonifica del territorio dall'inquinamento acustico, senza

incidere sui rapporti di diritto soggettivo intercorrenti fra privati, e senza, quindi, porre eccezioni alle disposizioni
di legge di portata generale in materia di tutela dei diritti patrimoniali e della salute che competono ad ogni
persona.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 10 dicembre 1992, n. 2207, Mascolo c. Cond. di viale Rimembranze di Lambrate n.
9/A di Milano, in Arch. loc. e cond. 1993, 496.
In tema di immissioni sonore il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 1 marzo 1991 il quale
fissa le modalit di rilevamento dei rumori, al pari dei regolamenti comunali limitativi delle attivit rumorose,
essendo rivolto alla tutela della quiete pubblica, riguarda soltanto i rapporti fra l'esercente una delle suddette
attivit e la collettivit in cui esso opera, creando a carico del primo precisi obblighi verso gli enti preposti alla
vigilanza. Le disposizioni contenute nel sopraindicato decreto non escludono pertanto l'applicabilit dell'art. 844
c.c., che nei rapporti con i proprietari dei fondi vicini, richiede l'accertamento caso per caso della liceit o illiceit
delle immissioni. (Fattispecie in cui stata ordinata, con provvedimento ex art. 700 c.p.c., la sospensione
dell'attivit imprenditoriale dalla quale erano derivate le immissioni sonore moleste).
* Trib. civ. Varese, ord. 3 giugno 1997, Ravasi c. Soc. Sev, in Arch. loc. e cond. 1997, 845.
Il D.P.C.M. dell'1 marzo 1991 pone un limite di "accettabilit" dell'inquinamento acustico che deve
indubbiamente essere tenuto presente nella valutazione della tollerabilit delle immissioni sonore ex art. 844
c.c.; oltre alla determinazione di limiti massimi assoluti (differenziati a secondo della tipologia delle zone e
l'incidenza solo diurna o anche notturna), vengono anche fissati per le zone non esclusivamente industriali, dei
limiti per cos dire relativi, ossia una differenza massima "da non superare" rispetto al livello del "rumore
ambientale", differenza di 3 dB (A) in periodo notturno (ore 22-6) e 5 dB (A) in periodo diurno.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. loc. e cond. 1993, 496.
Poich nel nostro Paese mancano norme di legge circa l'isolamento acustico e i rumori ammissibili nelle
abitazioni, la giurisprudenza, necessitata a supplire alla carenza legislativa, ha elaborato, al fine di stabilire i
livelli di tollerabilit delle immissioni, un criterio comparativo-relativo che "determina" come punto di riferimento il
rumore di fondo e ritiene intollerabili le immissioni che lo superano di oltre 3 dB. Poich il decibel, unit di misura
dell'intensit del suono, ha scala logaritmica, il limite massimo ammissibile di 3 dB sul rumore di fondo comporta
un raddoppio della intensit del rumore e significa che la componente del rumore immesso, considerata da sola,
non pu superare il rumore di fondo.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. Loc. e Cond.1993, 496.
Il corretto criterio di liquidazione del c.d. danno biologico causato dai rumori prodotti da un'autoclave quello
"equitativo" in funzione della intensit e durata delle immissioni acustiche intollerabili, dell'incidenza di queste
sulla salute e sull'occupazione degli attori e sulla loro vita di relazione.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 18 maggio 1992, Buccella e altri c. Cond. delle Magnolie di Cesano Boscone, in
Arch. Loc. e Cond.1993, 121.
E' legittimo il ricorso al provvedimento ex art 700 cod. proc. civ. da parte di alcuni condomini, qualora le
immissioni di rumore negli appartamenti di un edificio, provocate dal funzionamento, soprattutto nelle ore
notturne, delle macchine esistenti nel sottostante panificio, eccedendo la normale tollerabilit, siano idonee a
determinare nei condomini stessi una menomazione della loro integrit psico-fisica e, quindi, l'insorgenza di
danno alla salute, autonomamente risarcibile.
* Pret. civ. Molfetta, 27 febbraio 1989, Del Rosso e Bartoli c. Squeo, in Arch. Loc. e Cond.1989, 351.
E' applicabile il procedimento di cui all'art. 700 c.p.c. nel caso di superamento dei limiti di tollerabilit acustica,
che potrebbe determinare un danno alla salute dei condomini. (Nella specie, i rumori intollerabili risultavano
provenire da una discoteca).
* Trib. civ. Milano, 28 ottobre 1993, in Arch. Loc. e Cond.1994, 356.
E' applicabile il procedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per far cessare reiterati, insistenti ed intollerabili suoni
di pianoforte provenienti da un appartamento anche se prodotti nelle ore consentite dal regolamento
condominiale, in quanto il primario e incomprimibile diritto assoluto alla salute spetta alla persona di per s
considerata e non come collegata ad un certo immobile, non potendo tale diritto soffrire limitazioni di eventuali
atti di disposizione.
* Pret. civ. Torino, ord. 27 dicembre 1990, in Arch. Loc. e Cond.1992, 855.
Al fine di valutare il grado di tollerabilit di immissioni acustiche provenienti da un appartamento (nella specie:
attivit pianistica e canora di una cantante lirica) non possibile effettuare un collegamento diretto fra l'art. 844
c.c. ed il D.P.C.M. 1 marzo 1991, in quanto i limiti di tollerabilit di cui alla prima norma sono tutt'affatto diversi
dai limiti di accettabilit di cui al succitato decreto, nel senso che i secondi ben possono esser rispettati pur non
essendolo i primi.
* Corte app. civ. Torino, sez. II, 23 marzo 1993, n. 345, Musacchio e altri c. Vignera, in Arch. Loc. e Cond.1994,
823.
E' applicabile il procedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per far cessare le intollerabili immissioni prodotte da
suoni di pianoforte, in considerazione del grave ed irreparabile pregiudizio arrecato al diritto alla salute dei
condomini, il cui ambito di tutela certamente pi ampio e meno condizionato di quello accordato alle propriet
confinanti in base all'art. 844 c.c.
* Pret. civ. Milano, 18 febbraio 1993, in Arch. Loc. e Cond.1994, 391.
Al fine di stabilire la tollerabilit, oppur no, di immissioni sonore pu utilizzarsi il criterio c.d. comparativo, che fa
riferimento alla rumorosit di fondo della zona, tenendo presente che la soglia di pericolosit costituita dallo
scarto di tre decibel tra il livello medio dei rumori di fondo e l'intensit della sorgente sonora generatrice delle
immissioni.

* Pret. civ. Taranto, 17 giugno 1988, n. 327, Protopapa c. Conversano, in Arch. civ. 1988, 1210.
In caso di immissioni derivanti dal fondo del vicino (nella specie, propagazioni di rumori e calore), deve ritenersi
superato il criterio della normale tollerabilit quando sia accertata una situazione potenzialmente nociva per la
salute dei proprietari che subiscono le immissioni.
* Pret. civ. Foligno, 10 giugno 1988, n. 49, Ferrata ed altri c. Proietti ed altri, in Arch. civ. 1988, 1081.
In caso di lamentata immissione di rumori molesti (nella specie: da impianti di riscaldamento ed autoclave), deve
farsi ricorso all'applicazione analogica dell'art. 844 cod. civ. oltre che per stabilire la sussitenza della lesione (o
del pericolo di lesione) del diritto alla salute tramite il concetto di <normale< tollerabilit, anche per determinare
le modalit della tutela da apprestarsi, dovendosi contemperare le esigenze delle parti con la determinazione dei
mezzi pi opportuni a ricondurre nei limiti del diritto un'attivit contra legem.
* Pret. civ. Brindisi, ord. 17 marzo 1986, Saponaro c. Condominio G. Puccini, in Arch. civ. 1987, 177.
Il proprietario di un immobile sito nelle immediate vicinanze di una discoteca che determini a suo parere un
rumore intollerabile, ha diritto di controllare la regolarit delle autorizzazioni rilasciate dal comune.
* Tar Lombardia, sez. II, 25 ottobre 1993, n. 629, Compagnoni c. Comune di Brezzo di Bedero, in Arch. Loc. e
Cond.1994, 153.
Degradazione ambientale e rumori, specie in relazione all'attivit serale e notturna di un pubblico esercizio,
costituiscono lesioni di un legittimo interesse dei proprietari e residenti di unit immobiliari ubicate nel medesimo
stabile ove si svolge tale attivit e legittimano gli stessi a ricorrere al giudice amministrativo per chiedere,
denunciando vizi formali del procedimento, l'annullamento della relativa autorizzazione comunale.
* Tar Emilia-Romagna, sez. II, 10 novembre 1992, n. 525, Meschiari e altri c. Comune di Maranello e Societ
Bondi Leontino & C., in Arch. loc. e cond. 1993, 829.
Sussiste l'obbligo del condominio di risarcire sia il danno biologico che il danno morale subito da un condomino
a causa delle immissioni sonore, superiori alla normale tollerabilit, provenienti dalla centrale dell'impianto
comune di riscaldamento. La liquidazione del danno va effettuata con criterio equitativo dal giudice e non pu
consistere in una somma meramente simbolica.
* Corte app. civ. Milano, 18 settembre 1990, n. 1803, in Arch. loc. e cond. 1991, 109.
Ai fini della valutazione dell'intollerabilit delle emissioni sonore, in mancanza del decreto, non ancora emanato,
relativo all'introduzione di livelli di tollerabilit particolari per le aree e le attivit aeroportuali, in attuazione del
d.p.c.m. 1 marzo 1991, che stabilisce i limiti massimi di accettabilit delle emissioni sonore nell'ambiente esterno
e abitativo, il giudice pu ricorrere ai criteri di tempo elaborati tenendo anche conto dei parametri introdotti da
quest'ultimo decreto.
* Pret. civ. Ciri, ord. 25 marzo 1993, in Giur. it. 1994, I, II, 208.
In tema di inquinamento acustico in stabile condominiale, il parametro di confronto del <rumore equivalente<
<F128M-<F255D assunto dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 (Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti
abitativi e nell'ambiente esterno), anzich quello del <rumore di fondo < <F128M-<F255D non idoneo a fornire
l'effettiva incidenza del rumore sulla salute ed appare quindi di dubbia legittimit al pari del fatto che il cennato
decreto non contiene alcuna specificazione a proposito del caso in cui la sorgente sonora sia interna allo stesso
stabile in cui si trova chi lamenta il superamento della normale tollerabilit dell'emissione rumorosa.
* Pret. civ. Monza, ord. 18 luglio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 578.
Con riferimento alla nozione di immissione eccedente la normale tollerabilit agli effetti dell'azione di cui all'art.
844 c.c., per <rumore< si deve intendere qualunque stimolo sonoro non gradito all'orecchio umano e che, per le
sue caratteristiche di intensit e durata, pu divenire patogeno per l'individuo.
* Trib. civ. Napoli, 17 novembre 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 578.
Va accolta la domanda di risarcimento danni di quanti lamentano una lesione alla salute provocata da
immissioni acustiche, superiori alla normale tollerabilit, effetto dell'esercizio di un'attivit imprenditoriale (nella
fattispecie attivit di falegnameria all'interno di un condominio) caratterizzata da negligenza conseguente alla
mancata adozione delle opportune cautele, nonch dall'inosservanza delle prescrizioni di legge; vanno
differenziate, ai fini esclusivamente del quantum risarcibile, le posizioni di chi dimostri sul piano clinico
un'effettiva lesione dell'integrit psico-fisica, e cos un danno biologico oltre che morale, dovuti alla condotta,
dolosa o colposa, del convenuto (nel caso di specie comprovata da una perizia medico-legale), da chi abbia
subito invece un mero turbamento psicologico (e cos solo un danno morale) conseguente all'altrui
comportamento illecito, anche penalmente in relazione al disposto dell'art. 659 c.p.p. Sono da ritenersi
civilmente responsabili in solido con il conduttore, ex art. 2055 c.c., per il danno biologico e comunque
patrimoniale (non cos per quello morale), gli stessi locatori dell'immobile in cui detta attivit lesiva dei diritti dei
terzi era svolta, i quali locatori dovevano (o avrebbero dovuto) infatti conoscere e impedire l'attivit che il
conduttore vi avrebbe esercitato e cos prevenire le conseguenze lesive da questa prodotte; tale
corresponsabilit civile dei locatori, difettando una rilevanza penale del loro comportamento omissivo, non si
estende peraltro al danno meramente morale.
* Trib. civ. Vigevano, 9 agosto 1991, in Giur. it. 1992, I, 2, 118.
Anche il disturbo dell'abbaiare di un cane nel condominio non presunto ma deve essere inquadrato nei limiti
della normale tollerabilit.
* Trib. civ. Milano, 22 marzo 1990, in L'Ammin. 1992, n. 4.
In tema di applicazione dell'art. 844 c.c. al condominio di edificio la integrit della persona del condomino ed il
bene primario della salute, in cui si concreta il danno biologico, non possono essere valutati solo in termini fisici,
materialmente constatabili, ma comprendono anche la sfera emotiva e psichica, le cui sofferenze sono meno
obiettivamente misurabili ma non per questo meno reali, n pu negarsi la sussistenza di una menomazione
dell'integrit psichica derivante dalla spina irritativa costituita dalle continue aggressioni sonore superanti il limite
della tollerabilit, in quanto l'efficacia patogena del rumore disturbante dato acquisito alla scienza medica

attuale, n occorre in concreto verificarla.


* Corte app. civ. Milano, 29 novembre 1991, in Giust. civ. 1992, 1921.
Nel giudizio sulla normale tollerabilit, ex art. 844 c.c., di immissioni acustiche provocate dall'uso di campane a
scopo di culto, va effettuato, in estensione del secondo comma di tale articolo, un equo contemperamento tra le
ragioni della propriet e le esigenze della vita religiosa.
* Pret. civ. Mantova, ord. 16 agosto 1991, in Giur. it. 1993, I, 2, 40.
In caso di inquinamento acustico prodotto nelle abitazioni di uno stabile a causa dell'esercizio di un'attivit
lavorativa, la lesione dell'integrit psico-fisica dell'individuo va collocata nell'ambito dell'illecito extracontrattuale
di cui all'art. 2043 c.c., in relazione all'art. 32 Cost.
* Trib. civ. Vigevano, 9 agosto 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 577.
Nel caso di immissioni moleste eccedenti la normale tollerabilit, di cui all'art. 844 c.c., sorgono a favore del
proprietario del fondo danneggiato due distinte azioni: quella reale che si inquadra nel paradigma dell'azione
negatoria servitutis regolata dall'art. 949 c.c., in quanto rivolta ad eliminare le cause delle dette immissioni e
quella personale, avente natura risarcitoria, volta ad ottenere l'attribuzione di un indennizzo commisurato alla
capitalizzazione del minor reddito del fondo, dipendente dalle immissioni stesse. (Fattispecie in tema di rumori e
vibrazioni cagionate nello svolgimento di un'attivit di carpenteria metallica).
* Trib. civ. Milano, 10 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 792.
In caso di regolamento condominiale che vieti tassativamente di recare "disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi
natura", il continuo abbaiare di tre cani pastori ed il suono di una batteria configurano sia la lesione di tale norma
regolamentare che violazione dell'art. 844 c.c.
* Trib. civ. Milano, 28 maggio 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 792.
In caso di violazione del limite della normale tollerabilit, posto dall'art. 844 c.c., in virt di schiamazzi e rumori
provocati dall'attivit di una sala giochi, ed essendo risultato vano ogni possibile accorgimento per ricondurre i
rumori entro il suddetto limite, ricorrono gli estremi per disporre la cessazione dell'attivit contraria al
regolamento svolta dal convenuto.
* Trib. civ. Milano, 21 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 792.
Il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone reato di pericolo e per la sua sussistenza non
necessaria la prova che il disturbo investa un indeterminato numero di persone, essendo sufficiente una
condotta tale da poter determinare quell'effetto.
* Cass. pen., sez. I, 12 gennaio 1990, n. 133 (ud. 23 giugno 1989), Arbore.
Il disturbo punito con la norma dell'art. 659 cod. pen. concerne non soltanto il riposo, ma altres la quiete, che
bene tutelato ad ogni ora diurna e notturna, a prescindere da orari lavorativi.
* Cass. pen., sez. VI, 22 marzo 1980, n. 4049 (ud. 9 ottobre 1979), Giangrasso.
Per integrare il reato di cui all'art. 659, primo comma, c.p. non necessaria la prova del reale disturbo provocato
al riposo e alle occupazioni delle persone, ma occorre la certezza che schiamazzi e rumori siano obiettivamente
idonei a recare tale disturbo. Occorre cio la prova del superamento dei limiti della normale tollerabilit di
emissioni sonore e della percettibilit delle stesse da parte di un numero illimitato di persone,
indipendentemente dal fatto che in concreto delle persone siano state effettivamente disturbate, trattandosi di un
reato di pericolo. (Nella specie la Corte ha annullato con rinvio l'impugnata sentenza di condanna del titolare di
una discoteca, in quanto il pretore, per stabilire l'idoneit dei rumori provenienti dalla discoteca ad arrecare
disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone, si era basato unicamente sulle dichiarazioni rese da coloro
che dimoravano nelle vicinanze, sostituendo cos un criterio soggettivo al criterio oggettivo, in base al quale
deve essere determinata tale idoneit).
* Cass. pen., sez. I, 27 marzo 1992, n. 3741 (ud. 15 gennaio 1992), Barbera.
Per la configurazione del reato di cui all'art. 659 c.p. sufficiente che la condotta dell'imputato sia tale da poter
disturbare un numero indeterminato di persone, ed irrilevante che nessuno dei vicini se ne sia lamentato e che
i suoni siano stati rilevati soltanto dagli organi di polizia. (Fattispecie in cui, secondo quanto riferito da un agente,
alle ore 2,30 la misura di uno stereo ad alto volume proveniente dall'appartamento dell'imputato, si udiva nella
strada ad una distanza di circa due-trecento metri; la Cassazione ha ritenuto la sussistenza del reato de quo
enunciando il principio di cui in massima).
* Cass. pen., sez. I, 30 settembre 1993, n. 2895 (c.c. 17 giugno 1993), Solari.
Per la configurabilit del reato di cui all'art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone)
necessario che i rumori abbiano una certa attitudine a propagarsi, in modo da essere idonei a disturbare pi
persone. Pertanto, quando si tratta di rumori prodotti in edificio condominiale necessario che essi, tenuto conto
anche dell'ora (notturna o diurna) in cui vengono prodotti, arrechino disturbo ovvero abbiano l'idoneit concreta
di arrecare disturbo ad una parte notevole degli occupanti del medesimo edificio, configurandosi altrimenti
soltanto un illecito civile da inquadrarsi nell'ambito dei rapporti di vicinato. Ne consegue che per affermare la
sussistenza della contravvenzione di cui all'art. 659 c.p. necessario procedere all'accertamento della natura
dei rumori prodotti dal soggetto agente e alla loro diffusivit, che deve essere tale da far risultare gli stessi rumori
idonei ad arrecare disturbo ad un numero rilevante di persone e non soltanto a chi ne lamenta il fastidio.
* Cass. pen., sez. I, 28 marzo 1995, n. 3348 (ud. 16 gennaio 1995), Draicchio.
La violazione di cui al comma 1 dell'art. 659 c.p. - disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone - un
reato di pericolo, ad integrare il quale necessario e sufficiente che i rumori recanti disturbo abbiano una
potenzialit diffusiva verso un numero indeterminato di persone. Non invece richiesto - contrariamente a
quanto avviene per il reato di procurato allarme presso l'autorit di cui all'art. 658 c.p. - un attentato alla pubblica
quiete od alla tranquillit della collettivit.
* Cass. pen., sez. I, 18 settembre 1995, n. 9704 (ud. 5 luglio 1995
In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, i rumori e gli schiamazzi vietati, per essere

penalmente sanzionabile la condotta che li produce, debbono incidere sulla tranquillit pubblica, essendo
l'interesse specificamente tutelato dal legislatore quello della pubblica tranquillit sotto l'aspetto della pubblica
quiete, la quale implica, di per s, l'assenza di cause di disturbo per la generalit dei consociati, di guisa che gli
stessi debbono avere tale potenzialit diffusa che l'evento di disturbo abbia la potenzialit di essere risentito da
un numero indeterminato di persone, pur se, poi, in concreto soltanto alcune persone se ne possano lamentare.
Ne consegue che la contravvenzione in esame non sussiste allorquando i rumori arrechino disturbo ai soli
occupanti di un appartamento, all'interno del quale sono percepiti, e non ad altri soggetti abitanti nel condominio
in cui inserita detta abitazione ovvero nelle zone circostanti: infatti, in tale ipotesi non si produce il disturbo,
effettivo o potenziale, della tranquillit di un numero indeterminato di soggetti, ma soltanto di quella di definite
persone, sicch un fatto del genere pu costituire, se del caso, illecito civile, come tale fonte di risarcimento di
danno, ma giammai assurgere a violazione penalmente sanzionabile.
* Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 1998, n 1406 (ud. 12 dicembre 1997), P.C. e Costantini, in Arch. loc. e cond.
1998, 711.
Ai fini della configurabilit del reato di cui all'art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone)
necessario l'elemento dell'attitudine dei rumori a disturbare una pluralit indeterminata di persone: ne consegue
che, allorquando si tratti di rumori prodotti in un edificio condominiale, ove il disturbo sia arrecato al circoscritto
numero di inquilini di appartamenti sottostanti e soprastanti a quello di provenienza dei rumori stessi, si
configura un illecito civile che resta confinato nell'ambito dei rapporti di vicinato, non essendo ravvisabile alcuna
lesione o messa in pericolo del bene giuridico protetto dal citato art. 659 c.p., costituito dalla "pubblica
tranquillit".
* Cass. pen., sez. I, 4 giugno 1996, n. 5578 (ud. 6 novembre 1995), Giuntini.
i) Servit di immissione
Non concettualmente possibile ipotizzare l'acquisto per usucapione di una servit di immissione. Quando
venga superato il limite della liceit delle immissioni, segnato dall'art. 844 c.c., si in colpa, ancorch si faccia
uso normale della cosa fonte delle immissioni, e se da ci deriva danno ad altri il danno ingiusto, in quanto
ricorrono tutti gli elementi della fattispecie prevista dall'art. 2043 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1977, n. 740.
l) Tutela della salute
Ai fini dell'art. 844 cod. civ. l'intollerabilit delle immissioni (nella specie esalazioni provenienti dalla evaporazione
di idrocarburi adoperati per il lavaggio di pezzi meccanici), da valutarsi tenuto conto del contemperamento delle
esigenze della produzione con le ragioni della propriet, sussiste anche quando esse, pur non essendo di
eccessiva entit, risultino nocive, a causa della loro costanza ed ineliminabilit che le rende insopportabili, al
bene primario della salute.
* Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1989, n. 3675, Ferulli c. Gargiulo.
L'amministratore di condominio non legittimato ad intraprendere, in forza di delibera adottata a maggioranza,
un giudizio di natura risarcitoria volto alla tutela del diritto alla salute dei condomini, rientrando tale diritto tra
quelli esclusivi e personali.
* Trib. civ. Napoli, sez. III, ord. 29 giugno 1999, Condominio di via Petrarca n. 37 di Napoli c. Petruccio P. ed
altra, in Arch. loc. e cond. 1999, 832.
Poich l'art. 844 cod. civ. disciplina i rapporti inerenti al diritto di propriet dei beni immobili, dal suo ambito
esulano i diritti personali, tra i quali da annoverare quello alla salute considerato dall'art. 32 Cost., con la
conseguenza che per la tutela di quest'ultimo, in caso di denunziata lesione dipendente da atto o fatto illecito
ancorch concernente immissioni provenienti dal fondo del vicino, venendo in considerazione ed essendo
applicabili, mediante le opportune statuizioni riparatorie, ripristinatorie ed inibitorie, le norme dettate in via
generale dagli artt. 2053 e 2058 cod. civ. la relativa domanda, in quanto autonoma e distinta da quella fondata
sul cit. art. 844 cod. civ., deve essere proposta in modo espresso, senza potersi ritenere compresa in quella di
natura reale intentata per l'inibizione delle immissioni a norma dell'art. 844 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 11 settembre 1989, n. 3921, Bontempi c. Mastropietro.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilit implicano di per s, anche in mancanza della prova di
una vera e propria menomazione patologica, una lesione del diritto alla salute inteso nel senso pi ampio del
diritto all'equilibrio e al benessere psicofisico.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. loc. e cond. 1993, 496.
Poich il diritto alla salute si configura non solo come diritto alla vita e all'incolumit psicofisica, bens anche alla
salubrit dell'ambiente, ammissibile l'azione inibitoria ex art. 700 c.p.c. delle immissioni di cui all'art. 844 c.c.,
alla sola condizione che superino la normale tollerabilit (fumus boni iuris), dato che l'ulteriore requisito del
periculum in mora, richiesto dal codice di rito per l'esperibilit del rimedio d'urgenza, in re ipsa, comportando
l'immissione nociva sempre l'alterazione dell'equilibrio psicofisico del soggetto, non suscettibile, se non in
minima parte, di essere valutata in termini economici, e quindi di essere riparata ex art. 2043 c.c. all'esito del
giudizio di merito promosso dal danneggiato.
* Pret. civ. Buccino, ord. 18 aprile 1990, in Arch. civ. 1991, fasc. 6.
In tema di applicazione dell'art. 844 c.c. al condominio di edificio la integrit della persona del condominio ed il
bene primario della salute, in cui si concreta il danno biologico, non possono essere valutati solo in termini fisici,
materialmente constatabili, ma comprendono anche la sfera emotiva e psichica, le cui sofferenze sono meno
obiettivamente misurabili ma non per questo meno reali, n pu negarsi la sussistenza di una menomazione
dell'integrit psichica derivante dalla spina irritativa costituita dalle continue aggressioni sonore superanti il limite
della tollerabilit, in quanto l'efficacia patogena del rumore disturbante dato acquisito alla scienza medica
attuale, n occorre in concreto verificarla.

* Corte app. civ. Milano 29 novembre 1991, in Giust. civ. 1992, 1921.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilit, di cui all'art. 844 c.c., pur in assenza di prova idonea a
dimostrare la configurabilit di un danno biologico specifico, realizzano una lesione del diritto alla salute
genericamente inteso ex art. 32 Cost., che trova il fondamento della sua risarcibilit nell'art. 2043 c.c.
* Corte app. civ. Torino 4 novembre 1992, in Giur. merito 1993, 949.
m) Vibrazioni prodotte da automezzi
Con riguardo all'azione di nunciazione, proposta dal condominio di un edificio nei confronti del comune, in
relazione al pregiudizio alla stabilit del fabbricato derivante dalle vibrazioni prodotte dagli automezzi di pubblico
trasporto urbano, deve essere affermata la giurisdizione del giudice ordinario, ove si verta in tema non
d'impugnazione di atti o provvedimenti amministrativi, ma di tutela del diritto dominicale, nei rapporti di vicinato,
contro immissioni eccedenti la normale tollerabilit (art. 844 c.c.), mentre non rileva, al fine di detta giurisdizione,
il tipo della pronuncia cautelare richiesta (influente sotto il diverso profilo dei limiti interni delle attribuzioni del
giudice ordinario, ai sensi dell'art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E).
* Cass. civ., Sezioni Unite, 24 aprile 1991, n. 4510.
INDENNITA' PER LA PERDITA DELL'AVVIAMENTO COMMERCIALE
SOMMARIO: a) Ambito di operativit; b) Attivit prevalente; c) Casistica: c-1) Agenzia pubblicitaria; c-2) Area di
parcheggio; c-3) Artigiano; c-4) Associazione non riconosciuta; c-5) Attivit di trasporto; c-6) Attivit di vendita al
minuto; c-7) Attivit scolastica; c-8) Attivit stagionale; c-9) Attivit turistica; c-10) Autosalone; c-11) Autoscuola;
c-12) Banca; c-13) Cabina elettrica; c-14) Campeggio; c-15) Circolo culturale; c-16) Deposito; c-17) Ente
pubblico; c-18) Esposizione di merce; c-19) Estetista; c-20) Impresa assicuratrice; c-21) Laboratorio analisi
cliniche; c-22) Mediatore professionale; c-23) Officina; c-24) Palestra; c-25) Ricevitoria; c-26) Sartoria artigiana;
c-27) Scuola di danza; c-28) Studio di pittore; c-29) Studio pubblicitario; c-30) Vendita di tessuti; c-31) Vetrinetta;
d) Competenza; e) Contatti diretti con il pubblico; f) Controversie; g) Determinazione; h) Diritto di ritenzione; i)
Esclusione; j) Finalit; k) Interruzione dell'attivit; l) Liquidazione forfettaria; m) Mutamento d'uso; n) Natura del
credito; o) Offerta; p) Onere probatorio; q) Prescrizione del credito; r) Presupposti; s) Procedimento cautelare; t)
Recesso anticipato; u) Rinuncia; v) Risarcimento del danno; w) Sublocazione; x) Tentativo obbligatorio di
conciliazione; y) Vendita dell'immobile.
a) Ambito di operativit
Nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attivit commerciali, disciplinate dagli artt. 27 e 34 della L. 27 luglio
1978, n. 392 e, in regime transitorio, dagli artt. 69, 71 e 73 della stessa legge, scaduto il contratto, il conduttore
che rifiuta la restituzione dell'immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell'indennit per
l'avviamento a lui dovuta, obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto, ma solo di questo.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 15 novembre 2000, n. 1177, Pascucci c. Zanobbi ed altri.
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, la rinuncia implicita alla indennit
di avviamento contenuta in un contratto di transazione non affetta da nullit ex art. 79 della L. n. 392 del 1978
(per stipulazione di patti contrari alla legge stessa), in quanto tale norma volta ad evitare la elusione in via
preventiva dei diritti del locatario, ma non esclude la possibilit di disporne una volta che i diritti medesimi siano
sorti.
* Cass. civ., sez. III, 22 aprile 1999, n. 3984, Ledda c. Sulis.
L'indennit per la perdita dell'avviamento di cui all'art. 34 della legge 27 luglio 1978, n. 392 consiste in un debito
di valuta e non di valore. (Nel caso di specie la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva considerato il
debito per la perdita dell'avviamento come debito di valore, liquidandolo con adeguamento ai valori monetari al
momento della sentenza).
* Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1998, n. 12090, Andriolo ed altra c. Volpato.
In tema di contratti di locazione non abitativa venuti a cessare alle scadenze legali fissate negli artt. 67 e 71
della legge n. 392 del 1978, se il rapporto successivamente prosegue anche tacitamente fra le parti, viene a
nascita un rapporto del tutto nuovo, soggetto alla disciplina ordinaria di cui alla suddetta legge, e pertanto anche
a quella di cui all'art. 34 circa i criteri di determinazione della indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale.
* Cass. civ., sez. III, 1 settembre 1999, n. 9195, Stracciari c. Fantart di Cl Maria Teresa & c. sas, ed altra.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora la data di rilascio ricada nella
sospensione dell'esecuzione prevista dall'art. 7 D.L. n. 551 del 1988, conv. nella legge n. 61 del 1989, il
conduttore tenuto, per tutto il periodo di operativit della predetta sospensione, a corrispondere al locatore
l'indennit di occupazione, nella misura prevista dal secondo comma del citato art. 7, a nulla rilevando che non
gli sia ancora stata corrisposta, n offerta, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, spettantegli a
norma dell'art. 34 legge n. 392 del 1978, in quanto, nell'indicato periodo di sospensione, il provvedimento di
rilascio non eseguibile per cause diverse e indipendenti dalla mancata corresponsione dell'indennit per
perdita di avviamento, con la conseguenza che, durante il periodo medesimo non pu ritenersi gravante sul
locatore l'onere di corrispondere la stessa.
* Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 1998, n. 12419, Sabbi c. Maselli.
Non integra gli estremi della cessione della locazione il mero adempimento del terzo dell'obbligo di pagare il
canone, pur se il locatore risulti a conoscenza della provenienza del pagamento.
* Cass. civ., sez. III, 3 agosto 1999, n. 8389, Cesare ed altro c. Pirozzi.
L'art. 79 della L. 27 luglio 1973, n. 392, il quale sancisce la nullit di ogni pattuizione diretta a limitare la durata
legale del contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale, ovvero ad
attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge stessa, mira ad evitare che al momento
della stipula del contratto le parti eludano in qualsiasi modo le norme imperative poste dalla legge sul cosiddetto
equo canone, aggravando in particolare la posizione del conduttore, ma non impedisce che al momento della

cessazione del rapporto le parti addivengano ad una transazione in ordine ai rispettivi diritti ed in particolare alla
rinuncia da parte del conduttore, dopo la cessazione del rapporto, all'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale di cui all'art. 34 della stessa legge.
* Cass. civ., sez. III, 3 aprile 1993, n. 4041, Pelosi c. Scifo.
L'esecuzione del provvedimento di rilascio di immobile locato ad uso non abitativo condizionata, a norma
dell'art. 34 della L. 27 luglio 1978 n. 392, all'avvenuta corresponsione dell'indennit per la perdita
dell'avviamento commerciale, con la conseguenza che tale esecuzione deve necessariamente seguire alla
decisione su detta indennit. Pertanto, ove quest'ultima si sia avuta con la sentenza definitiva, legittimamente la
data del rilascio dell'immobile, che sia stato gi disposto con sentenza non definitiva, viene fissata non con
questo provvedimento bens con quella pronuncia definitiva.
* Cass. civ., sez. III, 16 giugno 1983, n. 4145, Novelli c. Migliorini.
In tema di indennit di avviamento, poich l'art. 34 della L. n. 392/1978, stabilisce che l'esecuzione del
provvedimento di rilascio di immobile urbano, per il quale sia dovuta detta indennit, condizionato al
pagamento della stessa, la sua corresponsione incide non sull'adozione del provvedimento di rilascio bens sulla
esecuzione di esso, ancorch il rilascio non sia stato espressamente condizionato a quell'adempimento.
* Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1990, n. 771, D'Urso c. Scognamiglio.
La disposizione dettata, con riferimento alle locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di
abitazione per cui sia dovuta alla cessazione del rapporto l'indennit per la perdita dell'avviamento, dall'art. 34
della legge 27 luglio 1978 n. 392 (e, per il regime transitorio, dall'art. 69, sia nella stesura originaria che nel testo
di cui al D.L. n. 832 del 1986, convertito con modificazioni in legge n. 15 del 1987), secondo cui l'esecuzione del
provvedimento di rilascio dell'immobile condizionata dall'avvenuta corresponsione dell'indennit, ha efficacia
innanzitutto sul piano sostanziale e, subordinando il rilascio al versamento dell'indennit, specularmente
condiziona il pagamento dell'indennit al rilascio e instaura cos tra le due obbligazioni un'interdipendenza che
costituisce fondamento per un'eccezione alla stessa assimilabile. Infatti detta disposizione, inserendosi nel
quadro normativo di protezione delle attivit imprenditoriali svolte in immobili locati, costituisce ulteriore
espressione della tutela dell'avviamento e non attribuisce un mero diritto di ritenzione, ma consente la
protrazione dell'esercizio dell'attivit economica nell'immobile -sulla base di un rapporto instaurato in forza di
legge, geneticamente collegato al precedente rapporto contrattuale, da cui ripete l'essenza minimale delineata
dall'art. 1571 c.c., e avente per finalit proprio la protrazione dell'uso dell'immobile - fino al momento in cui il
conduttore possa utilizzare la prevista monetizzazione del valore di avviamento per assicurare un'altra adeguata
collocazione all'impresa. Conseguentemente non idonea a determinare la costituzione in mora del locatore
quanto al pagamento dell'indennit di avviamento la sola richiesta di pagamento se non sussiste oggettivamente
la sua mora, in conseguenza del rilascio dell'immobile o di un'offerta del conduttore di restituzione dello stesso,
formulata con le modalit previste dall'art. 1216 c.c. (Nella specie la S.C. ha annullato la sentenza con cui, nel
giudizio promosso dal locatore per la determinazione dell'indennit di avviamento, era stato riconosciuto il diritto
del conduttore agli interessi e al maggior danno da svalutazione monetaria relativamente all'indennit stessa, a
seguito di proposizione da parte sua di domanda riconvenzionale in tal senso, dal giudice di merito valorizzata
quale atto di costituzione in mora a prescindere dal rilascio dell'immobile o dalla relativa offerta). * Cass. civ.,
sez. III, 17 ottobre 1995, n. 10820, Soc. Immobiliare Tiziana c. Soc. Gestione Albergo Atlas.
Il diritto all'indennit di avviamento commerciale (art. 34 legge 27 luglio 1978 n. 392) presuppone un rapporto di
locazione in atto, legittimante il godimento de iure dell'immobile, e perci non spetta se il conduttore,
contravvenendo all'obbligo di restituzione (art. 1591 c.c.), permane nel godimento dell'immobile dopo la
scadenza del contratto, pur se rispetta la data fissata nel provvedimento di rilascio (art. 56 stessa legge).* Cass.
civ., sez. III, 23 gennaio 1998, n. 667, Benevegn c. Parisi.
La corresponsione dell'indennit di avviamento di cui all'art. 34 comma terzo della L. 27 luglio 1978, n. 392 non
condiziona il diritto del locatore alla esecuzione del provvedimento di rilascio, ma solo l'inizio di tale esecuzione,
per cui non deve necessariamente precedere la notificazione del precetto che, come reso palese dall'art. 479
c.p.c., solo atto prodromico rispetto alla esecuzione ed, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., pu essere impugnato con
l'opposizione alla esecuzione, prima che questa sia iniziata, solo per contestare il diritto dell'istante di procedere
alla esecuzione per l'inesistenza o invalidit del titolo esecutivo o la successiva modifica o estinzione del diritto.
Ne consegue che, ove non sia stata corrisposta l'indennit di avviamento, il conduttore pu proporre
opposizione alla esecuzione solo dopo che questa iniziata, e non prima, contro il precetto, che, anche se
intimato anteriormente a detta corresponsione, pienamente legittimo.
* Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1992, n. 11470, Piana c. Zamazio.
Il rifiuto illegittimo del conduttore a ricevere l'indennit di avviamento da ritenersi equipollente all'avvenuta
corresponsione ai fini della procedibilit dell'esecuzione di rilascio dell'immobile.
* Pret. civ. Piacenza, 4 novembre 1992, n. 833, Societ Castel c. Societ Il Belvedere.
b) Attivit prevalente
Il diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento, prevista dall'art. 34 della legge 27 luglio 1978, n. 392, pu
essere riconosciuto al conduttore di immobile nel quale venga esercitata congiuntamente la vendita all'ingrosso
e al minuto (ancorch in violazione del divieto di cui all'art. 1 della legge 11 giugno 1971, n. 426) solo quando
l'attivit di vendita al minuto, con modalit che comportino contatto diretto con il pubblico, abbia carattere
prevalente rispetto all'altra. (Fattispecie relativa ad attivit di vendita all'ingrosso di apparecchiature farmaceutico
sanitarie, nella quale i giudici di merito -con decisione annullata sul punto dalla Suprema Corte -accogliendo la
domanda di indennit di avviamento avevano dato rilievo allo svolgimento anche di una attivit di vendita al
dettaglio di tali apparecchiature senza porsi il problema del carattere prevalente o no di quest'ultima).
* Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1997, n. 1232, Ferrero c. Actis Srl.
In caso di locazione unitaria di un immobile usato quale negozio e di altro usato quale magazzino, l'indennit di

avviamento va calcolata in riferimento esclusivo ai locali destinati al commercio al dettaglio.


* Pret. civ. Bergamo, 25 marzo 1982, n. 246, Carrara e altro c. Dolcedo Snc.
Ai fini dell'accertamento sull'obbligo di corrispondere l'indennit per la perdita dell'avviamento, si deve fare
ricorso al criterio della prevalenza qualora solo una parte dell'immobile locato sia destinata ad attivit che
comporta contatti diretti col pubblico degli utenti o dei consumatori. Per accertare la prevalenza si deve fare una
valutazione complessiva considerando oltre all'ampiezza della parte d'immobile destinata all'attivit, anche il
numero dei dipendenti addetti, l'importanza economica e la natura dell'attivit stessa; contribuisce a non fare
ritenere prevalente l'attivit, che pur comporta contatti diretti col pubblico, il fatto che esercitata in condizioni di
monopolio e da un trasferimento di sede non pu derivare danno alcuno.
* Pret. civ. Parma, 7 aprile 1979, FAEP c. Zanussi Spa.
c) Casistica:
c-1) Agenzia pubblicitaria
L'attivit di agenzia pubblicitaria va inquadrata, ai fini dell'art. 35 della legge n. 392/1978, non tra quelle
professionali - da intendersi nel senso ristretto di esercizio di una professione intellettuale -ma tra le attivit
commerciali, realizzando una intermediazione nello scambio dei beni, e precisamente nella cessione di spazi
pubblicitari.
* Pret. civ. Milano, 9 maggio 1985, Communication Service Srl c. Betti.
c-2) Area di parcheggio
In caso di cessazione della locazione di un bene su un immobile complementare -nella specie spazio scoperto,
adibito a stazionamento di un camion per la vendita di panini e bevande, situato su un'area di parcheggio per i
clienti di un esercizio commerciale -non spetta al conduttore l'indennit prevista dall'art. 34 della legge 27 luglio
1978 n. 392 perch da un lato egli ha sfruttato la clientela altrui (cosiddetto avviamento parassitario); dall'altro la
fattispecie rientra nell'art. 35 ultima parte della stessa legge essendo le esemplificazioni ivi indicate (immobili
complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali) suscettive di
interpretazione analogica.
* Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 1997, n. 810, Perni c. Iper Montebello Soc.
c-3) Artigiano
Non spetta l'indennit per la perdita dell'avviamento al conduttore che abbia svolto attivit di artigiano,
consistente nella creazione di monili e soprammobili artistici, in un locale nel quale non avveniva il contatto
diretto con i consumatori, in quanto la clientela si formava non in relazione a tale laboratorio, bens in occasione
di mostre ed esposizioni alle quali l'artista era solito partecipare.
* Trib. civ. Roma, sez. IV, 21 luglio 1992, Milana c. Vignarelli, in Arch. loc. e cond. 1992, 593.
c-4) Associazione non riconosciuta
Compete l'indennit di avviamento commerciale ad una associazione non riconosciuta che, svolgendo attivit di
noleggio di pellicole, presta tale servizio ai titolari di sale cinematografiche, in quanto il pubblico degli utenti e
consumatori, ex art. 35 L. n. 392/1978, nel caso di attivit di prestazione di servizi, pu non essere costituito
dagli utenti finali del servizio.
* Pret. civ. Firenze, 19 gennaio 1989, Societ Immobiliare Medio Tevere c. Associazione Cattolica Esercenti
Cinema.
c-5) Attivit di trasporto
L'attivit di trasporto di collettame, non implicando necessariamente contatto diretto con gli utenti nell'immobile
oggetto di locazione, comporta, qualora il locatore provi l'inesistenza di tale condizione, l'insussistenza del diritto
del conduttore a percepire l'indennit di avviamento commerciale. * Pret. civ. Trento, 5 ottobre 1993, n. 190,
Collodo Luigi e altri c. Soc. Collodo Autotrasporti.
c-6) Attivit di vendita al minuto
L'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale ex artt. 34 e 35 della legge sull'equo canone compete al
conduttore dell'immobile adibito ad uso non abitativo soltanto quando l'attivit di vendita al minuto con modalit
che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori sia esclusiva o prevalente rispetto ad
altre attivit eventualmente esercitate nello stesso locale (nella specie, la decisione di merito confermata dalla
S:C: aveva negato il diritto del conduttore all'indennit in quanto l'attivit prevalente esercitata nell'immobile era
quella di progettazione di edifici e non di vendita di appartamenti).
* Cass. civ., sez. III, 15 novembre 1994, n. 9558, Piffer Figli snc c. Beber. Conforme, Cass. civ., sez. III, 10
maggio 1996, n. 4433.
c-7) Attivit scolastica
L'attivit scolastica esercitata a fini di lucro e con gestione a strutture imprenditoriale integra attivit commerciale
rientrante nella previsione dell'art. 27 della legge 27 luglio 1978, n. 392, sicch al conduttore di immobile adibito
alla suddetta attivit spetta alla cessazione del rapporto l'indennit di avviamento. * Cass. civ., sez. III, 29
maggio 1995, n. 6019, Giulivo c. Brancoli.
c-8) Attivit stagionale
Al conduttore d'immobile adibito ad attivit commerciale stagionale compete l'indennit di avviamento, almeno
ogni qual volta la cessazione del rapporto sia dovuta non a mancata manifestazione della volont del conduttore
di rinnovare il rapporto al termine della prima, seconda, terza, quarta e quinta stagione (situazione da equiparare
ad una disdetta o recesso da parte del conduttore medesimo), bens alla scadenza naturale del rapporto per
insussistenza di un obbligo normativo del locatore di garantire la locazione stagionale oltre il sesto anno. * Trib.
civ. Lecce, sez. I, 25 giugno 1998 n. 1871, Scardino c. Spedicato.
c-9) Attivit turistica
In tema di locazione di immobili ad uso non abitativo l'indennit per l'indennit per la perdita dell'avviamento
compete anche per la cessazione della locazione di immobili nei quali viene svolta un'attivit di interesse

turistico purch detta attivit comporti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, inteso come
l'insieme indiscriminato dei potenziali destinatari dei beni e servizi che caratterizzano l'attivit esercitata
dall'impresa, con la conseguenza che deve essere escluso il diritto all'indennit in favore di un club nautico che
svolge la propria attivit non a fini di lucro e in favore soltanto dei propri soci.
* Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 1990, n. 162, Club del Mare c. Drago.
c-10) Autosalone
Non spetta l'indennit di avviamento al conduttore che, modificando l'originaria destinazione del fondo, adibito
ad autosalone, lo abbia destinato a deposito di autovetture, essendo quest'ultima destinazione inidonea a
realizzare un contatto diretto con il pubblico e non influendo essa in alcun modo sul volume degli affari, trattati e
conclusi nella vicina sede principale.
* Pret. civ. Pisa, 20 ottobre 1993, Martorana c. Nesti.
c-11) Autoscuola
L'attivit didattica impartita nell'autoscuola si accompagna, con carattere di inscindibilit, alla somministrazione
di taluni servizi ed all'espletamento di varie incombenze (quali la richiesta del cosiddetto foglio rosa per il
discente, l'organizzazione delle visite mediche, il noleggio di veicoli specificamente attrezzati, l'organizzazione
per l'espletamento degli esami, i contatti con i pubblici uffici per il rilascio dell'autorizzazione finale) che di per s
integrano un'attivit aziendale. Consegue, pertanto, che l'autoscuola costituisce un'azienda commerciale agli
effetti della applicabilit dell'art. 34 della L. 27 luglio 1978, n. 392 per l'attribuzione dell'indennit per la perdita
dell'avviamento, nel caso di cessazione del rapporto di locazione relativo all'immobile ove essa avvenga. * Cass.
civ., sez. III, 27 aprile 1994, n. 3974, La Rocca c. Muserra.
c-12) Banca
L'istituto di credito che esercita la sua attivit in immobile locato ha diritto, in caso di cessazione del rapporto,
alla indennit di avviamento di cui all'art. 34 della L. 27 luglio 1978 n. 392 indipendentemente dal riscontro della
prevalenza del servizio di sportello, perch l'attivit di intermediazione nel credito, pur non essendo
espressamente menzionata dall'art. 27 della citata legge n. 392, rientra, al pari delle altre attivit indicate nell'art.
2195 c.c., fra quelle commerciali ed , di per s, finalizzata a fornire servizi al pubblico che all'uopo deve
comunque necessariamente recarsi nell'immobile.
* Cass. civ., sez. III, 1 aprile 1993, n. 3895, Lazzati c. Banco Lariano Spa.
L'indennit di avviamento commerciale, prevista dall'art. 34 della L. 27 luglio 1979, n. 392, pu spettare anche
nel caso di ubicazione, nei locali condotti in locazione, degli uffici direzionali di una banca - la cui attivit (art.
2195, n. 4, cod. civ.) finalizzata ad un servizio pubblico - essendo funzionali al soddisfacimento delle richieste
dell'utenza, secondo l'articolazione organizzativa e le necessit operative del settore. * Cass. civ., sez. III, 16
dicembre 1997, n. 12720, Faiella c. Carisal.
c-13) Cabina elettrica
Poich la perdita di un immobile usato dall'Enel come cabina elettrica non incide minimamente sull'avviamento
di tale macroscopica azienda, nulla dovuto per indennit per la perdita dell'avviamento.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 31 marzo 1982, n. 2607, Maranglo c. Enel.
c-14) Campeggio
I campeggi non sono assimilabili, neppure ai fini dell'indennit di avviamento commerciale, agli alberghi e
l'indennit medesima agli stessi spettante deve quindi essere quantificata in diciotto mensilit.
* Pret. civ. Pisciotta, 6 novembre 1989, Talamo c. Srl Tio Pepe.
c-15) Circolo culturale
In tema di locazioni di immobili per uso non abitativo (nella specie, in regime transitorio), l'indennit per la perdita
dell'avviamento commerciale compete anche per la cessazione delle locazioni di immobili adibiti per l'attivit di
un circolo culturale o ricreativo ove risulti che questo sia gestito da una societ all'uopo costituita da soggetti
diversi dai soci del circolo, realizzandosi con la riscossione delle quote di associazione al circolo, il ricavo
dell'attivit di gestione, costituente scopo della societ, di cui il socio del circolo solo un cliente con il quale la
societ ha diretto contatto nei locali del circolo.
* Cass. civ., sez. III, 16 giugno 1992, n. 7409, Srl The Cellar Club c. Fenicia.
c-16) Deposito
Per il disposto degli artt. 34 e 35 della legge n. 392/1978, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale
non dovuta in caso di cessazione di un rapporto di locazione di un immobile adibito dal conduttore a deposito
ed esposizione di mobili, non trattandosi di attivit comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei
consumatori, a meno che non sia fornita la prova da parte del conduttore, che nei locali a ci adibiti il pubblico
abbia libero accesso senza l'ausilio di intermediari o di accompagnatori., in tal caso integrandosi l'uso
dell'immobile nell'attivit aziendale, ancorch la vendita si concluda in locali vicini funzionalmente collegati. *
Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 2001, n. 505, Mobilnova Ciro Telese Sas c. Aric.
c-17) Ente pubblico
Per l'attribuzione dell'indennit per l'avviamento commerciale, in caso di locazione di immobile ad uso non
abitativo, occorre avere riguardo non alla natura o alla qualifica del conduttore, bens all'attivit che in concreto
viene ivi svolta, ragion per cui il diritto all'indennit e in genere la tutela dell'avviamento non compete a quegli
enti, come lo Stato od altro ente pubblico territoriale, che istituzionalmente non agiscono come imprese, ai sensi
dell'art. 27, L. n. 392/1978.
* Pret. civ. Siracusa, 18 luglio 1988, Esspa Edilizia Siciliana Spa c. Comune di Siracusa.
Con riferimento ad un immobile locato all'allora Amministrazione delle poste e telecomunicazioni, poich la
trasformazione di quest'ultima in ente pubblico economico e, successivamente, in societ per azioni non ha
integrato mutamento nell'uso pattuito, bens mutamento nella struttura del soggetto conduttore che ha
trasformato la propria natura giuridica, la conseguente inapplicabilit dell'art. 80 L. n. 392/78 rende insussistente

in capo all'attuale Poste Italiane Spa il diritto alla corresponsione dell'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale in relazione alla riconsegna dei locali.
* Trib. civ. Milano, sez. XIII, 15 marzo 2001, n. 3142, Soc. Max Mara ed altra c. Poste Italiane Spa. 2001, 694.
c-18) Esposizione di merce
L'indennit per la perdita dell'avviamento compete anche al conduttore di locali adibiti soltanto ad esposizione
della merce con possibilit di accesso da parte del pubblico, sebbene le vendite vengano concluse in locali
vicini, sempre che risulti accertato il reale ed obbiettivo inserimento del locale nell'organizzazione aziendale del
conduttore e la sua rispondenza ed esigenza tipiche dell'impresa, essendo cos funzionali alla produttivit
aziendale e suscettibili di influire sul volume di affari.
* Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 1987, n. 810, Coppolicchio c. Giovine.
L'indennit per la perdita dell'avviamento, prevista dall'art. 34 della legge n. 392 del 1978, compete anche al
conduttore di locali i quali, sebbene non consentano l'accesso da parte del pubblico, comportano tuttavia una
possibilit di contatto col medesimo (nella specie, locali adibiti ad esposizione della merce) e risultano in tal
modo funzionali alla produttivit aziendale e suscettibili di influire sul volume degli affari.* Cass. civ., sez. III, 25
febbraio 1983, n. 1457, Solmi c. Soc. Doti.
c-19) Estetista
Ai fini del diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale di cui all'art. 34 della legge 27 luglio
1978, n. 392, (cosiddetta dell'equo canone) l'attivit di estetista come disciplinata dalla legge 4 gennaio 1990, n.
1, non ha carattere professionale e non preclude pertanto il sorgere del diritto alla suddetta indennit a norma
del successivo art. 35 della stessa legge, ma ha natura di attivit imprenditoriale artigiana, senza che in
contrario assuma rilievo il riferimento alla professione contenuto nella citata legge n. 1 del 1990, il quale per un
verso ha riguardo alla necessaria preparazione teorico pratica di chi eserciti tale attivit e per altro verso denota
il carattere non occasionale ma stabile e duraturo della stessa.
* Cass. civ., sez. III, 19 marzo 1997, n. 2421, Di.Ma. Srl. c. Piselli.
c-20) Impresa assicuratrice
L'indennit di avviamento di cui all'art. 34 della L. n. 392/1978 spetta al conduttore che, quale una impresa
assicuratrice, svolga la relativa attivit - e sempre che la stessa comporti contatto diretto con il pubblico degli
utenti - nell'immobile in locazione, rientrando tale attivit, pur non espressamente considerata dall'art. 27 della
citata legge, tra quelle commerciali, in base al disposto dell'art. 2195, secondo comma cod. civ., con la
conseguente applicazione delle disposizioni di legge che fanno riferimento alle attivit commerciali e, quindi,
anche del citato art. 27.
* Cass. civ., sez. III, 20 agosto 1990, n. 8496, Soc. Sai c.
In tema di locazione ad uso non abitativo, presupposto per la spettanza dell'indennit per la perdita di
avviamento commerciale che l'immobile sia utilizzato come luogo aperto alla frequentazione diretta e
strumentalmente negoziale della generalit originariamente indifferenziata dei destinatari ultimi dell'offerta dei
beni o dei servizi. Pertanto, tale indennit non dovuta nelle ipotesi in cui l'attivit del conduttore non sia
strutturata in modo da contare sul diretto accesso dei consumatori, anche se questo non sia precluso (nella
specie, agenzia assicurativa adibita all'incontro tra i produttori, senza orario di accesso del pubblico, con
frequentazione solo di alcuni utenti che si recavano a pagare i premi).
* Cass. civ., sez. III, 4 novembre 1993, n. 10885, Alleanza Ass.ni Spa c. Frasca.
Non dovuta l'indennit di avviamento per un locale adibito ad ispettorato sinistri di una impresa assicuratrice.
* Pret. civ. Bari, 30 aprile 1983, n. 269, Macario e altri c. Sapa Spa.
Nel caso di contratto di locazione stipulato dalla compagnia di assicurazione, l'indennit per la perdita
dell'avviamento deve essere liquidata a favore della compagnia medesima, e non dell'agente.
* Pret. civ. Sestri Ponente, 6 maggio 1985, n. 26, Spa SAI c. Rollino e Balteri.
c-21) Laboratorio analisi chimiche
Pur non disconoscendosi che nell'esercizio dell'attivit medica di laboratorio analista chimico sia compresa una
qualche attivit di tipo organizzativo, non pu negarsi che l'elemento fiduciario collegato alla particolare
competenza professionale dell'analista a guidare l'utente verso l'uno o l'altro laboratorio di analisi piuttosto che
l'organizzazione dello stesso. La figura del professionista assume, infatti, un rilievo innegabilmente preminente
rispetto all'aspetto economico-commerciale che, pur se sussistente, appare certamente marginale. * Trib. civ.
Napoli, sez. XI, 14 dicembre 1991, Santoro c. Gramendola e Peluso.
All'attivit espletata da un laboratorio di analisi cliniche non dovuta l'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale, essendo la stessa configurabile come professionale malgrado l'indubbia presenza di un elemento
aziendale molto rilevante, poich il risultato esterno dell'attivit medesima appare essere principalmente
riconducibile alla particolare competenza tecnica e qualificata di un professionista (analista), connotato tipico
delle attivit professionali.
* Pret. civ. Roma, 20 dicembre 1988, Car c. Dessi.
c-22) Mediatore professionale
Il diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, previsto in caso di cessazione del rapporto di
locazione, deve essere riconosciuto anche in favore del conduttore che eserciti attivit di mediatore
professionale, stante la sua qualit di imprenditore commerciale. * Cass. civ., sez. III, 9 marzo 1984, n. 1637,
Germani c. Borghese.
La perdita di clientela che attribuisce il diritto all'indennit di avviamento presuppone che si tratti di quella
clientela che normalmente acquista la merce o il servizio non gi nell'ambito di un proprio progetto o di una
organizzazione economica di produzione o di scambio di beni o servizi, bens per soddisfare un bisogno
personale e, comunque, quantitativamente limitato. Conseguentemente, deve essere esclusa la debenza
dell'indennit in questione in favore di un mediatore professionale la cui attivit mediatoria non risulti soddisfare

un bisogno primario e largamente diffuso e creare uno stabile afflusso di domanda verso i locali ove viene
esercitata detta attivit. * Trib. civ. Milano, sez. X, 19 giugno 1986, n. 5336, Bosco e C. Spa c. Eredi Di Blasi.
c-23) Officina
Sussiste il diritto del conduttore all'indennit di avviamento ex artt. 34 e 69 L. n. 392/78 in relazione ad un
immobile adibito ad officina per la riparazione di motoveicoli. * Pret. civ. Milano, 26 gennaio 1987, Dall'Agnola c.
Bon.
c-24) Palestra
L'attivit di palestra specializzata in ginnastica terapeutica, esercitata con fini di lucro e con prevalenza della
organizzazione aziendale sulla capacit professionale delle persone impegnate, integra un'attivit commerciale
ai sensi dell'art. 27 legge n. 392/78; di talch, nel caso di cessazione del rapporto di locazione, il conduttore
dell'immobile ove venga esercitata tale attivit ha diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale.
* Pret. civ. Milano, 2 maggio 1996, n. 1620, Matalon ed altri c. Soc. Soma.
c-25) Ricevitoria
Poich l'attivit di ricevitoria del gioco del lotto non pu qualificarsi attivit commerciale, n rientra tra quelle
tutelate dalla normativa di cui agli artt. 27 e 34 L. n. 392/1978, il conduttore di un immobile adibito a tale attivit
non ha diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento prevista, per il caso di cessazione della locazione,
dall'art. 69, settimo comma, della stessa legge 392/1978 nella formulazione originaria (ritenuta applicabile nella
specie per essere il contratto cessato prima dell'entrata in vigore del D.L. n. 832/1986, che ha sostituito detto art.
69 riconoscendo il diritto all'indennit o compenso in questione anche in alcune ipotesi in cui era in precedenza
escluso). * Pret. civ. Milano 15 ottobre 1987, n. 3089, Castoro c. Mazzoleni.
c-26) Sartoria artigiana
Al conduttore che si serve dell'immobile in locazione per l'esercizio dell'attivit artigiana di sarto, ricevendovi i
clienti, spetta, in caso di cessazione del rapporto, l'indennit di avviamento commerciale prevista dagli artt. 34 e
35 della L. 27 luglio 1978 n. 392 in favore dei conduttori che esercitano nell'immobile attivit commerciale,
industriale od artigianale con diretto contatto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, restando irrilevante,
in presenza di una clientela pur sempre originariamente indifferenziata, la minore affluenza di una sartoria
artigiana rispetto a quella di una rivendita al minuto di capi di abbigliamento.
* Cass. civ., sez. III, 29 luglio 1995, n. 8340, Calori c. Dal Vecchio.
c-27) Scuola di danza
In caso di locazione di immobile adibito alla gestione di scuola privata di danza, con strutturazione aziendale e a
fine di lucro, non compete alcuna indennit di avviamento commerciale perch, anche in caso di prevalenza della
strutturazione aziendale sulle prestazioni personali e professionali del conduttore gestore della scuola, difetta
l'estremo dell'esistenza dei contatti diretti col pubblico degli utenti di cui all'art. 35 della L. n. 392/78.* Pret. civ.
Chieti, 24 febbraio 1992, n. 18, Ruffini c. Di Peppe ed altri. 392.
c-28) Studio di pittore
Non compete indennit per la perdita di avviamento a favore di pittore che eserciti attivit in studio cui accedano
i potenziali acquirenti delle opere artistiche. * Pret. civ. Firenze, 27 ottobre 1988, Petrelli c. Cappello.
c-29) Studio pubblicitario
Deve escludersi che uno studio pubblicitario, ancorch iscritto alla camera di commercio come ditta artigianale,
possa rientrare tra gli imprenditori aventi contatti diretti con il pubblico degli utenti (art. 35 L. n. 392/1978), perch
tale locuzione individua le imprese industriali dirette alla produzione di servizi, le imprese di trasporto, quelle
esercenti attivit bancarie e assicurative, attivit ausiliarie, i pubblici esercizi e i servizi di largo consumo, come
trattorie, spacci, autorimesse, tabaccherie, uffici di viaggi.
* Trib. civ. Piacenza, 23 maggio 1983, VBM Snc c. Tansini e Luccherini.
c-30) Vendita di tessuti
Ai fini dell'attribuzione dell'ulteriore indennit per la perdita dell'avviamento, prevista dall'art. 34, secondo
comma, della L. n. 392/1978, non sussiste il requisito dell'affinit tra l'attivit di vendita di tessuti e quella di
vendita di confezioni di abbigliamento.
* Pret. civ. Bari, 26 agosto 1994, n. 997, Soc. Marisemma II c. De Florio.
c-31) Vetrinetta
Nel caso di locazione di vetrinetta ad uso esclusivo di spazio pubblicitario, si verte in tema di immobile locato per
consentire lo svolgimento di una vera e propria attivit commerciale, sia pure nella fase iniziale di approccio con
il cliente. Al relativo contratto deve quindi applicarsi la disciplina di cui alla L. n. 392/1978.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 9 giugno 1997, n. 6253, Condominio di Corso Vittorio Emanuele II n. 22 in Milano c.
Soc. Messaggerie Musicali.
d) Competenza
Qualora il pretore abbia dichiarato la propria incompetenza per valore a decidere la causa di finita locazione,
senza provvedere sulla domanda riconvenzionale proposta soltanto in via subordinata di pagamento per la
perdita dell'avviamento commerciale ex art. 34 della legge n. 392/78, il tribunale davanti al quale la causa sia
stata riassunta e riproposta la domanda di pagamento dell'indennit ex art. 34 cit., non pu, ritenuta la propria
incompetenza, in ordine a detta domanda, richiedere d'ufficio il regolamento di competenza, per difetto
dell'indeclinabile presupposto della duplice declaratoria di incompetenza.
* Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1999, n. 4163, Basciano c. Brancatello.
Proposta dal conduttore domanda di pagamento dell'indennit di avviamento commerciale, prevista dalla legge
(sull'equo canone) n. 392 del 1978 in caso di cessazione della locazione di immobile ad uso non abitativo, previa
declaratoria di nullit (ai sensi dell'art. 79) della rinunzia ad essa operata in sede di conciliazione nel giudizio di
rilascio dell'immobile stesso, la competenza del pretore (ex art. 45, terzo comma) non limitata alla
determinazione e liquidazione di tale indennit, bens si estende all'accertamento della dedotta nullit, il quale

implica una indagine meramente incidentale, al fine dell'accoglimento della suddetta domanda, senza richiedere
una pronuncia giudiziale autonoma con efficacia di giudicato.
* Cass. civ., sez. III, 20 aprile 1984, n. 2592, Triglione c. Consoli.
Nel caso di cessazione del rapporto di locazione di immobile urbano ad uso diverso da quello abitativo, l'art. 45
terzo comma della L. 27 luglio 1978 n. 392, nel devolvere al pretore, qualunque ne sia il valore, la domanda del
locatario diretta al riconoscimento ed alla determinazione dell'indennit per perdita dell'avviamento commerciale
(artt. 34 e 69 della legge medesima), fissa una competenza per ragioni di materia, non derogabile. Pertanto, ove
detta domanda venga proposta in via riconvenzionale davanti a giudice diverso dal pretore, competente per
valore sulla domanda principale del locatore di scioglimento del rapporto, resta esclusa la possibilit di
un'attrazione di tale riconvenzionale nella cognizione di quel giudice diverso, e si rende necessaria la
separazione dei rispettivi procedimenti.* Cass. civ., sez. III, 26 aprile 1986, n. 2914, Bei c. De Luca.
La competenza esclusiva del pretore sulle controversie relative alla indennit di cui all'art. 34 della legge
sull'equo canone comprende, attesa l'unitaria configurazione dell'istituto, anche le controversie che hanno per
oggetto la realizzazione della condizione posta dall'art. 34, comma 3 (e dell'art. 69, comma 10, nel testo
novellato) per l'esecuzione del provvedimento di rilascio. (Nella specie si trattava di opposizione alla esecuzione
fondata sulla eccezione di omesso pagamento della indennit).
* Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 1996, n. 1372, Maggioni c. Soc. Publicity.
e) Contatti diretti con il pubblico
Nel caso di immobile dato in locazione per essere destinato ad un'attivit che secondo le sue modalit tipiche
comporta contatto diretto con il pubblico (come quella di intermediazione immobiliare se rivolta a soddisfare le
esigenze non di singoli soggetti direttamente contattati o di singoli altri operatori economici, ma della indistinta
generalit degli interessati, raggiunti attraverso la diffusione di messaggi tipici per tale genere di attivit, come
inserzioni sui giornali, cartelli affissi all'esterno degli immobili da vendere, manifesti etc., pur nella mancata
segnalazione della presenza, nell'immobile locato, della sede dell'azienda), qualora il locatore convenuto per il
pagamento dell'indennit di avviamento non neghi l'effettivo svolgimento, nell'immobile, dell'attivit
contrattualmente prevista, la domanda del conduttore non pu essere respinta sul rilievo della mancanza di
prova del contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, per non essere stata dimostrata
l'utilizzazione dei locali come fonte di procacciamento di clienti, non risultando apposti all'esterno dei locali stessi
i consueti elementi di attrazione per il pubblico (quali insegne, vetrine etc.), trattandosi di circostanze di per s
non significative, che non possono costituire impedimento ad una prova per presunzioni della sussistenza di tali
contatti, tratta, secondo un criterio di normalit, ed in assenza di contrari elementi di giudizio, dalla circostanza
che essi sono connaturati ad una attivit della quale certo l'avvenuto svolgimento.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 10 marzo 1998, n. 2646, Attika Sas c. Isar Spa.
L'indennit prevista dall'art. 34 della legge n. 392 del 1978 a favore del conduttore di immobile destinato ad uso
diverso di abitazione, semprech l'attivit in esso esercitata comporti il contatto diretto con il pubblico degli utenti
e dei consumatori (a mente del successivo art. 35), compete anche al conduttore il quale svolga nell'immobile
condotto in locazione sia l'attivit di produzione che quella di vendita al minuto indipendentemente dalla
prevalenza o meno di quest'ultima attivit.
* Cass. civ., sez. III, 14 aprile 1986, n. 2616, Cravattifi. Mee. c. Univ. Bologna.
In tema di locazione di immobili per uso diverso da quello di abitazione, la indennit per la perdita
dell'avviamento commerciale non pu ritenersi dovuta qualora l'immobile locato non risulti aperto alla
frequentazione, diretta e senza intermediazioni, della generalit dei destinatari finali dell'offerta di beni o servizi,
e, in particolare, qualora il pubblico abbia accesso al locale soltanto previo accompagnamento dei dipendenti o
del titolare dell'attivit commerciale, dopo essere in altro modo entrato in contatto con la di lui organizzazione
aziendale, non potendo, in tal caso, legittimamente qualificarsi i termini di contatti diretti l'accesso del pubblico al
locale de quo. * Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 1997, n. 9869, Merluzzo c. Passeggio.
In tema di locazioni di immobili non abitativi, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale non compete
con riguardo all'immobile che pur locato insieme con altro in cui si svolge l'attivit con contatti diretti con il
pubblico, non presenti identica caratteristica in ragione della sua strutturale autonomia rispetto al secondo,
restando irrilevante l'eventuale esistenza di un collegamento funzionale per essere lo stesso adibito a deposito
della merce venduta nell'altro locale.
* Cass. civ., sez. III, 2 giugno 1995, n. 6198, Trattoria Bagutta c. Mazzoni.
Poich nell'ipotesi in cui l'immobile locato sia adibito ad usi diversi la disciplina applicabile quella relativa
all'uso prevalente, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, prevista dall'art. 34, L. 27 luglio 1978,
n. 392, compete al conduttore dell'immobile adibito ad uso non abitativo, soltanto quando l'attivit di vendita al
minuto con modalit che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, sia esclusiva o
prevalente rispetto ad altre attivit eventualmente esercitate nello stesso locale (fattispecie in cui nei locali locati
veniva svolta in modo assolutamente prevalente l'attivit di lavorazione del marmo destinata all'utilizzazione di
altri imprenditori e non invece ai consumatori finali).
* Cass. civ., sez. III, 20 aprile 1995, n. 4474, Nai c. Zanaboni.
Le disposizioni di legge sull'equo canone che attribuiscono al conduttore di immobile adibito per uso diverso da
quello di abitazione, per il caso di vendita dello stesso (artt. 35, 38, 69 L. 27 luglio 1978 n. 392), il diritto ad una
indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, hanno uno scopo di tutela dell'avviamento inteso come
clientela e si riferiscono, perci, solo agli immobili che, adoperati dal conduttore come luogo aperto alla
frequentazione diretta e strumentalmente negoziale della generalit dei destinatari finali dell'offerta di beni e di
servizi, assumano la funzione di collettore di clientela e fattore locale di avviamento; ne consegue che l'indennit
non spetta in caso di vendita di immobile adibito dal conduttore come locale di esposizione in cui il pubblico non
accede o accede solo se accompagnato, dopo essere in altro modo entrato in contatto con l'organizzazione

commerciale del conduttore, se non risulti anche che in concreto tale locale in grado di esercitare, di per s, un
richiamo sulla clientela. Cass. civ., sez. III, 21 ottobre 1993, n. 10460, Mussi c. Micheletti.
Al conduttore che esercita nell'immobile, senza le prescritte autorizzazioni amministrative, attivit commerciale
che implichi contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori non pu essere riconosciuto il diritto
all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale dovendosi negare tutela giuridica a chi versa in
situazione illecita.
* Cass. civ., sez. III, 7 maggio 1993, n. 5265, Grimaudo c. Sicel Mobili Gentili Spa.
Al conduttore che esercita nell'immobile, senza le prescritte autorizzazioni amministrative, una attivit
commerciale che implichi contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori non pu essere
riconosciuta l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, dovendosi negare tutela giuridica a chi versa
in situazione illecita.
* Cass. civ., sez. III, 29 settembre 2000, n. 12966, Ribol sport c. Bandini & C. Snc.
Il diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, ai sensi dell'art. 34 della legge sull'equo
canone, al pari del diritto di prelazione e di riscatto (artt. 38, 39 legge cit.) spetta al conduttore di immobile
urbano con destinazione non abitativa, sempre che egli vi eserciti un'attivit produttiva o commerciale a contatto
diretto con il pubblico, sia pure come contitolare o consocio di una societ di persone della relativa impresa con
soggetti estranei alla titolarit del rapporto locativo.
* Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 1996, n. 11363, Mauriello c. De Filippo.
L'indennit di avviamento di cui all'art. 34, della L. 27 luglio 1978, n. 392, spetta anche nei casi in cui il locale sia
utilizzato per una attivit che l'imprenditore svolge per mezzo di rappresentanti o di soggetti che operano per suo
conto e che del locale si servano per i loro contatti con il pubblico degli utenti o dei consumatori (nella specie,
trattavasi di una societ assicuratrice collegata con la societ conduttrice). * Cass. civ., sez. III, 25 maggio 1992,
n. 6248, Properzi c. Lloyd Internazionale Spa.
Con l'espressione attivit che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, il
legislatore ha inteso individuare quelle attivit che si rivolgono alla massa di possibili fruitori, i quali, nella loro
indeterminatezza, vengono a costituire la potenziale clientela del conduttore. Gli utenti e i consumatori
costituiscono, cos, l'ultimo anello della catena distributiva, coloro cio che utilizzano direttamente il prodotto o il
servizio; mentre non rientrano in tale categoria gli intermediari che acquistano la merce od utilizzano il servizio
per il trasferirlo a loro volta al diretto fruitore. (Nella fattispecie, sulla base del principio che precede, stata
esclusa la spettanza dell'indennit di avviamento all'odontotecnico la cui attivit artigianale ausiliaria della
professione sanitaria e si concreta - secondo il R.D. 31 maggio 1928, n. 1334 - nella costruzione di protesi
dentarie su modelli tratti dalle impronte che possono essere fornite solo dai medici i quali, di conseguenza sono
gli unici suoi possibili clienti e che, a loro volta trasferiscono il prodotto all'utente - paziente).* Pret. civ. Roma, 2
marzo 1988, Salvidio c. Sugameli.
Ai fini della sussistenza del diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, non configurabile il
contatto diretto con il pubblico nel caso in cui l'immobile sia adibito a studio fotografico posto all'interno di un
cortile e non segnalato da insegne nella strada. * Pret. civ. Firenze, ord. 13 aprile 1989, Bencini c. Ricasoli.
Qualora nell'immobile locato ad uso commerciale venga svolta sia attivit che comporta contatti diretti con il
pubblico degli utenti e dei consumatori sia attivit che tali contatti non comporta, nella determinazione
dell'indennit per la perdita dell'avviamento deve tenersi conto esclusivamente del criterio forfettizzante ed
astratto del valore locativo dell'intera unit immobiliare.
* Pret. civ. Roma, 31 gennaio 1989, Ditta Master c. Nardi.
Non compete indennit per il rilascio di quei locali, nei quali non avviene un contatto diretto con il pubblico degli
utenti o consumatori, ma un contatto soltanto mediato, ancorch i locali siano inseriti nell'organizzazione
produttiva, purch per abbiano una loro precisa individualit e cio costituiscano un'autonoma unit
immobiliare. Quando, invece, la parte nella quale non avvengono contatti diretti con il pubblico degli utenti o dei
consumatori non ha una sua autonomia e non costituisce una distinta unit immobiliare, si deve tener conto di
tutti locali nel loro complesso; non quindi accoglibile la richiesta subordinata presentata dal convenuto di
limitare il calcolo del canone corrente di mercato a quella sola parte dei locali al piano terreno frequentati dagli
utenti e non invece a quella adibita a studio o sala di posa.
* Pret. civ. Parma, 24 gennaio 1990, Ditta Tel Pubblicit c. Soc. Immobilare Altan.
f) Controversie
Con riferimento a locazione di immobile destinato ad uso diverso da quello di abitazione, sussiste rapporto di
continenza tra la causa di opposizione a precetto, proposta davanti al pretore, con la quale il conduttore si
oppone al rilascio dell'immobile, intimato in virt di un verbale di transazione e conciliazione, deducendo la
mancata corresponsione dell'indennit di avviamento, in ragione della nullit della rinuncia ad essa, contenuta
nella detta transazione, e la causa che, previamente promossa dallo stesso conduttore, davanti al tribunale, per
la dichiarazione di vigenza del rapporto locativo relativo allo stato immobile e, in subordine, della nullit del citato
accordo transattivo, si connota per la maggiore ampiezza del petitum, non ricorrendo in ordine alla prima causa
la competenza per materia del pretore, la quale limitata alla determinazione dell'indennit di avviamento.
* Cass., sez. 8 febbraio 1990, n. 885, Pugliares c. Leonardi.
L'interveniente adesivo ha un interesse di fatto all'esito a lui favorevole della controversia, determinato dalla
necessit di impedire che nella propria sfera giuridica possano ripercuotersi le conseguenze dannose della
decisione, ma detto interesse non idoneo ad attribuirgli un autonomo diritto da far valere nel rapporto
controverso. (Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata la quale d'ufficio aveva attribuito
l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale al terzo che, quale intestatario della licenza di commercio
e titolare dell'attivit esercitata nell'immobile locato, aveva spiegato intervenuto adesivo nella causa fra il
locatore ed il conduttore concernente la cessazione del rapporto locatizio ed il pagamento della detta indennit).

* Cass. civ., sez. III, 14 marzo 1995, n. 2928, Mazza c. Arcidiacono.


Il locatore, nel giudizio che lo veda in veste di convenuto per l'accertamento o il pagamento dell'indennit per la
perdita dell'avviamento commerciale non pu, al fine di negare il diritto del conduttore alla corresponsione della
predetta indennit, limitarsi ad eccepire la morosit di quest'ultimo ma deve provare che il contratto si risolto
per il suo inadempimento oppure per una delle altre cause di cui all'art. 34 della L. n. 392/1978.
* Pret. civ. Carrara, 16 agosto 1988, n. 51, Morelli c. Bruschi.
La sentenza condizionale di condanna ammissibile nei casi in cui l'evento futuro ed incerto, cui viene
subordinata l'efficacia della pronuncia, costituisca un elemento accidentale della decisione e non nell'ipotesi in
cui gli elementi futuri ed incerti concretino un elemento costitutivo del diritto e dell'azione qual quello tipizzato
dall'art. 34, secondo comma, della L. n. 392/1978 nell'ipotesi l'immobile venga da chiunque adibito all'esercizio
della stessa attivit o di attivit affini entro un anno dal rilascio.
* Pret. civ. Foggia, 18 febbraio 1985, n. 14, Fattibene c. Ulivieri e altri.
E'inammissibile il ricorso diretto a far determinare dal pretore l'ammontare dell'indennit dovuta per avviamento
commerciale quando sia certa l'entit dell'ultimo canone corrisposto.
* Pret. civ. Matera, 27 aprile 1993, n. 72, Porcari e altri c. Soc. Centro studi arredamento.
Sussiste per il locatore la possibilit di fare determinare anche in via autonoma il quantum dell'indennit di
avviamento, sia prima che durante la procedura di rilascio. * Pret. civ. Bassano del Grappa, 25 giugno 1980,
Ferrajuolo c. Pettenuzzo.
Non essendo il verbale di conciliazione assimilabile ad un provvedimento di rilascio, l'esecuzione non pu
essere condizionata dalla richiesta dell'avviamento commerciale ex artt. 34 e 69, della legge 392/78.
* Pret. civ. Firenze, 19 giugno 1982, n. 1424, Innocenti c. Venturi.
Il pretore, adito a norma dell'art. 45 della legge 392/1978 per la determinazione dell'indennit per la perdita
dell'avviamento commerciale, non ha il potere di sospendere l'esecuzione per rilascio eventualmente promossa
dal locatore; tale potere spetta al giudice dell'esecuzione, adito a norma dell'art. 615, comma secondo, c.p.c.,
dovendosi ravvisare nel mancato pagamento della predetta indennit un fatto impeditivo, sopravvenuto alla
formazione del titolo esecutivo giudiziale, nel quale il diritto del conduttore ad ottenerne la corresponsione trova
la sua fonte.
* Pret. civ. Taranto, 25 gennaio 1982, Francavilla c. Palmisano.
E' illegittima la notifica del precetto di rilascio avanti il pagamento dell'indennit di avviamento, configurando il
mancato pagamento di tale indennit un'acquiescenza del provvedimento di rilascio dell'immobile che d luogo
ad un'ipotesi di sospensione legale dell'esecuzione che si aggiunge a quella di cui all'art. 623 c.p.c. * Pret. civ.
Bassano del Grappa, 25 giugno 1980, Ferrajuolo c. Pettenuzzo.
Nel caso in cui, nel corso dell'esecuzione di un provvedimento di rilascio di locale ad uso diverso dall'abitazione,
il conduttore affermi che non stata corrisposta l'indennit di legge a lui spettante, l'ufficiale giudiziario
procedente deve fare applicazione della normativa di cui all'art. 610 c.p.c., rimettendo le parti davanti al giudice
dell'esecuzione.
* Pret. civ. Pistoia, ord. 2 dicembre 1980, Elettromarket c. Benesperi.
g) Determinazione
La determinazione e l'attribuzione al conduttore dell'indennit di avviamento prevista dagli artt. 34 e 69 della
legge n. 392 del 1978, non pu essere effettuata d'ufficio dal giudice. * Cass. civ., sez. III, 8 aprile 1988, n. 2770,
Nicocia c. Bentivoglio.
L'interesse del locatore ad agire per la determinazione dell'indennit di avviamento alla cessazione del rapporto
di locazione di immobili ad uso non abitativo si configura, anteriormente alla richiesta del conduttore, come
interesse attuale all'accertamento negativo del credito, al fine di poter proporre l'azione esecutiva di rilascio
senza che possa essere opposta l'eccezione di carenza di una condizione di procedibilit. * Cass. civ., sez. III,
17 ottobre 1994, n. 8457, Bredice c. Corepla srl.
E' in base al titolo esecutivo che debbono essere individuati i soggetti del giudizio di accertamento del diritto
all'indennit e/o di determinazione dell'entit della stessa, giudizio finalizzato per il locatore, che abbia
conseguito ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c., a rimuovere un ostacolo all'esercizio dell'azione esecutiva,
nell'ambito del quale il conduttore non pu opporgli la carenza di legittimazione derivante dalla pretesa non
titolarit del rapporto di locazione, che oggetto della causa ancora in corso sulla cessazione del rapporto di
locazione. * Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1994, n. 8457, Bredice c. Corepla srl.
La domanda di determinazione dell'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale va proposta secondo gli
ordinari criteri e gradi del processo civile e, quindi, se non sia stata formulata dal conduttore in sede di
opposizione alla convalida di sfratto, deve proporsi, a pena di inammissibilit, entro il termine fissato dal pretore
a norma dell'art. 426 c.p.c.
* Cass. civ., sez. III, 22 maggio 1997, n. 4568, Noi Incontro soc. c. Comandini.
Il giudizio relativo alla determinazione dell'indennit di avviamento non deve essere sospeso in pendenza del
giudizio inerente alla scadenza del contratto di locazione di un immobile adibito ad uso diverso da quello
abitativo, in quanto il locatore ha indubbiamente un interesse alla determinazione dell'indennit, il cui pagamento
costituisce condizione per l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile locato. * Trib. civ. Piacenza, 7
agosto 1989, Zeppelin Pub c. Groppi.
h) Diritto di ritenzione
In tema di indennit per l'avviamento commerciale, la L. 27 luglio 1978 n. 392 (art. 34, 69) riconosce al
conduttore, indipendentemente da un preciso giudicato, positivo sul credito, un diritto di ritenzione sull'immobile
anche in pendenza della relativa controversia sino al pagamento dell'indennit, ma non comporta, dopo la
scadenza della locazione, una prorogatio del rapporto contrattuale locativo n la mora della restituzione, con
l'obbligo di continuare la corresponsione dei canoni fino alla riconsegna a norma dell'art. 1591 c.c., in quanto la

ritenzione non abilita il conduttore alla prosecuzione del godimento del bene quale utilit corrispettiva del
pagamento del canone, configurandosi come mero onere di custodia anche nell'interesse proprio.
* Cass. civ., sez. III, 2 marzo 1995, n. 2442, Paiola c. Lugagli.
Una volta cessato il rapporto contrattuale, il conduttore ha diritto di detenere l'immobile, cos esercitando una
forma di diritto di ritenzione, finch non gli venga corrisposta l'indennit di cui all'art. 34 della legge sull'equo
canone.
* Pret. civ. Pordenone, 7 marzo 1998, n. 79, Sipkova c. Soc. Consap, in Arch. loc. e cond. 1998, 427.
i) Esclusione
Il termine recesso nell'ambito dell'art. 34, primo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, che esclude il diritto
del conduttore all'indennit per la perdita dell'avviamento quando la cessazione del rapporto di locazione
dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore, impiegato in una accezione
ampia, comprensiva di ogni risoluzione anticipata del contratto che, anche se formalmente consensuale per
adesione del locatore, possa farsi risalire ad una manifestazione di volont del conduttore che non abbia pi
interesse alla continuazione della locazione.
* Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1995, n. 2231, Macchi ed altri c. Maffia.
Non spetta alcuna indennit per la perdita dell'avviamento commerciale ad una societ immobiliare per l'attivit
svolta in un locale nel quale, senza alcuna insegna n vetrina, si svolgono solo trattative riguardanti il prezzo di
un immobile o la visione dei progetti, in quanto tale attivit non configura l'ipotesi di contatto diretto con il
pubblico ex art. 35, L. n. 392/1978, bens di mero contatto mediato con una clientela gi, in parte, selezionata.
* Pret. civ. Genova, sez. II, 10 dicembre 1991, Romeo c. Societ Immobiliare S. Ilario, in Arch. loc. e cond. 1992,
593.
Non spetta indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, ai sensi dell'art. 35 della L. n. 392 del 1978, in
relazione all'esercizio di attivit di progettazione ed allestimento arredamenti, consulenza di architettura,
pubblicit ed estetica industriale, dato il prevalere degli elementi libero professionali, basati sull'intuitus
personale, rispetto a quelli imprenditoriali, e della irrilevanza quindi del luogo di esplicazione dell'attivit nel
rapporto con la clientela.
* Pret. civ. Udine, sez. dist. di Palmanova, 1 luglio 1991, n. 24, Soc. So.Te.Co. c. Comune di Palmanova.
Il diritto del conduttore all'indennit ex art. 34 della L. n. 392/1978 escluso laddove lo stesso, alla cessazione
del rapporto locatizio, abbia trasferito la propria attivit in altra unit immobiliare locata allo scopo, facente parte
del medesimo stabile.
* Trib. civ. Roma, 18 febbraio 1998, Caselli c. Bovini.
Non compete alcuna indennit, per la perdita dell'avviamento commerciale per la cessazione del contratto di
locazione, al conduttore esercente un'attivit di fornitura, posa in opera e manutenzione di impianti di posta
pneumatica, non comportando questa contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, ma solo
rapporti limitati ad una clientela particolarmente qualificata e selezionata. * Pret. civ. Roma, 7 aprile 1989, Are c.
Soc. Varone, in Arch. loc. e cond. 1991, 364.
Non ha diritto all'indennit di avviamento commerciale, atteso il disposto dell'art. 35 L. 392/78, la cooperativa di
consumo, che, per quanto svolga attivit commerciale, non ha un contatto diretto con il pubblico degli utenti e
dei consumatori, potendo soltanto avere rapporti con i propri soci.
* Pret. Civitavecchia, 26 ottobre 1984, n. 210, Coop. Consumo Santa Marinella c. De Laurentis.
Deve essere escluso che abbia diritto all'indennit di avviamento il professionista la cui attivit commerciale
abbia avuto carattere accessorio a quella professionale oppure - se a carattere prevalente o anche soltanto
autonomo - non abbia comportato rapporti diretti col pubblico degli utenti e dei consumatori. (Fattispecie di
professionista che svolgeva attivit di rappresentanza e di procacciamento di materiali da costruzione per
imprese).
* Pret. civ. Pietrasanta, 10 novembre 1982, n. 84, Cipriani c. Baldi Coluccini.
Il diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento esclusa in ipotesi di recesso dalla locazione della curatela
fallimentare a seguito di sentenza dichiarativa di fallimento del conduttore ed ininfluente la successiva
pronuncia di revoca del fallimento.
* Pret. civ. Napoli, 25 novembre 1985, Antonangeli c. Cond. via Niutta 3, Napoli.
Deve escludersi che sia dovuta l'indennit per l'avviamento commerciale per le attivit nelle quali le prestazioni
personali dell'esercente costituiscono l'elemento attraente, capace di determinare l'indennizzo della clientela con
prevalenza sulle altre caratteristiche obiettive legate propriamente all'azienda (nel caso di specie autoscuola).
* Pret. civ. Cesena, 21 maggio 1982, n. 95, Berardi c. Bastoni.
j) Finalit
La disposizione dettata, con riferimento alle locazioni di immobili urbani destinati ad uso diverso da quello
abitativo, per cui sia dovuta, alla cessazione del rapporto, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale,
dall'art. 34 della legge n. 392 del 1978, secondo la quale l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile
condizionata dall'avvenuta corresponsione dell'indennit, inserendosi nel quadro normativo di protezione delle
attivit imprenditoriali svolte in immobili locati, costituisce ulteriore espressione della tutela dell'avviamento, e
non si limita ad attribuire un mero diritto di ritenzione al conduttore, consentendogli la protrazione dell'esercizio
dell'attivit economica sull'immobile, verso il pagamento di un corrispettivo coincidente con quello del
precedente rapporto contrattuale, dovuto, peraltro, in ossequio al canone generale della correttezza, anche nella
ipotesi in cui il conduttore, per sua scelta, non utilizzi l'immobile, salvo che costui non rinunzi anche alla mera
detenzione dell'immobile, effettuandone la riconsegna al locatore, o facendogliene offerta ai sensi dell'art. 1216
c.c.
* Cass. civ., sez. III, 26 maggio 1999, n. 5098, Bevilacqua c. Lepore.
k) Interruzione dell'attivit

L'interruzione, da parte del conduttore, dell'attivit industriale, commerciale o artigianale comportante contatti
diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, provocata dall'inagibilit dell'immobile locato, non determina
la perdita del diritto del conduttore all'indennit di avviamento se il rapporto, non avendo il locatore fatto valere la
risoluzione del contratto per l'impossibilit sopravvenuta della prestazione, sia successivamente cessato, per
iniziativa di quest'ultimo, solo per effetto della scadenza legale o convenzionale del contratto. * Cass. civ., sez.
III, 10 ottobre 1992, n. 11091, Casal c. Galletti.
l) Liquidazione forfettaria
A differenza della disciplina vigente durante il regime vincolistico (art. 4 della L. n. 19 del 1963), la nuova
normativa delle locazioni urbane ad uso non abitativo di cui alla L. n. 392 del 1978 prevede, con riguardo
all'indennit per l'avviamento commerciale, una liquidazione forfettaria fissa commisurata ad un numero
predeterminato di mensilit, nella quale cio varia solo l'elemento base costituito dal canone mensile - che pu
essere quello da ultimo corrisposto dal conduttore (art. 34), o quello richiesto dal locatore od offerto dal terzo,
ovvero quello corrente di mercato (art. 69) - restando escluso qualsiasi potere discrezionale del giudice di
procedere ad una liquidazione equitativa anche nel caso in cui il locatore non intenda procedere al rinnovo della
locazione nel regime transitorio, atteso che la mera espressione sulla base del canone corrente di mercato
contenuta nel settimo comma dell'art. 69 citato, non comporta alcuna differenziazione dalle altre ipotesi
considerate in precedente (nelle quali il numero delle mensilit indicate dal legislatore costituisce l'importo
concretamente dovuto e non l'ammontare massimo consentito).
* Cass. civ., sez. III, 12 agosto 1988, n. 4945, Sgr c. Portale.
m) Mutamento d'uso
Nel caso di mutamento da parte del conduttore dell'uso pattuito, nel corso della locazione, va applicato, al
momento della cessazione del rapporto di locazione, il regime giuridico corrispondente all'uso prevalente (art. 80
comma 2 della L. 27 luglio 1978 n. 392), con la conseguenza che - in caso di prevalenza dell'uso commerciale
con contatti diretti con il pubblico - l'indennit di cui all'art. 34 legge citata va commisurata all'intero canone
corrisposto per l'immobile concesso in locazione e non gi ad una parte del canone proporzionata alla sola
superficie adibita all'uso commerciale predetto.
* Cass. civ., Sezioni Unite>, 28 ottobre 1995, n. 11301, Travaglio c. D'Acquaviva e Vavallo.
In tema di indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, non accordabile la tutela prevista dall'art. 34
legge 392/78 al conduttore che abbia unilateralmente operato un mutamento d'uso dell'immobile, tale da rendere
applicabile un regime giuridico diverso, senza che il locatore ne abbia avuto conoscenza, in quanto ci
esporrebbe quest'ultimo a subire una situazione che egli non ha in alcun modo contribuito a creare, neppure con
la sua inerzia consapevole.
* Cass. civ., sez. III, 11 agosto 2000, n. 10723, Interass Ass.ni Snc. c. Cardone ed altro.
n) Natura del credito
In tema di locazioni di immobile ad uso non abitativo, il credito relativo all'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale spettante al conduttore nel caso di recesso del locatore, trattandosi di compenso rapportato al
canone corrente di mercato per locali aventi le stesse caratteristiche (art. 69 L. n. 392/1978) ovvero al canone
richiesto od offerto (art. 1 D.L. n. 832/1987 sostitutivo dell'art. 69 cit.) e riferito al momento in cui il recesso ha
operato i suoi effetti (e cio al sesto mese dopo il preavviso di rilascio), ha per oggetto fin dall'origine una
somma di denaro e, pertanto, costituisce un credito di valuta e non di valore.
* Cass. civ., sez. III, 3 novembre 1993, n. 10836, Buttazzo c. Corona.
o) Offerta
E' sufficiente l'offerta reale dell'indennit di avviamento ai fini della procedibilit dell'esecuzione del
provvedimento di rilascio dell'immobile. * Pret. civ. Piacenza, ord. 12 marzo 1992, Soc. Castel c. Soc. Il
Belvedere, in Arch. loc. e cond. 1992, 165.
L'offerta banco judicis dell'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale giustifica il diniego di
sospensione dell'esecuzione del provvedimento di rilascio. * Pret. civ. Roma, ord. 6 giugno 1997, Brenci c.
Martino, in Arch. loc. e cond. 1997, 662.
p) Onere probatorio
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, compete al conduttore, il
quale richieda l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, la prova che il rapporto di locazione
cessato per disdetta o recesso del locatore o per altre cause diverse dall'inadempimento o disdetta o recesso
del conduttore o da una della procedure previste dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, trattandosi di fatto costitutivo
di diritto. * Cass. civ., sez. III, 18 novembre 1994, n. 9757, Bufali c. Pagnotta.
In tema di corresponsione dell'indennit di avviamento, quando sia il locatore a rivestire la qualit di attore, onde
ottenere l'accertamento negativo della spettanza di tale indennit al conduttore, esclusivo onere del primo
provare l'insussistenza dei presupposti del relativo diritto, a nulla rilevando che, trattandosi di prova negativa,
l'adempimento di tale onere pu rivelarsi, in concreto, particolarmente gravoso assolverlo. * Cass. civ., sez. III,
19 luglio 2000, n. 9491, Silba spa c. Villa Alba srl.
Il carattere automatico del diritto del conduttore di immobile adibito ad uso diverso dall'abitazione, all'indennit
per la perdita dell'avviamento commerciale ex art. 34 della L. 27 luglio 1978, n. 392, comporta solo che il
conduttore sia esonerato dalla prova della sussistenza in concreto dell'avviamento e del danno conseguente al
rilascio, ma non implica che tale diritto consegua alla sola destinazione dell'immobile ad una delle attivit
protette, quando manchi la prova, da fornirsi dal conduttore, che ad esse l'immobile sia stato concretamente
adibito. * Cass. civ., sez. III, 10 maggio 1996, n. 4430, Soc. Mas c. Palomo.
Il diritto del conduttore di un immobile non abitativo all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale
compete indipendentemente dalla prova in concreto dell'avviamento e della perdita, avendo il legislatore stabilito
il corrispondente diritto del conduttore con una valutazione fondata sull'id quod plerumque accidit.

* Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1995, n. 6548, Costabile c. Palumbo.


In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il conduttore che chiede, in
caso di recesso del locatore, la corresponsione dell'indennit di avviamento, ha l'onere di provare non solo di
avere esercitato nell'immobile una delle attivit per le quali la detta indennit prevista, ma anche che l'attivit
stessa comportava contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, mentre nessun dovere ha il
giudice di promuovere di ufficio un siffatto accertamento.
* Cass. civ., sez. III, 5 marzo 1990, n. 1699, Bennicelli c. Bologna.
La norma di cui all'art. 2697 c.c., relativa alla generale disciplina dell'onere della prova in giudizio, trova
applicazione, in sede di controversie insorte in tema di corresponsione dell'indennit di avviamento in favore del
conduttore (art. 34 della legge n. 392 del 1978), nel senso che a quest'ultimo (che rivesta la qualit di attore)
spetta il compito di provare non solo di aver esercitato, nell'immobile, una delle attivit per le quali l'indennit
prevista, ma anche che la medesima comportava contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori,
nessun obbligo di accertamento di ufficio gravando, in tal senso, sul giudice procedente. Se, al contrario, la
qualit di attore abbia ad esser rivestita dal locatore, onde ottenere l'accertamento negativo della spettanza di
tale indennit al conduttore, sar esclusivo onere del primo provare l'insussistenza dei presupposti del relativo
diritto (a nulla rilevando che, trattandosi di prova negativa, l'adempimento di tale onere pu rivelarsi, in concreto,
particolarmente gravoso), mentre, nella ipotesi di azione di accertamento negativa proposta dal locatore e
correlativo dispiegamento di domanda riconvenzionale da parte del convenuto, ambedue le parti dovranno
ritenersi gravate dall'onere di provare esaustivamente le rispettive, contrapposte pretese, con conseguente
soccombenza della parte incapace di assolverlo.
* Cass. civ., sez. III, 6 agosto 1997, n. 7282, Collodo Autotrasporti c. Collodo.
La domanda di attribuzione dell'indennizzo suppletivo di cui al secondo comma dell'art. 34 della legge n. 392 del
1978 - fondata sull'assunto che l'immobile sia stato adibito, dal proprietario, ad attivit affine a quella esercitata
dal conduttore uscente - presuppone l'accertamento della data di inizio dell'attivit commerciale; sicch non pu
ritenersi soddisfatto il relativo onere probatorio attraverso la mera produzione in giudizio, da parte dell'istante, di
una fotografia dello stabile che riproduca l'insegna della nuova azienda ivi ubicata, non essendo da ci
desumibile la prova della data di inizio dell'attivit stessa (fissata dalla legge entro l'anno dalla cessazione del
precedente esercizio). * Cass. civ., sez. III, 23 maggio 1997, n. 4611, Soc. Frette c. Gorni, in Arch. loc. e cond.
1997, 611.
q) Prescrizione del credito
Alla luce della disposizione di cui all'art. 2935 c.c., secondo la quale la prescrizione incomincia a decorrere dal
giorno in cui il diritto pu essere fatto valere, il termine iniziale della prescrizione del credito del conduttore di
immobile urbano, destinato ad uso diverso dall'abitazione, all'indennit per la perdita dell'avviamento, non pu
essere individuato nel momento della cessazione de iure del rapporto locativo (poich, in tale momento, il
diritto, pur gi sorto, non esercitabile in ragione della sua inesigibilit, scaturente dalla disciplina dettata dagli
artt. 34 e 69 della legge n. 392 del 1978), ma coincide con il momento in cui l'immobile venga rilasciato senza il
contestuale pagamento dell'indennit, poich solo da tale momento il credito in questione diviene esigibile. *
Cass. civ., sez. III, 2 agosto 1997, n. 7168, Paolini c. Venturucci.
r) Presupposti
In considerazione della chiara e imperativa previsione dell'art. 34 della legge n. 392 del 1978, nonch dal
raffronto con la disciplina della legge n. 19 del 1963, il diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale consegue (salvo che nei soli casi tassativamente indicati dal legislatore, e cio nelle ipotesi di
cessazione del rapporto di locazione dovuta a risoluzione per inadempimento o a disdetta o recesso del
conduttore o a una delle procedure previste dal regio decreto 16 marzo 1942, n. 267) automaticamente ed in
misura prestabilita alla cessazione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello di
abitazione, senza che sia necessaria la sussistenza in concreto dell'avviamento e della sua perdita o senza che
rilevi la circostanza che il conduttore, successivamente alla disdetta del contratto, abbia cessato di svolgere ogni
attivit nell'immobile locato prima della cessazione del rapporto. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza
impugnata che non aveva dato rilievo alla cessazione, prima della scadenza del contratto, di ogni attivit
commerciale da parte della conduttrice, senza richiedere da parte di quest'ultima la prova dell'esistenza di un
nesso causale tra il recesso del locatore e la cessazione dell'attivit).
* Cass. civ., sez. III, 16 settembre 2000, n. 12279, Cappelletti c. Fall. Soc. Apollo di Torre e C. S.n.c.
In tema di locazioni di immobili non abitativi il diritto del conduttore all'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale consegue direttamente al fatto che il rapporto sia cessato per la volont del locatore e, quindi, non
esplica alcuna rilevanza la circostanza che dopo l'intimazione di licenza il rilascio abbia avuto luogo
spontaneamente, anzich coattivamente. Inoltre, il ritardo da parte del locatore nel corrispondere l'indennit fa
sorgere nel conduttore un diritto di ritenzione dell'immobile locato fino a quel momento, ma non comporta una
prorogatio del rapporto locativo dopo la sua scadenza contrattuale.
* Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1995, n. 6548, Costabile c. Palumbo.
L'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale di cui all'art. 34 (per il regime ordinario) ed all'art. 69 (per
il regime transitorio) della legge sull'equo canone non dovuta (dal locatore) al conduttore che unilateralmente
recede dal contratto di locazione di immobile per uso non abitativo.
* Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 1993, n. 2284, Srl Sigros c. Moschetto.
Per l'attribuzione dell'indennit per la perdita dell'avviamento, che il locatore di immobile adibito ad uso diverso
da quello di abitazione tenuto a corrispondere al conduttore in forza degli artt. 34, 35 della L. 27 luglio 1978 n.
392, sufficiente l'anticipata cessazione del rapporto a causa del recesso del locatore, non richiedendo la
norma di ulteriori condizioni e, quindi, restando irrilevante la circostanza che il conduttore estromesso abbia
cessato di svolgere ogni attivit prima o dopo il rilascio dell'immobile (nella specie, si trattava di un sarto che,

dopo la cessazione del rapporto locativo, aveva cessato la sua attivit).


* Cass. civ., sez. III, 10 agosto 1993, n. 8585, Paletti c. Ferranti.
In tema di locazione di immobili urbani destinati ad uso non abitativo, il diritto alla indennit di avviamento di cui
all'art. 34 della legge n. 392 del 1978 non spetta al conduttore il quale stipuli contratto di associazione in
partecipazione con il titolare dell'attivit svolta nell'immobile locato, in quanto costui non diventa contitolare della
stessa, neppure qualora gli venga affidata la gestione interna dell'impresa, a meno che, superati i limiti di siffatti
poteri gestori, sia configurabile, in presenza degli altri requisiti a tali effetti richiesti, una societ di fatto. *Cass.
civ., sez. III, 20 maggio 1999, n. 4911, Romana Gestione srl c. Bors.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, al fine di riconoscere la
sussistenza del diritto all'indennit di avviamento, non occorre accertare se dal rilascio dell'immobile il locatore
riceva un vantaggio o il conduttore risenta un danno, ma occorre piuttosto stabilire se l'immobile sia stato in
concreto utilizzato per lo svolgimento di attivit che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei
consumatori.
* Cass. civ., sez. III, 6 aprile 1995, n. 4027, Orlando A. c. Scaltriti ed altri.
Qualora la locazione di un immobile adibito ad una delle attivit contemplate nei primi due commi dell'art. 27
della L. n. 392 del 1978, in corso alla data dell'entrata in vigore della suddetta legge e non soggetta a proroga,
venga a cessare convenzionalmente in data successiva a quella calcolata ai sensi dell'art. 71, il diritto del
conduttore all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale deve riconoscersi non alla stregua della
disposizione transitoria dell'art. 69 ma di quella ordinaria dell'art. 34 della citata legge. (Nella specie si trattava
della locazione di un'area destinata ad attivit commerciale con contratto novennale a partire dal 1973). *Cass.,
sez. III, 26 maggio 1989, n. 2566, Falcone c. Binetti.
L'esercizio da parte della P.A. del diritto di prelazione previsto dall'art. 31 L. 1 giugno 1939 n. 1089 con riguardo
alle alienazioni fra privati di beni con valore artistico o storico comporta l'acquisizione coattiva del bene ed il suo
assoggettamento al regime del demanio pubblico, ai sensi degli artt. 822 e 824 c.c., sicch il suo godimento da
parte di terzi non pu pi avvenire in base a contratti di diritto privato, ma soltanto mediante un atto avente
natura di concessione. Ne discende che il rapporto di locazione concluso dal precedente proprietario
dell'immobile con un terzo cessa automaticamente per effetto dell'esercizio del potere ablatorio della P.A. e che
l'ex conduttore non pu vantare nei confronti della P.A., che non ha mai assunto la qualit di locatore, alcun
diritto che sia dipendente o collegato a tale qualit ed, in particolare, non pu esercitare ex art. 34 L. 392/78 - o
ex art. 69 per il periodo transitorio previsto da detta legge - l'azione diretta ad ottenere il compenso per la perdita
dell'avviamento commerciale, operando tale normativa nei rapporti fra conduttore e locatore.
* Cass. civ., sez. III, 21 giugno 1995, n. 7020, Finanze Stato c. Mobili Imbottiti srl.
La corresponsione dell'indennit di avviamento di cui all'art. 34, terzo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392,
non condiziona il diritto del locatore alla esecuzione del provvedimento di rilascio, ma solo l'inizio di tale
esecuzione, per cui non deve necessariamente precedere la notificazione del precetto, che, come reso palese
dall'art. 479 c.p.c., solo atto prodromico rispetto alla esecuzione, ed, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., pu essere
impugnato con l'opposizione alla esecuzione, prima che questa sia iniziata, solo per contestare il diritto
dell'istante di procedere alla esecuzione per l'inesistenza o invalidit del titolo esecutivo o la successiva modifica
o estinzione del diritto. Ne consegue che, ove non sia stata corrisposta l'indennit di avviamento, il conduttore
pu proporre opposizione alla esecuzione solo dopo che questa sia iniziata, e non prima, contro il precetto, che,
anche se intimato anteriormente a detta corresponsione, pienamente legittimo.
* Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1999, n. 9293, INA S.p.A. c. De Leo ed altra.
Affinch sorga a favore del conduttore il diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, ai sensi
degli artt. 34 e 35 della legge 27 luglio 1978, n. 392, l'utilizzazione dell'immobile, nello svolgimento di attivit
commerciali che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, deve essere primaria e
non marginale, tale cio da caratterizzare l'immobile, perch solo in questo modo essa oltre ad essere
obiettivamente palesata, s da far assurgere l'immobile a punto di richiamo per la clientela, idonea a realizzare
quel fattore di avviamento commerciale ritenuto meritevole di tutela. Ne deriva che la indennit non spetta nel
caso in cui l'immobile locato sia destinato a deposito e solo occasionalmente ad esso acceda il pubblico dei
consumatori, senza che rilevi il vincolo di accessoriet funzionale eventualmente attuato dal conduttore tra il
detto immobile ed altro.* Cass. civ., sez. III, 10 luglio 1997, n. 6269, Cora Srl c. Zuccarelli.
Con riguardo alla cessazione, per diniego di rinnovazione, di locazioni non abitative, il diritto del conduttore a
percepire l'ulteriore indennit per perdita di avviamento commerciale - prevista dall'art. 34, comma 2, L. n. 392
del 1978, qualora l'immobile venga destinato all'esercizio della medesima attivit o di attivit affini a quella
esercitata dal conduttore uscente e ove il nuovo esercizio venga iniziato entro un anno dalla cessazione del
precedente - collegato all'effettivo esercizio dell'attivit, non gi all'intenzione manifestata dal locatore in
occasione del diniego di rinnovazione del contratto (art. 29 legge cit.); con la conseguenza che l'indicato diritto
sorge solo quando venga accertato che il nuovo esercizio coincida (o sia affine) a quello esercitato dal
precedente conduttore.* Cass. civ., sez. III, 18 aprile 1995, n. 4326, Trillo c. Di Blasio.
In tema di indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, il diritto all'ulteriore indennit preveduto dal
comma secondo dell'art. 34 della L. 27 luglio 1978, n. 392 presuppone, quando l'esercizio non venga adibito alla
stessa attivit gi svolta dal conduttore, che la nuova attivit, oltre ad essere inclusa nella medesima tabella
merceologica della precedente, sia ad essa affine e la valutazione di tale requisito, costituendo un giudizio di
merito, non sindacabile nel giudizio di legittimit se congruamente motivata. * Cass. civ., sez. III, 20 ottobre
1989, n. 4225, Gargiulo c. Pica.
Il diritto del conduttore di un immobile non abitativo all'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale
sorge, nel concorso dei requisiti di legge, quando cessa de iure il rapporto locativo (nella specie, data per la
quale era stata intimata e convalidata la licenza) con la conseguenza che per il riconoscimento di tale diritto

deve aversi riguardo all'attivit esercitata dal conduttore in tale momento.* Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1995, n.
6548, Costabile c. Palumbo.
Il conduttore al quale sia stato comunicato dal locatore preavviso della volont di recesso dal contratto di
locazione per uso non abitativo (nella specie, soggetto a regime transitorio) per le esigenze di ristrutturazione
dell'immobile indicate dall'art. 29 lett. d) della legge sull'equo canone, in relazione alle quali risulti rilasciata la
licenza o concessione solo in data successiva a quella della predetta comunicazione, ha diritto alla indennit per
la perdita dell'avviamento commerciale nell'ammontare determinato con riferimento alla data della licenza o
concessione, dato che solo da quel momento si sono realizzate le condizioni del recesso.
* Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 1991, n. 10761, Di Pino c. Luciani.
L'art. 9 della L. 21 febbraio 1989, n. 61, che, integrando l'art. 34 della legge sull'equo canone, consente
l'esecuzione del provvedimento di rilascio di immobile locato per uso non abitativo anche se sia ancora
pendente il giudizio relativo alla spettanza ed alla determinazione dell'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale quando il locatore abbia corrisposto, salvo conguaglio, l'importo indicato dal conduttore o, in difetto,
da lui offerto o comunque risultante dalla sentenza di primo grado, deve ritenersi applicabile anche alle locazioni
in regime transitorio regolate dall'art. 69 della citata legge sull'equo canone, per le quali prevista la medesima
procedura esecutiva di rilascio, in relazione alla quale, operando il pagamento dell'indennit di avviamento come
condizione di procedibilit dell'azione esecutiva, ricorre l'esigenza, comune alle locazioni in regime ordinario ed
a quelle in regime transitorio, di impedire che il giudizio di determinazione dell'indennit di avviamento possa
essere strumentalmente utilizzato per ritardare l'esecuzione del provvedimento di rilascio.
* Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1992, n. 11415, Dello Iacono c. Simoncini.
Nel giudizio di risoluzione del rapporto di locazione di un immobile ad uso non abitativo, le obbligazioni di
pagamento delle indennit per la perdita dell'avviamento commerciale e quella di rilascio dell'immobile sono fra
loro in rapporto di reciproca dipendenza in quanto ciascuna prestazione inesigibile in difetto di contemporaneo
adempimento dell'altra, con la conseguenza che la legge, subordinando il rilascio dell'immobile al pagamento
dell'indennit, specularmente condiziona il pagamento dell'indennit al rilascio e instaura cos tra le due
obbligazioni una interdipendenza che costituisce fondamento per un'eccezione di inadempimento ai sensi
dell'art. 1460 c.c. o per un'eccezione alla stessa assimilabile.
* Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2001, n. 580, Codic c. Castaldo, in Arch. loc. e cond. 2001, 285.
Perch sorga il diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento prevista dall'art. 34 della legge 27 luglio 1978,
n. 392 occorre che vi sia il rilascio dell'immobile locato, il quale il fatto causativo della perdita dell'avviamento.
Se alla cessazione del rapporto locatizio non si accompagna il rilascio del locale e quindi l'attivit economica ivi
svolta continua ad esservi esercitata, non vi pu essere perdita di avviamento e quindi pregiudizio economico da
compensare, sia pure con quel particolare meccanismo automatico introdotto dalla legge n. 392 del 1978. (La
Corte ha affermato il principio in un caso in cui la cessazione del rapporto di locazione conseguiva all'acquisto in
propriet da parte del conduttore dell'immobile, a seguito della prelazione).
* Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2001, n. 339, Maogima Sas c. Kuwait Petroleum Italia Spa.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, qualora la data di rilascio ricada nella
sospensione dell'esecuzione prevista dall'art. 7 D.L. n. 551 del 1988, conv. nella L. n. 61 del 1989, il conduttore
tenuto, per tutto il periodo di operativit della predetta sospensione, a corrispondere al locatore l'indennit di
occupazione, nella misura prevista dal comma 2 del citato art. 7, a nulla rilevando che non gli sia ancora stata
corrisposta, n offerta, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, spettantegli a norma dell'art 34, L.
n. 392 del 1978, in quanto, nell'indicato periodo di sospensione, il provvedimento di rilascio non eseguibile per
cause diverse e indipendenti dalla mancata corresponsione dell'indennit per perdita di avviamento, con la
conseguenza che, durante il periodo medesimo non pu ritenersi gravante sul locatore l'onere di corrispondere
la stessa.
* Cass. civ., sez. III, 30 marzo 1995, n. 3813, Di Mauro c. Oberti.
In tema di locazione di immobile urbano ad uso diverso dall'abitazione, il rilascio dell'immobile da parte del
conduttore a seguito di diniego di rinnovo alla prima scadenza a norma dell'art. 29 della legge 27 luglio 1978, n.
392, non comporta a carico di questi il venir meno del diritto all'indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale, nella ricorrenza degli altri presupposti della stessa, ancorch la disdetta intimata dal locatore
debba considerarsi nulla e priva di effetti (per mancanza, nella specie, di uno specifico motivo di diniego,
essendo state richiamate in essa tutte le ipotesi di utilizzazione dell'immobile elencate nel citato art. 29) giacch
in tale ipotesi il rilascio non pu essere ricondotto al mutuo consenso del locatore e del conduttore in ordine alla
cessazione della locazione, costituendo la disdetta, ancorch nulla, estrinsecazione di una unilaterale iniziativa
dello stesso locatore, cui soltanto imputabile la conclusione del rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1997, n. 1230, Pirani c. Immobiliare Giove Sas.
In tema di locazione di immobili ad uso non abitativo, il diritto del conduttore all'indennit per la perdita
dell'avviamento commerciale consegue direttamente al fatto che il rapporto sia cessato per volont del locatore,
restando irrilevante la circostanza che la concreta utilizzazione dell'immobile locato sia venuta meno con largo
anticipo rispetto alla riconsegna dello stesso. (Nel caso di specie, pur essendo la risoluzione del contratto
formalmente dipesa dalla disdetta del conduttore, la facolt di recesso anticipato era tuttavia convenzionalmente
attribuita, stante la volont manifestata dal locatore in una transazione di non continuare la locazione oltre una
certa scadenza).
* Pret. civ. Perugia, sez. dist. Foligno, 14 dicembre 1998, n. 59, Tabarrini ed altra c. Brunori.
La nuova attivit intrapresa nell'immobile va considerata affine a quella esercitatavi dal conduttore uscente ogni
qualvolta essa si avvantaggia comunque dell'avviamento prodotto da quest'ultimo, ancorch soltanto in parte;
quando sfrutta, cio, la potenzialit economica sviluppata dall'esercizio precedente intesa come attitudine a
produrre con il suo funzionamento un profitto maggiore di quello che il gestore potrebbe ricavare dai singoli beni

che lo compongono, tenuto conto anche della acquisita capacit di attirare clienti. * Pret. civ. Ravenna, 18
giugno 1982, n. 259, Sabbioni c. Ricci Maccarini e altro.
L'indennit per la perdita dell'avviamento, di cui agli artt. 34 e 69 legge n. 392/1978, spetta al conduttore, in
presenza degli altri requisiti richiesti, quando costui sia indotto a rilasciare l'immobile su iniziativa del locatore,
anche se non sia stato emesso nei suoi confronti un provvedimento giudiziale di condanna al rilascio. (Nella
specie, stato riconosciuto il diritto al conduttore che, ricevuta dal locatore la disdetta del contratto e convenuto
in giudizio per la convalida dell'intimazione di sfratto, aveva poi rilasciato l'immobile volontariamente nelle more
del processo).* Pret. civ. Milano, 9 maggio 1985, Communication Service Srl c. Betti.
Tenuto conto della ratio delle disposizioni degli artt. 34 e 69 L. n. 392/1978 che prevedono il diritto del
conduttore di immobile non abitativo alla corresponsione di una indennit per la perdita dell'avviamento
commerciale in caso di cessazione del rapporto di locazione, il predetto diritto va riconosciuto soltanto a chi
contemporaneamente titolare del rapporto di locazione - conduzione da cui il diritto stesso trae origine e
dell'attivit esecutiva esercitata nell'immobile oggetto della locazione. Pertanto, qualora l'attivit di impresa
nell'immobile locato sia esercitata da un soggetto diverso dal conduttore (nella specie, da una societ di capitali
costituita dal conduttore stesso, non succedutagli per nella conduzione dell'immobile), il diritto all'indennit di
avviamento non spetta n al primo di tali soggetti, perch privo della qualit di conduttore nel rapporto di
locazione cessato, n al secondo, perch non esercente nell'immobile l'attivit eventualmente tutelata attraverso
l'indennit in questione.
* Pret. civ. Milano, 11 novembre 1987, n. 3371, Pastori c. Vima Spa.
s) Procedimento cautelare
Poich la legge 392/1978 consente al giudice di emettere provvedimenti urgenti in corso di causa ma non
appresta alcun strumento diretto a consentire l'esecuzione di un'ordinanza di rilascio, pu adottarsi il rimedio
rituale previsto nell'art. 700 c.p.c. ai fini della determinazione dell'indennit dovuta al conduttore e quindi
dell'esecuzione del provvedimento di rilascio.
* Pret. civ. Roma, ord. 29 dicembre 1980, Pollini c. Pagnotta.
t) Recesso anticipato
Nel caso in cui il locatore abbia, ai sensi dell'art. 69 della legge sull'equo canone (ovvero ai sensi dell'art. 34 per
il regime non transitorio), comunicato al conduttore la propria intenzione di non procedere al rinnovo della
locazione alla scadenza, il rilascio anticipato da parte del conduttore non pu essere considerato come un
recesso anticipato dal contratto con conseguente perdita del diritto alla indennit per l'avviamento commerciale,
poich quest'ultima compete al conduttore per il solo fatto che il locatore abbia assunto l'iniziativa di non
proseguire la locazione, stante l'esigenza del conduttore di reperire comunque una sistemazione alternativa,
collegata a situazioni che non necessariamente coincidano con il termine finale del rapporto locativo.
* Cass. civ., sez. III, 6 marzo 1998, n. 2485, Di Benedetto ed altro c. Romeo.
u) Rinuncia
La rinunzia del conduttore all'indennit di avviamento commerciale non nulla ai sensi dell'art. 79 della L. 27
luglio 1978 n. 392 quando il vantaggio che il locatore ne ricava compensato dal danno che subisce per effetto
della contestuale pattuizione di una proroga della locazione in favore del conduttore alla quale quest'ultimo non
avrebbe diritto.
* Cass. civ., sez. III, 19 marzo 1991, n. 2945, Riglione c. Consoli.
La rinuncia da parte del conduttore all'indennit di avviamento contenuta in una transazione valida, non
rientrando nella previsione di cui all'art. 79 della legge n. 392/1978, n ad alcunch rileva che essa non sia stata
raggiunta avanti al giudice.
* Corte App. civ. Brescia, 8 gennaio 1986, Vailati c. Dasti.
v) Risarcimento del danno
Nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attivit commerciali, disciplinate dagli artt. 27 e 34 della L. 27 luglio
1978, n. 392 e, in regime transitorio, dagli artt. 69, 71 e 73 della stessa legge, scaduto il contratto, il conduttore
che rifiuta la restituzione dell'immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell'indennit per
l'avviamento a lui dovuta, obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto, ma solo di questo. * Cass. civ.,
Sezioni Unite, 15 novembre 2000, n. 1177, Pascucci c. Zanobbi ed altri, in Arch. loc. e cond. 2001, 70.
w) Sublocazione
Nell'ipotesi di sublocazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione, alla cessazione
della locazione e, quindi, della sublocazione, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale prevista dagli
artt. 34 e 69 della legge n. 392 del 1978, a differenza della prelazione regolata dall'art. 38 della legge medesima,
che spetta solo al subconduttore, compete nei confronti del locatore al conduttore e non al subconduttore. *
Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 1994, n. 692, Ranieri c. Immobiliare Otto Srl.
Nell'ipotesi di sublocazione di immobile urbano ad uso non abitativo, alla cessazione della locazione e, quindi,
della sublocazione, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale prevista dagli artt. 34 e 69 legge 27
luglio 1978 n. 392, compete al conduttore sublocatore nei confronti del locatore ed al subconduttore nei confronti
del sublocatore.
* Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1997, n. 9677, Vata ed altri c. Vivese.
Nell'ipotesi di sublocazione di immobile urbano adibito ad uso non abitativo, alla cessazione della locazione e
quindi della sublocazione l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale prevista dagli artt. 34 e 69 della
legge sull'equo canone, compete al conduttore-sublocatore nei confronti del locatore e al subconduttore nei
confronti del sublocatore medesimo.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6935, Tiberino Srl c. Tomal Srl.
Nell'ipotesi di cessazione del rapporto locatizio concernente immobile adibito ad uso diverso da quello di
abitazione, con riguardo alle finalit perseguite con la previsione dell'indennit di avviamento, che sono quella di

ristorare il conduttore del subito pregiudizio (anche se stabilito presuntivamente dal legislatore secondo l'id quod
plerumque accidit) e quella di porre un deterrente per evitare la cessazione dei rapporti locatizi concernenti le
imprese, l'indennit medesima compete esclusivamente a colui che gode l'immobile nel momento in cui cessa la
locazione. Conseguentemente il conduttore che abbia sublocato l'immobile ad un terzo, il quale vi svolga una
delle attivit indicate nei nn. 1 e 2 dell'art. 27 della legge n. 392 del 1978, non pu pretendere dal proprio
locatore, a titolo personale e diretto, l'indennit prevista dall'art. 34 della richiamata legge, che spetta
esclusivamente al subconduttore. * Cass. civ., sez. III, 14 aprile 1986, n. 2617, Salvatore c. Soc. Singer.
Qualora il subconduttore di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione richieda l'indennit
per la perdita dell'avviamento commerciale - alternativamente o cumulativamente - sia al locatore che al
sublocatore, si determina non una situazione di causa inscindibile con pluralit di parti in veste di litisconsorti
necessari, bens di litisconsorzio passivo facoltativo. Conseguentemente, qualora la domanda venga accolta nei
confronti di uno solo dei convenuti - restando l'altro assolto - si verifica una implicita separazione delle cause
originariamente connesse e, ove sia impugnata una sola delle statuizioni, il giudice dell'appello non tenuto a
disporre la integrazione del contraddittorio ai sensi dell'art. 331 c.p.c. nei confronti della parte destinataria della
decisione non impugnata. * Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 1987, n. 26, Soc. Erko c. Soc. Rimafer.
x) Tentativo obbligatorio di conciliazione
In tema di locazioni di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, la domanda di
determinazione dell'indennit di avviamento non deve essere preceduta dal tentativo obbligatorio di
conciliazione, di cui agli artt. 43 e 44 della L. n. 392/1978, richiesto soltanto per le cause relative alla
determinazione, all'aggiornamento ed all'adeguamento del canone.
* Cass. civ., sez. III, 20 agosto 1990, n. 8488, De Luca c. Arseni.
y) Vendita dell'immobile
La vendita di un immobile -una volta esauritasi la locazione e pur continuando il conduttore ad occupare la res
-non comporta la sostituzione del compratore al venditore nell'obbligo derivante dal contratto di corrispondere
l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale ormai definitivamente maturata in favore del conduttore.
* Pret. civ. Pietrasanta, 31 ottobre 1989, Pio Istituto c. Snc La Costa Marmi.
Il valore di avviamento - inteso nella sua preminente significazione di clientela - pu essere oggetto di autonomi
(rispetto alla cessione di azienda) accordi e contrattazioni nei diretti rapporti tra successivi conduttori dello
stesso immobile commerciale.
* Trib. civ. Bologna, 29 marzo 1986, Srl Caniglia di Grali c. Srl Parisotto.
INNOVAZIONI IN CONDOMINIO
SOMMARIO: a) Consenso dei condomini; b) Costituzione di un diritto reale a favore di un solo condomino; c)
Costruzione effettuata da uno dei condomini sul fondo comune; d) Decoro architettonico; e) Destinate a servire
solo una parte dell'edificio; f) Differenze tra innovazioni e modificazioni; g) Gravose o voluttuarie; h) Miglior
godimento della cosa comune; i) Nozione; l) Vietate.
a) Consenso dei condomini
Il comproprietario convenuto per l'eliminazione di un'innovazione alla cosa comune, non pu invocare il preteso
consenso dei comunisti per non avere essi reagito, fino a quel momento, alla sua iniziativa, poich tale
consenso deve emergere dalla volont della maggioranza dei partecipanti all'assemblea, positivamente
formatasi ed espressa.
* Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 1980, n. 1111, Salomone c. Colage.
In materia di innovazioni ex art. 1120 cod. civ., il consenso deve essere manifestato con atto scritto a pena di
nullit ed inammissibile al riguardo la prova testimoniale.* Trib. civ. Firenze, 20 ottobre 1988, n. 1609,
Kranjcevic Srl c. Condominio di via R. Giuliani, nn. 137-139, in Firenze.
La norma dell'art. 1120 cod. civ., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai
condomini con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione d'innovazioni che
comportino per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale. Ove non si faccia questione di spese,
torna applicabile la norma generale dell'art. 1102 cod. civ. - che contempla anche le innovazioni - secondo cui
ciascun partecipante pu servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli
altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ed, a tal fine, pu apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 7 marzo 1980, n. 368, Bonello e Moraschini c. Corvi e Corvi ed altri.
Le innovazioni di cui all'art. 1120, primo comma, c.c. (nella specie, consistenti nella collocazione di una porta
sulla scala condominiale e nel blocco con chiave della pulsantiera dell'ascensore), realizzate
dall'amministrazione del condominio in assenza di preventiva delibera assembleare, in quanto idonee a turbare il
pacifico godimento e l'utilizzazione del singolo condominio su alcune parti comuni dell'edificio, rendono
ammissibile l'azione di manutenzione a tutela del (comunione dei diritti reali) possesso (delle menzionate parti
comuni) proposta da quest'ultimo. Peraltro, l'adozione, nel corso del giudizio possessorio, di una delibera
condominiale che ratifichi, con la maggioranza qualificata prevista dall'art. 1136, quinto comma, c.c. le spese
relative alle eseguite innovazioni e sostanzialmente autorizzi le innovazioni medesime, legittima, sia pure
tardivamente, sotto il profilo dell'esercizio del possesso, la condotta posta in essere dall'amministratore suddetto,
facendo venir meno i connotati della molestia e turbativa in essa (condotta) originariamente ravvisibili, con
conseguente rigetto nel merito della domanda di manutenzione come sopra proposta.* Pret. civ. Busto Arsizio, 6
febbraio 1990.
b) Costituzione di un diritto reale a favore di un solo condomino
Una innovazione sulla cosa comune vietata a norma dell'art. 1120 cod. civ., in quanto comportante l'inservibilit,
per gli altri condomini, della cosa comune la costituzione sulla stessa di un diritto reale a favore di un solo

condomino, e per essere legittima deve essere consentita, a pena di nullit, con atto scritto, da tutti gli altri
condomini, pertanto, inammissibile la prova testimoniale diretta a provare l'esistenza di tale consenso.* Cass.
civ., sez. II, 4 luglio 1981, n. 4364, Vena c. Barbieri.
c) Costruzione effettuata da uno dei condomini sul fondo comune
La disciplina dell'accessione, riferendosi all'ipotesi della costruzione effettuata dal terzo, con materiali propri, sul
fondo altrui, non applicabile alla diversa ipotesi della costruzione effettuata da uno dei condomini sul fondo
comune perch i comunisti non possono essere considerati terzi fra di loro. Pertanto tale ultima ipotesi trova la
sua esclusiva disciplina nella norma dell'art. 1120 c.c., relativa alle innovazioni apportate dai condomini sulle
cose comuni.* Cass. civ., sez. II, 5 agosto 1977, n. 3565.
d) Decoro architettonico
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 cod. civ. deve intendersi
l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed
imprimono alle varie parti dell'edificio, nonch all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata armonica
fisionomia, senza che occorra che si tratti di edificio di particolare pregio artistico. L'indagine volta a stabilire se,
in concreto, un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico demandata al giudice del
merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimit, se congruamente motivato.* Cass. civ., sez. II, 7
marzo 1988, n. 2313, Petrucci c. Cond. Via A. Mis.
Per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica
data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed imprimono alle
varie parti dell'edificio, nonch all'edificio stesso nel suo insieme, una sua determinata, armonica fisionomia
senza che occorra che si tratti di un edificio di particolare pregio artistico.* Cass. civ., sez. II, 7 dicembre 1994, n.
10507, Tosches c. Cond. Corso Mazzini.
Al fine di stabilire se le opere modificatrici della cosa comune abbiano pregiudicato il decoro architettonico di un
fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui quest'ultimo si trovava prima
dell'esecuzione delle opere stesse, con la conseguenza che una modifica non pu essere ritenuta
pregiudizievole per il decoro architettonico se apportata ad un edificio la cui estetica era stata gi menomata a
seguito di precedenti lavori ovvero che sia di mediocre livello architettonico.
* Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1989, n. 3549, Gentina c. Romerio.
La disposizione dell'art. 1120 cod. civ., nella parte in cui vieta le innovazioni che possono recare pregiudizio al
decoro architettonico del fabbricato o che rendono talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso od al
godimento anche di un solo condomino, si limita a tutelare l'edificio in s ed il modo di usare e di godere della
cosa comune; consegue che ove l'opera compiuta da un condomino o dal condominio sulla cosa comune rechi
danno o pregiudizio alla propriet esclusiva di un singolo condomino, trattandosi di rapporto relativi a due
immobili finitimi, trovano applicazione la disciplina dei rapporti di vicinato.
* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1989, n. 2548, Napolitano c. Co. V. S. Gior. To.
Il divieto di innovazioni che alterino il decoro estetico ed architettonico di un edificio riguarda, ai sensi dell'art.
1120 cod. civ., i rapporti tra condomini e presuppone quindi l'esistenza di un edificio in condominio, con la
conseguenza che le innovazioni apportate da taluno ad un edificio di sua propriet non attribuiscono al vicino,
proprietario di un adiacente edificio, il diritto al risarcimento del danno per assunto pregiudizio estetico all'intero
complesso immobiliare unitariamente considerato.
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1954, Bramini c. Gaidella.
Poich le norme del regolamento di condominio di natura negoziale possono derogare o comunque integrare la
disciplina legale, deve ritenersi che qualora una norma del regolamento di condominio vieti le innovazioni che
modifichino l'architettura, l'estetica o la simmetria del fabbricato, essa non solo contribuisce a definire la nozione
di decoro architettonico formulata dall'art. 1120 cod. civ., ma recepisce anche un autonomo valore (dandone una
definizione pi rigorosa), nel senso che il decoro architettonico del fabbricato condominiale in questione
qualificato da elementi attinenti alla simmetria, estetica ed architettura generale impressi dal costruttore o
comunque esistenti al momento dell'esecuzione della innovazione, sicch l'alterazione di esso (decoro)
ravvisabile, con conseguente operativit del divieto di cui all'art. 1120 cod. civ., alla menomazione anche di un
solo dei predetti elementi. (Nella specie la Suprema Corte ha corretto la motivazione della decisione impugnata
nel senso che la norma del regolamento condominiale, nel definire la nozione di decoro architettonico, recepiva
un autonomo valore, confermando la decisione stessa poich i giudici del merito avevano accertato, con esatti
criteri che nel caso concreto la trasformazione di una finestra sul cortile in porta-finestra non aveva pregiudicato
alcuno degli elementi di simmetria, architettura ed estetica considerati dall'art. 11 del regolamento
condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1987, n. 8861, Di Lello c. Cucciani.
L'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 c.c., postula un
mutamento estetico implicante un pregiudizio economicamente valutabile; tuttavia quando la modifica non sia
del tutto trascurabile e non abbia arrecato anche un vantaggio, deve sempre ritenersi insito nel pregiudizio
estetico quello economico, senza necessit di una espressa motivazione sotto tale profilo tutte le volte in cui non
sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica ha anche arrecato un vantaggio economicamente
valutabile.
* Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1997, n. 9717, Valentini c. Cond. Via Citt del Castello n. 27 Roma.
L'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 c.c., postula un
mutamento estetico implicante un pregiudizio economicamente valutabile; tuttavia quando la modifica non sia
del tutto trascurabile e non abbia arrecato anche un vantaggio, deve sempre ritenersi insito nel pregiudizio
estetico quello economico, senza necessit di una espressa motivazione sotto tale profilo tutte le volte in cui non
sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica ha anche arrecato un vantaggio economicamente

valutabile.
* Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1997, n. 9717, Valentini c. Cond. Via Citt del Castello n. 27 Roma.
Il decoro architettonico, che, espressamente richiamato dall'art. 1120 cod. civ., va valutato con riferimento alla
linea estetica dell'edificio indipendentemente dal suo particolare pregio artistico, un bene al quale sono
direttamente interessati tutti i condomini ed suscettibile anche di valutazione economica, in quanto concorre a
determinare il valore sia della propriet individuale, sia di quella collettiva delle parti comuni.* Cass. civ., sez. II,
31 luglio 1987, n. 6640, Bardi c. Bond. Fr. Pretol.
La tutela del decoro architettonico stata apprestata dal legislatore in considerazione della diminuzione del
valore che la sua alterazione arreca all'intero edificio e, quindi, anche alle singole unit immobiliari che lo
compongono. Pertanto, il giudice del merito, per stabilire se in concreto vi sia stata lesione di tale decoro, oltre
ad accertare se esso risulti leso o turbato, deve anche valutare se tale lesione o turbativa determini o meno un
deprezzamento dell'intero fabbricato, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un pregiudizio
economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a un'utilit la quale compensi l'alterazione
architettonica che non sia di grave e appariscente entit.
* Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1987, n. 4474, De Rienzo c. Cond. Is. Cep. FO.
Ciascun partecipante al condominio di edifici pu agire in giudizio per la tutela del decoro architettonico della
propriet comune, ma se la controparte eccepisce di aver apportato modifiche o innovazioni sulla propriet
esclusiva, necessario integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini perch oggetto di controversia
l'accertamento della natura condominiale o meno, in base ai rispettivi titoli di acquisto, delle parti di edificio
alterate.* Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1998, n. 3238, Di Agostino e altra c. Scarozza.
L'azione del condomino a tutela del decoro architettonico dell'edificio in condominio, estrinsecazione di facolt
insita nel diritto di propriet, imprescrittibile, in applicazione del principio per cui in facultatis non datur
praescriptio. L'imprescrittibilit, tuttavia, pu essere superata dalla prova della usucapione del diritto a
mantenere la situazione lesiva (Nella specie stata confermata la pronuncia di merito con la quale era stata
accolta la domanda riconvenzionale di un condomino di riduzione in pristino del sottostante terrazzo a livello
trasformato in veranda).* Cass. pen., sez. II, 7 giugno 2000, n. 7727, Marotti Bartoli c. Cao di San Marco Efisio.
Il regolamento di condominio, quale che ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche
quando non abbia natura contrattuale, a mente dell'art. 1138, comma primo, c.c., pu ben contenere norme
intese a tutelare il decoro architettonico dell'edificio condominiale che, a tale fine, siano suscettibili di incidere
anche sulla sfera del dominio personale esclusivo dei singoli partecipanti, nei limiti in cui ci si riveli necessario
in funzione della salvaguardia del bene comune protetto. Pi in particolare, pu ad esempio vietare quegli
interventi modificatori delle porzioni di propriet individuale che, riflettendosi su strutture comuni, siano passibili
di comportare pregiudizio per il decoro anzidetto. (Nella fattispecie controvertevasi in ordine ad un tipo di
serramenti installati, da un condomino, in sostituzione di quelli originari, alle finestre della sua unit immobiliare
aperte sulla facciata del fabbricato condominiale).* Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1998, n. 8731, Fossa c.
Condominio Via Madonna 4 Rho.
Il proprietario di un immobile non pu invocare la norma stabilita dall'art. 1120 c.c. per pretendere che il
proprietario di quello antistante ne curi l'estetica intonacandolo adeguatamente all'esterno, perch tale norma
disciplina i rapporti condominiali sui beni comuni, non esclusivamente altrui, mentre gli interessi al rispetto
dell'ornato pubblico e dell'aspetto dei fabbricati possono trovare tutela nei regolamenti edilizi comunali (artt. 871
c.c. e 33 L. 17 agosto 1942 n. 1150) - la cui esistenza e contenuto va provata da chi l'invoca - che, se violati,
non obbligano ad un facere, ma al risarcimento del danno (art. 872 c.c.).
* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1998, n. 1873, Abbondanza ed altri c. Caldarini, in Arch. loc. e cond. 1998, 558.
Un regolamento di condominio cosiddetto contrattuale ove abbia ad oggetto la conservazione dell'originaria
facies architettonica dell'edificio condominiale, comprimendo il diritto di propriet dei singoli condomini mediante
il divieto di qualsiasi opera modificatrice, persino migliorativa, appresta in tal modo una tutela pattizia ben pi
intensa e rigorosa di quella apprestata al mero decoro architettonico dagli artt. 1120, secondo comma, 1127,
terzo comma, e 1138, primo comma, cod. civ., con la conseguenza che in presenza di opere esterne la loro
realizzazione integra di per s una vietata modificazione dell'originario assetto architettonico dell'edificio.* Cass.
civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7398, Cond. Per. Tig. c. Leale Rita.
L'alterazione del decoro dell'edificio condominiale (che in s non bene comune ma al regime legale dei beni
comuni assoggettato) ben pu derivare dall'alterazione dell'originario aspetto di singoli elementi o di singole
parti dell'edificio stesso che abbiano sostanziale o formale autonomia o siano comunque suscettibili per s di
autonoma considerazione, senza che possa rilevare la circostanza che analogo manufatto sia stato da altri
realizzato su di un diverso fronte dello stesso edificio.
* Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1986, n. 175, Vilella c. Centauni.
Alle modificazioni consentite al singolo ex art. 1102, primo comma, c.c. le quali tecnicamente si contrassegnano
perch non alterano la destinazione delle cose comuni, si applica altres il divieto di alterare il decoro
architettonico del fabbricato, statuito espressamente dall'art. 1120, secondo comma, c.c., in tema di innovazioni.
* Cass. civ. 29 marzo 1994, n. 3084.
Nel caso di esecuzione nei locali di propriet individuale di opere e lavori lesivi del decoro dell'edificio
condominiale o di parte di esso, ciascun condomino ha diritto di chiedere ed ottenere, in via di adempimento in
forma specifica dell'obbligo di non fare (art. 2923 cod. civ.), la demolizione delle opere illegittimamente eseguite,
esulando dai poteri istituzionali dell'assemblea dei condomini - non potendo attribuirla il regolamento
condominiale - la facolt di deliberare o consentire opere lesive del decoro dell'edificio condominiale (a norma
dell`art. 1138, in relazione agli artt. 1120 e 1122 cod. civ.).
* Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1986, n. 175, Vilella c. Centauni.
Se vero che l'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 cod. civ.,

richiede un mutamento estetico implicante un pregiudizio economicamente valutabile, tuttavia, nell'ipotesi di


modifica obiettivamente rilevante, deve ritenersi insito nel pregiudizio estetico quello economico, con la
conseguente insussistenza dell'obbligo del giudice di un'espressa motivazione sotto tale ultimo profilo. (Nella
specie, in cui si trattava della trasformazione in porte di tre finestre di un appartamento condominiale, il S.C.,
enunciando il principio che precede, ha considerato congrua la decisione dei giudici del merito che avevano
reputato tale trasformazione lesiva del decoro architettonico dello stabile alla stregua della consistenza della
medesima e della sua notevole incidenza negativa sulla simmetria dell'immobile).
* Cass. civ., sez. II, 4 aprile 1981, n. 1918, Nifosi V. c. Rizza L.
I vincoli per la tutela delle bellezze naturali ed artistiche, gravanti sul proprietario di un immobile in edificio
condominiale, incidono, in ordine alle opere che comportino modifica della situazione preesistente, solo nei
rapporti fra il proprietario esecutore delle opere stesse e la pubblica autorit investita della tutela, ma non
possono interferire negativamente sulle posizioni soggettive attribuite agli altri condomini dall'art. 1120, secondo
comma, c.c. per la preservazione del decoro architettonico dell'edificio; da ci consegue che, al fine di accertare
la legittimit o meno, ai sensi del citato art. 1120, secondo comma, c.c., della innovazione eseguita dal
proprietario di un piano o di una porzione di piano, in corrispondenza della sua propriet esclusiva, irrilevante
che l'autorit preposta all'indicata tutela abbia autorizzato l'opera medesima.* Cass. civ., Sezioni Unite, 28
giugno 1975, n. 2552.
I vincoli relativi alla tutela delle bellezze naturali ed artistiche che gravano sul proprietario di un immobile in
edificio condominiale incidono, in ordine alle opere che comportino modifica della situazione preesistente, solo
nei rapporti tra l'esecutore delle stesse e la pubblica autorit investita della tutela ma non possono interferire
negativamente sulle posizioni soggettive attribuite agli altri condomini dall'art. 1120 c.c. per la preservazione del
decoro architettonico.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 30 luglio 1993, n. 2063, Rosolino c. Cond. di via Orsini n. 42 di Napoli.
Il giudice deve accertare non soltanto se l'edificio abbia ed in che misura un decoro architettonico e se esso
risulti concretamente turbato o leso dall'opera che il condomino intende compiere o ha gi compiuto, ma anche
se tale turbamento o lesione importi un deprezzamento dell'intero edificio. L'indagine volta a stabilire se, in
concreto, un'innovazione determini o meno alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio
demandata al potere discrezionale del giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimit,
ove sia congruamente motivato.
* Cass. civ., sez. II, 24 febbraio 1975, n. 706.
La norma dell'art. 1120 c.c., nella parte in cui vieta le innovazioni che possono recare pregiudizio al decoro
architettonico dell'edificio in condominio, si limita a tutelare l'edificio in s, mentre il rapporto dell'edificio con
l'ambiente regolato da legislazione speciale.* Cass. civ., 9 aprile 1975, n. 1304.
L'accertamento del giudice del merito che la costruzione, da parte di un condomino, di due balconi sulla facciata
di un edificio ottocentesco altera il decoro architettonico dell'edificio stesso e limita la luce nell'appartamento
sottostante di altro condomino, e perci deve ritenersi vietata ai sensi dell'art. 1120, secondo comma, c.c.,
incensurabile in Cassazione; n rileva la circostanza che la costruzione sia autorizzata dal sindaco e dalla
soprintendenza ai monumenti, giacch le autorizzazioni amministrative debbono intendersi date con salvezza
dei diritti dei terzi.
* Cass. civ., sez. II, 14 maggio 1977, n. 1936.
Nel caso in cui l'innovazione realizzata dal singolo condomino risulta in contrasto con le norme del regolamento
edilizio comunale espressamente richiamate dal regolamento di condominio a tutela dell'estetica e del decoro
architettonico dell'edificio, nessun'altra indagine deve compiere il giudice per verificare l'illegittimit di tale opera
sotto il profilo dell'alterazione dell'estetica e del decoro stessi, trattandosi di aspetto non suscettibile di essere
valutato discrezionalmente con risultati eventualmente non coincidenti con quelli pattiziamente voluti dai
condomini.* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1978, n. 839.
Il decoro architettonico dell'edificio condominiale pu essere tutelato a norma dell'art. 1120 cod. civ., su istanza
del singolo condomino, che , quindi, a tal fine legittimato ad agire anche nell'inerzia e contro il deliberato degli
organi del condominio. Tale decoro deve essere valutato con riferimento alla linea estetica dell'edificio,
indipendentemente dal suo particolare pregio artistico, avendo riguardo alla particolare fisionomia di ogni singola
costruzione, e senza alcun riferimento all'ambiente nel quale si trova.
* Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 1979, n. 6397, Mugnetti c. Cavaliere.
Alle modificazioni consentite al singolo ex art. 1102, primo comma, c.c. le quali tecnicamente si contrassegnano
perch non alterano la destinazione delle cose comuni, si applica altres il divieto di alterare il decoro
architettonico del fabbricato, statuito espressamente dall'art. 1120, secondo comma, c.c., in tema di
innovazioni.* Cass. civ., sez. II, 29 marzo 1994, n. 3084, Pontecorvo c. Ligori.
La disposizione del capoverso dell'art. 1120 cod. civ., che vieta anche l'esecuzione di opere, nell'edificio
condominiale, che ne alterino il decoro architettonico, in quanto diretta a tutelare la linea armonica di uno stabile,
deve trovare applicazione non solo quando si tratti di edifici di particolare pregio artistico, ma anche quando si
tratti di edifici aventi una propria fisionomia che venga a risultare turbata, nell'armonia delle linee, dalla nuova
opera.* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1980, n. 832, Dentis c. Soc. Hotel Genov.
La valutazione delle innovazioni, al fine della salvaguardia del decoro architettonico, meno rigorosa per un
edificio di architettura moderna, rispetto a quella necessaria per un immobile antico o d'epoca.* Trib. civ. Milano,
sez. VIII, 8 maggio 1989, Lilloni ed altra c. Gallarini ed altri.
Le modificazioni apportate da uno dei condomini agli infissi delle finestre del proprio appartamento in assenza
della preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale prevista dal regolamento di condominio, valgono a
far qualificare presuntivamente dette opere come abusive e pregiudizievoli al decoro architettonico della facciata
dell'edificio ed a configurare l'interesse processuale del singolo condomino che agisca in giudizio a tutela della

cosa comune. N tale interesse pu ritenersi escluso per la possibilit di una postuma convalida da parte
dell'assemblea, perch l'esercizio del potere di azione non pu trovare ostacolo nella aleatoria evenienza di una
successiva convalida da parte dell'assemblea.* Cass. civ., sez. II, 9 giugno 1988, n. 3927, Romano e altro c.
Degli Esposti.
L'esecuzione nell'edificio in condominio di opere che, pur incidendo su beni di propriet esclusiva, mettano in
pericolo interessi comuni tutelati dalla legge, quale quello connesso al decoro dell'edificio, che costituisce un
particolare aspetto del godimento dei beni e servizi comuni, legittimamente disciplinata non solo direttamente
dal regolamento condominiale ma anche fissata su delega di questo, dall'assemblea condominiale, tra i cui
compiti compresa la disciplina della conservazione e manutenzione delle cose comuni. Consegue che
l'eventuale impugnativa, da parte del condomino che contesti la valutazione dell'assemblea che abbia ritenuto la
contrariet al decoro dell'edificio di una data opera (nella specie: apposizione dei doppi vetri nelle aperture degli
appartamenti) e l'abbia vietata, va proposta nei termini stabiliti dall'art. 1137 cod. civ., senza che rilevi che
all'epoca della delibera il condomino non fosse ancora tale, poich gli eventi causa dagli originari condomini
restano vincolati dalle delibere assembleari legittimamente prese a suo tempo in ordine agli interessi comuni del
condominio.
* Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1982, n. 4542, c. Condominio <174>Edoardo<175> di Padova.
Allorch non dedotta dal condominio la lesione del valore architettonico-storico dell'edificio, il giudice si deve
limitare ad accertare l'eventuale lesione del decoro architettonico, ai sensi dell'art. 1120 c.c., con riguardo a
qualsiasi edificio privo di particolare importanza; ne consegue che non si pu parlare di intervento peggiorativo
con riguardo ad un comprovato snaturamento delle linee originarie dello stabile. (Nella specie, accertata la
compromissione della simmetria con l'instaurarsi nel prospetto esterno di una serie disordinata di manufatti ed
infissi di natura e vizi diversi, quali persiane napoletane, ringhiere diversamente disegnate, verande, ecc., il
tribunale ha riformato la decisione del primo giudice, ritenendo legittime e non lesive del decoro del fabbricato
gi pregiudicato ed alterato le aperture a balcone del tipo "alla romana", in luogo delle precedenti
aperture-finestre, operate da un condomino).* Trib. civ. Napoli 15 settembre 1990.
La lesione del decoro architettonico pu configurarsi anche con riferimento ad un edificio che non abbia
particolare pregio artistico; non rileva a tale riguardo la precedente realizzazione, da parte di altri condomini, di
interventi abusivi.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 6 agosto 1996, n. 2033, Pacera c. Ciaramella.
Il decoro architettonico dell'edificio condominiale tutelato dall'art. 1120, secondo comma, c.c. solo in relazione
a vere e proprie innovazioni della cosa comune (anche di carattere contingente ma tali da modificarne la
destinazione), non gi anche in relazione alle modalit di utilizzazione dell'immobile di propriet esclusiva.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 25 settembre 1992, n. 1556, Napoli c. Cond. di via Mascheroni n. 25 di Limbiate.
Esclusi problemi di staticit, non sono pregiudizievoli per il decoro e l'aspetto architettonico dell'edificio
condominiale e, pertanto, non se ne pu imporre la demolizione, quei manufatti, posti in essere dai singoli
condomini sulle rispettive propriet esclusive, che non siano (o lo siano in modo inapprezzabile) visibili
dall'esterno, essendo evidentemente determinante, in fatto di estetica, il criterio della visibilit dell'opera.* Trib.
civ. Roma, 13 novembre 1990, n. 3556, in Arch. loc. e cond. 1991, 122.
In materia di disciplina legale della tutela del decoro architettonico di un edificio condominiale il giudice, per
decidere se vi stato turbamento, deve accertare: 1) l'effettivit della turbativa; 2) la diminuzione di valore che
l'alterazione del decoro arreca all'intero edificio ed alle singole unit che lo compongono; e, infine, 3) l'utilit che
si accompagna al pregiudizio (qualora non sia di per s grave e di appariscente entit). Pertanto, anche quando
l'alterazione produce un danno apprezzabile (economicamente valutabile), se ad essa si accompagni un'utilit
(non meramente soggettiva) idonea a compensarlo, non pu esservi turbamento.
* Pret. civ. Capri, 26 maggio 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 174.
In materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano
limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo al
contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva propriet, senza che rilevi che l'esercizio del diritto
individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni. Ne discende che legittimamente le
norme di un regolamento di condominio - aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario
proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini ovvero adottate in sede
assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini - possono derogare od integrare la disciplina legale ed
in particolare possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione pi rigorosa di quella accolta
dall'art. 1120 c.c., estendendo il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti
alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od
in quello della manifestazione negoziale successiva.* Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121, Hobby Market
snc di Iotti Alessandra & C. c. Castagnini.
Nel condominio degli edifici, il giudice, nel decidere dell'incidenza di un'innovazione sul decoro architettonico,
deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del
singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se esso avesse originariamente ed in quale
misura un'unitariet di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all'innovazione dedotta in
giudizio, nonch se su di essa avessero o meno inciso, menomandola, precedenti diverse modifiche operate da
altri condomini. In caso di accertato danno estetico di particolare rilevanza, il danno economico da ritenersi
insito, senza necessit di specifica indagine; il relativo accertamento demandato alla discrezionalit del giudice
del merito e non sindacabile in sede di legittimit se congruamente motivato.
* Cass. civ., 15 aprile 2002, n. 5417, Donvito c. Resta, in Arch. loc. e cond. 2002, 272.
L'utilizzo di una parete esterna dell'edificio condominiale a sostegno di un cartellone pubblicitario grande quanto
l'intera superficie disponibile costituisce innovazione, in quanto destina il bene comune ad una funzione diversa

da quella originaria. Tale destinazione reca indubbio pregiudizio al decoro architettonico dello stabile, in quanto
nel termine "decoro" il legislatore ha compendiato non solo la piacevolezza e l'armonia dell'aspetto architettonico
dell'edificio condominiale, ma anche la rispettabilit e la dignit dello stesso.* Corte app. civ. Milano, 17 giugno
1997, n. 1974, Condominio di via Rubens n. 28 in Milano c. Pasini ed altro.
Per stabilire se vi sia stata lesione del decoro architettonico del fabbricato condominiale, ai sensi dell'art. 1120
c.c., il giudice oltre ad accertare se esso risulti leso o turbato deve anche valutare se tale lesione o turbativa
determini o meno un deprezzamento dell'intero stabile, essendo lecito il mutamento estetico che non cagioni un
pregiudizio economicamente valutabile o che, pur arrecandolo, si accompagni a una utilit la quale compensi
l'alterazione architettonica che non sia di grave e appariscente entit.* Pret. civ. Taranto, 21 settembre 1993, n.
629, Epino c. Cond. di Largo Europa, n. 10, di Talsano.
La costruzione di una tettoia di m. 4.50 per 0,60 a protezione di un poggiolo sito nella facciata al primo piano
da ritenersi lesiva del decoro del fabbricato, a meno che il condomino che ha operato tale intervento non provi
che esso, in relazione alle particolari circostanze del caso concreto ed al contesto in cui stato attuato,
compatibile con le disposizioni di legge e di regolamento.
* Trib. civ. Milano, 31 ottobre 1991.
La costruzione di un soppalco in un appartamento integra gli estremi del pregiudizio al decoro architettonico, in
quanto modifica l'originaria distribuzione interna degli spazi, anche quando tale alterazione non sia percepibile
dall'esterno.
* Trib. civ. Napoli, 26 gennaio 1994.
e) Destinate a servire solo una parte dell'edificio
L'art. 1120 c.c., nel richiedere le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con una
determinata maggioranza, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una
spesa da ripartire tra tutti i condomini su base millesimale: ne consegue che, quando le spese debbano far
carico esclusivamente al gruppo di condomini che ne trae utilit, trattandosi di innovazioni destinate a servire
solo una parte dell'edificio condominiale (art. 1123, terzo comma, c.c.), il computo della maggioranza prescritta
dal primo comma dell'art. 1120 c.c. deve operarsi con riferimento ai soli condomini interessati, ossia a quelli
facenti parte di detto gruppo.
* Cass. civ., sez. II, 8 giugno 1995, n. 6496, Bertazzoli c. Cond. di Via Mac Mahon 7, Milano.
f) Differenze tra innovazioni e modificazioni
In tema di condominio negli edifici, la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all'entit e qualit
dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, nel senso che per
innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa
comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entit sostanziale o ne muti la destinazione
originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere pi comodo il godimento della cosa
comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi
dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. (La S.C. ha cos escluso che costituisse
"innovazione" vietata il restringimento di un viale di accesso pedonale, considerato che esso non integrava una
sostanziale alterazione della destinazione e della funzionalit della cosa comune, non la rendeva inservibile o
scarsamente utilizzabile per uno o pi condomini, ma si limitava a ridurre in misura modesta la sua funzione di
supporto al transito pedonale, restando immutata la destinazione originaria).
* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1999, n. 11936, Balducci c. Cond. Via Giunione Lucina 5 Roma.
In tema di condominio negli edifici, la distinzione tra modifica ed innovazione si ricollega all'entit e qualit
dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune, nel senso che per
innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa
comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l'entit sostanziale o ne muti la destinazione
originaria, mentre le modificazioni che mirano a potenziare o a rendere pi comodo il godimento della cosa
comune e ne lasciano immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi
dei condomini, non possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. Lo stabilire se un'opera integri o meno gli
estremi dell'innovazione prevista dall'art. 1120 cod. civ. costituisce un'indagine di fatto, insindacabile in
cassazione se sostenuta da corretta e congrua motivazione. (Nella specie, l'impugnata sentenza - confermata
dalla Suprema Corte - aveva escluso che dessero luogo ad innovazione i lavori di adeguamento alla normativa
vigente dell'impianto termico dell'edificio condominiale, consistenti, fra l'altro, nella sostituzione della caldaia e
nella trasformazione a gasolio del bruciatore esistente nonch nell'interramento del serbatoio del combustibile al
di fuori dell'edificio).
* Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1986, n. 5101, Federico c. Cond. Via Murat BA.
In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ai sensi dell'art. 1120 c.c. non qualsiasi modificazione
della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entit materiale del bene operandone la trasformazione
ovvero determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle
opere eseguite, una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti
l'esecuzione delle opere. (Nella specie la S.C. ha ritenuto che la locazione ad un condomino per uso abitativo di
un appartamento condominiale, in precedenza concesso ad un condomino per uso deposito, non realizza un
mutamento di destinazione nei termini precisati del bene, ma soltanto una diversa utilizzazione che l'assemblea
dei condomini pu deliberare a maggioranza semplice di cui all'art. 1136, comma secondo c.c.).
* Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1998, n. 8622, De Palma c. Cond. via Monfalcone.
In tema di condominio negli edifici, per innovazione in senso tecnico-giuridico, vietata ai sensi dell'art. 1120 c.c.,
deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella
modificazione materiale che ne alteri l'entit sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le
modificazioni che mirino a potenziare o a rendere pi comodo il godimento della cosa comune e ne lascino

immutare la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non
possono definirsi innovazioni nel senso suddetto. (La S.C. ha cos escluso che costituisse "innovazione" vietata
l'ampliamento dell'autorimessa condominiale mediante trasformazione dei locali adibiti a portineria ed a centrale
termica, i cui servizi erano stati soppressi con regolari delibere condominiali precedenti).
* Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2002, n. 15460, Morrone c. Cond. Via Fernando d`Aragona n. 135 Barletta.
g) Gravose o voluttuarie
In tema di condominio di edifici, l'art. 1121 c.c. riconosce ai condomini dissenzienti (e ai loro eredi e aventi
causa), in caso di innovazioni gravose o voluttuarie, il diritto potestativo di partecipare successivamente ai
vantaggi delle innovazioni stesse, contribuendo pro quota nelle spese di esecuzione e di manutenzione
dell'opera ragguagliate al valore attuale della moneta, onde evitare arricchimenti in danno dei condomini che
hanno assunto l'iniziativa dell'opera. (Fattispecie riguardante un impianto di ascensore installato nell'edificio
condominiale non all'atto della sua costruzione, ma successivamente per iniziativa e a spese di parte dei
condomini).* Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1993, n. 8746, Oddi c. Tantarelli.
In materia di condominio degli edifici, le innovazioni, per le quali consentito al singolo condomino, ai sensi
dell'art. 1121 cod. civ., di sottrarsi alla relativa spesa per la quota che gli compete, sono quelle che, oltre a
riguardare impianti suscettibili di utilizzazione separata, hanno natura voluttuaria, ovvero risultano molto
gravose, con riferimento oggettivo alle condizioni e alla importanza dell'edificio. La relativa valutazione integra
un accertamento di fatto devoluto al giudice del merito ed incensurabile in sede di legittimit se sorretto da
motivazione congrua.
* Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1984, n. 428, Gargantini c. V. Ciri 18 Vol.
In materia di condominio negli edifici, le innovazioni per le quali consentito al singolo condomino, ai sensi
dell'art. 1121 cod. civ., di sottrarsi alla spesa relativa, per la quota che gli compete, sono quelle che riguardano
impianti suscettibili di utilizzazione separata e che hanno natura voluttuaria, cio sono prive di utilit, ovvero
risultano molto gravose, ossia sono caratterizzate da una notevole onerosit, da intendere in senso oggettivo,
dato il testuale riferimento della norma citata alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio. L'onere della
prova di tali estremi grava sul condomino interessato, vertendosi in tema di deroga alla disciplina generale della
ripartizione delle spese condominiali.
* Cass. civ., sez. II, 23 aprile 1981, n. 2408, Alberti c. Cond. Parco Resi.
Per determinare il carattere gravoso o voluttuario della spesa inerente ad un'innovazione non rilevante il
riferimento alle condizioni economiche dei singoli condomini. (Nella specie, la circostanza che l'impugnante
fosse uno studente privo di reddito da lavoro proprio non ha inciso sulla legittimit della deliberazione
dell'assemblea).
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 4 maggio 1989, Bertazzoli e altra c. Condominio di Via Mac Mahon 7, Milano, in
Arch. loc. e cond. 1989, 504.
Ove un singolo condomino intenda sottrarsi alla partecipazione alla spesa relativa ad una innovazione gravosa o
voluttuaria, l'onere della prova dell'esistenza degli estremi di cui all'art. 1121 cod. civ. grava sullo stesso
condomino interessato.
* Pret. civ. Taranto, 27 maggio 1986, Cond. di via Plateja, 28, Taranto c. Carbone Mongelli.
h) Miglior godimento della cosa comune
In presenza di modificazioni apportate dal singolo a proprie spese, per la migliore utilizzazione della cosa
comune nell'interesse della sua sola propriet esclusiva, la volont della maggioranza diviene irrilevante, mentre
permane soltanto il diritto di ciascuno degli altri condomini di opporsi a che il singolo, per il raggiungimento di
propri personali interessi, violi i criteri-limite fissati dalla legge per l'uso delle cose comuni e pregiudichi ad altri il
godimento di quei beni.
* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1974, n. 4046.
L'installazione sostitutiva di una recinzione in rete metallica su di un'area condominiale comune, gi in
precedenza delimitata da paletti uniti da una catena interposta, non implica alterazione sostanziale o
cambiamento dell'originaria destinazione n mutamento dell'entit materiale del bene attraverso una sua
radicale trasformazione. (Fattispecie di rigetto dell'impugnazione avverso delibera assembleare assunta,
secondo la tesi attorea, in spregio delle maggioranze che l'art. 1136, quinto comma, c.c. richiede per le
innovazioni dirette al miglioramento delle cose comuni).
* Trib. civ. Bologna, sez. II, 7 marzo 2000, n. 639, Soc. Delta c. Condominio via Emilia Levante 267 - San
Lazzaro in Savena.
i) Nozione
Costituisce innovazione, ai fini dell'art. 1120 cod. civ., qualsiasi opera nuova che, eccedendo i limiti della
conservazione, dell'ordinaria amministrazione o del godimento della cosa comune, ne comporti una totale o
parziale modificazione nella forma o nella sostanza, con l'effetto di migliorarne o peggiorarne il godimento e
comunque alterarne la destinazione originaria, con conseguente implicita incidenza sull'interesse di tutti i
condomini, i quali devono essere liberi di valutare la convenienza dell'innovazione, anche se sia stata
programmata ad iniziativa di un solo condomino che se ne sia assunto le spese, mentre non costituiscono
innovazione - e sono quindi soggetti alla disciplina dell'art. 1102 cod. civ. - tutti gli atti di maggiore o pi intensa
utilizzazione della cosa comune che non importino alterazioni o modificazioni della stessa e non precludano agli
altri partecipanti la possibilit di utilizzare la cosa facendone lo stesso maggior uso del condomino che abbia
attuato la modifica. (Nella specie, in base al suddetto principio, stata ritenuta corretta la decisione del giudice
del merito che aveva ritenuto non costituire innovazione l'installazione, ad opera di due condomini, di
un'autoclave, predisposta per l'utilizzazione da parte di tutti gli altri condomini e collocata in una parte - non
altrimenti utilizzabile - dell'androne comune dell'edificio).
* Cass. civ., sez. II, 6 giugno 1989, n. 2746, De Paolo c. Ferrulli ed altro.

In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della cosa
comune, ma solamente quella che alteri l'entit materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero
determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere
eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione
delle opere. Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di
un uso del bene pi intenso e proficuo, si versa nell'ambito dell'art. 1102 c.c., che pur dettato in materia di
comunione in generale, applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139
c.c. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva affermato che l'apertura
di una porta da parte di un condomino nel muro comune dell'andito di ingresso dell'edificio condominiale, non
alterava l'entit materiale del bene n modificava la sua destinazione, ma integrava una consentita
modificazione della cosa comune a norma dell'art. 1102 c.c.).* Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1997, n. 240,
Botteri ed altro c. Messina ed altro.
Costituisce innovazione qualsiasi opera nuova che alteri, in tutto o in parte, nella materia o nella forma ovvero
nella destinazione di fatto o di diritto, la cosa comune, eccedendo il limite della conservazione, dell'ordinaria
amministrazione e del godimento della cosa, e che importi una modificazione materiale della forma o della
sostanza della cosa medesima, con l'effetto di migliorare o peggiorare il godimento o, comunque, alterarne la
destinazione originaria con conseguente implicita incidenza sull'interesse di tutti i condomini, i quali debbono
essere liberi di valutare la convenienza dell'innovazione, anche se sia stata programmata ad iniziativa di un solo
condomino che se ne assuma tutte le spese. Non sono, invece, innovazioni, tutti gli atti di maggiore e pi
intensa utilizzazione della cosa comune, che non importino alterazioni o modificazioni della stessa e non
precludano agli altri partecipanti la possibilit di utilizzare la cosa facendone lo stesso maggiore uso del
condomino che abbai attuato la modifica.
* Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 1980, n. 1111, Salomone c. Colageo.
Perch sussista l'innovazione di cui all'art. 1120 cod. civ. occorre che le modificazioni apportate alle cose
comuni, nell'ambito della propriet condominiale, siano di tale entit, sotto il profilo qualitativo e quantitativo da
incidere sulla sostanza della cosa comune, alterandone la precedente destinazione. Pertanto, la sostituzione di
ascensori usurati e non pi agibili, con ascensori nuovi, anche se di tipo e di marca diversi, non costituisce
innovazione perch le cose comuni, oggetto delle modifiche, in vano-ascensore con le strutture ed i locali
annessi, non subiscono alcuna sostanziale modifica e conservano la loro destinazione al servizio ascensore,
anche se vengono apportate modifiche alla loro conformazione e perch l'edificio, nel suo complesso, con la
sostituzione degli ascensori, non subisce alcun sostanziale mutamento ma conserva un servizio del quale gi
dotato, a meno che l'entit e la qualit delle modifiche introdotte sia tale da involgere un sostanziale mutamento
del servizio e mutamenti di destinazione di parti comuni dell'edificio.* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1981, n. 4646,
Luini c. Cond. XX Aprile.
In tema di condominio degli edifici, deve considerarsi innovazione - come tale sottoposta alle limitazioni di cui
all'art. 1120 cod. civ. - non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma solamente quella che alteri l'entit
materiale del bene, operandone la trasformazione, ovvero determini la modificazione della sua destinazione, nel
senso che detto bene, in seguito alle opere innovative eseguite, presenti una diversa consistenza materiale
ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti l'esecuzione delle opere; ove, invece, la modificazione
della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di un uso del bene pi intenso e proficuo, si
versa nell'ambito dell'art. 1102 cod. civ., che, pur dettato in tema di comunione in generale, applicabile in
materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nell'art. 1139 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1989, n. 3549, Gentina c. Romerio.
In tema di condominio di edifici costituisce "innovazione" soggetta ad approvazione con la maggioranza
assembleare di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c. qualunque opera nuova che implichi una modificazione
notevole della cosa comune, alternadone l'entit sostanziale o la destinazione originaria con esclusione quindi
delle modificazioni che mirano a potenziare o a rendere pi comodo il godimento della cosa comune. Lo stabilire
se un'opera integri o meno gli estremi dell'innovazione prevista dall'art. 1120 c.c. costituisce un'indagine di fatto
insindacabile in cassazione se sostenuta da corretta e congrua motivazione. (Nella specie l'impugnata sentenza
confermata dalla S.C. aveva escluso che desse luogo ad una innovazione la sostituzione della preesistente
pavimentazione del lastrico solare con un diverso tipo di mattonelle).
* Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1990, n. 10602, Pieragnoli A. c. Cond. V. Coppo.
L`art. 1120 c.c., nel consentire all'assemblea condominiale, sia pure con una particolare maggioranza, di
disporre innovazioni, non postula affatto che queste rivestano carattere di assoluta necessit, ma richiede
soltanto che esse siano dirette "al miglioramento o all'uso pi comodo o al maggior rendimento delle cose
comuni", salvo a vietare espressamente, nel secondo comma, quelle che possono recare pregiudizio alla statica
o al decoro architettonico del fabbricato o che rendano talune parti comuni inservibili all'uso o al godimento
anche di uno solo dei condomini. Pertanto, al di fuori di tale divieto, ogni innovazione utile deve ritenersi
permessa anche se non strettamente necessaria, col solo limite, posto dal successivo art. 1121, del suo
carattere voluttuario o della particolare gravosit della spesa in rapporto alle condizioni e all'importanza
dell'edificio, nel qual caso essa consentita soltanto ove consista in opere, impianti o manufatti suscettibili di
utilizzazione separata e sia possibile, quindi, esonerare da ogni contribuzione alla spesa i condomini che non
intendano trarne vantaggio, oppure, in assenza di tale condizione, se la maggioranza dei condomini che l`ha
deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.
* Cass. civ., sez. II, 30 maggio 1996, n. 5028, Neri c. Cond. Casalpalocco Isola.
L'opera nuova pu dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune o sue singole parti,
interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se
l'opera, pur essendo utilizzabile da tutti i condomini, stata costruita esclusivamente a spese di uno solo dei

condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi
della stessa contribuendo, ai sensi dell'art. 1120 c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione. (Nella
specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne dell'edificio condominiale con una strada
posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il
sottosuolo comuni, anche un terreno in propriet esclusiva del condomino che le aveva eseguite).
* Cass. civ., sez. II, 1 aprile 1995, n. 3840, Chiappara c. Villari.
Il concetto di rinnovamento delle entit abbisognevoli di riparazione, cui si riferisce l'art. 1005 c.c. in tema di
ripartizione delle parti relative alla cosa oggetto di usufrutto, ben diverso dal concetto di innovazione cui si
riferiscono, in tema di condominio negli edifici, gli artt. 1120 e 1121 c.c. Il primo concetto va posto in relazione ad
opere che comportano la sostituzione di entit preesistenti, ma ormai inefficienti con altre pienamente efficienti. Il
secondo riguarda, invece, opere che importano un mutamento della cosa nella forma e nella sostanza, con
aggiunta di entit non preesistenti o trasformazione di alcuna di quelle preesistenti.
* Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1998, n. 12085, Del Soldato c. Baldini.
Se vero che non costituiscono innovazioni quegli accrescimenti ed incrementi che sono sviluppi normali e
prevedibili della cosa comune e si risolvono nel trasformare da potenziali in attuali le utilit insite nella natura del
bene, si esula da tale ipotesi allorch gli interventi siano cos incisivi da risolversi in aggiunte che rendano
"nuova" la parte comune rispetto alle caratteristiche dell'edificio cos come realizzato.* Corte app. civ. Milano,
sez. I, 9 settembre 1988, n. 1688, Condominio di via Durini 25, Milano c. In.Cos.A. Spa.
In tema di condominio, per innovazione in senso tecnico, come tale soggetta alla limitazione di cui all'art. 1120
cod. civ., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella
modificazione che importi alterazione nella sua entit sostanziale o mutamento della destinazione della cosa
stessa, cos da non turbare l'equilibrio tra i concorrenti interessi dei condomini.* Trib. civ. Napoli, sez. V, 9
novembre 1988, n. 10244, Mensa Vescovile di Pozzuoli c. Condominio Parco Dardano scala C e D in Napoli.
Per innovazione deve intendersi non qualsiasi mutamento della cosa comune, ma solo la modifica materiale
della cosa stessa che importi alterazione della sua entit sostanziale o mutamento della sua destinazione
originaria, sicch i semplici cambiamenti del modo o tipo di utilizzazione della cosa, come le semplici sostituzioni
di materiale avariato o logoro con altro tipo pi moderno, senza alterare la struttura sostanziale o la precedente
destinazione della cosa, rientrano nel contenuto degli atti ordinari di amministrazione.* Trib. civ. Napoli, 26
settembre 1987, in Rass. equo canone 1988, 94.
In tema di condominio si deve considerare innovazione non qualsiasi modificazione della cosa comune, ma
solamente quella che alteri l'entit materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero determini la
modificazione della sua destinazione, nel senso che il bene comune a cui l'opera si riferisce, in seguito alle
opere innovative eseguite, presenti una diversa consistenza materiale, ovvero sia utilizzato per fini diversi da
quelli anteriori all'esecuzione delle opere. Quando invece la modificazione della cosa comune risponda allo
scopo di un uso del bene pi intenso e proficuo, si versa nell'ipotesi dell'art. 1102 c.c., in base al quale, nel
servirsi delle cose comuni, ciascun partecipante soggetto a limitazioni prescritte per la salvaguardia della
originaria destinazione dei singoli beni, e non pu quindi n alterare la destinazione della cosa comune, n
rendere la cosa comune inservibile anche ad uno solo degli altri condomini, perch ogni partecipante ha diritto di
farne pari uso.* Trib. civ. Milano, 25 maggio 1992.
La natura dell'innovazione ex art. 1120 c.c. non dipende dal mero fatto fisico che l'opera possa incidere sulla
consistenza materiale dell'edificio, ma deriva da un aspetto pi qualificante della modificazione, che si riscontra
quando essa provochi una alterazione della sostanza o della destinazione della parte comune a cui si riferisce.
Pertanto, nel caso in cui l'opera modificativa consista soltanto in un miglioramento delle utilit che il bene
comune aveva gi l'attitudine di procurare ai partecipanti, sia pure in misura ridotta, si deve escludere che si
tratti di innovazione. (Fattispecie in tema di ripristino di ascensori di servizio).
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 14 settembre 1992, Lettich e altri c. Condominio di Viale Montenero 71 di Milano, in
Arch. loc. e cond. 1993, 325.
Ci che nel passato era innovativo e voluttuario pu anche non esserlo pi, in quanto ogni intervento
manutentivo o innovativo deve essere valutato in relazione alle esigenze dell'attuale situazione economica e
culturale del paese, alla cui stregua vanno interpretati gli stessi concetti di gravosit o voluttuariet delle opere.
* Trib. civ. Milano, 2 dicembre 1991.
l) Vietate
In tema di condominio di edifici, ciascuno condomino pu servirsi delle parti comuni a condizione che non ne
alteri la naturale destinazione, che non pregiudichi la stabilit, la sicurezza e il decoro architettonico del
fabbricato e che non arrechi danno alle singole propriet esclusive e non impedisca, infine, agli altri partecipanti,
di farne parimenti uso secondo il loro diritto; con la conseguenza che devono ritenersi vietate le innovazioni alla
cosa comune che ne mutino la sostanza e la forma, incidendo sull'entit materiale della cosa, alterandone in
tutto o in parte la consistenza, la conformazione o la destinazione impressavi dalla volont dei compartecipanti
ed espressa dal titolo (regolamento di condominio, deliberazioni assembleari o gradatamente dall'uso o dalla
natura stessa della cosa) o che arrechino limitazioni o danno all'uso degli altri condomini in guisa da turbare
l'equilibrio tra i concorrenti interessi dei medesimi. (In applicazione del principio di cui in massima, stata
ritenuta vietata la costruzione nel cortile comune di uno scivolo per accedere ad un'unit immobiliare sita ad un
livello pi alto, attraverso una finestra trasformata in accesso carrabile, in quanto determinante modificazione
della struttura e della destinazione del cortile, adibito al servizio di passo carrabile e di area di parcheggio del
traffico veicolare a servizio dell`unit immobiliare utilizzata non pi ad uso abitativo, bens commerciale).* Cass.
civ., sez. II, 10 marzo 1983, n. 1789, Gaudioso c. Toscano.
La disposizione dell'art. 1120 cod. civ., nella parte in cui vieta le innovazioni che possano recare pregiudizio al
decoro architettonico del fabbricato o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso od al

godimento anche di un solo condomino, si limita a tutelare l'edificio in s ed il modo di usare e di godere della
cosa comune: consegue che ove l'opera compiuta da un condomino o dal condominio sulla cosa comune rechi
danno o pregiudizio alla propriet esclusiva di un singolo condomino, trattandosi di rapporti relativi a due
immobili finitimi, trova applicazione la disciplina dei rapporti di vicinato.
* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1989, n. 2548, Napolitano c. Condominio di via Saorgio 7, Torino.
In tema di condominio negli edifici, ai fini della distinzione tra innovazioni consentite e innovazioni vietate, non
basta che la nuova opera incida sull'entit materiale della cosa comune ma occorre che ne alteri la sostanza,
con mutamento dell'essenza funzionale e strutturale o ne muti la destinazione (impressavi dalla volont dei
compartecipanti ed espressa dal titolo: regolamento di condominio, deliberazione assembleare, o gradatamente
dall'uso o dalla natura stessa della cosa). (Nella specie in base all'enunciato principio la Corte Suprema ha
annullato la decisione del merito che aveva ritenuto innovazione vietata l'utilizzazione parziale del sottosuolo del
giardino condominiale per un impianto autonomo di riscaldamento, per cui era rimasta accertata la mancata
alterazione della cosa comune e l'inesistenza di impedimento all'uso degli altri condomini).
* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1988, n. 6146, Kravanja c. Buri.
L'esecuzione, su di una parte comune dell'edificio condominiale, di opere od innovazioni non consentite, ai sensi
e per gli effetti dell'art. 1120 cod. civ., d diritto agli altri condomini di ottenere la rimessione in pristino e ci
soprattutto quando l'innovazione, per essere stata eseguita in violazione delle norme antisismiche, sia tale da
recare pregiudizio alla stabilit ed alla sicurezza del fabbricato.* Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1981, n. 4958,
Iacovone c. Ferrante.
L'inservibilit all'uso o al godimento anche di uno soltanto dei condomini - considerata nell'art. 1120, secondo
comma, c.c. quale conseguenza da impedire in modo assoluto, affinch possano effettuarsi opere destinate ad
aumentare la funzionalit ed il valore dell'edificio condominiale - deve essere interpretata come sensibile
menomazione dell'utilit che il condomino pu trarre dalla cosa comune secondo l'originaria costituzione della
comunione.* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1977, n. 697.
La decadenza di cui all'art. 1137 c.c., che riguarda solo le deliberazioni assembleari annullabili, non opera
quando le deliberazioni dell'assemblea o del condominio siano relative alle innovazioni di cui al capoverso
dell'art. 1120 c.c., che sono espressamente vietate trattandosi di deliberazioni nulle, l'azione pu essere
proposta dal condomino indipendentemente dal termine di decadenza di cui al citato art. 1137.* Cass. civ., sez.
II, 15 ottobre 1973, n. 2586.
La limitazione, per alcuni condomini, della originaria possibilit di utilizzazione delle scale e dell'andito occupati
dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto
posto dall'art. 1120, comma secondo, c.c., ove risulti che dalla stessa non derivi, sotto il profilo del minor
godimento della cosa comune, alcun pregiudizio, non essendo necessariamente dissenziente un vantaggio
compensativo.
* Cass. civ., Sez. II, 4 luglio 2001, n. 09033, Oliva c. Cond. via Cacciatore 26 Salerno.
Si ha innovazione vietata ex art. 1120 cod. civ. quando le modificazioni apportate alla cosa comune siano di tale
entit e/o incidenza da rendere impossibile o da pregiudicare apprezzabilmente l'originaria naturale destinazione
o funzione della stessa, considerata nella sua unit e non solo nella sola parte modificata; invece lecita la
modificazione che lasciando immutata la naturale ed originaria funzione della cosa comune, apporti al
comproprietario - condomino che l'ha effettuata - una specifica utilit aggiuntiva, senza per cagionare alcun
pregiudizio al condominio o anche ad un singolo condomino.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 19 settembre 1988, Deccesari c. Condominio di Via Archimede 16, Milano.
Per innovazioni vietate sulla cosa comune devono intendersi solo quelle che ne mutano la sostanza e la forma
(sempre per in riferimento all'uso cui essa destinata o che a questo rechino limitazione o danno) e non gi
quelle che permettono di trarne una maggiore utilizzazione conforme all'uso. Non costituiscono innovazioni,
pertanto, le modificazioni della cosa comune dirette a potenziare o a rendere pi comodo il godimento della
medesima che ne lascino immutata la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare l'equilibrio fra i
concorrenti interessi dei condomini.* Trib. civ. Napoli, 26 settembre 1987, n. 9034, Tramontano c. Condominio di
via Genovesi 25 e via Nicolini 45, Napoli, Orlando e Gaudio.
L'assemblea di un condominio non pu, a norma dell'art. 1120, secondo comma, cod. civ., rendere inservibile o
disattivare la cosa comune nei confronti di uno o pi condomini dissenzienti, mediante il mutamento della
destinazione strutturale ed economica della cosa comune.* Trib. civ. Rimini, 6 dicembre 1988, n. 672, Savelli e
altro c. Condominio Secchiano.
Ci che conta, affinch si abbia attivit innovativa non consentita, che l'azione del singolo sul bene comune sia
tale da alterare l'originario utilizzo che tutti i partecipanti alla comunione potevano ricavare dal bene medesimo e
tale alterazione sussiste quando le modificazioni siano tali da rendere impossibile o pregiudicare
apprezzabilmente la destinazione originaria, attuale o virtuale, della cosa comune, e non gi quando l'utilit che
ne ricava il singolo condomino semplicemente si aggiunga a quella in atto.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 12 ottobre 1989.
LASTRICI SOLARI
SOMMARIO: a) Accesso da un solo appartamento; b) Difetto di manutenzione; c) Differenze; d) Diritto di
costruire sul lastrico; e) Funzioni del lastrico solare; f) Giardino pensile; g) Infiltrazioni d'acqua; h) Nozione di
terrazza a livello; i) Opere abusive; l) Parapetti; m) Proprietario esclusivo; n) Sopraelevazione; o) Sostituzione
con un tetto a falde; p) Spese; q) Uso esclusivo del lastrico; r) Vedute.
a) Accesso da un solo appartamento
In tema di condominio degli edifici, il pi ampio uso del bene comune, da parte del singolo condomino, non pu
configurare una lesione o menomazione dei diritti degli altri partecipanti, qualora trovi giustificazione nella

conformazione strutturale del fabbricato, come risultante dalla sua originaria costruzione (nella specie,
trattandosi di lastrico solare sopra il quale era possibile accedere, alla stregua di situazione coeva alla nascita
del condominio, da uno solo degli appartamenti di propriet esclusiva).
* Cass. civ., sez. II, 9 giugno 1986, n. 3822, Franzoni c. Buschini.
b) Difetto di manutenzione
I singoli proprietari delle varie unit immobiliari comprese in un edificio condominiale, sono a norma dell'art. 1117
c.c., (salvo che risulti diversamente dal titolo) comproprietari delle parti comuni, tra le quali il lastrico solare,
assumendone la custodia con il correlativo obbligo di manutenzione, con la conseguenza, nel caso di danni a
terzi per difetto di manutenzione del detto lastrico, della responsabilit solidale di tutti i condomini, a norma degli
artt. 2051 e 2055 c.c. ove non provino, come unica causa di tali danni, il caso fortuito, e ci a prescindere dalla
conoscenza o meno dei danni stessi (salvo regresso del condomino che abbia risarcito l'intero danno verso gli
altri condomini in ragione delle rispettive quote di propriet).
* Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1990, n. 6405, Vasile c. Vasile.
I danni cagionati dalla mancata manutenzione del lastrico solare di un edificio in condominio, al pari delle spese
della sua riparazione o costruzione, non possono porsi interamente a carico del proprietario o usuario del
lastrico stesso, ma debbono essere risarciti con il concorso degli altri condomini nella proporzione stabilita
dall'art. 1126 c.c. Ci non esclude l'eventuale concorso di responsabilit, da accertare in via di rivalsa ove non
sia stata dedotta nello stesso giudizio, del costruttore o dell'amministratore del condominio in proprio per vizi di
costruzione o per negligente omissione delle necessarie riparazione.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4816, Giordani c. Tarquini. Conforme, Cass. civ., sez. III, 7 dicembre
1995, n. 12606.
c) Differenze
Mentre il lastrico solare, al pari del tetto, assolve essenzialmente la funzione di copertura dell'edificio, di cui
forma parte integrante sia sotto il profilo meramente materiale, sia sotto il profilo giuridico, la terrazza a livello
invece costituita da una superficie scoperta posta al sommo di alcuni vani e nel contempo sullo stesso piano di
altri, dei quali forma parte integrante strutturalmente e funzionalmente, nel senso che per il modo in cui
realizzata, risulta destinata non tanto a coprire le verticali di edifici sottostanti, quanto e soprattutto a dare un
affaccio e ulteriori comodit all'appartamento cui collegata e del quale costituisce una proiezione verso
l'esterno.* Cass. civ., sez. II, 28 aprile 1986, n. 2924, AA. c. AA.
Le terrazze a livello si differenziano dai lastrici solari non solo perch la loro funzione essenziale non quella di
copertura dell'edificio, ma anche perch sono delimitate da parapetti i quali servono soltanto a rendere
praticabile la terrazza, consentendone ai proprietari l'affaccio ed il pi sicuro passaggio. Ne deriva che le spese
di manutenzione e di riparazione dei parapetti vanno poste a carico dei proprietari esclusivi delle terrazze, unici
beneficiari della loro presenza.
* Trib. civ. Salerno, 10 novembre 1989, in L'Ammin. 1991, n. 8.
A differenza dei lastrici solari, che disimpegnano essenzialmente e principalmente il compito di copertura di un
edificio, a servizio presumibilmente comune dei proprietari dello stesso, le terrazze a livello devono, invece,
considerarsi come facenti parte, strutturalmente e funzionalmente, degli appartamenti da cui vi si accede, ed al
cui uso esclusivo esse sono destinate, quali appartenenze degli stessi, in difetto di contrarie risultanze di un
titolo.
* Cass. civ., 26 febbraio 1959, n. 563.
d) Diritto di costruire sul lastrico
Il lastrico solare di un edificio condominiale, che sia stato venduto dal costruttore ed originario proprietario
dell'intero edificio come area interamente edificabile, in forza di valido titolo opponibile agli acquirenti delle altre
unit immobiliari, non rientra fra le parti comuni, secondo la previsione dell'art. 1117 c.c. In tale ipotesi, pertanto,
l'assemblea del condominio, ancorch in sede di approvazione del regolamento, non pu disciplinare e limitare il
diritto di costruire sul lastrico, senza il consenso del relativo proprietario.* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1978, n.
4782.
e) Funzioni del lastrico solare
Il lastrico solare quale superficie terminale dell'edificio esercita l'indefettibile funzione primaria di protezione
dell'edificio medesimo, pur potendo essere utilizzato in altri usi accessori, come quello del terrazzo. L'anzidetta
funzione accessoria del lastrico solare a terrazza in uso esclusivo di un solo condomino, come non fa venir
meno la sua destinazione primaria all'uso comune, cos in mancanza di un titolo contrario lascia inalterata la
presunzione di propriet comune di cui all'art. 1117 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 1 giugno 1990, n. 5162, Salina c. Pigli.
Il lastrico solare, ai sensi dell'art. 1117 c.c, oggetto di propriet comune dei diversi proprietari dei piani o
porzioni di piano dell'edificio se il contrario non risulta, in modo chiaro ed univoco, dal titolo, per tale
intendendosi gli atti di acquisto dei singoli appartamenti o delle altre unit immobiliari, nonch il regolamento di
condominio accettato dai singoli condomini.
* Cass. civ., sez. II, 7 aprile 1995, n. 4060, Soc. Edilbas c. Della Pittima e altri e Isidori e altri.
Il lastrico solare riveste, nel quadro della sua normale destinazione, una duplice attitudine: quella tipica di
copertura del fabbricato sottostante e quella di superficie praticabile (arg. ex art. 1126 cod. civ.). Il condomino
che, non impedendo un pari uso agli altri partecipanti e lasciando inalterate le possibilit delle concorrenti
utilizzazioni, realizzi ex novo una fruizione del secondo tipo per mezzo di opere che consentono un uso pi
intenso ed agevole di quello precedente (nella specie si tratta di una scala a chiocciola costruita nella propriet
esclusiva del condomino, attraverso la quale il medesimo accede al lastrico solare di propriet comune,
lasciando inalterato il vecchio passaggio, con scala a pioli, in precedenza utilizzato, in comune, dai vari
condomini) non altera per ci stesso la destinazione del bene, trasformandolo in terrazzo, n viene ad integrare

una ipotesi di uso esclusivo ovvero di interferenza sull'equilibrio dei contrapposti interessi condominiali. La sua
azione, al contrario, si mantiene nei limiti di normalit di cui all'art. 1102 cod. civ.* Pret. civ. Torre Annunziata, 19
marzo 1982, n. 42, Vastola e altri c. Raiola, in Arch. loc. e cond. 1982, 526.
f) Giardino pensile
Le norme sul condominio degli edifici, consentendo la divisione della propriet per piani orizzontali, escludono
l'applicazione dell'accessione anche nell'ipotesi di costruzioni, quale un giardino pensile in continuazione di una
terrazza a livello annessa ad un appartamento, facenti corpo con l'edificio condominiale, ma sporgenti dalla sua
linea verticale e gravanti su area appartenente al condominio: in tal caso occorre accertare in base al titolo o, in
mancanza, in base alla presunzione di cui all'art. 1117 cod. civ. se la riconosciuta comunione dell'area di base
su cui la sporgenza sorge comporti o meno la comunione anche del piano (o dei piani) e delle porzioni di piano (
o di piani) sporgenti o comunque sorgenti sopra tale area.
* Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1980, n. 1738, Magistri c. Condominio Via S.R. Bellarmino, 13, Roma.
Colui che esercita un diritto - nella specie, di propriet - terrazzando il proprio giardino a livello dell'appartamento
e modificando il flusso delle acque piovane, ha l'obbligo di usare il grado di prudenza e diligenza in concreto
richiesto onde evitare di danneggiare i terzi.* Cass. civ., sez. III, 22 aprile 1998, n. 4074, Condominio di via Italo
Panattoni n. 89 in Roma c. Zingales, in Arch. loc e cond. 1998, 546.
g) Infiltrazioni d'acqua
Poich il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del
fabbricato anche se appartiene in propriet superficiaria o se attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso
con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati
all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di
manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempimenti alla funzione di conservazione, secondo le
proporzioni stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in
proporzione dei due terzi, ed il titolare della propriet superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre
utilit, nella misura del terzo residuo.* Cass. civ., Sezioni Unite, 29 aprile 1997, n. 3672,
Il proprietario di una terrazza a livello che abbia anche funzione di copertura dell'edificio condominiale liberato
dalla responsabilit per i danni derivati ad appartamenti sottostanti per infiltrazioni di acqua dando la prova del
caso fortuito, della forza maggiore o del fatto del terzo, che pu anche consistere nell'inerzia colpevole del
condominio (o degli organi preposti alla sua amministrazione) che sia stato tempestivamente informato
dell'esistenza di guasti, vizi o difetti della terrazza da cui il danno derivato.* Cass. civ., sez. III, 30 maggio
1988, n. 3696, Degiacomo c. Cond. V. Giotto 3 Mi.
L'amministratore del condominio, tenuto ex art. 1126 c.c. alla manutenzione della terrazza a livello di propriet
esclusiva, legittimato passivo quanto alla denuncia di danno temuto proposta dal condomino proprietario della
sottostante unit, il quale lamenti infiltrazioni causate dalle condizioni della terrazza stessa.* Pret. civ. Catania,
ord. 13 dicembre 1993, in Foro it. 1995, I, 416.
h) Nozione di terrazza a livello
In mancanza di titolo di propriet esclusiva, terrazza a livello , nel condominio, una superficie scoperta posta al
sommo di alcuni vani e, nel contempo, sullo stesso piano di altri, dei quali costituisce parte integrante
strutturalmente e funzionalmente, nel senso che, per il modo in cui stata realizzata, risulta destinata non tanto
e non solo a coprire le verticali sottostanti - ch in tal caso si tratterrebbe di lastrico solare - quanto, e
soprattutto, a dare un affaccio ed ulteriore comodit all'appartamento cui collegata e del quale costituisce in
definitiva, una proiezione verso l'esterno.
* Cass. civ., 28 marzo 1973, n. 836.
In tema di condominio di edifici la terrazza a livello, ossia quell'area scoperta alla quale si accede da un solo
appartamento e solo con questo in comunicazione, appartiene al proprietario del contiguo appartamento di cui
costituisce la continuazione priva di copertura a meno che non risulti diversamente dal titolo.* Cass. civ., sez. II,
16 settembre 1991, n. 9629, Roggero c. Facincani.
Per terrazza a livello deve intendersi, in un edificio condominiale, una superficie scoperta posta al sommo di
alcuni vani e, nel contempo, sullo stesso piano di altri, dei quali costituisce parte integrante strutturalmente e
funzionalmente, tale che deve ritenersi, per il modo in cui stata realizzata, che destinata non solo e non tanto
a coprire una parte di fabbricato, ma soprattutto a dare possibilit di espansione e di ulteriore comodit
all'appartamento del quale contigua, costituendo di esso una proiezione all'aperto; quando ricorre tale
situazione dei luoghi, la funzione della terrazza, quale accessorio rispetto all'alloggio posto allo stesso livello,
prevale su quella di copertura dell'appartamento sottostante e, se dal titolo non risulta il contrario, la terrazza
medesima deve ritenersi appartenente al proprietario del contiguo alloggio, di cui strutturalmente e
funzionalmente parte integrante.* Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1990, n. 8394, Fioretto c. Fioretto.
Nella controversia fra due aventi causa dall'unico originario proprietario di fabbricato poi divenuto condominiale,
circa la propriet di terrazza a livello, svolgente funzione di copertura dei sottostanti piani dell'edificio, che sia
contigua a (ed accessibile da) entrambi gli appartamenti, deve darsi prevalenza al titolo di acquisto, ancorch
successivo, nel quale la terrazza formi oggetto di esplicito trasferimento in favore dell'acquirente
dell'appartamento, rispetto al titolo, relativo all'altro immobile, in cui del manufatto non si trovi alcuna menzione.
Infatti l'attribuzione legale della terrazza in propriet condominiale ai proprietari di piano o porzioni di piano, a
norma dell'art. 1117 c.c., quale parte necessaria all'esistenza del fabbricato da essa coperto, derogabile solo
quando in virt del titolo di acquisto dall'unico originario proprietario dell'edificio (o con atto di disposizione dei
condomini titolari del diritto di propriet comune) venga stabilito il diverso regime della propriet superficiaria (o
dell'uso esclusivo) della terrazza, in favore dell'acquirente dell'immobile ad essa contiguo, in mancanza della
quale deroga, il proprietario originario dell'intero fabbricato, rimasto proprietario anche della terrazza, pu

successivamente attribuirne la propriet all'acquirente di altro immobile, mediante espressa pattuizione in tale
senso. * Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1996, n. 10323, Amodeo c. Preziosi.
i) Opere abusive
In tema di condominio negli edifici, l'azione contro il singolo partecipante, rivolta a conseguire, in via cautelare o
definitiva, la rimozione di opere abusivamente realizzante sul lastrico solare, di propriet comune, configura atto
di conservazione dei diritti inerenti a detta porzione comune, e, pertanto, pu essere proposta
dall'amministratore senza necessit di autorizzazione assembleare, ai sensi del combinato disposto degli artt.
1130 e 1131 cod. civ., mentre resta a tal fine irrilevante la natura reale o personale dell'azione medesima, cos
come la circostanza che quelle opere abusive ledano anche diritti individuali dei singoli condomini, e che questi
possano a loro volta agire a tutela delle cose di propriet comune od individuale.
* Cass. civ., sez. II, 27 luglio 1983, n. 5160, Puca c. Mele.
L'abolizione di rivendicazione della propriet comune dell'appartamento abusivamente costruito da un
condomino sul lastrico solare comune dell'edificio condominiale, non avendo scopo meramente conservativo,
non rientra tra gli atti che, ai sensi dell'art. 1130 n. 4 c.c., l'amministratore ha il potere di compiere senza
necessit di delega o autorizzazione dell'assemblea dei condomini.* Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1993, n. 4530,
Condominio Via Montello n. 11 c. Graziani.
Colui che, acquistata dal proprietario dell'appartamento sottostante la propriet di parte della terrazza a livello
del proprio appartamento, ma con funzione di copertura ed illuminazione di quello sottostante, si sia obbligato a
non costruirvi, non pu oscurare con vasi le aperture lucifere, costituite da lastre di vetrocemento. Benvero,
mentre il divieto di costruire ha portata pratica analoga all'imposizione di una servit ne luminibus officiatur a
carico del titolare del diritto di aderenza o di appoggio ex art. 904 c.c., l'oscuramento dell'orditura lucifera
comporta una innovazione non consentita della soletta comune rispetto alla destinazione ad essa
convenzionalmente impressa dai comproprietari.* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1970, n. 63.
Un condomino non pu trasformare un manufatto condominiale, avente la sola funzione di copertura di una
terrazza a livello per il proprio uso esclusivo, atteso che in siffatto modo viene alterata la destinazione della cosa
comune e si attrae, in contrasto con l'art. 1102 c.c. nella propriet esclusiva un bene di uso condominiale, senza
che l'autorizzazione possa trovare un'analogia con l'art. 1127 c.c., che presuppone il pagamento di un'indennit
e la ricostruzione dell'intero tetto, senza pregiudizio per la propriet condominiale.* Trib. civ. Milano, 13
settembre 1991.
l) Parapetti
Le spese inerenti alla riparazione o ricostruzione di un parapetto di un terrazzo di propriet esclusiva (costituito
dalla prosecuzione in altezza del muro perimetrale di un edificio condominiale) che, pur assolvendo
prevalentemente ad un compito di affaccio, di appoggio e di protezione, eserciti altres una funzione legata al
decoro architettonico dell'edificio, sono ripartibili secondo il criterio di cui all'art. 1126 c.c.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 10 febbraio 1992, Zaglia e altra c. Cond. di via Bitti n. 32 di Milano, in Arch. loc. e
cond. 1993, 129.
Le spese di riparazione e di manutenzione dei parapetti delle terrazze a livello, quand'anche queste ultime
disimpegnino pure il compito di parziale copertura dell'edificio, vanno poste a totale carico dei proprietari
esclusivi delle terrazze, unici beneficiari della loro presenza, ai quali, grazie a tali manufatti, consentito
l'affaccio ed il pi sicuro passaggio sulla loro propriet esclusiva.
* Trib. civ. Salerno,10 novembre 1989, Di Stasio ed altri c. Condominio di via Luigi Guercio n.117, Salerno, in
Arch. loc. e cond. 1990, 282.
Dovendo i parapetti dei lastrici solari considerarsi accessori e indispensabili completamenti di questi ultimi, le
spese relative debbono seguire il medesimo regime giuridico dei lastrici ai quali sono annessi.
* Trib. civ. Genova, 5 gennaio 1996, n. 55,
m) Proprietario esclusivo
Il proprietario esclusivo del lastrico solare partecipa ai diritti ed agli obblighi della comunione delle cose e dei
servizi dell'edificio, che derivano dalla disciplina del condominio edilizio, quand'anche non sia proprietario di un
piano o di porzione di un piano; pertanto partecipa anche alla comunione di quella parte dell'edificio necessario
alla sua esistenza, vale a dire alla comunione del suolo su cui l'edificio sorge.* Cass. civ., sez. II,21 maggio
1960,n. 1300.
In tema di edifici in condominio, affinch una terrazza a livello, che esplichi anche funzioni di copertura dei piani
sottostanti, possa ritenersi di propriet esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui si accede alla terrazza
stessa, ove tale appartenenza non risulti dal titolo, necessario che essa faccia parte integrante da un punto di
vista strutturale e funzionale del piano cui annessa, di guisa che la funzione di copertura dei piani sottostanti si
profili come meramente sussidiaria.
* Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1994, n. 3832, Fiorillo c. Aliboni.
La presunzione che il diritto di propriet esclusiva su di un piano di un edificio si estenda anche ai terrazzi a
livello del piano stesso comunicanti con il medesimo si applica soltanto a quei terrazzi che dal punto di vista
strutturale e funzionale presentino la natura e le caratteristiche di estensione e di parte integrante del piano cui
siano annessi, sicch la funzione di copertura dei piani sottostanti si profili meramente sussidiaria. La
presunzione anzidetta resta, altres, esclusa quando la costruzione del terrazzo sia stato il frutto di uno specifico
accordo tra le parti; in tal caso, invero, a questo soltanto che si deve far riferimento per stabilire l'appartenenza
della terrazza medesima.* Cass. civ., 5 febbraio 1968, n. 363.
Il lastrico solare di un edificio condominiale, che sia stato venduto dal costruttore ed originario proprietario
dell'intero edificio come area interamente edificabile, in forza di valido titolo opponibile agli acquirenti delle altre
unit immobiliari, non rientra fra le parti comuni, secondo la previsione dell'art. 1117 cod. civ. In tale ipotesi,
pertanto, l'assemblea del condominio, ancorch in sede di approvazione del regolamento, non pu disciplinare e

limitare il diritto di costruire sul lastrico, senza il consenso del relativo proprietario.* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre
1978, n. 4782
L'incorporazione della terrazza a livello nel piano o nella porzione di piano oggetto di signoria autonoma deve
essere obiettiva, cio risultare dallo stato delle cose, piuttosto che da una destinazione soggettiva, la quale pu
giovarsi dell'interpretazione del titolo -ove esiste e sia di non chiaro significato- oppure, al fine dell'usucapione,
per desumere l'esercizio di un possesso esclusivo, ma non determinante quando la sottrazione al regime della
comunione si faccia derivare da caratteristiche del bene in s, che ne impediscano la configurazione come
lastrico solare. Inoltre gli eventuali dubbi di qualificazione vanno risolti tenendo presente che, per regola
generale, vige il regime di comunione, dato che la superficie di cui si discute serve sempre ed almeno a coprire i
vani sottostanti dell'edificio condominiale; e che, per altro verso, tale regime non escluso dal solo fatto che dal
bene uno o pi comproprietari traggano utilit maggiori rispetto agli altri. Conseguentemente, soltanto se dalla
struttura e dalla funzione obiettiva risulti preponderante la destinazione particolare su quella comune,
consentito ravvisare nella terrazza un oggetto di propriet esclusiva. (Nella specie stato ritenuto
sufficientemente motivato il giudizio del giudice del merito che aveva qualificato lastrico solare e non terrazza a
livello un'area posta a copertura di due vani, costruiti uno sull'altro fra gli edifici di diversi proprietari, dei
corrispondenti piani dei quali ciascuno formava il rispettivo prolungamento orizzontale, caratterizzata da un
piano inclinato recante incavi destinati al convogliamento delle acque piovane verso una cisterna appartenente
ad uno dei condomini e dalla possibilit di comodo accesso solo per l'altro condomino).* Cass. civ., 28 marzo
1973, n. 856.
Se non risulti diversamente dal titolo, non configurabile la presunzione di parte comune dell'edificio
condominiale in relazione ad un lastrico solare che funga da copertura di uno o pi locali di propriet di un solo
condomino. * Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1996, n. 2707
Perch una terrazza a livello, che esplichi anche funzione di copertura dei piani sottostanti, possa ritenersi di
propriet esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui alla terrazza medesima si accede, necessario che
essa faccia parte integrante, da un punto di vista strutturale e funzionale, del piano cui annessa, di talch la
funzione di copertura dei piani sottostanti si profili come meramente sussidiaria.* Cass. civ., 21 maggio 1974, n.
40.
L'assemblea condominiale pu legittimamente deliberare la riparazione o il rifacimento anche del lastrico solare
di propriet esclusiva, ma tale decisione non pu incidere sulle facolt di godimento del piano di calpestio dello
stesso, di pertinenza del proprietario esclusivo, facolt di godimento che ricomprendono il diritto a che i lavori
non comportino mutamento dell'aspetto estetico del bene.* Trib. civ. Sanremo, 12 dicembre 1990, in Arch. loc. e
cond. 1991, 607.
n) Sopraelevazione
La terrazza a livello, anche se di propriet esclusiva, equiparata (in relazione alla sua funzione di copertura
della parte sottostante dell'edificio) al lastrico solare in senso stretto e tale considerata anche nel regime della
sopraelevazione.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5776, Belforti c. Ded.
La terrazza a livello, anche se di propriet esclusiva, equiparata (in relazione alla sua funzione di copertura
dell'edificio) al lastrico solare in senso stretto e tale considerata anche nel regime della sopraelevazione; ne
consegue che il regolamento condominiale pu limitare il diritto di sopraelevazione spettante al proprietario
dell'appartamento a cui la terrazza afferisce soltanto se esso ha natura contrattuale.* Cass. civ., sez. II, 19 luglio
1999, n. 7678, Ercolino c. Cond. via Doria 40 Roma.
Il giudice che richiesto di ordinare la demolizione di un'opera eseguita da un condomino su una terrazza di
copertura condominiale perch altera il decoro architettonico dell'edificio, e perci costituisce innovazione vietata
ai sensi dell'art. 1120, comma secondo, c.c., accoglie la domanda ai sensi dell'art. 1127, comma terzo, c.c.
perch ravvisa il pregiudizio estetico dell'edificio, e perci l'illegittimit della sopraelevazione, ma accerta,
incidenter tantum, conformemente alle difese del convenuto, la propriet esclusiva della terrazza, non va ultra
petita perch questo un presupposto della causa petendi - alterazione del decoro architettonico - rimasta
identica, come il petitum attribuito - la demolizione - pur se con argomenti diversi da quelli prospettati.
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1998, n. 10334, Meroni e altra c. Bianco.
I condomini possono opporsi alla sopraelevazione eseguita dal condomino dell'ultimo piano sul suo terrazzo a
livello, o lastrico solare, che pregiudica le caratteristiche architettoniche dell'edificio e, se eseguita, ne possono
chiedere la riduzione in pristino e il risarcimento del danno; ma la relativa azione, posta a tutela dei proprietari
esclusivi del piano sottostante, comproprietari delle parti comuni, soggetta a prescrizione ventennale, perch il
diritto soggettivo reale del condomino a far valere la non alterazione del decoro architettonico, disponibile e si
prescrive per mancato esercizio ventennale, s che il condomino che ha sopraelevato in violazione dell'obbligo di
cui al comma terzo dell'art. 1127 c.c. acquista, per usucapione, il diritto a mantenere la costruzione cos come
l'ha realizzata, diversamente dal caso in cui con essa comprometta le condizioni statiche dell'edificio, perch in
questo caso non vi un limite al suo diritto di sopraelevare, ma manca il presupposto stesso della sua
esistenza, e perci la relativa azione di accertamento negativo imprescrittibile.
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1998, n. 10334, Meroni ed altra c. Bianco P. ed altri.
o) Sostituzione con un tetto a falde
La sostituzione della copertura di lastrico solare con un tetto a falde richiede l'autorizzazione paesistica, poich
non costituisce opera di manutenzione straordinaria. La L. 8 agosto 1985, n. 431 esclude la configurabilit di tale
ultimo intervento (in ci differenziandosi dalla normativa urbanistica) quando, come nel caso suddetto, si verifichi
una immutazione appariscente e rilevante, dell'aspetto esteriore dell'edificio.* Cass. pen., sez. III, 21 giugno
1994, n. 1447 (c.c. 6 maggio 1994p)
Spese

Il proprietario esclusivo del lastrico solare partecipa ai diritti e agli obblighi della comunione delle cose e dei
servizi dell'edificio che derivano dalla disciplina del condominio edilizio, anche se non sia proprietario di un piano
o di una porzione di piano; partecipando egli, pertanto, alla comunione del suolo su cui l'edificio insiste, deve
regolarmente operarsi la detrazione dell'importo della quota di compropriet a lui spettante per determinare
l'indennit che egli tenuto a corrispondere, in caso di sopraelevazione, gli altri condomini, a norma dell'art.
1127 c.c.* Cass. civ., sez. II, 26 marzo 1976, n. 1084.
Il proprietario esclusivo del lastrico solare tenuto al pagamento, in porzione dei relativi millesimi, delle spese
condominiali comuni anche nel caso in cui vietato sopraedificare dalla normativa edilizia applicabile nella zona
ove esiste l'edificio, perch tale divieto - peraltro non immutabile- non fa venir meno il suo diritto di propriet sul
lastrico solare, n questo utilizzabile soltanto per sopraelevare.
* Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1999, n. 13328, Cerruti c. Cond. Via Pareto,6, Noli.
In base al criterio di ripartizione delle spese stabilito dall'art. 1126 c.c. il proprietario esclusivo del lastrico solare
(cui va equiparata la terrazza a livello) deve contribuire nelle spese di riparazione soltanto nella misura di un
terzo, senza dover concorrere nella ripartizione degli altri due terzi della spesa stessa, che restano a carico dei
soli proprietari dei piani sottostanti ai quali il lastrico (o la terrazza) serve da copertura.* Cass. civ., sez. II, 3
maggio 1993, n. 5125, Marimonti c. Buoncristiano e Condominio di via Cadlolo n. 118/134.
La norma dell'art. 1126 c.c., prevedendo testualmente che la contribuzione per un terzo delle spese di
rifacimento del lastrico solare deve far carico ai condomini <<che ne hanno l'uso esclusivo>> anzich a quelli
che ne <<fanno>> uso esclusivo, attribuisce all'espressione <<uso esclusivo>> il significato di mera potenzialit
o facolt dell'uso, quale che sia il concreto modo, anche di semplice inerzia, del suo estrinsecarsi,
confermandosi dal tenore della stessa norma, come dalla sua ratio, la volont del legislatore di prescindere da
una effettiva utilizzazione del bene ed il riferimento alla utilitas ricavabile all'infuori od in pi di quella insita nella
generale funzione di copertura sui cui soli fruitori non far gravare le relative spese. * Cass. civ., sez. II, 12
marzo 1993, n. 2988,
La spesa per la riparazione o ricostruzione del lastrico o della terrazza a livello deve essere sostenuta per un
terzo da coloro che ne hanno l'uso esclusivo e per due terzi dai condomini dell'edificio o delle parti di edificio a
cui il lastrico serve come copertura; pertanto, individuati i condomini che hanno l'uso esclusivo del lastrico e
posto a loro carico un terzo delle spese di ricostruzione o riparazione, la rimanente parte di dette spese deve
essere imputata esclusivamente ai proprietari degli appartamenti situati nella zona dell'edificio coperta dal
lastrico.* Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1994, n. 3542,
Il criterio di ripartizione fra i condomini di un edificio delle spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare
o della terrazza a livello che serva di copertura ai piani sottostanti, fissato dall'art. 1126 c.c., (un terzo a carico
del condomino che abbia l'uso esclusivo del lastrico o della terrazza; due terzi a carico dei proprietari delle unit
abitative sottostanti) riguarda non solo le spese per il rifacimento o la manutenzione della copertura, e cio del
manto impermeabilizzato, ma altres quelle relative agli interventi che si rendono necessari in via
conseguenziale e strumentale, s da doversi considerare come spese accessorie (nella specie: spese per il
rifacimento della pavimentazione e del parapetto, nonch per il trasporto e la discarica dei detriti).
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1992, n. 11449, Ridella c. Morano.
L'articolo 1126 c.c, nel disciplinare la ripartizione delle spese di riparazione e ricostruzione del lastrico solare per
chi ne ha l'uso esclusivo non specifica la natura reale o personale di esso, che invece determinata dal titolo,
n al fine rileva l'attribuzione millesimale, utilizzata come criterio per contribuire agli oneri condominiali.
* Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1999, n. 8532, Bellerate c. Cond. Tre Pini - Lido di classe - Ravenna.
La disposizione dell'art. 1126 c.c, il quale regola la ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione del
lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle riparazioni dovute a vetust e non a quelle
riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell'opera, indebitamente tollerati dal singolo
proprietario. In tale ultima ipotesi, ove trattasi di difetti suscettibili di recare danno a terzi, la responsabilit
relativa, sia in ordine alla mancata eliminazione delle cause del danno che al risarcimento, fa carico in via
esclusiva al proprietario del lastrico solare, ex. art. 2051 c.c., e non anche -sia pure in via concorrenziale- al
condominio.* Cass. civ., sez. III, 18 giugno 1998, n. 6060, Tozzi c. Suma ed altro, in Arch. loc. e cond. 1998,
685.
In un condominio, il lastrico di copertura di una parte individuata dell'edificio condominiale che ha la funzione,
oltre che di copertura di tale parte, anche di raccolta delle acque di scolo di altre parti dell'edificio deve ritenersi
destinato a servire anche queste ultime, con la conseguenza che le spese di manutenzione devono essere
ripartite tra tutti i condomini che ne traggono utilit, tenendo conto della diversa utilit che ciascuna parte pu
trarre.* Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1999, n. 3803, Loscialpo c. Condominio di via Valsesia n. 47 in Roma
[RV525463]
In tema di condominio di edifici la terrazza a livello, anche se di propriet o in godimento esclusivo di un singolo
condomino, assolve alla stessa funzione di copertura del lastrico solare posto alla sommit dell'edificio nei
confronti degli appartamenti sottostanti. Ne consegue che a norma dell'art. 1126 c.c. alla manutenzione della
terrazza a livello sono tenuti, a norma dell'art. 1126 c.c., tutti i condomini cui la terrazza funge da copertura, in
concorso con l'eventuale proprietario superficiario o titolare del diritto di uso esclusivo. Conseguentemente, i
danni cagionati all'appartamento sottostante da infiltrazioni di acqua provenienti dalla terrazza deteriorata per
difetto di manutenzione devono rispondere tutti i condomini tenuti alla sua manutenzione, secondo i criteri di
ripartizione della spesa stabiliti dall'art. 1126 c.c. La domanda di risarcimento dei danni proponibile nei
confronti del condominio in persona dell'amministratore, quale rappresentante di tutti i condomini tenuti ad
effettuare la manutenzione, ivi compreso il proprietario dell'appartamento posto allo stesso livello della terrazza.
* Cass. civ., sez. II, 11 settembre 1998, n. 9009, Cond. Via Gradoli, 65 - Roma c. Gorgerino.
Il condomino di un edificio che, come proprietario del piano attico, ha l'uso esclusivo di terrazze poste a livello

del suo appartamento aventi anche funzione di copertura (lastrico solare) delle sottostanti parti dello stabile,
deve concorrere alla spesa di riparazione o ricostruzione del lastrico solare soltanto nella misura di un terzo,
restando gli altri due terzi della spesa stessa a carico dei proprietari di piani o porzioni di piani sottostanti, ai
quali il lastrico serve da copertura, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.*
Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1976, n. 497.
L'onere del condomino il quale sia stato gravato, ai sensi dell'art. 1126 cod. civ. di un terzo delle spese di
rifacimento del lastrico solare di cui abbia l'uso esclusivo in base ad una clausola del regolamento contrattuale
del condominio, non viene meno ove l'accesso al detto lastrico rimanga assicurato ancorch con manufatti
diversi da quelli all'uopo previsti nella suddetta clausola e non eseguiti dal costruttore dell'edificio.* Cass. civ.,
sez. II, 9 dicembre 1988, n. 6681, Balestrero c. Cond. V. Puggia.
Il lastrico solare, anche attribuito in uso esclusivo a uno dei condomini - ovvero in propriet esclusiva dello
stesso - svolge funzione di copertura del fabbricato e perci, ai sensi dell'art. 1126 cod. civ., le spese per la sua
riparazione o ricostruzione sono poste per due terzi a carico del condominio. Di conseguenza, anche i danni
cagionati dalla mancata manutenzione del lastrico o del manto impermeabile che protegge l'ultimo piano
dell'edificio non possono essere messi interamente a carico del proprietario o usuario del lastrico stesso, ma
debbono essere risarciti col concorso del condominio nella proporzione prevista dalla citata norma.* Cass. civ.,
sez. II, 14 febbraio 1987, n. 1618, Miglio c. Mosca.
In tema di ripartizione delle spese condominiali le attribuzioni dell'assemblea ex art. 1135 c.c. sono circoscritte
alla verificazione ed all'applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, che non comprendono il potere di
introdurre deroghe ai criteri medesimi, atteso che tali deroghe venendo ad incidere sul diritto individuale del
singolo condomino di concorrere nelle spese per le cose comuni dell'edificio condominiale in misura non
superiore a quelle dovute per legge, possono conseguire soltanto ad una convenzione cui egli aderisca.
Pertanto nulla e non meramente annullabile, anche se presa all'unanimit, la delibera che modifichi il criterio
legale di ripartizione delle spese di ripartizione del lastrico solare stabilito dall'art. 1126 c.c., senza che i
condomini abbiano manifestato la espressa volont di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso,
con la conseguenza che detta nullit pu essere fatta valere, a norma dell'art. 1421 c.c., anche dal condomino
che abbia partecipato all'assemblea esprimendo voto conforme alla deliberazione stessa, purch alleghi e
dimostri di avervi interesse per derivare dalla deliberazione assembleare un apprezzabile suo pregiudizio, non
operando nel campo del diritto sostanziale la regola propria della materia processuale secondo cui chi ha
concorso a dare causa alla nullit non pu farla valere.
* Cass. civ., sez. II, 3 maggio 1993, n. 5125, Marimonti c. Buoncristiano e Condominio di via Cadlolo n. 118/134.
La funzione delle terrazze a livello di copertura dei piani sottostanti non essenziale e preminente come nel
caso dei lastrici solari condominiali, bens meramente sussidiaria rispetto all'altra derivante dalla loro natura e
caratteristica di estensione ed integrazione dell'appartamento cui sono annesse. Conseguentemente, la
ripartizione delle spese di manutenzione o ricostruzione deve effettuarsi tra il proprietario della terrazza e gli altri
condomini in proporzione dei vantaggi da essi rispettivamente ritrattati, soccorrendo all'uopo la disciplina degli
artt. 1123 e 1126 cod. civ., salvo che le spese si siano rese necessarie per fatto imputabile solo a chi ha l'uso
esclusivo del terrazzo.
* Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1986, n. 1029, Tersigni c. Pullini.
La spesa per la riparazione o ricostruzione del lastrico o della terrazza a livello va sopportata per un terzo da
coloro che ne hanno l'uso esclusivo e per due terzi da tutti i condomini dell'edificio o della parte di questo a cui il
lastrico o la terrazza serve, in proporzione del valore del piano di ciascuno. Pertanto, non solo bisogna separare
i condomini che hanno l'uso esclusivo del lastrico e della terrazza, per porre a loro carico un terzo dell'onere
della ricostruzione o riparazione, ma, nell'ambito dei rimanenti condomini, va fatta un'ulteriore distinzione fra
coloro che hanno e coloro che non hanno appartamenti nella zona dell'edificio coperta dal lastrico o dalla
terrazza.* Cass. civ., sez II, 29 gennaio 1974, n. 244.
L'obbligo dei condomini dell'edificio cui il lastrico solare serve di copertura, di concorrere nelle spese di
ricostruzione e di manutenzione dello stesso - ancorch esso sia in tutto o in parte sottratto all'uso comune trova fondamento non gi nel diritto di propriet sul lastrico medesimo ma nel principio in base al quale i
condomini sono tenuti a contribuire alle spese in ragione dell'utilitas che la cosa da riparare o da ricostruire
destinata a dare ai singoli loro appartamenti. Da tanto consegue che anche i correlativi poteri deliberativi
dell'assemblea restano circoscritti nell'ipotesi anzidetta alle decisioni concernenti la riparazione, ricostruzione e
sostituzione degli elementi strutturali del lastrico solare, inscindibilmente connessi con la sua funzione di
copertura (solaio, guaine impermeabilizzanti etc.) senza che nessuna rilevanza rivesta la natura del diritto di uso
esclusivo, ovverossia il suo carattere reale o personale, spettante a taluni condomini, i quali soltanto, quali
fruitori delle relative utilit debbono sostenere le spese di riparazione e manutenzione e di quegli altri elementi
costruttivi e manufatti (ringhiere e simili ripari) che servono non gi alla copertura dell'edificio ma a soddisfare
altre utilit del lastrico o di quella parte di esso di uso esclusivo.
* Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1990, n. 10602, Pieragnoli c. Cond. V. Coppo.
La disposizione dell'art. 1126 c.c., il quale regola la ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione del
lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle riparazioni dovute a vetust e non a quelle
riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell'opera, indebitamente tollerati dal singolo
proprietario. In tale ultima ipotesi, ove trattasi di difetti suscettibili di recare danno a terzi (nella specie: imperfetta
impermeabilizzazione e difetti nei canali di scarico delle acque piovane che avevano invaso le propriet
sottostanti) la responsabilit relativa, sia in ordine alla mancata eliminazione delle cause del danno che al
risarcimento, fa carico in via esclusiva al proprietario del lastrico solare, ex art. 2051 c.c., e non anche - sia pure
in via concorrenziale - al condominio.* Cass. civ., sez. II, 24 agosto 1990, n. 8669, Zorzan c. Omodei.

Nel condominio degli edifici, il godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di
tutela possessoria quando uno di essi abbia alterato e violato, senza il consenso ed in pregiudizio degli altri
partecipanti, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o
restringere il godimento spettante a ciascun compossessore pro indiviso sulla cosa medesima. Pertanto, con
riguardo al lastrico solare, cui connaturata la funzione di copertura delle parti sottostanti dell'edificio
condominiale, commette spoglio il condominio che ne immuti lo stato di fatto o ne alteri la destinazione, con
l'effetto di escludere o ridurre apprezzabilmente, anche soltanto sul piano delle possibilit o modalit di esercizio
(accessibilit, ispezionabilit del manufatto), le precedenti facolt di utilizzazione e godimento del lastrico stesso
- riguardo in questa specifica funzione - degli altri condomini, restando irrilevante, in tale ipotesi, che l'eventuale
fine della immutazione sia quella di consentire o rendere pi agevole allo spoliator l'utilizzazione del lastrico
solare come piano di calpestio, non astrattamente incompatibile con la sua funzione di copertura.
* Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1993, n. 2947, Santi c. Addari.
Le spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare di un edificio, cui va assimilata la terrazza a livello,
devono essere sopportate a norma dell'art. 1126 c.c., in ragione di un terzo dal condomino che ne abbia l'uso
esclusivo, restando gli altrui due terzi della spesa stessa a carico dei proprietari dei piani o porzioni di piano
sottostanti ai quali il lastrico o la terrazza serve di copertura. Pertanto il proprietario esclusivo del lastrico o della
terrazza tenuto alla doppia contribuzione soltanto quando sia proprietario anche di una delle unit immobiliari
sottostanti, in proporzione al valore della medesima.
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1992, n. 11449, Ridella c. Morano.
Il principio della rimborsabilit al condominio - in assenza di autorizzazione dell'organo competente - delle sole
spese da costui sostenute in via d'urgenza deve essere applicato anche alle spese di riparazione e ricostruzione
del lastrico in uso esclusivo del condomino, trattandosi di spese comunque destinate ad essere ripartite tra tutta
la collettivit condominiale (secondo i criteri dell'art. 1126 c.c.) in funzione della comune utilit del bene quale
copertura dell'edificio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 27 maggio 1993, Ceva Valla c. Cond. Di via Roentgen nn. 16/18 di Milano, in Arch.
loc. e cond. 1994, 128.
I proprietari dei lastrici solari rispondono delle spese rese necessarie dal godimento esclusivo delle terrazze,
come nel caso di danni provocati da sovraccarichi o da esondazioni, cos come rispondono delle spese
destinate al ripristino della parte interna dei parapetti.* Corte app. civ. Milano, 15 settembre 1989, n. 1345.
E' illegittimo, per contrasto con l'art. 1126 c.c., il criterio di riparto o di spesa che, in relazione ad opere di
riparazione o ricostruzione della copertura di un edificio, oneri i soli condomini utenti in via esclusiva delle spese
di pavimentazione, limitando l'applicazione del diverso criterio di cui all'articolo citato, alle spese di
impermeabilizzazione.
* Trib. civ. Genova, 7 novembre 1990.
Nel caso in cui un lastrico solare non svolga alcuna funzione di copertura dello stabile condominiale o, se lo
svolga, lo faccia del tutto inutilmente e contro la volont dei condomini, le spese per la sua manutenzione vanno
ripartite ex art. 1123, secondo comma, c.c. e non ex art. 1126 c.c.* Trib. civ. Roma, sez. V, 18 marzo 1993, n.
4499, Boccardi e altra c. Condominio di via Santuario della Regina degli Apostoli n. 25 di Roma, in Arch. loc. e
cond. 1993, 746.
I condomini di un edificio cui un lastrico solare serva da copertura hanno l'obbligo di concorrere nelle spese di
ricostruzione e di manutenzione, ancorch esso sia in tutto od in parte sottratto all'uso comune, perch tale
obbligo trova fondamento non gi nel diritto di propriet del lastrico, ma nel principio in base al quale i condomini
sono tenuti a contribuire alle spese in ragione della utilit che la cosa da riparare o ricostruire destinata a dare
ai singoli.
* Trib. civ. Milano, 4 luglio 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 633.
Le spese di manutenzione di una copertura a lastrico con funzione di sostegno di un'area verde condominiale,
vanno ripartite tra i condomini proprietari del lastrico e della sovrastante area verde da una parte e i proprietari
delle sottostanti autorimesse, e devono essere rapportate alla diversa utilit ritratta, che pu equitativamente
fissarsi rispettivamente in 1/3 e 2/3. Gli interventi di manutenzione di tale copertura sono di competenza
dell'amministratore, ed l'assemblea che delibera sulle spese di manutenzione straordinaria.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in Parma e
Condominio di via Rav n. 1 in Parma, in Arch. loc. e cond. 1996, 75.
Deve porsi a carico dei soggetti interessati alla funzione di copertura della terrazza a livello la quota (dell'importo
pari ai due terzi dell'intera spesa) proporzionale alla parte di edificio condominiale in cui sono contenute le
propriet comuni e quelle esclusive, calcolando opportunamente la misura dell'incidenza di tali parti.* Trib. civ.
Milano, 7 novembre 1994, in Giust. civ. 1995, I, 1371.
Nel caso di rifacimento di una terrazza a livello, attrezzata e corredata da aiuole in muratura, posta al primo
piano e costituente il tetto di un solo locale adibito ad autorimessa, le spese condominiali devono essere ripartite
secondo i criteri indicati dall'art. 1126 c.c.* Trib. civ. Genova, sez. III, 14 febbraio 1996, n. 417, Accame c.
Corsanego, in Arch. loc. e cond. 1996, 400
La disciplina di cui all'art. 1126 non applicabile in ordine alla ripartizione delle spese di riparazione di un
terrazzo che, pur svolgendo funzione di copertura per una limitata colonna di appartamenti, nella libera
disponibilit di tutti i condomini.
* Corte app. civ. Milano, 9 marzo 1990, n. 392, in Arch. loc. e cond. 1991, 325.
q) Uso esclusivo del lastrico
L'art. 1126 c.c., nel prevedere la possibilit di uso esclusivo del lastrico solare, non specifica la natura giuridica
di tale diritto, il quale pu avere carattere reale o personale ed comunque quello che risulta dal titolo, ma, in
mancanza di titolo, ha vigore la regola generale del regime di comunione, dato che la superficie (della

terrazza-lastrico solare) serve pur sempre a coprire i vani sottostanti dell'edificio condominiale, e che tale regime
non escluso dal solo fatto che dal bene uno o pi comproprietari traggano utilit maggiori rispetto agli altri.
Perch una terrazza a livello, che esplichi anche funzione di copertura dei piani sottostanti, possa ritenersi di
propriet esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui alla terrazza medesima si accede, necessario che
essa faccia parte integrante, da un punto di vista strutturale e funzionale, del piano cui annessa, di tal che la
funzione di copertura dei piani sottostanti si profili, come meramente sussidiaria.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1974, n. 1501.
Il condomino che, essendo titolare del diritto di uso esclusivo sul lastrico solare, vi rinunzi esonerato dalla
contribuzione nelle spese di riparazione e ricostruzione del lastrico secondo il criterio dell'art. 1126 c.c., e deve
parteciparvi in base alla quota millesimale di propriet, non potendo estendersi analogicamente alla rinunzia ad
un particolare diritto di uso sulla cosa comune la norma dell'art. 1118, secondo comma, c.c., in base alla quale la
rinunzia al diritto di propriet sulle cose comuni non esonera il rinunziante dalle spese per la loro conservazione,
dal momento che tale norma, oltre a costituire deroga all'opposto principio generale stabilito dal primo comma
dell'art. 1104 c.c., trova la sua ratio nell'inscindibile collegamento tra la fruizione della propriet comune e la
fruizione di quella individuale e nella conseguente esigenza di non consentire e al condomino di sottrarsi alla
contribuzione nelle spese per la conservazione di beni dei quali egli continuerebbe necessariamente a godere
pur dopo avervi rinunziato, che non sussiste invece nel caso di un bene il cui godimento, puramente eventuale,
rimesso alla libera determinazione del suo titolare e con la rinunzia di questi si trasferisce alla collettivit dei
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 10 aprile 1996, n. 3294, Meroli c. Bonfiglio.
Il diritto esclusivo di calpestio del lastrico solare pu essere acquistato per usucapione.* Cass. civ., 17 aprile
1973, n. 1103.
Il condomino legittimato ad impugnare con l'azione di nullit ex art. 1421 c.c. una deliberazione assembleare
come esorbitante i poteri che competono all'assemblea purch deduca e dimostri di avere interesse
all'accertamento della nullit, e cio che la deliberazione impugnata gli arreca un apprezzabile pregiudizio ( nella
specie di un condomino avente l'uso esclusivo di una parte del lastrico solare aveva fatto valere la nullit della
deliberazione assembleare che aveva deciso il rifacimento della pavimentazione per tutta la superficie del
lastrico medesimo sostituendo altro tipo di mattonato a quello preesistente, senza indicare quale concreto
pregiudizio era a lui derivato dall'anzidetta sostituzione).* Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1990, n. 10602,
Pieragnoli c. Cond. V. Coppo.
r) Vedute
Al fine di configurare una veduta da terrazze, lastrici solari e simili, necessario che queste opere,
oggettivamente considerate, abbiano quale destinazione normale e permanente, anche se non esclusiva, quella
di rendere possibile l'affacciarsi sull'altrui fondo vicino, cos da determinare il permanente assoggettamento al
peso della veduta; e non occorre che tali opere siano sorte per l'esclusivo scopo dell'esercizio della veduta,
essendo sufficiente che esse, per l'ubicazione, la consistenza e la struttura, abbiano oggettivamente la detta
idoneit.* Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1990, n. 11125, De Carlo c. Console.
MIGLIORAMENTI APPORTATI ALLA COSA LOCATA
L'art. 939 c.c. regola, in via generale, soltanto l'unione e la commistione fra cose appartenenti a diversi
proprietari verificatesi in assenza di precedenti rapporti giuridici fra i medesimi. L'ipotesi di addizioni eseguite dal
conduttore nell'ambito del contratto di locazione , invece, regolata dall'art. 1593 c.c., che, in quanto norma
speciale rispetto al cit. art. 939 c.c. trova esclusiva applicazione. Pertanto, trattandosi di addizione separabile, il
proprietario della cosa beata ha un incondizionato diritto ad ottenerne la rimozione, abbia o meno consentito, in
costanza di contratto, alla sua esecuzione. Il consenso del proprietario al compimento dell'addizione, infatti,
rilevante nella sola ipotesi in cui l'addizione non sia rimovibile senza danno per la cosa locata ed, inoltre,
costituisca un miglioramento di questa, secondo quanto stabilisce l'art. 1592, richiamato dall'art. 1593 c.c.
* Cass. civ., sez. I, 19 giugno 1971, n. 1891.
Lo jus tollendi pu essere esercitato dal conduttore al termine della locazione sempre che il locatore non
preferisca ritenere le addizioni; il conduttore che intenda esercitare tale diritto deve, pertanto, darne preavviso al
locatore.
* Cass. civ., sez. Il, 11 febbraio 1972, n. 395.
L'indennit per miglioramenti e per addizioni deve essere corrisposta, in ipotesi di vendita dell'immobile locato
nel corso del contratto. da chi alla cessazione del rapporto locatore, e cio dall'acquirente che, ricevendo in
consegna l'immobile locato, esercita il diritto di ritenere le cose amovibili.* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1974,
n. 3902.
La decisione del locatore di ritenere un'opera eseguita nell'alloggio locato a cura del conduttore ed avente le
caratteristiche dell'addizione, essendo conforme ad esplicito e preciso diritto conferitogli dalla legge (art. 1593
c.c.) non pu configurare un atto di spoglio ancorch sia adottata contro il volere dell'ex conduttore.* Cass. civ.,
sez. II, 7 ottobre 1991, n. 10477, Nardi c. Mantoet.
Qualora in un contratto di locazione sia previsto il divieto per il conduttore di apportare modifiche all'immobile
locato senza il preventivo ed esplicito consenso del proprietario - locatore, non incombe a quest'ultimo, che
abbia agito per l'eliminazione delle modifiche apportate dal conduttore, la prova della sua opposizione, bens al
conduttore la dimostrazione di avere ottenuto il preventivo espresso consenso del locatore, senza che sia
sufficiente la mancata opposizione ad un progetto genericamente prospettato.* Cass. civ., sez. III, 7 aprile 1988.
n. 2740, Di Cesare c. Cossu.
La disciplina dei miglioramenti e delle addizioni eseguite dal conduttore sulla cosa locata. dettata dagli artt. 1592
e 1593 cod. civ., riguarda soltanto quelle innovazioni o quegli incrementi, qualitativi o quantitativi, che ineriscono

alla cosa locata in quanto compiuti nell'ambito rigoroso dei suoi confini, lasciandone integra la struttura
fondamentale, l'organizzazione funzionale autonoma e la destinazione sua propria, e ad essa non pu farsi
riferimento quando si tratti di alterazioni strutturali profonde, che abbiano come conseguenza la trasformazione,
anche di una parte soltanto, della cosa locata.
* Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1988, n. 5747, Sambiase c. Camerino Scalf.
In tema di miglioramenti e d addizioni alla cosa locata, il consenso del locatore previsto dagli artt. 1592 e 1593
cod. civ. non pu consistere in una semplice tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca
dichiarazione di volont, intesa come esplicita approvazione delle innovazioni, sicch la conoscenza e la
mancata opposizione del locatore non vale a legittimare la richiesta di indennizzo del conduttore.* Cass. civ.,
sez. III, 28 ottobre 1989, n. 4512, Martini c. Bongiovanni.
In tema di miglioramenti ed addizioni alla cosa locata, le disposizioni di cui agli artt. 1592 e 1593, non essendo di
carattere imperativo, sono derogabili dalle pattuizioni contenute nel contratto.* Cass. civ., sez. III, 11 gennaio
1991, n. 192, Bocchini c. Boffa.
Il consenso del locatore previsto dagli artt. 1592 e 1593 c.c. in terna di miglioramenti e addizioni alla cosa locata,
non pu consistere in una semplice tolleranza, ma deve concretarsi in una chiara ed inequivoca manifestazione
di volont volta ad approvare le eseguite innovazioni che si manifesti in fatti concludenti e in un comportamento
incompatibile con un contrario proposito.* Cass. civ., sez. III, 12 aprile 1996, n. 3435, Cellai c. Di Bona.
E' facolt del conduttore apportare alla cosa locata quelle migliorie od innovazioni che non ne mutino la natura e
la destinazione pattuita. Non trova applicazione, in questo caso, la norma di cui all'art. 1587 n. 1 c.c., ma solo la
disciplina delle migliorie e delle addizioni, di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c.* Cass. civ., sez. III, 8 novembre 1996,
n. 9744, Riva c. Lucia Mario.
Le norme, contenute negli artt. 1592 e 1593 c.c., sono applicabili anche alle accessioni operate dal conduttore
che, originariamente separabili per la loro natura fisica, siano divenute giuridicamente inseparabili per
disposizione di legge o per vincolo amministrativo, dovendosi ritenere che la volont di legge, come attuata, si
sia sostituita al consenso del locatore in ordine alle addizioni al proprio immobile, per la regolamentazione di pi
beni originariamente separabili come entit indivisibile. (Nella fattispecie concreta il vincolo era stato imposto
con decreto del Ministro dei beni culturali ed ambientali ai sensi dell'art. 2 della legge 1 giugno 1939 n. 1089 per
la destinazione d'uso e gli arredi interni di un locale commerciale di particolare interesse artistico e storico ed era
nata controversia alla cessazione del rapporto di locazione sulla sorte degli arredi e sul diritto all'indennizzo a
favore del conduttore).* Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 1996, n. 10959, Soc. Immobiliare Santa Costanza c. Fina
e altro.
Se il conduttore ha citato in giudizio il locatore prima del 30 aprile 1995 per ottenere il rimborso delle spese per i
miglioramenti apportati, con il consenso del locatore, all'immobile e costituiti anche da addizioni (artt. 1592 e
1593 c.c.), la competenza per materia spetta al pretore in base all'art. 8 n. 3 c.p.c. (nuova formulazione),
applicabile ai giudizi in corso a detta data, ai sensi dell'art. 90, comma terzo, legge n. 353 del 1990, come
modificato dall'art. 9 del D.L. n. 432 del 1995, convertito in legge n. 534 del 1995.* Cass. civ., sez. III, 23 maggio
1997, n. 4608, Altair Sas c. Eredi di Cipani.
In tema di miglioramenti ed addizioni all'immobile apportati dal conduttore, la manifestazione di consenso del
locatore, di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c., non pu desumersi da un suo comportamento di mera tolleranza, ma
deve concretarsi in una chiara e non equivoca espressione di volont, da cui possa desumersi la esplicita
approvazione delle innovazioni medesime, cos che la mera consapevolezza, o la mancata opposizione, del
locatore riguardo alle stesse non legittima il conduttore alla richiesta di indennizzo.* Cass. civ., sez. III, 24 giugno
1997, n. 5637, Soc. Nadia c. Pagliaro, in questa Rivista 1997, 811.
Il contratto novennale stilato per scrittura privata che preveda il pagamento di un canone mensile indicizzato e
l'obbligo del ripristino del terreno con abbattimento di eventuale manufatto e asporto del materiale, ha natura
obbligatoria e carattere locatizio, mentre non comporta la concessione del diritto di superficie su un'area, che
prevede il pagamento in un'unica soluzione di un corrispettivo al proprietario o tutt'al pi di un solarium annuale
e dal quale, in caso di estinzione del diritto, normalmente consegue che l'eventuale costruzione ricada nel
dominio del proprietario.
* Corte app. civ. Roma, sez. I, 13 febbraio 1989, P.M. Spa e. Ministero delle finanze, in questa Rivista 1989,
492.
In difetto di consenso del locatore e nell'ipotesi di mancato esercizio da parte di quest'ultimo dello jus retinendi di
cui all'art. 1593, comma primo, c.c., il conduttore, non potendo imporre al proprietario innovazioni migliorative da
lui non approvate, pur legittimamente apportate alla cosa locata in corso di contratto, n, tanto meno, potendo
pretendere il pagamento del relativo importo, tenuto (ove il locatore lo richieda) alla rimessione in pristino a
proprie spese, in applicazione dell'art. 1590, comma primo, c.c., ancorch le trasformazioni eseguite
concretizzino addizioni non separabili senza nocumento del bene oggetto della locazione. (Nella fattispecie
stata ritenuta la sussistenza del diritto del locatore di ottenere il ripristino del preesistente stato
dell'appartamento locato e, in particolare, la rimozione della moquette applicata sul pavimento in marmo e della
tappezzeria in stoffa applicata alle pareti dell'immobile a spese del conduttore, essendosi, peraltro, escluso ogni
ulteriore obbligo di quest'ultimo - una volta posto a suo carico il costo della mera ed effettiva rimozione delle
suddette addizioni - di ricostituzione delle originarie ed ottimali condizioni dell'immobile, eventualmente esistenti
alla data di inizio della locazione e che siano risultate naturalmente compromesse per effetto del deterioramento
dovuto alla normale usura del medesimo).
* Pret. civ. Busto Arsizio, 15 novembre 1996, n. 270, Gallazzi ed altri e. Erba, in questa Rivista 1996, 960.
L'inidoneit dell'immobile all'esercizio di una determinata attivit commerciale o industriale per la quale stato
beato (che pu consistere anche nella mancanza, originaria o sopravvenuta, dei requisiti all'uopo prescritti dalla
pubblica autorit) non comporta per il locatore l'obbligo di operare modificazioni o trasformazioni che non siano

state poste a suo carico dal contratto, poich al locatore incombe l'obbligo (previsto dall'art. 1575, n. 2, c.c.) di
conservare, e non gi di modificare, lo stato esistente al momento della stipula della locazione, che il conduttore
ha riconosciuto idoneo all'uso pattuito. (Nella fattispecie stata esclusa la sussistenza dell'obbligo del locatore di
sostenere la spesa di realizzazione di un servizio igienico per disabili imposta dall'autorit amministrativa ai fini
dell'adeguamento di un esercizio-bar alla normativa della L. 9 gennaio 1989, n. 13, recante: "Disposizioni per
favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati" ed stato, altres,
riconosciuto il diritto del locatore medesimo al ripristino del preesistente stato del 1'immobile, mediante
eliminazione del manufatto, a spese del conduttore al momento della cessazione della locazione e della
riconsegna della res locata).
* Pret. civ. Busto Arsizio, 21 aprile 1997, n. 245, Soc. Bar Madyson c. Lupi, in questa Rivista 1997, 467.
Il decreto di vincolo del Ministero per i beni culturali e ambientali, ai sensi degli artt. 1 e 2 della L. 1 giugno 1939,
n. 1089, sull'immobile e sui suoi decori e arredi non di ostacolo - qualora tali decori e arredi siano di propriet
del conduttore sottoposto ad esecuzione di sfratto - all'esecuzione dello sfratto medesimo, non potendosi privare
- per la sottoposizione al vincolo anche dei decori e degli arredi - il proprietario dell'immobile della disponibilit
dell'immobile stesso - bene di valore di gran lunga superiore a quello dei decori e degli arredi - e trovando
adeguata soluzione la perdita degli arredi da parte del conduttore nelle norme del codice civile in tema di
miglioramenti e di addizioni (artt. 1592 e 1593 c.c.) soprattutto considerando i decori e gli arredi come addizioni
non separabili per effetto del provvedimento di vincolo.
* Pret. civ. Firenze, ord. 11 aprile 1992, Rossi c. Soc. Neuber, in questa Rivista 1992, 638.
Nel caso in cui il locatore accordi al conduttore la facolt di provvedere alla edificazione dell'area nuda oggetto di
locazione, non si produce alcuna modifica in ordine alla natura del rapporto contrattuale, che resta soggetto alle
disposizioni della L. n. 392/78, dovendosi tra le parti provvedere solo alle relative restituzioni e reintegrazioni
dettate dagli artt. 1592 e 1593 c.c. una volta estinto il rapporto locativo. (Fattispecie relativa ad area nuda adibita
a lavaggio autovetture).
* Pret. civ. Pescara, 1 giugno 1987, Farchione c. Di Giuseppe, in questa Rivista 1987, 755.
L'indennit di cui agli artt. 34 e 69 L. n. 392/1978 si ricollega esclusivamente al canone corrente degli immobili
concessi in locazione, per i quali cio sia stata pattuita la cessione del godimento per un certo tempo in cambio
di un corrispettivo, e non si estende alle addizioni operate dal conduttore, non sussistendo, riguardo a queste
ultime, l'onere del canone in corso di rapporto: le stesse non possono di conseguenza essere prese a
riferimento per la quantificazione dell'indennit de qua.
* Pret. civ. Verona, 24 aprile 1990, n. 460, Trittoni L. e G. c. Righi Fascio, in questa Rivista 1990, 578.
L'azione mediante la quale il conduttore miri al conseguimento del valore dell'impianto antifurto che egli abbia
installato nell'appartamento condotto in locazione non pu svolgersi nei confronti di colui il quale sia subentrato
nella propriet dell'immobile dopo la cessazione del rapporto, stante il carattere personale del diritto regolato
dall'art. 1593 cod. civ., che inerisce esclusivamente al rapporto intervenuto tra le parti del contratto di locazione.
* Trib. civ. Monza, 19 novembre 1986, Ernesto c. Zaccardi, in questa Rivista 1987, 740.
Con riguardo all'indennit per le addizioni apportate dal conduttore alla cosa locata, mentre nel caso di
addizione separabile il proprietario ha un incondizionato diritto ad ottenerne la rimozione, abbia o meno
consentito alla sua esecuzione, detto consenso assume decisivo rilievo nell'ipotesi in cui l'addizione non sia
rimovibile e costituisca miglioramento della cosa locata.
* Trib. civ. Napoli, 27 novembre 1996, Terminiello ed altri c. Migliaccio, in questa Rivista 1998, 102.
MURI CONDOMINIALI
SOMMARIO: a) Abbattimento; b) Aperture; c) Attraversamento di condutture, cavi e tubature; d) Costruzione in
appoggio; e) Distanze legali; f) Facciata; g) In parte propriet comune ed in parte propriet esclusiva; h)
Intercapedini; i) Luci; l) Muro di sostegno del giardino; m) Muro divisorio; n) Nozione di muri maestri; o) Nozione
di muri perimetrali; p) Parapetti alla sommit delledificio; q) Pareti esterne; r) Sopraelevazione; s) Spese; t)
Utilizzo.
a) Abbattimento
Labbattimento di muro perimetrale di edificio condominiale in cemento armato ad opera di un condomino ravvisabile anche nel caso in cui venga rimossa la muratura (di tompagnamento) facente parte di detto muro incidendo sulla sostanza essenziale della cosa, non rientra nellambito dellart. 1102 cod. civ., che, nel regolare i
diritti dei partecipanti alla comunione al fine di salvaguardare linteresse comune e quello dei singoli consente
solo modificazioni delle cose comuni nei limiti indicati, bens costituisce innovazione, soggetta, come tale, alle
regole dettate dallart. 1120 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 18 giugno 1982, n. 3741, Di Chiara c. Severino.
La norma contenuta nellart. 1102 c.c., nel sancire il diritto di ogni partecipante alla comunione di servirsi della
cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il
loro diritto, gli attribuisce la facolt di apportarvi, a tal fine, le modificazioni necessarie al suo miglioramento ma
non certamente quella di eliminarla, sia pure per sostituirla poi con altra di diversa consistenza e struttura. Ne
consegue che labbattimento di un muro portante di un edificio in condominio - sia pur sostituito, come nella
specie, da travi in ferro - incidendo sulla struttura essenziale della cosa comune e sulla precipua funzione, non
pu farsi rientrare nellambito delle facolt concesse al singolo partecipante alla comunione dal citato art. 1102
c.c., ma costituisce vera e propria innovazione, soggetta, come tale, alle regole dettate dallart. 1120 c.c.
*Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1994, n. 9497, Martino c. Ghio.
b) Aperture
In tema di utilizzazione del muro perimetrale delledificio condominiale da parte del singolo condomino,
costituiscono uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 del cod. civ.,

le aperture praticate dal condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua esclusiva propriet,
esistenti nelledificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la
destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo allacquisto di una
servit (di passaggio) a carico della propriet condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5780, Parr. SS. Vito M. c. Cond. Via Fratt. Conf., Cass. civ., sez. II, 13
gennaio 1995, n. 360.
Qualora lapertura del muro perimetrale comune di un edificio condominiale sia eseguita dal singolo condomino
per mettere in comunicazione una unit immobiliare di sua esclusiva propriet con unaltra unit compresa in un
diverso fabbricato, luso del muro comune non pu ritenersi consentito a norma dellart. 1102 c.c. in quanto non
si risolve in un semplice maggiore suo godimento, ma integra una anormale e diversa utilizzazione diretta a
sopperire ai bisogni di un bene al quale non legato da alcun rapporto, venendo inoltre il muro e, quindi, le parti
comuni del fabbricato, quali le fondazioni ed il suolo di cui esso fa parte, ad essere gravate da una vera e
propria servit a favore di un bene estraneo al condominio, per la cui legittima costituzione, vertendosi in tema di
diritti reali immobiliari, richiesta a pena di nullit la manifestazione del consenso in forma scritta di tutti i
partecipi.* Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773, Magazzini c. Alessandri.
Costituisce uso indebito della cosa comune, non consentito, quindi, dalla norma dellart. 1102 cod. civ.,
lapertura praticata da un condomino nel muro comune per mettere in collegamento un vano delledificio
condominiale con altro suo immobile estraneo a detto edificio, in quanto tale apertura viene a creare una servit
a carico del condominio, per la cui costituzione richiesto il consenso di tutti i partecipanti alla comunione
risultante da atto scritto a pena di nullit.
* Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867, Cond. V. Teramo c. Soc. Setta.
Lapertura di una porta o di una finestra da parte di un condomino o la trasformazione di una finestra che
prospetta il cortile comune in una porta di accesso al medesimo mediante labbattimento del corrispondente
tratto di muro perimetrale che delimita la propriet del singolo appartamento non costituisce di per s abuso
della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come ius possidendi a tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1988, n. 1112. Castellana c. Marraffa.
Il condomino pu aprire nel muro comune delledificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti solo se
queste opere, di per s non incidenti sulla destinazione della cosa, non pregiudichino il decoro architettonico
delledificio.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1994, n. 4996. Borgato c. Cond. Il Casone di Cernobbio.
Il comproprietario o compossessore non pu servirsi di unarea comune per accedere, attraverso unapertura
appositamente creata in un muro divisorio comune, ad un immobile di sua esclusiva propriet o di suo esclusivo
possesso, diverso dal fondo al cui servizio larea venne originariamente creata, perch ci si risolverebbe nella
costituzione di una vera e propria servit di passaggio su tale area, ovvero in una molestia del compossesso
altrui.
* Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1987, n. 2973, Gianella c. Bickler.
Lapertura di varchi e linstallazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni delledificio
condominiale eseguiti da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso allunit immobiliare di sua propriet
esclusiva, di massima non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini,
non comportando per costoro una qualche impossibilit di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dellart.
1102, primo comma, c.c., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non gi
alla necessit di ovviare ad una interclusione dellunit immobiliare al cui servizio il detto accesso stato creato,
ma allintento di conseguire una pi comoda fruizione di tale unit immobiliare da parte del suo proprietario.*
Cass. civ., sez. II, 29aprile 1994, n. 4155, DUrso c. Di Giacomo.
I muri che delimitano il complesso condominiale, costituendone quindi il perimetro, non tollerano - abbiano essi
natura di muri portanti o meramente divisori - aperture, da parte di un condomino, ove realizzando un passaggio
con un immobile di appartenenza dello stesso condomino ma estraneo al condominio, possano dar luogo,
attraverso il prolungato possesso, ad acquisto di servit a carico dellentit condominiale che circoscrivono.
* Cass. civ., sez. II, 16 novembre 1985, n. 5628, Magnetto c. Fazzini.
Nellapplicazione delle regole di cui allart. 1102 cod. civ. il giudice non pu limitarsi ad esaminare se le
modificazioni apportate dal condominio alla cosa comune per il migliore godimento di questa o della sua
propriet singola siano o meno suscettibili di compromettere la stabilit e lestetica delledificio in base allassetto
attuale; ma deve invece accertare, in base allesame della destinazione attualmente impressa in concreto alla
cosa comune, nonch in base alle ragionevoli prospettive offerte dalloggettiva struttura, ubicazione e
destinazione delle propriet individuali e tenendo conto, altres, delle aspettative desumibili dalluso che ciascun
condomino faccia della sua propriet o da allegati apprezzabili mutamenti, se siano prevedibili modificazioni
uguali o analoghe da parte degli altri condomini e se queste sarebbero pregiudicate dalle modifiche gi attuate o
in via di attuazione. (Nella specie, in applicazione del principio di cui alla massima, stata ritenuta corretta la
decisione di merito che ha ritenuto legittima lapertura nel muro perimetrale comune di un accesso dal cortile
comune alla propriet esclusiva del condomino non risultando impedito luso da parte degli altri condomini n del
muro perimetrale n del cortile).
* Cass. civ., sez. II, 4 marzo 1983, n. 1637, Del Rosso c. Bandini.
Il condomino di un edificio, essendo comproprietario dellintero muro perimetrale comune e non della sola parte
di esso corrispondente alla sua esclusiva propriet, pu apportare a tale muro, senza bisogno del consenso
degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che consentono di trarre dal bene comune una
particolare utilit aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche allapertura
nel muro di un varco di accesso dal cortile condominiale ai locali di propriet esclusiva, purch non impedisca

agli altri condomini di continuare nellesercizio delluso del muro o di ampliarlo in modo e misura analoghi e non
alteri la normale destinazione del muro medesimo.
* Cass. civ., sez. II, 4 marzo 1983, n. 1637, Del Rosso c. Bandini.
In presenza di aperture nel muro comune di un edificio in condominio eseguite da un condomino in
corrispondenza della propria propriet individuale, il terzo estraneo al condominio che da tali aperture subisca
lesione nei propri diritti pu chiederne la modificazione o leliminazione nei confronti del singolo condomino che
lapertura ha eseguito, ma non pu, neppure citando in giudizio lintero condominio, invocare a fondamento del
proprio diritto la violazione del decoro architettonico delledificio condominiale a cui estraneo, in quanto il
decoro architettonico rappresenta solo un limite fissato alla facolt, individuale e collettiva, di apportare
modificazioni alledificio condominiale per il miglioramento, luso pi comodo o il maggior rendimento delle sue
parti, di propriet comune o di propriet singola e che opera nei soli confronti dei partecipanti al condominio e
non opponibile dai terzi.* Cass. civ.. sez. II, 13 gennaio 1983, n. 255, Lasagni c. Cattini.
Lapertura di nuove finestre o la trasformazione di quelle esistenti nel muro comune verso gli spazi condominiali
(nella specie, un pozzo di luce destinato ad arieggiare e illuminare i locali interni che vi prospettano), in
corrispondenza della propriet del singolo, costituisce esercizio del diritto di propriet e non di quello di servit,
per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondo altrui (artt. 900. 907, cod. civ.),
bens quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa,
senzaltro limite che lobbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilit e il decoro architettonico
delledificio e di non ledere i diritti degli altri condomini (artt. 1102, 1139 cod. civ.).
* Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1982, n. 6929. Pochy Rian c. Giannandrea.
Lapertura di un arco nel muro perimetrale di edificio condominiale, eseguita dal singolo condomino per
accedere in altra sua propriet esclusiva, estranea al condominio, costituisce un indebito uso di tale muro, in
quanto ne altera la destinazione e la funzione di recinzione del fabbricato condominiale, assoggettandolo a quel
passaggio in favore di un bene non compreso in detto fabbricato, suscettibile di tradursi nel corrispondente
diritto reale a carico dellimmobile condominiale.
* Cass. civ.. sez. II, 8 aprile 1982, n. 2175, Grimaldi c. Castiglione.
Il proprietario di un edificio e del pertinente cortile, che sia comproprietario, insieme con il proprietario di un
edificio latistante, del muro di recinzione del cortile del quale occasionalmente beneficia questultimo edificio,
non abbisogna a norma dellart. 1120 cod. civ. del consenso del partecipante alla comunione del muro per aprire
in esso un varco al fine di soddisfare il proprio particolare interesse di accedere dal proprio stabile alla strada,
ricorrendo lapplicazione della norma dellart. 1102 cod. civ. sulluso della cosa comune.* Cass. civ., sez. II, 5
febbraio 1982, n. 674, Lunardini c. Collina.
Salva lopposizione, per motivi di sicurezza o di estetica, degli altri partecipanti alla comunione, al condominio
consentito di aprire nel muro comune, sia esso maestro oppure no, luci sulla strada o sul cortile; tuttavia, qualora
il muro comune assolva anche la funzione di isolare e dividere la propriet individuale di un condominio dalla
propriet individuale di altro condominio, ricorrono anche gli estremi per lapplicabilit dellart. 903, secondo
comma, cod. civ., con la conseguenza che, in tal caso, lapertura della luce resta subordinata sia alle condizioni
ed alle limitazioni previste dalle norme in materia di condominio (con riguardo agli interessi riconosciuti a tutti i
partecipanti alla comunione e alle regole stabilite circa luso delle cose comuni da parte dei singoli condomini)
sia, alla stregua del secondo comma del citato art. 903 cod. civ., al consenso del condominio vicino, in
considerazione dellinteresse del medesimo alla riservatezza della sua propriet individuale.
* Cass. civ., sez. II, 12 giugno 1981, n. 3819, Gallo c. Cicatelli.
Lapertura di un vano nel muro perimetrale di edificio condominiale, eseguita dal singolo condomino in
corrispondenza dellandrone comune per accedere in altra sua propriet contigua, estranea al condominio,
costituisce un indebito uso del muro medesimo, in quanto ne altera la destinazione e la funzione di recinzione
del fabbricato condominiale, assoggettandolo a passaggio in favore di bene non compreso in detto fabbricato.
* Cass. civ., sez. II, 21 aprile 1981, n. 2339, Valeriani c. Valeriani.
Lapertura di finestre lucifere da parte del proprietario di un piano o porzione di piano nel muro perimetrale
comune delledificio condominiale non comporta mutamento dellessenza strutturale e funzionale del muro
stesso e deve perci ritenersi operata legittimamente anche senza il consenso degli altri condomini, semprech
non sia vietata da convenzioni speciali o da norme del regolamento di condominio, non pregiudichi il decoro,
lestetica o la stabilit delledificio e non ostacoli lesercizio del concorrente diritto degli altri condomini.Cass. civ.,
sez. II, 24 gennaio 1980, n. 597, Capria c.Laiacona.
La realizzazione di unapertura nel muro perimetrale delledificio condominiale, che metta in comunicazione senza pregiudizio per la stabilit e il decoro architettonico delledificio - lappartamento di propriet esclusiva con
il giardino "annesso", attuando un collegamento tra entit principale ed entit accessoria costituenti ununica
entit condominiale, si configura come atto di godimento rivolto ad una maggiore e pi intensa utilizzazione della
cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1978, n. 4592.
Il condomino di un edificio non pu, eseguendo una costruzione in aderenza al muro perimetrale comune,
chiudere unapertura destinata a dare luce ad un vano di propriet di altro condomino, giacch lart. 1102 c.c. gli
vieta di attrarre nella sua sfera esclusiva un elemento comune delledificio, con correlativo impedimento per un
altro condomino di continuare a farne uso in conformit alla sua destinazione.* Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1975,
n. 1560.
Nella controversia concernente la legittimit di unapertura praticata nel muro perimetrale di un edificio
condominiale da uno dei condomini, per mettere in comunicazione il proprio appartamento con altro, di sua
propriet, posto in un edificio attiguo, oggetto di diverso condominio, non necessario integrare il contraddittorio
nei confronti di questultimo.

* Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 1974, n. 3274.


Non consentito ad un condomino, senza il consenso degli altri condomini, praticare nel muro perimetrale
unapertura in modo tale da mettere in comunicazione due edifici completamente distinti fra di loro.* Trib. civ.
Piacenza, 3 luglio 1987, n. 314, Marchesi c. Burzi.
Ciascun condomino, purch nel rispetto dei limiti di cui allart. 1102 cod. civ., pu, senza necessit di preventiva
autorizzazione condominiale, aprire una porta nel muro comune.
* Trib. civ. Genova, sez. III, 18 luglio 1990, n. 2263, Mazzei e altra c. Condominio di Via La Spezia 4-6, Genova,
in Arch. loc. e cond. 1990, 744.
c) Attraversamento di condutture, cavi e tubature
Il comportamento della societ di distribuzione del gas che inserisce arbitrariamente e senza alcuna necessit la
diramazione per la fornitura del gas ad un utente condominiale anzich nella "presa" gi predisposta sulla
montante di distribuzione condominiale, in quella realizzata per lutenza di un singolo condomino, presenta i
caratteri della turbativa e molestia del godimento cui ha diritto questultimo sulla parte dei muri perimetrali
dellimmobile attraversati dalle condutture del gas.
* Pret. civ. Molfetta, 23 luglio 1988, n. 31, Germinano c. Italgas Sud Spa, in Arch. loc. e cond. 1989, 141.
Lesecuzione nei muri comuni di tracce e canali per lincasso degli impianti elettrici dei servizi di interesse
comune configura lipotesi di cui allart. 1102 c.c.* Trib. civ. Milano, 24 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1991,
592.
Le opere di canalizzazione murata comprendenti gli impianti elettrici, gli impianti del telefono e quelli
dellantenna televisiva non possono considerarsi delle innovazioni.* Trib. civ. Milano, 17 giugno 1991, in LAmm.
1991, n. 8.
Costituisce uso legittimo della cosa comune, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1102 e 1139 c.c.,
lutilizzazione dei muri comuni da parte del singolo condomino per installarvi tubature per lo scarico di acque o
per il passaggio del gas. nonch sfiatatoi per evitare il ristagno di odori.* Trib. civ. Trani. 19 gennaio 1991, n.
104, in Arch. loc. e cond. 1991, 120.
d) Costruzione in appoggio
Lillegittima costruzione in appoggio al muro perimetrale delledificio condominiale, eseguita dal condomino che
sia anche proprietario esclusivo del suolo adiacente a detto muro, pu dar luogo alla costituzione per
usucapione di una servit a favore del fondo di propriet esclusiva ed a carico di quello di propriet
condominiale e, comportando un uso della cosa comune in violazione dellart. 1102 cod. civ., costituisce una
lesione del diritto di propriet degli altri condomini, la quale, salvi gli effetti dellusucapione, perseguibile senza
limiti temporali quanto al diritto di ottenere la rimozione dellopera illegittima, mentre il diritto al risarcimento del
danno, conseguendo ad un illecito permanente, dato dalliniziale comportamento lesivo e dalla successiva
omessa eliminazione della situazione illegittima, soggiace a prescrizione pro rata temporis.
* Cass. civ., sez. II, 13 agosto 1985, n. 4427, Lippi c. Picecco e altro.
Non pu essere ravvisata una costruzione in appoggio, qualora tra i due muri vicini esista unintercapedine di
cinque centimetri, ricoperta con lamiera per evitare le infiltrazioni di acqua piovana, salvo che sia accertata
linterdipendenza delle due strutture murarie per leventuale "ammorsamento" dei solai di copertura ed il ridotto
spessore del nuovo muro in corrispondenza della pi consistente struttura preesistente.* Cass. civ., sez. II, 25
novembre 1977, n. 5152.
In tema di appoggio di costruzione al muro comune, lart. 884 c.c. riguarda la comunione del muro che risulti
instaurata ovvero si presuma sussistere tra proprietari, in quanto tali, di fondi finitimi, laddove non rientra nella
sua fattispecie quella particolare forma di comunione costituita dal condominio degli edifici, grazie alla quale si
trovi ad essere compartecipe della propriet del muro maestro di un fabbricato il proprietario esclusivo di un
fondo confinante. Costui, dato che i muri maestri delledificio condominiale sono destinati essenzialmente e
soltanto al servizio delledificio stesso, pu utilizzarli, per il miglior godimento del piano, o della porzione di piano,
a lui appartenente, ma non pu avvalersene, senza il consenso degli altri condomini, per lutilit dellaltro,
distinto immobile di cui egli solo, e non anche gli altri condomini, vanta la propriet; ci comporterebbe, infatti, la
costituzione di una servit a favore di un bene estraneo al condominio, costituzione che non pu legittimamente
avvenire senza il consenso di tutti i comproprietari.* Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1977, n. 3378.
Il diritto di compropriet dei condomini sulle parti comuni di un edificio deve ritenersi leso ove uno dei condomini,
in violazione delle regole sui rapporti di vicinato abbia volto lutilit che pu dare la cosa comune a vantaggio di
altra diversa e distinta sua propriet contigua. (Nella specie uno dei condomini aveva costruito in un cortile di
sua esclusiva propriet un manufatto in appoggio al muro perimetrale comune).* Cass. civ., sez. II, 24agosto
1981, n. 4985, Romanello c. Meloni.
La nuova costruzione, che risulti in appoggio (o in aderenza) non al muro in cui si apre la preesistente veduta
del vicino bens ad un muro - a questo addossato - dello stesso proprietario della costruzione, non soggetta
allosservanza della distanza verticale di tre metri dalla soglia della veduta prescritta dal terzo comma dellart.
907 c.c., che trova applicazione solo nel caso di appoggio della costruzione al muro nel quale si trova la veduta,
bens deve rispettare da questa la distanza di tre metri in linea orizzontale misurata a norma dellart. 905 c.c.,
come disposto dal primo comma dellart. 907 c.c., ove la nuova costruzione, anche se non raggiunga in altezza il
livello della veduta, si elevi in linea verticale oltre la distanza di tre metri dalla soglia della veduta stessa.
* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1991, n. 11217, Quattrone c. Vitrioli.
in appoggio la costruzione che scarica sul muro del vicino il peso degli elementi strutturali costitutivi di essa,
mentre in aderenza quella che posta in semplice e totale combaciamento con il muro del vicino, rispetto al
quale ha piena autonomia, strutturale e funzionale, con la conseguenza dellindipendenza del regime giuridico
delle due propriet contigue, si che il perimento o la demolizione delluna possano verificarsi senza che
lintegrit dellaltra ne sia compromessa. Ci premesso, deve ritenersi in appoggio anche la costruzione che

gravi col suo peso sulle fondazioni della fabbrica del vicino.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1974, n. 3177.
e) Distanze legali
Lart. 884 c.c., una norma speciale di stretta interpretazione, che per la fattispecie da esso disciplinata, deroga
alle norme generali sulla comunione fra cui lart. 1102 c.c., che regola luso della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1970, n. 538.
Nelle zone soggette alla legge 25 novembre 1962 n. 1684 (cosiddetta legge sismica) non possono trovare
applicazione le disposizioni dellart. 884 cod. civ. che consentono al comproprietario del muro comune di
immettervi travi, nonch di attraversare il muro "con chiavi e catene di rinforzo", trattandosi di disciplina
inoperante nelle zone sismiche per la prevalenza della relativa specifica legislazione.* Cass. civ., sez. II, 13
gennaio 1983, n. 252, Mirabile c. Cutroni.
A norma dell art. 884 c.c. - che va applicato per intero, non per parti separate, in quanto lultimo comma
stabilisce le condizioni di illiceit, richieste, fra laltro, per le aperture di incavi nel muro comune previste nel
primo comma - il comproprietario, senza ladempimento di alcuna preventiva formalit, pu legittimamente
praticare nel muro comune gli incavi che non riescano di danno o di pericolo per essi.* Cass. civ., sez. II, 5
marzo 1970, n. 538.
Il comproprietario del muro comune non pu praticare incavi che oltrepassino la met dello spessore del muro.
* Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1970, n. 2362.
La facolt di innalzamento del muro comune, prevista dallart. 885 c.c., non pu essere esercitata in violazione
delle distanze legali stabilite specificamente per le vedute, dallart. 907 dello stesso codice. Pertanto
linnalzamento del muro comune che delimiti un terrazzo o un lastrico solare con opere, quali un parapetto,
destinate permanentemente ed inequivocamente allesercizio della servit di veduta, non pu essere consentito,
risolvendosi in un impedimento allesercizio del corrispondente diritto da parte del proprietario del fondo
dominante.* Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1990, n. 11125, De Carlo c. Console.
f) Facciata
La facciata e il relativo decoro architettonico di un edificio costituiscono un modo di essere dellimmobile e cos
un elemento del modo di godimento da parte del suo possessore; di conseguenza la modifica della facciata,
comportando una interferenza nel godimento medesimo, pu integrare una indebita turbativa suscettibile di
tutela possessoria.
* Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7069, DAlessandria c. Michienzi. Conf., Cass. civ., sez. II, 10 luglio
1985, n. 4109, Rossattini c. Meneghini.
La facciata di prospetto di un edificio - abbia o meno valore architettonico o decorativo - rientra nella categoria
dei muri maestri, dei quali cenno espresso nel n. 1 dellart. 1117 c.c., e forma, conseguentemente, oggetto di
propriet comune dei proprietari dei diversi piani o porzione di piani riuniti in condominio; a carico di tutti costoro,
conseguentemente, deve porsi, in proporzione, la spesa di rifacimento dellintonaco.* Cass. civ., sez. II, 20
gennaio 1977, n. 298.
Ai fini della validit della deliberazione dellassemblea dei condomini che abbia disposto la esecuzione dei lavori
di rifacimento della facciata delledificio condominiale, necessario che il relativo argomento sia stato
specificamente inserito nellavviso di convocazione dellassemblea, in quanto, riguardando la materia della
amministrazione straordinaria del bene comune, non pu ritenersi compreso nella dizione "varie".
* Cass. civ., sez. II, 28 giugno 1986, n. 4316. Borsellino c. Cond. Vitt. Agrig.
Il criterio di ripartizione delle spese di cui allart. 1123 c.c., con riguardo allipotesi di cui al comma secondo, pu
trovare applicazione in concrete circostanze, con riguardo a qualunque parte comune delledificio e quindi anche
alla facciata, in guisa che i condomini siano obbligati a contribuire alle spese di manutenzione e riparazione, non
in base ai valori millesimali, ma in ragione dellutilit che la cosa comune sia obiettivamente destinata ad
arrecare a ciascuna delle propriet esclusive, laddove la spesa potrebbe gravare indistintamente su tutti i
partecipanti alla comunione secondo il criterio generale di cui allart. 1104 c.c. solo se la cosa comune in
relazione alla sua consistenza ed alla sua funzione fosse destinata a servire ugualmente ed indiscriminatamente
i diversi piani o le singole propriet. (Nella specie la S.C. ha ritenuto correttamente applicato il principio
surriportato con riguardo alla ripartizione delle spese di riparazione della pannellatura della facciata di un
edificio, sul rilievo che essa assolve ad una duplice funzione, luna di protezione verso lesterno dei balconi di
propriet esclusiva dei singoli condomini e di riparo dagli agenti atmosferici, laltra di abbellimento della facciata
del fabbricato).
* Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1992, n. 13655, Cond. Via Petraglione c. Tardelli.
La domanda proposta da un condomino nei confronti di altro condomino per ottenere la riduzione in pristino
della facciata delledificio condominiale, ove comporti laccertamento del diritto del condomino convenuto di
modificare sostanzialmente la facciata delledificio in forza del proprio titolo dacquisto, essendo destinata ad
incidere sui diritti su un bene comune degli altri condomini, deve essere decisa nei confronti di tutti, perch
investe un rapporto giuridico unico ed indivisibile, con la conseguenza che deve disporsi lintegrazione del
contraddittorio nei confronti dei condomini pretermessi a norma dellart. 102 c.p.c.
* Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1992, n. 11509, Comparini c. Ponzoni.
Non costituisce innovazione gravosa o voluttuaria, ai sensi dellart. 1121 cod. civ., il rivestimento in travertino
della facciata dello stabile condominiale fino allaltezza di m. 2,65; a maggior ragione non costituisce
innovazione gravosa o voluttuaria il rifacimento del rivestimento in marmo gi esistente.
* Pret. civ. Taranto, 27 maggio 1986, Cond. di via Plateja, 28, Taranto c. Carbone Mongelli, in Arch. loc. e cond.
1986, 500.
Qualora un condominio sia formato da parti edificali distinte, le spese per la imbiancatura delle facciate non
possono essere ripartite fra tutti i condomini in base ai millesimi di propriet.

* Trib. civ. Milano, 21 marzo 1991, in LAmm. 1991, n. 5.


Deve considerarsi valida la delibera assembleare che ha conferito allamministratore lincarico di direttore dei
lavori da eseguirsi sulle facciate condominiali.* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990, in LAmm. 1990, n. 5.
In materia di condominio i proprietari dei boxes, situati in corpo di fabbrica separato e retrostante, sono tenuti a
contribuire alle spese di conservazione e di manutenzione della facciata, indipendentemente dal fatto che essi
debbano o meno passare allinterno delledificio di cui essa faccia parte.* Trib. civ. Milano 18 novembre 1991, in
Giust. civ. 1992, I, 3181.
g) In parte propriet comune ed in parte propriet esclusiva
Qualora un muro sia in parte in propriet comune ed in parte in propriet esclusiva, il comproprietario non pu
effettuare opere sulla parte di sua propriet esclusiva, che pregiudichino la stabilit della parte comune.
* Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 1978, n. 4688.
h) Intercapedini
A meno che non risulti diversamente dal titolo, lintercapedine creata dal costruttore tra il muro di contenimento
del terreno che circonda i piani interrati o seminterrati delledificio ed il muro che delimita questi piani deve
considerarsi comune ai proprietari delle unit immobiliari dellintero edificio quando sia in concreto accertato che
destinata a fare circolare laria e ad evitare umidit ed infiltrazioni dacqua sia a vantaggio dei piani interrati o
seminterrati sia a vantaggio delle fondamenta e dei pilastri, che sono parti necessarie per lesistenza di tutto il
fabbricato.* Cass. civ., sez. II, 10 maggio 1996, n. 4391, Ascanio c. Soc. Finpas.
i) Luci
Ogni trasformazione che rende interna una luce che prima era esterna, ne riduce, di regola, lutilit perch
impedisce di ricevere luce ed aria direttamente dallesterno, sicch, quando la trasformazione riguarda il muro
comune nel quale il condomino ha diritto di mantenere la luce, illecitamente eccede lambito dei poteri di
utilizzazione della cosa comune, che lart. 1102 c.c. riconosce ad ogni condomino solo nei limiti in cui non sia
alterata la destinazione della cosa o impedito agli altri condomini di fare uso di tale cosa secondo il loro diritto.*
Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1993, n. 5223, Calafiore c. Pulitan.
l) Muro di sostegno del giardino
In tema di condominio negli edifici, la circostanza che un "muro di sostegno" di un giardino di propriet esclusiva
sovrasti un sottostante terreno di propriet condominiale, adibito a passaggio, non di per s sufficiente
allinclusione del muro medesimo fra le parti comuni, ai sensi dellart. 1117 cod. civ., con le relative conseguenze
in ordine allonere delle spese di riparazione, atteso che la suddetta opera, per sua natura destinata a svolgere
funzione di contenimento di quel giardino, e quindi a tutelare gli interessi del suo proprietario, pu essere
compresa fra le indicate cose comuni solo ove ne risulti obiettivamente la diversa destinazione a servizio di tutti i
condomini, in quanto necessaria a consentire detto passaggio.
*Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 145, Cond. Le Terraz. c. Alessandroni.
m) Muro divisorio
In tema di condominio negli edifici, debbono comprendersi tra le parti delledificio necessarie alluso comune, di
cui allart. 1117 n. 1 cod. civ. la destinazione delle quali, a norma del precedente art. 1102, non pu essere
alterata dal singolo condomino - le parti definite come tali dal titolo o aventi unoggettiva attitudine al servizio ed
al godimento collettivo. Tra esse non rientra un muro, di ridotte dimensioni, delimitante un terreno di propriet
esclusiva di un condomino, ove risulti inidoneo a tutelare la sicurezza del condominio quale muro di cinta, e
idoneo soltanto a delimitare la detta propriet esclusiva come muro divisorio.
* Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1981, n. 577, Imperati c. Acampora.
Nellordinamento vigente non esiste il principio della indivisibilit funzionale del muro divisorio: questo si
presume comune ma, per ci stesso, pu anche essere oggetto, per convenzione o altro titolo, di propriet
divisa, in senso verticale od orizzontale.
* Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1977, n. 2590, Godina c. Corvaglia.
La presunzione del muro divisorio tra due edifici non viene meno per la demolizione di uno di essi.
* Cass. civ., sez. II, 8 settembre 1977, n. 3915.
La comunione del muro divisorio non va intesa nel senso che ciascuno dei comproprietari abbia la propriet
assoluta della met del muro (e del suolo) secondo una linea mediana ideale, da considerarsi come linea di
confine delle propriet esclusive da esso delimitate bens nel senso che ciascuno di essi proprietario, sia pure
pro quota, dellintero muro, e del suolo ad esso sottostante, in ogni sua parte (identificandosi la linea di confine
delle propriet esclusive con il muro ed il suolo comune); n la demolizione di uno dei due edifici confinanti fa
venire meno (in assenza di titolo o di giustificazione) la comunione, che pu essere utilmente invocata ad ogni
effetto da ciascuno dei partecipanti, con la conseguenza che il comproprietario del muro comune abbattuto
arbitrariamente dallaltro comproprietario ha diritto alla costruzione del manufatto secondo le primitive sue
caratteristiche, nonch al risarcimento del danno ed alla restituzione della parte di suolo comune indebitamente
attratta nella sfera della signoria esclusiva dellaltro condomino, restando esclusa lapplicabilit dellart. 938 cod.
civ., in tema di accessione invertita, che configurabile in relazione ad una porzione di fondo di propriet
esclusiva.* Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1988, n. 3393, Nardi c. Mercuri.
La fatiscenza delle strutture interne portanti di un edificio non pu far s che, per ci solo, i muri divisori o di
"tamponatura" sottostanti a dette strutture, per il fatto di assumere una funzione temporanea di sostegno delle
medesime, diventino comuni. Una tale situazione, priva di carattere di definitivit e di pertinenza, e che riproduce
semplicemente uno stato anormale, di usura, o di pericolo nella statica delledificio, impone semplicemente, a
carico dei condomini, lobbligo di riparare le strutture originariamente portanti, e divenute fatiscenti, senza
incidere in assenza di adeguati negozi o atti giuridici sulla condizione originaria dei diritti sulle strutture
stesse o su quelle adiacenti.* Cass. civ., 20aprile 1971, n. 1135.
I muri divisori tra le unit immobiliari di propriet esclusiva e quelle di propriet comune negli edifici in

condominio non sono equiparabili n specificamente ai muri maestri n genericamente alle parti delledificio
necessarie per luso comune ai sensi dellart. 1117, n. 1, c.c.; i muri divisori suddetti sono soggetti, in
applicazione del criterio analogico, alla disciplina prevista dallart. 880, c.c., secondo cui si presume comune il
muro di separazione tra entit fondiarie finitime. (Nella specie, il condomino proprietario di un locale del piano
cantinato destinato a ripostiglio aveva abbattuto il muro di separazione tra landrone coperto di propriet
condominiale e il detto locale per adibire questultimo a garage. I giudici del merito avevano accolto la domanda
di rimessione in pristino e la Corte di cassazione, rigettando il ricorso, ha enunciato il principio di cui in
massima).
* Cass. civ., 11 marzo 1975, n. 903.
n) Nozione di muri maestri
In tema di parti comuni delledificio condominiale, nella nozione di muri maestri di cui allart. 1117 c.c. rientrano i
pannelli esterni di riempimento fra pilastri in cemento armato, i quali ancorch la funzione portante sia assolta
principalmente da pilastri ed architravi sono anchessi eretti a difesa degli agenti atmosferici e fanno parte
della struttura e della linea architettonica delledificio. N siffatta condominialit viene esclusa dallessere
addossato ad essi il muro di altro fabbricato costruito in aderenza, restando ciascuno degli edifici delimitato,
difeso e strutturalmente delineato dal proprio muro, con la conseguente autonomia giuridica della disponibilit
che su ciascuno hanno i diversi nuclei di condomini, senza alcun ingerenza dell uno sul muro dellaltro.* Cass.
civ., sez. II, 9 febbraio 1982, n. 776.
Nel caso di costruzione in cemento armato, lespressione muro maestro contenuta nellart. 1117, c.c., non va
riferita solamente allintelaiatura di pilastri e di architravi che costituisce lossatura delledificio, ma anche ai
pannelli in muratura di mattoni o di altro materiale che riempiono allesterno i vani e compongono insieme il
primo edificio, che senza di essi sarebbe un vuoto scheletro privo di funzionalit pratica.* Cass. civ., 23aprile
1971, n. 1186.
o) Nozione di muri perimetrali
I muri perimetrali di un edificio condominiale sono destinati al servizio esclusivo delledificio stesso di cui
costituiscono parte organica. Per tale loro funzione e destinazione possono essere usati dal singolo condomino
solo per il miglior godimento della parte di edificio di sua propriet esclusiva, ma non possono essere utilizzati,
senza il consenso di tutti i condomini, per lutilit di altro immobile di sua esclusiva propriet non facente parte
del condominio, in quanto ci implicherebbe la costituzione d una servit in favore di un bene estraneo al
condominio. Ne consegue che il condomino il quale voglia appoggiare al muro condominiale una costruzione
realizzata su suolo contiguo di sua propriet esclusiva non pu farlo senza il consenso degli altri condomini, non
essendo applicabile la disciplina dellart. 884 c.c. (costruzione in appoggio al muro comune).
* Cass. civ. 26 marzo 1994. n. 2953.
I muri perimetrali delledificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri
maestri al fine della presunzione di comunione di cui allart. 1117 cod. civ., in quanto determinano la consistenza
volumetrica delledificio unitariamente considerato proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la
superficie coperta e delineano la sagoma architettonica delledificio stesso. Pertanto, nellambito dei muri comuni
delledificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali
dellimmobile.
* Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867, Cond. V. Teramo c. Soc. Setta.
Poich le moderne tecniche costruttive in cemento armato hanno profondamente modificato la funzione dei muri
perimetrali che non pi quella di assicurare la stabilit delledificio bens soltanto quella di delimitarlo
esternamente, mentre la funzione portante esercitata dai pilastri e dalle architravi in conglomerato cementizio,
labbattimento da parte di un condominio di un tratto del muro perimetrale di tamponamento per sostituirlo con
porte scorrevoli non comporta, di regola, un alterazione della sua normale destinazione, vietata dallart. 1102,
c.c., ma costituisce uso normale lecito della cosa comune e solo in particolari circostanze, da dimostrarsi di volta
in volta pu assumere aspetti lesivi dellintegrit delledificio quando ne comprometta la sicurezza o il decoro o
altri essenziali caratteristiche.* Cass. civ., sez. II, 25 settembre 1991, n. 10008, Colleschi c. Tiboni.
I muri perimetrali di un edificio, anche se relativi a chiostrine o cortili su cui affaccino solo una parte dei
condomini, sono comuni a tutti i proprietari di unit immobiliari dello stabile, in quanto, costituendo lossatura
della costruzione, svolgono una funzione di utilit comune, anche se, ovviamente, pi intensa per coloro che
hanno appartamenti prospicenti su dette chiostrine o cortili. Pertanto, alle assemblee condominiali che devono
deliberare su argomenti interessanti i muri perimetrali hanno diritto di partecipare tutti i condomini dello stabile e
non solo quelli che, per la particolare posizione delle loro unit immobiliari, traggono da detti muri un vantaggio
particolare rispetto al vantaggio generale e comune derivante dalla naturale funzione degli stessi.
* Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7402, Bruno c. Silvestri.
I muri perimetrali delledificio in condominio i quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri
portanti, delimitano la superficie coperta, determinando la consistenza volumetrica delledificio unitariamente
considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica sono
da considerare comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di propriet
singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro
esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani
attici.* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1978, n. 839.
p) Parapetti alla sommit delledificio
Rientrano nellambito dei muri condominiali, ex art. 1117 n. 3 cod. civ., anche i parapetti posti alla sommit
delledificio, svolgendo funzione di coronamento dellintero stabile, le cui spese di riparazione debbono essere
ripartite fra i condomini ex art. 1123 cod. civ.; pertanto, la determinazione della maggioranza dei condomini
partecipanti allassemblea di esonerare alcuni condomini dallonere di spesa, con pregiudizio per i proprietari

gravati, costituisce una tipica violazione dei diritti individuali sindacabili sotto il profilo della nullit.* Corte app.
civ. Milano, 15 settembre 1989, Condominio di via Fumagalli n. 10, Milano c. Carulli e altri, in Arch. loc. e cond.
1990, 282.
q) Pareti esterne
Se possono presumersi oggetto di propriet comune anche i muri perimetrali di un edificio in condominio, in
quanto essi appaiono necessari allesistenza ed alla statica dellimmobile, sono escluse, invece, da tale
presunzione le pareti esterne, le quali abbiano, non gi la funzione di sorreggere ledificio, ma solamente quella
di chiuderne gli ambienti, rispetto a costruzioni nelle quali lossatura delledificio sia costituita, anzich mediante
muri, mediante altri sistemi costruttivi (intelaiature in cemento armato o in altri materiali, colonnati, pilastri ecc.). I
muri di un edificio in condominio, che non esercitano alcuna funzione statica, ma sono soltanto divisori di
contigui fabbricati, hanno unutilit limitata a determinate parti delledificio e, interessando in sostanza solo i
titolari delle propriet che delimitano, possono bens dare eventualmente luogo ad uno stato di comunione
parziale tra i proprietari degli appartamenti limitrofi, che vengono a trovarsi da essi divisi, ma non possono
essere considerati (salvo che il contrario non risulti dal titolo) oggetto di propriet comune di tutti i proprietari
delle diverse porzioni delledificio.
* Cass. civ., 8 novembre 1958, n. 3654.
r) Sopraelevazione
I muri perimetrali di un edificio condominiale sono oggetto di propriet comune anche nelle parti in cui delimitano
un piano ottenuto con la sopraelevazione dello stabile, perch anche in quelle parti essi adempiono
strutturalmente a una funzione che interessa tutti i partecipanti al condominio.* Cass. civ., sez. II, 19 maggio
1978, n. 2475.
s) Spese
In tema di condominio di edifici, nel caso in cui un muro portante appartenga in propriet esclusiva ad uno solo
dei partecipanti al condominio, essendo esso comunque indispensabile per lesistenza delledificio, con la
propriet esclusiva del singolo concorre una comunione di godimento in favore di tutti coloro i quali, nelledificio,
sono titolari della propriet solitaria dei piani o delle porzioni di piano, con la conseguenza che tutti i condomini
i quali ricavano una utilit dalla cosa, necessaria per lesistenza e per la protezione dei loro immobili sono
tenuti a contribuire alle spese per la conservazione del muro in questione in proporzione alle rispettive quote,
secondo il principio generale enunciato dallart. 1123 primo comma c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 1996, n. 1154, Condominio di via Conciliazione 26 Putignano c. Vinella
Michelangelo.
Mentre lonere delle spese di riparazione e ricostruzione del muro comune per quelle cause di deterioramento
dipendenti dal suo uso normale , ai sensi dellart. 882 c.c., a carico di tutti i comproprietari, in proporzione del
diritto di ciascuno, e si trasferisce, perci, in capo a chiunque sia proprietario della cosa nel momento in cui si
presenta la necessit della riparazione o della ricostruzione, lonere delle spese provocate dal fatto di uno dei
partecipanti, essendo connesso alla responsabilit personale di questo, grava esclusivamente sul soggetto che
vi ha dato causa e non si trasferisce, quindi, solo a causa del trasferimento del diritto reale, al condomino che gli
succeduto.* Cass. civ. 30 marzo 1994, n. 3089.
Le spese per il rifacimento o la riparazione dei muri, che delimitino i giardini di singoli condomini con i fondi
confinanti, devono ritenersi a carico proporzionale di tutti i partecipanti, in applicazione dellart. 1123 primo
comma c.c., qualora il regolamento condominiale, di natura contrattuale, consideri detti manufatti di propriet
comune, cos convenzionalmente assimilandoli ai muri di cinta.* Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1990, n. 8198,
Esibiti c. Cond. V. Gozzano.
In un edificio in condominio, le scale oggetto di propriet comune a norma dellart. 1117 n. 1 c.c., se il
contrario non risulta dal titolo comprendono lintera relativa cassa, di cui costituiscono componenti
essenziali ed inscindibili le murature che la delimitano, assolvano o meno le stesse, in tutto o in parte, anche la
funzione di pareti delle unit immobiliari di propriet esclusiva cui si accede tramite le scale stesse. Ne consegue
che, anche quando i lavori di manutenzione o ricostruzione delle scale importino il rafforzamento delle murature
svolgenti anche tale ultima funzione, con indiretto vantaggio dei proprietari specificamente interessati, la
ripartizione delle spese deve avvenire in base alla regola posta dallart. 1124, primo comma, c.c., salvo che
(diversamente che nella specie pervenuta al giudizio della S.C.) oggetto dei lavori siano non il vano scale nel
suo complesso ma solo le murature costituenti le pareti perimetrali delle unit immobiliari prospicienti il vano
scale (e questultimo in tutto o parte delimitanti), poich in tale ultimo caso la ripartizione delle spese va
effettuata mediante lapplicazione, opportunamente coordinata, dei criteri fissati dagli artt. 1123, secondo
comma, e 1124, primo comma, c.c.
* Cass. civ.. sez. II, 7 maggio 1997, n. 3968, R. Buffardi e G. Buffardi, in Arch. loc. e cond. 1997, 623.
t) Utilizzo
Lutilizzazione, da parte del singolo condomino, del muro perimetrale delledificio per le sue particolari esigenze
legittima purch non alteri la natura e la destinazione del bene, non impedisca agli altri condomini di farne uso
analogo e non arrechi danno alle propriet individuali dei medesimi altri condomini.* Cass. civ., sez. II, 20 marzo
1974, n. 776.
I muri perimetrali di un edificio in condominio sono destinati allesclusivo servizio delledificio condominiale, del
quale costituiscono parte organica, e non possono, per loro natura, essere asserviti, se non nei modi consentiti
dalla legge (atto scritto e consenso di tutti i condomini), ad altro immobile di propriet esclusiva di uno dei
condomini, costituente entit economica distinta rispetto alledificio condominiale.* Cass. civ., sez. II, 20 maggio
1978, n. 2504.
Con riguardo al muro perimetrale di un edificio condominiale, il quale oggetto di comunione per tutta la sua

estensione, ivi comprese le parti corrispondenti a piani e ad appartamenti di propriet individuale, lutilizzazione
del singolo partecipante deve ritenersi preclusa non solo quando ne alteri la destinazione od impedisca agli altri
condomini un pari uso (art. 1102 cod. civ.), ma anche quando implichi una lesione del diritto di altro partecipante
sul bene di sua propriet esclusiva (nella specie, trattandosi di una scala esterna che toglieva luce ed aria ad un
sottostante appartamento).
* Cass. civ., sez. II, 4maggio 1982. n. 2751, De Leo c. Mele.
Il principio secondo cui lutilizzazione di parti comuni e anche di muri divisori delledificio condominiale per la
realizzazione di impianti al servizio esclusivo dellappartamento del singolo condomino esige il rispetto sia
dellart. 1102 cod. civ., sia delle norme del codice civile sulle distanze per evitare la violazione dei diritti degli altri
condomini sugli immobili di loro esclusiva propriet, non applicabile nellipotesi di installazione degli impianti
che sono indispensabili per una effettiva abitabilit dellappartamento secondo la evoluzione delle esigenze
generali dei cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene.
* Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 139, Tormen c. Ciampa.
I muri perimetrali di un edificio in condominio costituiscono oggetto di comunione pro indiviso per tutta la loro
estensione. Pertanto, il proprietario di ciascun piano pu utilizzarli anche nella parte corrispondente ai piani o
porzioni di piano di propriet esclusiva di altri condomini, sia pure con il rispetto dei limiti posti dallart. 1102, c.c.
* Cass. civ., 8 luglio 1969, n. 2514.
Nel caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte
corrispondente agli appartamenti di propriet esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti o
trasformando finestre in balconi o in pensili, a condizione che lesercizio della indicata facolt, disciplinata dagli
artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilit e il decoro architettonico delledificio e non menomi o
diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori. (Nella specie il giudice di
merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto sussistente una sensibile diminuzione
di aria e luce in danno dellappartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione di balconi da parte
dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al secondo piano, in relazione anche alla giacitura particolare
delledificio condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della latistante via pubblica).
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n. 10704, Scibetta c. Naro e Alongi.
E' consentita al condomino dall art. 1102 c.c. unampia utilizzazione della parte del muro perimetrale
corrispondente alla propriet parziaria, come lapertura di una finestra o di una porta, oppure lapplicazione di
uninsegna o targa pubblicitaria, assoggettandola al duplice limite di non alterare la destinazione della cosa
comune e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.* Corte app. civ.
Milano, 20 settembre 1989, n. 1467.
Negli edifici i cui piani appartengono a proprietari diversi, i muri perimetrali, salvo che il contrario risulti dal titolo,
sono comuni pro indiviso per tutta la loro estensione: n consegue che, ai sensi dellart. 1102 c.c., ciascun
proprietario dei diversi piani pu servirsi, nel suo interesse, del muro comune anche nella parte rispondente al
piano di altro proprietario, purch tale utilizzo, conformemente alla disposizione citata, non sia contrario agli
interessi della comunione e non impedisca lesercizio degli altri partecipanti.* Corte app. civ. Firenze, 21
novembre 1990, n. 1181, in Arch. loc. e cond. 1991, 103.
In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della cosa
comune, ma solamente quella che alteri lentit materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero
determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere
eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti lesecuzione
delle opere. Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di
un uso del bene pi intenso e proficuo, si versa nellambito dellart. 1102 c.c., che pur dettato in materia di
comunione in generale, applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nellart. 1139
c.c. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva affermato che lapertura
di una porta da parte di un condomino nel muro comune dellandito di ingresso delledificio condominiale, non
alterava lentit materiale del bene n modificava la sua destinazione, ma integrava una consentita
modificazione della cosa comune a norma dellart. 1102 c.c.).
*Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1997, n. 240, Botteri ed altro c. Messina ed altro, in Arch. loc. e cond 1997, 433.
NUOVA LEGGE SULLE LOCAZIONI ABITATIVE
L'opposizione ex art. 6 comma 4 L. 431/98, avendo ad oggetto un atto esecutivo (il decreto emesso da giudice
competente per l'esecuzione), deve senz'altro inquadrarsi nello schema dell'opposizione agli atti esecutivi e
deve, pertanto, essere proposta entro il termine perentorio di cinque giorni dalla conoscenza del decreto emesso
dal pretore adito per la rifissazione della data di esecuzione.
* Trib. civ. di Catania, ord. 11 novembre 1999, Marchesa c. Scamarda e Salemi, in Arch. loc. e cond. 2000, 99.
Ai fini dell'ottenimento del differimento del termine dell'esecuzione di cui ai commi 3 e 4 L. 431/98 nella misura
prevista dal comma 5 del medesimo articolo citato, non equiparabile all'acquisto di un alloggio in costruzione
l'acquisto di un terreno edificabile su cui non si ancora iniziato a costruire.
* Trib. civ. Catania, ord. 11 novembre 1999, Marchesa c. Scamarda e Salemi, in Arch. loc. e cond. 2000, 99.
L'istanza del conduttore ex art. 6 L. 9 dicembre 1998, n. 431, deve essere notificata al locatore << nei termini>>.
* Trib. civ. Napoli, ord. 28 settembre 1999, Cenni c. Del Sorbo, in Arch. loc. e cond. 2000, 102.
Non manifestamente infondata la questione di legittimit costituzionale dei commi 3, 4, 7 e 8 dell'art. 11 della
legge 9 dicembre 1998, n. 431, concernente <<Disciplina delle locazioni e del rilascio degli immobili adibiti a uso
abitativo>>, per violazione delle potest legislative ed amministrative di cui all'art. 8, nn. 10) e 25) nonch all'art.
16 dello statuto e delle relative norme di attuazione, e, in particolare, dell'art. 15, comma 2, del decreto del
Presidente della Repubblica 19 novembre 1987, n.526 (come modificato dal D. L.vo 28 luglio 1997, n. 275),

nonch dell'autonomia funzionale e finanziaria provinciale di cui al titolo VI del D.P.R. 31 agosto 1972, n. 670,
come modificato dalla legge 30 novembre 1989, n. 386, e, in particolare dell'art. 5, comma 2, della legge 30
novembre 1989, n.386; per i profili e nei modi di seguito illustrati.
* Prov. Aut. Trento, Ric., 11 gennaio 1999, Provincia autonoma di Trento c. Presidente del Consiglio dei ministri,
in Arch. loc. e cond. 1999, 580.
Stante il disposto dell'art. 14, comma quinto, L. n. 431/1998 relativa alla nuova disciplina delle locazioni abitative,
ai giudizi per danni da ritardato rilascio in corso alla data dell'entrata in vigore della legge citata non si applica
l'art. 6 della novella.
* Pret. civ. Roma, ord. 15 gennaio 1999, Cogliandro c. Fachini Bartoli, in Arch. loc. e cond. 1999, 297.
L'art. 6, comma primo, L. n. 431/1998 il quale, con riferimento ai comuni di cui all'art. 1 D.L. n. 551/1988,
prevede una sospensione generalizzata, a partire dalla data di entrata in vigore della legge stessa, di tutti i
provvedimenti di rilascio per un periodo continuativo di 180 giorni, deve ritenersi applicabile anche ai titoli
formatisi precedentemente al 30 dicembre 1998, posto che la disposizione ha natura processuale, incidendo sul
procedimento esecutivo e, quanto tale, appare suscettibile di immediata applicazione ai processi in corso che
pongano riferimento a rapporti precedentemente insorti.
* Pret. civ. Salerno, sez. dist. Eboli, decr. 21 gennaio 1999, Diodati c. Volpe, in Arch. loc. e cond. 1999, 296.
L'art. 6, comma sesto, L. n. 431/1998, relativo alla limitazione del risarcimento del danno subito dal locatore
dopo la cessazione del rapporto locativo in conseguenza della mancata riconsegna del bene locato, costituisce
norma speciale rispetto alla disciplina generale dettata dall'art. 14, comma quinto, avente efficacia anche per il
passato.
* Pret. civ. Firenze, ord. 17 marzo 1999, Nocentino c. Sileo, in Arch loc. e cond. 1999, 634.
Le disposizioni di cui all'art. 7 L. n. 431/1998 sono applicabili solo alle nuove esecuzioni di rilascio.
* Trib. civ. Roma, sez. V, ord. 29 marzo 1999, Vergili c. Bottaro, in Arch. loc. e cond. 1999, 1000.
Poich la disciplina di cui al comma sesto dell'art. 6 L. n. 431/1998 costituisce atto di c.d. interpretazione
autentica, finalizzata a chiarire l'ambito di operativit del principio della limitazione del risarcimento dei danni per
ritardata consegna dell'immobile locato, essa si applica retroattivamente e, quindi, anche nei giudizi in corso,
senza porsi in contrasto con la regola di carattere generale di cui al comma quinto dell'art. 14 legge cit.* Trib. civ.
Milano, 29 Aprile 1999, Albarello c. Tola, in Arch. loc. e cond. 1999, 634.
E' rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 Cost., la questione di legittimit
costituzionale dell'art. 6, comma sesto, L. 9 dicembre 1998, n. 431, nella parte in cui esime il conduttore
dall'obbligo di risarcire il maggior danno ai sensi dell'art. 1591 c.c., una volta corrisposta la maggiorazione del
venti per cento della misura del canone pagato all'epoca di cessazione del contratto, cos come aumentato
dall'applicazione degli aggiornamenti Istat.
* Pret. civ. Napoli, ord. di rinvio, 29 aprile 1999, Fiengo c. Triola, in Arch. loc. e cond. 1999, 579.
L'art. 6, comma sesto, L. n. 431/1998 in tema di quantificazione forfettaria del risarcimento dovuto dal conduttore
a titolo di maggior danno per il ritardo nel rilascio dell'immobile ha, sebbene con il limite del giudicato, efficacia
retroattiva n alcun ostacolo a tale interpretazione pu essere tratto dal disposto dell'art. 14 L. n. 431/1998.
* Pret. civ. Bologna, ord. 4 maggio 1999, Barattini c. Vedruccio, in Arch. loc. e cond. 1999, 634.
La maggiorazione del venti per cento dell'ultimo canone, cos come prevista dall'art. 1 bis D.L. n. 551/1988, non
quantifica l'entit dell'indennit di occupazione in maniera risarcitoria esaustiva, n in senso contrario pu
invocarsi l'art. 6, comma sesto, L. n. 431/1998, disposizione che nulla autorizza a qualificare come precetto di
interpretazione autentica, con conseguente efficacia della stessa in via retroattiva.
* Trib. civ. Firenze, 16 giugno 1999, n. 232, Corsini c. Piccoli, in Arch. loc. e cond. 1999, 634.
E' rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 42 Cost., la questione di legittimit
costituzionale dell'art. 6, sesto comma, L. 9 dicembre 1998, n. 431, nella parte in cui forfettizza nella misura del
venti per cento del canone dovuto all'epoca della cessazione del contratto di locazione il pregiudizio sofferto dal
locatore a causa della mancata restituzione dell'immobile.* Trib. civ. Milano, ord. di rinvio, 2 luglio 1999,
Albertoni c. Cadamosti, in Arch. loc. e cond. 1999, 881.
La rappresentativit richiesta ai fini degli Accordi territoriali attuativi della legge 431/98 locale.
* Tar Lombardia, ord. 16 luglio 1999, A.N.I.A. Associazione Nazionale Inquilini ed Assegnatari c. Comune di
Pavia, in Arch. loc. e cond. 1999, 855.
La morosit relativa al mancato pagamento della maggiorazione del 20% del canone pattuito (sanabile ai sensi
del comma 6 dell'art. 6 L. n. 431/98)fa decadere il conduttore dal beneficio della sospensione dell'esecuzione
dopo la concessione del medesimo e non per il periodo relativo alla sospensione legale degli sfratti (fino al 27
giugno 1999), dato che anche in questo caso la morosit pu essere sanata.* Trib. civ. Novara, decr. 23 luglio
1999, D'Arrigo, in Arch. loc. e cond. 1999, 1005.
Deve essere fissato a breve il nuovo termine per l'esecuzione del rilascio a fronte di una istanza di rifissazione
della stessa non motivato da alcuna particolare esigenza del conduttore e in costanza, viceversa, della assoluta
necessit del locatore di rientrare in possesso dell'immobile per andare ad abitarvi.
* Trib. civ. Novara, decr. 30 Luglio 1999, Di Lorenzo, in Arch. loc. e cond. 1999, 1004.
La locuzione <<formalmente assegnatario di alloggio di edilizia residenziale pubblica>> di cui all'art. 6, comma
quinto, L. n. 431/1998, non pu essere intesa letteralmente, dovendo essere interpretata nel senso di utile
collocazione del conduttore istante nella graduatoria dei bandi dell'istituto assegnante, con effettiva
assegnazione prevista entro il termine massimo di differimento di 18 mesi.* Trib. civ. Bologna, ord. 3 agosto
1999, Ronchi in Arch. loc. e cond. 1999, 1002.
Poich in tema di concessione del maggior termine di 18mesi previsto dal quinto comma dell'art. 6 L. n.
431/1998 necessario che il conduttore risulti formalmente assegnatario di alloggio di edilizia residenziale
pubblica, a tal fine non pu ritenersi sufficiente la sola presentazione della domanda di assegnazione, senza che

consti alcuna deliberazione in merito da parte degli organi competenti.* Trib. civ. Biella, ord. 11 agosto 1999, X,
in Arch. loc. e cond. 1999, 1002.
Non legittimato a proporre istanza per il differimento dell'esecuzione colui che non sia mai stato conduttore
dell'immobile per il rilascio del quale si procede, per essere la morte del conduttore avvenuta dopo la risoluzione
dell'originario contratto di locazione, con conseguente impossibilit di successione nel medesimo.
* Trib. civ. Roma, sez. IV, ord. 14 agosto 1999, Liberatori, in Arch. loc. e cond. 1999, 1011.
Tra le ipotesi previste dal quinto comma dell'art. 6 L. n. 431/1998 non rientra il mero stato di disoccupazione del
conduttore. Conseguentemente necessario provare l'iscrizione nelle liste di mobilit ovvero la percezione di un
trattamento di disoccupazione o integrazione salariale, che sono qualcosa di ulteriore rispetto allo stato di
disoccupazione.
* Trib. civ. Benevento, ord. 24 agosto 1999, Solito, in Arch. loc. e cond. 1999, 1012.
L'istanza di fissazione di un nuovo termine per il rilascio dell'immobile locato non notificata regolarmente al
locatore inammissibile, stante la decadenza del conduttore dal beneficio della sospensione dell'esecuzione ai
sensi dell'art. 11, comma quarto, D.L. n. 9/1982.
* Trib. civ. Novara, decr. 25 agosto 1999, Noubir Mohamed, in Arch. loc. e cond. 1999, 1008.
Stante la perentoriet del termine di cui all'art. 6, comma terzo e primo, L. n. 431/1998 inammissibile l'istanza
di nuova fissazione della data di esecuzione depositata oltre il termine di trenta giorni dalla scadenza della
sospensione ex lege.
* Trib. civ. Novara, decr. 30 agosto 1999, Rampone, in Arch loc. e cond. 1999, 1009.
Le previsioni di cui all'art. 7 L. 431/1998 afferiscono alla fase dell'esecuzione e non rilevano ai fini della
fissazione del nuovo termine.* Trib. civ. Benevento, ord. 6 settembre 1999, Pontillo, in Arch. loc. e cond. 1999,
1000.
Stante la rubrica del capo III della L. n. 431/1999 <<Esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili
adibiti ad uso abitativo>>, l'art. 7 della legge citata non applicabile nel caso di immobile destinato all'esercizio
di un'impresa.
* Trib. civ. Roma, ord. 6 settembre 1999, Marietti, in Arch. loc. e cond. 1999, 1000.
Nel silenzio della norma di cui all'art. 6 L. n. 431/1998, la quale non indica il dies a quo dell'intervallo entro cui
rifissare il giorno dell'esecuzione, deve ritenersi che il termine che il giudice ritenga di concedere debba
decorrere dal momento finale (27 luglio 1999) in cui stata data al conduttore la facolt di presentare l'istanza.
* Trib. civ. Venezia, sez. II, ord. 7 settembre 1999, Bortolotti A, in Arch. loc. e cond. 1999, 1006.
L'istanza ex art. 6, comma 3, L. 9 dicembre 1998 n. 431 pu essere presentata anche a proposito di
provvedimenti non ancora esecutivi.
* Trib. civ. Piacenza, ord. 7 settembre 1999, Tromba c. Moia Ramponi, in Arch. loc. e cond. 1999, 833.
L'art. 6 L. n. 431/1998 si riferisce unicamente ai contratti di locazione ed in nessun modo pu ritenersi
applicabile ad un rapporto di comodato.* Trib. civ. di Lucca, ord. 16 settembre 1999, Mazzei, in Arch loc. e cond.
1999, 1011.
Con riferimento al ricorso proposto ai sensi dell'art. 6, comma terzo e quarto, L. n. 431/1998, infondata
l'eccezione opposta dal locatore relativamente alla mancata attivazione da parte del conduttore della procedura
di cui al secondo comma del medesimo articolo, non derivandone alcuna improcedibilit.* Trib. civ. Lucca, ord.
16 settembre 1999, Rossi, in Arch. loc. e cond. 1999, 1007.
Giusta la previsione di cui all'art. 7 L. n. 431/1998 in tema di condizioni per la messa in esecuzione del
provvedimento di rilascio, a fronte di un atto di precetto carente della specificazione degli elementi relativi agli
adempimenti fiscali, il giudice deve disporre la sospensione dell'esecuzione in via provvisoria sino alla data
dell'udienza di comparizione delle parti.
* Trib. civ. Bologna, decr. 16 settembre 1999, Y, in Arch. loc. e cond. 1999, 1000.
Presupposto di ammissibilit dell'istanza di differimento del termine ex art. 6 L. n. 431/1998 non tanto la
presenza di una procedura esecutiva attuale quanto l'esistenza di un titolo esecutivo potenzialmente azionabile,
analogamente a quanto previsto dall'art. 56 L. n. 392/1978.* Trib. civ. Pisa, ord. 16 settembre 1999, Mei R. in
Arch. loc. e cond. 1999, 1004.
L'istanza di fissazione di nuovo termine per l'esecuzione ammissibile pur in carenza di un'esecuzione in senso
tecnico del provvedimento di rilascio, posto che l'art. 6 L. n. 431/1998 tende ad offrire a tutti i conduttori la
possibilit di un ulteriore periodo di differimento del rilascio.
* Trib. civ. Pisa, ord. 21 settembre 1999, Mei M. in Arch. loc. e cond. 1999, 1003.
In tema di ricorso proposto dal conduttore ex art. 6, comma terzo e quarto, L. n. 431/1998, infondata
l'eccezione sollevata dal locatore relativamente alla notifica effettuata presso il domicilio eletto nel procedimento
di sfratto, e non presso la residenza del locatore medesimo, posto che l'art. 11, comma terzo, D.L. 9/1982 non
impone tale ultima forma di notifica, e comunque in quanto la costituzione del locatore sana ogni eventuale vizio
di notifica.
* Trib. civ. Lucca, ord. 22 settembre 1999, Karmas, in Arch. loc. e cond. 1999, 1008.
Devono ritenersi inammissibili sia le istanze di rifissazione del termine di rilascio presentate dal conduttore non
notificate, giusta la previsione di cui all'art. 11, comma terzo, D.L. n. 9/1982, entro cinque giorni (termine a
carattere perentorio) che le deduzioni del locatore non presentate nel termine di dieci giorni dalla notifica
dell'istanza.* Trib. civ. Udine, ord. 27 settembre 1999, Rossi, in Arch. loc. e cond. 1999, 1008.
L'istanza di sospensione dell'esecuzione deve essere rigettata in presenza di una sentenza di finita locazione
che abbia accertato la necessit del locatore di abitare l'immobile locato (ex art. 11, comma 2 bis, L. n.
359/1992), escludendo l'applicazione della proroga biennale ivi prevista.* Trib. civ. Milano, ord. 28 settembre
1999, Soderlund, in Arch. loc. e cond. 1999, 1007.
Il tribunale collegiale pu differire l'esecuzione del provvedimento di rilascio fino alla comparizione delle parti

avanti a s, a seguito di ricorso avverso il provvedimento del tribunale monocratico sull'istanza del conduttore ex
art. 6 L. n. 431/1998.
* Trib. civ. di Roma, sez. IV, ord. 30 settembre 1999, X, in Arch. loc. e cond. 1999, 1012.
Il tenore letterale della norma non consente di ritenere sussistente la condizione di cui all'art. 6, comma quinto,
L. n. 431/1998, laddove il conduttore istante, anzich formalmente assegnatario di un alloggio di edilizia
residenziale pubblica, sia stato solo invitato a produrre dichiarazione relativa al possesso dei requisiti, con
conseguente assegnazione solo quando vi sar comunicazione di disponibilit degli alloggi.* Trib. civ.
Benevento, ord. 2 ottobre 1999, Castaldi, in Arch. loc. e cond. 1999, 1002.
Laddove il comune nel quale sito l'immobile locato non rientri tra quelli indicati dall'art. 1 D. L. n. 551/1988 non
sussiste la condizione prevista dall'art. 6, comma primo, L. n. 431/1998 per l'applicazione della disciplina in tema
di differimento dell'esecuzione dello sfratto.* Trib. civ. Como, ord. 4 ottobre 1999, Y, in Arch. loc. e cond. 1999,
1004.
L'invalidit civile non equiparabile puramente e semplicemente allo stato di <<portatore di handicap>> di cui
all'art. 6, quinto comma, L. n. 431/1998, stato che deve essere formalmente accertato, ai sensi dell'art. 4 L. n.
104/92, dalla apposita commissione medica.* Trib. civ. Bologna, ord. 4 ottobre 1999, Buronzi, in Arch. loc. e
cond. 1999, 1010.
Deve essere dichiarato inammissibile il ricorso inviato a mezzo posta invece che depositato in cancelleria.
* Trib. civ. Lucca, 4 ottobre 1999, Cinquini, in Arch. loc. e cond. 1999, 1006.
Posto che l'art. 6, comma primo, L. 392/1978 prevede la successione del contratto di locazione dei parenti ed
affini abitualmente conviventi con il conduttore solo in caso di morte di quest'ultimo, non legittimato a proporre
ricorso ex art. 6, comma quarto, L. n. 431/1998 colui che sia rimasto nella detenzione dell'immobile a seguito
dell'abbandono dello stesso da parte del titolare del contratto.* Trib. civ. Lucca, ord. 8 ottobre 1999, Bianchi, in
Arch. loc. e cond. 1999, 1011.
Vanno valutate con cautela le risultanze reddituali derivanti dall'esercizio da parte del conduttore di attivit
imprenditoriale.
* Trib. civ. Lucca. Ord. 21 ottobre 1999, Bargellini, in Arch. loc. e cond. 1999, 1013.
Il termine massimo di differimento dell'esecuzione concedibile ex art. 6 comma 3 L. 431/1998 quello di mesi
sei previsto dal successivo comma 4, a far tempo dalla scadenza del periodo di sospensione di cui al
precedente comma 1 e quindi a decorrere dal 28 giugno 1999.* Trib. civ. Lucca, ord. 22 ottobre 1999, Tafuro, in
Arch. loc. e cond. 1999, 1013.
Poich l'invalidit civile non menzionata espressamente nel testo della legge n. 431/1998, per quanto si
possano ipotizzare situazioni di piena sovrapponibilit nei presupposti di fatto tra stato di <<portatore di
handicap>> ed invalidit, quest'ultima, sotto il profilo giuridico, non puramente e semplicemente equiparabile a
tale stato, che deve essere pur sempre formalmente accertato ai sensi dell'art. 4 L. n. 104/92 dalla apposita
commissione medica.* Trib. civ. Bologna, ord. 22 ottobre 1999, X, in Arch. loc. e cond. 1999, 1009.
Il differimento del termine delle esecuzioni previsto dal quinto comma dell'art. 6 L. n. 431/1998 non applicabile
laddove il conduttore non sia assegnatario di alloggio di edilizia residenziale pubblica, ma solo concorrente
all'assegnazione ed inserito in graduatoria.* Trib. civ. Lucca, ord. 22 ottobre 1999, Zanasi, in Arch. loc. e cond.
1999, 1002.
Salvo il diritto del locatore di richiedere il pagamento della maggiorazione di canone ai sensi dell'art. 6, sesto
comma, L. n. 431/98 per il periodo antecedente l'entrata in vigore della legge stessa, la sanzione della
decadenza del conduttore dal beneficio della sospensione dell'esecuzione del provvedimento di rilascio
ipotizzabile limitatamente agli adempimenti riferibili al periodo successivo alla entrata in vigore della legge.* Trib.
civ. Bologna, ord. 22 ottobre 1999, Demo, in Arch. loc. e cond. 1999, 1005.
La norma di cui all'art. 6, comma quinto, L. n. 431/1998, disposizione di carattere eccezionale volta ad ampliare
il periodo di proroga dell'esecuzione del provvedimento di rilascio, deve essere interpretata in senso restrittivo, in
particolare con riferimento alla nozione di portatore di handicap, per la quale non pu che applicarsi l'art. 3 L. n.
104/1992. Conseguentemente la minorazione dovr essere documentata nelle forme previste dalla legge da
ultimo citata.
* Trib. civ. Lucca, ord. 22 ottobre 1999, Guidi, in Arch. loc. e cond. 1999, 1010.
L'obbligo di allegazione della denuncia dei redditi e del contratto registrato, ai fini della dichiarazione di
improcedibilit, attiene alla fase esecutiva del rilascio e non al processo di cognizione.
* Trib. civ. Piacenza, ord. 4 novembre 1999, Opera Pia Rapari Pallavicini c. Zilli, in Arch loc. e cond. 1999, 1000.
LE OBBLIGAZIONI PRINCIPALI DEL CONDUTTORE
SOMMARIO: a) Obbligo di diligenza; b) Obbligo di pagamento del corrispettivo: b-1) In genere; b-2)
Autoriduzione e contestazione del canone; b-3) Pubblica amministrazione; b-4) Interessi legali; b-5) Oneri
accessori; b-6) Legittimazione ad agire a seguito di mancato pagamento; c) Obbligo di consentire la visita della
cosa locata.
a) Obbligo di diligenza
Lart. 1587 n. 1 c.c. che impone al conduttore di osservare, nellusare la cosa per luso determinato, la
diligenza del buon padre di famiglia, sempre operante nel corso del rapporto, indipendentemente dallobbligo
di restituire la cosa, al termine del rapporto, nello stesso stato in cui lha ricevuta. Conseguentemente, il
mutamento di destinazione della res locata, specie ove alteri gli elementi strutturali del bene in modo da renderlo
diverso da quello originario, pu costituire causa legittima di risoluzione del contratto, ove il giudice del merito
cui riservato il relativo apprezzamento reputi che le modifiche apportate sostanzino un abuso del bene
locato. * Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1983, n. 3994.
Il mutamento, anche parziale, della destinazione della cosa locata costituisce inadempimento di una delle
obbligazioni principali del conduttore, che ha carattere di gravit e pu comportare la risoluzione del contratto,

allorch si traduca in una rilevante violazione del contratto medesimo, in riferimento alla volont manifestata dai
contraenti, alla natura ed alle finalit del rapporto nonch allinteresse del locatore. * Cass. civ., sez. III, 5
gennaio 1980, n. 49.
Lart. 1590 c.c., imponendo al conduttore lobbligo di "restituire la cosa al locatore nello stato medesimo in cui
lha ricevuta", non altera la portata dellobbligo imposto al conduttore stesso dal precedente art. 1587 n. 1 di
"osservare la diligenza del buon padre di famiglia" nel servirsi della cosa "per luso determinato nel contratto o
per luso che pu altrimenti presumersi dalle circostanze", sicch la violazione di questultimo obbligo,
consumata nel corso del rapporto, costituisce inadempimento valutabile senza attendere la scadenza del
contratto, presupposta dallart. 1590 citato con la conseguente legittimit della pronunzia di risoluzione del
contratto medesimo, invocata dal locatore, ove sia accertata una tale violazione, ravvisabile nel caso di
alterazione unilaterale dello stato dellimmobile, la quale importa un uso anormale della cosa locata con
riferimento alla volont contrattuale, secondo le regole di buona fede, e, quindi, uninosservanza dellindicato art.
1587, n. 1.
* Cass. civ., sez. III, 8 marzo 1983, n. 1707.
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, il non uso della cosa locata non
equivale a mutamento di destinazione duso, ai sensi dellart. 80 della L. 27 luglio 1978, n. 392, che riguarda
esclusivamente il mutamento di destinazione comportante un mutamento del regime giuridico del contratto, ma
deve essere valutato alla stregua dei criteri generali in tema di inadempimento contrattuale, secondo i disposti
dellart. 1455 in relazione allart. 1587 c.c., tenendo presente che il conduttore di immobile destinato ad uso non
abitativo non ha generalmente lobbligo di usare limmobile, tranne nelle ipotesi in cui il contratto abbia ad
oggetto una cosa produttiva o un bene per cui luso sia necessario alla sua conservazione o, ancora, nellipotesi
in cui un determinato uso della cosa sia stato specificamente assunto come obbligatorio dalle parti nel
sinallagma contrattuale.*Cass. civ., sez. III, 17 maggio 1990, n. 4279, Soc. Jucci c. Mandirola.
La costruzione, senza il consenso del locatore, di un manufatto sul terreno condotto in locazione integra
violazione dellobbligo del conduttore di usare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia, per luso
determinato nel contratto o altrimenti da presumere secondo le circostanze (art. 1587 n. i c.c.) solo ove, oltre a
porsi in contrasto con la volont contrattuale (espressa o presunta), incida sulla struttura fondamentale della
cosa locata, sulla sua organizzazione funzionale e sulla destinazione sua propria. (Nel caso concreto, trattavasi
di un ampio capannone e di boxes in lamiera, costruiti su nudo terreno locato per esercizio di attivit
commerciali).* Cass. civ., sez. III, 13 marzo 1991, n. 2643, Papucci G. c. Vagelli M.
In caso di abuso nel godimento della cosa locata, perpetrato mediante alterazione, sia pure parziale,
dellimmobile, spetta al giudice di merito apprezzare limportanza dellinadempimento ai fini delleventuale
pronuncia di risoluzione del contratto, considerando sia se lalterazione abbia inciso su elementi strutturali
dellimmobile, sullinteresse del locatore alla sua conservazione e sulluso concordato, sia se lalterazione
contrasti con eventuali interdizioni pattizie, posto che le facolt di godimento del conduttore devono essere
valutate con riguardo alla espressa volont delle parti.
* Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 1990, n. 9821, Soc. Pinciana c. Soc. Ente Fiuggi.
E' facolt del conduttore apportare alla cosa locata quelle migliorie od innovazioni che non ne mutino la natura e
la destinazione pattuita. Non trova applicazione, in questo caso, la norma di cui allart. 1587 n. 1 c.c., ma solo la
disciplina delle migliorie e delle addizioni, di cui agli artt. 1592 e 1593 c.c.
* Cass. civ., sez. III, 8 novembre 1996, n. 9744, Riva c. Lucia M.
b) Obbligo di pagamento del corrispettivo
b-1) In genere
Lobbligo del conduttore di osservare nelluso della cosa locata la diligenza del buon padre di famiglia, a norma
dellart. 1587 n. 1 c.c., sempre operante nel corso della locazione, indipendentemente dallaltro obbligo,
sancito dallart. 1590, di restituire, al termine del rapporto, la cosa locata nello stesso stato in cui stata
consegnata, sicch il locatore ha diritto di esigere in ogni tempo losservanza dellobbligazione di cui allart. 1587
n. 1 (nella specie, si trattava dellosservanza dellobbligo di manutenzione nei termini contrattuali) e di agire nei
confronti del conduttore inadempiente sia per la risoluzione del contratto, sia per la riduzione in pristino o
lesecuzione delle necessarie opere di manutenzione, ed in ogni caso per il risarcimento dei danni.
* Cass. civ., sez. III, 1 agosto 1995, n. 8385, Albertin c. Di Lernia ed altri.
Il mancato pagamento del canone di locazione convenzionalmente fissato, non giustificato se non quando sia
stato giudizialmente accertato, in via definitiva, che le somme pretese non sono dovute o sono dovute nel
minore ammontare corrisposto, creandosi altrimenti la violazione del sinallagma contrattuale ed uno squilibrio tra
le prestazioni delle parti sulla base di un inammissibile comportamento di ragion fattasi con la conseguenza che
se tale comportamento assume il carattere della gravit in relazione alla volont espressa dalle parti, alla natura
e alle finalit del rapporto, soprattutto in relazione allinteresse dellaltro contraente, si giustifica la risoluzione dei
rapporto.
* Cass. civ., sez. III, 18 aprile 1985, n. 2580.
La colpa dellinadempiente, quale presupposto per la risoluzione dei contratto, presunta sino a prova contraria
e tale presunzione destinata a cadere solo a fronte di risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate
dal debitore, le quali dimostrino che questultimo, nonostante luso della normale diligenza, non sia stato in grado
di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili. (Principio enunciato in tema di
inadempimento del pagamento del canone locatizio). * Cass. civ., sez. III, 14 maggio 1983, n. 3328.
In caso di fallimento del conduttore di un immobile, fin quando il curatore non esercita il recesso ex art. 80 legge
fall., il locatore conserva il proprio diritto al pagamento dei canoni nei termini pattuiti e la correlativa obbligazione
del curatore non si sottrae allapplicazione delle norme generali sulladempimento.
* Cass. civ., sez. III, 6 aprile 1983, n. 2421.

Nellipotesi di vendita dellimmobile locato, il conduttore deve corrispondere il canone allacquirente dal momento
in cui ne sia venuto comunque a conoscenza, anche in mancanza di una formale comunicazione; infatti, la
vendita del bene locato non comporta una cessione del contratto di locazione inquadrabile nella norma di cui
allart. 1406 c.c. ma soltanto una successione a titolo particolare del compratore nel rapporto di locazione per la
quale, contrariamente a ci che avviene per la cessione del contratto per la quale si richiede il consenso del
contraente ceduto, non necessario il consenso del conduttore.
Cass. civ., sez. III, 6 settembre 1990, n. 9160, Manche c. Sciorio.
Il pagamento del canone effettuato successivamente alla data della domanda di risoluzione del contratto di
locazione non idoneo ad impedire la chiesta risoluzione perch, a norma dellart. 1453, ultimo comma, c.c., da
tale data linadempiente non pu pi adempiere la propria obbligazione. * Cass. civ., sez. III, 14 marzo 1984, n.
1745.
Le cause di risoluzione di un contratto di locazione per inadempimento dei conduttore debbono preesistere al
momento in cui la controparte propone la domanda giudiziale, cosicch il giudice del merito non pu prescindere
dallindagine primaria sulla sussistenza dellinadempimento del conduttore al momento della domanda, che vale
a giustificare la risoluzione del contratto di locazione, ancorch soggetto alla normativa vincolistica, ove si
concreti nella reiterazione della colpevole inadempienza nel ritardo nel pagamento dei danni, quando abbia
carattere di rilevante importanza e gravit essendosi protratta anche al di l dei termini previsti dalla legislazione
vincolistica (art. 3 L. ti. 841 del 1973) pure di fronte alle diffide intimate dopo uniniziale tolleranza dal
locatore.
* Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 1987, n. 805.
Luso che, in materia di locazione, regoli il termine per il pagamento del canone non pu essere considerato,
giusta lart. 8 disp. prel. cod. civ., un uso normativo, non essendo richiamato dallart. 1587, ti. 2, cod. civ., ma va
considerato come uso negoziale, operante in base allart. 1340 cod. civ. in quanto non escluso dalle parti, sicch
la prova della sua esistenza va data dal locatore che sulla sua base pretenda lanticipata corresponsione del
canone.
* Cass. civ., sez. III, 1 marzo 1989, n. 1141, Guercio c. Guercio.
Linvio di un assegno di conto corrente per effettuare il pagamento del canone di locazione non ha efficacia
liberatoria se non venga accettato dal creditore locatore. Tuttavia, lefficacia liberatoria pu ravvisarsi qualora la
pregressa e prolungata accettazione dei canoni nella forma suddetta manifesti tacitamente il consenso del
creditore ai sensi dellart. 1197 c.c. alla prestazione diversa da quella dovuta e tale comportamento del creditore
pu essere idoneo anche ad escludere lo stato soggettivo di colpa del debitore inadempiente e, quindi, la mora
idonea a permettere la risoluzione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1995, n. 1326, Mangano c. Cozzubbo.
La tolleranza del locatore, in ordine al pagamento del canone, anzich presso il proprio domicilio in moneta
avente corso legale, a mezzo bonifico od accredito in conto corrente bancario, non implica, salvo prova contraria
a carico del conduttore, anche la tolleranza circa la disponibilit della somma dovutagli oltre il termine pattuito
per il versamento del canone, di modo che, in difetto di quella prova, il conduttore assume i rischi di eventuali
ritardi o disguidi derivanti dai ricorso al servizio bancario.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 28 dicembre 1990, n. 12210, Picech c. Fabiano.
Il pagamento del canone di locazione, salva diversa previsione del contratto, deve essere effettuato dal
conduttore al domicilio del locatore con moneta avente corso legale. La scelta di un diverso modo di pagamento
(nella specie: vaglia postale) comporta inadempimento di unobbligazione gravante sul conduttore, che in tanto
pu dar luogo alla risoluzione del contratto, in quanto possa considerarsi colpevole, e cio provocato dalla
deliberata volont di sottrarsi ingiustamente alla prestazione dovuta, e di non scarsa importanza, avuto riguardo
allinteresse del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 19 settembre 1980, n. 5310.
Lofferta irrituale delle pigioni scadute da parte del conduttore, pur potendosi, in particolari circostanze, ritenere
elemento sufficiente per escludere linadempienza, di regola non pu importare liberazione del conduttore che
pu verificarsi solo per effetto del deposito eseguito ai sensi dellart. 1212 c.c. e il relativo accertamento
dellefficacia liberatoria dellofferta e, correlativamente, della legittimit o meno del rifiuto di essa da parte del
creditore, postula unindagine che rientra nei poteri del giudice di merito.
* Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 1980, n. 649.
Se nel corso di un rapporto di locazione decede uno dei locatori, gli eredi di esso, per pretendere il pagamento
del canone, hanno lonere di dimostrare la loro legittimazione, perch la modifica soggettiva del contratto,
innovando sulle modalit di adempimento (art. 1362, comma 2, c.c.), determina uno stato di incertezza per il
conduttore che il creditore ha lonere di rimuovere, onde rendere possibile la prestazione, in attuazione del
principio di buona fede nellesecuzione del contratto; in mancanza dellassolvimento di tale onere di
collaborazione giustificato il rifiuto del conduttore di pagare il corrispettivo ai nuovi contitolari del diritto, ed
invece idonea a costituire la mora accipiendi lofferta del canone alloriginario contitolare del relativo diritto.
* Cass. civ., sez. III, 4 dicembre 1997, n. 12328, Cantalamessa ed altro c. Comandini.
Linvio di un titolo di credito improprio, quale un vaglia postale, per effettuare il pagamento del canone di
locazione non ha efficacia liberatoria se non venga accettato dal creditore-locatore, sia perch, a norma dellart.
1277 c.c., i debiti pecuniari si estinguono solo con moneta avente corso legale nello Stato, sia perch, a norma
dellart. 1182 c.c., essi debiti vanno adempiuti nel domicilio del creditore al tempo della scadenza, e linvio del
vaglia comporta la sostituzione di questo domicilio con la sede dellufficio postale presso cui il titolo riscuotibile.
Tuttavia lefficacia liberatoria pu ravvisarsi qualora la pregressa e prolungata accettazione dei canoni nella
forma suddetta manifesti tacitamente il consenso del creditore, di cui ailart. 1197 c.c., alla prestazione diversa
da quella dovuta. Il detto comportamento del creditore pu essere idoneo anche ad escludere lo stato soggettivo

di colpa del debitore inadempiente, e quindi la sua mora, idonea a permettere la risoluzione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 5 gennaio 1981, n. 24.
Il rifiuto del conduttore di pagare il canone di locazione, giustificato dallavere il locatore omesso di consegnare
le ricevute a canoni gi pagati (eccezione dinadempimento), deve ritenersi contrario a buona fede ed
perci causa di risoluzione del contratto di locazione ex art. 1453 c.c. se il conduttore stesso non si sia trovato
nelle necessit di servirsi delle ricevute per non avere il locatore mai negato gli avvenuti pagamenti.
* Cass. civ., sez. III, 6 luglio 1977, n. 2987.
Gli interessi sui canoni locatizi non corrisposti dal conduttore hanno natura moratoria in quanto ancorati alla
mora ex art. 1282, secondo comma, c.c. e quindi possono essere attribuiti soltanto se la parte li domanda, e non
pure dufficio.
* Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 1983, n. 564.
b-2) Autoriduzione e contestazione del canone
E' in mora il conduttore che sospende la corresponsione del canone concordato in attesa dellesito del giudizio
instaurato per la determinazione di esso nella misura legale e per il conseguente rimborso, previa
compensazione fino alla concorrenza, con le somme pagate in pi, perch leventuale credito non ancora n
liquido n esigibile. * Cass. civ., sez. III, 3 marzo 1997, n. 1870, Busillo ed altri c. Iacenda.
E' illegittima lautoriduzione del canone di locazione prima della instaurazione del giudizio per la sua
determinazione, ferma la necessit di valutare con particolare riguardo allinteresse del locatore a riceverlo
mensilmente, fino alla moratoria ex lege, nella misura pattuita la gravit di tale inadempimento, da parte del
giudice del merito, ai sensi e per gli effetti dellart. 1455 c.c.
* Cass. civ., sez. III, 3 marzo 1997, n. 1870, Busillo ed altri c. Iacenda.
In tema di locazione di immobili urbani, la cosiddetta autoriduzione del canone, cio il suo pagamento in misura
inferiore a quella convenzionalmente stabilita, in relazione alla dedotta esorbitanza ditale ultima misura rispetto
allimporto inderogabilmente fissato dalla legge, costituisce un fatto arbitrario ed illegittimo del conduttore
provocando il venir meno dellequilibrio sinallagmatico convenzionale, restando nei poteri del giudice, ai fini
dellaccertamento di un inadempimento tanto grave da giustificare la risoluzione del rapporto, la valutazione
dellimportanza dello squilibrio sinallagmatico avuto riguardo allinteresse del locatore in relazione al suo diritto di
ricevere il canone in misura legale. * Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1990, n. 6403, Soc. Caruso c. Durante.
In tema di locazione di immobili urbani ed in relazione a controversie instaurate dopo lentrata in vigore della L.
n. 392 del 1978, il conduttore convenuto per la risoluzione del contratto per morosit non pu opporre di avere
versato il canone nella misura legale n pu il giudice accertare ex officio in via incidentale la effettiva misura del
canone legale, essendo il relativo accertamento riservato alla cognizione del pretore a seguito di regolare azione
del conduttore nelle forme e nei termini di cui agli artt. 44 e 45 di detta legge, di guisa che, sin quando in questo
ultimo giudizio non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato lesatta misura del canone legale che
venga a sostituire quella convenzionale, illegittima "lautoriduzione" del canone, che provoca il venir meno
dellequilibrio sinallagmatico convenzionale, fermo restando il potere del giudice di merito di accertare ex art.
1455 cod. civ. se linadempimento sia talmente grave da giustificare la risoluzione del rapporto, avuto riguardo
allinteresse del locatore a ricevere il canone nella misura dovuta. * Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 1989, n. 4520,
Vincenzi c. Ronzani.
Nel giudizio di sfratto per la morosit del conduttore, la determinazione dellesatto ammontare del canone di
locazione che venga da quello contestato al fine di escludere limputatogli inadempimento non pu essere
compiuta ex officio dal giudice, dovendo il conduttore proporre specifica azione, a norma della previgente
legislazione vincolistica, ovvero secondo la nuova disciplina di cui alla L. n. 392 del 1978. Pertanto, lomesso
previo accertamento in via definitiva dei precedenti indebiti a seguito di quel giudizio, comporta che la mancata
corresponsione (anche in parte) dei canoni pattuiti attuata unilateralmente dal conduttore concreta unipotesi di
ragion fattasi, dando luogo ad un vero e proprio inadempimento colpevole, in relazione a quel dovere dellesatto
e puntuale adempimento del contratto stipulato e della principale obbligazione con esso prevista, da cui il
conduttore stesso pu venire esentato non dalla mera pendenza del giudizio di adeguamento del canone, bens
solo dalla definitiva soluzione in suo favore ditale giudizio. * Cass. civ., sez. III, 9 marzo 1983, n. 1777.
In tema di risoluzione del contratto di locazione di immobile urbano per morosit, la questione se il conduttore
sia incorso o meno in una inadempienza autoriducendo il canone, dipende dallaccertamento del quantum del
suo debito solo quando il conduttore medesimo si sia limitato a non corrispondere le parti di canone da lui
ritenute espressione di unindebita maggiorazione, e non anche quando la mancata corresponsione si sia estesa
alle quote non contestate. * Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1987, n. 4382.
In tema di locazione di immobili urbani la mancata corresponsione (anche in parte) dei canoni pattuiti attuata
unilateralmente dal conduttore concreta unipotesi di ragion fattasi, dando luogo ad un vero e proprio
inadempimento colpevole, in relazione a quel dovere dellesatto e puntuale adempimento del contratto stipulato
e della principale obbligazione con esso prevista, da cui il conduttore stesso pu venire esentato non dalla mera
pendenza del giudizio di adeguamento del canone, bens solo dalla definitiva soluzione in suo favore di tale
giudizio.
* Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1987, n. 4382.
Il pagamento del canone di locazione costituisce la principale e fondamentale obbligazione del conduttore, al
quale non consentito di astenersi dal versare il corrispettivo e di determinare unilateralmente il canone da
corrispondere nel caso in cui si verifichi una riduzione o diminuzione del godimento del bene, ancorch tale
evento sia assunto come ricollegabile al fatto del locatore, legittimando lart. 1460 c.c. la sospensione totale o
parziale delladempimento dellobbligazione soltanto allorch manchi completamente la prestazione della
controparte: con la conseguenza che, pena la risoluzione del contratto, per il conduttore si pone lobbligo di
previamente esperire lapposito giudizio per lesatta determinazione del canone.

* Cass. civ., sez. III, 17 maggio 1983, n. 3411, Egitto c. Chiancone.


Alla stregua della disciplina della L. n. 392 del 1978, lesame delle domande relative alla determinazione del
canone nella sua misura legale ed alla ripetizione delle somme che il conduttore assume di aver corrisposto in
eccedenza rispetto alla misura dovuta non costituisce sempre un momento pregiudiziale, in senso logico e
giuridico, per la decisione della domanda di risoluzione del contratto per morosit. Infatti atteso, in particolare,
il contenuto dellultimo comma dellart. 45 della legge (secondo cui, fino al termine del giudizio sulla
determinazione del canone, il locatario obbligato a corrispondere, salvo conguaglio, limporto non contestato)
la questione se il conduttore sia incorso o meno in un inadempienza autoriducendo il canone dipende dalla
questione relativa allaccertamento del quantum del suo debito (con la conseguente necessit, ex art. 295 c.p.c.,
della sospensione del giudizio per la risoluzione del contratto sino alla definizione del giudizio sulla
determinazione del canone) solo quando il conduttore medesimo si sia limitato a non corrispondere le parti di
canone da lui ritenute espressione di unindebita maggiorazione e non anche quando la mancata
corresponsione si sia estesa alle quote non contestate, specialmente se limporto di queste ultime sia
notevolmente superiore allimporto delle prime, poich, in tal caso, lesito (qualunque esso sia) del separato
giudizio relativo allaccertamento del debito per le parti contestate quali indebite maggiorazioni non potr
eliminare il mancato adempimento di cui si fa questione ai fini della risoluzione del contratto. * Cass. civ., sez. III,
25 giugno 1983, n. 4371.
b-3) Pubblica amministrazione
Nel caso di pagamenti da effettuare dalla pubblica amministrazione in esecuzione di contratti stipulati iure
privatorum, sono applicabili i principi generali e le norme stabilite dalla legge comune, con particolare riguardo a
quelle relative allaccertamento dellinadempimento, ai fini della risoluzione del contratto, non potendosi
desumere una diversa disciplina dalle norme contenute nel regolamento per la contabilit dello Stato (r.d. 23
maggio 1924, n. 827), ed in particolare dallart. 270 di tale regolamento. Pertanto, il ritardo nelladempimento da
parte della pubblica amministrazione (nella specie: pagamento del canone di locazione), dovuto al mancato
esaurimento dei vari stadi cui soggetta la spesa, lungi dal liberare lamministrazione della responsabilit per
inadempimento, costituisce, invece, non equivoco elemento di colpa nel comportamento della stessa che, pur
consapevole del tempo necessario per i vari incombenti, non si curata di iniziare le pratiche e di seguirle
diligentemente nel loro iter, s da poter adempiere esattamente alle obbligazioni assunte. * Cass. civ., sez. III, 13
maggio 1983, n. 3271.
La pubblica amministrazione che non assolva lobbligo del pagamento del canone di un contratto di locazione
alle scadenze pattuite, per escludere la colposit del proprio inadempimento, e, quindi, per evitare la risoluzione
del contratto e la corresponsione degli interessi moratori, non pu limitarsi ad invocare la mancata formazione
del titolo di spesa, secondo le norme della contabilit dello Stato, ma deve dedurre e dimostrare che il ritardo
nella formazione di detto titolo dipenda da giustificate ragioni attinenti al relativo procedimento, e non dalla
propria inerzia. Fra tali ragioni non pu annoverarsi il mancato adempimento, da parte del privato locatore,
allobbligo del versamento dellimposta di registro, trattandosi di circostanza non ostativa al procedimento
contabile di liquidazione della spesa. * Cass. civ., sez. I, 18 ottobre 1982, n. 5406, Assessorato Is. c. Corona.
b-4) Interessi legali
Nel caso di morosit del conduttore per pi canoni mensili della locazione, spetta al locatore stabilire a quali dei
canoni, scaduti e non corrisposti, debbano essere imputate le somme ricevute dal conduttore,
indipendentemente dalle contrarie indicazioni di questultimo.* Cass. civ., sez. III, 6 luglio 1983, n. 4559.
Gli interessi sui canoni locatizi non corrisposti dal conduttore hanno natura moratoria in quanto ancorati alla
mora ex art. 1282, secondo comma, c.c. e quindi possono essere attribuiti soltanto se la parte li domanda, e non
pure dufficio.
* Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 1983, n. 564.
b-5) Oneri accessori
Il conduttore richiesto del pagamento degli oneri condominiali deve considerarsi automaticamente in mora alla
scadenza del termine di due mesi se in tale termine non abbia chiesto lindicazione specifica delle spese e dei
criteri di ripartizione o di prendere visione dei documenti giustificativi non essendovi per il locatore, in mancanza
della richiesta del conduttore, alcun onere di indicazione specifica delle predette spese e dei predetti criteri. *
Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 1996, n. 540, Cavola c. Iadonna.
Nella disciplina ordinaria del c.c., rientra nellautonomia negoziale dei contraenti stabilire se il conduttore debba
corrispondere al locatore, oltre il canone pattuito, anche limporto delle spese condominiali, ovvero se tale
prestazione debba rimanere, in tutto o in parte, a carico del locatore. *Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 1991, n.
1002, DAmico c. Cardelli.
In tema di locazione di immobili, qualora il servizio condominiale (nella specie, servizio di pulizia), venga prestato
in maniera inadeguata, il conduttore dellappartamento sito nello stabile al quale detto servizio si riferisce pu
eccepire nei confronti del proprietario-locatore la sua inadempienza e chiedere giudizialmente di essere
esonerato dal pagamento delle relative spese.
* Cass. civ., sez. III, 17 novembre 1997, n. 11388, Enasarco c. Bitturini ed altri. [
A seguito dellentrata in vigore della nuova disciplina della locazione degli immobili urbani, di cui alla L. n. 392
del 1978, lobbligazione del conduttore, concernente il pagamento degli oneri accessori considerata
autonoma rispetto allaltra attinente al pagamento del canone divenuta parte integrante della struttura
sinallagmatica del contratto, con la conseguenza che il suo inadempimento, solo se superiore a due mensilit
del canone, d al locatore il diritto di ottenere la risoluzione del contratto di locazione, salvo per il conduttore il
potere di paralizzare tale domanda con leccezione di inadempimento per non avere ottenuto dal locatore
lindicazione specifica delle spese condominiali e non aver potuto esercitare la facolt di prendere visione dei
relativi documenti giustificativi. * Cass. civ., sez. II, 10 agosto 1982, n. 4490.

A giustificare la risoluzione di un contratto di locazione, sia esso soggetto o meno a proroga legale, e quindi
anche alla luce della normativa vincolistica, non necessario che linadempimento del conduttore si sia
concretato nella mancata corresponsione del canone, ma sufficiente anche la reiterata e colpevole
inadempienza, da parte del conduttore medesimo, nel pagamento delle spese relative ai servizi accessori della
locazione, qualora abbia carattere di rilevante importanza e gravit.
* Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 1983, n. 1463.
b-6) Legittimazione ad agire a seguito di mancato pagamento
Qualora la locazione riguardi un immobile appartenente in compropriet a pi soggetti, ciascuno di essi
creditore in solido, con gli altri, del canone locatizio e pu, pertanto, agire da solo per ottenere il pagamento,
senza necessit di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari. * Cass. civ., sez. III, 2 aprile
1977, n. 1246.
La domanda di risoluzione per morosit di un unico contratto di locazione con pi conduttori deve essere
proposta nei confronti di tutti in quanto, attesa la natura costitutiva dellazione, si verte in ipotesi di litisconsorzio
necessario.
* Cass. civ., sez. III, 6 giugno 1983, n. 3866.
c) Obbligo di consentire la visita della cosa locata
Il locatore, nonostante il silenzio del titolo, pu visitare e far visitare la cosa locata, con le modalit di cui agli usi,
al fine di poter stipulare altro contratto di locazione, allo scadere di quello in corso, di vendere la cosa, ecc. Il
conduttore, che opponga ingiustificati rifiuti alleffettuazione ditali visite, incorre in inadempimento, che pu
costituire causa di risoluzione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 17 settembre 1981, n. 5147.
LE OBBLIGAZIONI PRINCIPALI DEL LOCATORE
Le obbligazioni del locatore derivanti dagli artt. 1575 e 1576 c.c. non comprendono l'esecuzione di opere di
modificazione o trasformazione della cosa locata, anche se imposte da disposizioni di legge o dell'autorit
sopravvenute alla consegna, per rendere la cosa stessa specificamente idonea all'esercizio dell'attivit per la
quale stata locata.
* Cass. civ., sez. III, 8 maggio 1998, n. 4676, Alessandrini c. Com. San Benedetto del Tronto.
Il contratto di locazione impone al locatore l'obbligazione di consegnare il bene al conduttore (art. 1575 n. 1 c.c.),
con un corrispondente diritto di credito di quest'ultimo, che deve essere fatto valere nelle normali vie di legge, e
non pu essere esercitato con un'azione di diretto impossessamento, la quale, se compiuta, integra spoglio agli
effetti dell'art. 1168 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1983, n. 4021.
Il mancato o ritardato rilascio della licenza di abitabilit od occupabilit non invalida il contratto di locazione e
non costituisce inadempimento del locatore, se il conduttore abbia potuto egualmente godere in concreto della
cosa locata secondo le finalit previste dal contratto. L'inosservanza degli adempimenti amministrativi relativi
all'occupabilit o abitabilit dell'immobile pu dar luogo alla risoluzione del contratto solo quando la licenza sia
stata definitivamente negata per ragioni tecniche o igieniche e conseguentemente l'immobile sia divenuto
inidoneo all'uso per il quale era stato locato.* Cass. civ., sez. III, 27giugno 1975, n. 2531.
Il locatore di un immobile responsabile nei confronti del conduttore per il mancato rilascio della licenza di
abitabilit solo se, in conseguenza del mancato rilascio, il conduttore non abbia potuto godere in concreto della
cosa locata. La risoluzione del contratto potr essere demandata dal conduttore soltanto quando l'abitabilit sia
stata definitivamente negata.
* Cass. civ., sez. III, 16 settembre 1996, n. 8285, Orsini c. Scazzocchio.
L'inidoneit dell'immobile all'esercizio di una determinata attivit commerciale o industriale per la quale stato
locato (che pu consistere anche nella mancanza dei requisiti all'uopo prescritti dalla pubblica autorit) non
comporta per il locatore l'obbligo di operare modificazioni o trasformazioni che non siano state poste a suo
carico dal contratto, poich al locatore incombe l'obbligo di conservare, non gi di modificare, lo stato esistente
al momento della stipula della locazione, che il conduttore ha riconosciuto idoneo all'uso pattuito. (Nella specie,
la S.C. - sulla base del principio sopra enunciato - ha reputato corretta la decisione del giudice del merito che
aveva escluso l'esistenza del vizio occulto nella mancanza di "galleggiamento del solaio" - necessario per
attutire i rumori e le vibrazioni prodotti dal gioco del bowling, per l'esercizio del quale gli ambienti erano stati
locati - che non era stato promesso dal locatore e che il conduttore non aveva ragione di attendersi).
* Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 1981, n. 1142. 25. A.L.C. 1998, n.5.
La consegna di cosa che risulti inidonea a realizzare l'interesse del conduttore non comporta la responsabilit
del locatore per violazione del dovere di cui all'art. 1575 n. 1 c.c. e non esonera il conduttore dall'obbligazione di
pagamento del corrispettivo quando risulti che il conduttore conoscendo la possibile inettitudine dell'oggetto
della prestazione abbia accettato il rischio economico come rientrante nella normalit dell'esecuzione della
prestazione stessa.
* Cass. civ., sez. III, 27 marzo 1997, n. 2748, Ist. Arte Artig. Rest. ed altro c. Carati.
La consegna di cosa inidonea a realizzare l'interesse del conduttore non comporta la responsabilit del locatore
per violazione del dovere di cui all'art. 1575 n. 1 c.c. quando risulti che il conduttore conosceva la possibile
inettitudine dell'oggetto della prestazione, accettando di conseguenza il rischio economico come rientrante nella
normalit dell'esecuzione della prestazione.
* Cass. civ., sez. III, 20febbraio 1998, n. 1777, Cocchetti c. Comune di Moena.
Con riguardo alla liquidazione del danno, che il locatore di immobile adibito ad esercizio commerciale debba
risarcire al conduttore, per l'impossibilit di godere del bene fino alla scadenza del relativo contratto, va negata
la possibilit di computare autonomamente, in aggiunta al mancato guadagno del conduttore stesso, le spese da
questi sostenute per l'acquisto delle attrezzature necessarie a quell'esercizio, ove tali attrezzature siano da

considerarsi del tutto deprezzate o non utilmente asportabili all'indicata data di scadenza del contratto, perch,
in tale situazione, il ristoro del mancato guadagno esclude la rimborsabilit di dette spese, che vanno
considerate quali elementi passivi in ragione delle quote d'ammortamento, ad imputare a ciascun esercizio per
la durata contrattualmente prevista della locazione.
* Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1983, n. 3989.
Negli obblighi del locatore di consegnare la cosa in buono stato di manutenzione e di mantenerla in istato da
servire all'uso convenuto non rientra quello di apportare alla cosa stessa le modifiche e aggiunte occorrenti per
renderla idonea alla destinazione pattuita, n quella di assicurare al conduttore la possibilit di apportarvele egli
stesso. Ci, tuttavia, non esclude che le parti possano concludere un accordo in tal senso, fatto salvo il
problema della sua qualificazione e dell'eventuale carattere misto che il contratto potrebbe assumere in
determinate ipotesi.
* Cass. civ., sez. III, 14febbraio 1975, n. 590. Nello stesso senso: sez. II, 25 maggio 1973, n. 1544; sez. III, 5
agosto 1969, n. 2947.
Le obbligazioni, poste a carico del locatore dai nn. 1 e 2 dell'art. 1575 c.c., di consegnare al conduttore la cosa
locata in buono stato di manutenzione e di mantenerla in istato di servire all'uso convenuto, non comprendono
quella di apportare alla cosa stessa le modificazioni o aggiunte necessarie per renderla idonea all'uso
convenuto, n di assicurare al conduttore la possibilit di apportarvi egli stesso quelle modificazioni o aggiunte.
L'originaria mancanza nell'immobile locato di un impianto o accessorio necessario perch esso possa venir
adibito dal conduttore all'uso convenuto, non d luogo alla garanzia per vizi della cosa locata se tale mancanza
era conosciuta dal conduttore o facilmente riconoscibile.
* Cass. civ., sez. III, 10 luglio 1974, n. 2043.
La locazione contratto consensuale che si perfeziona con l'accordo delle parti, si che la consegna della cosa
non rientra nella fase formativa del rapporto, ma costituisce il primo ed ineliminabile obbligo del locatore, che
condiziona la nascita degli obblighi e delle responsabilit ulteriori nonch il consolidarsi della posizione del
conduttore quale titolare di un diritto personale di godimento.* Cass. civ., sez. III, 21 marzo 1970, n. 766.
Nel vigore del regime vincolistico delle locazioni urbane il locatore non tenuto ad effettuare le riparazioni di cui
agli artt. 1575, 1576 e 1577 c.c., essendo stata sostituita alla relativa disciplina generale del codice civile quella
speciale prevista dall'art. 41 della L. 23 maggio 1950, n. 253, alla stregua della quale concessa al conduttore
soltanto la facolt di provvedere direttamente a dette riparazioni, previa autorizzazione del pretore, dopo che il
locatore, interpellato con lettera raccomandata, abbia risposto, espressamente o tacitamente in senso negativo.
In difetto di siffatto rimedio il conduttore pu chiedere solamente la risoluzione del contratto, senza poter vantare
alcun diritto al risarcimento, per i danni che possano essergli derivati dalla mancata esecuzione delle riparazioni,
non essendo configurabile la violazione di alcun obbligo da parte del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 21 aprile 1983, n. 2750. Conformi: Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1990, n. 6408; Cass. civ.,
sez. III, 29 aprile 1980, n. 2856; Cass. civ., sez. III, 3 luglio 1979, n. 3766; Cass. civ., sez. III, 9 novembre 1977,
n. 4820; Cass. civ., sez. III, 14 gennaio 1977, n. 192.
Il locatore il quale mantenga un proprio immobile, diverso da quello locato, in modo da recare pregiudizio al
godimento di quest'ultimo da parte del relativo conduttore, viola l'obbligo previsto dall'art. 1575 n. 2 c.c. di far
godere al conduttore la cosa locata secondo la destinazione pattuita.* Cass. civ., sez. III, 25 gennaio 1991, n.
759, S.r.l. Immobiliare Portici c. SrI. Sevesia Films.
Con riguardo alle locazioni di immobili adibiti ad uso noti abitativo, la pattuizione che, in deroga a quanto
disposto dagli artt. 1576 e 1609 cod. civ., impone al conduttore l'obbligo sia della manutenzione ordinaria che di
quella straordinaria relativa agli impianti ed alle attrezzature particolari (nella specie si trattava di locale ad uso
autorimessa ed officina), restando a carico del locatore soltanto le riparazioni delle strutture murarie, non incorre
nella sanzione di nullit stabilita dall'art. 79, primo comma, della L. n. 392 del 1978, atteso che la disciplina delle
suddette locazioni non contempla anche l'art. 23 di tale legge in tema di riparazioni straordinarie, n la
predeterminazione legale di limiti massimi del canone, suscettibili di superamento in caso di attribuzione
convenzionale dell'onere economico delle spese di manutenzione.
* Cass. civ., sez. III, 15 marzo 1989, n. 1303, Soc. Samegep c. Inpdai.
Seppure le riparazioni di piccola manutenzione dell'immobile locato, dipendenti da deterioramenti prodotti
dall'uso, devono essere effettuate dall'inquilino ai sensi dell'art. 1576 c.c., la responsabilit nei confronti dei terzi
per danni prodotti dalla cosa deve farsi risalire al proprietario al quale - in base al generale principio di cui all'art.
2051 c.c. - incombe l'obbligo della custodia e che, quale possessore dell'immobile, conserva i suoi poteri di
ingerenza e di vigilanza sulla cosa locata e deve impedire che i terzi subiscano nocumento, senza che possa
rilevare la facolt di rivalsa nei confronti del conduttore.* Cass. civ., sez. III, 12 marzo 1983, n. 1868.
L'obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in istato da servire all'uso convenuto, di cui all'art. 1575 n. 2
c.c., presuppone il riconoscimento da parte del conduttore dell'idoneit della cosa al detto uso al momento della
consegna. L'obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in istato da servire all'uso convenuto, di cui all'art.
1575 n. 2 c.c., consiste nel provvedere a tutte le riparazioni necessarie a mantenere la cosa in quello stato, a
conservare, cio, lo stato esistente all'atto della stipulazione del contratto in relazione alla destinazione
considerata. Esso, non pu, invece, comprendere successive modificazioni o trasformazioni che, noti previste
dal contratto, ineriscano all'idoneit specifica dell'immobile all'esercizio di una determinata attivit industriale o
commerciale per il quale stato locato, in relazione a dati requisiti ed alle relative opere imposte dall'autorit per
tale esercizio.* Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 1977, n. 519.
La garanzia dovuta dal locatore per i vizi della cosa locata (art. 1578 c.c.) fondata sul presupposto che la cosa
sia in condizioni di poter esser goduta, e va distinta dall'obbligazione relativa alla manutenzione (artt. 1575, ti. 2,
e 1576 cc.), che impone al locatore di provvedere tempestivamente alle riparazioni necessarie a mantenere la
cosa locata in istato da servire all'uso convenuto. Dalla responsabilit per l'inadempimento ditale obbligazione, il

locatore pu liberarsi solo provando, a norma dell'art. 1218 c.c., che l'inadempimento dovuto a causa a lui non
imputabile. (Nella specie era stata affermata la responsabilit del locatore per i danni subiti dal conduttore di un
magazzino per infiltrazioni d'acqua dal tetto, sul rilievo che l'ignoranza, da parte del locatore, del verificarsi delle
lamentate infiltrazioni, non escludeva l'obbligo, a suo carico, di curare con particolare diligenza la manutenzione
del tetto, del quale conosceva lo stato, prevenendo o troncando all'inizio inconvenienti facilmente prevedibili).
* Cass. civ., sez. III, 15dicembre 1972, n. 3620.
La destinazione particolare dell'immobile locato, tale da richiedere che l'immobile stesso sia dotato di precise
caratteristiche e che ottenga specifiche licenze amministrative, diventa rilevante, quale condizione di efficacia, o
quale elemento presupposto, o, infine, quale contenuto dell'obbligo assunto dal locatore della garanzia di
pacifico godimento dell'immobile in relazione all'uso convenuto, soltanto ove abbia formato oggetto di specifica
pattuizione, non essendo sufficiente la mera enunciazione nel contratto che la locazione sia stipulata per un
certo uso e l'attestazione del riconoscimento della idoneit dell'immobile da parte del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 13 luglio 1977, n. 3154.
In regime di proroga legale della locazione il locatore esonerato dalle obbligazioni di cui agli artt. 1575 n. 2 e
1576 primo comma c.c. (mantenimento della cosa in modo da servire all'uso, ovvero in buono stato locativo) ma
noti dall'obbligo di garanzia per molestie di diritto.* Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1977, n. 578. Conforme, Cass.
civ., sez. II, 28 aprile 1982, n. 2652.
Durante il rapporto di locazione, il locatore noti pu considerarsi dispensato dall'obbligo di vigilanza e di custodia
della cosa locata, sia per la parte di immobile di sua esclusiva propriet sia per le parti comuni dell'edificio,
trattandosi di un obbligo strettamente connesso con quelli a suo carico, di manutenzione e di riparazione
dell'immobile locato.
* Cass. civ., sez. III, 8 settembre 1977, n. 3933. Conforme, Cass. civ., sez. III, 12 marzo 1982, n. 1868.
La responsabilit del locatore per infrazioni, da parte del conduttore, al regolamento condominiale,
legittimamente pu essere fondata sulla mera qualit di locatore del primo, in quanto, con il fatto stesso di
assumere tale qualit riguardo ad un locale facente parte del condominio, esso locatore viene a trovarsi in una
posizione di ingerenza nell'organizzazione condominiale, e ad esercitare di fatto poteri corrispondenti
all'esercizio dei diritti condominiali, con correlativo onere, da parte sua, di controllo sull'operato del conduttore in
funzione del rispetto delle norme proprie di quell'organizzazione.
* Cass. civ., sez. II, 17 luglio 1973, n. 2093.
L'obbligo del locatore, assunto verso il conduttore al momento della stipula del contratto di locazione, di eseguire
o far eseguire lavori, anche di modifica strutturale sull'immobile, non scaturisce da un autonomo contratto di
appalto, se essi sono funzionali all'uso pattuito, ma costituisce adempimento, nell'esercizio dell'autonomia delle
parti, degli obblighi del locatore stabiliti dall'art. 1575 c.c.* Cass. civ., sez. III, 7 aprile 1998, n. 3563, Cons. Naz.
delle Ricerche c. Prometeus Srl.
Le spese rese necessarie dall'attivit svolta dal conduttore per l'adeguamento alle norme igienico-sanitarie degli
impianti di un immobile locato ad uso industriale, non sono a carico del locatore in difetto di uno specifico
impegno assunto in tal senso.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 22 febbraio 1996, n. 1568, Granzarolo e Danelli c. Soc. Avia Lombardia, in Arch. loc. e
cond. 1997, 283.
ONERI ACCESSORI
SOMMARIO: a) Alloggi ex Incis; b) Ambito di operativit; c) Compenso dell`amministratore; d) Contoversie; e)
Determinazione forfettaria; f) Indicazione specifica e criteri di ripartizione; g) Onere probatorio; h) Pagamento
anticipato; i) Patti contrari; l) Prescrizione del diritto al rimborso; m) Rapporti condominiali; n) Servizio di
portierato; o) Servizio di pulizia; p) Tassa per il passo carraio; q) Termine.
a) Alloggi ex Incis
Gli artt. 9 e 10 della L. 27 luglio 1978 n. 392, rispettivamente relativi agli oneri accessori della locazione di
immobili per uso abitativo ed alla partecipazione del conduttore alle assemblee dei condomini, si applicano
anche ai rapporti con gli assegnatari utenti di alloggi ex Incis militari convertiti in locazione ai sensi degli artt. 22
L. 18 agosto 1978 n. 497 e 22 L. 8 agosto 1977 n. 513, che sono interamente regolati dalle norme privatistiche
di detta legge.
* Cass. civ., sez. III, 4 aprile 1992, n. 4133, Ministero del Tesoro c. Rossi ed altri.
b) Ambito di operativit
Nelle locazioni degli immobili urbani, i premi di assicurazione dello stabile, il compenso dell`amministratore ed il
concorso nelle spese di riparazione dell`impianto di riscaldamento e di revisione dell`impianto antincendio non
sono compresi tra gli oneri accessori che l`art. 9 della legge n. 392 del 1978 pone a carico del conduttore, salvo
patto contrario, da valutarsi alla stregua del divieto di pattuizioni dirette ad attribuire al locatore vantaggi in
contrasto con le disposizioni della predetta legge (art. 79, primo comma). Del pari deve ritenersi escluso dalle
spese a carico del conduttore l`ammortamento degli impianti, quale deposito frazionato nel tempo di somme di
denaro necessarie per l`acquisto di nuovi impianti a seguito della vetust di quelli in uso, trattandosi di una
destinazione patrimoniale nell`esclusivo interesse del locatore, tenuto a mantenere la cosa locata in istato da
servire all`uso convenuto, e, quindi, a prestare i relativi servizi.
* Cass., sez. III, 11 novembre 1988, n. 6088, Di Piazza c. Miglio.
A seguito dell`entrata in vigore della nuova disciplina della locazione degli immobili urbani di cui alla legge n. 392
del 1978, l`obbligazione del conduttore, concernente il pagamento degli oneri accessori - considerata autonoma
rispetto all`altra attinente al pagamento del canone - divenuta parte integrante della struttura sinallagmatica del
contratto, con la conseguenza che il suo inadempimento, solo se superiore a due mensilit del canone, d al
locatore il diritto di ottenere la risoluzione del contratto di locazione, salvo per il conduttore il potere di
paralizzare tale domanda con l`eccezione di inadempimento per non avere ottenuto dal locatore la indicazione

specifica delle spese condominiali e non aver potuto esercitare la facolt di prendere visione dei relativi
documenti giustificativi. * Cass., sez. II, 10 agosto 1982, n. 4490, Caccialupi c. Brudo.
Gli artt. 5 e 55 della legge n. 392 del 1978 (cosiddetta dell`equo canone) hanno introdotto relativamente alla
gravit dell`inadempimento predeterminata ex lege, alla possibilit della sanatoria ed alla concessione del
termine di grazia, un`equiparazione fra canone di locazione ed oneri accessori con la conseguenza che anche la
morosit per soli oneri accessori pu essere dedotta in giudizio con lo speciale procedimento di convalida ex art.
658 c.p.c.
* Cass., sez. III, 18 aprile 1989, n. 1835, Masi c. Jacomussi.
La competenza ratione materiae del pretore ai sensi dell`art. 8, comma secondo, n. 4 c.p.c. riguarda le cause
relative alla misura dei servizi del condominio di case, intendendosi per tali quelle in cui occorre fissare le regole
di esercizio dell`uso sulla cosa comune da parte di singoli utenti nell`ambito di un condominio. Da tale
competenza restano escluse, pertanto, le controversie relative alla ripartizione degli oneri riguardanti la fruizione
dei servizi comuni, sia quando questa faccia capo ai singoli condomini, sia quando essa debba essere ripartita
tra locatore e conduttore in base al rapporto di locazione. Pertanto la competenza di questa ultima va stabilita in
base agli ordinari criteri della competenza per valore.
* Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1992, n. 7128, Brando c. Migliaccio.
La mera determinazione del locatore di dare la preferenza - nella concessione in godimento dell`immobile - al
proprio dipendente, non comporta di per s una disciplina particolare del rapporto locatizio il quale, ancorch di
durata coincidente con il massimo dei limiti temporali del rapporto di impiego, non resta escluso dalle norme che
regolano il contratto di locazione e che sopravvengano nel corso del rapporto. (Applicazione in tema di disciplina
degli oneri accessori come stabilita dall`art. 9 della L. 27 luglio 1978 n. 392). * Cass., sez. III, 30 marzo 1982, n.
1993, Bredice c. Camera Comm. MI.
Grava sul locatore e non sul conduttore la spesa sopportata per l`amplificazione dell`antenna televisiva
centralizzata di un edificio condominiale in quanto non si tratta n di un onere accessorio per la fornitura di un
servizio comune ai sensi dell`art. 9 L. 27 luglio 1978 n. 392, n di una riparazione di piccola manutenzione ai
sensi dell`art. 1609 c.c.
* Pret. Taranto, 4 dicembre 1981, Spartera e altro c. Mongelli.
Il conduttore tenuto a pagare il solo importo delle spese condominiali che man mano maturano secondo il
consuntivo dell`esercizio precedente essendo nulla, per violazione dell`art. 79, in relazione all`art. 9 della L. n.
392/1978, la clausola contrattuale che impegni il conduttore al pagamento di tali spese sulla base del bilancio
preventivo.
* Pret. Milano, 13 novembre 1981, Pizzuti c. Montagnesi.
Il dovere del locatore di comunicare la distinta delle spese prevista dal`art. 9 della L. 27 luglio 1978, n. 392 quale
requisito di esigibilit del credito e, conseguentemente, quale condizione di fondatezza nel merito dell`azione
giudiziale, pu verificarsi e sopravvivere nel corso del processo fino al momento della decisione.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 30 aprile 1987, n. 3770, Zanco c. Amato.
A fronte della richiesta del locatore relativa al pagamento degli oneri accessori, il conduttore legittimato, ai
sensi dell`art. 9 della L. n. 392/1978, a chiedere spiegazioni e chiarimenti nonch a visionare i documenti
giustificativi di spesa presso l`amministratore dello stabile. Tale diritto del conduttore deve, peraltro, essere
esercitato entro il termine di due mesi dalla richiesta effettuata dal locatore e ci per la correlazione esistente fra
il precitato art. 9 a l`art. 5 della legge sull`equo canone.
* Pret. civ. Firenze, 12 dicembre 1987, n. 1582, Galli c. Robotti.
L`operativit dell`art. 9 della legge 392/78 si risolve in un onere dal cui mancato assolvimento non dipende la
proponibilit o procedibilit della domanda giudiziale, sibbene la mera esigibilit del credito azionato.
* Trib. civ. Monza, 23 aprile 1981, Rizzi c. Mazzoccola.
Nonostante il credito del locatore in ordine al pagamento degli oneri accessori non sia esigibile prima della
decorrenza del termine di cui all`art. 9 L. n. 392/1978, l`azione di risoluzione per inadempimento del contratto di
locazione pu essere esercitata anche prima della decorrenza di detto termine, ma l`adempimento del
conduttore poi intervenuto nel termine di legge va ritenuto pienamente satisfattorio ed efficace. * Pret. civ.
Lecce, 28 marzo 1989, n. 98, De Vitis c. Locato e altra.
Ai contratti di locazione in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 392/1978 non si applica l`art. 9 della
medesima legge in tema di ripartizione degli oneri accessori, dettata solo per i nuovi contratti, ma i suddetti
rapporti sono regolati, fino alla scadenza legale, in base agli accordi, sul punto, intervenuti in sede di
stipulazione del contratto, nonch dalla legislazione precedente a quella di cui alla L. n. 392/1978 (e, quindi,
nella fattispecie, dalla L. 22 dicembre 1973, n. 841), per quanto applicabile. * Trib. civ. Genova, 8 febbraio 1983,
Ceravolo e altri c. Inps.
c) Compenso dell`amministratore
Le spese relative al compenso corrisposto all`amministratore del condominio e le spese sostenute dallo stesso
nell`esercizio della sua attivit non rientrano tra gli oneri accessori che l`art. 9 della legge n. 392 del 1978 pone a
carico del conduttore dell`immobile, sicch del relativo importo non pu essere tenuto conto ai fini di accertare la
sussistenza o meno della morosit del conduttore medesimo. * Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1991, n. 6216, Trudo
c. Azzimonti.
d) Controversie
In tema di locazione di immobile urbano, la controversia concernente il pagamento degli oneri accessori
devoluta al giudice competente secondo gli ordinari criteri di valore, non venendo in rilievo la speciale
competenza del pretore che l`art. 45, L. 27 luglio 1978, n. 392, prevede con esclusivo riferimento al canone.
* Cass. civ., sez. III, 16 maggio 1992, n. 5836, Inail c. Spinelli ed altri.
e) Determinazione forfettaria

E' nulla la clausola contrattuale che obbliga il conduttore al pagamento degli oneri accessori determinati
forfettariamente, perch viola il principio della specificit di essi, stabilito dall`ultimo comma dell`art. 9 della L. 27
luglio 1978, n. 392, e consente al locatore di procurarsi vantaggi che non gli spettano (art. 79, stessa legge).
* Cass. civ., sez. III, 16 dicembre 1997, n. 12718, Pierantoni c. Meo.
f) Indicazione specifica e criteri di ripartizione
L`art. 9 della L. 27 luglio 1978 n. 392, che, al terzo comma, assegna al conduttore il termine di due mesi dalla
richiesta per il pagamento degli oneri accessori, riconoscendogli il diritto di ottenere, prima del pagamento,
l`indicazione specifica delle spese con la menzione dei criteri di ripartizione ed il diritto di prendere visione dei
documenti giustificativi delle spese effettuate, ha abrogato, per incompatibilit, ai sensi del successivo art. 84,
l`art. 9 ter della L. 28 luglio 1967 n. 628, il quale, omettendo di specificare il termine del pagamento, stabiliva
solo che "prima di effettuare il pagamento degli oneri accessori, il conduttore ha diritto di ottenere la distinta degli
oneri medesimi con l`indicazione dei criteri di ripartizione nonch di prendere visione dei relativi documenti
giustificativi" la detta disposizione si applica non solo ai contratti stipulati successivamente all`entrata in vigore
della legge n. 392 del 1978, ma anche a quelli in regime transitorio, trattandosi di disposizione relativa agli effetti
del rapporto in corso ed, in particolare, alla disciplina di una obbligazione del conduttore, divenuta parte
integrante della struttura sinallagmatica del contratto. * Cass. civ., sez. III, 12 febbraio 1991, n. 1451, Vorrano c.
Zito.
Per assolvere l`onere di indicazione specifica delle spese accessorie e di menzione dei criteri di ripartizione
previsto dall`art. 9, L. n. 392/1978, il cui adempimento condizione per l`esigibilit del relativo credito, il locatore
deve indicare specificamente al conduttore le somme che gli richiede per le spese di cui al primo e secondo
comma dello stesso art. 9, ed altres sottoporgli tabelle analitiche e chiare per la ripartizione delle spese comuni,
da cui risultino non solo i vari criteri di ripartizione seguiti (es.: criterio millesimale, superficie, cubature, ecc.), in
generale, ma anche specificamente il valore cui corrisponde la quota proporzionale di spesa gravante
sull`immobile locato e sugli altri immobili del complesso, cos da rendere possibile al conduttore il controllo
dell`obiettivit e dell`esattezza della stessa suddivisione delle spese comuni.
* Pret. civ. Milano, 10 aprile 1984, Franzi ed altri c. Mastrogiacomo.
Non pu pronunciarsi risoluzione della locazione per mancato pagamento degli oneri accessori nel caso che non
sia data al conduttore, ad onta delle richieste di costui, l`indicazione specifica delle spese con la menzione dei
criteri di ripartizione, n vale al riguardo il generico rinvio ai documenti esibiti nel processo.
* Corte app. civ. Napoli, sez. V, 10 maggio 1991, n. 1078, Ferrara c. Credentino.
g) Onere probatorio
Il locatore il quale convenga in giudizio il conduttore per il pagamento delle spese condominiali ex art. 9 legge 27
luglio 1978 n. 392 adempie il proprio onere probatorio producendo i rendiconti dell`amministratore approvati dai
condomini, mentre spetta al conduttore l`onere di specifiche contestazioni in ordine alle varie partite conteggiate,
prendendo all`uopo visione dei documenti giustificativi ovvero ottenendone l`esibizione a norma degli artt. 210
ss. c.p.c.
* Cass. civ., sez. III, 4 giugno 1998, n. 5485, Rottola c. Moretti Mario ed altri.
In tema di locazione di immobili urbani, qualora il conduttore, convenuto in giudizio per la risoluzione del
contratto, contesti che il locatore abbia sopportato le spese di cui chiede il rimborso o ne abbia effettuata una
corretta ripartizione, incombe al locatore stesso, ai sensi dell`art. 2697 c.c., dare la prova dei fatti costitutivi del
proprio diritto, i quali non si esauriscono nell`avere indirizzato la richiesta prevista dall`art. 9 della L. n. 392/1978,
necessaria per la costituzione in mora del conduttore e per la decorrenza del bimestre ai fini della risoluzione,
ma comprendono anche l`esistenza, l`ammontare ed i criteri di ripartizione del rimborso richiesto. * Cass., sez.
III, 1 dicembre 1987, n. 8938, Cavola c. Iadonna.
La circostanza che nessuna delle parti sia riuscita a dare la prova di accollo all`altra degli oneri accessori,
negativa solo per il conduttore, che ha l`onere di dimostrare la convenzione derogante al regime legale di cui
all`art. 9 della L. 392/78, in base al quale gli oneri accessori sono a suo carico nei limiti e nelle misure ivi previsti.
* Corte app. Napoli, sez. V, 14 giugno 1988, n. 771, Oliva c. Greco.
Ove il locatore non abbia fornito prova alcuna per dimostrare che la somma a lui dovuta a rimborso di spese
condominiali anticipate sarebbe stata sottratta mediante idoneo reimpiego agli effetti della svalutazione, sembra
corretto determinare il maggior danno (art. 1224, secondo comma, c.c.) da lui subito per effetto del mancato
pagamento della somma dovutagli, in una misura inferiore al 9%, dovendosi ritenere che la somma anticipatagli
avrebbe assicurato, quanto meno, un tasso di interesse certamente superiore a quello legale. * Trib. Milano,
sez. X, 1 settembre 1980, n. 6076, Pulzatto c. Peri.
h) Pagamento anticipato
Il credito del locatore nei confronti del conduttore per il rimborso degli oneri accessori non presuppone la
avvenuta prestazione dei relativi servizi, essendone normalmente richiesto il pagamento anticipato, con
conseguente preventiva acquisizione della necessaria liquidit, fermo restando l`onere, a carico del locatore, di
fornire - a richiesta - i documenti giustificativi delle spese effettuate. * Cass. civ., sez. III, 7 maggio 1991, n. 5031,
Canale c. Vignola.
Il conduttore tenuto al pagamento degli oneri accessori anticipatamente, secondo le scadenze disposte in
base al preventivo di spesa. * Pret. civ. Bergamo, ord. 6 aprile 1993, Mombrini c. Rota.
i) Patti contrari
Il disposto dell`art. 9 della L. 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui, addossando al conduttore i cosiddetti oneri
accessori (totalmente, per quanto riguarda il servizio di pulizia, il funzionamento e la manutenzione ordinaria
dellascensore, la fornitura dellacqua, del riscaldamento, dellenergia elettrica e del condizionamento daria, lo
spurgo dei pozzi neri e delle latrine, nonch la fornitura degli altri servizi comuni; ed al novanta per cento per
quanto riguarda il servizio di portineria), fa salvi i patti contrari, si applica esclusivamente ai patti stipulati

successivamente allentrata in vigore della legge stessa, trattandosi di norma che si correla strettamente al
nuovo ed unitario regime giuridico dei rapporti locativi e costituisce una contropartita alla fissazione di un "equo
canone" e ad una durata della locazione sottratta alla volont delle parti, con la necessaria conseguenza che i
patti stipulati anteriormente al suddetto momento, siano essi favorevoli o sfavorevoli al locatore, risultano travolti
dal sopravvenire della nuova disciplina destinata a determinare, con effetto anche per i contratti in corso, un
diverso equilibrio degli interessi contrapposti. * Cass. civ., Sezioni Unite, 30 marzo 1994, n. 3132, Carabill c.
Comune di Palermo.
l) Prescrizione del diritto al rimborso
Il credito del locatore per il pagamento degli oneri condominiali posti a carico del conduttore dall`art. 9 della
legge sull`equo canone si prescrive nel termine di due anni indicato dall`art. 6 della L. 22 dicembre 1973, n. 841
per il diritto del locatore al rimborso delle spese sostenute per la fornitura dei servizi posti, per contratto, a carico
del conduttore, perch tale norma, anche se inserita in una legge relativa alla proroga dei contratti di locazione
degli immobili ad uso d`abitazione, introduce una deroga al principio codicistico della prescrizione quinquennale
del canone di locazione e di ogni altro corrispettivo di locazione fissato dall`art. 2948, n. 3 c.c. che risponde ad
un`esigenza di rapida definizione di quell`accessorio rapporto giuridico, comune ad ogni locazione, e che ,
pertanto, applicabile anche agli oneri accessori dovuti dal conduttore in base all`art. 9 della L. 27 luglio 1978, n.
392, senza che a ci osti l`art. 84 di quest`ultima legge che, disponendo l`abrogazione di tutte le norme
incompatibili con la legge sull`equo canone, non pu essere riferita anche alla disposizione in materia di
prescrizione del sopra citato art. 6, che trascende il regime vincolistico. * Cass. civ., sez. III, 22 aprile 1995, n.
4588, De Anna c. Harmony Snc.
Nell`ipotesi di unico proprietario e locatore delle singole unit immobiliari che compongono l`edificio, la data di
decorrenza della prescrizione biennale del diritto al rimborso degli oneri accessori posti (per legge o per
contratto) a carico dei conduttori, deve essere individuata in relazione a quella di chiusura della gestione
annuale dei servizi accessori, secondo la cadenza con cui questa in concreto si svolge nell`ambito del rapporto
di locazione. (Nella specie stato anche affermato che non pu tenersi conto della normativa che impone
all`Inail di approvare il bilancio entro il 31 luglio dell`anno successivo, trattandosi di norma concernente
l`organizzazione interna dell`ente ai fini contabili, la cui osservanza o meno non pu incidere sul rapporto
privatistico di locazione dal quale nasce il credito per gli oneri accessori).
* Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2000, n. 1338, Inail c. Chinetti.
Nel caso di unit immobiliari ubicate in edificio appartenente per intero al proprietario-locatore, il diritto di questi
a ripetere dai conduttori gli oneri accessori di cui all`art. 9 L. 392/78 si prescrive in due anni (ex art. 6 L. 841/73),
decorrenti dal termine del singolo esercizio annuale. Trib. civ. Milano, sez. X, 21 dicembre 1998, n. 13696,
Comune di Rho c. Nebuloni ed altri.
Il diritto di rimborso delle spese poste dalla legge a carico del conduttore e sostenute dal locatore soggetto alla
prescrizione quinquennale di cui all`art. 2948 c.c. e non a quella biennale di cui all`art. 6, quarto comma della L.
22 dicembre 1973, n. 841, perch questa opera limitatamente ai casi in cui il diritto al rimborso compete al
locatore per le spese che sono poste dal contratto, e non gi dalla legge, a carico del conduttore.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 24 giugno 1988, n. 819, Tredici e altri c. Soc. per il risanamento di Napoli.
La norma di cui all`art. 6 della L. 22 dicembre 1973, n. 841 - che stabilisce la prescrizione biennale del diritto al
rimborso delle spese sostenute dal locatore per la fornitura di servizi a carico, per contratto, del conduttore - non
stata espressamente abrogata dalla successiva L. n. 392/1978, n d`altro canto, rientra nel disposto dell`art.
84 della suddetta (che prevede l`abrogazione di tutte le disposizioni incompatibili con la nuova legge),
trattandosi di norma solo occasionalmente inserita in un provvedimento vincolistico, ma rispondente in realt ad
esigenze diverse che trascendono il regime vincolistico ed hanno invece un ambito generale di applicazione. Ne
deriva che anche nel nuovo sistema della L. n. 392/1978 il credito del locatore relativo al pagamento degli oneri
accessori resta soggetto alla prescrizione biennale.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 30 aprile 1987, n. 3770, Zanco c. Amato.
Il diritto al pagamento degli oneri condominiali si prescrive nel termine di due anni di cui all`art. 6 della L. n.
841/1973.
* Trib. civ. Roma, sez. IV, 13 luglio 1992, De Marchis c. Cocozza.
m) Rapporti condominiali
Quella prevista dall`art. 10 della L. 27 luglio 1978 n. 392 un`assemblea condominiale allargata alla
partecipazione, per determinate materie (spese e modalit di gestione dei servizi di riscaldamento e
condizionamento dell`aria), dei conduttori, i quali, su queste, deliberano in luogo dei condomini. Trattasi di
un`ipotesi di sostituzione legale del conduttore al locatore, ispirata dal principio che, poich le spese di
riscaldamento gravano su di lui (art. 9 della L. n. 392 del 1978), il conduttore maggiormente interessato alle
relative deliberazioni. Ne consegue che le predette disposizioni si riferiscono solo ai rapporti tra locatore e
conduttore, mentre il condominio, essendo privo di un`azione diretta nei confronti del conduttore - tant` che
l`art. 5 della legge stessa prevede la risoluzione del contratto di locazione, a favore del solo locatore, se il
conduttore non gli rifonde gli oneri accessori a suo carico - pu rivolgersi solo ai condomini per il rimborso delle
spese condominiali.
* Cass. civ., sez. II, 13 gennaio 1995, n. 384, Comune Torino c. Condominio Via Risorgimento.
Quando dal locatore siano gi state chieste in giudizio al conduttore le somme contrattualmente dovute per
rimborso di spese condominiali, e quest`ultimo si sia reso moroso anche nel pagamento di ulteriori somme
maturate dopo il bilancio consuntivo, l`estensione della domanda al pagamento degli ulteriori crediti determina
non una mutatio, ma un`emendatio libelli, rimanendo immutata la causa petendi (inadempimento
dell`obbligazione contrattuale) gi dedotta in giudizio ed essendo solamente ampliato il petitum inteso come

oggetto mediato della domanda, che rimane inalterato nella sua individualit ontologica.
* Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1994, n. 4165, Milan c. Mery.
n) Servizio di portierato
Ove il servizio di portierato non venga svolto dal relativo incaricato in maniera conforme alle prescrizioni e con la
diligenza dovuta, il conduttore di un appartamento sito nell`edificio, cui quel servizio si riferisce, pu eccepire,
nei confronti del proprietario locatore, la sua inadempienza in relazione a quel servizio e chiedere giudizialmente
di essere esonerato dal pagamento delle relative spese. * Cass. civ., sez. III, 2 luglio 1991, n. 7257, Ist. Naz.
Prev. Giorn. c. Rossi.
Il giudice pu stabilire criteri di ripartizione delle spese di portierato diversi da quello di cui all`art. 9, secondo
comma, della L. n. 392/1978 (90% a carico del conduttore) nel caso di servizio di portineria espletato - anche
per la conformazione dell`immobile al quale esso destinato - in modo inadeguato e in misura ridotta.
* Pret. civ. Torino, 30 gennaio 1985, Gorra ed altri c. Tucci.o) Servizio di pulizia
In tema di locazione di immobili, qualora un servizio condominiale (nella specie, servizio di pulizia) venga
prestato in maniera inadeguata, il conduttore dell`appartamento sito nello stabile al quale detto servizio si
riferisce pu eccepire nei confronti del proprietario-locatore la sua inadempienza e chiedere giudizialmente di
essere esonerato dal pagamento delle relative spese.
* Cass. civ., sez. III, 17 novembre 1997, n. 11388, Enasarco c. Bitturini.
p) Tassa per il passo carraio
In tema di passo carraio, rientra tra gli oneri accessori gravanti sul conduttore il rimborso al proprietario, formale
intestatario dell`accesso, di quanto da quest`ultimo sborsato per la tassa di occupazione del suolo pubblico,
strettamente collegata all`effettivo pieno godimento della cosa locata. * Corte app. civ. Milano, sez. III, 20 luglio
1999, n. 1974, Soc. Andes c. Soc. Immobiliare Marirosa.
q) Termine
La disposizione del terzo comma dell`art. 9 della legge 27 luglio 1978, n. 392, che fa obbligo al conduttore di
pagare gli oneri condominiali entro due mesi dalla loro richiesta, delimita nel medesimo periodo il termine
massimo entro il quale il conduttore pu esercitare il suo diritto di chiedere l`indicazione specifica delle spese e
dei criteri di ripartizione e di prendere visione dei documenti giustificativi, con la conseguenza che, non
essendovi, in mancanza di tale istanza del conduttore, alcun onere di comunicazione del locatore, il conduttore
stesso, decorsi i due mesi dalla richiesta di pagamento degli oneri condominiali, deve ritenersi automaticamente
in mora, e non pu, quindi, sospendere o ritardare il pagamento degli oneri accessori, adducendo che la
richiesta del locatore non era accompagnata dalle indicazioni delle spese e dei criteri di ripartizione.
* Cass. civ., sez. III, 11 aprile 1995, n. 4154, Mangia c. Sica.
Dovendo il conduttore effettuare il pagamento degli oneri accessori entro due mesi dalla richiesta del locatore ex
art. 9, terzo comma, L. n. 392/1978, entro tale termine che il medesimo pu esercitare il diritto di richiedere la
distinta delle spese e l`indicazione dei criteri di ripartizione, nonch di prendere visione dei documenti
giustificativi, restando, diversamente, automaticamente in mora. * Trib. civ. Milano, sez. X, 9 aprile 1998,
Vegezzi ed altra.
L'OPPOSIZIONE DELL'INTIMATO
SOMMARIO: a) Domanda riconvenzionale; b) Domande accessorie; c) Effetti dell'opposizione; d) Mancata
comunicazione; e) Ordinanza di rilascio; f) Poteri del giudice; g) Rapporto con art. 55 L. 392/1978; h) Ricorso per
cassazione; i) Sospensione dei termini; l) Successivo giudizio; m) Varie
a) Domanda riconvenzionale
Nel procedimento sommario di sfratto, la domanda riconvenzionale deve essere spiegata nell'atto di opposizione
alla convalida, che costituisce il primo atto difensivo che introduce il giudizio di cognizione e pone fine a quello
sommario di sfratto.
* Cass. civ., sez. lav., 29 giugno 1981, n. 4241.
b) Domande accessorie
Nel procedimento di convalida di sfratto per morosit, superata la fase sommaria -nella quale il giudice, ai fini
dell'emissione del provvedimento di convalida o dell'ordinanza di rilascio, deve limitare l'indagine all'esame dei
presupposti per emettere o denegare quei provvedimenti- devono essere esaminate, nella successiva fase
cosiddetta ordinaria, anche le altre domande formulate dall'intimante, ancorch in via subordinata, nell'atto
introduttivo ovvero dedotte successivamente.
* Cass. civ., sez. III, 14 novembre 1986, n. 6700.
c) Effetti dell'opposizione
In tema di procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato determina la conclusione del
procedimento sommario e l'instaurazione di un nuovo processo ordinario in cui le parti possono esercitare le
facolt connesse con le rispettive posizioni. Pertanto consentito alla parte, in tale fase del procedimento,
proporre domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento e di risarcimento dei danni.
* Cass. civ., sez. III, 23 marzo 1991, n. 3154.
Nel procedimento per convalida di sfratto, l'opposizione dell'intimato, ex art. 665 cod. proc. civ., determina la
conclusione del procedimento a carattere sommario e l'instaurazione di un procedimento nuovo ed autonomo
con rito ordinario, nel quale le parti possono esercitare tutte le facolt connesse alle rispettive posizioni, ivi
compresa per il locatore la possibilit di proporre a fondamento della domanda una causa petendi diversa da
quella originariamente formulata e, per il conduttore, la possibilit di dedurre nuove eccezioni e di spiegare

domande riconvenzionali.* Cass. civ., sez. III, 11 giugno 1983, n. 4023.


L'opposizione dell'intimato ex art. 665 cod. proc. civ. determina, senza che occorra all'uopo un provvedimento
del giudice, la conclusione del procedimento di convalida, a carattere sommario, e l'instaurazione di un nuovo ed
autonomo processo con rito e cognizione ordinari, in cui non si discute pi di accoglimento o di rigetto della
domanda di convalida, e che si conclude con la pronuncia di una normale sentenza di condanna del conduttore
al rilascio dell'immobile locato, se la domanda del locatore viene accolta, ovvero di accertamento negativo del
diritto al rilascio, se la domanda stessa invece rigettata.
* Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1982, n. 4803.
Nel procedimento di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione, l'opposizione dell'intimato introduce un
vero e proprio giudizio ordinario di cognizione anche per quanto riguarda il regime delle eccezioni di
incompetenza, con la conseguenza che -in applicazione dell'art. 38 cod. proc. civ. -l'incompetenza per valore
pu essere eccepita dalle parti o rilevata d'ufficio dal giudice solo nel corso del giudizio di primo grado, sicch
resta precluso alle parti di dolersi del mancato rilievo d'ufficio dell'incompetenza per la prima volta in sede di
impugnazione.* Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 1986, n. 289.
A seguito dell'opposizione del conduttore, l'intimazione di sfratto per morosit si converte in domanda di
risoluzione per inadempimento, assoggettata alle ordinarie regole della competenza per valore, per cui deve
ritenersi validamente proposta in comparsa conclusionale l'eccezione di incompetenza per valore.* Cass. civ.,
sez. III, 9 marzo 1982, n. 1529.
d) Mancata comunicazione
Nel procedimento di convalida di sfratto, la mancata comunicazione dell'ordinanza emessa fuori udienza, con cui
il pretore abbia ordinato il rilascio rimettendo le parti davanti al tribunale competente, non comporta nullit del
successivo giudizio di merito e della sentenza in questo emessa, qualora la riassunzione del processo sia
avvenuta con atto notificato a tutti gli interessati.
* Cass. civ., sez. III, 23 marzo 1991, n. 3154.
e) Ordinanza di rilascio
L'ordinanza di rilascio dell'immobile locato, con riserva delle eccezioni del convenuto, emessa ex art. 665 cod.
proc. civ. nelle condizioni di legge, non ha efficacia sostanziale di giudicato, non risolvendo in modo definitivo un
contrasto intorno ai diritti soggettivi in giudizio, bens di mera pronuncia provvisoria, con conseguenziale natura
di ordinanza, ancorch, al fine di motivare il provvedimento di rilascio, venga reputata l'esistenza della mora del
conduttore, rientrando ci nella delibazione sommaria della situazione che il giudice (pretore o conciliatore) deve
necessariamente effettuare per valutare l'esistena o meno dei gravi motivi contrari all'emissione del
provvedimento provvisorio.* Cass. civ., sez. III, 9 marzo 1983, n. 1777.
L'ordinanza di rilascio emessa ai sensi dell'art. 665 c.p.c., con riserva delle eccezioni del conduttore convenuto
insuscettibile di passare in giudicato, avendo carattere provvisorio e non essendo quindi idonea a pregiudicare
la decisione di merito con cui viene definito il giudizio di opposizione. Trattandosi quindi di provvedimento che
non definisce la causa e dichiarato espressamente non impugnabile, non pu essere direttamente investito da
alcun mezzo di gravame, neppure ai sensi dell'art. 111 Cost. con il ricorso straordinario per cassazione.* Cass.
civ., sez. III, 10 novembre 1999, n. 12474, Plescia c. Di Gennaro.
L'ordinanza di rilascio del bene locato, resa in via provvisoria a norma dell'art. 665 c.p.c., non ha valore di
giudicato sostanziale sullo scioglimento del rapporto di locazione, e, pertanto, ove si tratti dell'abitazione
coniugale, non osta al successivo subingresso, nella qualit di conduttore, del coniuge cui l'alloggio sia stato
assegnato dal giudice della separazione (art. 6 della L. 27 luglio 1978 n. 392), con il conseguenziale
subingresso del coniuge medesimo anche nella posizione di soggetto passivo dell'azione esecutiva, intrapresa
dal locatore in forza di detta ordinanza, nonch di legittimato all'opposizione contro tale esecuzione (nella
specie, per dedurre la caducazione del titolo, a seguito dell'estinzione del giudizio sulla cessazione della
locazione).* Cass. civ., sez. III, 23 agosto 1990, n. 8613, Moro c. Vercellino
L'ordinanza di rilascio emessa dal pretore ai sensi dell'art. 665 c.p.c., rientrando nella categoria dei
provvedimenti di condanna con riserva delle eccezioni del convenuto, ha natura di provvedimento sostanziale
provvisorio, i cui effetti -afferenti alla cessazione o alla risoluzione della locazione e, conseguentemente,
all'attribuzione del diritto al rilascio dell'immobile attuabile in via esecutiva -permangono fin quando, ove non
vengano definitivamente confermati, siano messi nel nulla dalla sentenza di merito che conclude l'ordinario
giudizio di cognizione, salvo restando al conduttore, in caso di estinzione di questo, di far valere nel termine di
prescrizione le sue eccezioni in autonomo processo. Parimenti, ha natura di ordinanza il provvedimento del
pretore che, al contrario, rigetti l'istanza del locatore, ritenendo fondate le eccezioni dell'intimato, dal momento
che la sommaria delibazione di queste non definisce la controversia e non preclude una diversa decisione della
fase ulteriore davanti al giudice competente ovvero, in caso di estinzione del giudizio, in separata sede.* Cass.
civ., sez. III, 19 luglio 1996, n. 6522, Lombardi c. De Santo.
L'eventuale illegittimit dell'ordinanza provvisoria di rilascio, emessa ai sensi dell'art. 665 c.p.c. non pu essere
fatta valere n con ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., n con l'opposizione di terzo ai sensi dell'art.
404 c.p.c., non solo perch tale provvedimento dichiarato non impugnabile dal legislatore, ma anche perch
non avendo natura decisoria non risolve il contrasto sul diritto fatto valere e perci non pu essere equiparato ad
una sentenza n pu passare in giudicato.
* Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1998, n. 514, Mazzuoli c. Pepe.
L'ordinanza di rilascio pronunciata a norma dell'art. 665 cod. proc. civ., con riserva delle eccezioni dell'intimato,
essendo un provvedimento che non definisce la causa e non ha natura sostanziale di sentenza, non
impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, neppure ove venga dedotta una

pretesa violazione di legge con riguardo all'illegittima sostituzione del giudice inizialmente designato per la
trattazione della causa (nella specie, astenutosi ex art. 51 cod. proc. civ.). * Cass. civ., sez. III, 7 gennaio 1988,
n. 1.
L'ordinanza di convalida dello sfratto per morosit, emessa nonostante l'opposizione dell'intimata, contenendo
implicitamente il rigetto della detta opposizione, ha valore di sentenza suscettibile di impugnazione attraverso gli
ordinari mezzi e, quindi, con appello, trattandosi di provvedimento pronunciato in primo grado, e non con ricorso
per cassazione ex art. 111 della Costituzione.
* Cass. civ., sez. III, 17 maggio 1985, n. 3026.
L'eventuale illegittimit dell'ordinanza provvisoria di rilascio, emessa ai sensi dell'art. 665 c.p.c., non pu essere
fatta valere n con ricorso in cassazione ai sensi dell'art. 111 Costituzione, n con l'opposizione di terzo ai sensi
dell'art. 404 c.p.c. non solo perch tale provvedimento dichiarato non impugnabile dal legislatore, ma anche
perch, non avendo natura decisoria, non risolve il contrasto sul diritto fatto valere e perci non pu essere
equiparato ad una sentenza n pu passare in giudicato.
* Cass. civ., sez. III, 4 marzo 1997, n. 1917, Vignali c. Primoli Prima.
L'ordinanza di convalida dello sfratto, che il pretore emetta nonostante la comparizione ed opposizione
dell'intimato, rinviando la causa per il prosieguo, da considerarsi, a prescindere dalla erronea qualificazione
adottata, come ordinanza di rilascio, secondo la previsione dell'art. 665 cod. proc. civ., e, pertanto, non
impugnabile con ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 della Costituzione, in quanto configura un
provvedimento privo di decisoriet e definitivit, restando le sorti della controversia affidate alla conclusione
dell'ordinario processo di cognizione instauratosi per effetto di detta opposizione.
* Cass. civ., sez. III, 29 agosto 1984, n. 4724.
Nel procedimento per convalida di sfratto, la non impugnabilit dell'ordinanza di rilascio espressamente prevista
dall'art. 665 primo comma c.p.c., e discendente dal carattere provvisorio del provvedimento, destinato ad essere
superato e sostituito dalla sentenza di merito, deve essere affermata anche quando il pretore, per ragioni di
competenza, rimetta le parti davanti ad altro giudice, di modo che solo in sede di riassunzione della causa
dinanzi a detto giudice l'intimato pu contestare la legittimit della pretesa attrice (e di quell'ordinanza). * Cass.
civ., sez. III, 23 agosto 1990, n. 8616, Grandi c. Bonadinam.
L'ordinanza con cui il pretore, in sede di convalida di sfratto, disponga il rilascio dell'immobile locato ai sensi
dell'art. 665 cod. proc. civ. ed il prosieguo del giudizio per l'esame del merito, disattendendo l'eccezione di
incompetenza dell'intimato, ha, in relazione a tale ultima statuizione, natura di pronunzia sulla competenza,
come tale impugnabile solo con il regolamento necessario di competenza, in difetto del quale resta precluso
all'interessato ogni ulteriore e diverso rimedio sul punto, ormai coperto dal giudicato, con la conseguente
inammissibilit dell'appello proposto contro quell'ordinanza, e, a fortiori, del successivo identico gravame
avverso la sentenza con la quale il giudice adito abbia confermato detta statuizione.
* Cass. civ., sez. III, 16 aprile 1984, n. 2463.
L'ordinanza di rilascio resa dal pretore ex art. 665 c.p.c. nel procedimento di convalida di sfratto nonostante la
contestazione da parte dell'intimato della sua competenza funzionale (nella specie deducendosi l'esistenza di
una clausola compromissoria) contiene, sia pure implicitamente, una pronuncia affermativa di detta competenza
e pertanto impugnabile con l'istanza di regolamento di competenza. * Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 1991, n.
387, S.r.l. RA-GA c. S. r.l. Club Francesco Conti.
L'ordinanza di rilascio dell'immobile locato con riserva delle eccezioni del convenuto emessa dal pretore ai sensi
dell'art. 665 cod. proc. civ., senza che con essa siasi risolta una questione di competenza, tale non solo nella
forma ma anche nel suo contenuto sostanziale, consistendo in un provvedimento provvisorio che non decide
alcun punto della controversia n contiene o importa, per sua natura o funzione, neanche per implicito o per
presupposto, una pronuncia sulla competenza. Pertanto, essa non soggetta a istanza per regolamento di
competenza, a meno che il provvedimento non sia stato emesso in una controversia attribuita ratione materiae a
un giudice speciale o specializzato.
* Cass. civ., sez. III, 18 aprile 1975, n. 1475.
Mentre nell'ipotesi prevista dal primo comma dell'art. 663 cod. proc. civ. titolo esecutivo, generante l'azione
esecutiva di rilascio, l'intimazione di licenza o di sfratto convalidata, nell'ipotesi considerata dall'art. 665 cod.
proc. civ. titolo esecutivo l'ordinanza non impugnabile di rilascio, con la conseguenza che il giudice non deve,
in tal caso, pronunciare alcun ordine di apposizione della formula esecutiva, la quale deve invece essere
apposta dal cancelliere, a norma dell'art. 475 cod. proc. civ. in calce alla copia autentica di quell'ordinanza. *
Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 1980, n. 6483.
L'ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. conserva efficacia di titolo esecutivo anche nel caso di estinzione del
successivo processo di cognizione, restando onere del convenuto iniziare un nuovo giudizio per dimostrare
l'infondatezza della pretesa del locatore e far perdere in tal modo il valore di titolo esecutivo al detto
provvedimento.
* Cass. civ., sez. III, 22 aprile 1991, n. 4319.
L'ordinanza di rilascio ha efficacia esecutiva provvisoria fino alla conclusione del giudizio di merito, ma, in caso
di estinzione del processo, essa non pu essere equiparata a una sentenza di merito, ai sensi dell'art. 310 cod.
proc. civ., n costituire giudicato, si che il conduttore pu autonomamente iniziare un nuovo giudizio per
dimostrare l'infondatezza della pretesa del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 25 novembre 1976, n. 4464.
Nel procedimento di convalida di licenza o di sfratto di cui agli artt. 657 e segg. cod. proc. civ., l'ordinanza di
rilascio del bene locato con riserva delle eccezioni del convenuto, resa a norma dell'art. 665 cod. proc. civ., pur
costituendo titolo esecutivo, ha natura e funzione meramente provvisorie e prescinde dal definitivo accertamento
della sussistenza del diritto fatto valere dal locatore, che riservato alla successiva fase del procedimento

stesso, a cognizione ordinaria, in esito alla quale il titolo stesso verr confermato, sostituito o caducato.
Pertanto, ogni fatto estintivo o modificativo dell'originaria spettanza ed attuale persistenza del suddetto diritto,
ancorch venga dedotto in relazione ad uno ius superveniens astrattamente idoneo a determinare la
prosecuzione del rapporto locativo e l'esclusione del rilascio (nella specie, art. 65 della L. 27 luglio 1978 n. 392),
pu essere fatta valere soltanto nella fase a cognizione ordinaria di quel procedimento, e non anche a mezzo di
opposizione, a norma dell'art. 615 cod. proc. civ., avverso l'esecuzione intrapresa in forza dell'indicata
ordinanza.
* Cass. civ., sez. III, 24 marzo 1983, n. 2978.
Nel procedimento per convalida di sfratto, l'ordinanza di rilascio, con riserva delle eccezioni del convenuto, che
sia stata pronunciata dal giudice fuori udienza, va comunicata a cura del cancelliere, a sensi degli artt. 136 e
176 cod. proc. civ., alle parti, ai fini della regolare prosecuzione del giudizio di merito. Ove sia mancata tale
comunicazione -intesa, nel sistema della legge, a provocare, previa la cognizione legale del provvedimento
stesso, la costituzione dell'intimato nell'udienza fissata per l'inizio del processo di cognizione del merito dinanzi
allo stesso giudice - il procedimento di cognizione che si sia, nonostante tale difetto, svolto nullo ed parimenti
nulla la sentenza in esso pronunciata. Trattasi di nullit sostanzialmente identica a quella derivante dalla
mancanza della citazione introduttiva delle parti dinanzi al primo giudice a norma dell'art. 354 cod. proc. civ.
* Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 1968, n. 3228.
f) Poteri del giudice
Nel procedimento per convalida di sfratto in cui vi sia opposizione dell'intimato, il provvedimento del pretore che,
senza decidere sulla competenza in ordine all'ulteriore fase di cognizione, e previa delibazione sommaria delle
eccezioni dell'intimato, si limiti a rigettare l'istanza del locatore per conseguire l'ordinanza di rilascio, disponendo
altres per il prosieguo della causa, ha natura di ordinanza, non impugnabile con l'appello, e non idonea ad
interferire sulla successiva decisione della causa.
* Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1983, n. 7138.
Una volta instaurato il procedimento sommario per convalida di licenza o di sfratto dinanzi al pretore (o al
conciliatore) competente a norma dell'art. 661 cod. proc. civ. ed una volta che, comparso ed oppostosi l'intimato,
il giudice adito abbia negato il provvedimento provvisorio di rilascio ex art. 665 cod. proc. civ. ed abbia dato le
disposizioni per l'inizio del necessario, successivo e collegato procedimento ordinario di cognizione, la speciale
azione per convalida di licenza o di sfratto si esaurita, e sono precluse, per questo solo motivo, una
successiva domanda di convalida ed una successiva istanza di provvedimento provvisorio di rilascio. * Cass.
civ., sez III, 14 giugno 1972, n. 1879.
L'ordinanza con la quale, ritenuta la sussistenza di gravi motivi in contrario, il pretore non accoglie l'istanza del
locatore diretta ad ottenere il provvedimento di rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto, non
impugnabile con l'istanza di regolamento di competenza. * Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 1974, n. 4124.
Qualora, in pendenza di un ordinario procedimento di cognizione nel quale si controverta sul diritto alla
continuazione delle locazioni in forza di proroga legale, il locatore intimi licenza per finita locazione alla
scadenza contrattuale, il pretore adito con il procedimento speciale deve pronunciare l'ordinanza di rilascio, con
riserva delle eccezioni del convenuto, ex art. 665 primo comma cod. proc. civ., astenendosi dal dichiarare la
litispendenza tra i due procedimenti. La pendenza del procedimento ordinario assume rilevanza soltanto
quando, dopo l'ordinanza di rilascio, facendosi luogo al giudizio di cognizione sul merito della causa di
cessazione del rapporto locatizio, sorge la necessit di stabilire quale sia il giudice competente, secondo le
regole ordinarie.
* Cass. civ., sez. III, 28 dicembre 1973, n. 3460.
Qualora il pretore, adito in sede di convalida di licenza o di sfratto per finita locazione, a fronte della richiesta di
ordinanza di rilascio ex art. 665 cod. proc. civ. da parte del locatore e dell'eccezione di litispendenza proposta
dal conduttore (per essere la stessa causa pendente davanti al tribunale per il giudizio di merito), accolga
l'eccezione e dichiari con sentenza la litispendenza, ordinando la cancellazione della causa dal ruolo, deve
intendersi conclusa la cosiddetta fase sommaria, con la conseguenza che il termine per la proposizione del
ricorso per regolamento di competenza avverso tale decisione rimane soggetto alla sospensione durante il
periodo feriale (che trova deroga soltanto con riguardo alla fase monitoria).
* Cass. civ., sez. III, 15 marzo 1989, n. 1305, Soc. S.I.A.I. c. Morini.
I provvedimenti immediati emessi dal pretore nella fase preliminare dei procedimenti per convalida di sfratto
(artt. 665 e 666 cod. proc. civ.), in considerazione del loro carattere provvisorio, non integrano decisione nel
merito in primo grado, e non ostano, pertanto, alla proposizione del regolamento preventivo di giurisdizione a
norma dell'art. 41 cod. proc. civ.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 18 dicembre 1985, n. 6448.
Nei procedimenti per convalida di sfratto, il pretore, qualora ritenga la causa di competenza della sezione
specializzata agraria, deve astenersi anche dall'emissione dei provvedimenti di cui agli artt. 665 e 666 c.p.c.,
restando escluso che il potere di emettere l'ordinanza di rilascio possa fondarsi sull'art. 8 c.p.c. come modificato
dalla legge n. 399 del 1984, atteso che tale norma non ha ampliato l'ambito del giudizio pretorile in materia
agraria.
* Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 1990, n. 10084, Mannarino c. Frangella.
L'ordinanza di convalida di sfratto che il giudice adito emette nonostante la comparazione e l'opposizione
dell'intimato rinviando la casusa per il prosieguo con riserva delle eccezioni del convenuto, fissando la data per il
rilascio dell'immobile, non suscettibile di impugnazione con appello in quanto configura un provvedimento privo
di decisoriet e definitivit restando le sorti della controversia affidate alla conclusione dell'ordinario processo di
cognizione istauratosi per effetto di detta opposizione. L'illegittimit del provvedimento perch emesso in

assenza di specifica istanza da parte del locatore, non pu essere prospettata con l'appello, bens nel giudizio di
primo grado a cognizione piena, unitamente alle altre eccezioni, sollevate con l'opposizione allo sfratto.
* Cass. civ., sez. III, 1 dicembre 2000, n. 15363, Zorzenon c. Inpdap.
g) Rapporto con art. 55 L. 392/1978
La contestazione della morosit, da parte del conduttore cui sia stato intimato sfratto ex artt. 658 cod. proc. civ.,
qualora sia diretta ad opporsi alla convalida ed all'ordinanza di rilascio di cui all'art. 665 cod. proc. civ, esaurisce
in tali limiti la sua efficacia e, quindi, non preclude n rende incompatibile il ricorso alla sanatoria di cui all'art. 55
della L. n. 392 del 1978, introdotta a completamento pi dettagliato della procedura di convalida dettata dal
codice di rito per la possibilit offerta al conduttore di sanare la morosit e la cui utilizzazione comporta
implicitamente, ma necessariamente, la manifestazione della prevalente volont solutoria del conduttore, che va
autonomamente valutata e regolamentata in aderenza alla ratio legis di componimento della lite. * Cass. civ.,
sez. III, 21 agosto 1985, n. 4474.
h) Ricorso per cassazione
Il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. contro i provvedimenti adottati con forma
diversa dalla sentenza consentito a condizione che essi abbiano la natura sostanziale di una sentenza, nel
senso che, oltre ad incidere su diritti soggettivi di natura sostanziale delle parti, abbiano attitudine al passaggio
in giudicato formale e sostanziale. Conseguentemente non pu essere impugnata con il ricorso per cassazione
ai sensi dell'art. 111 Cost. l'ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni di cui all'art. 665 c.p.c., che non
definisce la causa, perch nel giudizio sul rilascio possono essere rimessi in discussione tutti i fatti che si
assume siano stati trascurati dal giudice dell'ordinanza. N a diversa conclusione pu pervenirsi nel caso in cui
si contesti la mancata ammissione della parte al godimento del beneficio della purgazione della mora, a norma
dell'art. 55 della L. n. 392 del 1978, poich la relativa richiesta espressione di una facolt strumentale del
conduttore o dell'intimato e non di un diritto soggettivo, e contro il diniego vanno utilizzati i rimedi ordinari,
compresi, se lo consente la fattispecie, quelli delle opposizioni esecutive.
* Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1996, n. 5088, Soc. Italia Hotels c. Soc. Centro Alberghiero Fauch.
i) Sospensione dei termini
La sospensione dei termini processuali disposta dalla L. 7 ottobre 1969 n. 742 -mentre inapplicabile al
procedimento di convalida di licenza e di sfratto, considerato urgente ratione materiae - , invece, operante nella
fase in cui la causa avente ad oggetto la finita locazione sia stata trattata ed istruita con il rito ordinario, dopo la
caducazione di quello speciale disciplinato dagli artt. 657 e segg. del cod. proc. civ., a seguito delle eccezioni di
soggezione del contratto al regime di proroga legale formulate dall'intimato, essendo venuta meno la ragione di
urgenza che contraddistingue la fase sommaria.
* Cass. civ., sez. III, 11 novembre 1982, n. 5977.
l) Successivo giudizio
Conclusosi il procedimento di convalida di sfratto, a seguito dell'opposizione dell'intimato, il successivo giudizio
di cognizione, per il rilascio dell'immobile, resta soggetto al rito ordinario, sicch la proponibilit in esso di
domande ed eccezioni non pu trovare ostacolo nella loro mancata formulazione nel corso di quel precedente
procedimento.
* Cass. civ., sez. III, 21 novembre 1981, n. 6221.
In materia di sfratto, il procedimento che, a seguito della opposizione dell'intimato, succede alla fase sommaria,
d luogo ad un vero e proprio giudizio ordinario con la conseguenza che, qualora in esito allo stesso il giudice
pronunci la convalida, una tale statuizione va interpretata come declatoria di cessazione del rapporto locatizio
con ordine di rilascio.
* Cass. civ., sez. III, 18 febbraio 1983, n. 1261.
Lo speciale procedimento di convalida di sfratto (nella specie, per morosit) si trasforma in giudizio di cognizione
ordinaria per il solo fatto dell'opposizione dell'intimato alla pretesa avversaria, a nulla rilevando i limiti pi o meno
ampi dell'opposizione. Conseguentemente, qualora il pretore, malgrado siffatta opposizione, convalidi l'intimato
sfratto, il provvedimento, pur presentando la forma dell'ordinanza, ha natura di sentenza e resta soggetto ai
comuni mezzi di impugnazione e quindi all'appello.
* Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 1985, n. 295.
m) Varie
Con l'opposizione avverso l'esecuzione fondata su titolo giudiziale (nella specie, ordinanza di rilascio di
immobile), il debitore non pu sollevare eccezioni inerenti a fatti estintivi od impeditivi anteriori a quel titolo (nella
specie, poich promissario acquirente di tale immobile), i quali sono deducibili esclusivamente nel procedimento
preordinato alla formazione del titolo medesimo.
* Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1997, n. 2870, Barbieri c. Belsito.
Nell'ipotesi di immobile danneggiato da incendio, l'assicuratore non pu evitare il pagamento opponendo
all'assicurato (proprietario dell'immobile) l'avvenuto risarcimento in forma specifica da parte del conduttore presunto responsabile ex art. 1588 c.c. - che abbia provveduto alle necessarie riparazioni, non potendo dedurre
situazioni giuridiche estranee al rapporto assicurativo, relative a soggetti che non sono parti in causa ed a
pretese di rimborso (del conduttore nei confronti del locatore) e di rivalsa (dell'assicuratore nei confronti del
responsabile) che sono meramente eventuali e in ogni caso non formano oggetto di giudizio; inoltre,
comportando l'art. 1599 c.c. solo una presunzione di responsabilit, non potrebbe escludersi il rimborso da parte

del locatore delle spese sostenute dal conduttore per ripristinare l'immobile e, in tal caso, il locatore avrebbe
comunque diritto di essere risarcito dal suo assicuratore, atteso che l'esborso troverebbe pur sempre la propria
ragione d'essere nel sinistro.
* Cass. civ., sez. III, 22 aprile 1997, n. 3470, Soc. Ras c. Soc. Officine Meccaniche Gardone Riviera.
Qualora la parte intimata comparisca personalmente all'udienza per la convalida di sfratto per morosit e si
opponga alla intimazione, del tutto irrilevante ai fini dell'adozione dell'ordinanza di rilascio che il difensore della
suddetta parte sia assente in quanto aderente allo stato di agitazione proclamato dal proprio ordine
professionale, dato che la comparizione e l'opposizione personalmente svolte dal conduttore sono idonee e
sufficienti ai fini della regolarit del procedimento.
* Pret. civ. Frosinone, ord. 27 novembre 1995, D'Itri c. Bottini.
PORTIERATO, CUSTODIA E PULIZIA
SOMMARIO: a) Compenso; b) Controversie; c) Custodi; d) Iscrizione nel registro di P.S.; e) Istituzione del
servizio; f) Licenziamento; g) Obblighi del portiere; h) Portiere di fatto; i) Portineria e alloggio del portiere; l)
Pulizia; m) Ripartizione delle spese; n) Servizio di manutenzione di impianti; o) Servizio di vigilanza; p)
Soppressione del servizio; q) Sostituto del portiere; r) Svolgimento del servizio.
a) Compenso
Il portiere di un immobile urbano ha diritto di percepire, per il lavoro svolto nelle domeniche, la paga giornaliera,
pari ad un ventesimo della retribuzione mensile, con la maggioranza del 40% e, per il lavoro svolto nelle altre
festivit, il doppio della paga medesima, ugualmente computata, oltre la maggiorazione del 40% (art. 2 della L.
16 aprile 1954, n. 111 ed art. unico della L. 16 maggio 1956, n. 526). Tali spettanze vanno riconosciute anche
sotto il vigore del C.C.N.L. dell'11 luglio 1962, posto che sono invalide, per contrasto con le norme imperative di
legge sul riposo del lavoratore e sui diritti all'integrale retribuzione, le clausole di detto contratto che prevedono,
per il servizio nei giorni festivi, l'opera di un sostituto da compensare con quota parte del salario mensile, ovvero,
mancando un sostituto, la sola maggiorazione del 40% nelle domeniche, ed una sola quota di un trentesimo del
salario mensile, oltre la maggiorazione del 40%, nelle altre festivit.
* Cass. civ., sez. lav., 13 novembre 1985, n. 5567, I.N.A. c. Colombo.
Il portiere di un immobile urbano ha diritto, per il lavoro svolto nelle domeniche, alla paga giornaliera pari ad un
ventiseiesimo della retribuzione mensile con la maggiorazione del quaranta per cento, nonch, ove abbia
lavorato la domenica senza usufruire nella settimana di un giorno di riposo compensativo, al risarcimento del
danno per il mancato riposo settimanale. Tale risarcimento, in mancanza di criteri legali e di principi di razionalit
che ne impongano la liquidazione di una somma pari ad un'altra giornata di retribuzione, deve essere liquidato in
concreto dal giudice del merito, alla stregua di una valutazione che, anche utilizzando strumenti ed istituti
previsti dalla contrattazione collettiva, tenga conto della gravosit e delle prestazioni lavorative e dell'effetto
usurante del mancato riposo, non essendo il danno per il sacrificio del riposo settimanale determinabile
contrattualmente in astratto ed essendo in contrasto con la norma imperativa dell'art. 36 Cost., e perci da
disapplicare, ogni contraria clausola della contrattazione collettiva.
* Cass. civ., sez. lav., 11 febbraio 1991, n. 1386, Di Marzio c. Condominio Rione Principe di Piemonte is. E. in
Napoli.
La mancanza di un'autorizzazione amministrativa, prescritta per lo svolgimento di una determinata attivit
lavorativa, non comporta l'illiceit dell'oggetto o della causa del contratto di lavoro agli effetti dell'art. 2126 cod.
civ.; pertanto, in tema di rapporto di portierato, la mancata iscrizione del lavoratore nel registro previsto dall'art.
62 del T.U. delle leggi di P.S. (r.d. 18 giugno 1931, n. 773) non esclude il diritto alla retribuzione per l'attivit
concretamente esercitata.
* Cass. civ., sez. lav., 12 maggio 1989, n. 2171, Varignana c. Inps.
L'indennit di contingenza dovuta ad un portiere (anche se non corrisposta) deve essere assoggettata a
contribuzione previdenziale.* Pret. civ. Pescara, 31 gennaio 1991.
L'art. 3 della L. 4 febbraio 1958, n. 23, con il quale il legislatore introdusse, a favore dei portieri ed altri lavoratori
addetti alla pulizia e custodia di stabili urbani, l'indennit di scala mobile, non opera, quanto all'attribuzione di
tale emolumento, con la decorrenza retroattiva dell'1 gennaio 1957, fissata per altri benefici economici, bens
con quella ordinaria corrispondente alla data di entrata in vigore della legge stessa.* Cass. civ., sez. lav., 3
dicembre 1981, n. 6412, Inps c. Marchetti.
L'indennit supplementare prevista dal Contratto nazionale di lavoro per i portieri (stipulato tra Confedilizia e
Cgil-Cisl-Uil) non posta a carico di tutti gli appartamenti destinati ad uso ufficio, ma soltanto a carico di quelli
che rispondano ai seguenti requisiti: 1) che siano destinati esclusivamente ad uso di uffici; 2) che aggravino
notevolmente il lavoro del portiere. (Nella specie, stato ritenuto che l'attivit di commercialista non sia tale da
comportare quell'aggravio di notevole entit per il portiere di uno stabile condominiale, in termini di clienti ovvero
di inoltro di corrispondenza, che giustifica la corresponsione dell'indennit supplementare)
* Trib. civ. Napoli, 24 maggio 1997, n. 4722, De Masi c. Condominio di viale Raffaello n. 15 in Napoli.
b) Controversie
Nella controversia promossa da un condomino, per conseguire l'annullamento della delibera assembleare
revocativa del precedente licenziamento del portiere dell'edificio condominiale, deve negarsi l'ammissibilit
dell'intervento di quest'ultimo in grado d'appello, a norma dell'art. 344 c.p.c., attesa l'inidoneit della decisione di
tale controversia ad incidere su autonomi diritti a lui spettanti in forza del rapporto di lavoro con il condominio.
* Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1978, n. 3177.
c) Custodi
Nel caso in cui il custode (di un condominio) sia morto a seguito di colpi di arma da fuoco sparatigli da ignoti
durante lo svolgimento della sua attivit lavorativa, sussiste la presunzione della derivazione di detto evento da

tale attivit, e conseguentemente, l'indennizzabilit dell'infortunio per la sussistenza dell'occasione di lavoro ai


sensi dell'art. 2 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ove non sia provato, da parte dell'Inail, l'intervento di un
fattore estraneo al rischio specifico dell'attivit di custodia e tale da ridurre il rapporto fra evento e prestazione
dell'attivit lavorativa in termini di mera relazione cronologica o topografica.
* Cass. civ., sez. I, 23 febbraio 1989, n. 1014, Inail c. Pisacreta.
Le guardie particolari giurate hanno compiti circoscritti alla vigilanza e alla custodia delle propriet mobiliari e
immobiliari loro affidate e soltanto in relazione a tali compiti di istituto loro riconosciuta la qualit di pubblici
ufficiali.
* Cass. pen., sez. I, 20 maggio 1991, n. 5527 (ud. 28 gennaio 1991), Caporaso.
Anche l'attivit di mera segnalazione alle forze di polizia di circostanze dannose o pericolose per la propriet
costituisce attivit di custodia rientrante nella previsione di cui agli artt. 133 e 134 T.U.P.S., per la quale quindi
necessaria la licenza del prefetto.
* Cons. Stato, 12 agosto 1996, n. 1023, Universit degli Studi di Bari c. Assvigilanza ed altro.
Non richiesta la licenza prefettizia di cui all'art. 134 T.U.L.P.S. ai fini dell'esercizio in forma associata, da parte
di un gruppo di cittadini, dell'attivit di vigilanza all'interno delle propriet individuali o comuni, qualora tale attivit
sia svolta senza scopo di lucro.
* Pret. pen. Milano, uff. Gip, decr. 23 ottobre 1996, Mannino.
d) Iscrizione nel registro di P.S.
L'obbligo dell'iscrizione nell'apposito registro di P.S. sussiste per il soggetto che attenda abitualmente, anche se
insieme ad altre mansioni, anche a quella di portiere, pur se non in modo preminente, sempre che esse non gli
siano state affidate occasionalmente per peculiari contingenze.
* Cass. pen., sez. I, 23 gennaio 1978, n. 754; nello stesso senso, Cass. pen., sez. I, 14 febbraio 1978, n. 1666.
I portieri d'albergo o di case di abitazione, per avere qualifica e svolgere le loro mansioni, devono ottenere
l'iscrizione nel registro di cui all'art. 62 t.u.l.p.s., incorrendo altrimenti nella contravvenzione prevista dallo stesso
articolo, e ci indipendentemente dalle condizioni particolari poste da chi li assume, come la provvisoriet
dell'assunzione per prova.
* Cass. pen., sez. I, 30 maggio 1974, n. 3730.
Ai sensi dell'art. 62 del T.U. delle leggi di P.S., sussiste il reato di assunzione di portieri fra persone non iscritte
nell'apposito registro della P.S. sia nel caso di mancata iscrizione e sia in quello di omessa rinnovazione della
iscrizione nel registro dei portieri, poich sia nell'uno che nell'altro caso il portiere in definitiva esercita la sua
attivit senza la prescritta autorizzazione di polizia e perci in violazione della citata norma. Anche
l'amministratore dello stabile tenuto a esigere l'osservanza di tale norma.
* Cass. pen., sez. I, 20 giugno 1966, n. 363; conf. Cass. pen., sez. I, 28 agosto 1969, n. 819.
Non pu ritenersi priva di sanzione penale l'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 62 del R.D.L. 18 giugno
1931 n. 773 (Testo unico delle leggi di P.S.), che prevede l'obbligo per i portieri di rinnovazione annuale
dell'iscrizione nell'apposito registro, sol perch non risulta espressamente indicata la sanzione: ed invero, in una
valutazione di decrescente gravit delle distinte condotte contemplate dal citato art. 62, il legislatore ha ritenuto
superfluo indicare espressamente la sanzione per quella descritta nel secondo comma, con tacito rinvio, quoad
poenam, alla previsione di ordine generale dell'art. 17 comma primo, dello stesso testo unico, che commina la
sanzione dell'arresto fino a tre mesi o dell'ammenda fino a lire quattrocentomila per tutte le violazioni per le
quali non stabilita una sanzione amministrativa ovvero non provvede il codice penale.
* Cass. pen., sez. I, 14 gennaio 1998, n. 408 (ud. 6 ottobre 1997), P.M. in proc. Faccenda.
Il precetto relativo alla rinnovazione annuale dell'iscrizione nell'apposito registro presso l'Autorit di P.S. (art. 62
T.U. leggi di P.S.) non ha come soli destinatari i portieri di case di abitazione o di albergo e i custodi di
magazzini, stabilimenti, uffici e simili, ma si rivolge anche ai proprietari ed a coloro che ne rispondono a qualsiasi
titolo, il cui dovere giuridico non limitato pertanto all'accertamento di tale iscrizione al momento della
costituzione del rapporto contrattuale, ma si estende al controllo della rinnovazione periodica dell'iscrizione
durante tutto lo svolgimento del rapporto stesso.
* Cass. pen., sez. I, 18 luglio 1981, n. 7172 (ud. 8 maggio 1981), Fiordelmondo.
Gli amministratori dei condomini sono obbligati ad assumere portieri iscritti nell'apposito registro di pubblica
sicurezza e ad esigere la rinnovazione annuale di tale iscrizione: essa, infatti, non avviene automaticamente, ma
su richiesta dell'interessato e previa verifica della persistenza delle condizioni richieste a pena di rifiuto della
rinnovazione.
* Cass. pen., sez. I, 7 agosto 1982 (c.c. 24 giugno 1982, n. 1422), Costa.
e) Istituzione del servizio
L'istituzione del servizio di portierato, non previsto dal regolamento di condominio, che comporti la destinazione
ad alloggio del portiere di locali di propriet comune aventi in precedenza una diversa funzione, e la
soppressione del medesimo servizio, nella opposta ipotesi in cui questo sia previsto dal regolamento anzidetto
con destinazione ad alloggio del portiere di locali di propriet comune, configurano, derivandone,
rispettivamente, la nascita e l'estinzione di un vincolo di destinazione pertinenziale a carico di parti comuni, atti
eccedenti l'ordinaria amministrazione, per la cui deliberazione - attesa l'equiparazione di tale categoria di atti alle
innovazioni disposta dal secondo comma dell'art. 1108 cod. civ. (applicabile al condominio per il rinvio operato
dall'art. 1139 dello stesso codice) - necessaria la maggioranza qualificata (che rappresenti la maggioranza dei
partecipanti al condominio e due terzi del valore dell'edificio) prevista dal quinto comma dell'art. 1136 cod. civ., il
quale non esaurisce la disciplina delle maggioranze in relazione a tutte le deliberazioni assumibili dalla
assemblea dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1988, n. 2585, Del Genio c. Con. Pal. Romano.

La clausola del regolamento di condominio istitutiva del servizio di portierato, in quanto non attribuisce ai
condomini diritti soggettivi, ma riguarda l'amministrazione della cosa comune, pu essere abolita o modificata
col voto favorevole della maggioranza dei condomini, senza che occorra l'unanimit dei consensi.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 14 maggio 1990.
f) Licenziamento
Il licenziamento del portiere di un edificio condominiale disposto dall'amministratore, ai sensi dell'art. 1130 n. 2
cod. civ., non esclude il potere dell'assemblea dei condomini - la quale sia intervenuta sul medesimo oggetto su
richiesta dell'amministrazione per ratificarne l'operato - di revocare il licenziamento stesso.
* Cass. civ., sez. II, 13 agosto 1985, n. 4437, Natani c. Cond. Argonne MI.
Costituisce grave inadempimento, integrante giustificato motivo soggettivo di licenziamento, il comportamento
del portiere di uno stabile che, nonostante la previsione contrattuale a suo carico dell'obbligo di dimorare
nell'alloggio di servizio messo a sua disposizione dal condominio, non fruisce dello stesso, venendo cos meno
agli obblighi di vigilanza e custodia e gravando inutilmente il condominio degli oneri relativi al mantenimento
dell'alloggio di servizio.
* Pret. civ. Napoli, 17 agosto 1998, n. 16958, Cogliano c. condominio Piazza dei Martiri n. 30.
g) Obblighi del portiere
Con riguardo all'obbligo di distribuire la corrispondenza ordinaria che il portiere di uno stabile condominiale
abbia tra i propri doveri, costituisce inadempimento il rifiuto di prendere in consegna tale corrispondenza
destinata ad uno dei condomini ancorch si tratti di espressi e plichi recapitati a mano da corrieri privati, essendo
gli stessi inclusi a norma del t.u. del 1973 n. 156 nella cosiddetta corrispondenza ordinaria nonostante la
diversa modalit di consegna.
* Cass. civ., sez. III, 28 luglio 1986, n. 4832, Boccieri c. Bifulco.
Qualora il proprietario di due o pi palazzine contigue ne affidi, con apposito contratto di lavoro, la sorveglianza,
la pulizia ed in genere i servizi ad una persona cui concede anche l'uso, per s e per la sua famiglia, di un
alloggio compreso in una di dette palazzine, il complesso di prestazioni e di attivit che questa si impegna a
svolgere integra un rapporto di portierato. In detta ipotesi, ancorch il controllo sulle persone che accedono alle
palazzine non pu essere eseguito con la stessa intensit impiegata con riguardo ad un unico edificio, il portiere
tenuto ugualmente a svolgere quell'attivit all'interno dell'area in cui sono comprese le palazzine affidate alla
sua custodia, vigilando - specialmente nei periodi diurni di maggiore rischio - secondo le precise indicazioni
stabilite dall'unico proprietario o dall'assemblea condominiale ad integrazione delle prescrizioni contenute nel
contratto collettivo, senza che gli sia vietato di svolgere limitate attivit lavorative durante il periodo di servizio,
purch nell'ambito del comprensorio e sempre che compatibili con le modalit di esercizio della vigilanza stessa.
* Cass. civ., sez III, 2 luglio 1991, n. 7257, Istituto Naz. Di Previd. dei Giornalisti Italiani G. Amendola c. Rossi
ed altri.
Il contratto di portierato ha per oggetto una prestazione di vigilanza e di custodia al servizio di stabili destinati ad
uso, esclusivo o prevalente, di abitazione di pi nuclei familiari. Dalle disposizioni legislative e dalle norme
corporative vigenti , infatti, considerato portiere solo colui che presta la propria opera per la vigilanza, la
custodia ed, eventualmente, la pulizia degli stabili, oltre alle mansioni accessorie di cui alle consuetudini locali e
non anche il lavoratore che, con rapporto continuativo, presta la propria opera per la pulizia dell'androne, delle
scale e degli accessori, ed, eventualmente, anche per la accensione e lo spegnimento della luce, per l'apertura
e chiusura del portone, con esclusione del servizio di vigilanza e custodia.* Cass. civ., 25 marzo 1970, n. 801.
h) Portiere di fatto
Non ammissibile la configurabilit - in capo ad un amministratore condominiale - dello svolgimento di mansioni
di portiere di fatto, in quanto non prospettabile giuridicamente che un medesimo soggetto possegga
contemporaneamente le due qualifiche di datore di lavoro e di lavoratore subordinato.* Trib. civ. Napoli, sez. IX,
13 dicembre 1993, n. 2544.
i) Portineria e alloggio del portiere
Per stabilire se un'unit immobiliare situata in un condominio comune, ai sensi dell'art. 1117 n. 2 c.c., perch
destinata ad alloggio del portiere, il giudice del merito deve accertare se all'atto della costituzione del
condominio, come conseguenza dell'alienazione dei singoli appartamenti da parte dell'originario proprietario
dell'intero fabbricato, vi stata tale destinazione, espressamente o di fatto, altrimenti devesi escludere la
propriet comune dei condomini su di essa.
* Cass. civ., sez. II, 26 novembre 1998, n. 11996, Cond. Palazzo D'Autilia, via Manzoni 6 ed altri c. D'Autilia.
Un manufatto posto nel cortile antistante il fabbricato condominiale ed esterno allo stesso, che non sia stato
adibito a servizi comuni (nella specie: portineria) non , per struttura e funzione, compreso nelle parti comuni
dell'edificio condominiale indicate nell'art. 1117 cod. civ., n pu ritenersi tale, in difetto di una chiara volont
delle parti risultante da titolo idoneo, per il semplice fatto che esso risulti catastalmente denunziato come adibito
a portineria, in quanto la classificazione catastale dei beni ha carattere meramente descrittivo in relazione ad un
onere nei confronti della p.a. e non idonea, quale mezzo sussidiario di prova, a prevalere sulla contraria
volont dei proprietari.* Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1987, n. 8222, Ferraris c. Gallo Pecca.
L'amministratore del condominio, a cui spetta ai sensi degli artt. 1130 e1131 c.c. la disciplina della gestione e
dell'uso delle cose comuni, nonch dell'esercizio del servizio comune di portierato, pu, anche senza
deliberazione dell'assemblea dei condomini, agire per il rilascio dell'immobile adibito ad alloggio del portiere, che
sia deceduto, da parte del coniuge del medesimo, che detenga l'immobile senza titolo.* Cass. civ., sez. III, 26
giugno 1991, n. 7162, Laino c. Condominio Rione Torre Ranieri Napoli.
Le parti dell'edificio condominiale (locali per la portineria e per l'alloggio del portiere ecc.) indicate al n. 2 dell'art.
1117 cod. civ. - che, al pari di quelle indicate ai nn. 1 e 3 dello stesso articolo, sono oggetto di propriet comune

se il contrario non risulta dal titolo - sono anche suscettibili, a differenza delle parti dell'edificio di cui ai citati nn. 1
e 3, di utilizzazione individuale, in quanto la loro destinazione al servizio collettivo dei condomini non si pone in
termini di assoluta necessit. Pertanto, in relazione ad esse, occorre accertare, nei singoli casi, se l'atto che le
sottrae alla presunzione di propriet comune contenga anche la risoluzione o il mantenimento del vincolo di
destinazione derivante dalla loro natura, configurandosi, nel secondo caso, l'esistenza di un vincolo obbligatorio
propter rem, fondato su una limitazione del diritto del proprietario e suscettibile di trasmissione, in favore dei
successivi acquirenti dei singoli appartamenti, anche in mancanza di trascrizione (peraltro possibile ai sensi
dell'art. 2646 cod. civ.).* Cass. civ., sez. II, 25 agosto 1986, n. 5167, Soc. Ris. NA c. Cond. V. Camp. NA.; conf.
Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1995, n. 11068.
Per la compropriet dei condomini sull'appartamento destinato ad alloggio del portiere occorre o che esso sia
contemplato tra le parti comuni nei trasferimenti delle singole unit abitative o che, per la stabilit di tale
destinazione e per le caratteristiche strutturali e funzionali dell'appartamento, questo costituisca pertinenza del
fabbricato.
* Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1998, n. 3667, Condominio di via Tuscolana n. 1064 in Roma c. Iacp di Roma.
La presunzione di comunione stabilita dall'art. 1117 cod. civ. sussiste con riguardo ai locali destinati a portineria
e ad abitazione del portiere quando gli stessi facciano parte dell'edificio condominiale, con la conseguenza che,
in caso contrario, non operando la presunzione di comunione, i detti locali rientrano tra le parti condominiali
soltanto se siano costruiti su suolo risultante in base ai titoli di propriet comune.* Cass. civ., sez. II, 23 agosto
1986, n. 5154, Errico c. Cond. Via Gonzaga; conf. Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1996, n. 5946.
Ai sensi degli artt. 1130 e 1131 cod. civ. all'amministratore del condominio spetta per legge la disciplina della
gestione ed uso delle cose comuni e della prestazione dei servizi e cos dell'esercizio del servizio comune di
portierato ed il potere di risolvere il rapporto di lavoro fra il portiere ed il condominio. Di conseguenza
l'amministratore pu, anche senza deliberazione della assemblea dei condomini, agire per il rilascio dell'alloggio
detenuto senza titolo dal portiere licenziato (cui l'alloggio stesso era stato concesso ad integrazione della
retribuzione), dipendendo tale rilascio dalla risoluzione di un rapporto obbligatorio assunto per la gestione del
servizio comune ed essendo il recupero di detto alloggio essenziale per l'ulteriore espletamento dello stesso
servizio. Cass. civ., sez. lav., 2 ottobre 1985, n. 4780, Menna c. Occorsio.
Le parti dell'edificio condominiale indicate dal n. 2 dell'art. 1117 c.c. e quindi anche i locali per la portineria
possono essere sottratti alla presunzione di propriet comune, ma non sufficiente, a tal fine, che vi sia stato un
atto di trasferimento degli stessi perch possa affermarsi che sia venuto meno il vincolo di destinazione
derivante dalla loro natura, essendo necessario invece che sia stata assunta dal condominio una deliberazione
che li abbia esclusi dall'utilizzazione comune.
* Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1998, n. 4662, Molteni c. Condominio di Piazza S. Eustorgio n. 4 di Milano ed altri.
In tema di condominio negli edifici, il dovere dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1130 n. 2 cod. civ., di
controllare e disciplinare il godimento di locali comuni (nella specie, locali destinati ad alloggio del portiere dopo
la soppressione del servizio di portierato), implica, in mancanza di diversa disposizioni dell'assemblea, il diritto di
detenere le chiavi dei suddetti locali, per assicurarne l'uso da parte di singoli condomini in condizioni di parit.
* Cass. civ., sez. II, 23 luglio 1983, n. 5076, De Lorenzo c. Cond. V. Patern.
La controversia promossa dal condominio di un edificio nei confronti del proprio portiere, che sia rivolta a
conseguire il rilascio dell'alloggio concessogli per l'espletamento delle relative mansioni quale effetto
dell'accertamento dell'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro, negata dal convenuto, spetta alla cognizione
del pretore in funzione di giudice del lavoro, dato che investe la cessazione o meno del suddetto rapporto, come
presupposto indispensabile del preteso rilascio.
* Cass. civ., sez. III, 2 agosto 1984, n. 4609, Pellizzaro c. Condominio Insulae.
Il litisconsorzio necessario ricorre, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, quando la situazione
sostanziale plurisoggettiva dedotta in giudizio debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria nei
confronti di ogni soggetto che ne sia partecipe, onde non privare la decisione dell'utilit connessa
all'esperimento dell'adozione proposta, indipendentemente dalla natura del provvedimento richiesto, non
essendo di per s solo rilevante il fatto che la parte istante abbia richiesto una sentenza costitutiva, di condanna
o meramente dichiarativa. Ricorre, pertanto, una situazione di litisconsorzio necessario nei confronti di tutti i
condomini nel caso di domanda di accertamento della propriet condominiale di un fabbricato e della
destinazione ad alloggio del portiere dei relativi locali, essendo tale accertamento insuscettibile di
frazionamento, riguardando necessariamente tutti i partecipanti alla comunione, e non essendo ipotizzabili due
diverse destinazioni dello stesso immobile.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1992, n. 11626, Soc. Panoramica Balduina c. Cerfogli e altri.
Il contratto locativo stipulato tra il proprietario esclusivo dell'alloggio originariamente destinato al portiere ed il
condominio, ad uso di abitazione del portiere, non pu essere inquadrato in nessuna delle categorie di cui alla L.
27 luglio 1978 n. 392 per uso abitativo o per uno degli usi di cui all'art. 27, restando quindi regolato dalla
disciplina ordinaria e residuale del codice civile.
* Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1995, n. 11068, Todini c. Pisani.
La domanda con cui l'amministratore del condominio, a seguito del licenziamento del portiere, chieda il rilascio
dell'alloggio al predetto concesso in (parziale) corrispettivo del servizio prestato, appartiene alla competenza del
giudice del lavoro, senza che possa comportare esclusione l'eccezione, sollevata dall'ex dipendente,
dell'instaurazione di un rapporto di comodato successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, attenendo
tale eccezione al merito della domanda.
* Cass. civ., sez. lav., 3 ottobre 1985, n. 4780, Menna c. Occorsio.
In tema di condominio negli edifici, la modifica della destinazione pertinenziale dei locali adibiti ad alloggio del
portiere, anche se di origine contrattuale, non richiede l'unanimit dei consensi, bens una deliberazione

dell'assemblea dei condomini adottata con la maggioranza qualificata di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1996, n. 642, Barisano c. Condominio di Via Francesco Tedesco n. 704 in
Avellino; nello stesso senso, Cass. civ., 17 giugno 1997, n. 5400.
L'istituzione del servizio di portierato, non previsto dal regolamento di condominio, che comporti la destinazione
ad alloggio del portiere di locali di propriet comune aventi in precedenza una diversa funzione, e la
soppressione del medesimo servizio, nella opposta ipotesi in cui questo sia previsto dal regolamento anzidetto
con destinazione ad alloggio del portiere di locali di propriet comune, configurano, derivandone,
rispettivamente, la nascita e l'estinzione di un vincolo di destinazione pertinenziale a carico di parti comuni, atti
eccedenti l'ordinaria amministrazione, per la cui deliberazione - attesa l'equiparazione di tale categoria di atti alle
innovazioni disposta dal secondo comma dell'art. 1108 cod. civ. (applicabile al condominio per il rinvio operato
dall'art. 1139 dello stesso codice) - necessaria la maggioranza qualificata (che rappresenti la maggioranza dei
partecipanti al condominio e due terzi del valore dell'edificio) prevista dal quinto comma dell'art. 1136 cod. civ., il
quale non esaurisce la disciplina delle maggioranze in relazione a tutte le deliberazioni assumibili dalla
assemblea dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1988, n. 2585, Del Genio c. Con. Pal. Romano.
Nell'ipotesi in cui una parte dell'immobile in condominio, oggetto di propriet comune (quali i vani destinati a
portineria) non sia pi destinata a uso condominiale, si applica ad essa la disciplina della comunione in generale
(art. 1100 cod. civ.) e, in base a tale disciplina, deve ritenersi consentito ai partecipanti alla comunione, quali
aventi diritto a concorrere nella relativa amministrazione (art. 1105 primo comma cod. civ.) di concedere il detto
bene in locazione per renderlo fruttifero. N, ai fini della modifica della detta destinazione, necessario l'atto
scritto, essendo questo richiesto, sotto pena di nullit, soltanto per i contratti che costituiscono la comunione di
diritti su beni immobili (art. 1350 n. 3 cod. civ.).
* Cass. civ., sez. III, 29 giugno 1979, n. 3690, Romeo c. Cristaldi e Vasquez.
E' sottratto alla disciplina della L. n. 392/1978, il contratto con cui un terzo d in locazione al condominio la casa
del portiere, in quanto trattasi di una figura atipica in cui il conduttore-condominio non gode direttamente
l'immobile, ma lo devolve ad un terzo, suo dipendente.
* Trib. civ. Milano, 1 aprile 1990.
Affinch i locali per la portineria e l'alloggio del portiere rientrino nella previsione dell'art. 1117 c.c.
indispensabile accertare se le parti, nel costituire un titolo contrario alla presunzione di comunione, abbiano
inteso regolare diversamente il vincolo di destinazione derivante dalla natura della cosa e dall'esistenza concreta
di un servizio goduto in comunione dai condomini.
* Pret. civ. Napoli 9 ottobre 1990.
Nel rapporto di portierato, in cui la subordinazione deve essere ravvisata nell'assoggettamento del lavoratore al
potere direttivo del datore di lavoro, esercitato anche mediante il controllo dei singoli condomini, la
somministrazione dell'alloggio ubicato nell'edificio condominiale, ove non risulti giustificata da un diverso titolo, al
fine di svolgervi il servizio di portierato, che implica l'attivit di vigilanza e custodia, alla prestazione delle quali
finalizzata la suddetta somministrazione.
* Cass. civ., 4 dicembre 1190, n. 11638.
Nel caso in cui un condomino o un terzo estraneo al condominio, assumendo di essere proprietario esclusivo di
un bene (nella specie locale destinato ad alloggio del portiere), che la legge (art. 1117 c.c.) presume di essere di
propriet comune, chiedendone il rilascio ed il convenuto condominio, in persona dell'amministratore, deduca
essere il bene di propriet comune dei singoli condomini, invocando l'anzidetta presunzione legale, il
contraddittorio deve essere integrato nei confronti di tutti i condomini, ricorrendo un'ipotesi di litisconsorzio
necessario, essendo dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico ed inscindibile, giacch la sentenza,
implicando un accertamento tra titoli di propriet confliggenti fra loro, non pu conseguire un risultato utile se
non pronunciata nei confronti di tutti i partecipanti al condominio.
* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1996, n. 10609, Cond. Via Pio Fo N. 4 Roma c. Sette.
La detenzione di un immobile dovuta a ragioni di servizio o di ospitalit, o comunque fondata sul cosiddetto
precario, in quanto dovuta alla mera tolleranza dell'avente diritto, e revocabile, quindi, in ogni momento ad
nutum del medesimo, non pu legittimare il detentore all'esercizio dell'azione di spoglio neppure nel caso in cui
la violazione del possesso provenga da un soggetto diverso dal possessore dell'immobile, poich la valutazione
dell'opportunit di esperire o meno l'accennato rimedio sempre riservata all'esclusivo apprezzamento del
soggetto titolare della situazione che forma oggetto della tutela possessoria, a cui il rimedio preordinato.
(Fattispecie in tema di richiesta di reintegrazione nel possesso del locale ad uso di guardiola di portineria).
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 2 aprile 1992.
Spetta alla competenza del pretore ordinario la controversia relativa alla cessazione del rapporto di locazione
per ragioni di servizio, ai sensi dell'art. 659 c.p.c., allorquando tra le parti non in contestazione il rapporto di
lavoro, quale presupposto essenziale per la cessazione del godimento dell'immobile per uso abitativo, mentre
riservata alla competenza funzionale del giudice del lavoro nell'ipotesi in cui sia contestata anche la risoluzione
del rapporto di lavoro.
* Pret. civ. Salerno, ord. 4 febbraio 1991.
Il vincolo contrattuale che impone di conservare all'appartamento di propriet del singolo l'originaria destinazione
di alloggio del portiere soggetto a prescrizione estintiva per mancato esercizio.
* Corte app. civ. Genova, 4 ottobre 1989.
La locazione dell'alloggio del portiere non compresa tra i rapporti disciplinati dalla L. 27 luglio 1978, n. 392.
* Pret. civ. Napoli, 9 ottobre 1990.
Devesi ritenere perfettamente compatibile con le disposizioni di cui all'art. 1117 c.c., una clausola del
regolamento di condominio che preveda, per il godimento di alcune delle cose comuni (nella specie: alloggio del

portiere), la prestazione di un corrispettivo da parte di alcuni condomini in favore degli altri.* Cass. civ., 1 ottobre
1955, n. 2741.
Affinch i locali per la portineria e l'alloggio del portiere rientrino nella previsione dell'art. 1117 c.c.,
indispensabile accertare se le parti, nel costituire un titolo contrario alla presunzione di comunione, abbiano
inteso regolare diversamente il vincolo di destinazione derivante dalla natura della cosa e dall'esistenza concreta
di un servizio goduto in comunione dai condomini.
* Pret. civ. Napoli, 9 ottobre 1990.
La concessione in uso dell'alloggio per l'espletamento delle mansioni di portierato o di pulizia dello stabile
costituisce una prestazione accessoria del rapporto, la quale perde automaticamente la sua obbligatoriet e non
pi dovuta con la cessazione del rapporto di lavoro che ne il necessario presupposto.
* Cass. civ., sez. III, 4 dicembre 1981, n. 6435, Di Gennaro c. Lambitelli.
Deve ritenersi costituisca contratto ad uso di abitazione soggetto a proroga il contratto di locazione di alcuni
locali ad uso abitazione del portiere, che abbia quale parte conduttrice un condominio ove, sia il condominio
medesimo, che il portiere non abbiano disposto di un reddito superiore agli otto milioni.
* Trib. civ. Napoli, sez. VI, 30 marzo 1983, n. 2200, Cond. Via De Amicis 50, NA c. Mercadante.
l) Pulizia
Ai fini della qualificazione del lavoro di un addetto alle pulizie di uno stabile urbano come rapporto di lavoro
subordinato o autonomo, il giudice del merito, come anche da costante giurisprudenza della S.C., deve tener
conto che tali prestazioni sono considerate dal C.C.N.L. 30 aprile 1938 e dalla L. 4 febbraio 1958, n. 23, come
oggetto tipico di lavoro subordinato, le quali, solo in via eccezionale e in base ad elementi certi e determinati,
possono essere qualificate di lavoro autonomo (nella fattispecie stato qualificato come lavoro subordinato
quello di un inquilino di un appartamento di uno stabile di un unico proprietario, il quale inquilino ha svolto per
molti anni le mansioni di addetto alle pulizie e il corrispettivo del servizio veniva pagato dai vari inquilini al
proprietariolocatore, come onere accessorio dei contratti di locazione, e poi pagato all'addetto alle pulizie
mediante compensazione con il canone di locazione dell'appartamento, di cui era conduttore).
* Pret. civ. Torino, 13 luglio 1991.
m) Ripartizione delle spese
Le spese di portierato in un edificio condominiale, trattandosi di servizio per sua natura tale da assicurare la
custodia e vigilanza dell'intero fabbricato, vanno ripartite tra i condomini alla stregua del criterio dettato dall'art.
1123 primo comma, cod. civ., la cui applicabilit pu essere legittimamente negata solo se risulti una contraria
convenzione oppure se si accerti che il servizio, per particolari situazioni di cose e luoghi, non pu considerarsi
reso nell'interesse di tutti i condomini. (Nella specie, la S.C., enunciando il suriportato principio, ha ritenuto che
la corte del merito aveva erroneamente sostituito al criterio di cui al primo comma dell'art. 1123 cod. civ., il
diverso criterio basato su una ritenuta maggiore utilizzazione del servizio da parte di alcuni condomini).
* Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1986, n. 962, Cs. Maritt. Mer. c. Cd. Sella 215 Bia.
in tema di condominio degli edifici, la deliberazione assembleare, la quale, con riguardo alla ripartizione delle
spese di portierato, le estenda anche ai proprietari dei vani terranei sena ingresso dall'androne, deve ritenersi
affetta da nullit, non mera annullabilit, con conseguente proponibilit della relativa impugnazione in ogni
tempo, anche dopo il termine di decadenza fissato dall'art. 1137 cod. civ., qualora, adottata a maggioranza,
risulti integrare un riparto di dette spese difforme da quello fissato con regolamento condominiale di natura
contrattuale, quale quello predisposto dall'unico originario proprietario dell'edificio e poi di volta in volta accettato
dagli acquirenti delle singole porzioni, atteso che le disposizioni di tale regolamento sono modificabili solo
attraverso una nuova convenzione conclusa dalla totalit dei condomini.
*Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 1983, n. 5793, Galati c. Cond. Roma 6 Le.
Ove il servizio di portierato non venga svolto dal relativo incarico in maniera conforme alle prescrizioni e con la
diligenza dovuta, il conduttore di un appartamento sito nell'edificio, cui quel servizio si riferisce, pu eccepire, nei
confronti del proprietario locatore, la sua inadempienza in relazione a quel servizio e chiedere giudizialmente di
essere esonerato dal pagamento delle relative spese.
* Cass. civ., 2 luglio 1991, n. 7257, Istituto Nazionale di Prev. dei Giornalisti Italiani G. Amendola c. Rossi ed
altri.
Le spese di portierato in un edificio condominiale sono a carico di tutti i condomini in misura proporzionale al
valore delle singole unit immobiliari, compresi i proprietari di negozi o magazzini con ingresso diretto dalla
pubblica via, salvo diversa convenzione.
* Corte app. civ. Milano, sez.I, 24 novembre 1981, n. 1843, S.a.s. L'Ambrosiana di Rossi Maria e C. c.
Condominio di Via Palestrina 4, Milano.
Le spese necessarie per la prestazione del servizio di portierato in un edificio composto da pi unit immobiliari
vanno poste a carico di tutte queste in misura proporzionale al loro valore, ai sensi dell'art. 1123 cod. civ., a
meno che risulti che il servizio non sia svolto nell'interesse comune di tutti gli immobili ovvero alcuno di essi sia
stato convenzionalmente esonerato dall'onere. L'applicazione di tale criterio di ripartizione delle spese non
esclusa dal diverso grado di utilit che ciascuna unit immobiliare pu trarre in concreto dal servizio di
portierato, in dipendenza di particolari circostanze (nella specie, trattavasi di un locale ad uso commerciale con
ingresso autonomo e diretto dalla strada, il cui conduttore sosteneva la non ripetibilit nei suoi confronti delle
spese per il servizio di portineria, ovvero la loro ripetibilit in misura proporzionale all'uso del servizio).
* Pret. civ. Milano, 9 giugno 1983, Imm.re Fara Ovest Spa c. Immediauto Spa.
In tema di condominio negli edifici le spese di portierato che siano previste nel regolamento tra quelle di
carattere generale, vanno ripartite tra tutti i condomini ai sensi dell'art. 1123 c.c. in misura proporzionale al
valore della propriet di ciascuno e indipendentemente dalla maggiore o minore utilizzazione del servizio da
parte di condomini proprietari di unit immobiliari site in posizione particolare (nella fattispecie negozi), senza

che ne sia configurabile una deroga con riguardo alla mera esistenza di una tabella, allegata al regolamento, per
la ripartizione di spese particolari di pertinenza dei soli appartamenti.
* Cass. civ., sez. II, 30 maggio 1990, n. 5081, Sette c. Cond. V. Pietras.
E' legittima la delibera condominiale avente ad oggetto la revoca di una precedente delibera che, senza il
consenso unanime dei condomini, modificava le quote millesimali relative alla ripartizione delle spese del
servizio di portierato e contenute in un regolamento contrattuale.* Pret. civ. Roma, 17 febbraio 1990.
Gli oneri di portierato - da adempiersi dai condomini in proporzione del valore della propriet ai sensi dell'art.
1123 c.c. - sono obbligazioni reali, strettamente inerenti alla titolarit del diritto vantato sull'immobile, di cui
seguono il trasferimento, gravando su ciascun successivo proprietario relativamente al periodo in cui stato
titolare. Pertanto, l'attuale proprietario che ha pagato anche le spese di portierato maturate in epoca
antecedente all'acquisto del bene, non essendovi tenuto in quanto trattasi di obbligazioni divisibili, ha eseguito
un adempimento di terzo che lo legittima, ex art. 1203 n. 3 c.c., a surrogarsi nei diritti del creditore e ad agire nei
confronti dei precedenti danti causa.* Trib. civ. Napoli, 28 dicembre 1991, n. 15224.
n) Servizio di manutenzione di impianti
Ha natura di attivit lavorativa autonoma, e non subordinata, il servizio di portineria e manutenzione di impianti
condominiali, svolto senza alcuna continuit nella prestazione, nonch senza previsioni specifiche sull'orario di
lavoro e sulle modalit concrete del servizio stesso .* Pret. civ. Torino, sez. lav., 10 maggio 1994, n. 3337,
Morandi c. Cardellino.
o) Servizio di vigilanza
In tema di condominio degli edifici, la delibera istitutiva di un servizio di vigilanza armata, per la tutela
dell'incolumit dei partecipanti, rivolta a perseguire finalit estranee alla conservazione e gestione delle cose
comuni, e, quindi, non riconducibile nelle attribuzioni dell'assemblea (art. 1135 c.c.). Ne deriva che tale
delibera, ancorch presa a maggioranza, non opera nei confronti dei condomini assenti all'assemblea e non pu
essere fatta valere per una ripartizione della relativa spesa anche a loro carico.* Cass. civ., sez. II, 20 aprile
1993, n. 4631, Condominio di Piacenza n. 6/B di Torino c. Carzino e Falcone.
La guardiania notturna integra un servizio che, se da un lato ha di mira l'incolumit personale degli inquilini,
dall'altro garantisce indubbiamente anche una difesa ulteriore e pi ampia del patrimonio comune contro
indebite introduzioni nel perimetro condominiale. Pertanto, rispondendo essa non tanto all'interesse soggettivo di
ciascun condomino, ma al diverso valore delle propriet esclusive, il costo del servizio va necessariamente
ragguagliato non ad un elemento personale, ma ad un elemento patrimoniale quale il valore della singola unit
immobiliare.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 28 dicembre 1998, n. 2584, Condominio di Piazzetta Arenella 7/H in Napoli c.
Cervone ed altri.
Deve considerarsi legittima la delibera assembleare che, in occasione dell'installazione di un ponteggio per la
manutenzione della facciata, ha deciso di installare un sistema d'allarme e di disporre di un servizio di vigilanza.
* Trib. civ. Milano, 10 giugno 1991.
p) Soppressione del servizio
Qualora un servizio condominiale (nella specie: portierato) sia previsto nel regolamento di condominio, la sua
soppressione comporta una modificazione del regolamento che deve essere approvata dall'assemblea con la
maggioranza stabilita dall'art. 1136, comma 2 c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la
met del valore dell'edificio) richiamato dall'art. 1138, comma 3.* Cass. civ., sez. II, 29 marzo 1995, n. 3708,
Cond. S. Martino 2 c. Lombardo.
L'assemblea del condominio con la maggioranza prevista dall'art. 1136 comma 5 c.c. pu deliberare la
modificazione (o anche la soppressione) del servizio di portierato, sempre che vengano osservati i principi in
materia di innovazioni posti dall'art. 1120 c.c. e non ne derivino per taluno dei condomini vantaggi o svantaggi
diversi rispetto agli altri. Pertanto, nulla per violazione dell'art. 1120 citato, la deliberazione assunta a
maggioranza che, conservando la proporzionalit di spesa sulla collettivit condominiale, attui in un condominio
costituito da pi edifici la centralizzazione del servizio di portierato, in guisa da lasciare immutata la situazione
per i condomini dell'edificio presso il quale il servizio viene svolto, mentre i condomini degli altri edifici vengono a
trarre dal servizio una utilit minore.* Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1993, n. 5083, Cond. Via Tiziano (MI) c. Imm.re
Elsi sas.
L'istituzione del servizio di portierato, non previsto dal regolamento di condominio, che comporti la destinazione
ad alloggio del portiere di locali di propriet comune aventi in precedenza una diversa funzione, e la
soppressione del medesimo servizio, nella opposta ipotesi in cui questo sia previsto dal regolamento anzidetto
con destinazione ad alloggio del portiere di locali di propriet comune, configurano, derivandone,
rispettivamente, la nascita e l'estinzione di un vincolo di destinazione pertinenziale a carico di parti comuni, atti
eccedenti l'ordinaria amministrazione, per la cui deliberazione - attesa l'equiparazione di tale categoria di atti alle
innovazioni disposta dal secondo comma dell'art. 1108 cod. civ. (applicabile al condominio per il rinvio operato
dall'art. 1139 dello stesso codice) - necessaria la maggioranza qualificata (che rappresenti la maggioranza dei
partecipanti al condominio e due terzi del valore dell'edificio) prevista dal quinto comma dell'art. 1136 cod. civ., il
quale non esaurisce la disciplina delle maggioranze in relazione a tutte le deliberazioni assumibili dalla
assemblea dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1988, n. 2585, Del Genio c. Con. Pal. Romano.
La soppressione (come la istituzione) del servizio di portierato, comportando il venir meno (od il sorgere) di un
vincolo di destinazione di una parte comune del condominio, configura un atto di straordinaria amministrazione.
Pertanto, tale innovazione deve essere deliberata dalla maggioranza qualificata dei due terzi del valore del
condominio, a tutela degli eventuali pregiudizi sul patrimonio degli amministrati, connessi alla particolare
rilevanza del medesimo atto.

* Corte app. civ. Milano, sez. I, 20 giugno 1989, n. 1032, Ferrario c. Condominio Viale Tibaldi 3, Milano.
La soppressione del servizio di portineria non costituisce di per s una innovazione della cosa comune di cui
all'art. 1120 cod. civ., e nemmeno un atto di straordinaria amministrazione; di conseguenza essa pu essere
validamente approvata dalla maggioranza dei condomini.* Trib. civ. Napoli, sez. III, 4 dicembre 1988, De Filippo
c. Condominio di via dell'Abbondanza a Marianella, n. 26, Napoli.
q) Sostituto del portiere
Il rapporto di portierato caratterizzato, rispetto al normale rapporto di lavoro subordinato (della cui realt
normativa partecipa), da aspetti particolari, connessi alla natura (non imprenditoriale) del datore di lavoro ed al
tipo di servizio (pulizia, custodia e vigilanza) affidato al lavoratore, ed disciplinato, quanto ad alcuni istituti, da
leggi speciali come la L. 21 marzo 1953, n. 215 sulla gratifica natalizia, la L. 26 aprile 1954, n. 111
sull'estensione delle feste infrasettimanali e la L. 16 maggio 1956, n. 526 sul trattamento economico del lavoro
prestato nei giorni festivi. Pertanto, attese le peculiarit del rapporto predetto, che spiegano anche la previsione
della figura del sostituto (da nominarsi, secondo la disciplina collettiva, dal portiere, il quale lo retribuisce
direttamente in proporzione del servizio prestato), va escluso che la clausola dell'art. 36 del Ccnl di categoria del
24 febbraio 1978 - la quale, in caso di morte del portiere, prevede la prosecuzione per tre anni del godimento
dell'alloggio di servizio da parte delle persone con lui conviventi e, per lo stesso periodo, la corresponsione del
salario e di eventuali indennit supplementari alla persona designata come sostituto che abbia continuato a
disimpegnare il servizio di portierato - configuri un rapporto di lavoro a termine suscettibile di conversione, in
quanto illegittimo, in rapporto di lavoro a tempo determinato, ai sensi della L. 18 aprile 1962, n. 230, e quindi
risolvibile soltanto con le modalit e nei casi previsti dalle leggi n. 604 del 1966 e n. 300 del 1970.
* Cass. civ., sez. lav., 29 marzo 1985, n. 2221, Viviano c. Soc. Assic. Gen..
r) Svolgimento del servizio
Il servizio di portierato, come ogni altro di interesse comune, deve essere disciplinato a norma dell'art. 1130, n. 2
c.c. e pu ritenersi ben assicurato, sempre che sia diligentemente svolto, anche se sussista reciproca antipatia
ed insofferenza personale tra l'addetto al servizio ed alcuno dei condomini, sempre che l'incolumit personale
non si traduca, da parte del primo, in un persistente contegno incivile e scorretto o addirittura in manifestazioni
ingiuriose.
* Trib. civ. Firenze, 3 marzo 1962.
IL RAPPORTO DI PORTIERATO
SOMMARIO: a) Caratteri del rapporto; b) Controversie; c) In genere; d) Istituzione del servizio; e) Portineria e
alloggio del portiere; f) Pulizia; g) Ripartizione delle spese; h) Soppressione del servizio; i) Svolgimento del
servizio.
a) Caratteri del rapporto
Carattere precipuo del contratto di portierato, quale emerge dalle disposizioni legislative e dalle norme
corporative tuttora vigenti (L. 9 aprile 1952 n. 401; L. 31 marzo 1954 n. 109; CCNL 30 aprile 1938) una
prestazione di vigilanza e di custodia al servizio di stabili con le loro relative pertinenze, destinati ad uso
esclusivo o prevalente di abitazione di pi nuclei familiari. Va, pertanto, riconosciuta la qualifica di portiere
con la conseguente applicazione della normativa relativa (L. 21 marzo 1953 n. 215, sulla corresponsione della
gratifica natalizia ai lavoratori addetti alla vigilanza, custodia e pulizia degli immobili urbani; L. 4 febbraio 1958 n.
23, sul conglobamento e perequazione dei salari dei portieri) a chi svolge le anzidette mansioni al servizio di
un parco destinato a distinti condominii tutti solidalmente responsabili per il pagamento della retribuzione, per
essere il parco destinato a loro servizio e per il fatto di giovarsi delle prestazioni lavorative del portiere mentre
irrilevante, al fine di escludere lesistenza di un contratto di portierato, la circostanza che ogni edificio
condominiale abbia un proprio portiere.
* Cass. civ., sez. lav., 15 dicembre 1979, n. 6539, Grulliero c. Lanza.
Nello speciale rapporto di portierato, la somministrazione dellalloggio costituisce una prestazione del datore di
lavoro fornita della connotazione della alternativa (onde la validit delle clausole individuali o collettive, che la
contemplino, in riferimento allart. 1285 cod. civ.) rispetto all"indennit sostitutiva", nella quale si identifica il
valore convenzionale dellalloggio, per la determinazione della retribuzione, ai fini del computo degli istituti legali
e contrattuali, con la conseguenza che nel caso di impossibilit della somministrazione dellalloggio (per la
mancanza dello stesso nelledificio in cui deve essere prestato il servizio) lobbligazione del datore di lavoro
viene a concentrarsi a norma dellart. 1288 cod. civ. nella corresponsione della detta indennit, senza che ne
derivi una riduzione della retribuzione, ovvero una lesione della sua proporzionalit e sufficienza ex art. 36 Cost.
(Nella specie, la sentenza impugnata confermata dal S.C. aveva escluso che un portiere, trasferito con le
stesse mansioni, a prestare servizio in altro stabile, appartenente al medesimo proprietario e privo di alloggio di
servizio, avesse diritto a conservare il precedente alloggio, in luogo dellofferta indennit sostitutiva).* Cass. civ.,
sez. lav., 25 agosto 1987, n. 7015, Onorati Conti c. Inps.
Il contratto di portierato ha per oggetto una prestazione di vigilanza e di custodia al servizio di stabili destinati ad
uso, esclusivo o prevalente, di abitazione di pi nuclei familiari. Dalle disposizioni legislative e dalle norme
corporative vigenti , infatti, considerato portiere solo colui che presta la propria opera per la vigilanza, la
custodia ed, eventualmente, la pulizia degli stabili, oltre alle mansioni accessorie di cui alle consuetudini locali e
non anche il lavoratore che, con rapporto continuativo, presta la propria opera per la pulizia dellandrone, delle
scale e degli accessori, ed, eventualmente, anche per la accensione e lo spegnimento della luce, per lapertura
e chiusura del portone, con esclusione del servizio di vigilanza e custodia.* Cass. civ., 25 marzo 1970, n. 801.
Nel rapporto di portierato, in cui la subordinazione deve essere ravvisata nellassoggettamento del lavoratore al
potere direttivo del datore di lavoro, esercitato anche mediante il controllo dei singoli condomini, la

somministrazione dellalloggio ubicato nelledificio condominiale, ove non risulti giustificata da un diverso titolo,
deve presumersi effettuata, in favore del lavoratore che vi dimora, al fine di svolgervi il servizio di portierato, che
implica lattivit di vigilanza e custodia, alla prestazione delle quali finalizzata la suddetta somministrazione.*
Cass. civ., sez. lav., 4 dicembre 1990, n. 11638, Cucca e altri e. Cond. Si.Bo di Nuoro.
b) Controversie
In tema di rapporto giuridico anomalo, che non trovi disciplina nellordinamento, il giudice chiamato a risolvere
una controversia ad esso relativa, deve fare ricorso ai principi generali dellordinamento stesso a norma dellart.
12 disp. prel. al codice civile. Fra questi principi generali, nel campo dei rapporti patrimoniali vi quello che si
racchiude nellespressione rebus sic stantibus, cui si ispira lart. 1467 cod. civ., in forza del quale un rapporto
giuridico patrimoniale, ove non altrimenti disciplinato, non pu essere mantenuto in vita quando siano venute
meno, in misura notevole, le condizioni di equilibrio sulle quali esso sorto. (Nella fattispecie, trattavasi di un
onere reale, tale qualificato con sentenza passata in giudicato, rappresentato da un vincolo di perpetua
destinazione di una unit condominiale a servizio di portierato, anomalo sia in quanto pressoch esaustivo dei
poteri di godimento del titolare del bene gravato, sia perch ricollegato ad una controprestazione economica a
carico del condominio beneficiario dellonere stesso fissata nel 1903 e divenuta affatto simbolica non
esprimendo alcun valore economico degno di considerazione).
* Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1986, n. 6584, Vettese e. Cond. V. P. 66.
e) In genere
In materia di impugnazione di delibere dellassemblea dei condomini ex art. 1137 cod. civ., il sindacato del
giudice di mera legittimit, ma ci non esclude la possibilit, anzi la necessit, di un accertamento della
situazione di fatto che alla base della determinazione assembleare, allorquando tale accertamento costituisca
il presupposto indefettibile per controllare la rispondenza della delibera alla legge. (Nella specie, la delibera
aveva per oggetto lassunzione di un secondo portiere nel complesso condominiale, ed occorreva stabilire se si
fosse in presenza di una innovazione non consentita, oppure di un semplice adeguamento alle necessit
obiettive del servizio di portierato gi esistente; la Suprema Corte ha annullato la decisione del merito per una
insufficiente valutazione al riguardo).* Cass. civ., sez. II, 7 luglio 1987, n. 5905, Milazzo c. Cacciola.
Deve ritenersi lecita lattivit di mediazione in relazione ai rapporti di portierato, trattandosi di una categoria di
lavoratori non inserita nelle liste di collocamento e di cui la disciplina speciale, rinviata a successiva
regolamentazione dalla L. 29 aprile 1949, n. 264, non stata neppur attuata con la successiva legge n. 339 del
1958: mancano la possibilit di applicare per analogia norme proibitive o restrittive, ovvero di operare con
interpretazione creativa su aspetti sociali devoluti alla competenza del legislatore ordinario.* Cass. civ., sez. II, 6
novembre 1968, n. 3674.
Lart. 659 cod. proc. civ. per il quale "se il godimento di un immobile il corrispettivo anche parziale di una
prestazione dopera, lintimazione d licenza o di sfratto... pu essere fatta quando il contratto viene a cessare
per qualsiasi causa" non si riferisce alle sole ipotesi di custodia, portierato e guardiania, ma a tutte quelle di
concessione in godimento di un immobile funzionalmente collegata con un rapporto di prestazione dopera in
modo da costituirne, anche parzialmente, il corrispettivo.
* Cass. civ., sez. III, 21 giugno 1984, n. 3680, Zeni c. Carosini.
La mancanza di unautorizzazione amministrativa, prescritta per lo svolgimento di una determinata attivit
lavorativa, non comporta lilliceit delloggetto o della causa del contratto di lavoro agli effetti dellart. 2126 cod.
civ.; pertanto, in tema di rapporto di portierato, la mancata iscrizione del lavoratore nel registro previsto dallart.
62 del T.U. delle leggi di PS. (r.d. 18 giugno 1931, n. 773) non esclude il diritto alla retribuzione per lattivit
concretamente esercitata.
* Cass. civ., sez. lav., 12 maggio 1989, n. 2171, Varignana c. Inps.
La clausola del regolamento di condominio istitutiva del servizio di portierato, in quanto non attribuisce ai
condomini diritti soggettivi, ma riguarda lamministrazione della cosa comune, pu essere abolita o modificata
col voto favorevole della maggioranza dei condomini, senza che occorra lunanimit dei consensi.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 14 maggio 1990, Galimberti c. Condominio di Via Morgantini n. 29/31, Milano, in
Arch. loc. e cond. 1991, 140.
In caso di scioglimento totale di un condominio, qualora residuino beni in comune ed in assenza di un titolo
che disponga diversamente deve farsi luogo allapplicazione delle norme sul condominio allorquando le cose
o i servizi appaiano legati ai singoli edifici in un rapporto di "necessariet ed accessoriet" (es. gli impianti idrici,
di riscaldamento, di illuminazione, il servizio di portierato, gli accessi, il parcheggio per le automobili); soltanto
per il caso si tratti di cose non necessarie per lesistenza delle costruzioni (es. piscine, campi da tennis, negozi,
ristoranti, parchi, ecc.) si applicano le norme sulla comunione, trattandosi di beni e servizi che sfuggono al
richiamo dellart. 1117 c.c..
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 24 febbraio 1995, n. 7942, Russo ed altri, Nocchetti ed altri c. Cond. del Parco
dellOleandro di Napoli e Comunione del Parco dellOleandro, in Arch. loc. e cond. 1996, 240.
Nel caso in cui un dipendente di una impresa di assicurazione sia addetto quale portiere ad uno stabile d
propriet ditale impresa, solo parzialmente dalla stessa adibito a propria sede e relativamente alle altre parti
beato a terzi, ai fin dellindividuazione del contratto collettivo applicabile al rapporto di lavoro deve innanzitutto
accertarsi se lattivit del datore d lavoro di gestione d immobili abbia autonomia tecnica e d produzione, o
invece natura complementare o accessoria, poich, in caso di attivit plurime svolte dallo stesso datore di
lavoro, a norma dellart. 2070, comma 2, c.c. solo per le attivit complementari ed accessorie sussiste la
possibilit di fare riferimento al contratto collettivo disciplinante lattivit principale. (Nella specie, la Suprema
Corte ha annullato la sentenza impugnata perch il giudice di merito aveva omesso la verifica, ai fin indicati,
della struttura organizzativa della societ nel quadro delle plurime attivit dalla stessa esercitate, attribuendo
erroneamente valore assorbente, ai fin della ritenuta applicabilit del contratto collettivo per i dipendenti di

imprese d assicurazione, invece che di quello per i dipendenti da proprietari di fabbricati, alla affermata
prevalenza quantitativa e qualitativa delle parti immobiliari direttamente utilizzate dalla impresa assicuratrice,
trascurando inoltre di dare rilievo al tenore letterale della clausola del contratto collettivo del settore assicurativo
prevedente la applicabilit del medesimo ai lavoratori addetti ad attivit di portierato o di custodia del palazzo
adibito a sede della Compagnia solo in caso di esclusivit di tale destinazione e altres omettendo di accertare
quale fosse stata la volont delle parti in merito alla qualificazione e disciplina del rapporto, bench il mancato
coordinamento tra le due contrattazioni collettive in questione, dipendente dal fatto che quella per i dipendenti da
proprietari di fabbricati a sua volta escludeva la sua applicabilit per i rapporti relativi a stabili destinati
prevalentemente a sedi di ditte industriali e commerciali, poteva abilitare le parti del singolo rapporto di lavoro ad
avvalersi della loro autonomia contrattuale anche ai fini di unopzione per la seconda di dette discipline
collettive).* Cass. civ., sez. lav., 9 ottobre 1997, n. 9801, Soc. Ras c. Testa.
d) Istituzione del servizio
Listituzione del servizio di portierato, non previsto dal regolamento di condominio, che comporti la destinazione
ad alloggio del portiere di locali di propriet comune aventi in precedenza una diversa funzione, e la
soppressione del medesimo servizio, nellopposta ipotesi in cui questo sia previsto dal regolamento anzidetto
con destinazione ad alloggio del portiere di locali di propriet comune, configurano (derivandone,
rispettivamente, la nascita e lestinzione di un vincolo di destinazione pertinenziale a carico di parti comuni) atti
eccedenti lordinaria amministrazione, per la cui deliberazione attesa lequiparazione ditale categoria di atti
alle innovazioni disposte dal secondo comma dellart. 1108 cod. civ. (applicabile al condominio per il rinvio
operato dallart. 1139 dello stesso codice) necessaria la maggioranza qualificata (che rappresenti la
maggioranza dei partecipanti al condominio e due terzi del valore delledificio) prevista dal quinto comma dellart.
1136 cod. civ., il quale non esaurisce la disciplina delle maggioranze in relazione a tutte le deliberazioni
assumibili dallassemblea dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1988, n. 2585, Del Genio e. Condominio "Palazzo Romano - De Falco", Nola,
Napoli.
e) Portineria e alloggio del portiere
Ai sensi degli artt. 1130 e 1131 cod. civ., allamministratore del condominio spetta per legge la disciplina della
gestione ed uso delle cose comuni e della prestazione dei servizi e cos dellesercizio del servizio comune di
portierato ed il potere di risolvere il rapporto di lavoro fra il portiere ed il condominio. Di conseguenza
lamministratore pu, anche senza deliberazione dellassemblea dei condomini, agire per il rilascio dellalloggio
detenuto senza titolo dal portiere licenziato (cui lalloggio stesso era stato concesso ad integrazione della
retribuzione), dipendendo tale rilascio dalla risoluzione di un rapporto obbligatorio assunto per la gestione del
servizio comune ed essendo il recupero di detto alloggio essenziale per lulteriore espletamento dello stesso
servizio.
* Casa. civ., sez. lav., 3 ottobre 1985, n. 4780, Menna c. Occorsio.
Lobbligazione avente ad oggetto il pagamento di una pigione, di canone o di altro corrispettivo periodico del
godimento di un bene ha natura di debito pecuniario ove sia stato preventivamente determinata in una somma
fissa di denaro e, pertanto, essendo soggetta al principio nominalistico, non suscettibile di rivalutazione. Tale
principio applicabile anche al canone fissato in danaro in corrispettivo dellonere reale posto a carico di uno dei
condomini di un edificio e consistente nellobbligo di conservare, nellinteresse del condominio, loriginaria
destinazione dellappartamento di sua esclusiva propriet (nella specie, locali di portierato).* Cass. civ., sez. II,
26 ottobre 1974, n. 3168.
La concessione in uso dellalloggio per lespletamento delle mansioni di portierato o di pulizia dello stabile
costituisce una prestazione accessoria del rapporto, la quale perde automaticamente la sua obbligatoriet e non
pi dovuta con la cessazione del rapporto d lavoro che ne il necessario presupposto.
* Cass. civ., sez. III, 4 dicembre 1981, n. 6435, Di Gennaro c. Lambitelli.
Il rapporto avente ad oggetto labitazione del portiere viene definito come contratto atipico, non configurabile
come locazione, sicch non si applica a simili rapporti la legge sullequo canone e il diritto al godimento della
casa di abitazione viene meno con la cessazione del rapporto di portierato.
* Trib. civ. Napoli, sez. VI, 20 giugno 1985, n. 5988, Cappelli e altri c. Spiniello, in Arch. loc. e cond. 1985, 508.
Lamministratore del condominio, a cui spetta ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c. la disciplina della gestione e
delluso delle cose comuni, nonch dellesercizio del servizio comune di portierato, pu, anche senza
deliberazione dellassemblea dei condomini, agire per il rilascio dellimmobile adibito ad alloggio del portiere, che
sia deceduto, da parte del coniuge del medesimo, che detenga limmobile senza titolo.*Cass. civ., sez. III, 26
giugno 1991, n. 7162, Laino c. Condominio Rione Torre Ranieri di Napoli
f) Pulizia
Qualora il portiere sia sostituito con lavascale e sia stato in tal modo istituito un nuovo e diverso rapporto per la
pulizia dellandrone, delle scale e degli altri luoghi comuni di passaggio dello stabile, il criterio di ripartizione delle
spese relative tra i condomini non pu pi identificarsi con quello stabilito dal regolamento per le spese del ben
diverso rapporto di portierato. E qualora nel regolamento d condominio manchi unesplicita disciplina per la
predetta sostituzione, ladozione di un nuovo criterio di ripartizione delle spese rispondenti alla nuova situazione
pu fissarsi con deliberazione a maggioranza dei condomini, non risolvendosi nella menomazione di alcun loro
diritto risultante dagli atti di acquisto o da altra convenzione. (Nella specie: il giudice d merito aveva ritenuto
ripartibili le spese per il lavascale a norma dellart. 1124 cc. che disciplina la manutenzione delle scale giusta la
delibera dellassemblea condominiale la quale sostituito il servizio di portierato con quello di lavascale
aveva modificato la norma del regolamento secondo cui le spese di portierato dovevano essere divise in base al
valore millesimale degli appartamenti).*Cass. civ., sez. lI, 25 marzo 1970, n. 801.
g) Ripartizione delle spese

Le spese di portierato in un edificio condominale, trattandosi di servizio per sua natura tale da assicurare la
custodia - vigilanza dellintero fabbricato, vanno ripartite tra i condomini alla stregua del criterio dettato dallart.
1123 primo comma, cod. civ., la cui applicabilit pu essere legittimamente negata solo se risulti una contraria
convenzione oppure se si accerti che il servizio, per particolari situazioni di cose e luoghi, non pu considerarsi
reso nellinteresse di tutti i condomini. (Nella specie, il S.C., enunciando il surriportato principio, ha ritenuto che
la corte del merito aveva erroneamente sostituito al criterio di cui al primo comma dellart. 1123 cod. civ., il
diverso criterio basato su una ritenuta maggiore utilizzazione del servizio da parte di alcuni condomini).*Cass.
civ., sez. Il, 18 febbraio 1986, n. 962, Cassa Marittima Meridionale e. Cond. di via Quintino Sella, n. 215, di Bari.
Le spese di portierato in un edificio condominale, trattandosi di servizio per sua natura tale da assicurare la
custodia vigilanza dellintero fabbricato vanno rtite tra i condomini alla stregua del criterio dettato dallart. 1123,
primo comma, cod. civ., la cui applicabilit pu essere legittimamente negata solo se risulti una contraria
convenzione (come espressamente previsto dallindicata norma) oppure se si accerti che il servizio, per
particolari situazioni di cose e luoghi, non pu considerarsi reso nellinteresse d tutti i condomini. (Nella specie, il
S.C., enunciando il surriportato principio, ha ritenuto correttamente applicato lart. 1123, primo comma, citato dai
giudici del merito, che avevano accertato trattarsi di servizio di portierato notturno reso nellinteresse comune, e
non dei soli condomini proprietari di autorimesse).
*Cass. civ., sez. lI, 30 ottobre 1981, n. 5751, Sri Lister e. Condominio di Via Parini 9, Milano.
Le spese necessarie per la prestazione del servizio di portierato in un edificio composto da pi unit immobiliari
vanno poste a carico di tutte queste in misura "proporzionale alloro valore", ai sensi dellart. 1123 cod. civ., a
meno che risulti che il servizio non sia svolto nellinteresse comune di tutti gli immobili ovvero alcuno. di essi sia
stato convenzionalmente esonerato dallonere. Lapplicazione ditale criterio di ripartizione delle spese non
esclusa dal diverso grado di "utilit" che ciascuna unit immobiliare pu trarre
20. A.L.C. 1998. n. 4.
In concreto dal servizio del portierato, in dipendenza di particolari circostanze (nella specie, trattavasi di un
locale ad uso commerciale con ingresso autonomo e diretto dalla strada, il cui conduttore sosteneva la non
ripetibilit nei suoi confronti delle spese per il servizio di portinera, ovvero la loro ripetibilit in misura
proporzionale alluso del servizio).
*Pret. civ. Milano, 9 giugno 1983, Imm.re Fara Ovest Spa e. Immediauto Spa, in Arch. loc. e cond. 1983, 523.
Allorquando una clausola di un regolamento di condominio di natura contrattuale stabilisca, senza distinzioni,
che le norme contenute nel medesimo "sono revocabili e suscettibili di modifiche ed aggiunte, purch queste
risultino approvate dallassemblea con le maggioranze necessarie per legge", il giudice del merito, chiamato ad
accertare se sia legittima una delibera assembleare maggioritaria con la quale le spese di portierato siano state
poste anche a carico dei condomini proprietari dei locali esterni e interrati delledificio che una norma di detto
regolamento esoneravThvece dal concorrere a tali spese, non pu risolvere il problema, nel senso della
illegittimit, esclusivamente sulla base del principio generale secondo cui le norme condominiali sorte per
contratto possono essere modificate solo col consenso di tutti i contraenti stessi, ma si deve indagare se la
surriferita clausola non deroghi a questo principio, avvalendosi, a tal fine, degli strumenti interpretativi offerti dal
codice civile e, in particolare, dallart. 1367 che impone, nel dubbio, di interpretare le singole clausole "nel senso
in cui possono avere qualche effetto, anzich in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno", oltre che della
valutazione del comportamento complessivo delle parti (art. 1362, secondo comma, cod. civ.) in relazione al
pregresso pagamento di quelle spese da parte dei condomini originariamente esclusi.
*Cass. civ., sez. Il, 25 marzo 1987, n. 2888, Condominio di via Gomez dAyala 9, Napoli c. De Alteriis e
Amendola.
In tema di condominio degli edifici, la deliberazione assembleare, la quale, con riguardo alla ripartizione delle
spese di portierato, le estenda anche ai proprietari dei vani terranei senza ingresso dallandrone, deve ritenersi
affetta da nullit, non mera annullabilit, con conseguente proponibilit della relativa impugnazione in ogni
tempo, anche dopo il termine di decadenza fissato dallart. 1137 cod. civ., qualora, adottata a maggioranza,
risulti integrare un riparto di dette spese difforme da quello fissato con regolamento condominiale di natura
contrattuale, quale quello predisposto dallunico originario proprietario delledificio e poi di volta in volta accettato
dagli acquirenti delle singole porzioni, atteso che le disposizioni ditale regolamento sono modificabili solo
attraverso una nuova convenzione conclusa dalla totalit dei condomini.
*Cass. civ., sez. Il, 5 ottobre 1983, n. 5793, Galati e. Cond. Roma 6 Le.
Il giudice pu stabilire criteri d ripartizione delle spese di portierato diversi da quello di cui allart. 9, secondo
comma, della I. n. 392/1978 (900/o a carico del conduttore) nel caso di servizio di portineria espletato anche
per la confermazione dellimmobile al quale esso destinato in modo inadeguato e in misura ridotta.
*Pret. civ. Torino, 30gennaio 1985, Gorra ed altri e. Tucci, in Arch. loc. e concI 1985, 342.
In tema d condominio negli edifici le spese di portierato che siano previste nel regolamento tra quelle di
carattere generale, vanno ripartite tra tutti i condomini ai sensi dellart. 1123 c.c. in misura proporzionale al
valore della propriet di ciascuno e indipendentemente dalla maggiore o minore utilizzazione del servizio da
parte di condomini proprietari di unit immobiliari site in posizione particolare (nella specie negozi), senza che ne
sia configurabile una deroga con riguardo alla mera esistenza di una tabella, allegata al regolamento, per la
ripartizione di spese particolari di pertinenza dei soli appartamenti.
*Cass. civ., sez. lI, 30 maggio 1990, n. 5081, Sette c. Cond. V. Pietras.
In caso di risoluzione di contratto atipico di locazione per servizio di portierato, il relativo provvedimento
immediatamente
eseguibile col solo preavviso ex art. 608 cod. proc. civ., non dovendo il giudice di cognzione fissare la data di
esecuzione ex art. 56, 1. n. 392/1978, n potendo riehedersi la fissazione ditale data al giudice dellesecuzione.
*Pret. civ. Salerno, ord. 25 luglio 1983, Costantino e. Cond. CVE 126 - SA, in Arch. loc. e cond. 1985, 166.

legittima la delibera condominiale avente ad oggetto la revoca di una precedente delibera che, senza il
consenso unanime dei condomini, modificava le quote millesimali relative alla ripartizione delle spese del
servizio di portierato e contenute in un regolamento contrattuale.Pret. civ. Roma, 17 febbraio 1990, medita. (Cc.,
art. 1135).
Dal momento della costituzione del cosiddetto "condominio di gestione" tra gli assegnatari di alloggi economici e
popolari, spetta allassemblea condominiale il potere di deliberare sulluso e godimento delle cose comuni e sulla
ripartizione delle relative spese, nel rispetto delle norme di legge e di regolamento, con la conseguenza che ove
detto condominio assuma direttamente la gestione dei servizi di portierato e di riscaldamento oltre lordinaria
manutenzione delle parti comuni delledificio, la quota variabile di spesa relativa a tali servizi viene
legittimamente determinata dagli stessi assegnatari riuniti in assemblea e deve essere corrisposta
allamministratore, anzich allente proprietario, con esclusione di eventuali spese generali (come lassicurazione
od altro) ancora sostenute da detto ente.
*Casa. civ., sez. Il, 11 agosto 1990, n. 8195, Tecchi Cristofori e. Alberti e altri.
La norma contenuta in un regolamento condominiale per la quale "le spese di portierato, luce scala e
manutenzione delle medesime sono accollate ai condomini dei laboratori, magazzini, garage, negozi, solo in
ragione di un terzo della rispettiva quota millesimale di propriet" applicabile anche nei confronti di un istituto di
eredito.
*Trib. civ. Milano, sez. VIII, 10settembre 1992, Istituto bancario San Paolo di Torino e. Condominio di Viale
Monza 118 di Milano, in Arch. loc. e cond. 1993, 328.
In virt dellistituto della prorogatio lamministratore d un condominio di un edificio, cessato dalla carica per
scadenza del termine previsto dallart. 1129 cc. o per dimissioni, continua ad esercitare tutti i poteri previsti
dallart. 1130 cc., attinenti alla vita normale ed ordinaria del condominio, fino a quando non sia stato sostituito
con la nomina di altro amministratore. Pertanto, lamministratore deve continuare a provvedere, durante la
gestione interinale, alladempimento delle incombenze ed attribuzioni previste dallart. 1130 c.c. e cos a
riscuotere i contributi condominiali e ad erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti
comuni delledificio e per lesercizio dei servizi comuni, compreso quello di portierato, con la conseguenza che,
in caso di ritardata presentazione delle denunce contributive e di ritardato pagamento dei contributi previdenziali
dovuti per il portiere, lamministratore tenuto a rivalere il condominio delle somme da questo versate allInps a
titolo di sanzioni amministrative.*Cass. civ., sez. Il, 25 marzo 1993, n. 3588, Italiano e. Cond. V. Pacinotti, 23.
In tema di locazione di alloggi di edilizia economica e popolare, le modalit di determinazione delle spese per i
servizi, come previste dallart. 19, D.P.R. n. 1035 del 1972 secondo il quale il canone costituito, tra laltro, di
una quota per i servizi di custodia e portierato, di pulizia, di riscaldamento, di ascensore e degli altri eventuali
servizi derivanti da usi e consuetudini locali, nonch per consumi dacqua ed energia elettrica relativi alle parti
comuni, per contributo fognatura e per lasporto dei rifiuti solidi; quota fissata dallIstituto autonomo per le case
popolari in relazione ai servizi prestati ed al costo degli stessi calcolato sul complesso degli immobili gestiti
non possono assurgere a linee essenziali caratterizzanti la materia delle locazioni di alloggi di edilizia
residenziale pubblica. La norma in oggetto, infatti, non costituice precetto fondamentale, attinente alla
configurazione essenziale del rapporto, bens a disposizione di dettaglio, concernente aspetto specifico della
disciplina del rapporto stesso. Ne consegue che, correttamente, il giudice coneiliatore, nellesercizio del suo
potere equitativo, pu disattendere la suindicata disposizione, sul rilievo che la volont delle parti, emergente dal
contratto di locazione, appare inequivocabilmente diretta a sostituire al criterio legale della quota fissa
proporzionale il diverso criterio convenzionale della quota variabile commisurata alleffettivo importo delle spese
di gestione. Siffatta operazione ermeneutica, siccome ispirata a criteri equitativi, si sottrae al sindacato di
legittimit.*Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1994, n. 9553, Istituto Autonomo Case Popolari e. Della Valle
Dal momento della costituzione del cosiddetto (condominio di gestione" tra gli assegnatari di alloggi economici e
popolari, spetta allassemblea condominiale il potere di deliberare sulluso e godimento delle cose comuni e sulla
ripartizione delle relative spese, nel rispetto delle norme di legge e di regolamento, con la conseguenza che ove
detto condominio assuma direttamente la gestione dei servizi di portierato, di riscaldamento oltre lordinaria
manutenzione delle parti comuni delledificio, la quota variabile di spesa relativa a tali servizi viene
legittimamente determinata dagli stessi assegnatari riuniti in assemblea e deve essere corrisposta
allamministratore, anzich allente proprietario, con esclusione di eventuali spese generali (come lassicurazione
od altro) ancora sostenute da 4etto ente.
*Cass. civ., sez. I, 8 maggio 1995, n. 5023, Di Lena ed altri e. Spa Ente Nazionale Case al Popolo - E.N.C.A.P..
Le spese di portierato in un edificio condominiale sono a carico di tutti i condomini in misura proporzionale al
valore delle singole unit immobiliari, compresi i proprietari di negozi o magazzini con ingresso diretto dalla
pubblica via, salvo diversa convenzione.
*Corte app. civ. Milano, sez. 1,24 novembre 1981, n. 1843, Sas LAmbrosiana di Rossi Maria e C.c. Condominio
di Via Palestrina 4, Milano, in Arch. loc. e cond. 1982, 71.
h) Soppressione del servizio
Agli obblighi, gravanti sul locatore ai sensi dellart. 1575 n. 2 e.c., di mantenere lappartamento locato in istato da
servire alluso convenuto da riportare lobbligo, assunto per contratto, di assicurare il servizio di portierato (da
cui nasce una responsabilit del locatore per fatto dellausiliario: art. 1228 cc.), giacch la nozione di "cosa
beata" non pu essere ristretta alla singola unit delledificio ma va estesa alle pertinenze, agli accessori ed ai
servizi. tuttavia valido il patto che esonera il locatore dalla responsabilit per danni (ed incensurabile
linterpretazione del giudice del merito che ritiene trattarsi di responsabilit non solo aquiliana ma anche
contrattuale) derivati da fatto del portinaio o di un terzo, poich tale patto preventivo di esonero non contrasta
con obblighi derivanti da norme di ordine pubblico (art. 1229 cpv. c.c.), ossia con lobbligo del portinaio di
dispiegare la necessaria vigilanza e di opporsi efficacemente alla consumazione di azioni delittuose sancito

dallart. 113 del regolamento per lesecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, n
linterpretazione che ne conserva la validit svuota di contenuto lobbligo di assicurare il servizio di portierato,
ponendosi cos in contrasto col principio di buona fede.
*Casa. civ., sez. III, 29 luglio 1975, n. 2938.
La forma scritta costituisce requisito necessario dei contratti risolutori del diritto di propriet sui beni immobili,
dovendo dai medesimi trarsi con sufficiente certezza tutti gli elementi del negozio cui le parti abbiano inteso dare
vita, quali lindicazione del bene ritrasferito e del prezzo, nonch la manifestazione delleffettiva volont di
operare il nuovo trapasso del bene. (Nella specie, si ritenuto che sia insufficiente a determinare il
ritrasferimento del diritto di compropriet, sui locali destinati al servizio di portierato, dai condomini al venditore
costruttore, il generico richiamo contenuto nei singoli contratti di vendita delle unit immobiliari a una clausola
del regolamento del condominio predisposta dal venditore nella
quale si prevedeva il ritrasferimento a costui della propriet di detti locali in caso di cessazione del servizio di
portierato).
*Cass. civ., sez. Il, 14 febbraio 1981, n. 908, Palmiotto e. Palmiotto.
In tema di condominio negli edifici, il dovere dellamministratore, ai sensi dellart. 1130 n. 2 cod. civ., di
controllare e disciplinare il godimento di locali comuni (nella specie, locali destinati ad alloggio del portiere dopo
la soppressione del servizio di portierato), implica, in mancanza di diverse disposizioni dellassemblea, il diritto di
detenere le chiavi dei suddetti locali, per assicurarne luso da parte dei singoli condomini in condizioni di
parit.*Cass. civ., sez. lI, 23 luglio 1983, n. 5076, De Lorenzo e. Cond. V. Patern.
La soppressione (come la istituzione) del servizio di portierato, comportando il venir meno (od il sorgere) di un
vincolo di destinazione di una parte comune del condominio, configura un atto di straordinaria amministrazione.
Pertanto, tale innovazione deve essere deliberata dalla maggioranza qualifieata dei due terzi del valore del
condominio, a tutela degli eventuali pregiudizi sul patrimonio degli amministrati, connessi alla particolare
rilevanza del medesimo atto.
*Corte app. civ. Milano, sez. 1,20 giugno 1989, n. 1032, Ferrario e. Condominio Viale Tibaldi 3, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1990,284.
Lassemblea del condominio con la maggioranza prevista dallart. 1136 comma 5 e.e. pu deliberare la
modificazione (o anche la soppressione) del servizio di portierato, sempre che vengano osservati i principi in
materia di innovazioni posti dallart. 1120 e.e. e non ne derivino per taluno dei condomini vantaggi o svantaggi
diversi rispetto agli altri. Pertanto, nulla per violazione dellart. 1120 citato, la deliberazione assunta a
maggioranza che, conservando la proporzionalit di spesa sulla collettivit condominiale, attui in un condominio
costituito da pi edifici la "eentralizzazione" del servizio di portierato, in guisa da lasciare immutata la situazione
per i condomini delledificio presso il quale il servizio viene svolto, mentre i condomini degli altri edifici vengono a
trarre dal servizio una utilit minore.*Casa. civ., sez. Il, 29 aprile 1993, n. 5083, Cond. Via Tiziano (MI) e. Imm.re
Elsi sas.
Qualora un servizio condomrniale (nella specie: portierato) sia previsto nel regolamento di condomanio, la sua
soppressione comporta una modificazione del regolamento che deve essere approvata dallassemblea con la
maggioranza stabilita dallart. 1136, eomma 2, cc. (maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la
met del valore delledificio) richiamato dallart. 1138, comma 3.*Cass. civ., sez. Il, 29 marzo 1995, n. 3708,
Condominio di Via 5. Martino n. 2 in Genova e. Lombardo ed altri.
i) Svolgimento del servizio
Il servizio di portierato, come ogni altro di interesse comune, deve essere disciplinato a norma dellart. 1130, n. 2
cc. e pu ritenersi ben assicurato, sempre che sia diligentemente svolto, anche se sussista reciproca antipatia
ed insofferenza personale tra laddetto al servizio ed alcuno dei condomini, sempre che lincolumit personale
non si traduca, da parte del primo, in un persistente contegno incivile e scorretto o addirittura in manifestazioni
ingiuriose.
*Trib. civ. Firenze, 3 marzo 1962, in Giur. it. 1962, I, 2, 481.
Ove il servizio di portierato non venga svolto dal relativo incaricato in maniera conforme alle prescrizioni e con la
diligenza dovuta, il conduttore d un appartamento sito nelledificio, cui quel servizio si riferisce, pu eccepire, nei
confronti del proprietario locatore, la sua inadempienza in relazione a quel servizio e chiedere giudizialmente di
essere esonerato dal pagamento delle relative spese.*Cass. civ., sez. III, 2 luglio 1991, n. 7257, Ist. Naz.
Previdenza dei Giornalisti italiani "G. Amendola" e. Rossi e altri e Ricci e altri.
RECESSO DEL CONDUTTORE
SOMMARIO: a) Competenza; b) Deposito cauzionale; c) Estorsione; d) Gravi motivi; e) Successione nel
contratto; f) Termini e forma; g) Zone terremotate.
a) Competenza
Qualora, sulla domanda del conduttore di recesso da un contratto locativo ai sensi dellart. 27, ultimo comma
legge 27 luglio 1978 n. 392, il pretore abbia declinato la propria competenza per ragioni di valore con
provvedimento emesso anteriormente alla data del 30 aprile 1995 ed impugnato con regolamento di
competenza, la sopravvenienza, durante la sospensione del processo ex art. 48 c.p.c., dellart. 9 D.L. 18 ottobre
1995, modificativo dellart. 90, comma terzo legge 26 novembre 1990 n. 353, comporta che la causa debba
essere decisa dallo stesso pretore competente per materia per tutte le cause relative ai rapporti di locazione di
immobili urbani ex art. 8 comma secondo, n. 3 c.p.c., nella nuova formulazione, ancorch egli fosse
incompetente secondo la legge anteriore.
* Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1996, n. 1440, Grasso ed altro c. Imm. Casa V. Solferino 11 Srl.
b) Deposito cauzionale
La somma versata a titolo di deposito cauzionale - conservando la funzione di garanzia in ordine
alladempimento, da parte del conduttore, di tutte le obbligazioni sorgenti dal contratto, sino al momento della

risoluzione del rapporto - diventa esigibile solo da questo momento.* Trib. civ. Milano, sez. X, 8 febbraio 1990, n.
1018, Golia c. Vicini, in Arch. loc. e cond. 1991, 339.
e) Estorsione
Incorre nel reato di tentata estorsione il conduttore che - dopo aver dato disdetta del contratto di locazione richieda al locatore, approfittando della situazione economica difficile di questultimo, una "tangente" per
addivenire alleffettiva riconsegna dellimmobile.* Corte app. pen. Milano, sez. III, 5 maggio 1981, n. 2472, lmp.
Pingitore, in Arch. loc. e cond. 1981, 227.
d) Gravi motivi
Per "grave motivo" di cui allart. 4 della legge n. 392/1978 non si pu assolutamente ritenere una situazione che
trae la sua origine da una scelta o decisione del conduttore, dovendo invece trattarsi di circostanze necessitate
e causate, almeno a titolo di conoscenza, da fattori estranei alla libera determinazione dellinteressato.
* Trib. civ. Piacenza, 26 settembre 1985, Buono e altro c. Nossardi, in Arch. loc. e cond. 1985, 725.
Lantieconomicit della prosecuzione dellattivit produttiva del conduttore non realizza la condizione della
sussistenza dei gravi motivi che abilitano ex art. 27, ultimo comma, L. n. 392/78 il conduttore a recedere dal
contratto, dovendo invece tali motivi trovare la propria origine in fattori estranei alla volont del conduttore
medesimo nonch essere imprevedibili e sopravvenuti alla conclusione del contratto.* Trib. civ. Padova, 29
maggio 1986, Siderpali c. Capitelli, in Arch. loc. e cond. 1987, 358.
In tema di recesso del conduttore ex art. 27, ultimo comma della legge n. 392 del 1978, i "gravi motivi" di cui alla
norma non possono attenere esclusivamente alla sfera della soggettiva ed unilaterale valutazione del conduttore
medesimo circa la convenienza o meno di continuare a svolgere la propria attivit nellimmobile locato.
* Trib. civ. Genova, 23 marzo 1987, Srl Goal e altri c. Negrino, in Arch. loc. e cond. 1987, 524.
I gravi motivi in presenza dei quali gli artt. 4, secondo comma, e 27 ultimo comma, della L. n. 392 del 1978,
indipendentemente dalle previsioni contrattuali, consentono il recesso del conduttore dal contratto in qualsiasi
momento, devono collegarsi a fatti estranei alla volont del conduttore medesimo che, imprevedibili e
sopravvenuti alla costituzione del rapporto locativo, siano tali da rendere oltremodo gravosa per il conduttore la
persistenza del rapporto stesso. Pertanto non ricorrono detti estremi ove la domanda di recesso sia fondata sul
diniego dellautorizzazione amministrativa per esercitare nellimmobile locato lattivit convenuta (nella specie:
casa - albergo), ove gi al momento della stipulazione del contratto non sussistano i presupposti di fatto e di
diritto per conseguire detta autorizzazione (nella specie il diniego dellamministrazione dipendeva dalla
insussistenza di una specifica norma regionale relativa alle case - albergo).* Cass. civ., sez. III, 12 gennaio
1991, n. 260, S.p.a. PIEC c. Ponturo.
I "gravi motivi" di cui allultimo comma dellart. 27 della L. n. 392 del 1978, devono valutarsi contemperando i
contrapposti interessi delle parti, senza privilegiare una unilaterale violazione del conduttore, ma senza per
questo frustrare le sue legittime istanze di cogliere al meglio le opportunit lavorative o di altra natura che gli si
offrono o di limitare eventuali perdite economiche o subire altri diversi pregiudizi in considerazione della
perduranza del vincolo contrattuale.
* Trib. civ. Firenze, sez. I, 16 dicembre 1991, n.2281, Societ Metodi e Vendite c. Fondo pensioni per il
personale della B.N.L., in Arch. loc. e cond. 1992, 630.
I gravi motivi in presenza dei quali gli artt. 4 comma secondo e 27 ultimo comma della L. 27 luglio 1978, n. 392,
indipendentemente dalle previsioni contrattuali, consentono il recesso del conduttore dal contratto di locazione,
sono quelli che rendono oltremodo gravosa per questultimo la consistenza del rapporto e sopravvenuti alla
costituzione del rapporto. (Nella specie, la C.S. in base allenunciato principio ha confermato la decisione dei
giudici del merito che aveva riconosciuto la ricorrenza di siffatto recesso con riguardo alla mancata realizzazione
di un preannunciato piano di sviluppo edilizio della zona con effetti negativi sulle prospettive commerciali nelle
quali il conduttore aveva fatto affidamento nel momento della stipulazione del contratto di locazione
dellimmobile da destinare ad una farmacia).
* Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1992, n. 11466, Abbigliamento Merceria di Platti S.n.c. c. Pinazzi.
Il conduttore che per gravi motivi recede dal contratto di locazione di immobile destinato ad una delle attivit
indicate dagli artt. 27 e 42 della legge sullequo canone prima della scadenza del termine di durata, senza il
preavviso prescritto dallultimo comma del citato art. 27, tenuto al risarcimento dei danni che il locatore provi di
avere subito per lanticipata restituzione dellimmobile a meno che dimostri che limmobile stato egualmente
utilizzato dal locatore direttamente o indirettamente.
* Cass. civ., sez. III, 24 maggio 1993, n. 5827, Lapomarda c. Perchiazzi.
I "gravi motivi" di cui allultimo comma dellart. 27 L. 392/78 devono avere carattere oggettivo e devono collegarsi
a fatti estranei alla volont del conduttore, imprevedibili (sia pure non in astratto ma in senso concreto e relativo)
e sopravvenuti alla costituzione del rapporto locativo, che siano tali da rendere oltremodo gravosa per il
conduttore stesso la prosecuzione del rapporto locativo.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 9 settembre 1993, n. 8363, Soc. Cea c. Soc. Gaia, in Arch. loc. e cond. 1994, 121.
Sussistono i gravi motivi legittimanti il recesso del conduttore dal contratto di locazione ex art. 27, ultimo comma,
L. n. 392/78, in caso di insufficienza dei locali occupati in conseguenza di una oggettiva espansione dellattivit
commerciale.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 8 giugno 1992, n. 6695, Soc. Assiquattro c. Soc. Orsiplastica, in Arch. loc. e cond.
1994, 136.
I gravi motivi, posti dal conduttore a fondamento del suo recesso unilaterale dal contratto di locazione ex art. 27,
ultimo comma, L. n. 392 del 1978, non possono attenere alla soggettiva ed unilaterale valutazione, effettuata dal
conduttore stesso, circa la convenienza o meno di continuare ad occupare limmobile locato, dovendo invece
concretarsi in fattori oggettivamente imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto. (Nella specie, la
societ conduttrice esercit il recesso adducendo quale grave motivo linsufficienza dei locali oggetto del

contratto di locazione, determinata dalla progressiva espansione delle attivit economiche esercitate, ove,
peraltro, limmobile locato si era gi obiettivamente rivelato inadeguato alle esigenze del conduttore sin dallinizio
del rapporto locativo.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 25 febbraio 1993, n. 2380, Societ PAI c. Zolezzi, in Arch. loc. e cond. 1994, 365.
I gravi motivi in presenza dei quali lart. 4 secondo comma della L. 27 luglio 1978 n. 392, indipendentemente
dalla previsione contrattuale, consente il recesso del conduttore dal contratto di locazione in qualsiasi momento,
devono collegarsi a fatti estranei alla volont del conduttore medesimo che, imprevedibili e sopravvenuti alla
costituzione del rapporto locativo, rendono oltremodo gravoso per il conduttore la persistenza del rapporto
stesso.
* Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1994, n. 1098, Ina c. Pelosi.
I gravi motivi in presenza dei quali lart. 27, ultimo comma, della L. 27 luglio 1978, n. 392 consente il recesso del
conduttore dal contratto di locazione, sono da identificarsi in fatti estranei alla volont del conduttore,
imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto locatizio.* Pret. civ. Bologna, 4 novembre 1994, n.
1423, Tonelli c. Soc. Esse Enne, in Arch. loc. e cond. 1996. 101.
Nella valutazione della seriet del recesso esercitato dal conduttore ai sensi dellultimo comma dellart. 27 della
legge n. 392 del 1978 - a norma del quale, indipendentemente dalle previsioni contrattuali, il conduttore, quando
ricorrano gravi motivi, pu recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da
comunicarsi con lettera raccomandata -il giudice deve tenere conto della corrispondenza delle ragioni del
recesso a quelle enunciate dal conduttore nellatto di preavviso. quando questa corrispondenza sia contestata
dal locatore. In caso negativo, deve rigettare leccezione fondata sul fatto che il mancato pagamento dei canoni
della locazione sorretta da valido esercizio del potere di recesso.
* Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 1996, n. 954, Fama Jersey c. Tessitura Mirage.
Poich i "gravi motivi" che consentono al conduttore di un immobile, adibito ad uso commerciale, di recedere
anticipatamente dal rapporto di locazione (art. 27, ultimo comma, L. 27 luglio 1978 n. 392) devono essere
sopravvenuti alla stipula del relativo contratto ed imprevedibili a tale momento - e quindi la fattispecie non si
sovrappone a quella che consente la risoluzione per eccessiva onerosit sopravvenuta (art. 1467 c.c.), in cui
necessario altres che levento sopravvenuto sia eccezionale ed incida sulla sinallagmaticit delle prestazioni se i costi di produzione - in cui rientra il canone da pagare - dellimpresa esercitata dal conduttore sono divenuti
onerosi prevalentemente a causa dei mancati pagamenti da parte della clientela, il recesso ingiustificato, non
trattandosi di un rischio imprevedibile.
* Cass. civ., sez. III, 11 agosto 1997, n. 7460, Mantovani c. Droghetti, in Arch. loc. e cond. 1997, 994.
Lart. 27 comma ottavo legge 27 luglio 1978 n. 392 che consente al conduttore il recesso dal contratto
indipendentemente dalle previsioni contrattuali quando ricorrano gravi motivi, deve interpretarsi nel senso che
tanto la intenzione del conduttore di recedere dal contratto, quanto lindicazione dei motivi di recesso devono
essere comunicati al locatore con lettera raccomandata (o con altra modalit equipollente).* Cass. civ., sez. III,
14 maggio 1997, n. 4238, DAmario c. Di Cesare.
e) Successione nel contratto
infondata, in relazione agli artt. 2 e 3 della Costituzione, la questione di legittimit costituzionale dellart. 6,
primo comma, della L. 27 luglio 1978, n. 392, nella parte in cui non prevede la successione nel contratto dei
parenti e affini del conduttore, con lui abitualmente conviventi, anche nellipotesi di abbandono dellimmobile o di
recesso dal contratto da parte del titolare della locazione.* Corte cost., 18 maggio 1989, n. 252, Inpdai c. Sasso,
in Arch. loc. e cond. 1989, 239.
f) Termini e forma
Lart. 27, comma 7, della L. n. 392 del 1978 consente alle parti di pattuire che il conduttore possa recedere dal
contratto in qualsiasi momento con il solo obbligo del preavviso al locatore almeno sei mesi prima della data in
cui il recesso deve avere esecuzione, senza la contestuale indicazione delle ragioni giustificative della disdetta,
in quanto tale recesso non crea alcun effettivo nocumento al locatore stante la sufficienza del detto preavviso
per trovare un nuovo inquilino.
* Cass. civ.. sez. III, 8 agosto 1997, n. 7357, Mormino c. Usl n. 51 di Termini Imerese, in Arch. loc. e cond. 1997,
786.
Lart. 4 della legge n. 392/1978 - che prevede che il conduttore di un immobile ad uso abitativo possa recedere
in qualsiasi momento dal contratto di locazione, ricorrendo gravi motivi, con preavviso di almeno sei mesi -
inapplicabile ai contratti in regime transitorio.* Trib. civ. Piacenza, 26 settembre 1985. Buono e altro c. Nossardi,
in Arch. loc. e cond. 1985, 725.
inidoneo a provocare lanticipata risoluzione del contratto di locazione il preavviso comunicato al locatore, ove
il conduttore non adempia al doppio onere, stabilito dallart. 27 L. n. 392/1978, della specificazione della data
costituente il termine ultimo della locazione e dellindicazione espressa e chiara dei gravi motivi che giustificano
la risoluzione unilaterale anticipata.
* Trib. civ. Vicenza, sez. I, 26 febbraio 1990, n. 262, Fosser Snc c. Frigo, in Arch. loc. e cond. 1990, 300.
I termini e le forme prescritti dallart. 4 della legge 392/78 per il recesso dal contratto di locazione non
costituiscono condizioni di validit dellatto, bens condizioni perch il negozio unilaterale di recesso abbia effetto
nei confronti dellaltro contraente; non pu pertanto la parte recedente eccepire lirritualit o intempestivit della
propria disdetta per resistere alla pretesa della parte destinataria che, accettando il recesso, la faccia valere.
* Pret. civ. Legnano. 10 agosto 1982, n. 135, Di Crescenzo e altro c. Ottavi, in Arch. loc. e cond. 1982. 497.
Qualora il conduttore receda dal contratto di locazione prima della scadenza del termine di preavviso di mesi sei
di cui allart. 4 L. n. 392/78, lammissibilit della prova per testi, circa il presunto consenso del locatore a tale
recesso anticipato, implica una necessaria distinzione a seconda che trattisi di recesso negozialmente pattuito
(primo comma art. 4 L. n. 392/78), ovvero di recesso per gravi motivi disciplinato ex legge (secondo comma

stesso articolo): nel primo caso il presunto consenso assume il valore di un patto aggiunto o contrario al
contenuto di un documento, per cui la predetta prova per testi incontra i limiti di cui agli artt. 2722 e 2723 cod.
civ.; viceversa, nel secondo caso, esso costituisce una circostanza di fatto che pu essere liberamente oggetto
di prova testimoniale.* Pret. civ. Penne, 14 novembre 1985. Morricone c. De Falviis, in Arch. loc. e cond. 1986,
336.
Qualora il conduttore di un immobile, deducendo il proprio diritto alla risoluzione anticipata del rapporto, e dopo
aver intimato al locatore di riprenderne il possesso, chieda ed ottenga la nomina di un sequestratario, ai sensi
dellart. 1216 secondo comma cod. civ., il successivo accertamento dellinsussistenza dellindicato diritto
comporta che il conduttore medesimo tenuto sia al pagamento dei canoni fino alla scadenza del contratto, sia
alla assunzione delle spese della suddetta custodia. Pertanto, a fronte del comportamento del sequestratario,
consistente nella cessione del godimento del bene a terzi, ma con impiego del ricavato a copertura delle spese
di custodia, deve negarsi che il conduttore possa avanzare pretese risarcitorie, non essendo riscontrabile una
sua perdita patrimoniale.* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1986. n. 4162, Amm. Poste Tel. c. Soc. Imm. Miramar.
Nel caso che il conduttore non adempia allonere di comunicazione previsto dallart. 4 della legge dellequo
canone, spetta al locatore un risarcimento, ai sensi dellart. 1218 cod. civ., pari a sei mensilit.
* Trib. civ. Asti, sez. I, 22 agosto 1986, n. 181, Immobiliare Vialda Srl c. Cacioppo, in Arch. loc. e cond. 1987,
355.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, lart. 71 della L. n. 392 del 1978 - secondo cui
"le disposizioni degli artt. 27 e 42. primo comma, si applicano anche ai contratti in corso al momento dellentrata
in vigore della presente legge non soggetti a proroga legale" - richiama tutte le disposizioni dellart. 27, mentre la
ulteriore precisazione ("detraendosi, per la determinazione della durata...") concerne esclusivamente i criteri da
adottare per calcolare la durata della locazione. Pertanto, anche nel regime transitorio, trova applicazione il
disposto di cui allultimo comma dellart. 27, che prevede il recesso del conduttore dal contratto,
indipendentemente dai patti contrattuali, qualora ricorrano gravi motivi e con preavviso di almeno sei mesi da
comunicarsi con lettera raccomandata, non essendo configurabile un diritto del conduttore alla rinuncia,
immediatamente operativa, alla proroga legale oltre la scadenza convenzionale.* Cass. civ., sez. III, 14 giugno
1988, n. 4030. Mireck c. Cardinali.
In caso di insufficienza e inadeguatezza dellimmobile locato, determinate dalla progressiva espansione, durante
il rapporto locativo, delle attivit economiche del conduttore, sussistono i gravi motivi che, ai sensi dellart. 27,
ultimo comma, L. n. 392/1978, giustificano il recesso dal contratto del conduttore di un immobile ad uso non
abitativo. Tali motivi devono rivestire carattere oggettivo, al fine di non far dipendere losservanza del contratto di
locazione da un esclusivo e soggettivo giudizio di convenienza del conduttore insindacabile dalla controparte e
come tale arbitrario.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 22 settembre 1988, n. 8128, Ferdomia Spa c. Coprim, in Arch. loc. e cond. 1989, 738.
Il debitore non pu essere considerato in mora, con le conseguenze del caso ed in ispecie a titolo di
risarcimento, ove abbia offerto la prestazione dovuta in modo tempestivo e serio e permettendo comunque al
creditore di disporre, ove volesse, delloggetto integrale della prestazione dovuta; tuttavia, in tema di locazione di
immobili, il legittimo rifiuto del locatore di ricevere le chiavi dellimmobile locato quale segno della riconsegna. in
conseguenza del mancato rispetto da parte del conduttore del termine di preavviso previsto dallart. 27 L. n.
392/1978 e in assenza degli eventuali gravi motivi per il rilascio anticipato dellimmobile, determina in capo al
conduttore la persistenza degli obblighi di custodia con tutte le conseguenze di legge, e principalmente
dellobbligo del risarcimento dei danni verificatisi a causa di una omessa o incompleta custodia del locale da
parte sua.* Pret. civ. Pordenone, 10 novembre 1988, n. 300, Brusutti c. SAM Srl, in Arch. loc. e cond. 1989, 381.
Qualora il conduttore si sia allontanato dallimmobile locato prima della scadenza del contratto, manifestando
implicitamente lintenzione di rilasciarlo e non semplicemente di non usarlo, ben pu ritenersi estinto il rapporto
per recesso.
* Pret. civ. Firenze, 28 ottobre 1988, Gilio c. Coop. Florentia Srl, in Arch. loc. e cond. 1989, 127.
Qualora il conduttore receda dal contratto di locazione avente ad oggetto immobili ad uso abitativo, lesercitata
facolt di recesso diviene produttiva di effetti giuridici - con la cessazione del rapporto locatizio inter partes - alla
scadenza del termine semestrale di preavviso ex art. 4 L. 392/1978; ne consegue che il conduttore,
indipendentemente dal momento (anteriore alla scadenza di detto termine) di materiale rilascio
dellappartamento, rimane obbligato alla corresponsione dei canoni sino alla cessazione de jure del contratto e
cio per sei mesi, a decorrere dalla data del preavviso stesso.
* Pret. civ. Brindisi, 14 ottobre 1988. Giurgola c. Verrastro. in Arch. loc. e cond. 1989, 783.
Il termine di sei mesi di preavviso previsto dallart. 4 della L. n. 392/1978, pu essere ridotto se il conduttore lo
richiede e se ci viene accettato dal locatore; costituisce accettazione tacita della richiesta di abbreviazione di
detto termine, laver stipulato con altro conduttore contratto di locazione con decorrenza dalla data del
preventivato rilascio comunicato dal conduttore.
*Pret. civ. Pordenone, 28 marzo 1988, n. 70, Sonego c. Piscopo, in Arch. loc. e cond. 1989, 161.
g) Zone terremotate
In tema di provvidenze in favore delle popolazioni colpite dal terremoto del novembre del 1980, lart. 4 ter del dl.
n. 776 del 1980 - secondo cui il conduttore di immobili dichiarati inagibili, per i quali occorrono opere urgenti di
riattazione, ha diritto a conservare il rapporto locativo anche se costretto ad allontanarsi temporaneamente
dallalloggio - oltre a costituire una deroga al motivo di recesso previsto dallart. 59, n. 3 della L. n. 392 del 1978,
comporta una mera sospensione del diritto di godimento del conduttore (per il tempo in cui costretto ad
allontanarsi dallimmobile) e la riviviscenza dello stesso diritto originario (e non la nascita di un diritto nuovo se
pure di contenuto identico) al venir meno dellimpedimento, sicch il periodo di sospensione non determina
alcun mutamento della durata del rapporto.* Cass. civ., sez. III, 22 giugno 1987, n. 5477, Trapanese c. Scotto

Lachian.
RECESSO DEL LOCATORE E RIPRISTINO DEL RAPPORTO
Nel caso di mancata destinazione dell'immobile all'uso richiesto, il locatore. per non incorrere nelle sanzioni
(civili ed amministrative) previste dall'art. 60 della legge n. 392/78, deve fornire, cos come dispone l'art. 1218
cod. civ., la prova dell'esimente per fatti sopravvenuti che abbiano reso impossibile il comportamento a cui era
tenuto.
* Trib. civ. Trani, 5 dicembre 1986, n. 1045, Russo c. Totagiancaspro, in Arch. loc. e cond. 1987, 118.
Ove il locatore, rientrato nella disponibilit dell'immobile a seguito di esercizio del diritto di recesso, non lo
adibisca all'uso per il quale aveva agito adducendo motivi di forza maggiore (nella specie: timore degli effetti del
bradisismo), affinch il proprietario sia esonerato dagli effetti risarcitori previsti dall'art. 60 della legge n. 392/78
occorre che essi motivi siano stati rigorosamente dimostrati.* Trib. civ. Napoli, sez. VIII, 17 dicembre 1986,
Zoccolillo c. Adamo, in Arch. loc. e cond. 1987, 352.
In tema di ripristino del contratto di locazione per non avere il locatore dato all'immobile - ottenuto in esito al
positivo esercizio dell'azione di recesso per necessit - la destinazione abitativa prospettata a sostegno della
domanda di rilascio. ancorch non sia necessaria, per attuare una tale destinazione, la ininterrotta presenza del
locatore (o del congiunto per la necessit del quale quello abbia agito) nell'alloggio, non facendo il temporaneo
allontanamento venir meno l'occupazione, tuttavia necessario che l'alloggio stesso costituisca la casa di
normale abitazione, avendo il recesso per necessit abitativa come presupposto proprio il bisogno di
un'abitazione primaria, dove vivere abitualmente.* Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 1987, n. 374, Todisco c. Leoni.
Ancorch l'art. 31 della L. n. 392 del 1978 commini la sanzione del ripristino del rapporto per l'ipotesi in cui il
locatore, trascorsi sei mesi dal momento in cui abbia conseguito la disponibilit dell'immobile, non lo abbia
adibito ad esercizio "in proprio" di una delle attivit previste dall'art. 27 per cui aveva chiesto il recesso, tale
sanzione tuttavia - in relazione alla ratio dell'istituto ed al parallelismo con la corrispondente normativa dettata
dall' art. 60 per le locazioni abitative - trova applicazione anche nel caso in cui il locatore non abbia destinato alla
dedotta attivit l'immobile del quale abbia ottenuto il rilascio per necessit dei parenti indicati nella lettera b)
dell'art. 29.* Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 1987, n. 723, Ricciardelli c. Schettino.
Il maggiore risarcimento rispetto alla misura minima di dodici mensilit del canone, da corrispondersi al
conduttore ex art. 60 L. n. 392/1978, presuppone che il conduttore ingiustamente sfrattato dimostri il maggiore
pregiudizio economico effettivamente sofferto.
* Trib. civ. Napoli, sez. VIII, 24 febbraio 1987, n. 1755, Zoccolillo c. Adamo, in Arch. loc. e cond. 1987, 343.
Il locatore che, in seguito a recesso ex art. 59 L. n. 392/1978, sia rientrato nella piena disponibilit dell'immobile,
tenuto a destinare il medesimo all'uso dedotto, a nulla valendo, in caso di omessa destinazione, il riferimento a
ragioni di forza maggiore ove queste non vengano rigorosamente dimostrate.* Trib. civ. Napoli, sez. VIII, 24
febbraio 1987, n. 1755, Zoccolillo c. Adamo, in Arch. loc. e cond. 1987,343.
La domanda proposta dal conduttore ai sensi degli artt. 31 e 60 della legge dell'equo canone non rientra
necessariamente nella competenza per materia del pretore, bens va attribuita secondo le ordinarie regole di
competenza per valore. (Nella fattispecie. essendo la causa di valore indeterminato, non essendo precisato
l'ammontare del risarcimento richiesto, si determina la competenza del tribunale).* Trib. civ. Genova, 4 marzo
1987, Bolla c. Potenti, in Arch. loc. e cond. 1987. 527.
Non sono applicabili le sanzioni previste dall'art. 60 della legge n. 392/78 (alternativamente ripristino del rapporto
locatizio ovvero risarcimento del danno) nel caso in cui il locatore, pur avendo preso tempestivamente possesso
dell'appartamento rilasciato ed essendosi attivato per sistemarlo ed arredarlo, non sia tuttavia riuscito, per
ragioni economiche e di impegno lavorativo, ad occuparlo materialmente entro la scadenza del semestre
contemplata dalla legge.
* Trib. civ. Genova, 4 marzo 1987, Bolla c. Potenti, in Arch. loc. e cond. 1987, 527.
Qualora il locatore richieda, ai sensi dell'art. 59, n. 1 della L. n. 392 del 1978, il rilascio dell'immobile locato ad
uso abitativo per adibirlo all'esercizio della propria attivit (nella specie: professionale) non assume rilievo la
circostanza che per il mutamento di destinazione sia necessaria la preventiva autorizzazione dell'autorit
amministrativa, versandosi in rapporti soggetti al regime privatistico, nei quali rileva la sola possibilit giuridica di
disporre del bene per l'esercizio dell'attivit, prescindendo dal regime pubblicistico sulla trasformabilit di
destinazione degli immobili; ove peraltro i competenti organi del comune rifiutino l'autorizzazione e, quindi, il
locatore non adibisca l'immobile all'uso per cui ha ottenuto il rilascio, soccorre espressamente lo specifico
rimedio del ripristino del rapporto e del risarcimento dei danni subiti dal conduttore, ai sensi dell'art. 60 della
citata legge.* Cass. civ., sez. III, 22 giugno 1987, n. 5483, Dell' Acqua c. Raimondi.
Il fatto della mancata destinazione dell'immobile ad abitazione del figlio del locatore non pu dar luogo
all'inefficacia del provvedimento di rilascio ed ai corrispondenti diritti del conduttore al ripristino del contratto
risolto con sentenza od al risarcimento dei danni allorch, essendo essa stata determinata non da un
comportamento doloso o colposo del locatore, ma dalla morte del destinatario dell'appartamento avvenuta
successivamente alla pronuncia della sentenza, persista altres la necessit dei componenti della famiglia del
defunto di godere dell'immobile rilasciato nella qualit di compartecipi del diritto spettante al loro congiunto
ovvero quali successori del medesimo e con lui conviventi.
* Pret. civ. Frattamaggiore, 13 novembre 1987. n. 132, Diana c. Costanzo, in Arch. loc. e cond. 1988, 176.
Il locatore che, ottenuto coattivamente il rilascio dell'immobile ai fini di ristrutturazione ex art. 59, n. 4 della legge
n. 392 del 1978, abbia consentito al conduttore di lasciarvi dei mobili di sua propriet, che lo stesso non abbia
provveduto a rimuovere nonostante specifici solleciti al riguardo, non soggetto alla disposizione sanzionatoria
prevista dall'art. 60 della citata legge ove non abbia iniziato i lavori nel termine di sei mesi, trattandosi di ritardo a
lui non imputabile, per non essere tenuto a sistemare altrove detti mobili.* Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 1988,
n. 1941, Maugeri c. Casa Rip. Imper.

Il diritto all'indennizzo e al risarcimento del danno previsti dall'art. 60 L. n. 392/1978 matura a favore del
conduttore solo con il decorso del termine di sei mesi dalla data di rilascio dell'immobile, qualora il locatore non
lo abbia adibito all'uso dedotto in giudizio per ottenere il provvedimento di rilascio anticipato; di conseguenza,
nulla, per violazione dell'art. 79, L. n. 392/1978, la transazione avente per oggetto la rinuncia ai diritti riconosciuti
al conduttore ex art. 60, legge citata, che intervenga tra le parti quando il conduttore non abbia ancora rilasciato
l'immobile e non pu quindi disporre di un diritto di cui non ancora titolare.
* Trib. civ. Brescia, 15 ottobre 1988, n. 1783, Dorosini c. Bettoni e Bellini, in Arch. loc. e cond. 1989, 97.
Qualora il locatore instauri un procedimento per il rilascio dell'immobile basando la domanda iniziale sul recesso
per necessit ma al momento della pronuncia del giudice investito del giudizio sia trascorso l'intero ulteriore
periodo di quattro anni previsto dall'art. 58, L. 392/1978, evidente che la scadenza della locazione ha sostituito
il recesso rendendolo impraticabile e da ci consegue che non essendovi stato per il conduttore un ingiusto
sacrificio per il mancato godimento dell'immobile fino alla sua naturale scadenza. viene meno per lui anche il
diritto al risarcimento previsto ex art. 60, L. 392/1978.
* Pret. civ. Roma, 30 giugno 1989, Pelliccia c. Palumbo, in Arch. loc. e cond. 1989, 769.
Non applicabile la norma di cui all'art. 60 L. n. 392/1978, nel caso in cui le parti abbiano di comune accordo
posto fine al contratto e il rilascio dell'immobile sia solo formalmente avvenuto per effetto del procedimento di
recesso.
* Corte app. civ. Roma, sez. IV, 21 febbraio 1990, n. 588. Bonvicini c. Cordilupi, in Arch. loc. e cond 1990, 517.
Perch il conduttore possa esercitare le azioni per il ripristino del contratto o per il risarcimento del danno,
previste dagli artt. 31 e 60 della L. 27 luglio 1978, n. 392, non sufficiente che il locatore abbia avuto la
disponibilit giuridica dell'immobile ma necessario che ne abbia avuto la disponibilit materiale per effetto
dell'avvenuta riconsegna e che da questa sia decorso il termine di sei mesi entro il quale avrebbe dovuto adibire
l'immobile all'uso per il quale aveva agito in giudizio; pertanto, in ipotesi di locazione di immobile urbano adibito
ad uso diverso da quello di abitazione, il locatore il quale, a seguito di azione di recesso, abbia ottenuto una
sentenza dichiarativa della cessazione del contratto di locazione, non passibile delle sanzioni di cui all'art. 31
sopra citato, qualora, prima di avere ottenuto la riconsegna dell'immobile stipuli con il conduttore - il quale sia
rimasto nella detenzione dell'immobile - un nuovo contratto di locazione, che non pu ritenersi affetto da nullit
rientrando la sua stipulazione nella facolt delle parti ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 67 della legge cit..
* Cass. civ., sez. III, 19 luglio 1990, n. 7395, Stancati c. Pierri, in Arch. loc. e cond. 1990, 707.
L 'azione del conduttore diretta al ripristino del rapporto di locazione ed al risarcimento del danno, sia ai sensi
dell'art. 8 della L. 23 maggio 1950 n. 253, integrato dall'art. 2 quinquies della L. 12agosto 1974 n. 351, sia ai
sensi dell'art. 60 della L. 27 luglio 1978 n. 392, va promossa nei confronti del locatore, ancorch non proprietario
dell'immobile locato, e non anche nei confronti del proprietario che sia rimasto estraneo al rapporto locatizio,
avendo la responsabilit risarcitoria del locatore natura contrattuale per la violazione dell'obbligazione nascente
dal rapporto di mantenere il conduttore nel godimento dell'immobile locato.
* Cass. civ., sez. III, 17 agosto 1990, n. 8383, Alfarano c. Capasso.
Le sanzioni del ripristino del contratto e del risarcimento del danno in favore del conduttore. comminate dall'art.
60 della L. 27 luglio 1978 n. 392 a carico del locatore che, dopo aver ottenuto il provvedimento di rilascio
dell'immobile per necessit propria, non lo abbia adibito, nel termine di sei mesi, all'uso in relazione al quale
aveva agito, sono inapplicabili allorch risulti che la mancata o tardiva destinazione sia in concreto giustificata
da esigenze meritevoli di tutela e non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore, come nel
caso che quest'ultimo, ottenuto il rilascio dell'immobile per necessit, abbia iniziato i relativi lavori di adattamento
prima della scadenza dei sei mesi, sempre che, terminati i lavori, adibisca l'immobile all'uso per il quale aveva
agito. Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1990, n. 9904, Villari c. Giovagnoli.
L'art. 60 della L. 27 luglio 1978, n. 392, in tema di ripristino del rapporto di locazione ad uso abitativo e
risarcimento del danno nel caso di recesso del locatore, nella sua correlazione con la corrispondente norma di
cui al precedente art. 31, deve essere interpretato nel senso che la sanzione del ripristino (o la pretesa
risarcitoria) non connessa ad un criterio di responsabilit oggettiva o secondo una presunzione assoluta di
colpa, per il solo fatto che la cosa locata non sia stata utilizzata entro sei mesi dall'acquisizione della sua
disponibilit, ma si verifica nel caso in cui il locatore, cui compete l'onere di superare la presunzione iuris tantum
di responsabilit, non dimostri l'esistenza del caso fortuito o della forza maggiore o di giuste cause, cio di
ragioni meritevoli di tutela che hanno impedito detto utilizzo.* Cass. civ., sez. III, 14 marzo 1991, n. 2684.
Vianello O. c. Occioni e Comune Venezia.
Le sanzioni (ripristino del contratto e obbligo di risarcimento del danno) che l'art. 60 comma secondo della legge
sull'equo canone pone a carico del locatore che non abbia tempestivamente adibito l'immobile all'uso per il quale
ne ha ottenuto la disponibilit in forza di un provvedimento di rilascio, configurano una forma di responsabilit
per inadempimento che si inquadra nella generale disciplina degli artt. 1176 e 1218 c.c. con la conseguenza che
non sono applicabili ove la mancata destinazione dell'immobile sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni e
situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore. Pertanto, la
predetta responsabilit va esclusa nel caso in cui la mancata utilizzazione dell'immobile per l'uso in relazione al
quale ne stato ottenuto il rilascio sia dipesa dall'aggravamento delle condizioni di salute del locatore, purch
l'aggravamento sia successivo al provvedimento di rilascio. (Nella specie le condizioni di salute non
permettevano alla locatrice di compiere lo sforzo che era necessario per percorrere le scale di accesso
all'appartamento del quale aveva ottenuto il rilascio per proprio uso abitativo).* Cass. civ., sez. III, 4aprile 1991,
n. 3497, Morelli c. Galati.
In tema di locazione di immobili urbani ad uso abitativo, il ripristino sanzionatorio del contratto di locazione previsto dall'art. 60 della L. n. 392 del 1978, alternativamente con il risarcimento del danno per il caso in cui il
locatore non abbia adibito l'immobile all'uso per il quale ne aveva ottenuto in sede di recesso la disponibilit -

importa che il rapporto prosegua solo fino all'originaria scadenza, restando escluso che quest'ultima possa
essere prorogata per un periodo uguale alla durata del mancato godimento dell'immobile da parte del
conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 5 giugno 1991, n. 6346, Berardi D. c. Mazzacane V.
L'art. 60 della L. n. 392 del 1978 nello stabilire che il giudice, con la sentenza che dispone a carico del locatore,
che ottenuto il rilascio dell'immobile non lo abbia destinato all'uso per cui stato richiesto, il ripristino del
rapporto di locazione (ovvero il risarcimento del danno), ordina al locatore stesso il pagamento di una somma da
devolvere al comune nel cui territorio sito l'immobile, prevede una ulteriore sanzione ma non attribuisce un
autonomo diritto al comune, il cui interesse al pagamento della somma legittima, pertanto, solo un intervento
adesivo dipendente nel giudizio promosso dal conduttore per il ripristino del rapporto di locazione (od il
risarcimento), senza conferire, conseguentemente il potere di impugnare la sentenza alla quale il conduttore
abbia prestato acquiescenza.* Cass. civ., sez. III, 18luglio 1991, n. 7979, Comune di Torino c. Rollino.
Il diritto del conduttore al risarcimento dei danni nei confronti del locatore che non abbia tempestivamente
destinato l'immobile per l'uso in relazione al quale ne aveva ottenuto coattivamente il rilascio, ancorch richieda
l'imputabilit a titolo di dolo o colpa del comportamento del locatore, non presuppone la prova in concreto del
danno perch questo, come evidente dalla letterale interpretazione dell 'art. 60 della legge sull'equo canone,
caratterizzato anche da una funzione sanzionatoria, deve essere comunque liquidato in misura non inferiore a
dodici mensilit del canone.
* Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 1991, n. 10527, Catena C. ed altri c. Fanelli M.
Nel caso di azione promossa dal conduttore ex art. 60, L. n. 392 del 1978 per conseguire il ripristino del rapporto
locatizio ed il risarcimento dei danni nei confronti del locatore, che, dopo aver ottenuto il rilascio dell'immobile
per necessit, non abbia adibito il bene (entro sei mesi dalla riacquistata disponibilit) all'uso per il quale aveva
agito, il comune legittimato a spiegare intervento adesivo dipendente, avendo interesse alla riscossione della
somma destinata al Fondo sociale, di cui al titolo terzo della legge citata, al cui pagamento il locatore dev'essere
condannato in caso di accoglimento delle domande del conduttore. Per contro tale interesse del comune, ove
sito l'immobile, non legittima l'ente territoriale ad impugnare autonomamente la sentenza, alla quale la parte
principale abbia fatto acquiescenza, non assurgendo a diritto soggettivo atteso che con la norma richiamata non
si inteso privilegiare la posizione soggettiva del comune alla riscossione della detta somma ma accentuare il
carattere sanzionatorio del provvedimento da pronunciarsi nei confronti del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 1991, n. 13569. Comune di Torino e. Orsi.
La disposizione del secondo comma dell'art. 60, L. 27 luglio 1978, n. 392, a nonna del quale il conduttore di
immobile urbano per uso abitativo in regime transitorio, che abbia rilasciato l'immobile in conseguenza di
recesso del locatore, ha diritto al ripristino del contratto di locazione ed al risarcimento del danno se il locatore
non abbia adibito l'immobile all'uso per il quale ha chiesto il rilascio entro sei mesi dalla data in cui ne ha
riacquistato la disponibilit, applicabile, come l'analoga disposizione dell'art. 8, L. 23 maggio 1950, n. 253,
precedentemente vigente per i contratti soggetti al regime vincolistico, solo nei casi di rilascio seguito a
provvedimento giudiziale, considerati dal primo comma della medesima norma, alla quale il secondo comma si
lega strettamente, e non anche nei casi in cui il rilascio sia dovuto ad un atto negoziale, come la transazione o la
conciliazione giudiziale.
* Cass. civ., sez. III, 18 gennaio 1993, n. 585. Buti c. Landi.
L'art. 60 della L. n. 392 del 1978 nello stabilire che il giudice, con la sentenza che dispone a carico del locatore,
che ottenuto il rilascio dell'immobile non lo abbia destinato all'uso per cui stato richiesto, il ripristino del
rapporto di locazione (ovvero il risarcimento del danno), ordina al locatore stesso il pagamento di una somma da
devolvere al comune nel cui territorio sito l'immobile, prevede una ulteriore sanzione ma non attribuisce un
autonomo diritto al comune, il cui interesse al pagamento della somma legittima, pertanto, solo un intervento
adesivo dipendente nel giudizio promosso dal conduttore per il ripristino del rapporto di locazione (od il
risarcimento), senza conferire, conseguentemente il potere di impugnare la sentenza alla quale il conduttore
abbia prestato acquiescenza.* Cass. civ., sez. III, 5 febbraio 1993. n. 1465, Comune di Torino c. Malanca.
Le sanzioni del ripristino del contratto e del risarcimento del danno in favore del conduttore che l'art. 60 della L.
27 luglio 1978 n. 392 pone a carico del locatore che non abbia tempestivamente adibito l'immobile all'uso per il
quale ne ha ottenuto la disponibilit in forza di un provvedimento di rilascio configurano una forma di
responsabilit per inadempimento che si inquadra nella generale disciplina degli artt. 1176 e 1218 c.c., con la
conseguenza che esse non sono applicabili ove la mancata destinazione dell'immobile sia in concreto
giustificata da esigenze, ragioni e situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili ad un comportamento doloso
o colposo del locatore, tra le quali rientrano i motivi di salute del locatore o dei suoi familiari, se l'immobile era a
loro destinato, e le esigenze di ultimare i lavori di ristrutturazione o manutenzione dell'immobile. L'accertamento
della causa di giustificazione della mancata destinazione dell'immobile all'uso per il quale stato rilasciato, che il
locatore, sul quale grava il relativo onere, pu anche provare con presunzioni semplici, purch fondate su fatti
gravi, precisi e concordanti (art. 2728 c.c.), costituisce giudizio di merito insindacabile in cassazione se privo di
errori logici e giuridici.
* Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 1993, n. 2282, Giordano c. Della Verit.
Passato in giudicato, il provvedimento che ordina al conduttore il rilascio dell immobile locato non perde efficacia
esecutiva per essere successivamente venuta meno a seguito della morte del locatore la situazione di fatto
dedotta in giudizio (nella specie, necessit abitativa del locatore), sulla quale era fondato il recesso, subentrando
nel diritto al rilascio gli eredi, legittimati ad agire in executivis.* Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1994, n. 1795,
Capozzi c. Di Somma.
In tema di locazione di immobili urbani ad uso abitativo, il ripristino sanzionatorio del contratto di locazione,
previsto dall'art. 60 della L. 27 luglio 1978 n. 392, alternativamente con il risarcimento del danno, per il caso in

cui il locatore non abbia adibito l'immobile all'uso per il quale ne aveva ottenuto la disponibilit in sede di
recesso, importa che il rapporto prosegua fino alla originaria scadenza, restando escluso che tale scadenza
possa essere prorogata per un periodo uguale alla durata del mancato godimento dell'immobile da parte del
conduttore, che, dopo la scadenza del termine di durata del contratto locativo, non ha pi diritto al ripristino del
rapporto ma solo al risarcimento del danno.* Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1994, n. 1796, Sozzo c. Cicco.
Il locatore che non sia proprietario non assoggettabile al risarcimento del danno previsto dall'art. 60 della L. n.
392/78 nel caso in cui l'alienazione dell'immobile locato, avvenuta in contrasto con le finalit per le quali era
stato disposto il rilascio, sia dovuta a fatto del terzo. (Fattispecie in cui l'alienazione sia stata disposta dal
proprietario dell'immobile locato).
* Trib. civ. Napoli, sez. VI, 15marzo 1994, n. 2631, Casilli c. Maglione De Luca, in Arch. loc. e cond. 1994, 596.
L'art. 60 della L. n. 392 del 1978 (come l'art. 31 della stessa legge) nello stabilire che il giudice, con la sentenza
che dispone a carico del locatore, che ottenuto il rilascio dell'immobile non lo abbia destinato all'uso per cui
stato richiesto, il ripristino del rapporto di locazione (ovvero il risarcimento del danno), ordina al locatore stesso il
pagamento di una somma da devolvere al comune nel cui territorio sito l'immobile, prevede una ulteriore
sanzione ma non attribuisce un autonomo diritto al comune, il cui interesse al pagamento della somma legittima,
pertanto, solo un intervento adesivo dipendente nel giudizio promosso dal conduttore per il ripristino del rapporto
di locazione (o il risarcimento), senza conferire, conseguentemente, il potere di impugnare la sentenza alla quale
il conduttore abbia prestato acquiescenza.
* Cass. civ., sez. III, 14 luglio 1994, n. 6600, De Simone c. Sante di Cola Maria.
Presupposto logico-giuridico per l'operativit delle disposizioni dell'art. 60 della L. 27 luglio 1978 n. 392 - il quale
prevede, per il caso in cui il locatore nel termine di sei mesi da quando ha riacquistato la disponibilit
dell'immobile non lo adibisca all'uso per il quale aveva agito, il diritto del conduttore al ripristino del rapporto o al
risarcimento del danno, oltre il rimborso e ad equo indennizzo per le spese di trasloco - che il conduttore di
immobile adibito ad uso di abitazione abbia subito, per effetto dell'ingiustificato esercizio dell'azione di recesso
da parte del locatore, la perdita della disponibilit dell'immobile prima della cessazione del periodo transitorio di
proroga legale della locazione. Ne consegue che non invocabile l'adozione dei suddetti provvedimenti
restitutori e risarcitori nel caso in cui il conduttore abbia goduto, senza interruzione, dell'intero periodo di durata
legale della locazione.* Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 1994, n. 10418, De Sanctis c. Sustrico.
La sentenza di condanna al risarcimento del danno pronunciata, ai sensi dell'art. 60 legge 27 luglio 1978 n. 392,
in favore del conduttore, nei confronti del locatore che, avendo ottenuto sentenza di rilascio per uno dei motivi
indicati dai nn. 1 e 2 dell'art. 59 della legge 27 luglio 1978 n. 392, non abbia adibito l'immobile all'uso per il quale
aveva agito, non fa venir meno la precedente sentenza di rilascio, che , invece, caducata senza necessit di
espressa statuizione, nel caso in cui il conduttore abbia preferito agire per il ripristino del rapporto locativo.*
Cass. civ., sez. III, 1 febbraio 1995, n. 1132, Romano c. Pleritano.
La disposizione del secondo comma dell'art. 60 legge n. 392/78, a norma del quale il conduttore di immobile
urbano per uso abitativo in regime transitorio che abbia rilasciato l'immobile in conseguenza di recesso del
locatore ha diritto al ripristino del contratto di locazione ed al risarcimento del danno se il locatore non abbia
adibito l'immobile all'uso per il quale ha chiesto il rilascio entro sei mesi dalla data in cui ne ha riacquistato la
disponibilit, applicabile, come l'analoga disposizione dell'art. 8 legge n. 253/50, precedentemente vigente per
i contratti soggetti al regime vincolistico, solo nei casi di rilascio seguito al provvedimento giudiziale, considerati
dal primo comma della medesima norma alla quale il secondo comma si lega strettamente e non anche nei casi
in cui il rilascio sia dovuto ad un atto negoziale, come la transazione o la conciliazione giudiziale.
* Cass. civ., sez. III, 8 giugno 1995, n. 6473, Perillo c. Leucci.
Le sanzioni del ripristino del contratto locativo e del risarcimento del danno a favore del conduttore che l'art. 60
legge n. 392/78 pone a carico del locatore che non abbia tempestivamente adibito l'immobile all'uso per il quale
ne aveva ottenuto la disponibilit in forza di un provvedimento di rilascio, non sono applicabili ove la mancata
destinazione dell'immobile sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni e situazioni meritevoli di tutela, non
riconducibili ad un comportamento doloso o colposo del locatore. (Nella specie, la sentenza impugnata,
confermata dalla S.C., ha ritenuto che il conduttore, avendo successivamente occupato un appartamento di sua
propriet. aveva dimostrato di non avere ulteriore interesse ad occupare l'immobile gi condotto in locazione,
onde il locatore doveva ritenersi svincolato dall'osservanza della norma richiamata).
* Cass. civ., sez. III, 8 giugno 1995, n. 6473, Perillo c. Leucci.
Perch possa operarsi il ripristino sanzionatorio del contratto di locazione, che ovviamente pu proseguire solo
fino alla naturale scadenza del contratto. occorre che il contratto non sia nel frattempo per altre ragioni venuto a
scadenza, dato che in tal caso apparirebbe del tutto problematico reimmettere il conduttore escomiato nella
titolarit di un diritto non pi esistente.
* Trib. civ. Brescia, 20 giugno 1995, Arena e. Di Toro ed altro, in Arch. loc. e cond. 1996, 957.
Nel caso in cui il locatore, conseguita la disponibilit dell'immobile in virt di sentenza di recesso, non lo adibisca
all'uso dichiarato, escluso il ripristino del contratto di locazione, previsto dall'art. 60 della L. 27 luglio 1978 n.
392, se il rilascio sia avvenuto dopo la scadenza del periodo transitorio di proroga legale. Tuttavia dovuto al
conduttore il risarcimento del danno, considerato che egli costretto, in sede di esecuzione forzata, a rilasciare
l'immobile in termini pi celeri di quelli, notoriamente lunghissimi, che caratterizzano l'esecuzione degli sfratti per
generica finita locazione.
* Trib. civ. Napoli, sez. IV, 10 maggio 1996
IL REGOLAMENTO CONDOMINIALE
SOMMARIO: a) A cura del costruttore; b) Ambasciata; c) Azione di nullit; d) Battitura tappeti; e) Clausola
compromissoria; f) Clausola penale; g) Condominio di due partecipanti; h) Conduttore; i) Contrattuale; l) Da
predisporsi in futuro; m) Disciplina dei diritti reali sulle cose comuni; n) Distinte unit immobiliari; o) Efficacia; p)

Interpretazione; q) Leasing; r) Limitazioni all'uso delle cose comuni; s) Modificazioni; t) Norme del R.D. 15
gennaio 1934, n. 56; u) Norme relative alle innovazioni; v) Obblighi di non fare; w) Opponibilit al terzo
acquirente; x) Trascrizione nel registro; y) Violazione (sanzioni).
a) A cura del costruttore
In tema di condominio di edifici, l'obbligo genericamente assunto nei contratti di vendita delle singole unit
immobiliari di rispettare il regolamento di condominio che contestualmente si incarica il costruttore di
predisporre, come non vale a conferire a quest'ultimo il potere di redigere un qualsiasi regolamento, cos non
pu valere come approvazione di un regolamento allo stato inesistente, in quanto solo il concreto richiamo nei
singoli atti di acquisto ad un determinato regolamento gi esistente che consente di ritenere quest'ultimo come
facente parte per relationem di ogni singolo atto. * Cass. civ., sez. II, 16 giugno 1992, n. 7359.
b) Ambasciata
Nel prendere in locazione un immobile sito in Italia, anche se per adibirlo a sede della propria ambasciata, lo
Stato straniero agisce iure privatorum ed quindi obbligato anche a rispettare gli obblighi derivanti dalla
soggezione al regolamento del condominio presso il quale esso abbia preso in locazione l'appartamento.
* Trib. civ. Milano, 30 gennaio 1992, n. 1076.
c) Azione di nullit
Il regolamento di condominio, quali ne siano l'origine ed il procedimento di formazione (accettazione da parte dei
singoli acquirenti delle unit immobiliari condominiali del regolamento predisposto dall'originario unico
proprietario dell'intero edificio; deliberazione dell'assemblea dei condomini votata con la maggioranza di cui
all'art. 1136, comma secondo, c.c.) si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di
statuto convenzionale dal condominio, che ne disciplina la vita e l'attivit come ente di gestione (ferma
l'inderogabilit di alcune norme concernenti specifici aspetti della disciplina legislativa), come atto volto ad
incidere su di un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico con un complesso di regole giuridicamente
vincolanti per tutti i condomini con la conseguenza che l'azione promossa da uno o pi condomini per ottenere la
declaratoria di nullit del regolamento medesimo, per vizi attinenti al suo processo di formazione, deve avere
come necessari contraddittori tutti gli altri condomini, non potendo altrimenti l'eventuale sentenza di
accoglimento ritenersi utiliter data.
* Cass. civ., sez. II, 30 marzo 1990, n. 2590, Cilento c. Torrente.
Il regolamento di condominio, quali ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche quando
abbia natura contrattuale, si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto
della collettivit condominiale, come atto volto ad incidere con un complesso di norme giuridicamente vincolanti
per tutti i componenti di detta collettivit, su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico ed a porsi come
fonte di obblighi e diritti non tanto per la collettivit come tale quanto, soprattutto, per i singoli condomini;
consegue da ci che l'azione promossa per ottenere declaratoria della nullit, totale o parziale, del regolamento
medesimo esperibile non da e nei confronti del condominio, carente di legittimazione in ordine ad una siffatta
domanda ma da uno o pi condomini nei confronti di tutti gli altri, in situazione di litisconsorzio necessario, non
potendo, altrimenti, risultare utiliter data l'eventuale sentenza di accoglimento.
* Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1995, n. 12342, Marconi c. Ragone.
d) Battitura tappeti
E nulla la delibera con cui l'assemblea condominiale abbia, a semplice maggioranza e non all'unanimit,
deliberato di aggiungere ai divieti gi elencati dal regolamento la voce battitura tappeti, traducendosi in una
limitazione delle facolt inerenti al diritto di propriet dei singoli condomini. * Trib. civ. Brescia, sez. II, 6 luglio
2000, n. 3066, Pizzoni ed altra c. Condominio Veruda.
E' invalida la delibera assembleare che faccia divieto di accedere alla terrazza comune - destinata
esclusivamente a copertura - per stendere i panni e battere i tappeti in quanto tale diritto si fonda sul principio di
cui all'art. 1102 c.c., in virt del quale ognuno pu servirsi della cosa comune purch non ne alteri la
destinazione.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 14 gennaio 1991, Uva e altri c. Condominio di via Sassetti n. 15/17 e di via
Confalonieri n. 34/36/38.
e) Clausola compromissoria
Il secondo comma dell'art. 1137 cod. civ. - a termini del quale ogni condomino dissenziente pu fare ricorso
all'autorit giudiziaria avverso le deliberazioni assunte dall'assemblea del condominio - configurando il diritto
soggettivo del condominio quale facultas agendi a tutela di interessi direttamente protetti dall'ordinamento
giuridico - non esclude la compromettibilit ad arbitri delle relative controversie, con la conseguenza che deve
considerarsi legittima la norma del regolamento condominiale che preveda una clausola compromissoria con il
correlativo obbligo di chiedere la tutela all'organo designato competente.
* Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 1986, n. 73, Triscari c. Imm. Sebastiano.
L'art. 1137, secondo comma, cod. civ., nel riconoscere ad ogni condomino dissenziente la facolt di ricorrere
all'autorit giudiziaria avverso le deliberazioni dell'assemblea del condominio, non pone una riserva di
competenza assoluta ed esclusiva del giudice ordinario e, quindi, non esclude la compromettibilit in arbitri di tali
controversie, le quali, d'altronde, non rientrano in alcuno dei divieti sanciti dagli artt. 806 e 808 cod. proc. civ.
Conseguentemente, valida la norma del regolamento condominiale relativa al deferimento ad arbitri del ricorso
contro le deliberazioni assembleari viziate da nullit o annullabilit, senza che rilevi in contrario, in relazione alla
tutela assicurata dall'art. 1137 citato, l'impossibilit per gli arbitri di sospendere l'esecuzione della delibera
impugnata, sempre invocabile dinanzi al giudice ordinario ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ., n la prevista
rimessione della nomina di uno degli arbitri al condominio, la cui inerzia superabile con ricorso al presidente
del tribunale competente ex art. 810, secondo comma, cod. proc. civ. * Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1984, n.

3406, Rossi c. Cond. Giardino.


Le previsioni pattizie - contenute in un regolamento condominiale - che, disponendo la rimessione della
definizione delle controversie agli arbitri, regolino anche la competenza del giudice ordinario, in quanto non
attribuiscano agli arbitri funzioni giurisdizionali sostitutive di quelle spettanti al giudice ordinario, sono
unicamente compatibili con l'ipotesi dell'arbitrato irrituale, che non esclude, infatti, la competenza e le funzioni
del giudice ordinario, ma ne sospende provvisoriamente l'esercizio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 14 novembre 1996, n. 11040, Supercondominio La Nave c. Cucchi ed altri.
La clausola compromissoria per arbitri rituali, contenuta in regolamento di condominio a carattere contrattuale,
predisposto dall'unico originario proprietario ed inserito quale parte integrante dell'atto di compravendita di una
singola unit immobiliare, valida ed opera i suoi effetti a favore della competenza arbitrale, anche se la
clausola non sia stata specificamente approvata per iscritto dal compratore. * Corte app. civ. Milano, sez. I, 9
giugno 1981, n. 860, Condominio via Darwin 8, Corpo box, Milano c. Immobiliare S. Sebastiano Soc.a.s.
L'applicazione della clausola compromissoria contenuta in un regolamento di condominio, secondo la quale
qualunque controversia fra i condomini e tra questi e l'amministratore per l'interpretazione e l'esecuzione delle
norme di legge e contratto reggenti il condominio, ed in genere riferentesi comunque alla costituzione, esercizio
ed eventuale scioglimento del condominio, sarebbe stata devoluta al giudizio inappellabile di un collegio
arbitrale, non pu essere estesa a questioni che nei rapporti condominiali possono avere trovato la loro
occasione, ma che dipendono dall'interpretazione di norme generali che tutelano diritti di carattere assoluto, la
cui fonte estranea alla disciplina del condominio. * Trib. civ. Milano, sez. VIII, 28 dicembre 1989.
Deve dichiararsi improponibile qualsiasi domanda formulata avanti la Magistratura Ordinaria se nel regolamento
contrattuale i condomini si sono impegnati a sottoporre le loro liti al giudicato di un collegio di tre arbitri
amichevoli compositori.
* Trib. civ. Milano, 10 giugno 1991.
Non nulla la clausola compromissoria non controfirmata esplicitamente da uno dei condomini qualora essa sia
inserita in un regolamento condominiale avente natura contrattuale. * Corte app. civ. Milano, 27 settembre 1991,
n. 1498, in Arch. loc. e cond. 1992, 350.
E' ammissibile e vincolante la clausola compromissoria contenuta in un regolamento condominiale che deroghi a
quanto stabilito nell'art. 1137 c.c. in quanto da ritenere che anche la materia delle deliberazioni condominiali
siccome attinente a diritti soggettivi patrimoniali disponibili, sia devolvibile ad arbitri. * Trib. civ. Milano, 6 aprile
1992.
La clausola compromissoria, inserita in un regolamento condominiale di tipo contrattuale, riferentesi unicamente
alle controversie tra i condomini e l'amministrazione, non estensibile alle ipotesi nelle quali l'oggetto del
contendere sia costituito da una delibera condominiale. * Trib. civ. Milano, 14 marzo 1991.
f) Clausola penale
La clausola regolamentare che prevede il pagamento di una somma a carico del condominio moroso nel
versamento della sua quota spese, ha natura di clausola penale e qualora sia manifestamente eccessiva pu
essere ridotta equamente dal giudice, in base a criteri ispirati alle norme ordinarie in tema di inadempimento,
seppur temperati dall'esigenza di dare rimarchevole peso all'esatto adempimento di obblighi di natura
condominiale.
* Giud. conc. Verona, 19 aprile 1989, n. 170, Giambolini c. Condominio Maria Cristina II, in Arch. loc. e cond.
1989, 577.
g) Condominio di due partecipanti
La riduzione a due sole unit del numero dei partecipanti al condominio di edificio non comporta il venir meno
del condominio medesimo, ma determina soltanto l'inapplicabilit della disciplina dettata dall'art. 1136 c.c., in
tema di costituzione della assemblea e di validit delle relative delibere, la quale postula un numero di
partecipanti superiore a due. In tale ipotesi, in forza della norma di rinvio contenuta nell'art. 1139 c.c., le
deliberazioni del condominio, ivi comprese quelle attinenti alla nomina dell'amministratore, sono soggette alla
regolamentazione prevista per l'amministrazione della comunione in generale dagli artt. 1105 e 1106 c.c. e la
legittimazione a riscuotere dai condomini i contributi per la manutenzione delle parti comuni e per l'esercizio dei
servizi condominiali spetta all'amministratore nominato con la maggioranza indicata nel combinato disposto dai
citati artt. 1105 e 1106. * Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1978, n. 535.
Il regolamento di condominio obbligatorio nel caso che il numero di condomini sia superiore a dieci, e
facoltativo in ogni altro caso; se i condomini sono solo due, possono trovare applicazione, in virt del rinvio di cui
all'art. 1139, le disposizioni sulla comunione. * Trib. civ. Napoli, 4 febbraio 1990.
h) Conduttore
La responsabilit del locatore per infrazioni, da parte del conduttore, al regolamento condominiale,
legittimamente pu essere fondata sulla mera qualit di locatore del primo, in quanto, con il fatto stesso di
assumere tale qualit riguardo ad un locale facente parte del condominio, esso locatore viene a trovarsi in una
posizione di ingerenza nell'organizzazione condominiale, e ad esercitare di fatto poteri corrispondenti
all'esercizio dei diritti condominiali, con correlativo onere, da parte sua, di controllo sull'operato del conduttore in
funzione del rispetto delle norme proprie di quell'organizzazione.
* Cass. civ., sez. II, 17 luglio 1973, n. 2093.
Le disposizioni contenute nel regolamento condominiale obbligano non solo il proprietario-locatore ma anche il
conduttore, il quale acquisisce dal locatore una posizione giuridica derivata che non pu essere pi ampia di
quella del suo dante causa.
* Trib. civ. Milano, 6 febbraio 1992, n. 1283.
i) Contrattuale
L'art. 1138, ultimo comma, cod. civ., secondo cui i regolamenti condominiali non possono in alcun modo

menomare i diritti dei condomini, si riferisce ai regolamenti approvati a maggioranza, non gi a quelli approvati
da tutti i condomini, i quali hanno valore contrattuale e, come tali, ben possono contenere limitazioni ai poteri dei
condomini stessi e ai loro diritti sui beni comuni ed anche individuali, traendo validit ed efficacia dal consenso
degli interessati, purch espresso nella forma richiesta in relazione alla natura di ciascuna limitazione, onere o
servit che si viene ad imporre.
* Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1987, n. 1195, Pallini c. Pirrelli.
Il regolamento convenzionale di condominio - anche se non materialmente inserito nel testo del contratto di
compravendita dei singoli appartamenti dell'edificio condominiale - fa corpo con esso, purch espressamente
richiamato ed approvato; di modo che le sue clausole rientrano, almeno per relationem, nel contenuto dei singoli
contratti di acquisto, e trattandosi in questo caso di relatio perfetta - in quanto il richiamo, nei vari contratti,
opera di entrambi i contraenti - ne deriva che le singole clausole del regolamento di condominio restano fuori
dalla previsione legislativa del secondo comma dell'art. 1341 cod. civ.; che, nel sancire la necessit della
specifica approvazione per iscritto di condizioni vessatorie, ha invero riguardo alle sole clausole, di contratti per
adesione od analoghi, che risultino invece predisposte da una soltanto delle parti contraenti.
* Cass. civ., sez. I, 10 gennaio 1986, n. 73, Triscari c. Cond. Via Darwin.
Il regolamento contrattuale di condominio, anche se non materialmente inserito nel testo del contratto di
compravendita delle singole unit immobiliari, fa corpo con esso allorch sia espressamente richiamato ed
approvato, cos che le sue clausole rientrano per relationem nel contenuto dei singoli contratti di acquisto e
vincolano i relativi acquirenti.
* Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1999, n. 8279, Citter Srl c. Cond. Il Parco.
Nell'ipotesi di regolamento condominiale richiamato nei singoli atti di acquisto degli appartamenti dell'edificio
condominiale, hanno natura contrattuale soltanto le disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi e
degli obblighi di ciascun condomino, mentre hanno natura tipicamente regolamentare le norme riguardanti le
modalit di uso della cosa comune e in genere le modalit di uso e di funzionamento dei servizi condominiali,
senza che sulla diversa natura dei due gruppi di disposizioni e sul diverso loro regime di modificabilit (con il
consenso di tutti i condomini manifestato in forma scritta per quelle contrattuali; con deliberazione
dell'assemblea adottata con la maggioranza prevista dall'art. 1136 c.c. per quelle regolamentari) possano
incidere la loro comune inclusione nel regolamento e neppure l'eventuale esistenza nel medesimo di una
clausola che stabilisca che le norme in esso contenuto siano, senza distinzioni, suscettibili di modifiche
deliberate dall'assemblea con la maggioranza di cui all'art. 1136 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1991, n. 12173, Bellotto c. Fazzalari.
La disposizione di un regolamento condominiale di natura contrattuale che vieta qualsiasi innovazione o
mutamento di destinazione delle cose comuni e delle propriet particolari senza la preventiva autorizzazione
dell'assemblea condominiale non nulla o inefficace, n contraria a diritto. * Corte app. civ. Perugia, 17 agosto
1987, n. 217, Marotta c. Condominio di via della Pallotta n. 2/C, Perugia.
Il regolamento condominiale convenzionale un vero e proprio contratto, che trae la sua forza vincolante dalla
volont dei condomini a somiglianza di qualunque altro contratto, e tale sua natura non cambia certamente
anche quando abbia per oggetto materia che possa essere disciplinata, secondo le norme sul condominio, a
maggioranza; di guisa che, il regolamento convenzionale, sempre che sia legittimo, in quanto le norme di
previsione siano derogabili dalla volont privata, pu essere modificato solo da un'altra convenzione da
stipularsi con il consenso di tutti i condomini.
* Cass. civ., sez. II, 3 aprile 1970, n. 882.
In tema di condominio negli edifici, la costruzione di balconi pensili sul cortile comune consentita al singolo
condomino, purch ai sensi dell'art. 1102 c.c., non risulti alterata la destinazione del bene comune e non sia
impedito agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. (Nella fattispecie, la Suprema Corte
ha rigettato il ricorso avverso la sentenza con cui il giudice di merito aveva ritenuto che l'edificazione, nel cortile
comune, di due balconi alterasse la destinazione del cortile medesimo, diminuendo l'utilizzazione dell'aria e della
luce che il bene era destinato ad assicurare).
* Cass. civ., sez. II, 27 agosto 2002, n. 12569, Trombino c. Scaglione e altra.
Il regolamento di condominio non pu disciplinare, in quanto tale, le situazioni di diritto reale dei compartecipi in
ordine alle parti comuni dell'edificio ed a quelle di propriet esclusiva, salvo che sia stato predisposto dall'unico
originario proprietario dell'edificio ed accettato con i singoli atti d'acquisto, ovvero adottato con il consenso
unanime dei partecipanti manifestato nelle debite forme. Pertanto la clausola contenuta nel regolamento
unilateralmente predisposto dall'unico proprietario dell'edificio vale a costituire detta propriet comune solo con il
primo atto di trasferimento di porzione dell'edificio, di modo che se questo sia successivo alla trascrizione del
diritto di un terzo, la clausola stessa non opponibile al terzo medesimo, indipendentemente dall'eventuale
priorit della trascrizione del regolamento.
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1992, n. 13179, Cond. di via Santa Giovanna Elisabetta n. 26 di Roma c.
Scrocca.
Il regolamento convenzionale di condominio, anche se non materialmente inserito nel testo del contratto di
compravendita dei singoli appartamenti compresi nell'edificio condominiale, fa corpo con essi purch
espressamente richiamato ed approvato, di guisa che le sue clausole rientrano per relationem nel contenuto dei
singoli contratti di acquisto; e poich il richiamo per relationem del contenuto del regolamento opera di
entrambi i contraenti, ne deriva che le singole clausole restano fuori dalla previsione legislativa del secondo
comma dell'art. 1341 c.c. che nel sancire la necessit della specifica approvazione da riferimento alle sole
clausole cosiddette vessatorie che risultano predisposte da una soltanto delle parti contraenti.
* Cass. civ. 7 gennaio 1992, n. 49.
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove sia accettato

dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti, non solo per le clausole che disciplinano l'uso ed il
godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche per quelle che limitano i poteri e le facolt dei singoli
condomini sulle loro parti esclusive, venendo a costituire tra queste ultime una servit reciproca. (Nella specie si
trattava di una clausola che vietava di destinare gli appartamenti dell'edificio ad uso diverso da abitazione o da
studio professionale privato).
* Cass. civ., sez. II, 13 luglio 1983, n. 4781, Troisi c. Cond. P. Digione.
Il regolamento di condominio edilizio predisposto dall'originario unico proprietario dell'edificio vincolante,
purch richiamato ed approvato nei singoli atti di acquisto s da far parte per relationem del loro contenuto, solo
per coloro che successivamente acquistino le singole unit immobiliari, ma non per coloro che abbiano
acquistato le unit immobiliari prima della predisposizione del regolamento stesso, ancorch nell'atto di acquisto
sia posto a loro carico l'obbligo di rispettare il regolamento da redigersi in futuro, mancando uno schema definito,
suscettibile di essere compreso per comune volont delle parti nell'oggetto del negozio; pertanto, in questa
ultima ipotesi, il regolamento pu vincolare l'acquirente solo se, successivamente alla sua redazione,
quest'ultimo vi presti adesione. * Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1989, n. 3351, Porto Salvo Spa e c. Dentis.
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove sia accettato
dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari assume carattere
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti, non solo per le clausole che disciplinano l'uso o il godimento
dei servizi o delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facolt dei singoli condomini
sulle loro propriet esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servit reciproca. Ne consegue che
qualora il regolamento di condominio faccia divieto di svolgere determinate attivit (nella specie: divieto di
adibire i locali del fabbricato condominiale ad esercizio di ristorante) non occorre accertare, al fine di ritenere
l'attivit stessa illegittima, se questa costituisca oppur no immissione vietata a norma dell'art. 844 c.c., con le
limitazioni ed i temperamenti in tale norma indicati, in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale
possono legittimamente imporre limitazioni al godimento della propriet esclusiva anche diverse o maggiori di
quelle stabilite dalla citata norma, e l'obbligo del condominio di adeguarsi alla norma regolamentare discende in
via immediata e diretta ex contractu per il generale principio espresso dall'art. 1372 c.c. * Cass. civ., sez. II, 7
gennaio 1992, n. 49, Morbi c. Costantini.
Il regolamento di condominio predisposto dall'unico originario proprietario dell'edificio, successivamente caduto
in condominio per piani, ha natura contrattuale e, ove sia richiamato nell'atto di acquisto dei singoli condomini, s
da formarne parte integrante, trae la sua forza vincolante non gi dal consenso della semplice maggioranza dei
condomini come nel caso del vero e proprio regolamento condominiale, disciplinato dall'art. 1138 c.c., sibbene
dalla volont negoziale delle parti contraenti, le quali sono libere di fissare quei limiti che credono, sia al diritto
esclusivo del condomino acquirente, sia all'uso delle parti comuni dell'edificio. In particolare, nell'ambito
dell'anzidetta autonomia negoziale, i condomini possono sottoporre a limitazioni l'esercizio dei poteri e delle
facolt che normalmente caratterizzano il contenuto del diritto di propriet dei singoli sulle cose comuni,
vertendosi in materia disponibile. Possono, ad esempio, con il suddetto regolamento, vietare l'apposizione di
insegne, targhe e simili sui muri perimetrali comuni dell'edificio, oppure subordinarla al consenso
dell'amministratore del condominio.
* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1974, n. 4047.
Il regolamento predisposto dall'unico originario proprietario dell'edificio successivamente caduto in condominio
se sia richiamato negli atti d'acquisto dei singoli condomini s da formare parte integrante degli atti stessi, trae la
sua forza vincolante non gi dal consenso della semplice maggioranza dei condomini, come nel caso di vero e
proprio regolamento di condominio disciplinato dall'art. 1138 c.c., bens dalla volont negoziale delle parti. Ne
consegue che le modificazioni al regolamento di origine contrattuale possono essere apportate soltanto con il
consenso di tutte le parti contraenti o con la partecipazione al giudizio delle stesse e non soltanto per
deliberazione della maggioranza s che l'azione proposta da uno o pi condomini per conseguire la declaratoria
di nullit del regolamento contrattuale deve avere necessari litisconsorti tutti gli altri condomini, non potendo
altrimenti l'eventuale sentenza d'accoglimento ritenersi. * Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1992, n. 11626, Soc.
Panoramica Balduina c. Cerfogli e altri.
L'accettazione del regolamento condominiale predisposto dal costruttore originario da parte degli acquirenti le
porzioni di fabbricato ed il conseguente carattere contrattuale del medesimo non richiedono la contestualit della
conoscenza effettiva con la stipulazione del contratto di acquisto, potendo detta conoscenza essere anteriore o
posteriore alla stipulazione stessa quando comunque il contratto contenga l'impegno dell'acquirente di osservare
il regolamento gi predisposto; inoltre, l'accettazione pu risultare anche da fatti concludenti. * Cass. civ., sez. II,
8 febbraio 1975, n. 506.
Il regolamento condominiale, qualora sia predisposto dall'originario unico proprietario e prima che il condominio
si formi, costituisce un contratto ed assume forza vincolante soltanto se venga accettato dai singoli acquirenti
dei piani mediante specifici atti di adesione al complesso delle norme predisposte; ovvero, qualora approntato in
epoca successiva, se lo stesso risulti approvato e adottato con il concorso unanime dei partecipanti, manifestato
nelle debite forme.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1980, n. 832, Dentis c. Soc. Hotel Genov.
La disposizione di cui al quarto comma dell'art. 1138 c.c., secondo cui le norme del regolamento di condominio
non possono in nessun caso derogare, tra l'altro, a quanto stabilito nell'art. 1120 dello stesso codice,
concernente le innovazioni, si riferisce oltre che al regolamento approvato dall'assemblea dei condomini anche a
quello predisposto dall'originario proprietario ed accettato dai condomini all'atto dell'acquisto del bene facente
parte del condominio (cosiddetto regolamento contrattuale).
* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1990, n. 4905, Soc. Sama c. Carmagnola.

Il regolamento di condominio, anche se contrattuale, approvato cio da tutti i condomini, non pu derogare alle
disposizioni richiamate dall'art. 1138 comma quarto c.c. e non pu menomare i diritti che ai condomini derivano
dalla legge, dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, mentre possibile la deroga alle disposizioni dell'art. 1102
c.c. non dichiarato inderogabile.
* Cass. civ., sez. II, 9 novembre 1998, n. 11268, Giovannini c. Cond. Rapallo.
Ove il regolamento condominiale sia stato predisposto dall'unico originario proprietario dell'immobile, l'acquirente
di una delle unit immobiliari deve attenersi alle disposizioni regolamentari che limitano il suo diritto di propriet
esclusiva sempre che il suddetto regolamento preesista al momento della stipulazione del contratto di acquisto e
risulti altres manifesta, dal contesto dell'atto, la volont di accettare le disposizioni limitative da parte
dell'acquirente medesimo. Tali limitazioni configurano veri e propri oneri reali e possono consistere anche nel
divieto di dare alle singole unit immobiliari del condominio una o pi destinazioni possibili, sicch, nel caso di
violazione delle relative disposizioni regolamentari, il condominio pu chiedere (sia nei confronti del proprietario,
sia nei confronti del conduttore qualora l'immobile sia stato locato) la cessazione della destinazione abusiva.
* Trib. civ. Genova, 18 marzo 1987, Condominio di via Cantore n. 17, Genova c. Librandi.
l) Da predisporsi in futuro
L'obbligo genericamente previsto in una scrittura privata di rispettare un regolamento di condominio da
predisporsi in futuro a cura del costruttore (venditore o promittente venditore) non vale a consentire a
quest'ultimo di atteggiare a suo arbitrio il relativo testo e, in particolare, di inservirvi un contenuto atipico,
limitativo dell'estensione dei poteri e delle facolt che normalmente caratterizzano nel condominio degli edifici il
diritto di propriet di ciascun condominio. * Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1977, n. 4927.
In caso di realizzazione di opere illegittime da parte del singolo condomino su cose di sua propriet esclusiva,
l'eventuale provvedimento di condono di cui all'art. 31 della legge n. 47 del 1985, essendo diretto alla sola
regolamentazione dei rapporti tra l'autore dell'illecito e l'amministrazione pubblica, non pu comprimere i diritti
soggettivi dei privati, nella specie, i condomini, cui , pertanto, consentito chiedere la riduzione in pristino. N la
citata normativa sul condono edilizio si pone in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della
Costituzione sotto il profilo della mancata previsione della efficacia di esso anche nei rapporti privatistici, avuto
riguardo alla palese differenza che presenta la situazione pubblicistica disciplinata dall'istituto in questione
rispetto a quella riguardante i rapporti tra privati. * Cass. civ., sez. II, 6 agosto 1999, n. 8486, Dalsasso ed altri c.
Cond. Orsa Maggiore Via Monte Pollino 2, Roma.
L'obbligo genericamente assunto nei contratti di vendita delle singole unit immobiliari di accettare il
regolamento condominiale che in futuro sarebbe stato formulato dalla societ venditrice, non vale a conferire ad
esso natura contrattuale, in quanto al momento del rogito lo stesso era inesistente. * Trib. civ. Bologna, sez. I,
18 gennaio 1994, n. 1184, Bandiera e altri c. Cond. Resid. Elena di Lovoleto, in Arch. Loc. e cond. 1994, 842.
m) Disciplina dei diritti reali sulle cose comuni
Il regolamento di condominio non pu disciplinare, in quanto tale, le situazioni di diritto reale dei compartecipi in
ordine alle parti comuni dell'edificio ed a quelle di propriet esclusiva, salvo che non sia stato predisposto
dall'unico, originario proprietario ed accettato con i singoli atti di acquisto, ovvero adottato con il consenso
unanime dei partecipanti, manifestato nelle debite forme, assumendo, cos, natura contrattuale. * Cass. civ., sez.
II, 30 dicembre 1977, n. 5755.
n) Distinte unit immobiliari
Il regolamento dei rapporti tra i proprietari di distinte unit immobiliari site in un edificio soggetto a regime del
condominio, non si esaurisce con le disposizioni relative ai rapporti di vicinato tra due propriet finitime
(emulazione, immissioni e servit). Detti rapporti sono disciplinati anche dalle regole generali sulla responsabilit
civile, essendo obbligato ciascun condomino propter rem a non eseguire nel piano o porzioni di piano di sua
propriet opere che rechino danno alle parti comuni o di propriet esclusiva di altri condomini. * Cass. civ., 10
dicembre 1993, n. 12152.
o) Efficacia
Nei regolamenti condominiali, accettati in seno agli atti di acquisto delle singole unit immobiliari, hanno natura
negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini, mentre hanno
natura tipicamente regolamentare quelle che concernono le modalit d'uso delle cose comuni e, in genere,
l'organizzazione e il funzionamento dei servizi condominiali, e che non riguardano quindi il diritto al loro
godimento, n qualsivoglia altro diritto spettante ai condomini come tali. Le disposizioni oggettivamente
regolamentari, a differenza di quelle a contenuto negoziale, possono essere modificate con deliberazione
assembleare maggioritaria, ai sensi dell'art. 1136 c.c., pur se formalmente inserite in un regolamento a tipo
contrattuale. (Nella specie, la Suprema Corte ha affermato le legittimit della deliberazione assembleare
maggioritaria, che aveva disposto l'installazione di una gettoniera nell'ascensore, in deroga alla disposizione a
contenuto regolamentare, fissata in un regolamento condominiale a tipo contrattuale, prevedente un sistema
diverso di pagamento delle spese relative all'ascensore stesso). * Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1976, n. 864.
I regolamenti condominiali, non approvati dall'assemblea, ma adottati coattivamente, in virt di sentenza
attuativa del diritto potestativo di ciascun partecipe del condominio (con pi di dieci componenti) di ottenere la
formazione del regolamento della comunione, hanno efficacia vincolante per tutti i condomini, ai sensi dell'art.
2909 c.c., a seguito del passaggio in giudicato di detta sentenza. * Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 1993, n. 1218,
Pavone c. Augugliaro.
p) Interpretazione
Allorquando una clausola di un regolamento di condominio di natura contrattuale stabilisca, senza distinzioni,
che le norme contenute nel medesimo sono revocabili e suscettibili di modifiche ed aggiunte, purch queste
risultino approvate dall'assemblea con le maggioranze necessarie per legge, il giudice del merito, chiamato ad
accertare se sia legittima una delibera assembleare maggioritaria con la quale le spese di portierato siano state

poste anche a carico dei condomini proprietari dei locali esterni e interrati dell'edificio che una norma di detto
regolamento esonerava invece, dal concorrere a tali spese, non pu risolvere il problema, nel senso della
illegittimit, esclusivamente sulla base del principio generale secondo cui le norme condominiali sorte per
contratto possono essere modificate solo col consenso di tutti i contraenti ove tali modifiche riguardino diritti
sostanziali dei contraenti stessi e non la semplice disciplina dell'uso e delle modalit di godimento delle cose
comuni, ma deve indagare se la surriferita clausola non deroghi a questo principio, avvalendosi, a tal fine, degli
strumenti interpretativi offerti dal codice civile e, in particolare dall'art. 1367 che impone, nel dubbio, di
interpretare le singole clausole nel senso in cui possono avere qualche effetto, anzich in quello secondo cui
non ne avrebbero alcuno, oltre che della valutazione del comportamento complessivo delle parti (art. 1362,
secondo comma, cod. civ.) in relazione al pregresso pagamento di quelle spese da parte dei condomini
originariamente esclusi. * Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1987, n. 2888, Co. V. Gom. Ay. NA c. De Alteriis.
E' prerogativa dell'assemblea dei condomini di procedere ad interpretazione del regolamento di condominio,
correttiva di altra precedentemente adottata, ed essa pu essere censurata solo quando la diversa
interpretazione non sia giuridicamente corretta, e ci sia alla stregua dei principi di ermeneutica che avrebbero
dovuto essere osservati in subiecta materia per identificare l'esatta portata dei criteri stabiliti nel regolamento, sia
in relazione ai risultati che siano derivati dalla loro concreta applicazione, in quanto non consentiti da norme
legislative inderogabili. * Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1975, n. 3936.
L'interpretazione di un regolamento di condominio da parte del giudice del merito insindacabile in sede di
legittimit, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure di vizi logici o errori di diritto.
* Cass. civ., sez. II, 28 agosto 1990, n. 8899, Soc. Hermes c. Bova. Conformi: Cass. civ., sez. II, 28 ottobre
1995, n. 11278 e Cass. civ., sez. II, 14 luglio 2000, n. 9355.
L'interpretazione delle clausole di un regolamento condominiale contrattuale contenenti il divieto di destinare gli
immobili a determinati usi sindacabile in sede di legittimit solo per violazione delle regole legali di
ermeneutica contrattuale o vizio di motivazione. (Nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata
dalla S.C., ha ritenuto che la destinazione a supermercato dei locali a piano terreno di un immobile facente parte
di un complesso residenziale in localit marina contrastasse con la norma regolamentare che precludeva per
tutte le unit immobiliari alcune utilizzazioni specificamente indicate ed inoltre qualsiasi uso incompatibile con
l'igiene, la sicurezza, il decoro, la quiete). * Cass. civ., sez. II, 2 giugno 1999, n. 5393, Volpiecella c. Cond.
Solemare ed altro.
L'accertamento del contenuto delle clausole di un regolamento di condominio involge un giudizio di fatto,
insindacabile in cassazione, se immune da vizi logico-giuridici. * Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1970, n. 801.
E' nulla la delibera con la quale un'assemblea condominiale approvi l'interpretazione autentica da dare al
regolamento, nel senso di non ammettere la destinazione delle singole unit ad esercizio commerciale pur in
assenza di qualsiasi norma specifica che imponga tale divieto, in quanto atto potenzialmente lesivo dei diritti
individuali di ciascun proprietario ex art. 1138 c.c.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 19 marzo 1994, n. 2774, Soc. Risan. Napoli c. Cond. di via Fontana n. 27 di Napoli, in
Arch. loc. e cond. 1994, 838.
q) Leasing
Nel caso di presunta violazione del regolamento di condominio da parte dell'utilizzatore di un'unit immobiliare
da lui posseduta a titolo di leasing, l'utilizzatore passivamente legittimato, unitamente alla societ di leasing,
nell'azione promossa dal condominio al fine di fare accertare e cessare la violazione stessa.* Trib. civ. Milano,
24 febbraio 1992, n. 2352.
r) Limitazioni all'uso delle cose comuni
Le clausole di un regolamento contrattuale, che dettano la disciplina dell'uso delle cose comuni, non possono
essere modificate con deliberazioni dell'assemblea adottate a maggioranza, quando da tali deliberazioni
consegua un pregiudizio ai diritti che ciascun condomino ha sulla cosa comune cos come sono configurati nel
regolamento contrattuale stesso.
* Cass. civ., 8 febbraio 1975, n. 506.
Il limite al diritto di godimento spettante a ciascun condomino iure proprietatis sulle parti comuni, disposto dal
regolamento condominiale ed accettato nei singoli atti d'acquisto, ha natura negoziale e pu essere modificato
solo per iscritto e con il consenso unanime dei condomini. Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2000, n. 1830, Rossett
c. Condominio Via Catilina 2 Anzio.
Il regolamento convenzionale di condominio pu sottoporre a limitazioni l'esercizio dei poteri e delle facolt che
normalmente caratterizzano il contenuto del diritto di propriet dei singoli condomini sulle cose comuni e pu
anche giungere ad attribuire ad uno o a pi condomini l'uso esclusivo di determinate parti comuni del fabbricato.
* Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1978, n. 3169.
s) Modificazioni
Le clausole dei regolamenti condominiali predisposti dall'originario proprietario dell'edificio condominiale ed
allegati ai contratti di acquisto delle singole unit immobiliari, nonch quelle dei regolamenti condominiali formati
con il consenso unanime di tutti i condomini, hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole
limitatrici dei diritti dei condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l'uso
dei beni comuni, hanno natura regolamentare. Ne consegue che, mentre le clausole di natura contrattuale
possono essere modificate soltanto dall'unanimit dei condomini e non da una deliberazione assembleare
maggioritaria, avendo la modificazione la medesima natura contrattuale, le clausole di natura regolamentare
sono modificabili anche da una deliberazione adottata con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 secondo
comma cod. civ. * Cass. civ., Sezioni Unite, 30 dicembre 1999, n. 943, Morvillo c. Loiacono ed altri.
Le clausole dei regolamenti che limitano i diritti dei condomini sulle propriet esclusive o comuni e quelle che
attribuiscono ad alcuni di loro maggiori diritti rispetto agli altri hanno natura contrattuale e sono modificabili

soltanto con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione, che deve essere manifestato in forma scritta,
essendo esse costitutive di oneri reali o di servit prediali da trascrivere nei registri immobiliari della
conservatoria per l'opponibilit ai terzi acquirenti di appartamenti o di altre porzioni immobiliari dell'edificio
condominiale; mentre per la variazione di clausole che disciplinano l'uso delle cose comuni sufficiente la
deliberazione assembleare adottata con la maggioranza prescritta dall'art. 1136, secondo comma, c.c. (Nella
specie, la S.C., sulla base di tali principi, ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato la nullit della
deliberazione assembleare con la quale era stata modificata la clausola del regolamento di condominio relativa
al divieto della sosta dei veicoli nel cortile comune). * Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2002, n. 5626, Cond. Corso
Umberto I, 154 Napoli c. Cecchi.
Ancorch contenute in regolamento cosiddetto contrattuale hanno natura regolamentare e sono modificabili
dall'assemblea con la maggioranza prevista dall'art. 1136 cod. civ. le sole clausole del regolamento
condominiale che coinvolgono interessi impersonali della collettivit dei condomini, mentre hanno natura
contrattuale e sono modificabili soltanto con il consenso unanime dei condomini quelle clausole che incidono
direttamente sulla sfera soggettiva dei medesimi. Rientrano fra queste ultime le clausole che stabiliscono i criteri
di ripartizione delle spese (nella specie: spese di riscaldamento) costituendo la relativa contribuzione, nella
misura legale e convenzionale (art. 1123 cod. civ.), un obbligo dei condomini. * Cass. civ., sez. II, 15 aprile
1987, n. 3733, Cond. Le Pleiad. c. Soc. Imm. Risorg.
Nell'ipotesi di regolamento condominiale richiamato nei singoli atti di acquisto degli appartamenti dell'edificio
condominiale, hanno natura contrattuale soltanto le disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi e
degli obblighi di ciascun condomino, mentre hanno natura tipicamente regolamentare le norme riguardanti le
modalit d'uso delle cose comuni, e, in genere, l'organizzazione e il funzionamento dei servizi condominiali.
Dette norme regolamentari, a differenza di quelle contrattuali, le quali sono suscettibili di variazioni soltanto con
il consenso di tutti i condomini manifestato in forma scritta, possono essere modificate, al fine di essere adattate
alle mutevoli esigenze della collettivit condominiale, dall'assemblea con la maggioranza prescritta dall'art. 1136
cod. civ., e ci anche se siano formalmente inserite in un regolamento di tipo contrattuale, in quanto la natura di
una clausola dipende dal suo contenuto piuttosto che dal contenuto di essa. * Cass. civ., sez. II, 21 gennaio
1985, n. 208, Petrilli c. Galvagno.
Il valore vincolante per tutti i condomini delle clausole contenute in un regolamento c.d. contrattuale limitato
alle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi e degli obblighi di ciascun condomino, mentre
hanno natura tipicamente regolamentare le norme riguardanti le modalit di uso e di funzionamento dei servizi
condominiali. Rientrano nella prima categoria, e quindi possono essere modificate solo con il consenso unanime
di tutti i partecipanti, le clausole che stabiliscono i criteri di ripartizione delle spese di riscaldamento. * Corte app.
civ. Milano, 19 dicembre 1997, n. 3551, Condominio di Via Laura Solera Mantegazza 9 in Milano c. Soc.
Immobiliare Tussilago, in Arch. loc. e cond. 1998, 562.
Qualora il regolamento condominiale non abbia natura contrattuale, l'assemblea dei condomini, anche in
mancanza di unanimit, pu modificare le disposizioni regolamentari in materia di uso delle cose comuni, purch
sia assicurato il diritto al pari uso di tutti i condomini, e cio il diritto di ciascun condomino di trarre dalle cose
comuni il massimo godimento possibile, dovendo, peraltro, la eventuale maggiore utilizzazione consentire, sia
pure a livello di previsione potenziale, un godimento di pari natura ed intensit da parte degli altri condomini. *
Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1999, n. 1057, Soc. Frantoi c. Condominio via Bonifacio 4 in Genova.
E' lecita la deliberazione adottata da una assemblea condominiale che approvi (con il voto unanime dei soli
condomini intervenuti) una mera integrazione al regolamento di natura contrattuale (e non una sua
modificazione) con l'inserimento di una norma per cui gli spazi delimitati da linee gialle nei distacchi attornianti
l'edificio devono essere destinati a posteggio condominiale e riservati alle sole persone, condomini o inquilini,
residenti nell'edificio stesso. * Trib. civ. Genova, sez. III, 18 luglio 1996, n. 2240, Previ Berri c. Cod. di via Liri n.
10 di Genova.
Le clausole del regolamento condominiale che stabiliscono i criteri di ripartizione delle spese sono modificabili
soltanto con il consenso unanime dei condomini, pertanto nulla, in quanto adottata in assenza di un condomino,
la delibera assembleare con la quale venga affidato ad un tecnico specializzato l'incarico di formare le tabelle
millesimali. Detta delibera, pur costituendo un atto prodromico alla modifica del criterio di ripartizione delle spese
reca comunque un danno al condomino assente, il quale pertanto legittimato ad impugnarla. * Trib. civ.
Verona, 29 giugno 1995, Venturi c. Condominio di Via Nicolodi n. 4 in Verona.
Il regolamento di condominio predisposto dal costruttore o dall'originario unico proprietario dell'edificio, una volta
accettato dai condomini con i rispettivi atti di acquisto costituisce un contratto condominiale, le cui singole norme
traggono la loro forza vincolante, nei confronti di ciascuno dei condomini, proprio dalla volont negoziale da loro
espressa; ne deriva che non possono essere modificate con deliberazioni prese a maggioranza dall'assemblea
le clausole di tale regolamento che disciplinano l'uso delle cose comuni, quando da tali deliberazioni consegua
un pregiudizio ai diritti che ciascun condomino ha sulla cosa comune. (Fattispecie concernente la destinazione
degli spazi liberi che circondano il fabbricato condominiale a parcheggio autoveicoli, in contrasto col disposto di
una norma regolamentare).
* Trib. civ. Spoleto, 18 aprile 1987, n. 66, Mastini c. Fedeli e altri.
E' nulla la deliberazione dell'assemblea di un condominio con la quale si adotti un regolamento condominiale
con le modifiche che saranno apportate a mano su allegato accluso, poich detta frase, risolvendosi in una sorta
di approvazione preventiva di future modifiche, non identificate n in relazione all'oggetto n in relazione alla
persona abilitata ad effettuarle, determina l'indeterminatezza ed indeterminabilit dell'oggetto. * Trib. civ. Prato,
18 giugno 1993, Rotella c. Cond. Gardenia.
t) Norme del R.D. 15 gennaio 1934, n. 56
Qualora in un regolamento condominiale contrattuale siano state richiamate e sussunte talune norme del r.d. 15

gennaio 1934 n. 56, tali norme, hanno acquistato natura e valore pattizio, con la conseguenza che, pur essendo
stato abrogato il predetto decreto per effetto dell'entrata in vigore dell'attuale codice civile, esse sono rimaste
comunque in vita come clausole contrattuali, perfettamente valide se attinenti a materia non regolata da norme
cogenti del nuovo codice.
* Cass. civ., sez. II, 8 giugno 1984, n. 3456, Simeone c. Cond. Milano.
u) Norme relative alle innovazioni
La disposizione di cui al quarto comma dell'art. 1138 c.c., secondo cui le norme del regolamento di condominio
non possono in nessun caso derogare, tra l'altro, a quanto stabilito nell'art. 1120 dello stesso codice,
concernente le innovazioni, si riferisce oltre che al regolamento approvato dall'assemblea dei condomini anche a
quello predisposto dall'originario proprietario ed accettato dai condomini all'atto dell'acquisto del bene facente
parte del condominio (cosiddetto regolamento contrattuale).
* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1990, n. 4905, Soc. Sama c. Carmagnola.
v) Obblighi di non fare
Ove un regolamento condominiale imponga ad ogni condomino un obbligo di non fare se non previa
autorizzazione dell'amministratore, l'inadempimento dell'obbligazione relativa comporta - ex art. 2933 c.c. - il
diritto degli altri partecipanti alla comunione di ottenere che sia distrutto, a spese dell'obbligato, ci che stato
fatto in violazione dell'obbligo, senza che sia necessario accertare se sia stato recato un danno alle parti comuni
dell'edificio, come prevede la norma di cui all'art. 1122 c.c.
* Corte app. Torino, 3 luglio 1991, n. 905.
w) Opponibilit al terzo acquirente
Con il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove sia stato
accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli appartamenti e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, pu
essere attribuita la compropriet di una o pi cose, non incluse tra quelle elencate nell'art. 1117 c.c., a tutti i
condomini o soltanto a quelli cui appartengono alcune determinate unit immobiliari; in tal caso colui al quale sia
trasferita la propriet di uno di tali immobili, diviene comproprietario della cosa in base al regolamento
condominiale anche se di essa non vi sia alcun accenno nel titolo d'acquisto e tale qualit opponibile a tutti
coloro che acquistino successivamente le varie unit immobiliari. * Cass. civ., sez. II, 11 novembre 2002, n.
15794, Cond. Largo De Amicis 3-8 Minervino Murge c. Dell`Erba.
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove sia accettato
dagli iniziali acquirenti dei singoli appartamenti e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume
carattere convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti, non solo per le clausole che disciplinano l'uso o il
godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facolt dei singoli
condomini sulle loro propriet esclusive venendo a costituire su queste ultime una servit reciproca; ne
consegue che tale regolamento convenzionale, anche se non materialmente inserito nel testo del successivo
contratto di compravendita dei singoli appartamenti dell'edificio, fa corpo con esso quando sia stato
regolarmente trascritto nei registri immobiliari, rientrando le sue clausole, per relationem, nel contenuto dei
singoli contratti.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2001, n. 13164, Midulla ed altra c. Condominio di Corso Vittorio Emanuele 167/1
in Napoli ed altro.
La clausola di regolamento condominiale non trascritto, la quale preveda limitazioni ai diritti dominicali dei singoli
condomini, come l'obbligo o il divieto di dare a taluni locali una determinata destinazione, in tanto opponibile al
terzo acquirente di tali beni, in quanto sia esplicitamente riportata nel contratto d'acquisto, ovvero il terzo
acquirente abbia espressamente dichiarato di essere a conoscenza del vincolo suddetto, senza che siano
ammessi equipollenti e che il terzo acquirente sia tenuto a svolgere indagini per conoscere aliunde l'esistenza di
vincoli, oneri o servit non risultanti chiaramente dall'atto trascritto.
* Cass. civ., sez. II, 14 aprile 1983, n. 2610, Soc. Im. Angela c. Ass. Circ. Bridge.
Per l'acquirente di unit in immobile condominiale l'obbligo di attenersi alle disposizioni regolamentari, limitative
del suo diritto di propriet esclusiva, qualora il regolamento risulti predisposto dall'unico originario proprietario
dell'immobile condominiale, sorge se al momento della stipulazione del contratto di acquisto il regolamento
condominiale risulta gi predisposto e richiamato nell'atto di compravendita; e sempre che l'acquirente abbia
manifestato nel contesto dell'atto o, successivamente, per iscritto, in modo chiaro ed inequivocabile (e non per
fatti concludenti) la volont di accettare quelle disposizioni del regolamento condominiale limitative del diritto di
propriet sulle parti esclusive del suo immobile. * Cass. civ., sez. II, 4 marzo 1983, n. 1634, Buffo c. Riello.
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato dagli
iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso o
il godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facolt dei singoli
condomini sulle loro propriet esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servit reciproca. * Cass.
civ., sez. II, 15 aprile 1999, n. 3749, Delsante ed altro c. Pugliese Limentani.
Il regolamento di condominio edilizio predisposto dall'originario (ed unico) proprietario dell'edificio vincolante
per gli acquirenti delle singole unit immobiliari (purch richiamato ed approvato nei singoli atti di acquisto) nella
sola ipotesi che il relativo acquisto si collochi in epoca successiva alla predisposizione del regolamento stesso, e
non nel periodo antecedente tale predisposizione, ancorch nell'atto di acquisto sia previsto l'obbligo di
rispettare il regolamento da redigersi in futuro, mancando, in tal caso, uno schema negoziale definitivo,
suscettibile di essere compreso per comune volont delle parti nell'oggetto del contratto; in questa ultima ipotesi,
pertanto, il regolamento pu vincolare l'acquirente solo se, successivamente alla sua redazione, quest'ultimo vi
presti volontaria adesione. * Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 856, Cori 1979 Srl c. Baglioni.
Il regolamento di condominio edilizio predisposto dall'originario unico proprietario dell'edificio vincolante,

purch richiamato ed approvato nei singoli atti di acquisto, si da far parte per relationem del loro contenuto, solo
per coloro che successivamente acquistano le singole unit immobiliari, ma non per coloro che abbiano
acquistato le unit immobiliari prima della predisposizione del regolamento stesso, ancorch nell'atto di acquisto
sia posto a loro carico l'obbligo di rispettare il regolamento da redigersi in futuro, mancando uno schema
definitivo, suscettibile di essere compreso per comune volont delle parti nell'oggetto del negozio; pertanto, in
questa ultima ipotesi, il regolamento pu vincolare l'acquirente solo se, successivamente alla sua redazione,
quest'ultimo vi presti adesione. Tale adesione - e quindi la volont del condomino di accettare le disposizioni del
regolamento condominiale limitative del diritto di propriet sulle parti esclusive del suo immobile - deve risultare
per iscritto, in modo chiaro ed inequivocabile e non per fatti concludenti, non potendo pertanto costituire
adesione, con i conseguenti effettivi vincolanti, l'applicazione e la presa di cognizione del regolamento stesso. *
Cass. civ., sez. II, 13 settembre 1991, n. 9591, Russo c. Condominio Ceit.
Il regolamento condominiale che contenga limitazioni dei diritti dominicali dei singoli condomini deve essere
approvato da tutti i condomini ed ha valore negoziale; ne consegue che esso, per potere avere effetto anche nei
confronti dei successori a titolo particolare dei partecipanti al condominio deve essere trascritto nei pubblici
registri immobiliari.
* Cass. civ., sez. II, 11 maggio 1978, n. 2305.
Colui che compra un appartamento di un edificio in condominio resta obbligato dal regolamento condominiale
finch questo non sia stato modificato dall'assemblea dei condomini. Ed nulla ogni clausola contraria,
eventualmente contenuta nell'atto d'acquisto, concluso con il proprietario dell'appartamento. * Cass. civ., sez. II,
25 luglio 1977, n. 3309.
x) Trascrizione nel registro
L'omessa trascrizione del regolamento di condominio - che ai sensi dell'art. 1138 cod. civ. deve effettuarsi nel
registro di cui all'art. 1129 cod. civ. - rende inopponibili le clausole limitative della propriet soltanto ai terzi
acquirenti e non gi a coloro che pattuirono direttamente con l'originario unico proprietario e venditore le
limitazioni stesse, mediante richiamo del regolamento condominiale nei singoli atti di acquisto. * Cass. civ., sez.
II, 25 ottobre 1988, n. 5776, Belforti c. Ded.
La trascrizione prevista dall'art. 1138, comma terzo, c.c. del regolamento di condominio nel registro (peraltro non
istituito) di cui all'art. 1129 c.c. integra un mero onere di pubblicit dichiarativa, la cui inosservanza non comporta
la nullit o l'inefficacia del regolamento approvato dall'assemblea dei condomini o predisposto dall'originario
costruttore dell'edificio condominiale. L'omessa trascrizione del regolamento nei RR.II. determina invece
l'inopponibilit ai successivi acquirenti delle singole unit immobiliari comprese nell'edificio condominiale delle
eventuali clausole limitative di diritti esclusivi di propriet spettanti a ciascun condomino senza influire anch'essa
sulla validit ed efficacia del regolamento. * Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1998, n. 714, Condominio di via S.
Veniero n. 8 in Roma c. Barsotti.
Il regolamento di condominio predisposto dal costruttore-venditore che contenga vincoli afferenti all'intero
edificio - e, quindi, a tutte le unit immobiliari comprese nel fabbricato - quando sia stato da questi trascritto nei
registri immobiliari, opponibile non soltanto a coloro che acquistano le unit immobiliari da proprietari che
abbiano accettato esplicitamente o implicitamente il regolamento stesso, ma anche a coloro che, in epoca
successiva alla trascrizione, per la prima volta acquistino piani dell'edificio o loro porzioni direttamente dal
costruttore, anche in assenza di espressa previsione in tal senso nei singoli atti di acquisto, atteso che tutti
costoro, non avendo partecipato all'approvazione del regolamento o alla stipulazione degli atti, devono
considerarsi, prima della conclusione del loro acquisto, come terzi rispetto ai quali opera, ai fini dell'opponibilit
dei vincoli suddetti, siffatta forma di pubblicit. * Cass. civ., sez. II, 17 marzo 1993, n. 2546, Panni c. Cond.
Residence San Michele di San Menaio.
L'art. 2659, primo comma, n. 2, cod. civ., secondo cui nella nota di trascrizione devono essere indicati il titolo di
cui si richiede la trascrizione e la data del medesimo, va interpretato in collegamento con il successivo art. 2665
il quale stabilisce che l'omissione o l'inesattezza delle indicazioni richieste nella nota non nuoce alla validit della
trascrizione eccetto che induca incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico a cui si riferisce l'atto.
Ne consegue che dalla nota deve risultare non solo l'atto in forza del quale si domanda la trascrizione ma anche
il mutamento giuridico, oggetto precipuo della trascrizione stessa, che quell'atto produce in relazione al bene.
Pertanto, in caso di regolamento di condominio c.d. contrattuale, non basta indicare il medesimo ma occorre
indicare le clausole di esso incidenti in senso limitativo sui diritti dei condomini sui beni condominiali (o sui beni
di propriet esclusiva). * Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1986, n. 7515, Grimaldi c. Rinaldi.
La trascrizione non richiesta per il regolamento condominiale convenzionale, salvo che questo contenga
clausole limitatrici dei diritti sui beni comuni e dell'uso della cosa propria di propriet esclusiva, da qualificarsi
oneri reali e servit prediali, allo scopo di renderle opponibili ai terzi ed agli aventi causa. * Cass. civ., sez. II, 3
aprile 1970, n. 882.
Ai successori a titolo particolare dei partecipanti al condominio non sono opponibili le norme del regolamento
condominiale non trascritto nei pubblici registri immobiliari o nel registro di cui all'art. 1129 c.c., che prevedono
limiti circa le possibilit di uso delle propriet esclusive. * Corte app. civ. Venezia, 19 settembre 1989, in Arch.
loc. e cond. 1991, 574.
L'omessa trascrizione del regolamento di condominio rende inopponibili le clausole limitative della propriet
soltanto a terzi acquirenti e non gi a coloro che pattuirono direttamente con l'originario unico
proprietario-venditore le limitazioni stesse, mediante richiamo del regolamento condominiale nei singoli atti di
compravendita. * Trib. civ. Lecce, sez. III, 23 novembre 1993, Giardiniero ed altri c. Rocco e Cerotta.
Un regolamento condominiale, se stato regolarmente trascritto, non pu essere che contrattuale atteso che la
trascrizione immobiliare assoggettata ad un preventivo controllo sostanziale e formale da parte di pubblici
ufficiali che porta ad escludere la possibilit di una eventuale trascrizione di un regolamento non contrattuale. *

Corte app. civ. Milano, sez. I, 28 settembre 1993, n. 1764, Abbondanza c. Mazzoni.
y) Violazione (sanzioni)
In tema di condominio, poich l'art. 70 att. c.c. prevede che per le infrazioni al regolamento di condominio pu
essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento, sono nulle, in quanto contra
legem, le eventuali disposizioni del regolamento di condominio che dovessero prevedere sanzioni di importo
maggiore.
* Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1995, n. 948, Gallotta c. Condominio di Via Petrarca n. 175 in Napoli.
E' manifestamente inammissibile, in riferimento agli artt. 3, 41 e 42 della Costituzione, la questione di legittimit
costituzionale dell'art. 70 att. c.c., nella parte in cui prevede che per le infrazioni al regolamento di condominio
possa essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento. Corte cost., ord. 11
dicembre 1997, n. 388 (ud. 27 novembre 1997), Sagliocco c. Migliore.
L'art. 70 att. c.c., in base al quale il regolamento di condominio pu prevedere delle sanzioni pecuniarie a carico
dei trasgressori delle sue disposizioni, ha carattere di norma eccezionale in quanto contempla una cosiddetta
pena privata che ha come destinatari i condomini. Essa, pertanto, non pu ritenersi applicabile ai conduttori
degli alloggi condominiali, i quali, ancorch si trovino a godere delle parti comuni dell'edificio in base ad un
rapporto obbligatorio, rimangono estranei all'organizzazione condominiale. * Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 1995,
n. 10837, Melloni c. Condominio Stadio di Vicenza.
In tema di condominio degli edifici, l'obbligo assunto dai singoli condomini in sede di approvazione del
regolamento contrattuale, di non eseguire sul piano o sulla porzione di piano di propriet esclusiva attivit che
rechino danno alle parti comuni (nella specie obbligo di non sciorinare i panni dalle finestre, balconi, ecc.) ha
natura di obbligazione propter rem, la cui violazione, pur se protratta oltre venti anni, non determina l'estinzione
del rapporto obbligatorio e dell'impegno a tenere un comportamento conforme a quello imposto dal regolamento
onde sempre deducibile, stante il carattere permanente della violazione, il diritto degli altri condomini di
esigere l'osservanza di detto comportamento, potendosi prescrivere soltanto il diritto al risarcimento del danno
derivante dalla violazione dell'obbligo in questione.
* Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 1999, n. 11692, Giustino c. Aponte.
La violazione di una clausola del regolamento condominiale relativa all'uso delle unit immobiliari sanzionabile
unicamente per via di risarcimento del danno e quindi, data la natura strumentale delle misure cautelari, non pu
dar luogo ad un provvedimento d'urgenza a norma dell'art. 700 cod. proc. civ. * Pret. civ. Roma, 28 novembre
1986, Condominio di via Codroipo (Roma) c. Petrini.
La disposizione di cui all'art. 70 disp. att. cod. civ. - secondo la quale, per le infrazioni al regolamento di
condominio, pu essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino a lire 100 - derogabile
dal regolamento condominiale, non essendo la medesima disposizione inderogabile a norma del successivo art.
72.
* Giud. conc. Caserta, 22 luglio 1985, n. 15, Rinaldi e Zito c. Luserta.La sanzione prevista dall'art. 70 disp. att.
cod. civ. pu essere applicata anche nei confronti del conduttore dell'unit immobiliare facente parte del
condominio. * Giud. conc. Caserta, 22 luglio 1985, n. 15, Rinaldi e Zito c. Luserta.
Considerato che l'amministratore del condominio non legittimato a proporre azioni reali di riduzione in pristino
nei confronti dei singoli condomini contro la volont dell'assemblea, in caso di violazione da parte di singoli
proprietari delle norme del regolamento condominiale prevedenti limiti alle innovazioni nelle propriet individuali
(nella specie recepiti come servit reciproche nei singoli contratti di acquisto), non configurabile la
responsabilit dell'amministratore che abbia omesso di agire in giudizio contro i responsabili al fine di conseguire
la riduzione in pristino, qualora il medesimo abbia investito delle specifiche questioni l'assemblea del condominio
e la stessa abbia deliberato, sia pure a maggioranza, di tentare di risolvere in via extragiudiziale i contrasti insorti
tra i vari comproprietari. * Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 1999, n. 11688, Lombardo ed altri c. Leonardi ed altri.
Al regolamento condominiale, sia pure di natura contrattuale, non sono applicabili le norme dettate per i contratti
a prestazioni corrispettive e, in particolare, la disciplina dell'eccezione di inadempimento, atteso che il principio
inadimpienti non est adimplendum trae origine dal nesso di interdipendenza che, nei contratti sinallagmatici, lega
le prestazioni delle parti, mentre le obbligazioni assunte dai condomini con il regolamento contrattuale sono
indipendenti l'una dall'altra e garantiscono contemporaneamente il diritto di tutti i contraenti; ne consegue che, in
ipotesi di violazione del regolamento condominiale contrattuale effettuata da un condomino, ciascuno degli altri
condomini pu richiedere, oltre al risarcimento la riduzione in pristino, senza che possano essere opposte
eventuali violazioni del suddetto regolamento cui il richiedente medesimo abbia dato causa.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2000, n. 977, Fraticelli c. Recta Srl.
Ove un regolamento condominiale imponga ad ogni condomino un obbligo di non fare se non previa
autorizzazione dell'amministratore, l'inadempimento dell'obbligazione relativa comporta - ex art. 2933 c.c. - il
diritto degli altri partecipanti alla comunione di ottenere che sia distrutto, a spese dell'obbligato, ci che stato
fatto in violazione dell'obbligo, senza che sia necessario accertare se sia stato recato un danno alle parti comuni
dell'edificio, come prevede la norma di cui all'art. 1122 c.c.
* Corte app. civ. Torino, 3 luglio 1991, n. 905.
In mancanza di una esplicita previsione regolamentare, illegittima una deliberazione condominiale nella parte
in cui stabilisce, a carico di alcuni condomini, l'irrogazione di sanzioni pecuniarie per la violazione del
regolamento di condominio.
* Pret. civ. Verona, 12 febbraio 1990, n. 135, Strina c. Condominio Le Torri, via M. Faliero 76/78, Verona.
RESTITUZIONE DELLA COSA LOCATA
La responsabilit del conduttore per il ritardo nella riconsegna della cosa locata ha carattere contrattuale traendo
origine dal patto di restituire la cosa avuta in temporaneo godimento alla scadenza del rapporto locatizio.

* Cass.civ., sez. III, 21 ottobre 1986, n. 6184, Cervello c. Italnoleggi.


In tema di esecuzione di sentenza provvisoriamente esecutiva con la quale il conduttore stato condannato al
rilascio nell'immobile locato, il giudice dell'appello - in sede di inibitoria ex art. 351 cod. proc. civ. - pu soltanto,
concedendo la sospensione o la revoca dell'esecuzione provvisoria, incidere sull'esecutoriet della sentenza (e,
quindi, sul titolo esecutivo), ma non sul tempo della concreta esecuzione, le cui questioni restano devolute alla
competenza del giudice dell'esecuzione. Consegue che i procedimenti diretti alla dilazione, graduazione e
sospensione degli sfratti (nella specie: sospensione disposta dalla L. n. 118 del 1985) sono devoluti al giudice
dell'esecuzione, restando interdetto al giudice dell'appello fissare - nel provvedimento con il quale rigetta la
richiesta di inibitoria - la data del rilascio.*Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 1987, n. 456, Di Benedetto c. Giarrizzo.
L'obbligo di cui all'art. 1591 cod. civ. gravante sul conduttore in mora a restituire la cosa, va riguardato
nell'ambito del risarcimento del danno ex art. 1218 cod. civ.; ne consegue che la controversia concernente tale
risarcimento esula dalle questioni relative alla determinazione del canone di locazione e resta aliena alla
competenza per materia del pretore stabilita dall'art. 45 della L. n. 392/1978, norma innovativa rispetto alla
precedente normativa vincolistica (art. 29, L. n. 253/1950) la quale devolveva a tale giudice sia le controversie
relative alla misura del canone che quelle concernenti ogni altro corrispettivo.
* Pret. civ. Roma, 20 dicembre 1988, n. 01 Marimonti c. Termignone, in Arch. loc. e cond. 1989, 781.
Qualora l'immobile venga rilasciato ingombro delle cose del conduttore, non integrato l'inadempimento
dell'obbligo di restituzione di cui all'art. 1591 cod. civ., ma l'inesatto adempimento di tale obbligo e,
conseguentemente, il risarcimento del danno che dall'inesatto adempimento deriva non suscettibile della
liquidazione legale operata dall'art. 1591 cod. civ., ma di una liquidazione che il giudice deve di volta in volta
operare, in relazione alla consistenza ed alla quantit delle cose che il conduttore abbia lasciato nell'immobile.*
Trib. civ. Milano, sez. X, 20 febbraio 1989, n. 1494, Pomentale c. Riunione Adriatica di Sicurt Spa, in Arch. loc.
e cond. 1990, 88.
In tema di locazioni di immobili urbani ad uso abitativo, l'art. 1591 cod. civ., non derogato da alcuna norma
speciale, trova applicazione sin dalla data della scadenza legale o convenzionale del contratto, sicch da tale
data il conduttore va considerato in mora ove non restituisca l'immobile locato, con conseguente obbligo di
risarcire il danno anche in dipendenza di clausola penale, pattuita con il contratto; n la mora esclusa, con
conseguente operativit della clausola penale, ove la data di rilascio dell'immobile venga fissata dal giudice in
epoca successiva alla data di scadenza legale o convenzionale ai sensi dell'art. 56 della L. n. 392 del 1978 o
venga prorogato lo sfratto in base alle leggi speciali di graduazione degli sfratti che, senza eliminare la mora,
tendono unicamente a consentire al conduttore il reperimento di idonea sistemazione.
* Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 1989, n. 4429, Corvino c. Soria, in Arch. loc. e cond. 1990, 248.
L'art. 1591 cod. civ. continua a rappresentare, in materia di ritardo del conduttore nella restituzione dell'immobile,
il principio generale, ma esso va necessariamente coordinato con l'art. 56 l. n. 392/1978 nel senso che
presupposto indispensabile per l'applicabilit della norma una situazione di mora del conduttore, preesistente
e regolarmente posta in essere.
* Pret. civ. Bari, 6 novembre 1989, n. 857, Alleanza Assicurazioni Spa c. Calabrese, in Arch. loc. e cond. 1990,
130.
Deve ritenersi sia incorso in mora - e cio ritardo a lui imputabile, che determina l'applicabilit dell'art. 1591 cod.
civ. - il conduttore che, gi beneficiario della proroga contrattuale di cui alla legge n.118/85, non abbia restituito
l'immobile dopo il 30 aprile 1986 (data di pubblicazione della sentenza Cost. n. 108/86), a nulla rilevando la
disposizione di cui all'art. 69 della legge n. 392/78 in base alla quale l'esecuzione del provvedimento di rilascio
condizionata all'avvenuta corresponsione dell'indennit di avviamento.* Trib. civ. Bari, sez. III, 27 febbraio 1987,
n. 845, Loconsolo c. Bellomo, in Arch. loc. e cond. 1987, 342.
L'art. 1590 c.c., secondo cui il conduttore deve restituire al locatore la cosa nello stato medesimo in cui l'ha
ricevuta, in conformit alla descrizione fattane dalle parti, e, in mancanza di descrizione, si presume che il
conduttore abbia ricevuto la cosa in buono stato di manutenzione, deve ritenersi applicabile anche al rapporto
d'affitto di cosa produttiva.
* Cass. civ., sez. III, 23 marzo 1991, n. 3116, Bensacera G. c. Arnone F. e M.
L'impossibilit di ottenere una casa implica necessariamente il pericolo attuale di un danno grave alla persona e
l'occupazione abusiva di un alloggio pu essere ritenuta scriminata dallo stato di necessit allorch tale pericolo,
oltre ad esser attuale, non sia stato causato volontariamente dall'imputato, nel senso che questi abbia occupato
l'immobile solo come estrema ratio, dopo essersi mosso nel rispetto della legge e delle sue procedure. Pret.
pen. Lecce, sez. dist. Nard, 30 aprile 1994, Muci, in Arch. loc. e cond. 1994, 854.
Malgrado la detenzione sine titulo di un immobile rappresenti indiscutibilmente la fonte potenziale di un danno
ingiusto, il proprietario che agisca per ottenerne il risarcimento a carico dell'occupante abusivo - non limitandosi
ad avanzare una domanda generica - ha l'onere di dimostrare la sicura esistenza e l'entit del pregiudizio
economico subito a seguito della lamentata situazione; tale danno, quindi, non pu commisurarsi
automaticamente al presumibile canone di locazione relativo a quel bene, almeno finch manchi la prova che il
medesimo - una volta libero - sarebbe stato realmente preso in locazione, attestandone la decorrenza e la
misura del corrispettivo.* Trib. civ. Bologna, 5 dicembre 1996, n. 1931, Fallimento Coppola Ciro c. Soc. Ditta
Automobili Lelli, in Arch. loc. e cond. 1997, 268.
La devoluzione al giudizio di arbitri della questione se sia o meno legittimo il rifiuto del locatore di ricevere in
restituzione l'immobile locato non trova ostacolo nell'intervento del giudice ordinario con riguardo alla nomina del
sequestratario.
* Pret. civ. Udine, 18 marzo 1997, n. 142, Soc. Supermercati Pam c. Soc. Impregilo, in Arch. loc. e cond. 1997,
470.

La presunzione di colpa sancita dall'art. 1588 c.c. a carico del conduttore in ordine alla perdita o deterioramento
della cosa locata, derivanti da incendio, pu essere vinta soltanto mediante la dimostrazione che la causa
dell'incendio, identificata in modo positivo e concreto, non a lui imputabile, onde in difetto di tale prova, la
causa, sconosciuta o anche dubbia della perdita o del deterioramento in questione rimane a suo carico con il
conseguente obbligo di risarcimento del danno che deve comprendere pure i canoni di locazione dovuti in base
al contratto fino allo spirare dello stesso come corrispettivo spettante al locatore per il mancato guadagno.*
Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 1997, n. 1441, Emme.Ti.Bi. c. Manzone.
Con riferimento agli obblighi gravanti sul conduttore al momento della riconsegna dell'immobile al termine del
rapporto locativo, rientrano nel normale degrado d'uso i fori da tasselli nel rivestimento della cucina derivanti
dalla necessit di appendere pensili e i fori per il sostegno delle tende. Inoltre, la tinteggiatura non pu essere
posta a carico del conduttore, atteso che rientra nel normale degrado d'uso il fatto che dopo un certo periodo di
tempo i mobili e i quadri lascino impronte sulle pareti.
* Pret. civ. Padova, 24 giugno 1997, n. 345, Sada c. Rampado, in Arch. loc. e cond. 1998, 113.
Bench l'occupazione senza titolo di un immobile costituisca indiscutibilmente fonte potenziale di un danno
ingiusto, il proprietario che agisca per il risarcimento (non generico) del danno nei confronti dell'occupante
abusivo ha l'onere di fornire la prova dell'esistenza certa e dell'entit del danno subito a causa della predetta
situazione. Tale danno, pertanto, non pu essere commisurato automaticamente al presumibile canone di
locazione dell'immobile, mancando la prova che questo, ove fosse stato libero, sarebbe stato certamente
concesso in locazione, da quale momento e per quale corrispettivo (nella specie, stata ritenuta infondata la
pretesa di un risarcimento del danno commisurato al canone pagato dal conduttore che, dopo avere esercitato il
recesso dal contratto, anzich riconsegnare l'immobile al locatore, vi aveva immesso il terzo poi convenuto in
giudizio, rimanendo cos responsabile ai sensi dell'art. 1591 cod. civ.).
* Pret. civ. Milano, 29 gennaio 1988, Dalton Spa c. Mazzarelli n.c., in Arch. loc. e cond. 1989, 398.
E' fondatamente esercitato il diritto della societ proprietaria di riottenere la piena disponibilit dell'autorimessa
oggetto di concessione precaria, qualora tale concessione non si sia rinnovata per la mancanza di richiesta
scritta da parte del concessionario e la stessa societ avente causa dalla concedente abbia esercitato la facolt
di revoca chiedendo il rilascio del bene predetto.* Pret. civ. Roma, 4 luglio 1989,Soc. CE.SE.LE.CO.FI. c.
Chabod, in Arch. loc. e cond. 1989, 763.
In tema di responsabilit del conduttore per perdita o deterioramento della cosa locata verificatisi nel tempo in
cui egli ha ammesso un terzo al godimento della cosa, l'art. 1588 c.c. va interpretato nel senso che il conduttore
non pi responsabile quando detti eventi si configurano rispetto al terzo, tenuto ad osservare nel suo
godimento lo stesso grado di diligenza del conduttore, come non dipendenti da causa a lui imputabile.
* Cass. civ.,sez. III, 25 maggio 1998, n. 5193,Inzoli ed altri c. Soc. Agricola Murasecca, in Arch loc. e cond.
1998, 538.
Qualora, in violazione dell'art. 1590 c.c., al momento della riconsegna l'immobile locato presenti danni eccedenti
il degrado dovuto a normale uso dello stesso, incombe al conduttore l'obbligo di risarcire tali danni, consistenti
non solo nel costo delle opere necessarie per la rimessione in pristino, ma anche nel canone altrimenti dovuto
per tutto il periodo necessario per l'esecuzione e il completamento di tali lavori, senza che, a quest'ultimo
riguardo, il locatore sia tenuto a provare anche di aver ricevuto - da parte di terzi - richieste per la locazione, non
soddisfatte a causa dei lavori.* Cass. civ., sez. III, 1 luglio 1998, n. 6417, Soc. Pomona Seconda c. Ministero
delle finanze, in Arch. loc. e cond. 1998, 682.
L'autorizzazione prefettizia di cui all'art. 35 della legge n. 253 del 1950 incide sull'attuazione della sentenza di
sfratto dei locali adibiti a farmacia, ma non sulla mora di cui all'art. 1591 c.c. Consegue che inadempiente e
tenuto al risarcimento del danno, a norma dell'art. 1591 c.c., il conduttore di un immobile adibito a farmacia che
abbia restituito l'immobile stesso dopo il termine fissato dalla sentenza di rilascio, indipendentemente
dall'autorizzazione sopra detta.* Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1998, n. 10032, Bongini c. Baldanzi ed altra, in
Arch. loc. e cond. 1998, 844.
La domanda di determinazione del corrispettivo dovuto dal conduttore in mora nella restituzione dell'immobile, ai
sensi dell'art. 1591 c.c., avendo per oggetto una prestazione che mantiene tutte le caratteristiche del normale
canone di locazione, anche in ordine alle norme applicabili per la sua determinazione, rientra
(indipendentemente dal fatto che essa sia rivolta a conseguire solo il maggior danno, oppure anche il danno
specificamente commisurato all'entit del canone di locazione, o solo a quest'ultimo) nella competenza per
materia del pretore, ai sensi degli artt. 8 e 447 bis c.p.c.* Cass. civ., sez. III, 10 settembre 1998, n. 8964, De
Giovanni ed altra c. Soc. De Agostini Diffusione del Libro, in Arch. loc. e cond. 1998, 855.
In tema di pregiudizio subito dal locatore per non aver potuto utilizzare direttamente e tempestivamente
l'immobile locato a causa del ritardo nella consegna, ai fini della determinazione del <<maggior danno>>
risarcibile, ex art. 1591 c.c., il giudice deve valutare se effettivamente il locatore aveva esigenza di utilizzare in
proprio l'immobile che gli appartiene, nonch (sia in riferimento al nesso causale tra mora restituendi e danno,
sia in relazione all'obbligo del creditore di contenere con l'ordinaria diligenza le conseguenze dannose poste in
essere dalla serie causale del debitore) la idoneit dell'immobile stesso in rapporto a dette esigenze e la
proporzionalit - rispetto ad entrambi questi elementi - della soluzione logistica da lui prescelta
temporaneamente. (Nella fattispecie il danno stato valutato tenendo presente il costo medio di un
appartamento congruo per le esigenze immediate del locatore ed ubicato in zona equivalente a quello ancora
occupato).* Trib. civ. Milano, 30 ottobre 1997, Scibetta c. Zani, in Arch. loc. e cond. 1998, 885.
Il principio desumibile dall'art. 1590 c.c. che legittima il locatore a rifiutare la riconsegna dell'immobile ed a
pretendere il pagamento del canone fino alla sua rimessione in pristino, va coordinato con il principio di cui
all'art. 1227, comma secondo c.c. secondo il quale in base alle regole dell'ordinaria diligenza il creditore ha il
dovere di non aggravare con il fatto proprio il pregiudizio subito, pur senza essere tenuto all'esplicazione di

un'attivit straordinaria e gravosa e, cio, ad un facere non corrispondente all'id quod prelumque accidit. Ne
deriva che il locatore non pu rifiutare la riconsegna ma pu soltanto pretendere il risarcimento del danno
cagionato all'immobile, costituito dalle spese necessarie per la rimessione in pristino e dalla mancata percezione
del reddito nel periodo di tempo occorrente, nel caso in cui il deterioramento dipenda da inadempimento
dell'obbligo di provvedere alle riparazioni di piccola manutenzione ex art. 1576 c.c.; il locatore pu invece
rifiutare la riconsegna dell'immobile locato nel caso in cui il conduttore non abbia adempiuto all'obbligo,
impostogli dal contratto, di provvedere alle riparazioni eccedenti l'ordinaria manutenzione o per avere egli di
propria iniziativa apportato trasformazioni o innovazioni, poich in tale caso la rimessione in pristino
richiederebbe l'esplicazione di un'attivit straordinaria e gravosa e, cio, un facere al quale il locatore non
tenuto secondo l'id quod prelumque accidit.* Cass. civ., sez. III, 13 luglio 1998,n. 6856, Tirelli c. Soc. Wandar, in
Arch. loc. e cond. 1999, 269.
Qualora il conduttore di un immobile, dopo avere intimato al locatore di riprenderne possesso, chieda ed ottenga
dal giudice la nomina di un sequestratario a norma dell'art. 1216 c.c., il rigetto della domanda di convalida della
procedura, che egli abbia proposto, impedisce di fare carico delle spese di custodia al locatore.* Cass. civ., sez.
III, 13 luglio 1998,n. 6856, Tirelli c. Soc. Wandar, in Arch. loc. e cond. 1999, 269.
In tema di locazione abitativa, il conduttore in ritardo nella riconsegna dell'immobile tenuto a norma dell'art.
1591 c.c. dalla data di cessazione legale del contratto, oltre al pagamento del corrispettivo convenuto, anche al
risarcimento del maggior danno subito dal locatore, a titolo di responsabilit contrattuale per il ritardato
adempimento - e pertanto, qualora questo danno sia stato determinato con apposita clausola penale, a
corrispondere l'ammontare di detta penale - ancorch il ritardo sia dipeso da vicende dilatorie dovute a termini
fissati in sentenza per l'esecuzione e graduazione dello sfratto o a proroghe e sospensioni ex lege dello stesso,
perch trattandosi di termini apposti alla esecuzione forzata e non all'adempimento, non fanno venir meno la
mora e cos la responsabilit del conduttore.* Cass. civ., sez. III, 28 settembre 1998, n. 9698, Sagliocco c.
Sersale.
In tema di restituzione dell'immobile locato, il conduttore non deve sopportare le spese per i deterioramenti
imputabili a vetust ma solo quelli riconducibili a proprio comportamento, con la conseguenza che anche i piccoli
deterioramenti dovuti a vetust fanno carico all'inquilino ove siano conseguenza dell'uso, e cio del modo in cui
egli abbia adoperato la cosa. (Nella specie, alla stregua del principio enunciato, il tribunale ha condannato il
conduttore al pagamento delle spese necessarie alla raschiatura e verniciatura di porte, finestre e pavimento in
legno, nonch a quelle per la sostituzione di parte delle finestre, trattandosi di deterioramenti causati dall'uso
improprio e dalla cattiva custodia).
* Trib. civ. Udine, 24 agosto 1999, n. 709, Guizzardi c. Rossi, in Arch. loc. e cond. 1999, 967.
RIPARAZIONI STRAORDINARIE
La distinzione tra riparazione ordinarie e straordinarie, prevista relativamente ai beni immobili negli artt. 1005 e
1025 c.c. in materia di usufrutto, uso ed abitazione, nell'art. 1576 c.c. per le locazioni e nell'art. 1625 c.c. per
l'affitto di cosa produttiva, riguarda la materialit delle riparazioni sotto il profilo della tecnica edilizia, e non la
funzione e le finalit del negozio giuridico cui detti beni si riferiscono. (Nella specie, la Corte di cassazione ha
ritenuto corretta la valutazione del giudice di merito secondo cui le riparazioni all'intonaco, l'imbiancatura delle
pareti, la riverniciatura di porte e finestre sono riparazioni ordinarie incombenti al conduttore). * Cass. civ., sez.
III, 16 luglio 1973, n. 2061.
Quando l'immobile locato fa parte di un condominio l'aumento di canone applicabile ai sensi dell'art. 23 della L.
n. 392/78 consentito anche nel caso in cui le riparazioni straordinarie siano state eseguite su parti comuni.
* Pret. civ. Vicenza, 2 ottobre 1984, n. 414, Quadri c. Ferrari, in Arch. loc. e cond. 1984, 657.
Le riparazioni straordinarie eseguite sull'immobile locato in tanto rilevano ai fini dell'applicazione degli aumenti di
canone consentiti dall'art. 23 della L. n. 392/1978 in quanto siano state eseguite in corso di contratto e solo
nell'ambito e per la durata del contratto nel corso del quale sono state eseguite.
* Pret. civ. Vicenza, 2 ottobre 1984, n. 414, Quadri c. Ferrari, in Arch. loc. e cond. 1984, 657.
Le riparazioni straordinarie eseguite sull'immobile locato rilevano, ai fini dell'aumento di cui all'art. 23 della L.
392/1978, anche nell'ipotesi in cui i lavori in parola siano stati eseguiti dopo l'entrata in vigore della legge citata
ed in contemplazione della stipula di un contratto di locazione.* Pret. civ. Verona, 13 marzo 1985, n. 351,
Garzotti c. Airioli, in Ach. loc. e cond. 1985, 330.
Ove nell'immobile siano stati eseguiti lavori di integrale ristrutturazione o di completo restauro (art. 20, comma II,
L. 392/78), i medesimi incidono sotto il profilo della vetust e non rilevano sotto il diverso profilo di cui all'art. 23
legge cit. (riparazioni straordinarie).
* Pret. civ. Firenze, 4 marzo 1986, Traverso c. Caponieri, in Arch. loc. e cond., 640.
Le riparazioni straordinarie eseguite prima dell'inizio della locazione devono essere prese in considerazione agli
effetti di cui all'art. 23, L. n. 392/78 fino a quando permangono gli effetti delle riparazioni stesse.* Pret. civ.
Firenze, 4 marzo 1986, Traverso c. Caponieri, in Arch loc. e cond., 640.
L'obbligo previsto dalla norma di cui all'art. 1575, n. 2, cod. civ., secondo cui il locatore deve mantenere la cosa
locata in stato di servire all'uso convenuto, e che trova il suo sviluppo nel successivo art. 1576 cod. civ.,
presuppone che il conduttore abbia riconosciuta idonea la cosa a quell'uso al momento della consegna, e
consiste nel provvedere nel corso della locazione a tutte le riparazioni ordinarie e straordinarie (tranne quelle di
piccola manutenzione a carico del conduttore) necessarie a mantenere l'immobile nello stato esistente all'atto di
stipulazione del contratto in relazione alla destinazione desiderata. Detto obbligo non comprende le opere
imposte nel corso della locazione dalla natura dell'attivit del conduttore, le quali, modificando l'originario stato di
fatto, non rientrano nel concetto di manutenzione. (Fattispecie in cui un locale era stato locato ad uso
autorimessa - senza peraltro che il locatore ne garantisse in contratto tale uso durante la locazione - e che era,
all'inizio della locazione, fornito di certificato prevenzione incendi mentre i Vigili del fuoco avevano poi imposto

nuove opere in base a sopravvenute disposizioni di legge).* Corte app. civ. Roma, sez. IV, 15 gennaio 1987, n.
111, Ronchi c. Cassa Nazionale di previdenza e assistenza dei geometri, in Arch loc. e cond. 1988, 418.
Le controversie considerate dall'art. 23 della L. 27 luglio 1978, n. 392, da decidersi col procedimento di cui agli
artt. 43 e segg. della stessa legge, sono quelle relative all'aumento del canone di locazione preteso dal locatore
a seguito di riparazioni straordinarie eseguite nell'immobile locato, per cui deve escludersi, nel relativo giudizio,
l'ammissibilit di una domanda riconvenzionale spiegata dal conduttore per ottenere l'esecuzione di riparazioni.
* Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 1987, n. 1924, Flammini c. Paolini, in Arch. loc. e cond. 1987, 283.
Con riguardo alle locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo, la pattuizione che, in deroga a quanto
disposto dagli artt. 1576 e 1609 c.c., impone al conduttore l'obbligo sia della manutenzione ordinaria che di
quella straordinaria relativa agli impianti ed alle attrezzature particolari (nella specie si trattava di locale ad uso
autorimessa ed officina), restando a carico del locatore soltanto le riparazioni delle strutture murarie, non incorre
nella sanzione di nullit stabilita dall'art. 79, primo comma, della l. n. 392 del 1978, atteso che la disciplina delle
suddette locazioni non contempla anche l'art. 23 di tale legge in tema di riparazioni straordinarie, n la
predeterminazione legale di limiti massimi del canone, suscettibili di superamento in caso di attribuzione
convenzionale dell'onere economico delle spese di manutenzione.* Cass. civ., sez. III, 15 marzo 1989, 1303, Srl
Samegep c. Inpdai, in Arch. loc. e cond. 1989, 250.
L'aumento del canone per riparazioni straordinarie - a differenza dell'aggiornamento - non pu ritenersi
compreso nel canone per il fatto che quest'ultimo sia maggiore di quello legale, dato che ne costituisce una
integrazione aggiuntiva e presuppone la specifica richiesta al conduttore.* Pret. civ. Bologna, 20 agosto 1990,
Sticchi c. Galli, in Arch. loc. e cond. 1990, 777.
Ai fini della richiesta di integrazione del canone nel caso di riparazioni straordinarie, le opere prese in
considerazione ex art. 23 L. n. 392/1978 sono esclusivamente quelle eseguite all'interno del periodo di locazione
e che consistano non necessariamente in riparazioni straordinarie, ma anche in opere che, pur non potendosi
considerare necessarie per conservare all'immobile la sua destinazione, siano tuttavia capaci di ovviare al
normale processo di deterioramento degli impianti e presentino un notevole impegno economico.* Pret. civ.
Pordenone, 8 giugno 1991, n. 237, Benedetto c. Riccardi, in Arch. loc. e cond. 1992, 165.
Con riguardo alle locazioni di immobili ad uso diverso dall'abitazione non trova applicazione la normativa dell'art.
23, L. n. 392/1978, specificamente dettata per le locazioni abitative, e quindi non rientra nella competenza per
materia del pretore, ex art. 45, terzo comma della stessa legge, la controversia relativa al rimborso delle spese
sostenute dal conduttore per riparazioni straordinarie.* Trib. civ. Milano, sez. X, 20 febbraio 1992, n. 2181,
Societ Prodigy Italiana c. Societ Northon 16, in Arch. loc. e cond. 1993, 332.
L'art. 1584 c.c., a norma del quale nel caso di riparazioni che comportino limitazione del godimento della cosa
locata, il conduttore ha diritto ad una riduzione del canone in proporzione alla durata delle riparazioni ed all'entit
del mancato godimento, applicabile solo per le riparazioni poste dalla legge a carico del locatore, mentre per
quelle che, per accordo negoziale, debbono essere eseguite dal conduttore, senza essere prevista alcuna
deroga alla disciplina della citata norma, la conseguente riduzione del canone va limitata solo al periodo di
tempo necessario per i lavori di riparazione, che il conduttore, per il dovere di correttezza e buona fede nella
esecuzione dei contratti, tenuto ad eseguire nel pi breve tempo possibile. (Nella specie, trattavasi di
riparazioni straordinarie poste dal contratto di locazione a carico del conduttore).
* Cass. civ., sez. III, 2 novembre 1992, n. 11856, Spa Bastogi c. Ruffini.
Le riparazioni straordinarie eseguite sull'immobile locato rilevano, ai fini dell'aumento di cui all'art. 23 della L. n.
392/78, a prescindere dall'epoca della loro esecuzione. La L. n. 392/78 ha inteso prevedere un canone oggettivo
e la finalit dell'art. 23 quella di incoraggiare le opere di manutenzione straordinaria. Deve comunque trattarsi
di lavori di rilevante entit, tali cio da non incidere semplicemente su altri coefficienti ma da determinare uno
scatto di categoria qualitativa.
* Pret. civ. Ferrara, 2 maggio 1996, n. 185, Bolzati c. Iacp di Ferrara, in Arch. loc. e cond. 1996, 686.
In tema di locazione di immobili urbani ad uso abitativo, l'integrazione del canone prevista dall'art. 23 della legge
n. 392 del 1978 opera non solo per le riparazioni straordinarie realizzate nel corso del rapporto ma anche per
quelle eseguite durante una precedente locazione, purch non al di fuori di qualsiasi rapporto locativo, in quanto
sia il dato letterale che il senso logico della disposizione nonch i criteri d'interpretazione storico-sistematica
concorrono a configurare tale maggiorazione come un ulteriore elemento costitutivo del canone, che permane
oltre la scadenza contrattuale ed indipendentemente dalla persona del conduttore.
* Cass. civ., sez. un., 9 agosto 1996, n. 7329, G.B.S. Srl c. Giacomassi. [RV499088].
La categoria delle riparazioni straordinarie di cui all'art. 23 della L. 27 luglio 1978 n. 392 (connotate dalla loro
importanza e improrogabilit per la conservazione dell'immobile alla sua destinazione e per evitare danni che ne
compromettano l'efficienza) non coincide con quella di opere di straordinaria manutenzione, rientrando in essa
anche le opere di manutenzione di notevole entit, comunque dirette ad evitare il degrado edilizio e
caratterizzate dalla natura particolarmente onerosa dell'intervento manutentivo.
* Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1996, n. 8814, Bianchini c. Fondo pensioni personale Siae , in Arch. loc. e cond.
1997, 79.
In tema di locazione di immobili urbani ad uso abitativo, l'obbligo di integrazione del canone, sancito, a carico del
conduttore, dalla norma di cui all'art. 23 della legge 392/78, opera non solo con riferimento alle riparazioni
straordinarie eseguite nel corso dell'attuale rapporto locatizio, ma anche con riguardo a quelle eseguite durante
precedenti locazioni (non anche, peraltro, al di fuori di qualsivoglia rapporto locativo), in quanto il tenore
lessicale della disposizione in parola (sul piano tanto letterale quanto logico), non meno che i criteri di
interpretazione storico-sistematici, inducono a collocare tale maggiorazione nell'ambito degli elementi costitutivi

del canone, la cui permanenza da ritenersi legittima anche oltre la scadenza contrattuale, ed
indipendentemente dalla persona fisica del conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 1998, n. 1551, Fortini c. Madami Costanza Girolami.
In tema di integrazione del canone di locazione di cui all'art. 23 L. 392/1978, le riparazioni straordinarie rilevano
solo nel caso di interventi posti in essere nell'ambito di un rapporto locatizio, anche se precedente e con altro
conduttore.
* Pret. civ. Terni, 12 gennaio 1999, Trastulli c. Musacchi e Rossetti, in Arch. loc. e cond. 2000, 471.
Miglioramenti e addizioni apportate dal locatore sull'immobile locato - nella specie caldaia a metano, impianto di
condizionamento e porta blindata - non rientrano nell'art.. 23 legge 27 luglio 1978 n. 392 a norma del quale egli,
per riparazioni straordinarie, pu chiedere al conduttore un'integrazione del canone.
* Cass. civ., sez. III, 30 luglio 1999, n. 8298, Vitale c. Donato, in Arch. loc. e cond. 2000, 62.
RISCALDAMENTO E RISPARMIO ENERGETICO
SOMMARIO: a) Collaudo dell'impianto; b) Combustibili; c) Condutture e tubature; d) Distacco dell'impianto
centralizzato; e) Griglia di aerazione; f) Impignorabilit degli impianti; g) Inquinamento atmosferico; h)
Installazione dell'impianto; i) Lettura del contatore; j) Locale sede dell'impianto; k) Obblighi dell'amministratore; l)
Obblighi del locatore; m) Orario di funzionamento; n) Pannelli solari; o) Riattivazione e mantenimento in
funzione; p) Smaltimento delle acque; q) Sostituzione del bruciatore; r) Spese (ripartizione); s) Trasferimento
della centrale termica; t) Trasformazione a gas metano; u) Trasformazione in impianti singoli: v) Tubazioni; w)
Vigilanza; z) Vizi o difetti.
a) Collaudo dell'impianto
Fa capo all'amministratore del condominio l'obbligo, sanzionato penalmente, di denunciare al comando
provinciale dei vigili del fuoco l'installazione dell'impianto di riscaldamento al fine di consentire il collaudo
dell'impianto stesso. Il reato di omessa denuncia al comando provinciale dei vigili del fuoco dell'installazione
dell'impianto di riscaldamento di natura omissiva ed a carattere permanente.* Cass. pen., sez. III, 14 aprile
1976, n. 4676 (ud. 14 marzo 1975).
Le disposizioni in materia di combustibili contenute negli artt. 11, 12. 13 e 14 della L. n. 615/1966, sono
applicabili sia agli impianti termici per uso riscaldamento sia agli impianti termici industriali.* Cass. pen., sez. III,
5 aprile 1990, n. 5187 (ud. 27 febbraio 1990), Massimilla.
b) Combustibili
La modifica del tipo di alimentazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato da gasolio a metano non
costituisce un'innovazione ma, se l'impianto preesistente obsoleto o guasto, rappresenta una manutenzione
straordinaria, mentre se il preesistente bruciatore ancora funzionante, la sua sostituzione rientra nelle semplici
modifiche migliorative dell'impianto, ove diretta a utilizzare una fonte di energia pi redditizia e meno inquinante.
A ci consegue che per l'approvazione della relativa delibera non richiesta la maggioranza prevista dall'art.
1136, comma 5, del c.c.* Corte app. civ. Roma, 7 maggio 1997, n. 1517, Spinazzoli c. Cond. di via Livio
Andronico, in Guida al dir. 1997, 24, 57.
c) Condutture e tubature
Nel caso di attraversamento da parte dei tubi dell'impianto termico condominiale di un vano di propriet
esclusiva non fruente di detto impianto si deve ravvisare l'esistenza di una servit prediale di conduttura di liquidi
a carico di tale vano ed a vantaggio delle altre parti dell'edificio e non la semplice configurazione di opere,
installazioni e manufatti di uso e godimento comune ai sensi dell'art. 1117, n. 3 del codice civile, la quale
presuppone gli estremi del reciproco vantaggio con la conseguenza che per la sua costituzione non sufficiente
il mero consenso verbale del proprietario del vano e la mancata opposizione alle relative delibere condominiali,
essendo richiesto per detto consenso la prescritta forma scritta.* Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1988, n. 1523,
Cond. v. Ledi. Vitt. c. Pipolo.
Nel caso di attraversamento, da parte dei tubi dell'impianto di riscaldamento condominiale, di un vano in
propriet esclusiva sprovvisto di radiatori e quindi non fruente di detto impianto, va ravvisata una servit prediale
di conduttura di liquidi, a carico ditale vano ed a vantaggio delle altre parti dell'edificio, e non la situazione
prevista dall'art. 1117, n. 3, cod. civ.. postulante l'estremo del reciproco vantaggio.* Cass. civ., sez. II, 20
gennaio 1982, n. 369, Marangio c. Cond. V. Innocenz.
Per quanto si presumano di propriet esclusiva del condomino le condutture che si addentrano nei singoli
appartamenti, la trasformazione o la modificazione di tali condutture non pu essere liberamente effettuata dal
condomino, quando essa si traduca in un pregiudizio per gli altri partecipanti alla comunione modificandone i
diritti. Pertanto, il condomino non pu variare, aumentandola, la superficie radiante del proprio impianto di
termosifone, collegato con l'impianto centrale.* Cass. civ., 17 maggio 1960, n. 1216.
In tema di condominio di edifici, i poteri dell'assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135
c.c.), non possono invadere la sfera di propriet dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a
quelle esclusive, tranne che una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di
acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda. Pertanto non consentito alla
maggioranza dei condomini deliberare una diversa collocazione delle tubazioni comuni dell'impianto di
riscaldamento in un locale di propriet esclusiva, con pregiudizio di tale propriet. senza il consenso del
proprietario del locale stesso.*Cass. civ., sez. II, 27 agosto 1991, n. 9157. Tedesco c. Cond. "Pietro da Breggia".
La collocazione in un vano (o altro ambiente o spazio) compreso nel perimetro del condominio delle tubazioni (o
parte di esse) dell'impianto termico centralizzato, o di altro servizio comune, non rende di per s quel vano
insuscettibile di autonomo ed esclusivo diritto di propriet, salve le limitazioni di tale diritto - contraenti
corrispondenti servit - correlata all'obbligo di consentire e conservare la destinazione di tali tubazioni al servizio

ed a vantaggio dell'intero edificio condominiale.*Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1992, n. 5978.
Per gli impianti che servono all'uso e al godimento comune, quali quelli per il riscaldamento, la presunzione di
comunione opera soltanto per tutta quella parte dell'impianto che pu ritenersi centrale, e non anche per le
condutture derivanti che, staccandosi dall'impianto centrale, si addentrano nei singoli appartamenti, in ordine alle
quali vale, invece, la presunzione di propriet esclusiva. La trasformazione o la modificazione ditali condutture
pu essere liberamente effettuata dal condomino soltanto se non si traduca in un pregiudizio degli altri
partecipanti alla comunione, il quale pregiudizio ricorre nell'ipotesi in cui uno dei condomini aumenti la superficie
radiante del proprio impianto di termosifone. collegato con l'impianto centrale di riscaldamento, oltre la misura
prevista dal regolamento. In tal caso, trattandosi di un innovazione, che importa una modificazione dei diritti dei
condomini, il consenso alla trasformazione delle condutture non pu essere provato che mediante scrittura.*
Cass. civ., 31luglio 1958, n. 2812.
La semplice esistenza di una servit di conduzione di tubi nelle strutture murarie di appartamento. a favore del
condominio, non costituisce di per s obbligo del singolo condomino di contribuzione alle spese per il
riscaldamento centrale.
* Pret. civ. Firenze, 17 giugno 1986, Sparnacci c. Condominio via Trieste 26, Firenze, in Arch. loc. e cond. 1986,
497.
In conformit al disposto dell'art. 1117. n. 3, cod. civ., la presunzione di compropriet dell'impianto per il
riscaldamento opera soltanto per quella parte che pu ritenersi centrale e non pure per le condutture che,
staccandosi dall'impianto centrale, si addentrano nei singoli appartamenti e soddisfano, quindi, unicamente le
esigenze individuali di ciascun condomino; ne consegue che, per le suddette condutture, vale la presunzione di
propriet esclusiva da parte del condominio medesimo.
* Corte app. civ. Napoli, sez. I, 21 maggio 1986, n. 845. Candido c. Perillo e Amm. del Condominio via Dei Mille
25, Napoli, in Arch. loc. e cond. 1986, 657.
La presunzione di compropriet ex art. 1117 c.c. dell'impianto centrale di riscaldamento fino al punto di
diramazione ai locali di propriet esclusiva dei singoli condomini non pu essere esclusa per il fatto che alcune
unit immobiliari siano sprovviste di diramazioni, giacch ci che rivela al fine di escludere il concorso nelle
spese l'obiettiva configurazione dei luoghi, tale da escludere di per se stessa la potenzialit d'uso della cosa
comune.* Trib. civ. Milano, 2 marzo 1992. in Arch. loc. e cond. 1992, n. 3.
Integra gli estremi dello spoglio (e non della semplice molestia) e legittima l'esercizio dell'azione di reintegra nel
possesso da parte del conduttore di appartamento sito in edificio munito di impianto centralizzato di
riscaldamento il distacco da siffatto impianto delle tubazioni sottostanti il citato appartamento operato
dall'amministratore del condominio, con conseguente interruzione dell'erogazione di energia termica, solo
allorquando l'intervento spogliativo, consistito nella manomissione dell'impianto, sia stato effettuato su una parte
dell'impianto medesimo di propriet esclusiva del singolo condomino (e, quindi, di pertinenza del conduttore
istante).* Pret. civ. Busto Arsizio, sez. dist. Gallarate, 10 maggio 1994, Albergo c. Condominio dell'Olmo e altra.
in Arch. loc. e cond. 1994, 851.
d) Distacco dall'impianto centralizzato
Qualora alcuni condomini decidano, unilateralmente, di distaccare le proprie unit immobiliari dall'impianto
centralizzato di riscaldamento, i medesimi non possono sottrarsi al contributo per le spese di conservazione del
predetto impianto, non essendo configurabile una rinuncia alla compropriet dello stesso, ma, ove i loro
appartamenti non siano pi riscaldati, non sono tenuti a sostenere le spese per l'uso (nella specie, quelle per
l'acquisto del gasolio), in quanto il contributo per queste ultime adeguato al godimento che i condomini
possono ricavare dalla cosa comune.* Cass. civ., sez. II, 20 novembre 1996, n. 10214, Condominio di via
Piazza n. 15 in Modena c. Fabro ed altri, in Arch. loc. e cond. 1997. 63.
L'impianto centrale di riscaldamento normalmente progettato, dimensionato e costruito in funzione dei
complessivi volumi interni dell'edificio cui deve assicurare un equilibrio termico di base, prevenendo e
distribuendo le dispersioni di calore attraverso i solai e conferendo un apporto calorico alle parti comuni
dell'immobile. Conseguentemente, il distacco delle diramazioni relative a uno o pi appartamenti dall'impianto
centrale deve ritenersi vietato in quanto incide negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune
determinando uno squilibrio termico che pu essere eliminato solo con un aggravio delle spese di esercizio e
conservazione per i condomini che continuano a servirsi dell'impianto centralizzato. Il distacco , invece,
consentito quando autorizzato da una norma del regolamento contrattuale di condominio o dalla unanimit dei
partecipanti alla comunione, ovvero anche quando, da parte dei condomini interessati al distacco, venga fornita
la prova che da questo non possa derivare alcuno dei suddetti inconvenienti.* Cass. civ., sez. II, 30 novembre
1984, n. 6269, Ciuffi c. Cond. V. Kiew FI.
In tema di condominio degli edifici, il singolo condomino non pu sottrarsi all'obbligo di concorrere, secondo la
ripartizione risultante dalle tabelle millesimali - suscettibili di modificazione anche per fatti concludenti - alle
spese di erogazione del servizio centralizzato di riscaldamento distaccando la propria porzione immobiliare dal
relativo impianto, senza che rilevino in contrario n la L. 29 maggio 1982, n. 308, sul contenimento dei consumi
energetici, n la circostanza che il condominio stesso consti di pi edifici
separati, ma serviti da impianti comuni non frazionati in relazione alle singole unit immobiliari.* Cass. civ., sez.
II, 4 maggio 1994, n. 4278, Cond. 5. Giacomo Primo di Torino c. Soc. Cada Sini.
Il singolo condomino non pu, di regola, mediante unilaterale rinunzia al servizio di riscaldamento, sottrarsi
all'obbligo di contribuire al pagamento delle spese di funzionamento di impianto centralizzato di termosifone, sito
in stabile condominiale: resta salva l'eccezionale ipotesi in cui il condomino rinunziante dimostri che l'esclusione
dal riscaldamento di alcuni locali si risolva in una proporzionale riduzione delle spese generali di esercizio.*

Corte app. civ. Milano, sez. I, 12 giugno 1981, n. 889: La Lombarda s.n.c. c. Condominio viale Piave, angolo via
F.lli Cervi - Limbiate, in Arch. loc. e cond. 1982, 75.
Il condomino non pu distaccarsi dall'impianto di riscaldamento centralizzato senza il consenso di tutti gli altri
condomini, n a seguito di ci esimersi dall'obbligo di contribuire alle spese per la prestazione di tale servizio.*
Trib. civ. Napoli, sez. X, 14 ottobre 1987, n. 10251, Rubino c. Condominio di Via Cupa Angara, n. 5, Napoli, in
Arch. loc. e cond. 1988, 440.
Il distacco delle diramazioni di uno o pi appartamenti dall'impianto di riscaldamento centralizzato, con
conseguente esclusione dalle spese di gestione comuni, necessita del voto favorevole di tutti indistintamente gli
interessati al funzionamento dell'impianto, e quindi non solo dei condomini, ma anche dei conduttori di alloggi siti
nel condominio.* Trib. civ. Napoli, 24settembre 1987, n. 8791, Novino c. Condominio di via S. Giacomo dei Capri
39/D, Napoli, in Arch. loc. e cond. 1988, 126.
In caso di illegittimo distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento, il condomino che ha operato il distacco
non tenuto al riallaccio del nuovo impianto a quello centralizzato se il suo comportamento stato causato dalle
omissioni del condominio (nella specie il condominio non aveva provveduto per anni a mettere l'impianto
centralizzato in condizioni di fornire un sufficiente riscaldamento al convenuto).* Trib. civ. Milano, 23 gennaio
1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 363.
Il distacco delle diramazioni relative a uno o pi appartamenti dall'impianto centrale generalmente vietato
perch incide negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio
termico che pu essere eliminato solo con aggravio delle spese di esercizio e conservazione per i condomini
che continuassero a servirsi dell'impianto centralizzato; il distacco consentito, quindi, solamente se venga
fornita la prova che dal medesimo non derivino i suddetti inconvenienti.
* Trib. civ. Torino, sez. I bis, 7 settembre 1987, n. 6030, S.S. Bienes Prima c. Olimpic Srl, in Arch. loc. e cond.
1987, 716.
Il distacco delle diramazioni dall'impianto termocentralizzato incide negativamente sulla destinazione obiettiva
della cosa comune, determinando uno squilibrio termico che pu essere eliminato solo con una maggiore spesa
di esercizio e conservazione per i condomini che continuano a usare dell'impianto, per cui da ritenersi
consentito solo quando previsto dal regolamento contrattuale ovvero quando avvenga col voto unanime dei
partecipanti, oppure nel caso in cui l'interessato al distacco dimostri che da questo non possa derivare alcun
inconveniente.* Trib. civ. Napoli, sez. X, 25 giugno 1986, n. 6703, Rubino c. Cond. via Cupa Angara, 5, Napoli,
in Arch. loc. e cond. 1986, 468.
Il distacco delle diramazioni relative ad uno o pi appartamenti dall'impianto centrale di riscaldamento, qualora
non venga provata l'assenza di inconvenienti per effetto di tale distacco, deve ritenersi vietato in quanto incide
negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio termico che pu
essere eliminato solo con un aggravio delle spese di esercizio e conservazione per i condomini che continuano
a servirsi dell'impianto centralizzato.* Trib. civ. Napoli, sez. X, 26 ottobre 1996, n. 8837, Longo c. Comunione
impianto riscald. viale Tiziano nn. 14 e 22 di Portici e altri, in Arch. loc. e cond. 1996, 933.
In caso di installazione di un impianto autonomo di riscaldamento con distacco da quello centralizzato, la
rinuncia al servizio di riscaldamento e l'esonero dalla relativa spesa non pu essere determinata
autonomamente ed unilateralmente ma, al contrario, deve essere autorizzata dall'assemblea (con il quorum ex
art. 1120 cod. civ.), una volta verificata l'entit della riduzione di spese derivanti dal distacco.* Trib. civ. Roma,
sez. IV, 24 maggio 1985, n. 6623, Lo Cascio c. Cond. di via Arena, 8, Roma, in Arch. loc. e cond. 1986, 113.
Integra gli estremi dell'atto di molestia e legittima l'esercizio dell'azione di manutenzione, ex art. 1170 cod. civ., il
distacco operato da un condomino dall'impianto centralizzato di riscaldamento, ci costituendo alterazione della
cosa comune, con conseguente pericolo di possibili inconvenienti nella sua utilizzazione.* Pret. civ. Firenze, 24
gennaio 1989, Compostrini ed altri c. Bordoni, in Arch. loc. e cond. 1989, 780.
Il distacco delle diramazioni relative a uno o pi appartamenti dall'impianto centrale di riscaldamento e
consentito quando il singolo interessato provi che il distacco stesso non incida negativamente sulla destinazione
obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio termico e, al contrario, possa servire a porre rimedio
ad una situazione di inefficienza dell'impianto comune.* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 gennaio 1989, n. 680,
Condominio di Via Bertelli 2, Milano c. Migliavacca, in Arch. loc. e cond. 1990, 94.
Il distacco delle diramazioni relative ad una o pi porzioni immobiliari dall'impianto centrale di riscaldamento
consentito soltanto quando i singoli interessati provino che dal distacco derivi una effettiva proporzionale
riduzione delle spese di esercizio, senza che si verifichi uno squilibrio in pregiudizio del regolare funzionamento
dell'impianto.* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 11 ottobre 1993, Soc. Sida c. Cond. di via Popoli Uniti n. 24 di Milano,
in Arch. loc. e cond. 1994, 600.
ammissibile il distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento condominiale allorquando, in
considerazione delle particolari caratteristiche tecniche dell'impianto, comporti un'effettiva proporzionale
riduzione del consumo, con esclusione di aggravi di sorta per gli altri partecipanti al condominio.* Trib. civ.
Milano, 7 ottobre 1991, in Arch. loc. e cond., 1992, 87.
Non censurabile l'installazione di un impianto di riscaldamento autonomo aggiuntivo che non arrechi
pregiudizio a quello condominiale ma, qualora dal distacco derivi anche una minima manomissione dell'impianto
centralizzato, ne consegue la condanna alla riduzione in pristino con collegamento all'impianto centralizzato nel
momento in cui esso venga rimesso in funzione.* Trib. civ. Roma, 9 luglio 1988, in Foro it. 1989, I, 2964.
e) Griglia di aerazione
La competenza sulla domanda di sostituzione della griglia di aerazione della centrale comune di riscaldamento,
posta nella soglia di ingresso dell'edificio condominiale, al fine di evitare inconvenienti nel transito, va
determinata in base al valore perch non si configura una controversia sulle modalit di uso del servizio
condominiale (art. 8 n. 4 c.p.c.), n una controversia sulla misura dei servizi del condominio (art. 7 comma

secondo c.p.c.).* Cass. civ. 11 gennaio 1994, n. 223.


f) impignorabilit degli impianti
Gli ascensori e gli impianti di riscaldamento, comprese le caldaie ed i bruciatori, sono parti integranti degli edifici
nei quali sono installati, e non semplici pertinenze; essi, infatti, non hanno una funzione propria, ancorch
complementare e subordinata rispetto a quella degli edifici, ma partecipano alla funzione complessiva ed
unitaria degli edifici medesimi, quali elementi essenziali alla loro destinazione, da ci consegue che l'ascensore
e l'impianto di riscaldamento non sono pignorabili, come beni mobili, separatamente dall'edificio in cui sono
installati, e che l'opposizione con la quale il debitore deduca detta impignorabilit, in quanto tendente a
contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente su quei beni, configura, ai sensi dell' art. 615 c.p.c.,
opposizione all'esecuzione, e non opposizione agli atti esecutivi.* Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1976, n. 654.
g) inquinamento atmosferico
La necessit di dare esecuzione ad una legge imperativa che imponga la adozione di cautele o accorgimenti per
evitare l'inquinamento atmosferico (L. 13 luglio 1966 n. 615) non sottrae le relative delibere dell'assemblea
condominiale all'osservanza delle maggioranze previste dall'art. 1136 c.c. qualora, per eseguire in concreto il
comando della legge, si debba far luogo ad innovazioni in senso tecnico, sia a causa delle opere che per diretta
conseguenza dell'applicazione di quelle cautele e di quegli accorgimenti si rendono necessarie, sia a causa
dello stato dei luoghi condominiali, che debbono essere convenientemente modificati per attuare quelle opere.*
Cass. civ., sez. II, 12 aprile 1976, n. 1281.
La carenza, nell'impianto comune di riscaldamento, dei requisiti tecnici prescritti dalla legge per la sicurezza
delle persone e delle cose e per limitare l'inquinamento prodotto dalla combustione non impedisce alla
assemblea di deliberare sulle relative spese di esercizio (art. 1135 c.c.) perch tale deliberazione non attiene
alla attivazione dell'impianto, che rientra tra i compiti propri dell'amministratore (art. 1130 c.c.).* Cass. civ., sez.
II, 27 settembre 1996, n. 8531, Aliotta c. Condominio Due Palme di via Lentini in Siracusa, in Arch. loc. e cond.
1997, 446.
In forza dell'art. 1131 cc., l'amministratore di un condominio deve osservare ed applicare tutte le disposizioni
legislative e amministrative che possono riguardare il condominio stesso; fra l'altro, egli ha il compito, ai sensi
dell'art. 1130, n. 2 c.c., di disciplinare la prestazione dei servizi di interesse comune, compreso quello del
riscaldamento centrale. Di conseguenza la responsabilit per l'impiego di combustibili proibiti dall'art. 13 L. 13
luglio 1966, n. 615 ricade esclusivamente sull'amministratore e nessun addebito pu venir mosso al singolo
condomino, che pur abbia partecipato ad un'assemblea ove si sia discusso del problema.* Cass. pen., sez. III,
29 maggio 1972, Dal Vecchio.
Le disposizioni in materia di combustibili contenute negli artt. 11, 12, 13 e 14 della L. n. 615/1966, sono
applicabili sia agli impianti termici per uso riscaldamento sia agli impianti termici industriali.* Cass. pen., sez. III,
5 aprile 1990, n. 5187 (ud. 27 febbraio 1990), Massimilla.
Le disposizioni di attuazione delle direttive Cee in materia di qualit dell'aria, contenute nel d.p.r. 24 maggio
1988, n. 203, sono esclusivamente rivolte agli impianti industriali, e non ai titolari di impianti termici per il
riscaldamento di ambienti civili.
* Tar Lombardia, 4ottobre 1991, n. 1227, in Giur. it. 1993, III, 1, 418.
h) Installazione dell'impianto
L'installazione dell'impianto di riscaldamento, avvenuta successivamente alla costituzione del condominio, fa
escludere la presunzione di compropriet dell'impianto stesso, di cui all'art. 1117 cod. civ.* Pret. civ. Napoli, sez.
V, 19 gennaio 1983, D'Alessandro e altro c. Cond. di via Cilea, 26, NA, in Arch. loc. e cond. 1983, 364.
i) Lettura del contatore
Il locatore ha diritto di accedere all'interno di un immobile locato per provvedere alla lettura del contatore
dell'acqua al fine di ripartire le spese secondo le diverse unit immobiliari servite.* Pret. civ. Roma, sez. I, decr.
26 ottobre 1983, Grandi e altro c. D'Agostino, in Arch. loc. e cond. 1984, 327.
j) Locale sede dell'impianto
La dichiarazione dell'assemblea del condominio con la quale viene dato in locazione ad uno dei condomini il
locale condominiale in cui sistemato l'impianto di riscaldamento ed affidato allo stesso condomino la gestione
del servizio di riscaldamento richiede, ai fini della sua validit, la maggioranza semplice, avendo ad oggetto la
disciplina di un servizio volto al soddisfacimento dell'interesse collettivo dei condomini, e non un'innovazione
diretta all'uso pi comodo o al maggior rendimento di cosa comune.* Cass. civ.. sez. II, 28 gennaio 1976, n. 270.
Nell'edificio condominiale, l'impianto di riscaldamento centrale ed i locali ad esso destinati costituiscono un
complesso unitario, indivisibile.* Cass. civ., 26 giugno 1976, n. 2419.
k) Obblighi dell'amministratore
Soltanto nel caso di installazione di un impianto termico centralizzato posto in edificio amministrato in
condominio l'obbligo di presentare idoneo progetto e di adempiere alle prescrizioni della legge incombe
sull'amministratore (e sar necessario predisporre un progetto unitario riguardante l'intero edificio riscaldato); nel
caso, invece, di installazione di impianti termici individuali tale obbligo grava sul proprietario dell'alloggio e,
quindi, dell'impianto.* Trib. civ. Torino, sez. I, 19 ottobre 1994. n. 7963, Rosso Brignone c. Condominio di Via
Assarotti, n. 1, di Torino, in Arch. loc. e cond. 1994, 828.
l) Obblighi del locatore
Qualora l'installazione del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio risulti, in relazione alle
caratteristiche ed alla situazione logistica dell'immobile, non gravosa n voluttuaria, tale innovazione, se
approvata nei modi prescritti, vincolante per tutti i condomini, con la conseguenza che, nell'ipotesi di un locale
dato in locazione, come il proprietario-locatore tenuto a sostenere pro quota le spese di impianto, parimenti il
conduttore non pu sottrarsi (trattandosi di innovazione lecita ex art. 1582 c.c.) al pagamento delle spese di
esercizio fin dal momento dell'attuazione del servizio stesso, ancorch questo sia stato introdotto nel corso della

locazione, essendo l'aumento degli oneri accessori conseguente all'applicazione dell'art. 9 L. 27 luglio 1978 n.
392, senza alterazione del rapporto sinallagmatico, posto che a fronte di una maggiore spesa per il conduttore vi
un obiettivo miglioramento delle condizioni di utilizzabilit del bene.* Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1993, n.
7001, lasparra c. Soc. Perretti.
La legge n. 392 del 1978 (cosiddetta dell'equo canone) disciplina i rapporti tra locatore e conduttore, senza
innovare in ordine alla normativa generale sul condominio negli edifici, sicch l'amministratore ha diritto - ai
sensi del combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 att. stesso codice - di riscuotere i contributi e le spese per
la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da
ciascun condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unit immobiliari
(contro i quali pu invece agire in risoluzione il locatore ex art. 5 della citata legge n. 392 del 1978, per il
mancato rimborso degli oneri accessori), anche con riguardo alle spese del servizio comune di riscaldamento
ancorch questi ultimi abbiano diritto di voto, in luogo del condomino locatore, nelle delibere assembleari
riguardanti la relativa gestione.* Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1994, n. 1104, Comune di Torino c. Cond. di via
Risorgimento n. 14 di Poirino, in Arch. loc. e cond. 1994, 559.
Il conduttore di un immobile ad uso ufficio posto al piano terreno di uno stabile, ed insufficientemente riscaldato
nonostante il regolare funzionamento dell'impianto centralizzato condominiale di riscaldamento, non pu
pretendere dal condominio la realizzazione di modifiche all'impianto esistente o di un nuovo impianto idoneo ad
assicurare nei locali occupati temperature adeguate, n pu vantare analogo diritto nei confronti del locatore. ai
sensi dell'art. 1575 cod. civ., qualora la situazione lamentata dipenda dalle stesse caratteristiche originarie
dell'impianto (di tipo a pannelli radianti posati a pavimento), e debba quindi considerarsi alla stregua di un vizio
dell'immobile gi esistente all'inizio della locazione.* Pret. civ. Milano, ord. 14 giugno 1991, in Arch. loc. e cond.
1992. 421.
ammissibile il provvedimento di urgenza che imponga al locatore di provvedere a proprie spese
all'installazione di un impianto autonomo di riscaldamento se l'originario servizio venuto meno per la decisione
dell'assemblea dei condomini di sopprimere l'impianto centralizzato esistente.* Pret. civ. Roma, ord. 3 marzo
1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 849.
m) Orario di funzionamento
Ogni condomino ha il diritto di ottenere che l'impianto di riscaldamento sia strutturato in modo da assicurare,
nelle ore di accensione, un uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti e ci attraverso opportuni
accorgimenti tecnici, quali una differenziazione delle superfici radianti, in rapporto alla posizione, struttura,
esposizione e volumetria di ogni appartamento. Se peraltro le caratteristiche di posizione, struttura ed
esposizione di un appartamento (nella specie, attico) siano tali da determinare nelle ore di interruzione del
funzionamento dell'impianto un calo della temperatura pi accentuato che negli altri appartamenti, al di fuori di
qualsiasi deficienza nell'organizzazione e conduzione del servizio, il condominio interessato ha diritto di ottenere
una maggiore fruizione del servizio comune - nei limiti stabiliti dalle norme generali regolanti il funzionamento
degli impianti termici - purch ci sia consentito dalle caratteristiche dell'impianto e possa effettuarsi senza
pregiudizio o disagio per gli altri condomini, restando a carico del richiedente la maggiore spesa derivante dal
protratto o pi intenso funzionamento dell'impianto (anche in relazione all'eventuale deterioramento) e quella che
possa rendersi necessaria per la messa in opera di strumenti o l'adozione di accorgimenti tecnici atti ad evitare
un eccesso di calore negli altri appartamenti.* Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1981, n. 3775, Condominio di via XX
Settembre 150, Perugia c. Briziarelli, in Arch. loc. e cond. 1981, 397, motiv. e nota.
Qualora l'accensione anche di notte dell'impianto di riscaldamento, in esito a controversia fra il condominio ed il
singolo condomino, venga prevista quale mera modalit tecnica per assicurare a detto condomino un'erogazione
di calore pari a quella goduta dagli altri proprietari, il passaggio in giudicato della relativa sentenza non osta a
che l'assemblea successivamente deliberi di spegnere l'impianto stesso nelle ore notturne, ove i nuovi
accorgimenti di gestione egualmente consentano il raggiungimento dell'indicato obiettivo.* Cass. civ., sez. II, 17
novembre 1990, n. 11124, Marini c. Samaritan.
Determinare l'orario di funzionamento del servizio di riscaldamento e stabilire la sua gestione costituiscono
modalit d'uso di un servizio condominiale, dal momento che si tratta di stabilire i criteri per l'erogazione ditale
servizio e per il suo uso. La competenza relativa alle cause riguardanti tale materia spetta quindi al giudice
conciliatore ex art. 1 della L. n.399 /1984.* Pret. civ. Treviso, 20 luglio 1985, n. 288, Prioni c. Pavan e altri e
Zanatta n.c., in Arch. loc. e cond. 1986, 155.
Atteso che i rumori e le vibrazioni prodotte dalle apparecchiature che alimentano la rete del riscaldamento
condominiale impongono l'adozione di particolari accorgimenti idonei a riportare nei limiti della normale
tollerabilit tali inconvenienti, l'impianto di riscaldamento deve rimanere fermo dalle ore 22 alle ore 7 ed inoltre,
al fine di ridurre la rumorosit per il periodo in cui si faccia uso ditale impianto, devono essere adottati gli
accorgimenti suggeriti dal consulente tecnico.* Trib. civ. 5. Maria Capua Vetere, 9 giugno 1986, n. 1142, Zacchia
e altro c. Cond. Sol-Air di via Tazzoli, 67, Caserta e altri, in Arch. loc. e cond. 1986, 669.
La domanda diretta ad invalidare una delibera assembleare nella parte riguardante l'orario di funzionamento del
servizio di riscaldamento e la gestione di esso non introduce una controversia sulle modalit d'uso dei servizi
condominiali di cui all'art. 1 della L. n. 399/1984, sibbene sulla misura dei servizi del condominio di case di cui
all'art. 2 della citata legge, ed , pertanto, di competenza del pretore.* Giud. conc. Treviso, ord. 6 giugno 1986,
Prioni e altro c. Pavan e altri, in Arch. loc. e cond. 1986, 521.
E' annullabile per eccesso di potere, ai sensi dell'art. 1130 n. 2 cod. civ., la delibera assembleare che abbia
statuito l'accensione dell'impianto centralizzato di riscaldamento dalle ore 16 alle ore 22, con esclusione delle
ore mattutine, in quanto regola generale (anche alla luce della L. n. 645/1983) che il riscaldamento vada
erogato soprattutto nelle ore pi fredde della giornata, che sono quelle di prima mattina e di sera, nelle quali v'
maggior pericolo che le condizioni climatiche possano procurare danni alla salute di coloro che vivono

nell'edificio e quindi all'interesse della comunione.*Giud. cone. Bari, 10 ottobre 1989, n. 308, Cavone c.
Condominio di via Calefati n. 399 di Bari e Loiodice, in Arch. loc. e cond. 1990, 159.
In materia di servizio di riscaldamento organizzato in un edificio in condominio mediante una centrale termica
comune, l'efficienza e la funzionalit dell'impianto sono direttamente strumentali alla normale abitabilit delle
singole porzioni immobiliari. Ogni condomino, quindi, ha diritto di ottenere che l'impianto di riscaldamento sia
strutturato in modo da assicurare nelle ore di accensione un uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti, e
ci mediante opportuni accorgimenti tecnici, e anche per mezzo di una maggiore fruizione del servizio comune,
nei limiti stabiliti dalle norme generali che regolano il funzionamento degli impianti termici.* Trib. civ. Milano, 25
maggio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 812.
n) Pannelli solari
L'installazione da parte di un condomino di pannelli solari su parte comune dell'edificio condominiale (nella
specie, sul lastrico di copertura del vano scale), che non alteri la cosa comune e non impedisca agli altri
comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto, non costituisce innovazione, n a norma dell'art.
1120 cod. civ., n a norma del successivo art. 1121, ma legittimo uso della cosa comune.* Trib. civ. Salerno,
sez. II, 16 marzo 1982, D'Aniello c. Condominio di via A. Capone 9, Salerno, in Arch. loc. e cond. 1982, 269.
o) Riattivazione e mantenimento in funzione
In tema di condominio negli edifici, legittimo, da parte dei condomini, il ricorso al procedimento ex art. 700 cod.
proc. civ., nel caso in cui il loro diritto al riscaldamento pu subire un danno grave ed irreparabile, sussistendo
pericolo di un concreto nocumento all'integrit psicofisica dei medesimi in conseguenza dell'inerzia degli
amministratori relativamente alla riattivazione e al mantenimento in funzione dell'impianto centralizzato di
riscaldamento a gasolio, nonostante la rigida stagione invernale in atto.* Trib. civ. Molfetta, 31 dicembre 1988,
Nappi e altri c. Condominio Via Serao 24, Molfetta, in Arch. loc. e cond. 1989, 368.
p) Smaltimento delle acque
L'installazione di due pompe per lo smaltimento delle acque dell'impianto di riscaldamento di un condominio
costituisce una modifica migliorativa dell'impianto termico esistente, che non incide sulla cosa comune,
mutandone la funzione o la destinazione: conseguentemente, la relativa deliberazione - come pure la sua
successiva revoca - pu essere adottata dall'assemblea dei condomini senza la maggioranza qualificata
prescritta per le innovazioni.* Cass. civ., sez. II, 22 maggio 1978, n. 2541.
q) Sostituzione del bruciatore
La sostituzione del bruciatore dell'impianto di riscaldamento di un edificio condominiale, nei casi in cui il
bruciatore sostituito era guasto o obsoleto, deve considerarsi atto di straordinaria manutenzione, in quanto
diretto a ripristinare la funzionalit dell'impianto senza alcuna modifica sostanziale e funzionale dello stesso,
mentre deve essere ricondotta alle modifiche migliorative, e non alle innovazioni, se ha lo scopo di consentire
l'utilizzazione di una fonte di energia pi redditizia, pi economica o meno inquinante. (Nella specie, si trattava
della sostituzione di un bruciatore alimentato da gasolio con un bruciatore alimentato da gas metano).* Cass.
civ., sez. II, 18 maggio 1994, n. 4831, Condominio di Via Campania nn. 15 e 17 di Taranto c. Masella.
La spesa per la sostituzione della caldaia ben pu essere legittimamente suddivisa secondo i millesimi della
tabella di riscaldamento, essendo evidente che gli stessi sono proprio deputati al calcolo delle diverse
proporzioni di uso tra i vari utenti.* Trib. civ. Genova, 28 novembre 1996, n. 3300,
r) Spese (ripartizione)
In tema di condominio, ai fin della ripartizione delle spese di riscaldamento, l'unico criterio base che sia
conforme al principio generale di cui all'art. 1123, comma 2, c.c. quello della superficie radiante.* Cass. civ.,
sez. II, 26 gennaio 1995, n. 946, Giani c. Cond. Viale Meyello 6, Milano.
In tema di ripartizione delle spese del servizio condominiale di riscaldamento, i criteri stabiliti dai commi primo e
secondo dell'art. 1123, cc. possono essere derogati - secondo quanto sancisce la detta norma - soltanto da una
convenzione sottoscritta da tutti i condomini o da una deliberazione presa dagli stessi in sede assembleare con
la unanimit dei consensi dei partecipanti alla comunione; e pertanto non consentito all'assemblea
condominiale, deliberando a maggioranza. di porre in via provvisoria le spese di riparazione degli impianti singoli
a carico indistintamente di tutti i condomini.* Cass. civ., sez. II, 16 novembre 1991, n. 12307, Varrica c. Milano.
Nello stesso senso, v. Cass. 4 giugno 1993. n. 6231.
Con riguardo all'impianto di riscaldamento installato in un fabbricato condominiale, l'indagine diretta a stabilire
se il singolo partecipante, che non usufruisca del servizio di riscaldamento (nella specie. in quanto proprietario
esclusivo di negozi), sia ugualmente comproprietario di detto impianto, e, quindi, in applicazione dell'art. 1123
cod. civ., sia tenuto a concorrere nelle spese inerenti alla sua conservazione, va condotta in base ai criteri fissati
dall'art. 1117 cod. civ. sull'individuazione delle parti comuni dell'edificio, tenendo conto che la comunione di detto
impianto, ove debba essere negata in base alla citata norma, pu essere riconosciuta, per effetto di diversa
previsione del regolamento condominiale, solo se esso abbia natura contrattuale, perch predisposto
dall'originario unico proprietario e poi accettato con i singoli atti di acquisto. ovvero perch adottato con il
consenso unanime di tutti i partecipanti, manifestato nelle dovute forme.* Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n.
3966, Cristiani c. Cond. V. Stur. Ge.
L'indagine diretta a stabilire se il singolo partecipante al condominio (nella specie, proprietario di
un'autorimessa), che non usufruisce del servizio di riscaldamento, sia ugualmente proprietario di detto impianto
e, quindi, in applicazione dell'art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere alle spese inerenti alla sua conservazione o
al rifacimento, va condotta in base ai criteri fissati dall'art. 1117 c.c. per l'individuazione delle parti comuni
dell'edificio. Cosicch, limitandosi la propriet comune dell'impianto di riscaldamento al punto di diramazione ai
locali di propriet esclusiva dei singoli condomini, qualora manchi detta diramazione, poich non esiste la
possibilit che i locali medesimi fruiscano del riscaldamento, l'impianto non pu considerarsi destinato alloro
servizio.* Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1996, n. 4270, Cond. Tre Stelle c. Benardi.

L'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti
comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla
maggioranza trova la sua fonte nella compropriet delle parti comuni dell'edificio (art. 1123, primo comma, c.c.);
con la conseguenza che la semplice circostanza che l'impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi
sufficiente calore non pu giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio
dell'impianto, dato che il condomino non titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura
contrattuale sinallagmatica e, quindi, non pu sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o
insufficiente erogazione del servizio.* Cass. civ., sez. un., 26 novembre 1996, n. 10492, Rauco c. Condominio di
Via Vaccari 38 in Roma, in Arch. loc. e cond. 1997, 61.
Il singolo condomino non titolare di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica nei confronti del condominio
relativamente all'utilizzazione dei servizi comuni e, pertanto, non pu sottrarsi dal contribuire alle spese di
gestione del servizio di riscaldamento centralizzato in proporzione ai millesimi, allegando la mancata o
insufficiente erogazione di quel servizio, n pu proporre azione di danno contro il condominio per il mancato
promovimento dell'azione contrattuale nei confronti dell'impresa installatrice dell'impianto, posto che il
condomino conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei
suoi diritti di comproprietario pro quota delle parti comuni, potendo ricorrere all'autorit giudiziaria nel caso di
inerzia dell'amministrazione del condominio a norma dell'art. 1105 c.c., dettato in materia di comunione, ma
applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio disposto dall'art. 1139 c.c.* Cass. civ. 15 dicembre
1993, n. 12420.
n tema di condominio degli edifici, qualora il bene comune, come l'impianto di riscaldamento, si trovi in
situazione di inscindibilit materiale o funzionale con i manufatti afferenti alle porzioni di propriet esclusiva dei
singoli condomini (nella specie, trattandosi di impianto realizzato con serpentine inserite nei solai), il potere del
regolamento, e, correlativamente, dell'assemblea dei condomini nel rispetto del regolamento, di provvedere in
ordine alla gestione di detto bene comune (nella specie, ripartendo fra tutti i condomini le spese di riparazione
delle serpentine dei singoli appartamenti) non resta escluso a causa della inevitabile incidenza riflessa di tale
gestione su quelle propriet esclusive.* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1983, n. 960, Soc. Ac. Au. c. Condominio
A-4.
Qualora un regolamento di condominio - avente natura contrattuale per essere stato richiamato espressamente,
quale parte integrante, negli atti di acquisto delle singole unit immobiliari facenti parte del condominio stabilisca che i condomini sono tenuti a sostenere le spese necessarie per la manutenzione e l'esercizio
dell'impianto di riscaldamento anche nelle diramazioni interne dei singoli appartamenti prevedendo
espressamente anche che tali diramazioni sono di propriet comune, non trova applicazione ai sensi dell'art.
1138 ultimo comma cod. civ. la regola sancita dal secondo comma dell'art. 1123 stesso codice, a norma della
quale le accennate spese vanno commisurate al coefficiente di utilit derivante a ciascuna unit immobiliare dal
servizio di riscaldamento, con la conseguenza che le spese di manutenzione straordinaria e quelle
conseguenziali di restaurazione dell'immobile non possono far carico per intero al condomino proprietario
dell'appartamento nell'ambito del quale stato necessario intervenire, bens per esse si configura l'obbligo di
ripartizione fra tutti i condomini, secondo la regola generale dettata dal primo comma dell'art. 1123 cod. civ. per
le spese di manutenzione delle cose comuni. * Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1980, n. 4717, Cond. V. Cornagg. c.
Soc. Conca MI.
La deliberazione con cui l'assemblea dei condomini approvi la ripartizione delle spese del servizio di
riscaldamento centralizzato senza avere prima accertato il volume dei singoli cespiti, in violazione della
disposizione del regolamento di condominio che prevede il riparto volumetrico della spesa, non affetta da
nullit bens soltanto annullabile, ove denunciata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine di decadenza
di cui all'art. 1137 c.c., non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 c.c.* Cass. civ.,
sez. II, 8 giugno 1993, n. 6403, Ruella c. Cond. Torino.
In tema di ripartizione delle spese del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio, la qualit dell'uso
che un singolo appartamento pu fare del servizio stesso, a norma dell'art. 1123, secondo comma, c.c., va
calcolata, ai fini della determinazione della spesa, in rapporto alla capacit potenziale di assorbimento, e cio, in
forza del fabbisogno obiettivo dell'appartamento stesso, secondo uno dei tanti criteri possibili (numero dei
radiatori o delle bocchette, massa o superficie irradiante, superficie irradiata, cubatura degli ambienti, contatore,
ecc.) con la conseguenza che procedutosi a tale determinazione del fabbisogno, non pu apportarsi alcuna
diminuzione alla correlativa spesa proporzionale per effetto di ragioni particolari (nella specie: temperatura degli
appartamenti dell'ultimo piano del fabbricato inferiore a quella degli altri che determinano quel fabbisogno o che
lo aumentano rispetto ad appartamenti di eguale estensione od eguale cubatura).* Cass. civ., sez. II, 4 agosto
1978, n. 3839.
In tema di ripartizione delle spese condominiali attinenti al servizio centralizzato di riscaldamento di un edificio
adibito ad uso abitativo, che costituito da due appartamenti sia in comunione pro indiviso tra due comproprietari,
trova applicazione la disciplina dettata per la comunione dall'art. 1104 c.c., con la conseguenza che ogni
comproprietario obbligato a sostenere le spese stesse in proporzione al valore della sua quota,
indipendentemente dal concreto vantaggio che tragga dal detto servizio e senza possibilit di sottrarsi a
quest'obbligo rinunciando al servizio medesimo, ove tale rinuncia possa produrre effetti pregiudizievoli per l'altro
comproprietario.* Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1994, n. 3600, Ornamenti c. Anselmi.
Le spese per la conservazione dell'impianto centrale di riscaldamento (nella specie, determinate dalla necessit
di adeguare l'impianto alle nuove prescrizioni tecniche di cui alla L. n. 615 del 1966) sono a carico di tutti i
condomini che possono fruire del relativo servizio, in rapporto al valore della propriet individuale di ciascuno
(art. 1123, primo comma, c.c.). a differenza delle spese di esercizio, che vanno ripartite in proporzione dell'uso e
della utilit che ciascuno pu realizzare dal servizio comune, qualora si tratti di cose destinate a servire i

condomini in misura diversa (art. 1123, secondo comma, c.c.). Ne consegue che anche i condomini, i cui locali
siano privi di radiatori attualmente allacciati all'impianto centrale, sono tenuti a concorrere nelle spese di
manutenzione straordinaria dell'impianto centrale di riscaldamento, secondo la disciplina contenuta nell'art. 1118
c.c..* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1977, n. 693.
La ripartizione delle spese del riscaldamento centralizzato di un edificio in condominio, deliberata dall'assemblea
o disciplinata dal regolamento condominiale, in contrasto con l'art. 1123, primo capoverso, c.c. - secondo cui,
per le cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese vanno ripartite in proporzione all'uso che
ciascuno pu farne - soltanto se debba essere effettuata in base al valore della propriet delle singole quote,
ovvero in base ad un diverso criterio che appaia inidoneo, per la sua evidente irrazionalit, a fissare un congruo
rapporto fra la spesa e l'uso individuale. Qualora, invece, questo rapporto possa essere attuato con pi sistemi
pratici che, come i tre metodi adottati nella prassi edilizia e rispettivamente fondati sulla estensione della
superficie irradiata o sulla cubatura degli appartamenti o sul numero degli elementi radianti, attuano, in modo pi
o meno soddisfacente riguardo alle circostanze del caso, il precetto di legge, la preferenza accordata, in
concreto, ad uno di essi non viziata da illegittimit e sfugge, pertanto, al controllo del giudice, cui spetta
reprimere una deliberazione illegale, ma non sostituire alla deliberazione legalmente adottata una pi
conveniente. senza invadere la sfera di autonomia degli organi condominiali.
* Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 1974, n. 4166.
All'assemblea dei condomini, nell'ambito delle attribuzioni concernenti la gestione delle cose, degli impianti e dei
servizi comuni previste dall'art. 1135 n. 2 c.c., deve riconoscersi la competenza a modificare, in via provvisoria,
tabelle millesimali concernenti il servizio di riscaldamento e di riscuotere i relativi contributi a titolo di acconto e
salvo conguaglio, qualora, in seguito alle modifiche apportate da un condomino all'impianto di riscaldamento
all'interno del proprio appartamento, le tabelle originarie non corrispondano alla nuova estensione degli elementi
radianti.* Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1996, n. 8657, Calvigioni c. Condominio di via Fucini n. 284 in Roma, in
Arch. loc. e cond. 1997, 80.
Con riguardo al risarcimento del danno dovuto a norma dell'art. 1494 c.c. il credito dei comproprietari di un bene
unico ed indivisibile (nella specie, impianto di riscaldamento condominiale) per il rimborso delle spese occorrenti
alla sua riparazione, deve considerarsi indivisibile perch, essendo indivisibile, per finalit e funzione, la
prestazione che ne oggetto, indivisibile anche il fatto ed il risultato del ripristino; tale credito pu essere
pertanto fatto valere da ciascuno dei comproprietari per l'intero, ai sensi dell'art. 1319 c.c. (salva la successiva
definizione del rapporto all'interno della contitolarit).* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4804, Loddo c.
Condominio di Via Francoforte n. 4 in Cagliari e altri.
Il criterio dell'addebito delle spese di riscaldamento in base alla superficie radiante non l'unico idoneo a
consentire una razionale e giusta ripartizione delle medesime, potendo ben applicarsi qualsiasi criterio che con
soddisfacente approssimazione consenta una effettiva distribuzione delle spese in relazione alle caratteristiche
delle singole unit immobiliari e del beneficio effettivamente goduto.* Trib. civ. Milano, sez. X, 9 dicembre 1985,
n. 10314, Pasi ed altro c. Ditta Alpi, in Arch. loc. e cond. 1986, 297.
La carenza, nell'impianto comune di riscaldamento, dei requisiti tecnici prescritti dalla legge per la sicurezza
delle persone e delle cose e per limitare l'inquinamento prodotto dalla combustione non impedisce alla
assemblea di deliberare sulle relative spese di esercizio (art. 1135 c.c.) perch tale deliberazione non attiene
alla attivazione dell'impianto, che rientra tra i compiti propri dell'amministratore (art. 1130 .c.).* Cass. civ., sez. Il,
27 settembre 1996, n. 8531, Aliotta e. Condominio Due Palme di via Lentini in Siracusa, in Arch. loc. e cond.
1997, 446.
Le spese di riscaldamento non sono dal locatore ripetibili se non deliberate o comunque approvate dall'apposita
assemblea dei conduttori.* Pret. civ. Piacenza, 19 giugno 1980, Ina c. Corvini, in Arch. loc. e cond. 1980, 414.
Il criterio di ripartizione delle spese del riscaldamento centralizzato in un edificio in condominio conforme al
criterio legale , allo stato attuale della tecnica termica ed edilizia, quello che assume come parametro la
superficie radiante. Conseguentemente, la delibera condominiale che adotti un diverso criterio (come quello del
riparto della spesa in proporzione alla cubatura), senza che ci sia reso necessario da peculiari caratteristiche
dell'edificio o dell'impianto, lede il diritto del condomino dissenziente alla intangibilit, senza il suo consenso,
della posizione soggettiva in ordine alle cose e ai servizi comuni, stabilita dalla legge o dalle pattuizioni risultanti
dal titolo di acquisto.* Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1974, n. 1300.
La domanda con la quale il conduttore di un immobile urbano richieda al locatore il rimborso delle spese per
opere di trasformazione del riscaldamento centralizzato in impianto autonomo non rientra tra quelle relative alla
straordinaria manutenzione o alla conservazione dell'immobile che, a norma degli artt. 23-45 della L. 27 luglio
1972, n. 392, spettano alla competenza per materia del pretore, e deve essere, quindi, proposta dinnanzi al
giudice competente secondo il generale criterio del valore della causa.
* Cass. civ., 23 maggio 1991, n. 5841.
Obbligato alla corresponsione delle spese condominiali di riscaldamento il proprietario dell'unit immobiliare, e
non il conduttore, qualora manchi la prova della qualit di condomino apparente di quest'ultimo.* Pret. civ.
Roma, 14 novembre 1994, n. 6303, Soc. La Farmacia c. Condominio di via Baldo degli Ubaldi n. 32 in Roma, in
Arch. loc. e cond. 1995, 438.
Nelle locazioni degli immobili urbani, i premi di assicurazione dello stabile, il compenso dell'amministratore ed il
concorso nelle spese di riparazione dell'impianto di riscaldamento e di revisione dell'impianto antincendio non
sono compresi tra gli oneri accessori che l'art. 9 della legge n. 392 del 1978 pone a carico del conduttore - salvo
patto contrario - da valutarsi alla stregua del divieto di pattuizioni dirette ad attribuire al locatore vantaggi in
contrasto con le disposizioni della predetta legge (art. 79, primo comma). Del pari deve ritenersi escluso dalle
spese a carico del conduttore l'ammortamento degli impianti, quale deposito frazionato nel tempo di somme di
danaro necessarie per l'acquisto di nuovi impianti a seguito della vetust di quelli in uso, trattandosi di una

destinazione patrimoniale nell'esclusivo interesse del locatore, tenuto a mantenere la cosa locata in istato da
servire all'uso convenuto e, quindi, a prestare i relativi servizi* Cass. civ., sez. III, 11 novembre 1988, n. 6088, Di
Piazza c. Miglio.
E' nulla la deliberazione condominiale assunta a maggioranza avente per oggetto la modifica della disposizione
contrattuale del regolamento relativa al criterio di ripartizione delle spese di riscaldamento, in quanto, in tal caso,
la possibilit di una modificazione presuppone il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio.* Trib.
civ. Milano, 15 giugno 1989.
E' nulla la deliberazione condominiale che fissi l'applicazione di un criterio di ripartizione di spese per la
sostituzione della caldaia del riscaldamento centralizzato con riferimento alla tabella delle propriet, diretta a
determinare i valori in millesimi da servire per la ripartizione di tutte le spese relative alle parti comuni, che opera
soltanto una elencazione di stile delle parti comuni dell'edificio e "di quant'altro previsto dall'art. 1117 c.c.",
invece che fare riferimento alla tabella di ripartizione della spesa in base all'uso del riscaldamento da ciascun
condomino effettuato.* Pret civ. Bari, 17 marzo 1989, in Rass. equo canone 1989, 185.
L'adesione di tutti i condomini all'esonero di quelli autorizzati dall'assemblea condominiale al distacco
dell'impianto di riscaldamento centralizzato dall'obbligo di contribuire comunque alle spese di manutenzione
ordinaria e straordinaria dell'impianto, non richiede l'atto scritto ad substantiam, potendosi realizzare anche per
facta concludentia.* Trib. civ. Milano 7 ottobre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 832.
In tema di locazione di immobili urbani, appartiene alla competenza per materia del pretore, ai sensi dell'art. 29
della L. 23 maggio 1950, n. 253 e dell'art. 10 della L. 26 novembre 1969, n. 833, la causa, iniziata anteriormente
all'entrata in vigore della L. 27 luglio 1978, n. 392, concernente le domande con le quali il locatore, da un lato,
chieda accertarsi la sussistenza o meno del suo obbligo di contribuire alle spese di riscaldamento in
considerazione del mancato uso del servizio da parte del conduttore e, dall'altro, subordinatamente
all'accertamento di detto obbligo, chieda la condanna del conduttore al pagamento delle dette spese
direttamente all'amministrazione del condominio ovvero alla restituzione di quanto anticipato dallo stesso
locatore.* Cass. civ., 20 agosto 1990, n. 8498.
s) Trasferimento della centrale termica
La delibera con la quale l'assemblea dei condomini decide di demolire e asportare l'impianto di riscaldamento e
di ricostruirlo ex novo in luogo diverso e con caratteristiche del tutto differenti, anche se ispirata dalla necessit
di adeguare l'impianto alle prescrizioni della L. 13 luglio 1966 n. 615, recante provvedimenti contro
l'inquinamento atmosferico, deve pur sempre ritenersi relativa a vere e proprie innovazioni e non ad opere di
manutenzione straordinaria. (Nella specie il condomino lamentava che l'installazione della nuova centrale
termica comportava una sensibile menomazione dell'uso del cortile comune, rendendo difficoltosa la manovra di
accesso al garage di propriet esclusivo dell'attore).* Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1980, n. 2288, Condominio di
Viale Cesare Augusto c. Trasacco. in Arch. loc. e cond. 1980, 372.
t) Trasformazione a gas metano
E' valida la delibera assembleare di trasformazione a gas metano dell'impianto di riscaldamento, adottata con
una maggioranza pari al 51% delle quote millesimali.* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 gennaio 1993, Rossanigo e
altri c. Condominio di Via Pordenone n. 13 di Milano, in Arch. loc. e cond. 1993, 785.
u) Trasformazione in impianti singoli
La delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari a
gas, ai sensi dell'art. 26, comma 2, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, in relazione all'art. 8. comma 1, lett. g)
della stessa legge, assunta a maggioranza delle quote millesimali valida anche se non accompagnata dal
progetto di opere corredato dalla relazione tecnica di conformit di cui all'art. 28. comma primo della legge
stessa, attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera.*Cass. civ., sez. II, 1luglio
1997, n. 5843, Palmisano c. Pietrella e altri.
In tema di condominio di edifici, la delibera dell'assemblea di eliminazione dell'impianto di riscaldamento
centralizzato per far luogo ad impianti autonomi di riscaldamento richiede il consenso unanime dei condomini,
senza che sia sufficiente la maggioranza di cui al secondo e quarto comma dell'art. 1136 c.c., n quella di cui al
quinto comma dello stesso articolo, configurando non una semplice modifica, ma una radicale alterazione della
cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unit
immobiliari gi allacciate o suscettibile di allacciamento, che urta contro il limite invalicabile di cui all'art. 1120,
secondo comma, c.c., che vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al
godimento anche di un solo condomino dissenziente. In tale ipotesi non pu trovare applicazione l'art. 5, quarto
comma. della L. 29 maggio 1982, n. 308. il quale dispone che, in caso di interventi su punti comuni di edifici volti
al contenimento del consumo energetico termico degli edifici stessi ed all'utilizzazione delle fonti energetiche
rinnovabili, sono valide le relative decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali, atteso che presuppone
l'attuazione di un migliore uso o di un maggiore rendimento della cosa comune, ma non il suo mutamento ex art.
1120, secondo comma, c.c. e tantomeno la sua soppressione.* Cass. civ., 10 giugno 1991, n. 6565.
In tema di condominio di edifici, la delibera di rinuncia all'impianto centralizzato di riscaldamento nella disciplina
previgente alla L. 9 gennaio 1991 n. 10, configurando non una semplice modifica, bens una radicale
trasformazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica, obiettivamente
pregiudizievole per tutte le unit immobiliari gi allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, soggetta
all'art. 1120 secondo comma c.c., che vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni dell'edificio inservibili
all'uso o al godimento anche di un solo condomino dissenziente, senza che in contrario rilevi la disposizione
dell'art. 5 della L. 29 maggio 1982 n. 308 (abrogata dall'art. 23 della citata L. n. 10 del 1991), che si riferisce alla
diversa ipotesi di interventi su parti comuni di edifici volti al contenimento di consumo energetico.* Cass. civ.,
sez. II, 16 febbraio 1993, n. 1926, Branchesi c. Cond. Savoia.
L'amministratore del condominio passivamente legittimato in ordine alla domanda giudiziale del condomino

volta all'accertamento della invalidit della delibera assembleare relativa alla trasformazione, secondo le
previsioni della legge 9 gennaio 1991, n. 10, dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari,
trattandosi di controversia riguardante un bene comune; ne deriva che in tale ipotesi non occorre procedere
all'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini, i quali peraltro restano sempre legittimati ad
intervenire in proprio o a proporre impugnazione.* Cass. civ., sez. II, l luglio 1997, n. 5843, Palmisano c. Pietrella
e altri.
E' nulla la deliberazione condominiale di trasformazione dell'impianto termocentralizzato in impianti termosingoli
adottata a maggioranza, qualora non sia accompagnata dall'approvazione di un progetto delle opere da
realizzare, redatto a cura del proprietario dell'edificio o di chi ne ha titolo (normalmente l'amministratore del
condominio) e corredato dalla relativa relazione tecnica di conformit, prescritti dalla L. n. 10/1991 in modo "da
consentire ai condomini dissenzienti di verificare che il sacrificio del loro diritto al mantenimento del servizio
comune risponda alle finalit ed alle prescrizioni della legge stessa".* Trib. civ. Chiavari, 3 maggio 1995, n. 151,
Squassi ed altri c. Condominio di Via Arata n. 17 in Chiavari, in Arch. loc. e cond. 1995, 642.
E' nulla la deliberazione condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento adottata a
maggioranza dei millesimi qualora non sia accompagnata dall'approvazione di un progetto e della relativa
relazione tecnica di conformit prescritti dalla L. n. 10/91, in modo da consentire ai condomini dissenzienti di
verificare che il sacrificio del loro diritto al mantenimento del servizio comune risponda alle finalit ed alle
prescrizioni della legge stessa.* Trib. civ. Roma. sez. III, 3 marzo 1993, n. 3390, Palma e altri c. Cond. di via
Valbondione n. 98 di Roma, in Arch. loc. e cond. 1993, 110.
E' nulla la delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti
termoautonomi adottata con la maggioranza delle quote millesimali senza che ciascun condomino sia stato reso
edotto dell'effettivo contenimento dei consumi energetici tramite la messa a disposizione del progetto e della
relativa relazione tecnica di conformit prescritti dalla L. n. 10/1991.* Trib. civ. Trani, ord. 6 marzo 1996,
2 della L. n. 10/199 1 (disciplina di chiara valenza pubblicistica che, come tale, imperativa e prevalente su
quella privatistica) implicitamente deroga agli artt. 1120 e 1136 c.c., ritenendo sufficiente e valida una delibera
votata dalla sola maggioranza delle quote millesimali, senza che vi sia alcuna necessit della maggioranza
personale: non necessario nemmeno che tale delibera faccia riferimento al progetto esecutivo, alla relazione
tecnica e, pi in generale, al rispetto della normativa UNI e CEI.* Trib. civ. Torino, sez. I, 19 ottobre 1994, n.
7963,
In tema di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti termoautonomi, l'art. 26, n. Per
poter ritenere legittima ex L. n. 10/1991 la delibera di trasformazione dell'impianto termocentralizzato si richiede:
a) l'acquisizione del relativo progetto a gas per il riscaldamento e l'acqua calda; b) l'identificazione dei condomini
che - ex art. 1121 c.c. abbiano dichiarato di non voler beneficiare della trasformazione; c) la definizione precisa
della pratica di trasformazione per la concessione del contributo (preferibilmente unitaria); d) la ripartizione degli
oneri inerenti alla trasformazione.* Trib. civ. Napoli, sez. X, 9 luglio 1993, n. 7244, Graziani e altri c. Condominio
di Viale degli Astronauti n. 6 di Napoli, in Arch. loc. e cond. 1993, 781.
Una delibera assembleare che - in applicazione della L. n. 10/1991 - approvi la trasformazione dell'impianto
centralizzato di riscaldamento in singoli impianti autonomi legittima solo se viene assunta in presenza di un
progetto idoneo a stabilire sia la concreta attuabilit sia l'effettiva convenienza, sotto il profilo del risparmio
energetico, di tale trasformazione.* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 2 aprile 1992, Rossari e altra c. Cond. di via
Risorgimento n. 11 di Corbetta, in Arch. loc. e cond. 1993, 573.
E' valida la delibera assembleare (adottata a maggioranza dei millesimi) la quale, disponendo lo sgombero del
locale contenente la centrale termica al fine della sua sostituzione con impianti termoautonomi, privi alcuni
condomini che ne abbiano fatto richiesta dell'uso dell'impianto centralizzato, di cui essi siano disposti ad
assumersi tutte le spese di gestione. Ci in quanto la ratio della L. n. 10/1991, che quella di contenere il
consumo di energia negli edifici, sarebbe vanificata, dato che il funzionamento di una caldaia idonea a
soddisfare i bisogni di un intero condominio, ma utilizzata di fatto solo da alcuni condomini, determinerebbe un
consumo di energia molto elevato.* Trib. civ. Udine, 30 dicembre 1996, n. 1161, Mezzacasa ed altra c.
Condominio Perseverare di Udine, in Arch. loc. e cond. 1997, 266.
Secondo il combinato disposto degli artt. 8, lettera g) e 26 della L. n. 10/1991, per gli interventi in parti comuni
degli edifici e consistenti nella trasformazione di impianti centralizzati di riscaldamento in impianti unifamiliari a
gas metano, sono valide le delibere assembleari prese a maggioranza delle quote millesimali ed ispirate ad una
finalit di risparmio energetico e di riduzione del tasso d'inquinamento, in sintonia ed in conformit con la ratio
della L. n. 10/1991. Tali delibere non sono inficiate da nullit qualora la decisione dell'assemblea sia stata
assunta pur in mancanza di dati tecnici da cui emerga la convenienza della trasformazione sotto il profilo del
risparmio economico, in quanto trattasi di questione attinente al merito della gestione condominiale.* Trib. civ.
Terni, 18 luglio 1996, n. 422, in Arch. loc. e cond. 1996, n. 5.
La delibera dell'assemblea dei condomini costituisce solo il momento iniziale del procedimento di trasformazione
dell'impianto di riscaldamento da centralizzato a unifamiliare a gas. la cui validit non condizionata dal
preventivo approntamento e messa a disposizione dei condomini del progetto e della relazione tecnica.* Trib.
civ. Avellino, 19 dicembre 1996, n. 1246, Illiano e altri c. Condominio di via Ferriera nn. 16-32 in Atripalda, in
Arch. loc. e cond. 1997, 98.
In tema di condominio degli edifici, la delibera di rinuncia non al mero servizio, ma all'impianto centralizzato di
riscaldamento, configurando non una semplice modifica bens una radicale alterazione della cosa comune nella
sua destinazione strutturale od economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unit immobiliari gi
allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, urta contro il limite invalicabile di cui al secondo comma
dell'art. 1120 cod. civ., che vieta tutte "le innovazioni.., che rendano... parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o
al godimento anche di un solo condomino" dissenziente, senza che possa rilevare la mancanza di assoluta

irreversibilit dell'adottata decisione, n la particolare onerosit del mantenimento ed adeguamento degli


impianti.* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1986, n. 7256, Cond. G. Lido c. Taf.
In tema di condominio la delibera assembleare di eliminazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato per
fare luogo ad impianti autonomi di riscaldamento richiede il consenso unanime dei condomini, senza che sia
sufficiente la maggioranza di cui al secondo e al quarto comma dell'art. 1136 c.c., n quello di cui al quinto
comma dello stesso articolo, configurando non una semplice modifica, ma una radicale alterazione della cosa
comune nella sua destinazione strutturale o economica.* Trib. civ. Napoli, 26 ottobre 1996, n. 8837. in Rass. Ioc.
e cond. 1996, 495.
In tema di condominio degli edifici, la trasformazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in impianti
autonomi, richiede il consenso di tutti i condomini, giacch l'abbandono dell'impianto centralizzato, la rinuncia
alle precedenti modalit di riscaldamento, la destinazione a nuovo impianto di locale idoneo, la necessit di
nuove opere e relativi oneri di spesa, non possono essere imposti al condomino dissenziente, ai sensi dell'art.
1120, secondo comma.* Cass. civ., 27 aprile 1991, n. 4652.
Il condominio pu deliberare, con la maggioranza qualificata di cui al comma 1 dell'art. 1120 c.c., che il
dismesso impianto centralizzato di riscaldamento sia mantenuto in esercizio solo per il riscaldamento dei locali
condominiali, trattandosi di un'attivit che, senza alterarne la consistenza e la destinazione originaria, attua il
potenziamento ed il migliore godimento della cosa comune.* Cass. civ., sez. II, 1 marzo 1995, n. 2329,
Hansalop Anstalt c. Cond. di via Zandonai n. 86-88, di Roma.
La delibera assembleare costituisce solo il momento iniziale del procedimento di trasformazione dell'impianto di
riscaldamento da centralizzato a unifamiliare a gas, procedimento che prevede anzitutto che, a cura del
proprietario dell'edificio o di chi ne ha titolo, sia redatto un progetto delle opere da realizzare, corredato da una
relazione tecnica, da allegare alla denuncia dell'inizio dei lavori (art. 28), finalizzato al rilascio della certificazione
e collaudo delle opere (art. .29) e alla certificazione energetica dell'edificio (art. 30).* Trib. civ. Roma, ord. 4
marzo 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 359.
La delibera assembleare costituisce solo il momento iniziale del procedimento di trasformazione dell'impianto di
riscaldamento da centralizzato a unifamiliare a gas, procedimento che prevede anzitutto che, a cura del
proprietario dell'edificio o di chi ne ha titolo, sia redatto un progetto delle opere da realizzare, corredato da una
relazione tecnica, da allegare alla denuncia dell'inizio dei lavori (art. 28), finalizzato al rilascio della certificazione
e collaudo delle opere (art. .29) e alla certificazione energetica dell'edificio (art. 30).* Trib. civ. Roma, ord. 4
marzo 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 359.
In tema di riscaldamento di condominio degli edifici, la delibera avente ad oggetto la rinuncia all'impianto
centralizzato di riscaldamento e l'installazione di impianti autonomi valida se adottata con la maggioranza
indicata dal quinto comma dell'art. 1136 cod. civ. purch l'installazione degli impianti autonomi non comporti una
spesa eccessivamente onerosa.
*Trib. civ. Roma, ord. 11 novembre 1987, Chiarelli c. Alessandrini e altri, in Arch. loc. e cond. 1988, 400.
In tema di riscaldamento di condominio degli edifici, la delibera avente ad oggetto la rinuncia all'impianto
centralizzato di riscaldamento e l'installazione di impianti autonomi valida se adottata con la maggioranza
indicata dal quinto comma dell'art. 1136 cod. civ. purch l'installazione degli impianti autonomi non comporti una
spesa eccessivamente onerosa.*Trib. civ. Roma, ord. 11 novembre 1987, Chiarelli c. Alessandrini e altri, in
Arch. loc. e cond. 1988, 400.
La decisione di procedere all'installazione di impianti di riscaldamento autonomo, in sostituzione dell'impianto
centralizzato a carbone non costituisce innovazione vietata ex art. 1120 secondo comma c.c., quando
l'assemblea condominiale abbia inteso uniformarsi, con tale delibera, all'ordinanza del Sindaco che vieta
l'utilizzazione di impianti di riscaldamento a carbone e abbia accertato l'impossibilit di trasformare l'impianto
esistente se non a prezzo di oneri estremamente gravosi.* Trib. civ. Milano, 18 dicembre 1991. n. 10582, in
Giust. a Mil. 1992, n. 2.
In tema di innovazioni ex art. 1120 cod. civ., la trasformazione dell'impianto termico condominiale in impianti
termo singoli, comportando la disattivazione dell'impianto condominiale e la sua inutilizzabilit da parte dei
condomini (ad esempio da parte dei condomini dissenzienti) integra una fattispecie di innovazione vietata poich
eccede i limiti della conservazione, dell'ordinaria amministrazione e del godimento delle cose, ed incide
sull'interesse di tutti i condomini, anche se dettata da motivi tecnici.
* Trib. civ. Firenze, 20 ottobre 1988, n. 1609, Kranjcevic Srl c. Condominio di via R. Giuliani, nn. 137-139, in
Firenze, in Arch. loc. e cond. 1989, 527.
In tema di innovazioni ex art. 1120 cod. civ., la trasformazione dell'impianto termico condominiale in impianti
termo singoli, comportando la disattivazione dell'impianto condominiale e la sua inutilizzabilit da parte dei
condomini (ad esempio da parte dei condomini dissenzienti) integra una fattispecie di innovazione vietata poich
eccede i limiti della conservazione, dell'ordinaria amministrazione e del godimento delle cose, ed incide
sull'interesse di tutti i condomini, anche se dettata da motivi tecnici.* Trib. civ. Firenze, 20 ottobre 1988, n. 1609,
Kranjcevic Srl c. Condominio di via R. Giuliani, nn. 137-139, in Firenze, in Arch. loc. e cond. 1989, 527.
Gli assegnatari di alloggi di edilizia pubblica residenziale possono costituire assemblee gestionali dei servizi
comuni, al fine di regolare le modalit della loro erogazione e del loro uso, nonch della ripartizione delle spese
ma non possono, invece, adottare decisioni destinate ad incidere sulla struttura di un impianto comune,
alterandone l'originaria impostazione e modificandone la consistenza e l'ambito degli effetti che gli sono propri.
(Nella specie, trasformazione del servizio centralizzato di riscaldamento con impianto autonomo).* Cass. civ., 23
aprile 1991, n. 4425.
Gli assegnatari di alloggi di edilizia pubblica residenziale possono costituire assemblee gestionali dei servizi
comuni, al fine di regolare le modalit della loro erogazione e del loro uso, nonch della ripartizione delle spese
ma non possono, invece, adottare decisioni destinate ad incidere sulla struttura di un impianto comune,

alterandone l'originaria impostazione e modificandone la consistenza e l'ambito degli effetti che gli sono propri.
(Nella specie, trasformazione del servizio centralizzato di riscaldamento con impianto autonomo).* Cass. civ., 23
aprile 1991, n. 4425.
La delibera assembleare che, avendo constatato lo stato di usura e la non conformit alle norme di sicurezza
antincendi di un impianto di riscaldamento centralizzato autorizza i singoli condomini a procedere
all'installazione di impianti singoli, non arreca alcun pregiudizio al condomino dissenziente, posto che questi non
potrebbe comunque godere dell'impianto, ma consente soltanto ai condomini di procurarsi l'utilit resa in
precedenza dal bene comune con modalit differenti, pi comode e convenienti.
* Trib. civ. Lecce, 30 aprile 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 508.
La delibera assembleare che, avendo constatato lo stato di usura e la non conformit alle norme di sicurezza
antincendi di un impianto di riscaldamento centralizzato autorizza i singoli condomini a procedere
all'installazione di impianti singoli, non arreca alcun pregiudizio al condomino dissenziente, posto che questi non
potrebbe comunque godere dell'impianto, ma consente soltanto ai condomini di procurarsi l'utilit resa in
precedenza dal bene comune con modalit differenti, pi comode e convenienti.* Trib. civ. Lecce, 30 aprile
1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 508.
E' valida la delibera assembleare che, a maggioranza, disponga la sostituzione dell'impianto centralizzato di
riscaldamento a gasolio con impianti autonomi a metano.* Pret. civ. Camerino, 5 giugno 1990, in Arch. loc. e
cond. 1991, 508.
La sostituzione della caldaia dell'impianto autonomo di riscaldamento e produzione di acqua calda che non
comporti una spesa esorbitante da ritenersi opera di manutenzione straordinaria poco rilevante finalizzata al
solo mantenimento dello stato di conservazione e manutenzione del bene (art. 21, secondo comma, n. 6, L. n.
392/1978) e non di riparazione straordinaria di rilevante entit.* Pret. civ. Matera, 21 maggio 1992, in Arch. lioc;
e cond. 1992, 387.
Costituisce innovazione la disattivazione definitiva dell'impianto centralizzato di riscaldamento ed acqua calda
con conseguente trasformazione in impianti di riscaldamento autonomo, secondo le scelte da operarsi dai
singoli condomini nell'ambito delle rispettive propriet esclusive.* Corte app. civ. Genova, 19 febbraio 1991, n.
53, in Arch. loc. e cond. 1991, 508.
La trasformazione di un impianto centralizzato di riscaldamento in impianti a gas di propriet singola (avvenuta
in virt di quanto dispone la L. 9 gennaio 1991, n. 10) esclude sia sotto l'aspetto funzionale che sotto quello
giuridico la conservazione attiva del sistema termico trasformato, le cui componenti materiali rimangono solo
come semplici residuati per la opportuna rottamazione, non potendo la minoranza dissenziente pretendere di
lasciare attivo ovvero riattivare e far funzionare a proprie spese l'impianto trasformato, in quanto ci sarebbe
contrario alla ratio legis che chiaramente quella della razionalizzazione dell'energia sotto il triplice profilo
termico, economico ed ecologico.* Trib. civ. Napoli, 29 novembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 364.
La legge n. 10 del 1991 ritiene meritevole di tutela agli effetti della determinazione della maggioranza dei
consensi solo la delibera di trasformazione dell'impianto, non pure quella che abbia ratificato o autorizzi
comunque distacchi isolati da parte di singoli condomini e che rappresenterebbe certamente un'incoerente
regolamentazione termoenergetica condominiale lasciando coesistere in maniera disordinata, con dispersioni
calorifiche e sprechi, due sistemi, quello termocentralizzato e quello singolo, con conseguente alterazione e
squilibrio termico del primo non compensato dal secondo.* Trib. civ. Napoli, 29 novembre 1991, in Arch. loc. e
cond. 1992, 364.
La demolizione e asportazione dell'impianto di riscaldamento e la sua ricostruzione con caratteristiche diverse,
anche se determinate dalla necessit di adeguamento dell'impianto alle disposizioni che disciplinano la materia
in relazione alle esigenze di risparmio energetico e di tutela ambientale, costituisce vera e propria innovazione.
La relativa delibera non perci adottabile a maggioranza sia pure qualificata (art. 1120 c.c.) ed quindi
illegittima se non ha ottenuto il consenso di tutti i partecipanti al condominio.* Trib. civ. Milano, 7 febbraio 1991,
n. 970, in Arch. loc. e cond. 1991, 508.
Sussistono entrambi i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, che ne legittimano la sospensione,
nel caso di delibera di assemblea condominiale che a maggioranza stabilisca la trasformazione dell'impianto
comune di riscaldamento da centralizzato in autonomo (fattispecie in cui la delibera condominiale era stata
impugnata sotto il duplice profilo formale, per violazione del combinato disposto degli artt. 1136, sesto comma,
c.c. e 67, secondo comma, att., e sostanziale, per violazione dell'art. 1120. secondo comma, c.c.).* Trib. civ.
Pescara, ord. 2 dicembre 1991, in P.Q.M. 1991, 361.
Le disposizioni di cui agli artt. 8, lettera g) e 26 della L. n. 10/1991, che prevedono che per gli interventi in parti
comuni degli edifici e consistenti nella trasformazione di impianti di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas
siano valide le delibere assembleari prese a maggioranza delle quote millesimali, sono da ritenersi applicabili
anche nel corso del processo iniziato prima dell'entrata in vigore della stessa.* Trib. civ. Milano, 16 dicembre
1991, n. 10582, in Arch. loc. e cond. 1992, 364.
v) Tubazioni
La collocazione in un vano (o altro ambiente o spazio) compreso nel perimetro del condominio delle tubazioni (o
parte di esse) dell'impianto termico centralizzato, o di altro servizio comune, non rende di per s quel vano
insuscettibile di autonomo ed esclusivo diritto di propriet, salve le limitazioni di tale diritto - concretanti
corrispondenti servit - correlate all'obbligo di consentire e conservare la destinazione di tali tubazioni al servizio
ed a vantaggio dell'intero edificio condominiale.* Cass. civ., sez. II, 19maggio 1992, n. 5978, Cecconi e altri c.
Giovagnetti. Appignanesi e altri e Fossi e altri, in Arch. loc. e cond. 1992, 772.
Il condomino di un edificio non pu operare, ostandovi gli artt. 1102 e 1120 c.c., innovazioni sul tratto di
pertinenza del proprio appartamento dell'impianto comune di riscaldamento (nella specie: interrompendo il
percorso delle tubature) in guisa da impedire l'utilizzazione dell'impianto da parte degli altri condomini.* Cass.

civ., sez. II, 2 maggio 1996, n. 4023. Bonutti c. Bonutti.


w) Vigilanza
A norma dell'art. 1130. n. 2 cc., spetta all'amministratore disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei
servizi nell'interesse comune in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini. In tale
incombenza dell'amministratore rientra la vigilanza sulla regolarit dei servizi comuni, anche per quanto attiene
alle interferenze con i singoli appartamenti, e il dovere di eseguire verifiche e di impartire le necessarie
provvidenze intese a mantenere integra la parit del godimento dei beni comuni da parte di tutti i condomini;
pertanto, ben pu essere disposta la sostituzione negli impianti di termosifone centrale, esistenti nei singoli
appartamenti, dei bocchettoni liberamente manovrabili con detentori fissi, quando tale rimedio sia volto a
disciplinare l'uso del servizio da parte dei singoli condomini.* Cass. civ., 17 maggio 1960, n. 1216.
E' configurabile la responsabilit extracontrattuale ex art. 2043 c.c. del collaudatore di una caldaia per i danni
che siano derivati a terzi dal difettoso funzionamento dell'impianto, sotto il profilo della inosservanza del dovere
di diligenza, nel riscontro della funzionalit dell'impianto stesso, ancorch installato da altri e del consequenziale
dovere di segnalare tempestivamente la deficienza riscontrata o comunque riscontrabile.* Cass. civ., sez. III, 9
luglio 1996, n. 6235, Franceschini c. Mosca.
z) Vizi o difetti
Poich a norma dell'art. 1122 c.c. il limite alla facolt di ogni condomino di eseguire opere sul proprio piano (o
porzione di piano di sua propriet) si identifica in ogni danno consistente nella diminuzione di valore della cosa
comune riferito alla funzione della cosa, considerata nella sua unit, costituisce danno per le cose comuni anche
il pericolo attuale e non meramente ipotetico connesso con il rischioso funzionamento o con la realizzazione
imperfetta di un impianto autonomo di riscaldamento, quando la tecnica di realizzazione e la complessit delle
operazioni necessarie per l'uso dello stesso comportino la possibilit di recare danno all'impianto di
riscaldamento centrale.* Cass. civ., sez. Il, 25 gennaio 1995, n. 870, Bilotta c. Condominio di via Gallucci, 6 di
Catanzaro.
Nel caso in cui l'insufficiente riscaldamento di un appartamento dipenda da una deficienza nell'organizzazione e
conduzione dell'impianto di riscaldamento comune, l'amministrazione condominiale tenuta ad eliminare ogni
vizio o difetto dell'impianto, risarcendo il singolo partecipante danneggiato.* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26
gennaio 1989, n. 680, Condominio di Via Bertelli 2, Milano c. Migliavacca, in Arch. loc. e cond. 1990, 94.
Il singolo condomino, in quanto detentore dei radiatori, responsabile del non perfetto funzionamento
dell'impianto di riscaldamento a causa dell'aria presente nei radiatori medesimi e nei tratti di tubo che dal
pavimento salgono fino alla valvola di sfogo.* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 6 aprile 1992, n. 4166, Montano c.
Cond. di via Grossich,. 31 di Milano, in Arch. loc. e cond. 1993, 123.
Sono da ritenere responsabili sia il tecnico installatore che il proprietario dell'immobile locato in caso di decesso
del conduttore dovuto all'imperfetto funzionamento dell'impianto termico.* Pret. pen. L'Aquila. 5 ottobre 1992, M.
e altro, in Arch. loc. e cond. 1993, 586.
Colui che installa uno scaldaacqua alimentato a gas metano ha il dovere di predisporre tutte le opere e i presidi
suggeriti dalla buona tecnica, dalla prudenza e dall'esperienza, al fine di rendere pienamente efficiente il sistema
di smaltimento dei prodotti della combustione e, in ogni caso, di verificare la funzionalit della canna di
esalazione ditali prodotti. L'osservanza di tale dovere prescinde dall'evenienza che l'impianto di smaltimento sia
realizzato al momento dell'installazione ovvero preesista in quanto, prima di porre in attivit l'apparecchiatura.
deve essere accertata l'idoneit funzionale e l'assenza di condizioni foriere di danno per le persone.
* Cass. pen., sez. IV, 23 febbraio 1993, n. 1762 (ud. 18 dicembre 1992), Bianco.
Colui che provvede alla installazione di un apparecchio pericoloso, quale lo scaldabagno a gas, ha il dovere di
adottare tutte le misure imposte dalla tecnica e dall'esperienza, maturate tra gli esperti o suggerite dalla comune
prudenza, per assicurare il corretto funzionamento dell'apparecchio e prevenire danni alle persone. (Fattispecie
in cui la morte della vittima era stata causata da un'acuta intossicazione da ossido di carbonio prodotto a sua
volta dall'irregolare funzionamento del tubo di scarico dello scaldabagno a gas che era stato installato
dall'imputato, ritenuto responsabile di omicidio colposo).
* Cass. pen., sez. IV, 17 gennaio 1984, n. 403
Nel condominio degli edifici il godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di
tutela possessoria quando uno di essi abbia causato agli altri partecipanti alla comunione la privazione o la
turbativa del loro compossesso, e non anche quando il medesimo condomino, nell'esercizio delle facolt
ricomprese nel proprio diritto di compropriet, abbia immutato lo stato della cosa comune ma senza privare o
turbare il compossesso degli altri condomini. (Nella specie, la Suprema Corte, enunciando il su rportato
principio, ha cassato la decisione che aveva condannato un condomino a chiudere la porta dal medesimo aperta
su di una scala da cui in precedenza non si accedeva alla sua unit immobiliare, senza prima accertare se detta
scala costituisse un bene comune di tutti i condomini, ovvero fosse riservata all'uso di alcuni di essi, con
esclusione del condomino che aveva proceduto all'apertura della porta stessa).
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1985, n. 312,
Qualora risulti accertato dal giudice del merito che l'apertura praticata da un condomino in corrispondenza delle
scale del fabbricato comune non abbia apportato alcun mutamento alla conformazione e allo spazio delle scale,
non abbia limitato il godimento degli altri condomini, non abbia arrecato alcun danno alle parti comuni o
pregiudizio alla stabilit, alla sicurezza e al decoro architettonico del fabbricato, la relativa fattispecie rientra nella
disciplina dell'uso della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 20 giugno 1977, n. 2589.
La manifestazione assembleare di parere favorevole , espresso in via generica, non pu avere valore
autorizzativo dell'attivit che i condomini intendono svolgere su beni di propriet comune (nella specie, apertura
di un nuovo accesso sul pianerottolo).

* Corte app. Napoli, 29 giugno 1991, n. 1601, in Arch. loc. e cond., 1991, 761.
c) Corrimano
La disposizione dell'ultima parte del secondo comma dell'art. 16 del d.p.r. 27 aprile 1955, n. 547, a norma del
quale le rampe delle scale delimitate da due pareti debbono essere munite almeno di un corrimano, non si
applica alle rampe delimitate da una parete e da un parapetto normale che, per quanto privo della funzione di
appiglio, consente, comunque, l'appoggio.
* Cass. civ., sez. III, 18 ottobre 1991, n. 11001, Parodi c. Inail.
d) Edifici limitrofi
La norma di cui all'art. 1117 c.c., che include le scale tra le cose che si presumono comuni, ove non risulti
espressamente dal titolo, non limitata all'ipotesi di edifici divisi per piano, ma applicabile, per analogia, anche
quando si tratti di edifici limitrofi appartenenti a proprietari diversi, persino se aventi caratteristiche di edifici
autonomi, sempre che le cose di cui si controverte, pur insistenti sull'area di uno solo di essi (o a cavallo del
confine), risultino destinate oggettivamente e stabilmente alla conservazione o all'uso di entrambi gli edifici
medesimi.
* Cass. civ., sez. II, 1 marzo 1995, n. 2324, Rossa c. Zora.
La circostanza che la scala comune di un edificio condominiale sia utilizzata da uno dei condomini anche per
accedere, tramite l'appartamento di sua propriet sito nello stabile condominiale, ad una sua diversa propriet
sita in un edificio autonomo (e dotato di una propria scala), adiacente a quello in condominio e di pi recente
costruzione, non vale a far operare per detta scala, anche con riferimento a quest'ultima propriet, la
presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., il cui presupposto la permanente ed oggettiva destinazione
di determinate cose o parti al servizio e godimento collettivo, cio di tutti i condomini (salva l'eventuale rilevanza
che sotto altri profili possa avere tale situazione di assoggettamento del bene al servizio anche dell'immobile
estraneo al condominio). Ne consegue che il proprietario del bene immobile estraneo al condominio non pu
essere chiamato, in tale veste, a partecipare alle spese di riparazione o ricostruzione delle scale condominiali.
* Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1997, n. 3968, R. Buffardi e G. Buffardi.
e) Pianerottoli
A norma dell'art. 1102, comma primo, cod. civ., il condomino di un edifico ha il diritto di usare dei vani delle
scale, in genere, e dei pianerottoli, in particolare, collocando davanti alle porte d'ingresso alla sua propriet
esclusiva zerbini, tappeti e piante o altri oggetti ornamentali (ci che normalmente si risolve in un vantaggio
igienico-estetico per le stesse parti comuni dell'edificio), ma tali modalit d'uso della cosa comune trovano un
limite invalicabile nella particolare destinazione del vano delle scale e nella esistenza del rischio generico gi
naturalmente connesso all'uso delle scale stesse, non potendo tale rischio essere legittimamente intensificato
mediante la collocazione di dette suppellettili nelle parti dei pianerottoli pi vicine alle rampe delle scale, in
maniera da costringere gli altri condomini a disagevoli o pericolosi movimenti, con conseguente violazione del
canone secondo cui l'uso della cosa comune, da parte di un comunista, non deve impedire agli altri comunisti un
uso tendenzialmente pari della medesima cosa.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1988, n. 3376, Marelli c. Gasparre.
Allorquando una delle cose elencate dalla norma dell'art. 1117 cod. civ. serva per obiettive caratteristiche
strutturali e funzionali al godimento di una parte dell'edificio in condominio la quale formi oggetto di un autonomo
diritto di propriet, viene meno la presunzione legale di comunione della cosa, derivante dalla sua destinazione
all'uso comune, in quanto in tale ipotesi la presunzione vinta dalla particolare destinazione della cosa, cos
come superata dalla presenza di un titolo contrario. (Nella specie, la S.C. in base all'enunciato principio ha
annullato la decisione del merito che aveva attribuito la propriet esclusiva del pianerottolo dell'ultimo piano
dell'edificio condominiale al proprietario dell'unico appartamento, avente accesso da esso, senza la necessaria
indagine sulle caratteristiche strutturali e funzionali del pianerottolo e della correlativa unica scala che serviva
anche gli altri piani e i relativi appartamenti).
* Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1985, n. 2070, Hershmann c. Caiani.
La scala, che serve di accesso a diversi piani o frazioni di piano di un edificio, deve essere considerata, nella
sua struttura unitaria ed in relazione al fine a cui serve, come bene comune indivisibile per presunzione di legge,
salvo che il contrario non risulti dal titolo. Conseguentemente vanno considerati tra le cose comuni anche i
pianerottoli, che costituiscono elementi della scala, della quale rendono possibile la funzione.
* Cass. civ., 17 gennaio 1963, n. 38.
I pianerottoli, quali elementi essenziali della scala di accesso ai diversi piani dell'edificio in condominio, sono per
presunzione di legge, salvo diverso titolo, in compropriet fra tutti i condomini. Pertanto, la loro utilizzazione da
parte dei singoli condomini soggetta alla disciplina propria dell'uso individuale della cosa comune, con la
conseguenza che del tutto legittima la creazione di un secondo ingresso ad un appartamento di propriet
esclusiva, in corrispondenza del pianerottolo antistante, ove non limiti il godimento degli altri condomini e non
arrechi pregiudizio all'edificio ed al suo decoro architettonico.
* Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1981, n. 843, Barbera c. Puglia.
I pianerottoli, quali componenti essenziali delle scale comuni, sono per presunzione di legge - salvo diverso titolo
- comuni tra tutti i condomini. Essi non possono essere, quindi, incorporati nell'appartamento di propriet
esclusiva del singolo condomino, in quanto tale incorporazione costituisce un'alterazione della destinazione della
cosa comune ed un'utilizzazione esclusiva di essa, lesiva del concorrente diritto degli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1974, n. 4299.
L'atto costitutivo del condominio pu senz'altro sottrarre al regime della condominialit, di cui all'art. 1117 c.c., i
pianerottoli di accesso dalle scale ai singoli appartamenti e riservarli, in tutto o in parte, al dominio personale
esclusivo dei proprietari di questi.
* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1994, n. 1776, Marocco c. Lanzetti.

Titolo idoneo a vincere la presunzione di comunione, di cui all'art. 1117 c.c., non l'atto di acquisto del singolo
appartamento condominiale, bens il negozio posto in essere da colui o da coloro, che hanno costituito il
condominio dell'edificio. Infatti questo negozio, rappresentando la fonte comune dei diritti dei condomini, ne
determina l'estensione e le limitazioni reciproche e pu spiegare efficacia tra le parti.
* Cass. civ., sez. II, 9 maggio 1978, n. 2248. Conforme, Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 1977, n. 297.
In tema di condominio di edifici la presunzione di propriet comune di un bene compreso nell'elenco di cui all'art.
1117 c.c. (nella specie: pianerottolo) pu essere vinta quando vi sia un titolo contrario e si tratti di beni, di fatto,
destinati al servizio esclusivo di una o pi unit immobiliari.
* Cass. civ., sez. II, 12 novembre 1998, n. 11405, Grassi c. Bartholini.
Il diritto di ciascun partecipante di usare la cosa comune, anche pi intensamente degli altri, non si estende fino
al punto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso. La chiusura di una porzione di pianerottolo
comune con una parte accessibile ad un solo condomino muta, invece, il comune possesso della porzione in
possesso esclusivo del condomino e comporta un'estensione del suo diritto sulla cosa comune in danno degli
altri condomini.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 22 luglio 1997, n. 2520, Soc. Ambra Nuova c. Condominio di Via Correggio n. 19
in Milano, in Arch. loc. e cond., 1998, 228.
La controversia instaurata da un condomino che chiede la rimozione di un cancello posto da altro condomino,
con l'autorizzazione dell'assemblea dei condomini, a chiusura del pianerottolo dell'ultimo piano della scala
comune dell'edificio, dopo avere dotato di chiavi tutti gli altri condomini, appartiene, anche quando sia stato
chiesto l'accertamento incidentale della nullit della delibera assembleare di autorizzazione, alla competenza del
giudice conciliatore perch, non essendovi contestazione sull'esistenza del diritto, relativa alle modalit di
godimento della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1992, n. 5979.
Nel caso in cui un condomino, munendo di ringhiera la scala ed il pianerottolo di accesso al vano di sua
propriet, abbia trasformato il pianerottolo in terrazzino, si in presenza di un'utilizzazione della cosa comune
ovvero della costituzione di un peso a favore della propriet esclusiva del condominio sulla propriet comune e
non a carico di quella esclusiva di altro condomino, con la conseguenza che non trovano applicazione le norme
che disciplinano le vedute su fondo altrui (art. 907 c.c.), bens quelle in tema di condominio che consentono al
condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa senz'altro limite che l'obbligo di
rispettare la destinazione e di tutelare la stabilit ed il decoro architettonico dell'immobile e di non ledere i diritti
degli altri condomini. * Cass. civ., sez. II, 1 dicembre 1992, n. 12833, Di Lieto L. c. Di Lieto M..
In tema di condominio negli edifici, i pianerottoli quali componenti essenziali delle scale comuni e cos avendo
funzionale destinazione al migliore godimento dell'immobile da parte di tutti i condomini, non possono essere
trasformati, dal proprietario dell'appartamento che su di essi si affacci, in modo da impedire l'uso comune,
mediante l'incorporazione nell'appartamento, comportando una alterazione della destinazione della cosa
comune ed una utilizzazione esclusiva di essa, lesiva del concorrente diritto degli altri condomini nonch - in
sede possessoria - lesiva del compossesso degli stessi.
* Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1990, n. 7704, Paolini c. Imperoli.
Non lesiva degli interessi dei condomini la costruzione di un manufatto murario (realizzato in modo da
escludere la lesione al decoro architettonico dello stabile) eretto a chiusura di un pianerottolo di esclusiva
spettanza del proprietario degli appartamenti prospicienti sullo stesso, in quanto trattasi dell'esercizio di un diritto
spettante in virt del titolo dominicale sul bene.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 3 luglio 1989, Condominio di via Scialoia n. 6, Milano e altri c. Grasso e altra e
Russo e Tincati L. e R. e Bressi e altri.
La presunzione di cui all'art. 1117 c.c. pu essere superata anche in mancanza di un'espressa previsione del
titolo quando si accerti che una determinata parte dell'edificio (nella specie: corridoio antistante a due
appartamenti) sia destinata in modo permanente a servizio o ornamento di una porzione immobiliare di propriet
esclusiva di un condomino o al servizio di alcune porzioni soltanto, non risultando di alcuna utilit concreta per
l'uso comune.
* Trib. civ. Milano, 17 dicembre 1990, in Arch. loc. e cond., 1991, 800.
E' da ritenersi lecita l'installazione di una telecamera nel pianerottolo comune che consenta la sola diretta
osservazione del portone di ingresso e dell'area antistante la porta di ingresso alla singola unit immobiliare;
mentre non ammissibile l'installazione di apparecchiature che consentano di osservare le scale, gli anditi ed i
pianerottoli comuni, in quanto ci comporta una possibile lesione e compressione dell'altrui diritto alla
riservatezza.
* Trib. civ. Milano, 6 aprile 1992, in Arch. loc. e cond., 1992, 823.
Il pianerottolo delle scale di un fabbricato in condominio costituisce luogo aperto al pubblico in quanto consente
l'accesso ad una indistinta categoria di persone e non soltanto ai condomini.
* Cass. pen., sez. I, 3 febbraio 1983, Chiappero
f) Presunzione di compropriet
La presunzione di propriet condominiale delle scale non viene superata dal mero fatto per cui il regolamento
condominiale, tra varie scale esistenti per l'accesso al lastrico di copertura, ne privilegi una, espressamente
indicandola come normale via di accesso ad esso.
* Cass. civ., sez. II, 26 novembre 1999, n. 13200, Carissimi c. Cond. Via Hugo 2/4, Via Cant 1/3.
Poich ai sensi dell'art. 1117 c.c. n. 1 le scale, con gli annessi pianerottoli, essenziali alla funzionalit del
fabbricato, sono presuntivamente di propriet condominiale, pur se alcune rampe sono poste in concreto al
servizio di singole propriet, per dimostrarne l'appartenenza esclusiva al titolare di queste, necessario un titolo
contrario, contenuto non gi nella compravendita delle singole unit immobiliari, bens nell'atto costitutivo del

condominio.
* Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1998, n. 1498, Toniolo c. Delfino ed altri, in Arch. loc. e cond., 1998, 378.
g) Proiezione delle scale
In un edificio condominiale, l'area costituita dalla proiezione delle scale, sulle verticali in alto e in basso, si
presume comune, a norma dell'art. 1117 c.c., e tale presunzione pu essere vinta soltanto da un titolo contrario,
il quale non ravvisabile nella generica riserva dell'originario proprietario di apportare al fabbricato le modifiche
murarie che avesse ritenuto opportune, contenuta nel regolamento condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1977, n. 3486.
In un edificio in condominio, le scale - oggetto di propriet comune a norma dell'art. 1117 n. 1 c.c., se il contrario
non risulta dal titolo - comprendono l'intera relativa cassa, di cui costituiscono componenti essenziali ed
inscindibili le murature che la delimitano, assolvano o meno le stesse, in tutto o in parte, anche la funzione di
pareti delle unit immobiliari di propriet esclusiva cui si accede tramite le scale stesse. Ne consegue che,
anche quando i lavori di manutenzione o ricostruzione delle scale importino il rafforzamento delle murature
svolgenti anche tale ultima funzione, con indiretto vantaggio dei proprietari specificamente interessati, la
ripartizione delle spese deve avvenire in base alla regola posta dall'art. 1124, primo comma c.c., salvo che
(diversamente che nella specie pervenuta al giudizio della Suprema Corte) oggetto dei lavori siano non il vano
scale nel suo complesso ma solo le murature costituenti le pareti perimetrali delle unit immobiliari prospicienti il
vano scale (e quest'ultimo in tutto o parte delimitanti), poich in tale ultimo caso la ripartizione delle spese va
effettuata mediante l'applicazione, opportunamente coordinata, dei criteri fissati dagli artt. 1123, secondo comma
e 1124, primo comma, c.c.
* Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1997, n. 3968, Buffardi c. Beffardi.
presunzione di comIn un edificio in condominio, l'area costituita dalla proiezione delle scale si presume comune
a norma dell'art. 1117 c.c., e tale unione pu essere vinta solo da un titolo contrario e non da un'altra
presunzione, quale pu essere quella derivante dalla propriet della soprastante soffitta.
* Cass. civ., 18 maggio 1967, n. 1055.
L'area soprastante alla gabbia di una scala comune deve ritenersi comune, ed a ci non di ostacolo l'esistenza
d'una copertura a terrazza adiacente all'appartamento d'uno dei condomini, perch in mancanza di titolo che ne
attribuisce la piena ed assoluta propriet, deve ritenersi che il condomino abbia il diritto soltanto di esercitarvi il
calpestio.
* Cass. civ., 23 novembre 1962, n. 3173.
La propriet condominiale di tutto il volume lasciato libero dalle scale (vano scala) e delimitato da queste non
sembra rientrare tra le parti comuni di cui all'art. 1117 c.c., onde non pare al riguardo invocabile la relativa
presunzione, al pari di qualsiasi opera che si trova eretta su parti comuni.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 8 giugno 1992, Novati e altri c. Societ Ila, in Arch. loc. e cond., 1993, 330.
h) Proprietari dei locali terranei
L'androne e le scale di un edificio sono oggetto di propriet comune ai sensi dell'art. 1117 cod. civ. anche dei
proprietari dei locali terranei che abbiano accesso direttamente dalla strada, in quanto costituiscono elementi
necessari per la configurabilit stessa di un fabbricato diviso in piani e porzioni di piano di propriet individuale e
rappresentano inoltre tramite indispensabile per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura;
pertanto, tali proprietari rientrano fra gli obbligati al contributo per la sistemazione dell'androne.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 9 ottobre 1987, n. 1983, Condominio di via Console Marcello 18/2 di Milano c.
Dondoli, in Arch. loc. e cond.,1989, 707.
i) Pulizia
In tema di condominio di edifici, la disposizione dell'art. 1124 c.c. concernente la ripartizione fra i condomini delle
spese di manutenzione delle scale, come la norma di regolamento condominiale che vi si conformi, riguarda le
spese relative alla conservazione della cosa comune che si rendono necessarie a causa della naturale
deteriorabilit della stessa per consentirne l'uso ed il godimento e che attengono a lavori periodici indispensabili
per mantenere la cosa in efficienza. La disposizione non riguarda, pertanto, le spese di pulizia delle scale, alle
quali i condomini sono tenuti a contribuire in ragione dell'utilit che la cosa comune destinata a dare a
ciascuno e che l'assemblea pu legittimamente ripartire in virt delle attribuzioni riconosciutele dall'art. 1135 c.c.,
anche modificando i precedenti criteri con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 c.c. trattandosi di criteri aventi
natura solo regolamentare.
* Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1993, n. 2018, Caneva c. Condominio di Via Kennedy n. 7 di Cologno Monzese.
In tema di ripartizione di oneri condominiali, le spese per l'illuminazione e la pulizia delle scale non configurano
spese per la conservazione delle parti comuni, tendenti cio a preservare l'integrit e a mantenere il valore
capitale delle cose (artt. 1123, comma primo e 1124, comma primo, c.c.), bens spese utili a permettere ai
condomini un pi confortevole uso o godimento delle cose comuni e di quelle proprie; con la conseguenza che
ad esse i condomini sono tenuti a contribuire, non gi in base ai valori millesimali di compropriet, ma in base
all'uso che ciascuno di essi pu fare delle parti comuni (scale) in questione, secondo il criterio fissato dall'art.
1123, comma secondo, c.c.
* Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1996, n. 8657, Calvigioni c. Condominio di via Fucini n. 284 in Roma, in Arch. loc.
e cond., 1997,80.
Alle spese per la pulizia delle scale i condomini sono tenuti a contribuire non gi in base ai valori millesimali di
compropriet, ma in relazione all'uso che ciascuno di essi pu fare della parte comune, secondo il criterio fissato
dal comma 2 dell'art.1123 del c.c., con la conseguenza che l'assemblea pu legittimamente ripartire la spesa in
questione, in virt delle attribuzioni riconosciutele dall'articolo 1135 del c.c., anche modificando i precedenti
criteri aventi natura solo regolamentare."
(Cassazione, sent. n.971 del 24 gennaio 2001)

Qualora il portiere sia sostituito con lavascale e sia stato in tal modo istituito un nuovo e diverso rapporto per la
pulizia dell'androne, delle scale e degli altri luoghi comuni di passaggio dello stabile, il criterio di ripartizione delle
spese relative tra i condomini non pu pi identificarsi con quello stabilito dal regolamento per le spese del ben
diverso rapporto di portierato. E qualora nel regolamento di condominio manchi un'esplicita disciplina per la
predetta sostituzione, l'adozione di un nuovo criterio di ripartizione delle spese rispondenti alla nuova situazione
pu fissarsi con deliberazione a maggioranza dei condomini, non risolvendosi nella menomazione di alcun loro
diritto risultante dagli atti di acquisto o da altra convenzione. (Nella specie: il giudice di merito aveva ritenuto
ripartibili le spese per il lavascale a norma dell'art. 1124 c.c. che disciplina la manutenzione delle scale giusta la
delibera dell'assemblea condominiale la quale - sostituito il servizio di portierato con quello di lavascale - aveva
modificato la norma del regolamento secondo cui le spese di portierato dovevano essere divise in base al valore
millesimale degli appartamenti).
* Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1970, n. 801.
E' illegittima la delibera di un'assemblea condominiale che decida a maggioranza di applicare una quota
suppletiva del 60% relativamente alla voce pulizia scale nei confronti di un condomino proprietario di un ufficio
professionale privato.
* Trib. civ. Genova, sez. III, 8 maggio 1992, n. 1548, Soc. Dino c. Cond. di via Granello n. 3 di Genova, in Arch.
loc. e cond., 1993, 122.
I criteri di ripartizione delle spese stabiliti dal regolamento contrattuale non possono essere modificati
dall'assemblea condominiale per facta concludentia, essendo invece necessario il consenso di tutti i condomini.
(Fattispecie in tema di ripartizione delle spese di pulizia e di manutenzione delle scale).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 6 aprile 1993, n. 606, in Arch. loc. e cond., 1994, 334.
In difetto di titolo contrario, ove un'area dell'edificio condominiale debba presumersi di propriet comune, per
effetto della utilit che i condomini ne traggono, la medesima presunzione deve valere anche per la scala
(dell'edificio stesso) che ad essa d accesso.
* Cass. civ., sez. II, 14 marzo 1977, n. 1027.
l) Sottoscala
Nella ipotesi in cui un condomino risulti proprietario esclusivo della rampa di scale accedente al suo
appartamento, la parte di area sottostante le scale non pu ritenersi idonea a costituire, con esse, una entit
unica ed inseparabile (cos da rendere non predicabile la ipotesi che il dante causa del detto condomino,
nell'alienare la propriet delle scale, abbia potuto escludere dalla vendita la superficie sottostante), postulando il
concetto di incorporazione, al pari di quello di accessione, una unione fisica e materiale del manufatto rispetto
suolo (o, in ogni caso, l'impossibilit di utilizzare il suolo stesso come entit autonoma rispetto al manufatto), ci
che non lecito affermare con riguardo ad una superficie (libera) sormontata da una rampa di scale.
* Cass. civ., sez. II, 8 settembre 1997, n. 8717, Soracco c. Morando.
L'autorizzazione di un'assemblea con voto di maggioranza a chiudere un sottoscala non pu essere considerata
altro che una precariet e non pu avere effetto traslativo.
* Trib. civ. Milano, 7 novembre 1991, in L'Ammin. 1991, n. 10.
m) Spese.
Non pu invocarsi la disciplina legislativa di cui all'art. 1124 cod. civ. in merito all'onere delle spese di
ricostruzione delle scale comuni e, in via analogica, degli ascensori, quando sul punto vi una disciplina
convenzionale fra i condomini, contenuta nel regolamento condominiale, avente carattere contrattuale.
* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1981, n. 4646, Luini c. Cond. XX Aprile.
A norma dell'art. 1117, n. 1, c.c., le scale di un edificio condominiale, anche se pi di una e poste concretamente
al servizio di parti diverse dell'edificio stesso, vanno sempre considerate, in assenza di un contrario titolo
negoziale, di propriet comune di tutti i condomini, senza che a ci sia di ostacolo il disposto dell'art. 1123,
ultimo comma, c.c., il quale, proprio sul presupposto di tale comunione, disciplina soltanto la ripartizione delle
spese per la conservazione ed il godimento di esse, ispirandosi al criterio della utilit che ciascun condomino o
gruppo di condomini ne trae.
* Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 1996, n. 1357, Stramaglia c. De Benedictis, in Arch. loc. e cond., 1996, 509.
Ove nell'edificio condominiale siano compresi locali forniti di un accesso diverso dall'androne e dal vano scale,
anche i proprietari di detti locali sono tenuti - in difetto di difformi clausole del regolamento di condominio - a
concorrere alle spese di manutenzione (ed, eventualmente, di ricostruzione) dell'androne e delle scale, in
rapporto e proporzione all'utilit che anche essi possono, in ipotesi, trarne quali condomini, e ci sia avuto
riguardo all'uso, ancorch ridotto, che possono fare dell'androne e delle scale per accedere, come loro diritto,
nei locali della portineria e al tetto o lastrico solare, sia avuto riguardo all'obbligo e alle connesse responsabilit
che anch'essi hanno, quali condomini, di prevenire e rimuovere ogni possibile situazione di pericolo che possa
derivare alla incolumit degli utenti dall'inefficiente manutenzione dei suddetti beni comuni. In particolare, per le
ragioni esposte, alle spese di illuminazione dell'androne e delle scale devono concorrere, ancorch in misura
ridotta, pure i condomini, quali i proprietari di autorimesse e di botteghe, che non ne usufruiscono per accedere
alle loro propriet esclusive.
* Cass. civ., sez. II, 6 giugno 1977, n. 2328.
n) Uso esclusivo
L'uso esclusivo di una scala in campo condominiale non significa propriet della stessa e meno ancora la
propriet del sottoscala, con tutte le conseguenze di legge.
* Trib. civ. Milano, 7 novembre 1991, in L'Ammin. 1992, n. 2.
SICUREZZA DEGLI IMPIANTI CONDOMINIALI

In tema di delitto colposo l'indagine sulla sussistenza della causalit si restringe all'analisi del rapporto tra le
varie cause al fine di stabilire se quelle prossime siano fatti eccezionali ed atipici del tutto avulsi dalla serie
causale precedente ovvero si innestino in questa, costituendone la naturale via di sviluppo. Ne consegue che
risponde del delitto in esame l'installatore di uno scaldabagno a gas, sistemato senza la predisposizione di
opere collaterali necessarie e senza il previo accertamento che la relativa canna di esalazione dei prodotti della
combustione e fumi, alla quale l'apparecchio deve essere collegato, presenti caratteristiche strutturali e
funzionali che garantiscano, in tutte le possibili condizioni atmosferiche e con tutte le prevedibili modalit d'uso,
per cui non abbiano a derivarne pericoli per l'incolumit personale degli utenti ed in sintesi senza osservare le
norme UNI 7129 - 72, specificamente relative alla posa in opera di apparecchi a gas di uso domestico, allorch
da tutte queste cause derivi la morte dell'utente per intossicazione da ossido di carbonio.
* Cass. pen., sez. IV, 15 ottobre 1987, n. 10801 ( ud.10 aprile 1987 ), Giuliani.
Nel caso in cui la causa dell'infortunio sia ricondotta a colpa degli imputati, consistente nella mancata adozione
di quelle misure di prevenzione degli incidenti sul lavoro dovuti a dispersione di energia elettrica, correttamente
fatta rientrare tra tali misure l'adozione dell'interruttore cosiddetto salvavita. (Nella specie, relativa a rigetto di
ricorso, l'omessa adozione del salvavita stata considerata come estremo quanto meno di colpa generica).
* Cass. pen., sez. IV, 8 febbraio 1990, n. 1698 (ud. 11 gennaio 1990), Terlicher.
Le attivit controllate dalla legge n. 46 del 1990 sono l'installazione, la trasformazione, l'ampliamento e la
manutenzione degli impianti elettrici da parte di soggetti legittimati in virt di particolari riconoscimenti e
procedure, la sottoposizione a controllo ed a verifica degli stessi non solo nella fase dell'installazione, ma anche
in quella di progettazione e collaudo e la predisposizione di normative tecniche adeguate al progresso ed alle
innovazioni tecnologiche, ampliando la sfera di presunzione iuris tantum di conformit alle regole d'arte, gi
stabilite per gli impianti elettrici ed elettronici dalla legge n. 186 del 1968, avendo fornito di una sanzione
amministrativa la violazione dei precetti tecnici.
* Cass. pen., sez. III, 5 giugno 1996, n. 5613 (ud. 3 maggio 1996), Maggio.
Se vero che le finalit di pubblica sicurezza della normativa in materia di servizi antincendi sono comprensive
dei rapporti tra privati (nel senso che ci che pericoloso per la generalit dei consociati lo a maggior ragione
per i vicini), non vale il reciproco, per cui una attivit non pericolosa sotto il profilo del diritto amministrativo
potrebbe tuttavia essere ritenuta pericolosa per i condomini e, come tale, essere vietata da un regolamento
condominiale.
* Corte app. civ. Milano, 22 ottobre 1991, n. 1661.
Le spese straordinarie relative agli ascensori, necessarie per l'adeguamento degli impianti alle norme di
sicurezza, attengono al profilo della propriet del bene e vanno sostenute da tutti i condomini in proporzione dei
rispettivi millesimi di propriet esclusiva.
* Trib. civ. Bologna, 2 maggio 1995, n. 685, Pirani c. Condominio di via Marconi n. 16 in Bologna, in Arch. loc. e
cond. 1996,87.
Gli interventi di adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento di obiettivi di
sicurezza della vita umana e incolumit delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti e i terzi, non
attengono all'ordinaria manutenzione dello stesso o al suo uso e godimento, bens alla straordinaria
manutenzione, riguardando l'ascensore nella sua unit strutturale. Le relative spese devono quindi essere
sopportate da tutti i condomini, in ragione dei rispettivi millesimi di propriet, compresi i proprietari degli
appartamenti siti al piano terra.
* Trib. civ. Parma, sez. II, 29 settembre 1994, n. 859, Paini e altri c. Condominio Elisabetta, in Arch. loc. e cond.
1994, 831.
La legge della Repubblica italiana 27 marzo 1992 relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto venuta
meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell'art. 8, n. 1, primo comma della direttiva del Consiglio 28
marzo 1983, 83/189/CEE, come modificata dalla direttiva del medesimo Consiglio 22 marzo 1988, 88/182/CEE.
* Corte giust. CEE, sez. VI, 16 settembre 1997, Commissione delle Comunit Europee c. Repubblica Italiana, in
Arch. loc. e cond. 1997, 876.
SOFFITTI E SOLAI
a) Soffitti
Nell'ipotesi in cui, a causa del suo deterioramento e per ragioni d'ordine tecnico, il soffitto a volta esistente fra
due piani sovrapposti di un edificio in condominio debba essere sostituito da un diverso tipo di soffitto di minor
spessore, il proprietario del piano sottostante, che da tale sostituzione ha conseguito un ampliamento ed una
migliore utilizzazione dei suoi locali, non tenuto a versare alcun compenso al proprietario del piano
sovrastante, sempre che non venga menomato il suo godimento sul soffitto comune o danneggiata la sua
propriet esclusiva. Ben vero, anzitutto, il vantaggio realizzato dal proprietario del piano inferiore non costituisce
un arricchimento indebito, essendo l'effetto di un'opera eseguita nell'interesse comune di ambedue i condomini,
Inoltre da escludere che la cennata sostituzione abbia comportato la lesione del diritto di compropriet sul
soffitto spettante al proprietario del piano superiore. Di vero, ai sensi dell'art. 1125 c.c., il diritto di comunione dei
proprietari di piani sovrapposti ha per oggetto il soffitto, la volta, ed il solaio intermedi, considerati in se stessi, e
non gi lo spazio pieno e vuoto da essi occupato; onde tale diritto resta inalterato nel suo oggetto, nonostante la
sostituzione, imposta dall'interesse comune, di un tipo di soffitto meno voluminoso a quello preesistente.
* Cass. civ., sez. II, 8 giugno 1966, n. 1512.
Non sussiste violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato qualora relativamente ad
una domanda di condanna all'esecuzione dei lavori di ripristino del soffitto di un appartamento sito all'ultimo
piano dell'edificio in condominio fondata sulla lesione del diritto di propriet configurata in concreto da pregiudizi
cagionati al soffitti dall'umidit, il giudice a seguito degli accertamenti compiuti dal consulente tecnico, alle
precisazioni ed alle istanze formulate dalle parti in corso di causa, pronunzi la condanna all'esecuzione dei lavori

necessari per eliminare l'umidit determinata non dalle infiltrazioni di acqua provenienti dal solaio di copertura,
ma dalla condensa connessa al difettoso isolamento termico del solaio.
* Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1999, n. 14088, Venuta c. Cond. Carone.
In mancanza di titolo, la natura del diritto su di un manufatto dipende dalla struttura o destinazione all'uso o al
servizio dei piani o delle porzioni di piano del fabbricato condominiale; pertanto se un cortile d aria e luce a
questo ed ha la funzione di consentirne l'accesso, ancorch costituisca copertura di un sottostante locale
costruito fuori della proiezione verticale dei piani sopraelevati, ha natura condominiale e perci l'assemblea dei
condomini, con la partecipazione del proprietario del locale in proporzione ai corrispondenti millesimi,
legittimata a deliberare i lavori di manutenzione necessari per la conservazione del piano di calpestio, fungente
altres da soffitto del predetto locale, mentre la ripartizione delle conseguenti spese va effettuata secondo
l'omologo criterio stabilito per la terrazza a livello dall'art. 1126 c.c., s che il proprietario di questo deve
contribuire per due terzi e i condomini per un terzo.
* Cass. civ., sez. II, 10 novembre 1998, n. 11283, Cond. V. Cilea 57 Napoli c. Autostar Snc.
La facolt di apertura e mantenimento di luci in un solaio frapposto tra due unit immobiliari l'una soprastante
l'altra e comprese in uno stabile condominiale resta subordinata, a mente dell'art. 903 comma secondo c.c.
(norma dettata in tema di muro divisorio ed applicabile nella specie attesa l'analogia tra le funzioni del muro
stesso e del solaio) al consenso di tutti i comproprietari, con la conseguenza che il diritto a mantenere le luci
stesse pu essere aliunde acquisito soltanto iure servitutis.
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2000, n. 738, Santoro c. Aric.
b) Solai
Negli edifici in condominio, a differenze del solaio divisorio tra due piani dell'edificio, in propriet comune ai due
rispettivi proprietari, il solaio del piano terreno sottostante al relativo pavimento, costruito a livello della superficie
di campagna, in quanto parte integrante del solo piano terreno, appartiene in propriet esclusiva al proprietario
del piano, alla stessa stregua del pavimento. Ne consegue che in caso di vizio costruttivo del solaio, rivelatosi
inidoneo a svolgere autonomamente la funzione di sostenere l'unit immobiliare, la responsabilit per i danni
che ne siano derivati alle singole propriet individuali deve ascriversi al proprietario del piano, con esclusione di
ogni responsabilit del condominio.
* Cass. civ., sez. II, 26 marzo 1993, n. 3642, Signorile c. Cond. di via Matteotti n. 6 di Bari e Mincuzzi.
Qualora il proprietario di un appartamento, nel ripristinare il solaio divisorio con l'immobile sottostante, lo
posizioni pi in basso, una lesione del diritto altrui, nell'ambito del rapporto di vicinato, non pu essere esclusa
alla stregua dell'opportunit di detta scelta per una migliore conservazione del fabbricato, e quindi invocando la
funzione sociale della propriet privata, tenuto conto che tale funzione ne pu giustificare un sacrificio per
esigenze della collettivit, non per interessi di natura individuale.
* Cass. civ., sez. II, 11 aprile 1987, n. 3615, Iannaccio c. Iannaccio.
Dal solaio che divide due unit abitative, l'una all'altra sovrapposta, formando una struttura comune che i
proprietari delle due unit possono modificare solo alla condizione che non venga alterata la destinazione della
cosa e che non sia impedito all'altro di farne parimenti uso secondo il suo diritto, deve essere distinta la
copertura (o pavimento) del solaio, che appartiene esclusivamente al proprietario dell'abitazione sovrastante e
che pu essere, quindi, da questo liberamente rimossa o sostituita secondo la sua utilit e convenienza.
*Cass. civ., sez. II, 22 agosto 1984, n. 7464, Iorio c. Pavone.
Il solaio che divide due unit abitative l'una all'altra sovrastante, ed appartenenti a diversi proprietari deve
ritenersi, salva prova contraria, di propriet comune, costituendo l'inscindibile struttura divisoria tra le due
strutture immobiliari, con utilit ed uso eguale ed inseparabile per le medesime, s che la manutenzione e
ricostruzione di tutte le sue parti - e, quindi, anche delle travi che ne costituiscono la struttura portante, e non
siano meramente decorative del soffitto dell'appartamento sottostante - compete in parti eguali ai due proprietari.
* Cass. civ., sez. II, 12 ottobre 2000, n. 13606, Bettino c. Cambiaso.
Qualora il solaio fra due appartamenti venga abbassato, con una riduzione della consistenza materiale
dell'appartamento sottostante, in occasione di opere di consolidamento che il proprietario dell'appartamento
sovrastante abbia effettuato per realizzare una nuova costruzione a sbalzo, deve riconoscersi al proprietario di
detto immobile sottostante la possibilit di ottenere la riduzione in pristino, mediante abbattimento della nuova
opera, vertendosi in tema di fatto lesivo del diritto dominicale, non riconducibile nella previsione dell'art. 884 cod.
civ. (sulla facolt del comproprietario del muro comune di appoggiarvi costruzioni ed immettervi travi).
* Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 1985, n. 36, Staunovo c. Staunovo.
Il solaio che divide due unit abitative, l'una all'altra sovrapposta, costituisce una struttura comune ai proprietari
di dette unit, i quali, pertanto, ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., possono apportarvi modifiche, alla condizione che
non venga alterata la destinazione della cosa comune e che non sia impedito all'altro soggetto di farne parimenti
uso, secondo il suo diritto.
* Cass. civ., sez. II, 9 marzo 1987, n. 2440, Malandrini c. Bergamaschi.
La sostituzione del solaio esistente fra due piani sovrapposti di un edificio deve realizzarsi, trattandosi di bene in
compropriet, senza menomazioni del godimento di entrambi i proprietari sulla cosa o sulla propriet esclusiva
di ciascuno di essi, senza che rilevi il vantaggio che ne sia derivato alle propriet. Il diritto in questione ha infatti
per oggetto ai sensi dell'art. 1125 c.c. il solaio in se stesso considerato e non anche lo spazio pieno o vuoto che
esso occupa e rimane inalterato nel suo oggetto, nonostante la sostituzione di un solaio meno voluminoso di
quello preesistente.
* Cass.. civ., sez. II, 23 marzo 1995, n. 3386, Bruno c. Garnero.
La manutenzione e la riparazione del solaio di copertura di un locale interrato costituendone parte integrante
compete unicamente, salvo diversa pattuizione, al suo proprietario, anche se l'area sovrastante appartenente ad
altro soggetto riceva da tale copertura un qualche vantaggio o utilit.

* Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 1999, n. 1477, Condominio via Carlo Poma c. Condominio Garage di via
Andreoli - via Baiamonti ed altri.
In tema di condominio di edifici l'innalzamento del solaio concordato fra i proprietari dei piani interessati non pu
valere a trasformare in propriet esclusiva del titolare del locale sottostante la zona di propriet comune
corrispondente al solaio preesistente in difetto di un atto scritto di trasferimento della propriet a norma dell'art.
1350, n. 1, c.c., onde la permanenza nella stessa zona di propriet comune della tubatura fognaria che in
precedenza vi si trovava, sia pure incorporata nel solaio, non pu essere qualificata nuova servit, per la cui
costituzione sia necessaria la forma scritta a norma dell'art. 1350, n. 4, c.c..
* Cass. civ., sez. II, 9 gennaio 1993, n. 143, Di Marocco c. Tagliaferri.
Il condomino del piano sottostante che agisce nei confronti del condomino del piano di sopra per il risarcimento
dei danni al suo solaio deve dimostrare, ai sensi dell'art. 2043 c.c., che essi dipendono da fatti imputabili a
quest'ultimo, altrimenti dovendosi ripartire in parti uguali le spese per la riparazione di esso, ai sensi dell'art.
1125 c.c., per la presunzione assoluta di comunione tra loro del solaio, da cui deriva altres l'inapplicabilit
dell'art. 2051 c.c. diretta a tutelare i terzi danneggiati dalle cose che altri hanno in custodia, non i comunisti tra
loro.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1999, n. 6398, Pepe c. Carotenuto.
La facolt di apertura e mantenimento di luci in un solaio frapposto tra due unit immobiliari l'una soprastante
l'altra e comprese in uno stabile condominiale resta subordinata, a mente dell'art. 903 comma secondo c.c.
(norma dettata in tema di muro divisorio ed applicabile nella specie attesa l'analogia tra le funzioni del muro
stesso e del solaio) al consenso di tutti i comproprietari, con la conseguenza che il diritto a mantenere le luci
stesse pu essere aliunde acquisito soltanto iure servitutis.
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2000, n. 738, Santoro c. Aric, in Arch. loc. e cond. 2000, 747.1].
Nell'ipotesi in cui, a causa del suo deterioramento e per ragioni d'ordine tecnico, il solaio esistente fra due piani
sovrapposti di un edificio sia sostituito da un diverso tipo di solaio di minor spessore, il proprietario del piano
sottostante, che ne ha conseguito un ampliamento per maggior altezza ed una migliore utilizzazione dei suoi
locali, non tenuto a versare alcun compenso al proprietario del piano sovrastante, sempre che non venga
menomato il suo godimento sul solaio comune o danneggiata la sua propriet esclusiva (nella specie con il
mantenimento del pavimento del piano superiore allo stesso precedente livello). Infatti, il vantaggio conseguito
dal proprietario del piano inferiore non costituisce arricchimento indebito, essendo l'effetto di un'opera eseguita
nell'interesse comune, mentre tale sostituzione non comporta lesione del diritto di compropriet spettante al
proprietario del piano superiore, che ha per oggetto il solaio considerato in s stesso e non gi lo spazio pieno o
vuoto da esso occupato.
* Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 1982, n. 929, Schivo c. Bogliolo.
Il solaio esistente fra i piani sovrapposti di un edificio oggetto di comunione fra i rispettivi proprietari per la
parte strutturale che, incorporata ai muri perimetrali, assolve alla duplice funzione di sostegno del piano
superiore e di copertura di quello inferiore, mentre gli spazi pieni o vuoti che accedano al soffitto od al
pavimento, e non siano essenziali all'indicata struttura (nella specie, conglomerato cementizio per sottofondo di
pavimentazione e protezione termica), rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da
ciascun proprietario nell'esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale (nella specie, per la collocazione
di tubi di raccordo di servizi).
* Cass., sez. II, 7 giugno 1978, n. 2868.
Il solaio che divide due piani di un edificio va considerato comune ai proprietari di tali piani, in quanto svolge allo
stesso tempo la duplice funzione di sostegno del piano superiore e di copertura del piano inferiore, costituendo
un corpo unico formato da elementi strutturali fusi, stabilmente fra loro e incorporati in altre strutture comuni, cio
nei muri maestri. Ci esclude che tra il soffitto del piano inferiore e il pavimento del piano superiore possano
esistere altre opere le quali non facciano parte del solaio e delle quali occorra quindi accertare di volta in volta la
destinazione, al fine di stabilire a chi appartengano. (Nella specie la Suprema Corte ha enunciato la massima
che precede per escludere che potesse ritenersi bene in propriet comune una intercapedine costruita per
creare un locale dell'appartamento sottostante e nascondere un tubo di scarico passante sotto il pavimento
dell'appartamento sovrastante).
* Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1976, n. 3715.
La presunzione di comunione dei solai divisori tra i piani fondata non sulla loro necessit di limite delle
rispettive propriet ma sulla loro necessit (nei confronti delle distinte propriet) per il sostegno
dell'appartamento sovrastante e per la copertura di quello sottostante.
* Cass., sez. II, 3 febbraio 1975.
Con riguardo ai danni derivanti dal crollo di un solaio divisorio fra due appartamenti, l'applicabilit degli artt. 2051
e 2053 cod. civ., con conseguente presunzione di corresponsabilit sia del proprietario dell'immobile sovrastante
sia di quello dell'immobile sottostante, non introduce deroghe ai principi generali in tema di nesso di causalit e
di concorso di cause, sicch la responsabilit dell'uno deve essere esclusa quando egli fornisca la prova che il
danno sia stato determinato, con autonoma efficienza causale, dal fatto imputabile all'altro (nella specie, il
proprietario dell'appartamento sovrastante, essendo il solaio caduto per infiltrazioni di acqua provenienti dagli
scarichi del suo immobile).
* Cass. civ., sez. II, 30 marzo 1985, n. 2234, Cardillo c. Anglesio.
In tema di pertinenze, ben possibile limitare contrattualmente la destinazione e l'uso di un bene, assegnato in
modo durevole a servizio o ornamento di un'altra cosa, purch rimanga salva la funzione e la natura
pertinenziale del bene. (Nella specie stata confermata la sentenza di merito che, in applicazione del divieto di
modifica di destinazione imposto dal regolamento condominiale contrattuale, aveva dichiarato il condomino
obbligato al rispetto della destinazione originaria a deposito del solaio, pur se pertinenza dell'appartamento di

sua esclusiva propriet, adibito ad abitazione).


* Cass. civ., sez. II, 12 luglio 2000, n. 9234, Dagnoni c. Condominio via Pitteri 111, Milano, in Arch. loc. e cond.
2000, 707.
Il solaio che separa il piano sottostante da quello sovrastante di un edificio appartenenti a diversi proprietari
deve ritenersi, salvo prova del contrario, di propriet comune dei proprietari dei due piani costituendo
l'inscindibile struttura divisoria tra le due propriet con utilit ed uso uguale e inseparabile per le medesime e
correlativa inutilit per gli altri condomini. Ne consegue che il confine tra le due propriet esclusive sovrapposte
costituito non dalla linea mediana del solaio ma dall'intera struttura di cui esso consta. Pertanto la sostituzione
del solaio non pu essere effettuata in modo da restringere o limitare i beni immobili sovrapposti di propriet
esclusiva ove non sia indispensabile o manchi il consenso di entrambi i detti proprietari, derivandone, anche nel
caso di sussistenza di esigenze tecniche, il diritto del risarcimento del danno che uno di essi abbia a subire per il
conseguente restringimento della cubatura dell'appartamento di propriet esclusiva.
* Cass. civ., 23 marzo 1991, n. 3178.
Il solaio divisorio tra un piano e quello sottostante di un edificio da ritenere di propriet comune fra i proprietari
dei due piani. Tale presunzione, di carattere assoluto, vale tuttavia per le strutture che hanno una funzione di
sostegno e di copertura, contribuendo a costituire il solaio; non pure per quelle parti come le coperture applicate
al di sotto del soffitto che adempiono a funzioni meramente estetiche e indipendenti dalle dette strutture,
dovendosi esse ritenere appartenenti esclusivamente al proprietario del piano sottostante.
* Cass. civ., 20 luglio 1967, n. 1868.
La soletta divisoria che separa e divide il piano sovrastante da quello sottostante, piani appartenenti a diversi
proprietari, deve considerarsi di propriet comune tra i proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastante,
costituendo l'inscindibile struttura divisoria tra le due propriet, con utilit ed uso uguale ed inseparabile per le
medesime. Quando il soffitto formato, oltre che dalla soletta, da travi che sporgono nella parte sottostante,
queste devono anch'esse considerarsi di propriet comune, se fanno parte integrante della soletta e del soffitto
ed hanno la medesima funzione degli stessi, di costruire inscindibilmente le strutture divisorie dei due
appartamenti: si pu parlare di propriet esclusiva delle travi da parte del proprietario del piano sottostante, solo
se esse costituiscono un'infrastruttura non necessariamente connessa alla struttura principale divisoria e quindi
esclusivamente una mera decorazione del soffitto, utile solo per il piano sottostante.
* Cass. civ., 28 maggio 1963, n. 1406.
Non nella possibilit dell'assemblea condominiale chiudere l'accesso ai solai, lasciando la chiave presso la
portineria unicamente per i casi di emergenza.
* Trib. Civ. Milano, 6 luglio 1992, in L'Ammin. 1993, 10,12.
c) Spese
L'art. 1125 cod. civ., secondo il quale, negli edifici condominiali, le spese per la manutenzione e ricostruzione dei
soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti,
costituisce norma derogabile dall'autonomia privata, sicch i condomini interessati ben possono addivenire ad
un accordo sul loro rispettivo diritto e determinare convenzionalmente, oltre ai lavori da eseguire, chi debba
sostenerne la spesa. Conseguentemente, solo in caso di mancanza di tale accordo trova applicazione il criterio
ripartitivo ex art. 1125 cod. civ., restando d'altro canto, il diritto di rimborso del condomino, che abbia provveduto
a tali opere, subordinato, oltre alla richiesta in tal senso, anche alla duplice condizione della necessit della
spesa e della sua urgenza, cio dell'indifferibilit, secondo il criterio del buon padre di famiglia, per evitare un
possibile nocumento.
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4601, Gravina c. Trillo.
In tema di condominio di edifici, la ripartizione delle spese per la manutenzione, ricostruzione dei soffitti, delle
volte e dei solai secondo i criteri dell'art. 1125 c.c., riguarda le ipotesi in cui la necessit delle riparazioni non sia
da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli condomini trova
applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni a carico di colui che li ha cagionati.
* Cass. civ., sez. II, 12 aprile 1999, n. 3568, Musillo c. Musillo.
Le spese per la manutenzione e la ricostruzione dei solai, inerenti ad interventi che concernano il corpo di
fabbrica interessato nelle sue strutture comuni, non si ripartiscono in parti uguali fra i proprietari dei due piani
l'uno all'altro sovrastanti.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 13 dicembre 1988, n. 457, Condominio di via Settembrini 41, Milano c. Barabino,
in Arch. loc. e cond. 1989, 495.
Nel giudizio instaurato per la divisione delle spese di manutenzione o ricostruzione del solaio divisorio comune
ai sensi dell'art. 1125 cod. civ. dal proprietario del piano sovrastante nei confronti del proprietario di quello
inferiore, non sussiste la necessit di integrare il contraddittorio, ex art. 102 cod. proc. civ., nei riguardi
dell'eventuale usufruttuario di alcuno dei piani stessi, essendo il rapporto dedotto in lite e da regolare con la
pronuncia giudiziale afferente solo alla titolarit del diritto di propriet dei piani divisi dal solaio.
* Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7397, De Morelli c. Cassa Risp. Cal.
L'art. 1125 c.c., nel disporre che restano a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento
(mattonelle e impiantito) ed a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del
soffitto, ha inteso comprendere nella nozione di volte, solai e soffitti tutto il complesso di opere stabilmente unite
che servono a dividere orizzontalmente le due propriet.
* Cass. civ., sez. II, 23 aprile 1969, n. 1319.
SOPRAELEVAZIONE NEGLI EDIFICI CONDOMINIALI
SOMMARIO: a) Applicabilit della norma; b) Colonna d'aria sovrastante l'edificio; c) Condizioni statiche; d)
Contraria previsione del titolo; e) Controversie; f) Differenze dal diritto di superficie; g) Diritti dei proprietari dei

nuovi piani; h) Distanze legali; i) Divieto; l) Edificio costruito in zona terremotata; m) Indennit; n) Installazione di
veranda a vetri; o) Modifiche alla scala comune; p) Nozione; q) Nuovo lastrico solare; r) Opposizione; s)
Pregiudizio per l'aspetto architettonico; t) Revisione delle tabelle; u) Titolarit del diritto; v) Unanime consenso; z)
Violazione delle norme di edilizia.
a) Applicabilit della norma
L'art. 1127 c.c. in tema di sopraelevazione sopra l'ultimo piano dell'edificio, essendo inserito nella
regolamentazione del condominio, pi specifica rispetto a quella della comunione in generale, ed avendo, nel
primo comma, quale destinatario il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, postula una divisione della propriet
in senso orizzontale e non trova pertanto applicazione nella comunione disciplinata negli articoli da 1100 a
lll6c.c.* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n. 10699,
b) Colonna d'aria sovrastante l'edificio
Lo spazio aereo sovrastante il suolo costituisce una proiezione di questo ultimo verso l'alto ed perci
liberamente utilizzabile dal proprietario del suolo quando non vi osti un diritto reale di terzi. Ne consegue che
l'acquisto per usucapione della propriet di una superficie posta alla sommit di un edificio giustifica la
sopraelevazione da parte dell'usucapiente con conseguente occupazione dello spazio aereo sovrastante* Cass.
civ., sez. II, 30 gennaio 1997, n. 926, Tirloni c. Marchetti.
La "colonna d'aria" sovrastante l'edificio condominiale appartiene in propriet a tutti i condomini, in quanto
comproprietari del suolo su cui l'edificio sorge, ed perci che nel momento in cui essi ne vengano in parte
privati, a seguito di sopraelevazione dello stabile - anche se eseguita dal proprietario esclusivo dell'ultimo piano
o del lastrico solare - sorge in loro favore il diritto ad essere indennizzati della perdita ai sensi dell'art. 1127 c.c.*
Cass. civ., 27 dicembre 1975, n. 4233.
L'indennit a carico di chi sopraeleva trova la sua ragione giustificativa nell'utilizzazione della colonna d'aria,
corrispondente alla proiezione in altezza, e cio in senso verticale, del suolo su cui costruito l'edificio, nonch
del godimento delle parti e dei servizi comuni, ed ha il suo presupposto giuridico nella comunione dell'area
costituente la base dello stabile, il cui valore, ripartito pro quota fra i condomini, ricompreso in quella di ciascun
piano o porzione di piano.* Cass. civ., 7 dicembre 1974, n. 4093.
c) Condizioni statiche
La sopraelevazione realizzata dal proprietario dell'ultimo piano di edificio condominiale, in violazione delle
prescrizioni e cautele tecniche fissate dalle norme speciali antisismiche, riconducibile nell'ambito della
previsione dell'art. 1127 secondo comma cod. civ., in tema di sopraelevazioni non consentite dalle condizioni
statiche del fabbricato. A fronte di tale opera, pertanto, deve riconoscersi la facolt del condominio di ottenere
una condanna alla demolizione del manufatto, nonch la legittimazione alla relativa azione dell'amministratore
del condominio medesimo, vertendosi in materia di atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni
dell'edificio (art. 1130 n.4 e art. 1131 cod. civ.).* Cass. civ., Sezioni Unite, 8 marzo 1986, n. 1552, Bellusci c.
Cond. V. XII Gen.
L'art. 1127 cod. civ., che vieta al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale sopraelevazioni precluse
dalle condizioni statiche del fabbricato medesimo, e, quindi, consente all'altro condomino di agire per la
demolizione delle opere realizzate in violazione di detto divieto, trova applicazione pure nel caso di
sopraelevazioni che non osservino le specifiche disposizioni dettate dalle leggi antisismiche, anche in tale
ipotesi, peraltro, la relativa domanda, investendo un rapporto privatistico cui estranea la pubblica
amministrazione, rientra nell'ambito della giurisdizione del giudice ordinario.* Cass. civ., Sezioni Unite, 12
febbraio 1987, n. 1541, Arzeni c. Panzini.
La norma dell' art. 1127 cod. civ. sottopone il diritto del proprietario dell'ultimo piano a tre limiti dei quali il primo
(condizioni statiche) introduce un divieto assoluto, cui possibile ovviare se con il consenso unanime dei
condomini il proprietario sia autorizzato all'esecuzione delle opere di rafforzamento e di consolidamento
necessarie a rendere idoneo l'edificio a sopportare il peso della nuova costruzione, mentre gli altri due limiti
(turbamento delle linee architettoniche. diminuzione di aria e luce) presuppongono l'opposizione facoltativa dei
singoli condomini contro-interessati.* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1986, n. 3532, Santoro c. Certelli. Conf.
Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1996, n. 2708.
Il proprietario dell'ultimo piano di edificio condominiale, in mancanza del consenso degli altri partecipanti. non
pu sottrarsi al divieto di sopraelevazioni non consentite dalle condizioni statiche del fabbricato (art. 1127
secondo comma cod. civ.), provvedendo direttamente all'esecuzione di opere di rafforzamento e
consolidamento, specie se queste implichino un'invasione della sfera di godimento degli altri condomini.* Cass.
civ., sez. II, 11 giugno 1983, n. 4009, Picciolo c. Aramini.
d) Contraria previsione del titolo
L'art. 1127, primo comma. cod. civ., nel consentire al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale,
ovvero al proprietario esclusivo del lastrico solare, di elevare "nuovi piani" o "nuove fabbriche", contempla, con
riguardo ad entrambe le ipotesi, la contraria previsione del titolo, con la conseguenza che questo ultimo (nella
specie, regolamento condominiale di tipo contrattuale) pu legittimamente vietare anche l'aggiunta di manufatti a
quelli preesistenti all'ultimo piano (nella specie, veranda di chiusura di lastrico "terrazzato" a livello).* Cass. civ.,
sez. II, 21 maggio 1987, n. 4632, Sciunmach c. Cesarini.
La limitazione convenzionale del diritto di sopraelevazione ex art. 1127 cod. civ. (nella specie: mediante
clausola degli atti di vendita di appartamenti condominiali da parte del titolare ditale diritto), la quale ha indubbia
natura reale, una volta trascritto il titolo che la prevede, opponibile al terzo acquirente del bene su cui essa
grava (nella specie: terrazza di copertura dell'edificio condominiale), a nulla rilevando la sua mancata
riproduzione nell'atto di trasferimento di detto bene.* Cass. civ., sez. Il, li novembre 1982, n. 5958, Lener c.
Soltesz.
e) controversie

La domanda rivolta a denunciare l'illegittimit della sopraelevazione dell'ultimo piano di edificio condominiale,
per violazione dell' art. 1127 secondo comma cod. civ. o di norme convenzionali (come quelle del regolamento
condominiale di tipo contrattuale), la quale pu essere proposta pure dal singolo condomino, a tutela del decoro
o della statica del fabbricato, ovvero del proprio godimento di aria o luce, spetta alla cognizione del giudice
ordinario, anche quando si tratti di edificio urbano, ricollegandosi a posizioni di diritto soggettivo, e pu implicare
la condanna alla demolizione del manufatto (eseguibile con la procedura di cui agli artt. 612 e segg. cod. proc.
civ. in tema di obblighi di fare).* Cass. civ., Sezioni Unite, 21 gennaio 1988, n. 426, Ferri c. Pedretti.
Qualora per l'esistenza di un titolo contrario il diritto alla sopraelevazione, ex art. 1127 cod. civ., risulti in tutto od
in parte escluso, il singolo condomino pu agire giudizialmente, senza necessit di integrazione del
contraddittorio nei confronti degli altri condomini, per far accertare nei riguardi di colui che ha effettuato la
sopraelevazione dell'edificio l'inesistenza del diritto di procedervi e per ottenere le conseguenziali pronunzie di
riduzione dei luoghi nel pristino stato, poich la compropriet delle parti comuni realizzate nel fabbricato
condominiale in occasione ed a seguito della sopraelevazione, in tanto sorge ed configurabile (e rileva, quindi,
anche al limitato effetto di fare assumere la veste di litisconsorte necessario a ciascuno degli altri condomini del
medesimo fabbricato), in quanto sussistono le condizioni richieste dall'art. 1127 cod. civ. Resta, peraltro, salvo il
diritto degli altri condomini di spiegare intervento volontario autonomo nel processo, inteso a far dichiarare,
alternativamente, sia l'inesistenza delle condizioni richieste per la sopraelevazione ai sensi ed agli effetti di cui
all'art. 1127 cod. civ. (in concorrenza con la domanda gi proposta), sia l'esistenza delle stesse condizioni, in
relazione all'interesse ed alla legittimazione propri dell'interventore ai fini della tutela e della conservazione delle
cose comuni realizzate nel legittimo esercizio del diritto di sopraelevazione.* Cass. civ., sez. II, 11 novembre
1982, n. 5958, Lener c. Soltesz.
In ipotesi di sopraelevazione in edificio in condominio, legittimato passivo nell'azione per danni causati alle cose
di propriet esclusiva di singoli condomini soltanto colui che sopraeleva e non il condominio.* Cass. civ., sez.
II, 10 febbraio 1970, n. 338.
f) Differenze dal diritto di superficie
Il diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare, a norma dell'art. 1127
c.c., diverso dal diritto di superficie su edificio costruito o costruendo, attribuito a un terzo dai condomini di
quest'ultimo. Infatti, mentre il primo incontra i limiti fissati dalla citata norma, il secondo soggetto soltanto alle
condizioni stabilite nel contratto. Inoltre, quest'ultimo diritto, qualora abbia ad oggetto la costruzione di tutti i
possibili piani che siano compatibili con la solidit dell'edificio, pu essere esercitato anche per gradi, in tempi
diversi. Ne discende che l'acquirente del diritto di superficie, il quale, in seguito alla costruzione di uno soltanto
dei suddetti piani, abbia acquistato il diritto di sopraelevare ulteriormente nei limiti del citato art. 1127 c.c., e
legittimato a chiedere l'accertamento giudiziario del diverso e pi ampio diritto di sopraelevazione derivantegli
dal contratto costitutivo della superficie.* Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1975, n. 4078.
g) Diritti dei proprietari dei nuovi piani
In ipotesi di sopraelevazione di edificio condominiale, i proprietari dei piani (o delle porzioni di piano) risultanti
entrano a far parte del condominio ipso facto e ipso iure e, conseguentemente, ai sensi dell'art. 1117 cod. civ.,
acquistano senz'altro un diritto di comunione su tutte le parti di edificio ivi menzionate, ancorch comprese nei
piani preesistenti, salva contraria disposizione del titolo, comunque non desumibile dal silenzio o da eventuali
pretermissioni di questo, specie per le entit immobiliari condizionanti l'esistenza e la conservazione del
fabbricato (suolo, strutture di copertura, muri perimetrali, tramiti di accesso, ecc.), trattandosi di entit di cui
fruiscono necessariamente tutti i condomini e per le quali, pertanto, pu escludersi il regime di compropriet solo
se il titolo precisi il minor diritto succedaneo (servit, diritto d'uso, ecc.) a base di siffatta fruizione.* Cass. civ.,
sez. II, 11 maggio 1984, n. 2889, Gismondi S. c. Marvaldi G.
h) Distanze legali
Con riguardo alle sopraelevazioni l'art. 17 comma primo lett. c) della L. 6 agosto 1967 n. 765 (cosiddetta legge
ponte) prevedendo che la distanza tra edifici vicini non pu essere inferiore all'altezza di ciascun fronte
dell'edificio da costruire, si riferisce per la determinazione dell'altezza alla parte dell'edificio da realizzare non
anche all'intero corpo di fabbrica sopraelevato, considerato l'intento del legislatore di non incidere su diritti
quesiti, derivanti da una costruzione realizzata in precedenza nel rispetto delle distanze legali, in applicazione
del principio secondo cui l'attivit edilizia regolata dalla legge vigente nel momento in cui essa realizzata.
Tale principio, peraltro, non comporta che in caso di successive sopraelevazioni ciascuna sia soggetta a
separato computo dell'altezza, dovendo la relativa determinazione essere effettuata con riferimento a tutte le
sopraelevazioni.* Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1992, n. 4799, Rovere c. Qddo.
i) Divieto
L'art. 1127 c.c. sottopone il diritto del proprietario dell'ultimo piano alla sopraelevazione a tre limiti, dei quali il
primo (condizione statica) introduce un divieto assoluto, cui possibile ovviare se, con il consenso unanime dei
condomini, il proprietario sia autorizzato all'esecuzione delle opere di rafforzamento e di consolidamento
necessarie a rendere idoneo l'edificio a sopportare il peso della nuova costruzione, mentre gli altri due limiti
(turbamento delle linee architettoniche, diminuzione di aria e di luce) presuppongono l'opposizione facoltativa dei
singoli condomini contro-interessati. Pertanto, l'art. 1127 cit. ha carattere innovativo rispetto al corrispondente
art. 12 R.D.L. 15 gennaio 1934 n. 56, in quanto inibisce al proprietario dell'ultimo piano di sopraelevare se le
condizioni statiche in atto dell'edificio siano sfavorevoli e la sopraelevazione richieda opere di rafforzamento e di
consolidamento delle strutture essenziali.* Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1996, n. 2708, Pacetti c. La Veglia ed
altri.
Il divieto di sopraelevazione, previsto in un regolamento condominiale di natura contrattuale, avente
sostanzialmente natura di servitutis altius non tollendi a carico dell'ultimo piano dell'edificio ed a favore sia delle
parti di propriet comune che di quelle di propriet esclusiva, pu essere fatto valere da ciascuno dei condomini

sia come tale che quale proprietario esclusivo di una porzione dell'edificio.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5776, Belforti c. Ded.
L' art. 1127 c.c., disciplinante il regime legale delle sopraelevazioni, derogabile, come emerge dall'espressa
riserva contenuta nel primo comma, da una convenzione preesistente o coeva alla costituzione del condominio.
Ne consegue che il divieto assoluto di sopraelevazione - nella specie, stabilito dal regolamento di condominio
(costituente parte integrante del contratto di acquisto dei singoli cespiti) a carico dell'ultimo piano dell'edificio ed
a favore tanto delle parti di propriet comune, quanto delle unit immobiliari in propriet esclusiva dell'edificio avendo sostanzialmente natura di servit altius non tollendi, pu essere fatto valere sia da i singoli condomini
che dal condominio.* Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 1994, n. 10397, Cannici c. Condominio "Stadio 5".
La facolt di sopraelevare spetta ex lege al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio o al proprietario esclusivo
del lastrico solare, salve le limitazioni di cui al secondo e terzo comma dell'art. 1127 cod. civ., ed il suo esercizio
non necessita di alcun riconoscimento da parte degli altri condomini, ma pu soltanto essere vietato in forza di
un'espressa pattuizione, costitutiva di una servit assimilabile a quella non aedificandi.* Cass. civ., sez. II, 28
gennaio 1983, n. 805, Nicosia c. Fall. Pantalena.
La vendita dell'area soprastante l'edificio da parte del proprietario di esso, con il divieto per l'acquirente di
costruire su di essa pi di un piano e con il patto che il lastrico soprastante il piano sopraelevato rester solo in
parte di propriet del costruttore, d luogo a costituzione di servit di non sopraedificare ulteriormente su detto
lastrico a favore della porzione dello stesso che, secondo il patto. diviene di propriet condominiale.* Cass. civ.,
sez. II, 19 aprile 1975, n. 1509.
l) Edificio costruito in zona terremotata
Con riguardo agli edifici costruiti con il contributo dello Stato nelle zone colpite da terremoto, l'applicabilit della
speciale disciplina degli artt. 216 e 217 del r.d. 28 aprile 1938. n. 1165, concernente l'esclusione di indennizzo ai
proprietari dei piani sottostanti per il caso di sopraelevazione effettuata dal proprietario dell'ultimo piano su
terrazza di copertura, prescinde dai requisiti di bisogno economico previsti in tema di edilizia economica e
popolare. Peraltro, detta disciplina - in virt dell'espressa previsione dell'art. 201 del citato r.d. - sottoposta a
limiti temporali e cessa di essere operante allorch tutti gli alloggi di un determinato edificio siano stati riscattati o
ammortizzati, con la conseguenza che, successivamente, detta sopraelevazione resta regolata alla disciplina del
codice civile (art. 1127), che prevede un'indennit quale corrispettivo non solo dell'occupazione della colonna
d'aria ma anche del maggiore uso del suolo e degli altri elementi comuni.* Cass. civ., sez. II, 30 aprile 1988, n.
3287, Bruschetto c. Vasari.
Le sopraelevazioni effettuate dal proprietario dell'ultimo piano di un edificio costruito in zona terremotata dal
Ministero dei lavori pubblici, e da questo alienato a norma del r.d. 4 settembre 1924 n. 1356, sono disciplinate,
per quanto concerne l'eventuale diritto degli altri condomini all'indennit per sopraelevazione, alle disposizioni
vigenti in materia di edilizia economica e popolare, e, in particolare, alla disciplina contenuta nel TU. 18 aprile
1938, n. 1165, il cui art. 217 stabilisce che l'indennit spetta solo quando l'edificio sopraelevato sia coperto da
tetto e non anche nel caso in cui lo stesso sia coperto da terrazzo. Tale disposizione della legge speciale non
stata abrogata - n espressamente n tacitamente - dall' art. 1127 del codice civile vigente. Cass. civ., sez. II, 9
aprile 1980, n. 2267, Lo Cascio c. Romano.
m) Indennit
In tema di condominio di edifici, qualora colui che sopraeleva sia per titolo proprietario esclusivo non solo
dell'ultimo piano o del lastrico solare, ma anche della colonna d'aria soprastante, non concepibile un
indennizzo per la utilizzazione di un bene che proprio di chi lo usa a suo vantaggio mediante la
sopraelevazione e che, per essergli stato attribuito in propriet esclusiva di fronte agli altri condomini dell'edificio,
non ammette possibilit di sfruttamento da parte di costoro.* Cass. civ., sez. II, 14ottobre 1988, n. 5556, Casiere
c. Potito.
L'indennit di sopraelevazione di cui all'art. 1127 cod. civ., che costituisce un debito di valore (soggetto alla
rivalutazione monetaria), deve essere calcolata assumendo come base unicamente il valore attuale del suolo
nella parte di esso corrispondente al piano di sopraelevazione, supposto come completamente libero, senza
cio che possa operarsi alcuna diminuzione di esso in considerazione delle strutture del fabbricato e dei limiti
che ne derivano, n della sua maggiore o minore vetust.* Cass. civ., sez. II, 5 dicembre 1987, n. 9032, Trinca
c. Trovalusci.
Non nullo il negozio stipulato dal proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale con gli altri condomini,
diretto a determinare la misura dell'indennit a questi ultimi spettante per la progettata sopraelevazione
dell'edificio stesso, ancorch risulti l'inattuabilit della sopraelevazione per le condizioni statiche dell'edificio o
per i divieti previsti dalle norme antisismiche.
* Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1983, n. 5229, Arzeni c. Panzini.
La determinazione dell'indennit dovuta, ai sensi del quarto comma dell'art. 1127 cod. civ., per la
sopraelevazione dell'edificio condominiale va operata con riferimento al tempo della sopraelevazione tenendo
conto, peraltro, della svalutazione monetaria verificatasi fino al tempo della concreta liquidazione.* Cass. civ.,
sez. II, 30 luglio 1981, n. 4861, in Arch. Civ. 1982, 288.
Il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale, che costruisce uno o pi piani in aggiunta a quelli
preesistenti, tenuto a corrispondere ai proprietari degli altri piani l'indennit prevista dal quarto comma dell'art.
1127 cod. civ., la quale va determinata con riferimento al valore dell'area comune, su cui sorge l'edificio, in
relazione al numero dei piani di questo, senza che rilevi n il rapporto fra l'altezza ed il volume del fabbricato
preesistente e di quello attuale, n l'eventuale appartenenza al proprietario che esegue la nuova costruzione
della parte dell'edificio (soffitta, lastrico solare ecc.) in cui tale costruzione eseguita, n, infine, la mancanza di
autonomia e le limitate dimensioni della medesima. Infatti, tale obbligo nasce dalla maggiore utilizzazione, da
parte del condomino proprietario dell'ultimo piano, del suolo comune su cui sorge l'edificio condominiale, alla

quale consegue la necessit di compensare gli altri condomini della diminuzione del valore delle rispettive quote
del condomino proprietario dell'ultimo piano, del suolo comune su cui sorge l'edificio condominiale, alla quale
consegue la necessit di compensare gli altri condomini della diminuzione del valore delle rispettive quote del
suolo comune. Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1981, n. 4861, Malentacchi c. Galletti.
La terrazza, realizzata in occasione della sopraelevazione di un edificio in sostituzione del tetto preesistente,
costituisce essa stessa una sopraelevazione con il conseguente indennizzo per i condomini estranei all'opera
quando, oltre ad assolvere la funzione di copertura, acquisti, per struttura ed ubicazione, il carattere di bene di
propriet ed uso esclusivo del proprietario dell'ultimo piano, ovvero sia destinata al godimento anche dei
condomini estranei alla sopraelevazione.* Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 1980, n. 99, Lo Po. c. Miuccio.
Nel caso in cui un edificio condominiale venga, in un medesimo contesto, sopraelevato di pi piani anche
quando tale sopraelevazione sia di particolare entit - l' indennit prevista dall'art. 1127 c.c. deve essere
determinata dividendo il valore del suolo (su cui insiste l'edificio o la parte di esso che venga sopraelevata) per il
numero complessivo dei piani (preesistenti e di nuova costruzione), moltiplicando poi il quoziente ottenuto per il
numero dei piani sopraelevati e sottraendo, infine, dal prodotto cos conseguito la quota che, tenuto conto del
precedente stato di fatto e di diritto, sarebbe spettata al condomino che ha eseguito la sopraelevazione. E errato
il diverso criterio, secondo il quale, nel caso considerato, dovrebbe determinarsi l'indennit ripetendosi il calcolo
piano per piano, come se si trattasse di pi sopraelevazioni eseguite in tempi diversi. L'indennit prevista dall'art.
1127, per il caso della sopraelevazione di uno stabile condominiale, in quanto rivolta a compensare la riduzione
arrecata al diritto di propriet dei condomini sulla colonna d'aria soprastante l'edificio, deve essere calcolata in
base al valore posseduto dell'area, da occuparsi con la nuova costruzione, al momento in cui il sopralzo stato
eseguito e non gi a quello in cui l'indennit liquidata. La somma risultante da tale calcolo, peraltro, trattandosi
di debito di valore, deve essere rivalutata alla stregua della sopravvenuta svalutazione monetaria e, nel
contempo, debbono essere liquidati gli interessi legali.* Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1977, n. 1300.
Il proprietario esclusivo del lastrico solare partecipa ai diritti e agli obblighi della comunione delle cose e dei
servizi dell'edificio che derivano dalla disciplina del condominio edilizio, anche se non sia proprietario di un piano
o di una porzione di piano; partecipando egli, pertanto, alla comunione del suolo su cui l'edificio insiste, deve
regolarmente operarsi la detrazione dell'importo della quota di compropriet a lui spettante per determinare
l'indennit che egli tenuto a corrispondere, in caso di sopraelevazione, agli altri condomini, a norma dell'art.
1127 c.c.. * Cass. civ., sez. II, 26 marzo 1976, n. 1084.
Il proprietario esclusivo del lastrico solare, per poter eseguire la sopraelevazione, cui ha diritto, senza esser
tenuto a corrispondere l'indennit prevista dall'art. 1127 c.c., deve aver acquistato (o essersi riservato) anche la
propriet esclusiva della cosiddetta colonna d'aria sovrastante l'edificio. Cass. civ., 26 marzo 1976, n. 1084.
In un edificio condominiale, il proprietario dell'ultimo piano, od il proprietario esclusivo del lastrico solare, il quale
legittimamente effettui una sopraelevazione, non pu esimersi dall'obbligo di pagare agli altri condomini
l'indennit prevista dall'art. 1127 quarto comma c.c., per il solo fatto di aver acquistato (o di essersi riservato,
nell'ipotesi di originaria propriet dell'intero stabile) il diritto di sopraelevare: tale diritto, infatti, salvo che il titolo
espressamente lo preveda, non conferisce la propriet esclusiva della colonna d'aria sovrastante l'edificio,
concepita come proiezione verso l'alto dell'area sulla quale sorge il fabbricato ed in relazione alla cui
occupazione si pone l'esigenza dell'indennit medesima.* Cass. civ., sez. 11, 15 marzo 1976, n. 939.
Qualora siano richiesti, per la prima volta in appello, gli interessi corrispettivi su somma attribuita a titolo di
indennit per altrui sopraelevazione di edificio condominiale (art. 1127 u.c. c.c.), gli interessi medesimi non
possono esser concessi con decorrenza dalla data della sentenza, non esecutiva, di primo grado (e tale
decorrenza deve essere fissata dalla data della citazione d'appello), dato che al momento della sentenza di
primo grado il eredito principale non poteva considerarsi ancora liquido ed esigibile, per la possibilit che quella
pronuncia fosse gravata di appello.* Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 1975, n. 4233.
La determinazione dell'indennit prevista dall'art. 1127 cc., nel caso di sopraelevazione di un solo piano, deve
essere effettuata assumendo come elemento base del calcolo il valore del suolo sul quale insiste l'edificio o le
parti di esso che viene sopraelevato, dividendo, poi, il relativo importo per il numero dei piani, compreso quello
di nuova costruzione, e detraendo, infine, dal quoziente cos ottenuto, la quota che spetterebbe al condomino
che ha eseguito la sopraelevazione; nel caso di sopraelevazione di pi piani, invece, il quoziente ottenuto
dividendo il valore del suolo, per il numero complessivo dei piani preesistenti e di quelli di nuova costruzione
dovr essere moltiplicato per il numero di questi ultimi, e l'ammontare dell'indennit sar rappresentata dal
prodotto cos ottenuto, diminuito della quota che, tenendo conto del precedente stato di fatto e di diritto,
spetterebbe al condomino che ha eseguito la sopraelevazione; in tale ultimo caso, deve respingersi come errato
il diverso criterio secondo il quale l'indennit andrebbe considerata piano per piano, iniziando dal primo e
calcolando il nuovo piano sovrastante come se si trattasse di un piano gi costruito.* Cass. civ.. sez. II, 26
marzo 1976, n. 1084.
La norma dell'art. 1127, quarto comma. disponendo che il prodotto dell'estensione della superficie sopraelevata
per il valore a metro quadro va diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, ai fini della
determinazione dell'indennit di sopraelevazione, stabilisce un criterio giuridico di valutazione, che non consente
di considerare quoad valorem come inedificata, un'area di cui gi sia stata sfruttata parzialmente la potenzialit
edificatoria.* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1970, n. 1900.
L'indennit prevista dal quarto comma dell'art. 1127 c.c. deve ritenersi dovuta agli altri condomini non solo per
l'ipotesi della sopraelevazione del lastrico solare di un edificio in condominio, ma anche nel caso di
sopraelevazione di una terrazza a livello eseguita dal proprietario di essa e dell'appartamento adiacente da cui vi
si accede. I cosiddetti ammezzati e mezzanini devono essere calcolati - sia pure come mezzi piani - ai fini della
determinazione dell'indennit di sopraelevazione, semprech abbiano, sul piano strutturale e funzionale,
connotazioni di autonomia e di indipendenza e non siano astretti alle altre unit immobiliari da intimi vincoli

pertinenziali.* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1974, n. 4274.


Ove la sopraelevazione intervenga in un edificio condominiale che, pur compreso in un complesso edilizio
formato da pi stabili, sia rivestito da connotazioni di autonomia e indipendenza, rispetto agli altri fabbricati, con i
quali abbia in comunione soltanto i cortili interni, l'indennit di sopraelevazione spetta esclusivamente ai
proprietari degli appartamenti siti in detto edificio, e cio ai proprietari dei piani e delle porzioni di piano inferiori a
quello della sopraelevazione, per essere soltanto questi depauperati nella loro sfera patrimoniale, in
conseguenza della maggiore incidenza, attraverso lo sfruttamento della colonna d'aria soprastante, sull'area
costituente la base dell'edificio, ed attraverso un pi intenso godimento, sulle parti e sui servizi comuni di
questo.* Cass. civ.. sez. II, 7 dicembre 1974. n. 4093.
dal momento in cui completata la costruzione sopra l'ultimo piano dell'edificio e non gi dall'inizio della
stessa che sorge l'obbligo del pagamento dell'indennit prevista dall'art. 1127 c.c., obbligo che non
incompatibile con la circostanza che al momento dell'inizio della sopraelevazione non vi fosse condominio.* Trib.
civ. Monza, 25 febbraio 1982, Davi c. Pontillo, in Arch. civ. 1982, 878.
Poich l'indennit di sopraelevazione prevista dall'art. 1127 c.c. non costituisce risarcimento del danno, per la
decorrenza dei relativi interessi occorre la costituzione in mora, a norma dell'art. 1282 c.c. Cass. civ., sez. II, 16
ottobre 1990, n. 10098, Levantesi c. Sonnino.
n) Installazione di veranda a vetri
L'installazione di una veranda a vetri, con copertura del terrazzo all'ultimo piano dell'edificio condominiale,
effettuata dal relativo proprietario, soggetta alla disciplina dettata dall'art. 1127 c.c. e in particolare, alla
disposizione del terzo comma di detto articolo, la quale vieta sopraelevazioni che "pregiudichino l'aspetto
architettonico dell'edificio" medesimo. L'illegittimit ditale installazione, pertanto, postula il verificarsi non di una
pura e semplice modificazione della linea stilistica del fabbricato, ma di una concreta diminuzione del valore
economico dello stesso, in relazione al suo aspetto esteriore. La relativa indagine va condotta in stretta
correlazione con la visibilit della nuova opera, tenuto conto che nessun pregiudizio, nel senso indicato, pu
essere riscontrato in manufatti che, secondo la valutazione di ogni concreta circostanza, istituzionalmente
demandata al giudice del merito, siano assolutamente invisibili ai terzi, ovvero siano visibili in posizioni tanto
distanti e particolari da non lasciar spazio ad un 'eventuale compromissione estetica.
* Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 1978, n. 4804.
o) Modifiche alla scala comune
Il condomino che ha diritto di sopraelevare ha facolt di apportare le modifiche necessarie alla scala comune,
mediante le indispensabili demolizioni e le successive ricostruzioni a livello pi elevato.
* Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1980, n. 6362, Mangraviti c. Mangraviti.
p) Nozione
Ai fini dell'art. 1127 cod. civ., la sopraelevazione di edificio condominiale costituita soltanto dalla realizzazione
di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) nell'area sovrastante il fabbricato, per cui l'originaria altezza
dell'edificio superata con la copertura dei nuovi piani o con la superficie superiore terminale delimitante le
nuove fabbriche, sicch non v' sopraelevazione in ipotesi di modificazione solo interna, contenuta negli originari
limiti strutturali, delle parti dell'edificio sottostanti alla sua copertura (nella specie: trasformazione in unit
abitabile di locali sottotetto), nel qual caso non possono per s venire in rilievo nei rapporti tra i condomini,
nell'ambito della disciplina civilistica della sopraelevazione in questione, in difetto di specifiche pattuizioni al
riguardo, la modificazione tra i "volumi tecnici" od i vincoli di destinazione gravanti in virt del progetto approvato
e dell'autorizzazione di relativa attuazione, riguardando la nozione di "volume tecnico" e tali vincoli
esclusivamente la regolamentazione pubblicistica dell'attivit edilizia.
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1983, n. 680, Bossi c. Scalmana.
Ai fini dell'art. 1127 c.c. la sopraelevazione di edificio condominiale deve intendersi non nel senso di costruzione
oltre l'altezza precedente di questo, ma come costruzione di uno o pi nuovi piani o di una o pi nuove fabbriche
sopra l'ultimo piano dell'edificio, quale che sia il rapporto con l'altezza precedente del medesimo; ci perch tale
norma trova giustificazione nell'occupazione, da parte di chi sopraeleva, dell'area comune su cui sorge il
fabbricato, ossia della maggiore utilizzazione, mediante sfruttamento della colonna d'aria sovrastante l'edificio, di
detta area. Ne consegue che anche la costruzione realizzata su terrazza di propriet esclusiva del proprietario
dell'adiacente appartamento, quando la terrazza sia quella dell'ultimo piano o piano attico dell'edificio
condominiale, ed assolve perci come lastrico solare alla funzione di copertura della parte sottostante detto
edificio, va considerata come sopraelevazione, ed soggetta al relativo regime legale, perch comporta le
stesse conseguenze in termini di occupazione e di utilizzazione della colonna d'aria sovrastante il fabbricato di
qualsiasi altra ipotesi di sopraelevazione, costituente espressione del diritto di propriet esclusiva dell'ultimo
piano del lastrico solare.
* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1991, n. 12173, Bellotto c. Fazzalari.
Costituisce sopraelevazione, ai sensi dell'art. 1127 c.c., l'occupazione dell'area comune sovrastante l'ultimo
piano, sia con un altro piano, sia con una nuova fabbrica, che pu consistere anche in materiale diverso da
cemento o laterizi, purch sia stabile e compatta -come nel caso di struttura in alluminio, immobilizzata
solidamente su un terrazzo di copertura, di propriet esclusiva - mentre irrilevante che possa esser stata
considerata dal giudice penale, per escludere il reato previsto dall'art. 17. lett. b) della legge 28 gennaio 1977 n.
10, pertinenza dell'appartamento.
* Cass. civ., sez. II, 1 luglio 1997, n. 5839, Borriello V. c. Cond. Via Nicolardi 159.
Al fine dell'art. 1127 cod. civ., la sopraelevazione di edificio condominiale deve intendersi non nel senso di
costruzione oltre l'altezza precedente di questo, ma come costruzione di uno o pi nuovi piani (o d'una o pi
nuove fabbriche) sopra l'ultimo piano dell'edificio, quale che sia il rapporto con l'altezza precedente di questo.
Ci perch tale norma trova giustificazione nell'occupazione, da parte di chi sopraeleva, dell'area comune su cui

sorge il fabbricato, ossia nella maggiore utilizzazione di detta area, implicante che, rimanendo sempre lo stesso
il valore del suolo (dividendo), con l'aumento del numero dei piani (divisore) necessariamente diminuisce il
valore di ogni quota piano (quoziente), onde l'indennit dovuta da colui che sopraeleva agli altri condomini ha
propriamente lo scopo di ristabilire la situazione economica precedente, mediante la prestazione dell'equivalente
pecuniario della frazione di valore perduta, per effetto della sopraelevazione, da ogni singola quota-piano.
* Cass. civ., sez. II, 16 marzo 1982, n. 1697, Gorgone c. Massari.
q) Nuovo lastrico solare
Qualora il lastrico solare di un edificio sia accessibile ai condomini, in relazione alle necessit derivanti dalla sua
specifica funzione, direttamente dalle scale comuni, va ritenuta illegittima la sopraelevazione eseguita dal
proprietario del lastrico medesimo, ove il nuovo lastrico ricostruito a seguito della sopraelevazione risulti
accessibile ai condomini solo passando attraverso locali di propriet esclusiva, facenti parti del piano
sopraelevato.
*Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1976, n. 939.
r) Opposizione
A norma dell'art. 1127 comma terzo cod. civ. il diritto dei condomini di opporsi alla sopraelevazione che sia
suscettibile di pregiudicare l' aspetto architettonico dell'edificio o di diminuire notevolmente l'aria e la luce ai piani
sottostanti - il cui accertamento demandato al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimit se
congruamente motivato -pu essere esercitato non solo prima dell'inizio della sopraelevazione ma anche dopo
che la stessa sia effettuata, con facolt di domandare, in questa seconda ipotesi, la riduzione in pristino ed il
risarcimento del danno conseguente al pregiudizio derivato.
* Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1982, n. 6611, Di Benedetto c. Passari.
s) Pregiudizio per l'aspetto architettonico
In materia di condominio di edifici, il codice civile, nel riferirsi, quanto alle sopraelevazioni (art. 1127, terzo
comma), all'aspetto architettonico dell'edificio, e, quanto alle innovazioni (art. 1120, secondo comma), al decoro
architettonico dello stesso, adotta nozioni di diversa portata, intendendo per aspetto architettonico la
caratteristica principale insita nello stile architettonico dell'edificio, sicch l'adozione, nella parte sopraelevata, di
uno stile diverso da quello della parte preesistente comporta normalmente un mutamento peggiorativo
dell'aspetto architettonico complessivo, percepibile da qualunque osservatore. La relativa indagine, condotta in
stretta correlazione con la visibilit dell'opera e con l'esistenza di un danno economico valutabile, demandata
al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimit, se congruamente motivato, senza
comportare l'obbligo di un'espressa motivazione sulla sussistenza del pregiudizio economico, quando questo
da ritenersi insito in quello estetico. in conseguenza della gravit di quest'ultimo (nella specie, trattavasi di
veranda costruita sulla terrazza di un edificio condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1947, Menichini c. Candela.
Il pregiudizio all'aspetto architettonico dell'edificio che i condomini possono addurre a norma dell'art. 1127, terzo
comma ad impedimento della sopraelevazione da parte del proprietario dell'ultimo piano pu consistere in una
diminuzione del valore dell'immobile diversamente dalla semplice alterazione, prevista dall'art. 1120, secondo
comma come comunque impeditiva della innovazione eseguita specificamente sulla cosa comune, e la relativa
valutazione da parte del giudice pu risultare implicitamente nella stessa descrizione degli elementi di contrasto
della eseguita sopraelevazione rispetto all'edificio. (Nella specie, i giudici del merito, con decisione confermata
dal Supremo Collegio, avevano indicato nella diversit di composizione di materiali del manufatto, nella minore
altezza rispetto agli altri piani, nel tipo di copertura e di finestratura le cause del rilevato pregiudizio, s da
escludere che fosse stata attuata una ricostruzione dell'equilibrio estetico della facciata).
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1988, n. 4613, Verdarelli c. Cond. Savorelli.
Il codice civile, in materia di condominio di edifici, nel riferirsi quanto alle sopraelevazioni, all'aspetto
architettonico dell'edificio e, quanto alle innovazioni, al decoro architettonico dello stesso, adotta nozioni di
diversa portata, intendendo per aspetto architettonico la caratteristica principale insita nello stile architettonico
dell'edificio, sicch l'adozione, nella parte sopraelevata, di uno stile diverso da quello della parte preesistente
dell'edificio comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell'aspetto architettonico complessivo
(percepibile da qualunque osservatore), e denotando per decoro architettonico una qualit positiva dell'edificio
derivante dal complesso delle caratteristiche architettoniche principali e secondarie, onde una modifica
strutturale di una parte anche di modesta consistenza dell'edificio o un'aggiunta quantitativa diversa dalla
sopraelevazione, pur non incidendo normalmente sull'aspetto architettonico, pu comportare il venir meno di
altre caratteristiche influenti sull'estetica dell'edificio e cos sul detto decoro architettonico incorrendo nel divieto
ex art. 1120 cit.
* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1987, n. 8861, Di Lella c. Cucciani.
Il diritto di eseguire una costruzione sopra l'ultimo piano di un edificio condominiale, previsto, a favore del
proprietario di detto piano, dall'art. 1127 cod. civ., non subordinato alla possibilit che la sopraelevazione
mantenga o ripeta le preesistenti linee architettoniche dell'edificio, ma soltanto alla regola - la cui eventuale
violazione va accertata con indagine di fatto in relazione ai singoli casi - di non pregiudicare il decoro dell'edificio
medesimo o di non peggiorare l'aspetto esterno secondo il comune senso estetico.
* Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1980, n. 2267, Lo Cascio c. Romano.
t) Revisione delle tabelle
In materia di condominio negli edifici, la sussistenza di una soprelevazione non implica necessariamente la
revisione delle tabelle millesimali, le quali ex art. 69, n. 2, att e trans. c.c., possono essere rivedute e modificate
(anche nell'interesse di un solo condomino) solo se notevolmente alterato il rapporto originario dei valori dei
singoli piani o porzioni di piano.
* Cass. civ., sez. II, 13 settembre 1991, n. 9579, Cerroni c. Papalia ed altri.

u) Titolarit del diritto


Il condomino che intende effettuare la sopraelevazione dell'edificio in condominio per l'intera sua superficie ha
l'onere di provare di essere proprietario esclusivo dell'intero ultimo piano o del lastrico solare.
Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 1974, n. 52.
Spettando al proprietario dell'ultimo piano di un edificio condominiale il diritto di sopraelevazione, questi ha
anche il diritto di optare per un diverso sistema di copertura dell'edificio, trasformando un tetto spiovente in un
lastrico solare o terrazzo destinato a suo uso esclusivo.
* Corte app. civ. Messina, 18 novembre 1985, Mastroieni e Costa c. Pinizzotto e Gangemi, in Arch. loc. e cond.
1986, 660.
v) Unanime consenso
Il divieto di sopraelevazione, nel caso in cui le strutture dell'edificio condominiale siano inidonee a sorreggere il
nuovo piano, ha carattere assoluto e non pu essere rimosso neanche dall'unanime consenso di tutti i
condomini. Il consenso unanime di questi ultimi , invece, richiesto per la preventiva esecuzione delle opere di
consolidamento, eseguite le quali, risorge il diritto del proprietario dell'ultimo piano di eseguire il sopralzo non
condizionato all'assenso, concorde o maggioritario, degli altri comunisti. Il suddetto consenso non richiede la
forma scritta, non implicando un atto di disposizione di diritti reali, sia nel caso in cui i lavori di consolidamento
impongano l'introduzione o il passaggio nelle parti dell'edificio di propriet esclusiva, sia nel caso in cui tali lavori
siano da effettuarsi soltanto nell'ambito delle parti comuni dello stesso stabile, salvo, in quest'ultima ipotesi, che i
detti lavori rendano la parte comune, inservibile per l'uso anche di un solo comproprietario.
* Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1977, n. 1300.
z) Violazione delle norme di edilizia
Il diritto al risarcimento dei danni di cui all'art. 872 c.c. presuppone la violazione delle norme di legge o
regolamento in materia edilizia e non l'eventuale difformit della costruzione rispetto alla licenza edilizia, la quale
per la sua natura di autorizzazione amministrativa come non pregiudica i diritti dei terzi cos non attributiva a
loro favore di diritti maggiori o diversi di quelli riconosciuti dalle fonti di diritto obiettivo. Ne consegue che il
proprietario di un edificio, il quale abbia effettuato la sopraelevazione di un piano, non pu invocare una ragione
di danno per il pregiudizio all'estetica ed alla simmetria degli edifici, nei confronti del proprietario dell'edificio
contiguo, che nell'effettuare a sua volta la sopraelevazione, non si sia uniformato alle prescrizioni di ornato,
poste unicamente dalla licenza edilizia e non anche da norme di legge o regolamentari, giacch siffatta condotta
se per un verso determina responsabilit nei confronti della P.A.., per altro verso non pu considerarsi fatto
produttivo di danno risarcibile per il vicino.
* Cass. civ., sez. II, 23ottobre 1991, n. 11210, Brigidi c. Saccomandi.
SOTTOTETTO CONDOMINIALE
Il sottotetto di un edificio in condominio, non essendo incluso tra le parti comuni indicate nell'art. 1117 c.c., non
costituisce - in difetto di elementi contrari desumibili dal titolo - oggetto di comunione e, poich esso. di regola,
assolve una funzione isolante e protettiva (dal caldo e dal freddo) del piano pi elevato, di questo costituisce
normalmente una pertinenza. qualora non ne sia dimostrata una destinazione diversa.
* Cass. civ., 23 maggio 1991, n. 5854.
Il sottotetto di un edificio pu considerarsi pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano solo quando assolva
alla esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento stesso dal caldo, dal freddo e dall'umidit
mediante la creazione di una camera d'aria, non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali
da consentirne l'utilizzazione come vano autonomo (deposito, stenditoio, ecc.): in questa ultima ipotesi
l'appartenenza deve essere determinata in base al titolo, ed in mancanza, poich il sottotetto non compreso
nel novero delle parti comuni dell'edificio essenziali per la sua esistenza (quali il tetto, il muro maestro, il suolo
ecc.) o necessarie all'uso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 n. 1 cod. civ. si rende applicabile
solo quando il sottotetto risulti oggettivamente destinato. anche soltanto in via potenziale, all'uso comune o
all'esercizio di un uso comune.
* Cass. civ., sez. II. 18 ottobre 1988, n. 5668, Scarpi c. Giuliani. Nello stesso senso, v. Cass. civ., 29 ottobre
1992, n. 11771.
Il "sottotetto" di edificio condominiale. sia che assolva esclusivamente una funzione isolante a protezione
dell'ultimo piano, costituendo pertinenza e, quindi, parte integrante dello stesso, sia che assolva anche altre
funzioni ovvero abbia dimensioni e caratteristiche tali da consentire l'utilizzazione come vano autonomo - la cui
appartenenza va determinata solo in base ad un titolo - pu considerarsi di propriet comune se, per
caratteristiche strutturali e funzionali, risulti, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all'uso comune
o all'esercizio di un servizio di interesse comune.
* Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1987, n. 2722, Catalani c. Cond. V. Malakoff.
L'ambiente ricavato sotto il tetto dell'edificio in condominio, in modo da formare una camera d'aria limitata, in
alto, dalla struttura del tetto ed, in basso, dal solaio che copre i vani dell'ultimo piano (cosiddetto sottotetto),
assolve, di regola, ad una funzione isolante e protettiva di questi vani e, quando non risulti una diversa
destinazione o non sia diversamente disposto dal titolo, non , quindi, oggetto di comunione ma costituisce
pertinenza dell'appartamento dell'ultimo piano.
* Cass. civ., sez. Il, 15 giugno 1993, n. 6640. Giussani c. Albanese e altra.
Il sottotetto di un edificio, quando assolve l'esclusiva funzione di isolare i vani dell'alloggio ad esso sottostanti si
pone in rapporto di dipendenza con i vani stessi cui serve da protezione e non pu essere, pertanto, da questi
ultimi separato senza che si verifichi l'alterazione del rapporto di complementariet dell'insieme.
Conseguentemente, non essendo in tale ipotesi il sottotetto idoneo a essere utilizzato separatamente
dall'alloggio sottostante cui accede, non configurabile il possesso ad usucapionem dello stesso da parte del

proprietario di altra unit immobiliare.


* Cass. civ., sez. Il, 8 agosto 1986, n. 4970, Colarossi c. Corsetti.
Il criterio giurisprudenziale, secondo cui il sottotetto di un edificio in condominio appartiene di regola al
proprietario dell'ultimo piano, applicabile nei casi in cui il contrario non risulti dal titolo.
* Cass. civ., 13 ottobre 1971, n. 2886.
I sottotetti, le soffitte, le cantine, i solai vuoti e gli analoghi spazi non praticabili destinati ad isolare il corpo di
fabbrica dalla sua copertura costituiscono una pertinenza dell'intero edificio condominiale (o del suo ultimo
livello) ove appartengano in via esclusiva al proprietario di questo e non danno luogo a loro volta ad un piano a
s stante, essendo destinati ad una funzione accessoria, quali depositi, stenditoi e camere d'aria a protezione
degli alloggi sottostanti dal caldo, dal freddo e dall'umidit. La ristrutturazione di locali del genere non comporta
sopraelevazione, ai sensi dell'art. 1127 c.c., nei soli casi di modificazioni soltanto interne, contenute negli
originari limiti dell'edificio senza alcun aumento della sua altezza.
* Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1997, n. 5164, Canu Salvatore c. Canu Francesca.
Il sottotetto di un edificio condominiale pu essere ritenuto pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano
soltanto se assolve, mediante la creazione di una camera d'aria, all'esclusiva funzione di isolamento e di
protezione dell'appartamento stesso dal caldo, dal freddo o dall'umidit e non anche nella diversa ipotesi che
esso abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da permettere l'utilizzazione come vano autonomo. In
quest'ultima ipotesi, l'appartenenza deve essere stabilita in forza di idoneo titolo e, in mancanza di questo, sulla
base della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., pur non comprendendo questa norma
esplicitamente il sottotetto nell'elencazione delle cose comuni dell'edificio, allorquando esso risulti
oggettivamente destinato, anche soltanto in via potenziale, all'uso comune.
* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 9788, Casalgrandi c. Bellei, in Arch. loc. e cond. 1997, 973.
Il sottotetto di un edificio, non compreso tra le parti comuni indicate dall'art. 1117 c.c., costituisce una pertinenza
dell'appartamento sito all'ultimo piano quando assolva alla funzione esclusiva di isolarlo e proteggerlo dal caldo,
dal freddo e dall'umidit, formando una camera d'aria a sua difesa. Esso, tuttavia, realizza una funzione diversa
dalla mera camera d'aria quando sia destinato all'uso comune di tutti i condomini, come nel caso in cui sia
dotato di una comunicazione diretta con il vano scale comune e di un lucernario per l'accesso al tetto comune;
destinazione che costituisce il fatto noto ex art. 2727 c.c. posto dalla legge a base della presunzione di
comunione ex art. 1117 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1996, n. 4509, Ferigo c. Mengoli.
I sottotetti di un edificio in condominio, non essendo inclusi tra le "parti comuni" specialmente contemplate
dall'art. 1117 c.c., non costituiscono sempre ed incondizionatamente oggetto di comunione, ancorch manchi un
titolo che disponga ex professo altrimenti: invero, per ritenerli comuni altres necessario - in aderenza al criterio
generale enunciato nella parte finale del n. 1 della detta norma, e ribadito anche nei numeri successivi - che, per
le loro peculiari caratteristiche strutturali e funzionali, essi risultino oggettivamente destinati, sia pure in via
potenziale, all 'uso comune o ad un servizio d'interesse comune, o comunque annessi alle parti comuni, s da
costituire elementi integranti di esse.
* Cass. civ., 22 giugno 1961, n. 1493.
Mentre il tetto, ove non risulti il contrario dal titolo, si presume comune a tutti i condomini dell'edificio, il sottotetto,
di regola, cio ove il contrario non risulti dal titolo ed ove non sia dimostrata, per le sue caratteristiche strutturali
e funzionali, la sua destinazione ad un servizio comune o la sua annessione alle parti comuni, s da costituire
elemento integrante di esse, appartiene al proprietario dell'ultimo piano del quale una pertinenza in quanto
assolve, rispetto ad esso, una funzione isolante e protettiva. Se invece il sottotetto assolve esclusivamente alla
funzione di copertura dell'edificio, rientra nella nozione di tetto e, quindi, nella presunzione di comunione di cui
all' art. 1117 c.c..
* Trib. civ. Avellino, 5 giugno 1995, n. 420, Andrita c. Siniscalchi, in Arch. loc. e cond. 1995, 866.
Poich il sottotetto non incluso tra le parti comuni indicate dall'art. 1117 c.c., al fine di stabilire se esso sia di
propriet esclusiva o comune necessario tenere conto di quanto stabilito dal titolo di acquisto; in difetto di
una clausola espressa, si deve fare riferimento alla destinazione funzionale ed obiettiva del sottotetto nel singolo
edificio.
* Trib. civ. Milano, 28 maggio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 810.
Il concetto di struttura organica di un edificio comprende sia la conformazione esterna che quella interna dello
stesso. Rientra pertanto nel divieto di apportare qualunque variante alla struttura organica dell'edificio la
limitazione posta ai singoli condomini di non realizzare modifiche nell'interno della propriet esclusiva, mutando
la destinazione dei locali posti nel sottotetto.
* Corte app. civ. Milano, sez. II, 19 settembre 1995, n. 2597, Piazza e. Condominio di via Palazzi n.6 in Milano e
Arosio, in Arch. loc. e cond. 1996, 71.
Poich la presunzione legale di comunione di alcune parti dell'edificio condominiale, stabilita dall'art. 1117 cod.
civ. si fonda sulla destinazione all'uso e al godimento comune, risultante da elementi obiettivi, cio dall'attitudine
funzionale della parte di cui trattasi al servizio o al godimento collettivo, deve ritenersi che al sottotetto il quale,
per sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo al godimento di un'unit immobiliare oggetto
di un singolo diritto di propriet, non si estende la presunzione legale di cui al citato art. 1117 cod. civ., in quanto
la destinazione legale vince la presunzione legale di comunione.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 9 gennaio 1980, n. 613, Condominio di Via Farneti 10, Milano c. Bonomi, in
Arch. loc. e cond. 1980, 377.
da ritenere illegittima l'effettuazione nel sottotetto, senza alcuna autorizzazione del condominio e delle
competenti autorit, di lavori che comportino la modifica del solaio (con lesione del vaso di espansione) nonch
di parti comuni dello stabile (con lesione della servit di accesso per l'ispezione del tetto e danno estetico).

* Corte app. civ. Milano, sez. I, 25 settembre 1992, n. 1561, De Vilas c. Cond. di Via Ingegnoli n. 18 di Milano, in
Arch. loc. e cond. 1993, 541.
Il sottotetto, pur non costituendo una parte comune c.d. necessaria dell'edificio condominiale, deve essere
considerato di propriet comune quando sia strutturalmente destinato, anche potenzialmente, ad un servizio o
ad un uso comune.
* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990.
SUBLOCAZIONE E CESSIONE DEL CONTRATTO DI LOCAZIONE
SOMMARIO: a) Ambito di operativit; b) Cessione di azienda; c) Cessioni successive; d) Comunicazione; e)
Consenso del locatore; f) Controversie; g) Gravi motivi; h) Indennit di avviamento; i) Nuovo conduttore; l)
Perfezionamento contratto; m) Presupposti; n) Punto vendita; o) Ramo d'azienda; p) Restituzione della cosa
locata; q) Rinnovazione del contratto; r) Risarcimento danni.
a) Ambito di operativit
L'alienazione dell'azienda esercitata in un immobile adibito ad uso commerciale non comporta n ai sensi
dell'art. 2558 c.c. n ai sensi dell'art. 36 della legge 392/1978 l'automatica cessione del contratto di locazione, in
quanto le norme suddette consentono ma non impongono rispettivamente all'acquirente dell'azienda di
subentrare nei contratti stipulati per l'esercizio di essa, semprech non sia pattuito diversamente, nonch al
venditore dell'azienda, quale conduttore dell'immobile in cui la stessa si esercita, di sublocare l'immobile o di
cedere il contratto di locazione senza il consenso del locatore.
* Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 2000, n. 1133, Bartolozzi c. Stojlova.
Non integra gli estremi della cessione della locazione il mero adempimento del terzo dell'obbligo di pagare il
canone, pur se il locatore risulti a conoscenza della provenienza del pagamento.
* Cass. civ., sez. III, 3 agosto 1999, n. 8389, Cesare ed altro c. Pirozzi.
In tema di sublocazione e cessione del contratto di locazione, previste dall'art. 36 della L. n. 392/1978, non
necessario che la sublocazione dell'immobile o la cessione del contratto di locazione, da una parte, e la
cessione o l'affitto dell'azienda, dall'altra, siano stipulati contemporaneamente in un unico documento, essendo
sufficiente che tra i due atti vi sia uno stretto collegamento funzionale e temporale.
* Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1990, n. 6402, Pioli c. Pigiani.
Qualora, in relazione a locazione d'azienda, si realizzi la sublocazione dell'immobile adibito ad impresa
commerciale (non gi la cessione del contratto di locazione, alternativamente prevista dall'art. 36 legge n. 392
del 1978), non si verifica successione alcuna nell'originario rapporto di locazione, ma si d vita ad un rapporto
derivato, senza alcun vincolo diretto tra il locatore originario e il subconduttore; con la conseguenza che questi
pu partecipare al giudizio in cui si controverta della risoluzione del rapporto di locazione dell'immobile predetto
solo in veste d'interventore adesivo dipendente (in appoggio al conduttore-sublocatore), per i riflessi che detto
giudizio in grado di produrre sul rapporto derivato di sublocazione.
* Cass. civ., sez. I, 10 febbraio 1996, n. 1038, Soc. Boomerang c. Sassaroli ed altro, in Arch. loc. e cond., 1996,
516.
Nell'ipotesi di cessione o sublocazione dell'azienda, il cessionario o subconduttore subentra - per la durata del
rapporto se trattasi di locazione di azienda - nei contratti in corso, che non abbiano carattere strettamente
personale, assumendo l'obbligo di adempierli nei termini ed alle condizioni pattuite dal cedente, titolare
dell'azienda, salva contraria volont delle parti. Ne consegue che in caso di cessione dell'azienda con
contestuale cessione del relativo contratto di locazione dell'immobile adibito all'esercizio di attivit commerciale,
il cessionario non pu opporre al locatore ceduto di avere ignorato senza colpa gli estremi del rapporto di
locazione, pattuiti per iscritto tra il cedente l'azienda ed il locatore ceduto.
* Cass. civ., sez. III, 25 luglio 1987, n. 6457, Milani c. Neri.
L'art. 36 della L. n. 392/78 prevede la cessione del contratto di locazione nella sua interezza ed inscindibilit e
non consente di imporre al locatore l'ulteriore sacrificio di subire gli oneri e i rischi derivanti da pi contratti di
locazione.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 30 settembre 1982, n. 6991, Zama Sas c. Angelini.
b) Cessione di azienda
Se durante il giudizio instaurato dal locatore per la declaratoria di cessazione del contratto di locazione il
conduttore, dopo la data di scadenza del contratto come accertata con sentenza, cede l'azienda esercitata
sull'immobile (art. 36 legge 27 luglio 1978 n. 392), non vi cessione del contratto di locazione perch non pi in
corso e perci non pu esservi successione nell'indennit commerciale spettante al cedente (art. 34 stessa
legge), salvo che il relativo diritto sia ceduto al cessionario tra quelli aziendali (art. 2559 c.c.).
* Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 1998, n. 667, Benevegn c. Parisi.
Il conferimento di una azienda in una societ di capitali (che comunque dotata di una propria soggettivit
giuridica), costituendo cessione di azienda, determina anche la cessione del contratto di locazione dell'immobile
che serve per l'esercizio dell'azienda (ceduta), ai sensi dell'art. 36 della L. 27 luglio 1978, n. 392, con effetti, nei
confronti del locatore, solo dal momento della comunicazione, con la conseguenza che fino a quando tale
comunicazione sia mancata, legittimato passivo a ricevere la disdetta del locatore rimane il conduttore originario
che ha conferito l'azienda in societ alla quale l'azienda stata conferita.
* Cass. civ., sez. III, 1 aprile 1995, n. 3821, Muttini c. Giusti.
c) Cessioni successive
Nell'ipotesi di successive cessioni del contratto di locazione ai sensi dell'art. 36 della L. n. 392/78 debbono
rispondere delle obbligazioni da esso nascenti non soltanto l'ultimo cessionario (attuale conduttore) e il primo
cedente, ma anche i cedenti "intermedi", ossia i precedenti cessionari resisi a loro volta cedenti del contratto
(sempre, ovviamente, che non siano stati liberati dal locatore ceduto).
* Trib. civ. Milano, sez. X, 11 dicembre 1995, n. 11026, Sorgi c. Soc. Passo di Cadibona, in Arch.loc.e cond.,

1996, 951.
d) Comunicazione
La mancata comunicazione della sublocazione o della cessione del contratto, nel caso di immobile destinato ad
uso diverso da quello abitativo, rende solo inopponibile l'avvenuta sublocazione o la cessione al locatore, il
quale, peraltro, non pu considerare di per s inadempiente il conduttore, ma solo notificargli la sua
opposizione, specificando altres i gravi motivi che la giustificano, all'accertamento della sussistenza dei quali
resta subordinata la risoluzione del contratto di locazione.
* Cass. civ., sez. III, 2 agosto 2000, n. 10124, Ikem c. Rago, in Arch. loc. e cond., 2001, n. 245.
La sublocazione dell'immobile o la cessione della locazione, operate dal conduttore nell'esercizio della facolt
accordatagli dall'art. 36 della L. 27 luglio 1978 n. 392 - che consente la sublocazione e la cessione, anche senza
il consenso del locatore, del contratto di locazione di immobili adibiti all'esercizio di un'attivit commerciale o
artigianale, qualora venga locata o ceduta l'azienda - non devono essere necessariamente precedute, a pena
d'invalidit, dalla comunicazione prescritta dalla stessa norma. Infatti, fino a quando il conduttore non provvede a
tale incombente, seppure la sublocazione o la cessione non sono opponibili al locatore che non le abbia
accettate, questi tuttavia non pu considerare inadempiente il conduttore, ma soltanto notificargli la sua
opposizione, specificando i gravi motivi che la giustificano, all'accertamento della sussistenza dei quali resta
subordinata la risoluzione del contratto di locazione, con il conseguente venir meno di quello di sublocazione o
di cessione della locazione.
* Cass. civ., sez. III, 19 marzo 1985, n. 2028, Rotella c. Soc. Vas.
La mancata comunicazione al locatore dell'avvenuta cessione dell'azienda ai sensi dell'art. 36 della legge 27
luglio 1978 n. 392, non produce effetti a carico del conduttore allorch il locatore abbia comunque accettato la
cessione, la quale dal momento dell'accettazione diviene a lui opponibile anche in difetto della prescritta
comunicazione.
* Cass. civ., sez. III, 12 gennaio 1996, n. 189, Frigerio c. Soc. Amonn Food, in Arch. loc.e cond., 1996, 349.
Nel caso di cessione del contratto di locazione dell'immobile, consentita al conduttore dall'art. 36 della legge 27
luglio 1978, n. 392, purch egli congiuntamente ceda o affitti l'azienda, non vi obbligo di preventiva
comunicazione al locatore, che pu quindi esserne informato dopo che la cessione ha determinato la
sostituzione del cessionario nei diritti e negli obblighi del cedente. Ne deriva che l'opposizione alla cessione,
consentita al locatore dal menzionato art. 36 in presenza di gravi motivi, non impedisce il perfezionamento del
contratto eventualmente gi concluso ma si configura come una mera contestazione di inadempimento, rivolta al
conduttore per avere ceduto il contratto pur in presenza dei suddetti gravi motivi in contrario, e preordinata ad
un'eventuale pronunzia di risoluzione della locazione, idonea a far venir meno anche la cessione della stessa,
con l'ulteriore conseguenza che fino all'emissione di tale pronunzia legittimato passivo rispetto a tutte le azioni
concernenti l'esistenza o la durata della locazione deve considerarsi il cessionario e non il cedente, il quale, se
non liberato dal locatore ceduto, ai sensi del cit. art. 36 della legge 392, resta legittimato a contraddire soltanto le
domande di quest'ultimo intese a conseguire l'adempimento delle obbligazioni originate dal contratto di
locazione.
* Cass. civ., sez. III, 7 giugno 1996, n. 5305, Federici c. Moni, in Arch. loc. e cond., 1996, 706.
La sublocazione o la cessione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo sono consentite
al conduttore, ai sensi dell'art. 36 della L. n. 392 del 1978, qualora venga locata o ceduta contestualmente
l'azienda, anche senza il consenso del locatore e pure nel caso in cui un apposito patto contrattuale contenga il
divieto espresso di sublocare l'immobile o di cedere il contratto, salva la formale opposizione del locatore per
l'esistenza di ragionevoli e gravi motivi entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione del conduttore.
Peraltro la mancata comunicazione al locatore non pone il conduttore in una situazione di inadempienza, ma
comporta soltanto la inopponibilit della sublocazione o della cessione al locatore a meno che quest'ultimo,
essendone venuto comunque a conoscenza, non abbia rinunciato a farla valere.
* Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 1988, n. 1943, Verna c. Loizzi.
La comunicazione che - in caso di cessione del contratto di locazione contestualmente a quello dell'azienda - il
conduttore deve dare al locatore ai sensi dell'art. 36 della L. n. 392 del 1978 anche se data tardivamente, sana
ogni eventuale situazione irregolare a partire dal momento in cui effettuata, dal quale decorre altres il termine
di trenta giorni entro il quale il locatore pu opporsi alla cessione, qualora ricorrano gravi motivi.
* Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1994, n. 8031, Conti c. Bianchini.
In tema di sublocazione e cessione del contratto di locazione, disciplinato dall'art. 36 della L. n. 392/1978, ai fini
della sua validit, sufficiente che la comunicazione, che il conduttore deve fare al locatore nel caso in cui
effettui la sublocazione o la cessazione del contratto di locazione insieme alla cessione o all'affitto dell'azienda,
contenga gli elementi essenziali per l'individuazione dei contratti posti in essere, insieme alle altre notizie sulla
persona del terzo subentrante, tali da mettere il locatore in grado di poter esercitare il suo diritto di opposizione
per gravi motivi.
* Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1990, n. 6402, Pioli c. Pigiani.
Nel caso di trasferimento dell'azienda, la comunicazione della cessione del contratto di locazione, preveduta
dall'art. 36 della L. 27 luglio 1978 n. 392, deve contenere l'indicazione degli elementi che valgono ad identificare
la persona del cessionario in modo da porre in grado il locatore di manifestare la sua opposizione, qualora
ricorrano gravi motivi.
* Cass. civ., sez. III, 25 novembre 1993, n. 11685, Lo Giudice ed altro c. Malguzzi ed altro.
La cessione del contratto di locazione di immobile urbano adibito ad attivit imprenditoriale, in connessione con
la cessione o locazione dell'azienda ivi esercitata, per esser opponibile al locatore, gli deve esser comunicata
dal conduttore (art. 36 legge 27 luglio 1978 n. 392) - anche con modalit diverse dalla raccomandata con
ricevuta di ritorno, non prescritta a pena di nullit, purch idonee a consentire la conoscenza della modifica

soggettiva del rapporto - e pertanto non efficace nei confronti del locatore la cessione comunicatagli da un
altro soggetto, sia pur esso il difensore del conduttore, nel giudizio pendente nei confronti del medesimo.
* Cass. civ., sez. III, 11 marzo 1998, n. 2675, Saturnino c. Varriale e altro.
Nel caso di contestuale cessione del contratto di locazione dell'immobile e dell'azienda, prevista dall'art. 36 della
legge n. 392 del 1978, in mancanza della comunicazione che il conduttore tenuto a fare (mediante lettera
raccomandata con avviso di ricevimento) al locatore - il quale ha diritto di opporsi per gravi motivi - ed in difetto
di qualsiasi fatto od atto dimostrante inequivocabilmente l'accettazione da parte del detto locatore dell'avvenuta
cessione del contratto di locazione, questa non efficace nei suoi confronti, con la conseguente esclusione della
sostituzione del cessionario al conduttore, in capo al quale permane la legittimazione ad agire e contraddire in
ordine alle azioni nascenti dal contratto (nella specie, di recesso per necessit del locatore), senza effetto per la
comunicazione della cessione del contratto che sia effettuata nel corso del giudizio, salvo che, a seguito di
intervento volontario o di chiamata in causa del cessionario, costui ed il locatore chiedano d'accordo la
estromissione del cedente.
* Cass., sez. III, 8 aprile 1988, n. 2770, Nicocia c. Bentivoglio.
Non opponibile al locatore la cessione della locazione unitamente all'azienda compiuta dal conduttore, in
mancanza della comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, prescritta dall'art. 36
della L. n. 392/1978, ancorch risulti provata ed acquisita la conoscenza aliunde da parte del locatore della
cessione stessa.
* Cass. civ., sez. III, 12 giugno 1990, n. 5699, Genazzini c. Nemola.
La mancata comunicazione della sublocazione o della cessione del contratto, nel caso di immobile destinato ad
uso diverso da quello abitativo, rende solo inopponibile l'avvenuta sublocazione o la cessione al locatore, il
quale, peraltro, non pu considerare di per s inadempiente il conduttore, ma solo notificargli la sua
opposizione, specificando altres i gravi motivi che la giustificano, all'accertamento della sussistenza dei quali
resta subordinata la risoluzione del contratto di locazione.
* Cass. civ., sez. III, 2 agosto 2000, n. 10124, Soc. Ikem c. Rago ed altri, in Arch. loc. e cond., 2001, 245.
In caso di trasferimento d'azienda, la comunicazione della cessione del contratto di locazione, prevista dall'art.
36 della legge 27 luglio 1978, n. 392, deve contenere l'indicazione degli elementi essenziali che valogono ad
identificare il contratto posto in essere tra conduttore e terzo insieme alle altre notizie relative alla persona del
cessionario in modo da porre in grado il locatore di manifestare la sua opposizione, qualora ricorrano gravi
motivi. Pertanto, in caso di incompleta comunicazione il locatore non incorre nella decadenza prevista dalla
norma sopracitata, se non esercita il suo diritto all'opposizione nel termine di giorni trenta.
* Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2001, n. 05817, Giuliacci c. Ciattini, in Arch. loc. e cond., 2001, 597.
e) Consenso del locatore
L'art. 36 della L. 27 luglio 1978 n. 392, che consente al conduttore di sublocare l'immobile o cedere il contratto di
locazione anche senza il consenso del locatore se insieme venga locata o ceduta l'azienda, si riferisce anche
alle cessioni o locazioni di una sola parte dell'immobile comunque collegate alla cessione o locazione
dell'azienda o di un suo ramo e perci capaci di attuare l'interesse alla conservazione dell'azienda.
* Cass. civ., sez. III, 10 luglio 1991, n. 7676, Il Timone c. Ferraris.
Con riguardo a locazione di immobile urbano ad uso diverso da quello abitativo, la possibilit del conduttore di
cedere il contratto senza il consenso del locatore, secondo la previsione dell'art. 36 della L. 27 luglio 1978 n.
392, postula la contestuale cessione o locazione dell'azienda, cio del complesso dei beni destinati all'attivit
esercitata nell'immobile, ovvero di una loro porzione autonoma e funzionalmente sufficiente per tale attivit, e,
pertanto, deve essere negata nel caso di mera alienazione al cessionario della locazione di singoli beni privi
degli indicati connotati.
* Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 1985, n. 6346, Soc. Selection c. Siciliano.
La cessione del contratto di locazione con cessione di azienda ai sensi dell'art. 36 della L. 27 luglio 1978 n. 392 attuabile anche senza il consenso del locatore - richiede il trasferimento del complesso dei beni organizzati per
lo svolgimento dell'attivit imprenditoriale del conduttore nel locale locato e non pu, quindi, configurarsi quando
non vi sia stata cessione di alcun elemento costitutivo dell'azienda dal conduttore installata in detto locale,
avendo il cessionario intrapreso un'attivit del tutto nuova.
* Cass. civ., sez. III, 5 settembre 1985, n. 4614, D. German. Fab. c. Miconi.
La cessione del contratto di locazione che avvenga con la cessione dell'azienda del conduttore non ha bisogno
del consenso del locatore, ma deve essergli comunicata, divenendo efficace nei suoi confronti soltanto dal
momento di tale comunicazione, e fermo restando che il locatore pu opporsi per gravi motivi. Non invece
rilevante la conoscenza della cessione che il locatore abbia acquisito aliunde, occorrendo in tal caso che egli,
avendola conosciuta, l'abbia accettata, secondo la regola generale di cui all'art. 1407 c.c.
* Cass. civ., sez. III, 26 maggio 1999, n. 5102, Soc. Casa dell'alpino sport c. Palmieri, in Arch. loc. e cond., 1999,
801.
La sublocazione o la cessione del contratto di locazione di immobile adibito ad uso non abitativo sono consentite
al conduttore, ai sensi dell'art. 36 della legge n. 392 del 1978, qualora venga locata o ceduta contestualmente
l'azienda, anche senza il consenso del locatore e pure nel caso in cui un apposito patto contrattuale contenga il
divieto espresso di sublocare l'immobile o di cedere il contratto; la mancata comunicazione della cessione al
locatore non pone il conduttore in una situazione di inadempienza ma comporta soltanto l'inopponibilit della
cessione al locatore.
* Cass. pen., sez. III, 13 aprile 2000, n. 4802, Botti c. SMAF spa, in Arch. loc. e cond., 2000, n. 3.
Nel caso previsto dall'art. 36 del L. n. 392/1978, per cui il conduttore pu sublocare l'immobile o cedere il
contratto di locazione anche senza il consenso del locatore purch venga insieme locata o ceduta l'azienda, il
conduttore cedente deve provare, nei confronti del locatore, per iscritto, ai sensi dell'art. 2556, secondo comma,

cod. civ., la cessione o la locazione dell'azienda, in quanto l'onere probatorio previsto da tale norma grava sulle
parti contraenti anche nell'ipotesi in cui con riguardo al contratto avente ad oggetto l'azienda, agiscano o
eccepiscano contro un terzo estraneo.
* Cass. civ., sez. III, 23 agosto 1990, n. 8618, Mignini c. Soc. Grimaldi.
La domanda di risoluzione del contratto di locazione proposta dal locatore nei confronti del conduttore
subentrato nel rapporto locativo ai sensi dell'art. 36 L. 27 luglio 1978 n. 392 non preclusa dall'eventuale
giudicato interno sulla cessione perch, trattandosi di cessione senza il consenso del locatore l'accertamento dei
relativi presupposti non esclude n l'operativit della disposizione dell'art. 1409 c.c., a norma della quale il
contraente ceduto pu opporre al cessionario tutte le eccezioni derivanti dal contratto, n l'operativit della
disposizione dell'art. 1458 comma 1, c.c. sull'efficacia retroattiva della risoluzione del contratto per
inadempimento, la quale applicabile anche nei confronti del cessionario, che, in quanto tale, parte
contrattuale, e non terzo.
* Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 1996, n. 537, Elbinviest srl. c. Ducco.
L'art. 36 della legge 27 luglio 1978 n. 392, nel sancire che il conduttore pu sublocare l'immobile o cedere il
contratto di locazione anche senza il consenso del locatore, purch venga insieme locata l'azienda, deroga alle
norme di diritto comune relative alla cessione del contratto, secondo cui il consenso del contraente ceduto
costituisce requisito di validit della cessione, che altrimenti sarebbe nulla, per cui si ha litisconsorzio necessario
in giudizio di accertamento, quando siano in questione l'avvenuta conclusione, validit ed efficacia del contratto
di cessione. Non invece necessaria la presenza in giudizio del cedente quando si controverta unicamente
circa le vicende del contratto ceduto.
* Cass. civ., sez. III, 9 dicembre 1997, n. 12454, Antonietti c. Di Vezza.
Con riguardo a locazione di immobile urbano ad uso diverso da quello abitativo, l'art. 36 della legge n. 392 del
1978 disciplina nello stesso modo il caso di sublocazione dell'immobile e quello della cessione del contratto di
locazione stabilendo che il conduttore pu, senza il consenso del locatore, sublocare l'immobile o cedere
l'azienda o parte di essa, e cio di una porzione dei beni destinati all'attivit esercitata nell'immobile autonoma e
funzionalmente sufficiente per tale attivit; conseguentemente detta possibilit deve essere negata nel caso di
mera alienazione di singoli beni privi degli indicati requisiti, nella quale ipotesi necessario il consenso del
locatore.
* Cass. civ., sez. III, 19 aprile 2001, n. 05817, Giuliacci c. Ciattini, in Arch. loc. e cond., 2001, 597.
f) Controversie
Mentre per gli immobili destinati ad uso abitativo la disciplina della sublocazione stata innovata per effetto
dell'art. 2 della L. 27 luglio 1978, n. 392 - il quale vieta, salvo patto contrario, la sublocazione dell'immobile,
limitando, in difetto di accordo delle parti, la facolt di sublocare del conduttore, sempre salvo patto contrario,
all'ipotesi di sublocazione parziale, previa comunicazione al locatore - per gli immobili adibiti ad uso diverso da
quello di abitazione l'art. 36 della legge stessa ha sostanzialmente lasciata immutata la disciplina della
sublocazione e della cessione dettata dall'art. 1594 c.c., a norma del quale il conduttore, salvo patto contrario,
ha facolt di sublocare la cosa locatagli, ma non pu cedere il contratto senza il consenso del locatore. Ne
consegue che il giudice di merito, chiamato a dichiarare la risoluzione del contratto di locazione di immobile
adibito ad uso diverso da quello locativo, per inadempimento consistente nell'avvenuta sublocazione dello
stesso, non pu limitarsi a ritenere che la sublocazione realizzi di per s un inadempimento, bens ha il dovere di
preliminarmente accertare se tra le parti sia stato pattuito un divieto di sublocazione e, solo in caso positivo,
verificare la sussistenza di un inadempimento idoneo a provocare la risoluzione del contratto.
* Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1994, n. 10157, Buono c. Marchiafava.
La inopponibilit al locatore, cui non sia stata comunicata, della cessione, da parte del conduttore, dell'azienda e
del contratto di locazione o della sublocazione, comporta sul piano processuale che per tutte le azioni attinenti
alla prosecuzione, cessazione o risoluzione del rapporto locatizio, la legittimazione passiva permane in capo
all'originario conduttore, senza che il terzo cessionario del contratto o subconduttore abbia titolo per pretendere
una estensione necessaria del contraddittorio nei suoi confronti e per rivendicare, se non intervenuto in quel
giudizio, la posizione di legittimato passivo pretermesso, n possa, una volta dichiarato risolto o cessato il
rapporto nei riguardi dell'originario conduttore, subentrare a quest'ultimo ancorch provveda alla suddetta
comunicazione al locatore.
* Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 1991, n. 1269, AN.NI. c. Albergo d'Inghilterra.
In ipotesi di cessione del contratto di locazione (d'immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione) ai
sensi dell'art. 36 della L. 27 luglio 1978 n. 392 (disciplina delle locazioni di immobili urbani), il locatore, che non
abbia liberato il cedente e che pretenda l'adempimento degli obblighi contrattuali non adempiuti dal cessionario,
pu agire direttamente contro il solo conduttore-cessionario, al cui inadempimento subordinata la
responsabilit del cedente.
* Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 1993, n. 1833, Gobbi e altri c. Melegari.
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, l'opposizione del locatore alla
sublocazione operata dal conduttore, ai sensi dell'art. 36 della L. 27 luglio 1978 n. 392, non configurabile alla
stregua di un motivo di diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza, analogo a quelli
espressamente considerati dall'art. 29 della richiamata legge. Conseguentemente, la controversia concernente
siffatta opposizione devoluta al giudice competente ratione valoris secondo gli ordinari criteri del codice di rito.
* Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1983, n. 7132, Muzzini c. Soc. Lares.
La cessione del contratto di locazione a norma dell'art. 36 della legge 27 luglio 1978, n. 392 comporta quale
conseguenza che nel rapporto derivato di sublocazione parziale stipulato dal cedente si sostituisca, come
sublocatore, il cessionario del rapporto principale di locazione. Consegue, che legittimato passivamente
all'azione di risoluzione proposta dal cessionario il cessionario, senza necessit di dover accertare, nel

contraddittorio necessario con il conduttore cedente, la sussistenza di una pregressa sublocazione parziale dei
beni oggetto del negozio di cessione.
* Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 2000, n. 14139, Aries Srl c. Dentone, in Arch. loc. e cond., 2000, n. 6.
L'art. 36 della L. n. 392/1978 - che conferisce al locatore la facolt di agire contro il cedente qualora il
cessionario non adempia le obbligazioni assunte - non reca alcuna previsione circa l'ordine che il creditore deve
seguire per realizzare il proprio diritto e non contiene, quindi, alcuna deroga al principio di solidariet stabilito
dall'art. 1294 cod. civ. per le obbligazioni di pi debitori per la medesima prestazione.
* Trib. civ. Alessandria, sez. I, 16 aprile 1986, n. 126, Zorzoli c. Tartaglino.
Poich l'art. 36 della L. n. 392/1978 consente al proprietario di agire per i canoni e gli altri adempimenti anche
contro il precedente inquilino, una sentenza di risoluzione del contratto non pu fare stato nei confronti del
cedente se costui non partecipa al giudizio.
* Pret. civ. Scandiano, 21 settembre 1983, n. 61, Bertolani e altri c. Menozzi e altri.
g) Gravi motivi
I gravi motivi che giustificano la opposizione del locatore alla sublocazione o alla cessione del contratto di
locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione debbono riguardare la persona del nuovo
conduttore, la sua affidabilit e posizione economica ovvero il complesso della operazione progettata, con
esclusione di motivi che attengano, in via immediata e diretta, alle esigenze e alla situazione del locatore.
* Cass. civ., sez. III, 7 marzo 1991, n. 2386, Crugnale, Testa, Frattucchio c. Pileri.
Ai sensi dell'art. 36 della L. 27 luglio 1978, n. 392 la cessione contestuale dell'azienda consente al conduttore la
cessione del contratto di locazione dell'immobile urbano, in cui esercitata l'attivit imprenditoriale, alla quale il
locatore pu opporsi solo per gravi motivi entro trenta giorni dal ricevimento della comunicazione, ma la
connessione tra azienda e locazione non esplica ulteriori effetti in epoca successiva al perfezionamento della
cessione e la legge non preclude al cessionario di mutare il tipo di attivit commerciale, esercitata nell'immobile,
salvo gli effetti che dal mutamento possano derivare in applicazione di specifiche clausole del contratto ostative
in materia.
* Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1996, n. 8816, Azzurra Srl c. Miele.
E' configurabile un grave motivo per l'opposizione del locatore alla cessione della locazione di un immobile,
adibito ad uso diverso dall'abitazione, (art. 36 legge 27 luglio 1978 n. 392) nell'insolvibilit del cessionario,
presunta per i protesti di titoli cambiari emessi da una societ in nome collettivo - a ristretta base sociale, di
natura familiare - di cui egli socio, perch l'autonomia patrimoniale e il beneficium excussionis (art. 2304 c.c.)
costituiscono soltanto un sottile diaframma in sede recuperatoria, mentre, la corresponsabilit del cedente, non
liberato, non esclude l'inaffidabilit del cessionario.
* Cass. civ., sez. III, 4 marzo 1998, n. 2405, Siciliano c. Balduzzi.
Per "gravi motivi", tali da legittimare l'opposizione del locatore, con conseguente inefficacia della cessione del
contratto nei confronti dello stesso, devono intendersi "ragioni di ordine economico o morale", in relazione
all'interesse del locatore al corretto svolgimento del rapporto contrattuale e quindi all'adempimento delle
obbligazioni scaturenti dal contratto per cui deve senz'altro ritenersi la sussistenza dei motivi de quibus in caso
di mancato pagamento del canone - alla data della comunicazione della cessione di azienda e della opposizione
della propriet della stessa - sia da parte del conduttore cedente che da parte del conduttore ceduto. *Trib. civ.
Milano, sez. X, 22 settembre 1988, n. 8132, Comunione beni indivisi Mezzanotte - Brioschi c. Ciba Snc.
I "gravi motivi" che possono legittimare l'opposizione del locatore alla cessione del contratto di locazione ex art.
36 della legge 392/78 non debbono essere di ordine economico (essendo anzi tali motivi irrilevanti) ma solo di
ordine morale, intesi questi ultimi nella pi lata espressione di qualifiche personali del nuovo imprenditore non
rispettose di norme regolamentari.
* Pret. civ. Bassano del Grappa, 28 giugno 1982, Tessarolo c. Vivian e Perozzo.
h) Indennit di avviamento
Nelle ipotesi di sublocazione di immobile urbano adibito ad uso diverso da quello di abitazione, alla cessazione
della locazione e, quindi, della sublocazione, l'indennit per la perdita dell'avviamento commerciale prevista dagli
artt. 34 e 69 della legge n. 392 del 1978 compete al conduttore sublocatore nei confronti del locatore ed al
subconduttore nei confronti del sublocatore medesimo.
* Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 1988, n. 5579, Buffoli c. Sabbadini.
Nell'ipotesi di cessazione del rapporto locatizio concernente immobile adibito ad uso diverso da quello di
abitazione, con riguardo alle finalit perseguite con la previsione dell'indennit di avviamento, che sono quella di
ristorare il conduttore del subito pregiudizio (anche se stabilito presuntivamente dal legislatore secondo l'id quod
plerumque accidit) e quella di porre un deterrente per evitare la cessazione dei rapporti locatizi concernenti le
imprese, l'indennit medesima compete esclusivamente a colui che gode l'immobile nel momento in cui cessa la
locazione. Conseguentemente il conduttore che abbia sublocato l'immobile ad un terzo, il quale vi svolga una
delle attivit indicate nei nn. 1 e 2 dell'art. 27 della legge n. 392 del 1978, non pu pretendere dal proprio
locatore, a titolo personale e diretto, l'indennit prevista dall'art. 34 della richiamata legge, che spetta
esclusivamente al subconduttore.
* Cass. civ., sez. III, 14 aprile 1986, n. 2617, Salvatore c. Soc. Singer.
i) Nuovo conduttore
Con riguardo ai contratti di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello abitativo, gli artt. 36 e 37,
terzo comma, L. 27 luglio 1978, n. 392, i quali prevedono ipotesi di continuazione del rapporto con soggetto
diverso dall'originario conduttore, con riferimento, rispettivamente, alla locazione inerente all'esercizio di azienda
ed alla locazione inerente all'esercizio di attivit professionale, artigianale o commerciale, non trovano
applicazione, per difetto dei relativi presupposti soggettivi, nella locazione conclusa con un ente pubblico non
economico (nella specie, ENAPI) in veste di conduttore. L'applicabilit di tali norme, peraltro, non pu essere

fondata sull'art. 42 di detta legge, nella parte in cui, per i contratti stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici
territoriali in qualit di conduttori, rende inoperanti, con il richiamo all'art. 41, le disposizioni degli artt. 38, 39 e
40, atteso che siffatta esclusione non implica una previsione di operativit "a contrario" delle norme non
eccettuate.
* Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 1992, n. 790, Icpia c. Rossini Sbano.
Chi, in pendenza del giudizio promosso dal locatore per far accertare il suo diritto al recesso, subentri al
conduttore nella titolarit del contratto in forza di cessione dell'azienda e del contratto di locazione, per la sua
qualit di successore a titolo particolare nel diritto controverso legittimato ad impugnare la sentenza emessa
nei confronti del suo dante causa, anche se non intervenuto o non stato chiamato nel processo.
* Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1989, n. 4225, Gargiulo c. Pica.
l) Perfezionamento contratto
Ai sensi dell'art. 36 della legge 27 luglio 1978 n. 392 (applicabile, in virt del richiamo contenuto nell'art. 73,
anche ai contratti in corso al momento di entrata in vigore della stessa legge), la cessione, da parte del
conduttore, del contratto di locazione (di un immobile adibito ad uso non abitativo), cui si accompagni la
cessione o la locazione dell'azienda, si perfeziona con l'incontro delle volont del cedente e del terzo,
indipendentemente dal consenso del locatore, atteso che la comunicazione prevista in favore del medesimo
finalizzata unicamente a rendergli opponibile la cessione. Ne consegue che, ai fini della determinazione della
competenza territoriale, ai sensi dell'art. 20 c.p.c., in ordine alla controversia tra locatore-ceduto e
conduttore-cessionario, deve farsi riferimento solo al contratto originario, concluso tra il locatore-ceduto ed il
primo conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 25 luglio 1984, n. 4357, Soc. Petron Oil c. Mazzetti.
Nel caso di contestuale cessione del contratto di locazione dell'immobile e dell'azienda, previsto dall'art. 36 della
L. 27 luglio 1978 n. 392, la cessione della locazione ha effetto, nei confronti del locatore, non dalla sua
registrazione, ma solo dalla data della comunicazione a quest'ultimo dovuta dal conduttore ai sensi dell'art. 36
cit. o, in difetto, dal momento della accettazione della cessione da parte del locatore, con la conseguenza che,
fino a tale data, attivamente e passivamente legittimato in ordine alle azioni nascenti dal contratto di locazione
rimane solo il conduttore cedente, anche quando la comunicazione della cessione sia avvenuta nel corso del
giudizio instaurato contro lo stesso conduttore cedente, salvo che a seguito di intervento volontario o di
chiamata in causa del cessionario, quest'ultimo ed il locatore chiedano concordemente la estromissione del
cedente.
* Cass. civ., sez. III, 6 maggio 1993, n. 5235, Srl Immobiliare Finanziaria Ape c. Srl Delton.
In riferimento ad un contratto di locazione di immobile ad uso commerciale, il contratto di sublocazione o di
cessione del contratto, nel quadro della disciplina di cui all'art. 36 della legge n. 392 del 1978, deve perfezionarsi
prima della immissione - da parte del sublocatore o cedente - del subconduttore o cessionario nella detenzione
dell'immobile, sia perch altrimenti la detenzione da parte di quest'ultimo sarebbe inizialmente senza titolo, sia
perch la comunicazione della cessione o della sublocazione al locatore deve essere preventiva, allo scopo di
consentirgli di manifestare la sua eventuale opposizione prima che intervenga l'immissione nel locale del
designato nuovo cessionario o sublocatore. (Nella specie, stipulato da parte del conduttore di un immobile locato
ad uso commerciale un contratto preliminare di cessione dell'azienda, i promittenti acquirenti fecero
giudizialmente valere l'inadempimento del cedente che non aveva loro procurato la prevista successione nel
contratto di locazione, mentre la controparte eccep in sede di merito che essi non avevano acceduto alla offerta
immissione nel possesso del locale, e poi col ricorso per cassazione proposto contro la sentenza di merito
favorevole agli attori - dalla Suprema Corte rigettato in base al riportato principio - dedusse, anche sotto il profilo
di una non adeguata motivazione su un punto decisivo, che la cessione del contratto di locazione e la relativa
comunicazione al locatore sarebbero dovuti avvenire dopo l'immissione in possesso e non prima, poich
secondo il preliminare il possesso e il godimento dell'azienda sarebbero dovuti passare all'acquirente al
momento del contratto definitivo).
* Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1997, n. 4284, Cigoli c. De Stefano ed altri.
Ai fini della validit e quindi dell'efficacia nei confronti del locatore della cessione del contratto di locazione, ai
sensi dell'art. 36 della legge n. 392/78, occorre verificare l'esistenza di due presupposti e cio l'esistenza di una
cessione di azienda e la comunicazione dell'avvenuta cessione al locatore.
* Trib. civ. Napoli, sez. VI, 11 giugno 1996, n. 5545, Grimaldi c. Soc. Snob ed altro, in Arch. loc. e cond., 1997,
658.
m) Presupposti
Per le locazioni di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, l'art. 36 della legge n. 392 del 1978 ha
sostanzialmente lasciato immutato la disciplina della sublocazione dettata dall'art. 1594 c.c. (modificati, invece,
dall'art. 2 della stessa legge per le locazioni ad uso abitativo), con la conseguenza che il conduttore pu, salvo
patto contrario, sublocare l'immobile a prescindere dal consenso del locatore, e pu farlo anche in presenza di
tale patto (in difformit, peraltro, in siffatta ipotesi, dalla disciplina codicistica) quando, trattandosi di immobile
destinato all'esercizio di un'impresa, alla sublocazione si accompagni la cessione o locazione dell'azienda.*
Cass. civ., sez. III, 22 febbraio 2000, n. 1966, Enneautoccasioni Srl ed altro c. Cavicchi.
E' legittima la sublocazione dell'immobile adibito ad uso diverso da abitazione quando venga insieme ceduta
(anzich locata) l'azienda, in considerazione sia della formulazione dell'art. 36 della L. n. 392/1978, in cui l'affitto
o la cessione dell'azienda non sono indicati in posizione di necessaria corrispondenza rispettivamente con le
ipotesi della sublocazione o della cessazione del contratto di locazione, che della ratio legis, che consiste
nell'agevolare il trasferimento delle aziende esercenti la loro attivit in immobili condotti in locazione
dell'imprenditore e di tutelare l'avviamento commerciale.
* Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1990, n. 6402, Pioli c. Pigiani.

Con riguardo a locazione di immobile urbano ad uso diverso da quello abitativo, l'art. 36 della L. n. 392 del 1978
disciplina nello stesso modo il caso della sublocazione dell'immobile e quello della cessione del contratto di
locazione stabilendo che il conduttore pu, senza il consenso del locatore, sublocare l'immobile o cedere il
contratto di locazione purch venga, insieme, ceduta o locata l'azienda; conseguentemente, se l'azienda non
viene ceduta o locata, il conduttore deve avere il consenso del locatore, sia nel caso in cui voglia sublocare
l'immobile - sicch in deroga all'art. 1594 c.c., la mancanza di un patto contrario non consente pi al conduttore
l'esercizio della facolt di sublocazione, occorrendo invece, per tale esercizio, il consenso del locatore - e sia nel
caso in cui voglia cedere il contratto (come gi prevede l'art. 1594 c.c.).
* Cass. civ., sez. III, 21 marzo 1994, n. 2655, Soc. Lambro c. Soc. Cotrin Italia.
La fattispecie della cessione forzosa del contratto di locazione postula come sua condizione imprescindibile una
corrispondenza integrale fra l'oggetto del contratto di locazione e l'oggetto del negozio di cessione dell'azienda,
nel senso che l'immobile locato deve essere interamente assorbito nell'azienda ceduta, e cio nella sua
interezza deve essere elemento costitutivo dell'azienda ceduta.* Trib. civ. Milano, sez. X, 30 settembre 1982, n.
6991, Zama Sas c. Angelini.
L'art. 36 della legge n. 392/1978 riconosce al conduttore la facolt di sublocare l'immobile o di cedere il contratto
di locazione purch venga anche ceduta o locata l'azienda, senza che sia necesario che la sublocazione
dell'immobile o la cessione del contratto di locazione da un lato o la cessione o l'affitto dell'azienda dall'altro,
siano stati stipulati contemporaneamente, essendo sufficiente che tra i due atti vi sia uno stretto collegamento
funzionale o temporale. Ne consegue che legittimato passivo rispetto a tutte le azioni concernenti l'esistenza o la
durata del rapporto locativo deve considerarsi il cessionario della locazione.
* Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2001, n. 08854, P & B Sas c. Arco sas, in Arch. loc. e cond., 2001, 712.
n) Punto vendita
L'art. 36 della legge n. 392 del 1978 - per il quale il conduttore pu cedere il contratto di locazione anche senza il
consenso del locatore, purch venga insieme ceduta o locata l'azienda - mirando a tutelare l'avviamento
commerciale con riferimento alla attivit imprenditoriale svolta nell'immobile locato, legittima non soltanto la
cessione dell'attivit imprenditoriale nel suo complesso, ma altres di attivit facenti parte di un pi vasto insieme
di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio della stessa attivit in varie sedi, purch dotati di una propria
autonomia organizzativa tale da consentire di assolvere, rispetto all'attivit esercitata nell'immobile, alla funzione
propria della azienda. Detta norma, invece, non trova applicazione qualora si tratti di un "punto di vendita" di
un'unica azienda, ove nell'immobile ceduto sia stata esercitata la vendita di articoli che il cedente continui ad
effettuare in altro locale.
* Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 1986, n. 7326, Soc. Scalia c. Monrov.
o) Ramo d'azienda
La cessione dell'intera azienda, pur se distinta in due rami, rende possibile, ai sensi dell'art. 36 L. n. 392/1978, la
cessione del contratto di locazione, che resta sempre unico, anche se sono divenuti (formalmente) due i soggetti
subentrati nella posizione di conduttore, tanto pi che il locatore ne risulta maggiormente garantito, potendo
pretendere l'adempimento, per l'intero, da due soggetti, anzich da uno solo.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 24 aprile 1989, n. 3798, Srl Prosit c. Srl Duomo e Smaldone e altro n.c.
L'art. 36 della L. n. 392/1978, applicabile pure al caso di cessione anche di una sola parte di una pi ampia
azienda esercitata nell'unico immobile oggetto della locazione ove l'attivit inerente la parte di azienda ceduta
abbia - al pari di quella non ceduta - una propria originaria organicit e suscettibilit di essere resa autonoma
rispetto all'altra, non esclusa - ci che importante ed anzi imprescindibile - l'inerenza a ciascuna delle due
attivit di un proprio avviamento commerciale. (Fattispecie di cessione dell'attivit di bar esercitata in locale
distinto da quello ove era esercitata l'attivit di pubbliche attrazioni ricreative, in presenza di un'unica locazione
riguardante tutti i locali considerati).
* Corte app. civ. Genova sez. II, 30 agosto 1988, n. 431, Ferrari e C. snc. c. Il Timone srl.
Se la cessione delle attivit aziendali solo parziale ed il conduttore continua parte dell'attivit, quest'ultimo non
pu pretendere di scindere l'unitario rapporto di locazione introducendo cos una modificazione non solo
soggettiva ma anche oggettiva.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 23 dicembre 1982, n. 9164, Imm.re Saram Sas c. Trivella e altro.
p) Restituzione della cosa locata
Nel caso di cessione del contratto di locazione d'immobile - consentita al conduttore ex art. 36 della L. n. 392 del
1978, anche senza informare il locatore quando contemporaneamente si ceda l'azienda - si determina la
sostituzione del cessionario nei diritti e negli obblighi del cedente. Consegue che incombe al cessionario l'onere
di restituire la cosa locata nello stesso stato in cui fu ricevuta dall'originario conduttore e, comunque, in buono
stato di manutenzione.
* Cass. civ., sez. III, 4 dicembre 1997, n. 12325, Rovati c. Cosimo, in Arch. loc. e cond., 1998, 39.
q) Rinnovazione del contratto
Poich n l'art. 2558 c.c., n l'art. 36 della L. 27 luglio 1978 n. 392 impongono la cessione del contratto di
locazione di un immobile ad uso commerciale unitamente alla cessione della relativa azienda, il conduttore di
esso pu validamente rinnovare il contratto di locazione e successivamente cederlo, anche senza il consenso
del locatore e per facta concludentia, al cessionario della sua azienda, non essendo necessaria la
contemporaneit tra i due contratti di cessione, bens soltanto il loro collegamento funzionale e temporale.
* Cass. civ., sez. III, 29 luglio 1997, n. 7091, De Lisi e altra c. Cazzaniga, in Arch. loc. e cond., 1997, 791.
r) Risarcimento danni
Anche il particolare contraente (locatore ceduto) considerato nell'art. 36 della L. n. 392/1978, sottoposto
all'obbligo di cui all'art. 1408, comma terzo, cod. civ., di rendere edotto il cedente, pena il risarcimento dei danni,
dell'inadempimento del cessionario nell'arco di 15 giorni da quello in cui l'inadempimento stesso si verificato.

* Trib. civ. Pavia, 24 giugno 1988, n. 303, Soc. Gestione piccoli alberghi c. Febbroni.
In tema di contestuale cessione dell'azienda e del contratto di locazione l'art. 36, primo comma L. n. 392/1978,
non configura un'obbligazione solidale fra cedente e cessionario nei confronti del locatore, bens un'obbligazione
del cedente con responsabilit subordinata all'inadempimento del cessionario. Ne deriva che, nel caso in cui il
locatore pretenda il risarcimento del danno relativo all'inadempimento contrattuale di mantenere la cosa locata in
buono stato locativo - inadempimento che sorge necessariamente dalla messa in mora del cessionario, ex art.
1219 cod. civ. - una volta che la messa in mora suddetta non sia stata effettuata il locatore non pu agire nei
confronti del cedente.
* Corte app. civ. Torino, sez. II, 24 ottobre 1986, Girelli c. Adorno.
SUCCESSIONE NEL CONTRATTO DI LOCAZIONE
L'art. 6 della L. 27 luglio 1978, n. 392 ha compiutamente disciplinato la materia della successione nel contratto di
locazione per uso abitativo nel caso di morte del conduttore, escludendo l'applicabilit dell'art. 1614 c.c. ai
rapporti assoggettati alla nuova e diversa disciplina, con la conseguenza che in mancanza delle altre persone in
favore delle quali l'art. 6 cit. prevede la successione nel contratto di locazione, gli eredi del conduttore possono
subentrare nel rapporto locativo solo se con quest'ultimo conviventi.
* Cass. civ.. sez. III, 16 marzo 1995, n. 3074, Covi c. Ipeaa.
In tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso abitativo, allorch venga a morte il conduttore gli
succedono nel contratto, a norma dell'art. 6 della L. 27 luglio 1978, n. 392, gli eredi ed i parenti affini con lui
abitualmente conviventi, sia nell'ipotesi in cui il defunto fosse l'unico titolare del contratto, sia nell'eventualit che
lo stesso fosse contitolare con altri del rapporto stesso.
* Cass. civ., sez. III, 17 giugno 1995, n. 6910, Scudieri c. Amodeo.
Poich lo scopo dell'art. 6 della L. 27 luglio 1978 n. 392 quello di garantire un'abitazione, nel caso di decesso
del conduttore, ai residui componenti della comunit familiare o parafamiliare, il diritto del coniuge, degli eredi,
dei parenti e degli affini alla successione nel contratto di locazione subordinato alla condizione dell'abituale
convivenza con quegli. Ai fini della prova di tale complessa situazione determinante una comunanza di vita con
detto conduttore non sufficiente il certificato storico-anagrafico, che ha un valore meramente presuntivo della
comune residenza ivi annotata.
* Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1996, n. 8652, Raiola c. Puglia.
Il matrimonio celebrato da cittadini italiani (o anche tra cittadini stranieri, in virt dell'art. 50 Ord. st. civ.) all'estero
secondo le forme ivi stabilite, ed anche il matrimonio celebrato all'estero in forma religiosa, ove tale forma la lex
loci riconosca gli effetti civili (sempre che sussistano i requisiti sostanziali relativi allo stato ed alla capacit delle
persone previsti dal nostro ordinamento) immediatamente valido e rilevante nell'ordinamento italiano con la
produzione del relativo atto, anche al fine di far valere il diritto di succedere al coniuge defunto del contratto di
locazione dell'abitazione a lui intestato, indipendentemente dall'osservanza delle norme italiane relative alla
pubblicazione, che possono dar luogo solo ad irregolarit suscettibili di sanzioni amministrative, ed alla
trascrizione nei registri dello Stato civile, la quale (a differenza del caso del matrimonio concordatario) ha natura
certificativa e di pubblicit, e non costitutiva.
* Cass., sez. I, 28 aprile 1990, n. 3599, Vancini c. Zuniga.
A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 404 del 1988, che ha dichiarato la parziale illegittimit
dell'art. 6 della L. 27 luglio 1978, n. 392, in caso di morte del conduttore succede nel contratto di locazione
anche chi aveva convissuto "more uxorio" con il conduttore, a prescindere del tutto dalla situazione familiare del
titolare del contratto di locazione e dalla presenza di eredi legittimi.
* Cass. civ., sez. III, 8 giugno 1994, n. 5544, Pintore c. Reali.
La gi convivente more uxorio, con prole naturale, succeduta nel contratto di locazione per effetto della
sentenza 7 aprile 1988, n. 404 della Corte costituzionale prima dell'inizio del giudizio, legittimata a proporre
opposizione di terzo ordinaria a norma dell'art. 404, primo comma, c.p.c. avverso la sentenza di sfratto per
morosit nei confronti del conduttore che abbia cessato la convivenza.
* Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 1997, n. 9868, Alba Imm. Spa c. Papanti Pellettier.
A seguito della sentenza 7 aprile 1988 n. 404 della Corte costituzionale - che ha dichiarato l'illegittimit
costituzionale dell'art. 6 della legge n. 392 del 1978 nella parte in cui non prevede la successione nel contratto di
locazione stipulato dal conduttore che abbia cessato la convivenza, a favore del convivente di questo quando vi
sia prole -, nell'ipotesi di allontanamento del conduttore dall'immobile locato, la convivente more uxorio, che
rimanga nell'immobile stesso con la prole naturale nata dall'unione, ha diritto di succedere nel contratto anche
quando la convivenza sia sorta nel corso della locazione - e a maggior ragione se sia sorta prima - e senza che
sia necessario che il locatore ne abbia avuto conoscenza.
* Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 1997, n. 9868, Alba lmm. Spa c. Papanti Pellettier.
A seguito della sentenza 7 aprile 1988, n. 404 della Corte costituzionale - che ha dichiarato la illegittimit
costituzionale dell'art. 6 della L. n. 392 del 1978 (cosiddetta sull'equo canone) nella parte in cui non prevede la
successione nel contratto di locazione stipulato dal conduttore che abbia cessato la convivenza, a favore del
convivente di questo quando vi sia prole naturale - nell'ipotesi di allontanamento, per qualsiasi motivo (nella
specie, per contrarre matrimonio con altra donna), del conduttore dall'immobile beato, la convivente more uxorio,
che rimanga nell'immobile stesso con la prole naturale nata dalla loro unione, ha diritto di succedere nel
contratto, ancorch la convivenza sia sorta nel corso della locazione e senza che il locatore ne abbia avuto
conoscenza.
* Cass., sez. III, 25 maggio 1989, n. 2524, Soc. La Fondiar. c. Capele.
L'art. 6 della L. 27 luglio 1978 n. 392, nel disporre che "in caso di separazione personale... nel contratto di
locazione succede al conduttore l'altro coniuge, se il diritto di abitare nella casa familiare sia stato attribuito dal

giudice a quest'ultimo", non modifica la natura del rapporto e la natura del diritto in base al quale il conduttore
detiene la cosa locata, ma solo consente a soggetto diverso dall'originario conduttore di sostituirsi nella titolarit
del contratto, con attribuzione dei relativi diritti ed assunzione delle obbligazioni che ne derivano. Ne consegue
che il locatore ha diritto alla scadenza di riottenere la disponibilit dell'immobile, senza che tale suo diritto possa
trovare un limite nel provvedimento di assegnazione della casa familiare da parte del giudice.
* Cass. civ., sez. III, 18 giugno 1993, n. 6804, Bisignani c. Campolongo.
Il provvedimento del giudice della separazione, che assegna la casa coniugale al coniuge che non sia l'originario
conduttore, comporta un'ipotesi di cessione ex lege del contratto in favore del coniuge assegnatario, con la
conseguenza che il rapporto in capo al coniuge originario conduttore si estingue e non pi suscettibile di
reviviscenza neppure nell'ipotesi in cui la casa locata venga abbandonata dal coniuge separato, nuovo
conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 4 novembre 1993, n. 10890, Cangiano c. De Falco.
Le locazioni abitative relative ad immobili costruiti a totale carico dello Stato, alle quali, per ragioni di reddito del
conduttore, non si applica il canone sociale, sono soggette alla disciplina della legge n. 392 del 1978 con
riferimento non solo alle norme relative alla determinazione del canone, ma anche a tutte le altre norme previste
dalla detta legge, ivi compresa la disciplina della successione nel contratto di locazione di cui all'art. 6. Pertanto,
in caso di separazione giudiziale, il coniuge che ha perduto la qualit di conduttore, perch il diritto di abitare
nella casa familiare stato attribuito dal giudice all'altro coniuge, non pi legittimato ad agire in giudizio per la
tutela dei diritti connessi alla qualit di conduttore (nella specie, esercizio dell'azione di rilascio contro il terzo
detentore). Ancorch sia deceduto il coniuge che in virt dell'assegnazione succeduto nel contratto di
locazione come conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 30 dicembre 1993, n. 13004, Giannicchi c. Giannicchi ed altri.
La disciplina del secondo comma dell'art. 6 della L. 27 luglio 1978 n. 392, concernente l'opponibilit al terzo della
successione del coniuge separato (cui sia stato dal giudice attribuito il diritto di abitare nella casa familiare) nel
contratto di locazione della medesima, non applicabile per analogia al diverso caso in cui la casa assegnata in
abitazione ad uno dei coniugi, con provvedimento provvisorio emesso nel corso del procedimento di
separazione, sia poi alienata dall'altro coniuge, proprietario dell'immobile, sicch il terzo acquirente, in mancanza
di esplicito accollo, non tenuto a rispettare l'obbligazione dell'alienante (salva la possibilit che in seguito detto
provvedimento sia modificato con la previsione di un aumento dell'assegno in denaro che compensi la perdita
del godimento dell'abitazione).
* Cass., sez. I, 16 ottobre 1985, n. 5082, Sali c. Dell'Orso.
L'assegnazione della casa familiare, in sede di separazione personale, al coniuge diverso dal conduttore
comporta che quest'ultimo, essendo cos sostituito nella titolarit del contratto di locazione (ai sensi dell'art. 2 bis
del DL. 19 giugno 1974 n. 236, convertito con modificazioni nella L. 12 agosto 1974 n. 351, e, successivamente,
dell' art. 6 della L. 27 luglio 1978 n. 392), resta privo della detenzione dell'immobile, nonch dell'arredamento in
esso contenuto, e, conseguentemente, non legittimato ad esperire azione di reintegrazione contro l'autore del
suo spoglio (nella specie, il locatore). Tale principio non trova deroga per il caso in cui il coniuge assegnatario
abbia di fatto abbandonato l'immobile, trasferendosi altrove, trattandosi di un comportamento unilaterale di per
s idoneo a modificare le condizioni della separazione in ordine alla disponibilit del bene.
* Cass., sez. II, 18 giugno 1982, n. 3734, Mossucca c. Minicucci.
La prova dell'accordo che, ai sensi dell'art. 6 ultimo comma della legge sull'equo canone, comporta la
successione del coniuge separato consensualmente (o di fatto) nel rapporto locativo della casa coniugale, pu
anche essere fornita per facta concludentia (implicanti l'inequivoco riconoscimento, da parte del coniuge
originario conduttore, del trasferimento all'altro del diritto di fruire dell'abitazione), quale la permanenza
nell'alloggio, dopo la separazione, del coniuge che non ne era originario locatario, purch tale permanenza non
sia successivamente venuta meno al momento in cui venga fatto valere il diritto al subingresso, rivalendosi il
frutto di un precario accordo destinato ad esaurire la sua efficacia nei rapporti interni ed inidoneo, quindi, a
riflettersi nel rapporto con il locatore al quale l'accordo non sia stato reso noto.
* Cass. civ., sez. III, 14febbraio 1992, n. 1831, Cristoforetti c. Ventura.
L'ordinanza di rilascio del bene locato, resa in via provvisoria a norma dell'art. 665 c.p.c. non ha valore di
giudicato sostanziale sullo scioglimento del rapporto di locazione, e, pertanto, ove si tratti dell'abitazione
coniugale. non osta al successivo subingresso, nella qualit di conduttore, del coniuge cui l'alloggio sia stato
assegnato dal giudice debba separazione (art. 6 della L. 27 luglio 1978, n. 392), con il conseguenziale
subingresso del coniuge medesimo anche nella posizione di soggetto passivo dell'azione esecutiva, intrapresa
dal locatore in forza di detta ordinanza, nonch di legittimato all'opposizione contro tale esecuzione (nella
specie, per dedurre la caducazione del titolo, a seguito dell'estinzione del giudizio sulla cessazione della
locazione).
* Cass., sez. III, 23 agosto 1990, n. 8613, Moro c. Vercellino.
La L. 6 marzo 1987, n. 74, modificativa della legge di divorzio n. 890/70 immediatamente applicabile quale ius
superveniens ai giudizi in corso, pure in sede di legittimit, anche con riguardo alla norma dell'art. 11, la quale
stabilisce che la disposizione della casa coniugale spetta di preferenza al genitore cui sono affidati i figli e con il
quale i figli convivono, anche oltre la maggiore et, ove la relativa questione sia ancora oggetto di quel giudizio.
* Cass., sez. I, 20 febbraio 1988, n. 1768, Candotti c. Cesini.
A differenza della legislazione vincolistica la L. 27 luglio 1978 n. 392, con l'art. 6 per gli immobili ad uso abitativo
e con l'art. 37 per gli immobili ad uso non abitativo, ha compiutamente e direttamente disciplinato la materia
della successione nel contratto di locazione nel caso di morte del conduttore con la conseguenza che la diversa
disciplina dell'art. 1614 c.c., deve ritenersi abrogata con l'entrata in vigore della suddetta legge ai sensi dell'art.
84 della medesima legge.

* Cass. civ., sez. III, 23 novembre 1990, n. 11328, Santambrogio c. Betti.


La norma di cui all'art. 6, comma primo, della L. n. 392/1978, in quanto espressione del pi generale principio di
tutela del nucleo familiare contenuto nel nostro ordinamento giuridico positivo, applicabile analogicamente
anche a tutti gli altri casi in cui il nucleo familiare verrebbe a trovarsi sfornito di adeguata tutela,
indipendentemente dalla propria volont, a causa di situazioni imprevedibili che non fanno pi ritenere titolare
del contratto il conduttore membro della famiglia (come nel caso che il conduttore sia condannato all'ergastolo,
ovvero sia ricoverato in permanenza perch affetto da una grave malattia mentale, oppure perch abbandonata
la famiglia si trasferisca definitivamente all'estero prendendo anche la cittadinanza straniera e cos via).
* Trib. Asti, 25 febbraio 1984, n. 87, Ferrero c. Brignolo e altro.
La successione nel contratto di locazione avviene una volta sola a favore dei soggetti di cui al citato art. 6 debba
L. n. 392/1978, e non anche in favore degli aventi causa da costoro.
* Pret. civ. Genova, 24 settembre 1994, Lombardo c. Bertelli, in Arch. loc. e cond. 1994, 845.
La tutela disposta dall'art. 6, primo comma, della L. n. 392/1978 a favore del nucleo familiare in caso di morte del
conduttore presuppone che il nucleo stesso sia quello originario, quello esattamente del momento iniziale del
contratto.
* Pret. Roma, sez. II, 4 luglio 1989, Cerquetti c. Berti.
E' inammissibile il procedimento di sfratto per finita locazione nei confronti degli eredi non conviventi del
conduttore deceduto, dovendosi, in tal caso, esercitarsi l'azione ordinaria di rilascio per detenzione sine titulo.
L'inammissibilit deve essere rilevata dal giudice anche di ufficio, riflettendo uno dei presupposti per l'adozione
del procedimento speciale.
* Pret. civ. Salerno, 13 dicembre 1995, Galdi c. Muzzillo, in Arch. loc. e cond. 1996, 421.
Nel caso di morte del conduttore il coniuge superstite che continua a rappresentare il nucleo familiare di fronte
al locatore, cosicch, ove venga intrapresa azione di intimazione di licenza per finita locazione, non occorre che
essa sia esercitata nei confronti di tutti i componenti della famiglia, conviventi con il medesimo.
* Pret. Grosseto, 2 ottobre 1987, Serravalle c. Mazzaccaro.
Ai sensi dell'art. 6 della legge dell'equo canone, provvedimenti giudiziali integranti validi presupposti per
l'operativit della successione nella locazione del coniuge non conduttore sono anche le ordinanze del
presidente del tribunale con le quali vengono impartite disposizioni temporanee ed urgenti sia nel caso di
procedimento per la separazione tra i coniugi, sia in quello di procedimento per lo scioglimento del matrimonio.
* Pret. Milano, sez. II, 8 maggio 1987, n. 1458, Snc Immobiliare Fratelli Gagliani e C. c. Cassano.
Le cessioni legali (tra cui si colloca la successione nella locazione ex ant. 6, L. n. 392/1978 tra coniugi
consensualmente separati), salvo che ci sia manifestamente incompatibile con la normativa speciale cui
ineriscono, non escludono l'integrazione con la disciplina ordinaria di cui all'art. 1407 c.c., in cui si esprime
l'esigenza, di ordine generale, che il contraente ceduto debba conoscere, in ogni momento e con certezza, il
soggetto verso il quale ha obblighi e diritti: pertanto sebbene l'art. 6, L. n. 392/1978 non lo preveda
espressamente, la successione del contratto di locazione tra coniugi consensualmente separati ha effetto nei
confronti del locatore dal momento in cui egli viene posto a conoscenza. Conseguentemente valida ed idonea
a determinare la cessazione della locazione la disdetta che il locatore, del quale non sia provata la conoscenza
della successione, abbia ritualmente e tempestivamente comunicato al conduttore cedente al domicilio
contrattualmente eletto.
* Pret. Milano, ord. 30 dicembre 1988, Ratti Di Desio c. Devizzi e Delponte.
In tema di separazione dei coniugi, l'assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole, non
conduttore, realizza una successione temporanea nel diritto di godimento dell'immobile che collegata alla
permanenza del provvedimento di assegnazione dell'abitazione ed pertanto destinata a decadere, mediante
retrocessione al conduttore originario, qualora la revoca dell'assegnazione intervenga in presenza di un rapporto
locativo ancora in corso.
* Corte App. Bologna, sez. I, 16 dicembre 1986, n. 918, Sbaraccani c. Poggioli.
Nel caso di separazione del conduttore, il subingresso nel contratto del coniuge, assegnatario della casa
coniugale, ai sensi dell'art. 6, secondo e terzo comma, L. 392/78, si verifica in modo del tutto automatico,
indipendentemente dalla comunicazione o comunque dalla conoscenza che ditale situazione abbia il locatore,
anche se l'omessa comunicazione potrebbe configurare un inadempimento contrattuale del conduttore ed
essere, quindi, eventualmente valutata ai fini della risoluzione del rapporto.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 31 gennaio 1994, n. 1021, Soc. Ina c. Curci ed altro, in Arch. loc. e cond. 1994, 840.
Ove la moglie del conduttore sia succeduta nel contratto di locazione per accordo stipulato in sede di
separazione consensuale, a nulla rileva che la circostanza non sia stata comunicata al locatore ai fini
dell'intimazione della licenza per finita locazione.
* Trib. Roma, sez. III, 27 ottobre 1983, n. 11941, Zoja e altro c. Berdini.
L'inciso contenuto nel terzo comma dell'art. 6 della L. n. 392/78 ("succede l'altro coniuge se tra i due si sia cos
convenuto") va letto nel senso che l'altro coniuge - rispetto a quello che ha stipulato il contratto - succede nella
locazione se tra i due si sia convenuto che il diritto all'abitazione della casa familiare spetti al coniuge non
conduttore. N il principio invalidato dal fatto che l'obbligo di pagare direttamente i canoni di locazione sia stato
assunto dal coniuge cui non stato riconosciuto il diritto di abitare la casa.
* Pret. Bergamo, 18 novembre 1983, n. 910, Pezzotta c. Remuzzi.
Non configurabile, ex art. 6, terzo comma, L. n. 392/1978, la successione del contratto del coniuge separato
consensualmente, che risulti da un accordo informale intervenuto tra i coniugi. ma non espressamente
consacrato tra le clausole oggetto del provvedimento di omologazione della separazione consensuale: ne deriva
la consequenziale declaratoria di occupazione sine titulo dell'immobile (gi locato per uso abitativo dall'ex
coniuge in qualit di unico conduttore contraente), da parte dell'altro dei due coniugi cui la casa familiare non sia

stata formalmente assegnata.


* Pret. Siracusa, 23 marzo 1988, n. 26, Mezio c. Fernandez n.c.
Una volta cessati, a seguito di riconciliazione, gli effetti della separazione tra i coniugi, si ripristina
automaticamente, col venir meno dell'assegnazione dell'alloggio al coniuge non conduttore, il contratto di
locazione fra i contraenti originari, atteso che la successione ex lege nel contratto trova la sua ragione, ma al
tempo stesso il suo limite, nello stato di separazione.
* Trib. Napoli, 9 agosto 1986, Di Fusco c. D'Urso.
nullo, a norma dell'art. 164 c.p.c., l'atto di citazione con il quale il locatore di un immobile ad uso di abitazione,
deducendo la morte del conduttore e la mancanza di aventi diritto a succedergli ex art. 6 L. n. 392/78, conviene
in giudizio gli eredi del defunto conduttore "collettivamente ed impersonalmente" presso l'ultimo domicilio del de
cuius (cio con le modalit consentite dall'art. 303 c.p.c. per il differente caso di riassunzione del processo) per
far dichiarare nei loro confronti la risoluzione del contratto.
* Pret. Milano, 21 ottobre 1983, Crivellaro c. Eredi Ceriati.
La cessazione dell'esistenza giuridica di un ente conduttore di un immobile costituisce - analogamente alla
morte del conduttore - autonoma causa di risoluzione del contratto di locazione.
* Pret. civ. Piacenza, 4 novembre 1996, n. 359, Soc. Immobiliare Umbra c. Inps. in Arch. loc. e cond. 1996, 962.
L'azione di condanna al rilascio dell'immobile occupato pu essere esercitata dal proprietario nei confronti del
proprio convivente more uxorio.
* Pret. civ. Pordenone, 18 marzo 1997, n. 58, Bortolin c. Pless, in Arch. loc. e cond. 1997, 664
SUPERCONDOMINIO
SOMMARIO: a) Amministratore; b) Assemblea; c) Comunione di quartiere; d) Manutenzione dei muri; e) Nomina
dei consiglieri; f) Servizi comuni.
a) Amministratore
All'amministratore delle parti comuni di un supercondominio spettano tutte le facolt inerenti a tale gestione, tra
cui quella relativa alla legittimazione ad agire in giudizio senza delega di rappresentanza. nonch quella di
richiedere i libri contabili al precedente amministratore.
* Trib. civ. Roma, sez. III, 4 luglio 1994, n. 10405, Cond. di via Suor Celestina Donati di Roma c. De Angelis, in
Arch. loc. e cond. 1994, 838.
Poich non sono derogabili dal regolamento di condominio, anche se di natura contrattuale, le norme
concernenti la composizione ed il funzionamento dell'assemblea, nulla per contrariet a norme imperative (artt.
1136, 1138 c.c.) la clausola del regolamento contrattuale che prevede che l'assemblea di un cosiddetto
"supercondominio" sia composta dagli amministratori dei singoli condomini, anzich da tutti i comproprietari degli
edifici che lo compongono.
* Cass. civ., sez. II, 28 settembre 1994. n. 7894, De Falco e altri c. Condominio "Parco Fontana".
Il criterio da seguire per verificare la regolare costituzione dell'assemblea e la validit delle deliberazioni del
supercondominio deve fondarsi sull'identico valore che, ai fini del riparto delle spese, attribuito, dapprima, ai
singoli edifici condominiali (c.d. lotto) e, successivamente, al valore che ha la propriet di ciascun condomino
all'interno di ciascun lotto.
* Trib. civ. Monza, 25 maggio 1991, in Arclz. loc. e cond. 1992, 148.
Mentre l'amministratore del singolo condominio pu partecipare alle riunioni dell'assemblea del supercondominio
senza necessit di approvazione assembleare del condominio di riferimento in quanto tale diritto gli deriva
direttamente dal regolamento della comunione, il suo voto deve essere espresso in conformit alla decisione
assembleare del condominio rappresentato.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 12 ottobre 1994, n. 8111, Castaldo ed altri c. Consiglio degli amministratori del sistema
viario del Parco Ruffo di Napoli, in Arch. loc. e cond. 1995, 658.
c) Comunione di quartiere
Le deliberazioni di un apposito "consiglio di quartiere" al quale la collettivit dei comunisti, convenzionalmente e
in via preventiva e permanente a mezzo di un regolamento della comunione, abbia delegato una parte dei propri
poteri, sono - relativamente alle funzioni delegate - deliberazioni dell'assemblea dei condomini e in quanto tali
sono impugnabili sia con l'azione generale di nullit, sia con l'azione speciale di annullamento ex art. 1109 cod.
civ.
*Trib. civ. Milano, sez. VIII, 9 marzo 1987, Condominio di Via Ravenna, 2 di S. Donato Milanese c.
Supercondominio Quartiere Giardino del Sud di S. Donato Milanese, in Arch. loc. e cond. 1989, 742.
Nell'ambito di una comunione "di quartiere", sia il singolo condominio, sia ciascun condomino legittimato ad
impugnare le deliberazioni sia dell'assemblea che del consiglio di quartiere.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 9 marzo 1987, Condominio di Via Ravenna, 2 di 5. Donato Milanese c.
Supercondominio Quartiere Giardino del Sud di S. Donato Milanese , in Arch. loc. e cond. 1989, 742.
d) Manutenzione dei muri
In un supercondominio composto da pi corpi di fabbrica contigui ma autonomi e muniti di scale ed ingressi
indipendenti, le spese per la manutenzione dei muri devono essere ripartite, cos come previsto dall'art. 1123,
terzo comma, cod. civ.. soltanto fra i condomini della palazzina che ne trae utilit e non anche fra gli altri
condomini dei fabbricati non interessati dai lavori.
* Pret. civ. Taranto, 18 marzo 1988, n. 142, Cooperativa Edile R. D'Aquino c. La Mastra e altri, in Arch. loc. e
cond. 1988, 471.
e) Nomina dei consiglieri
La nomina dei consiglieri di un condominio complesso, ancorch non prevista dal regolamento, deve
considerarsi perfettamente legittima, trattandosi di un organo consultivo la cui istituzione produce indubbia utilit

ai fini della corretta gestione del condominio e non comporta oneri di sorta, attesa la gratuit dell'incarico.
L'istituzione di tale organo, pertanto, rappresenta esercizio legittimo della discrezionalit dell'assemblea
condominiale insuscettibile di censura se sorretta dalla maggioranza dei consensi.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 6 aprile 1992, Societ Dielle c. Condominio Lotto A e altro, in Arch. loc. e cond.
1992, 823.
f) Servizi comuni
Nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo proposta da un condomino contro l'amministratore di un
condominio del suo edificio, che agisce per conseguire il pagamento di somme dovute per il servizio di
riscaldamento centrale facente capo ad un super condominio, composto anche da altri fabbricati e disciplinato
da un regolamento contrattuale, una volta che il condomino opponente eccepisce il difetto di legittimazione ad
agire da parte dell'amministratore del suo edificio, non sussiste il litisconsorzio necessario nei confronti
dell'amministratore del supercondominio (e degli amministratori degli altri singoli condomini), non esistendo un
rapporto giuridico plurisoggettivo e sostanzialmente unico, ne risultando la domanda diretta alla costituzione, alla
modifica e alla estinzione di un rapporto plurisoggettivo ovvero a conseguire l'adempimento di una prestazione
inscindibile, relativa ad un rapporto sostanziale unico comune a pi soggetti.
* Cass. civ., sez. II, 29 settembre 1994, n. 7946, Condominio Via Ricchioni 7, Bari c. Carbone.
Anche edifici autonomi e distinti, per quanto riguarda le loro parti costitutive, possano avere servizi comuni in
vista della cui unitaria gestione sia stata prevista la costituzione di un ente condominiale, al quale ben pu
essere affidata l'amministrazione di tutti i servizi e beni, ivi compresi quelli eventualmente suscettibili di
amministrazione separata.
* Trib. civ. Milano, 3 settembre 1990, inedita.
LE TABELLE MILLESIMALI
SOMMARIO: a) Apposita convenzione; b) Approvazione: c) Controversie; d) Domanda giudiziale; e)
Formazione; f) In genere; g) Revisione e modifica; h) Valore proporzionale degli immobili.
a) Apposita convenzione
La previsione dellart. 68 disp. att. cod. civ., secondo cui la tabella millesimale deve essere allegata al
regolamento di condominio, non esclude che i condomini, nellesercizio della loro autonomia contrattuale,
possano stipulare una convenzione limitata alla determinazione delle tabelle millesimali (cio di tutte o di alcune
o di una sola di esse).
* Cass. civ., sez. II, 7 novembre 1981, n. 5905, Soc. Garuzzo c. Cond. Cometa.
b) Approvazione
Il potere rappresentativo conferito dal condomino ad altro soggetto per la partecipazione allassemblea
condominiale, qualora riguardi affari di ordinaria amministrazione, pu essere attribuito anche verbalmente, e la
prova dellesistenza, delloggetto e dei limiti del mandato, pu essere acquisita con ogni mezzo. Pertanto, non
richiesta la forma scritta per la rappresentanza di un condomino nellassemblea, nel caso in cui questa abbia per
oggetto la approvazione delle tabelle millesimali, in quanto tale approvazione, quale atto di mera natura
valutativa del patrimonio, ai limitati effetti della distribuzione del carico delle spese condominiali, nonch della
misura del diritto di partecipazione alla formazione della volont assembleare del condominio, non idonea a
incidere sulla consistenza dei diritti reali a c ciascuno spettanti.
* Cass. civ., sez. II. 28 giugno 1979, n. 3634, Intorbida e Rampichini c. Condominio di via Bianchini 25, Macerata
ed altri e Principi ed altri, in Arch. loc. e cond. 1979, 398; e in Arch. civ. 1980, 46.
Per la domanda di impugnazione di delibera assembleare condominiale avente ad oggetto lapprovazione delle
tabelle millesimali sempre competente ratione valoris il tribunale ai sensi dellart. 9 ultimo comma cod. proc.
civ..
* Pret. civ. Taranto, I luglio 1986, n. 394, Neglia c. Cond. di via Fratelli Danisi, 14, Castellaneta, in Arch. loc. e
cond. 1986, 711.
Gli accordi tra i condomini per lapprovazione delle tabelle millesimali non richiedono la forma scritta ad
substantiam. Conseguentemente, se tali accordi siano stati conclusi da rappresentante senza poteri di un
condomino, essi possono essere ratificati tacitamente dal rappresentato mediante la loro esecuzione, poich, a
norma dellart. 1399 cod. civ., la ratifica pu rivestire la stessa forma dellatto da ratificare.
* Pret. civ. Taranto, 8 maggio 1979, Santagata c. Condominio Viale Virgilio n. 117, Taranto, in Arch. loc. e cond.
1979, 187.
La validit delle deliberazioni dellassemblea condominiale non condizionata ad una preventiva costituzione
legale del condominio, ovvero alla preventiva approvazione del regolamento condominiale e delle tabelle
millesimali. Invero, il condominio sorge pleno jure con la costruzione su suolo comune, ovvero con il
frazionamento, da parte dellunico proprietario o di pi comproprietari pro indivisa, di un edificio, i cui piani o
porzioni di piano vengano attribuiti a due o pi soggetti in propriet esclusiva; la formazione del regolamento
condominiale si inserisce, a sua volta, senza alcun carattere di preliminarit nel novero delle attribuzioni
demandate al potere deliberante dellassemblea; del pari non preliminare lapprovazione delle tabelle
millesimali, poich il criterio di identificazione della quota di partecipazione del condomino al condominio esiste
indipendentemente dalla formazione di tali tabelle e consente di valutare anche a posteriori, se i quorum richiesti
per la validit dellassemblea e delle relative deliberazioni, siano stati, o meno, raggiunti.
* Cass. civ., sez. II, 3 gennaio 1977, n. 1.
Lapprovazione delle tabelle millesimali, allegate al regolamento di condominio, quale atto di mera natura
valutativa del patrimonio ai limitati effetti della distribuzione del carico delle spese condominiali, nonch della
misura del diritto di partecipazione alla formazione della volont assembleare del condominio, non idoneo a
modificare gli effetti giuridici traslativi derivanti dal contratto di acquisto.

* Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1978, n. 3719.


Posto che lapprovazione delle tabelle millesimali costituisce atto negoziale, la stessa non pu che essere
effettuata o dalla parte personalmente o da procuratore speciale, munito di procura ad hoc, notarile o autenticata
da notaio, non essendo sufficiente, a tal fine, una mera delega, peraltro soltanto indicata nel verbale di
assemblea e nemmeno allegata allo stesso o comunque prodotta dal convenuto. ma in ogni caso inidonea allo
scopo.
* Trib. civ. Firenze, sez. II, 25 giugno 1991, n. 1252,
La deliberazione assembleare adottata a maggioranza, che approvi le tabelle millesirnali o il regolamento non
contrattuale relativi alla ripartizione delle spese, inefficace nei confronti del condomino assente o dissenziente
per nullit radicale deducibile senza limitazione di tempo e non meramente annullabile su impugnazione da
proporsi entro trenta giorni, a norma deliart. 1137 c.c.. atteso che le attribuzioni dellassemblea, ai sensi dellart.
1135 c.c., sono circoscritte allamministrazione dei beni comuni nel rispetto dei criteri fissati dalla legge o dalla
volont unanime dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1996, n. 7359, Cond. Via Genovesi n. 17 Milano c. Oggioni.
c) Controversie
Le cause aventi ad oggetto con la formazione delle tabelle millesimali la ripartizione di spese attinenti alluso e al
godimento. dei servizi condominiali e dei beni comuni (nella specie spese di spurgo della fossa biologica e di
pozzetti) non rientrano tra le controversie relative alle modalit di uso e alla misura dei servizi condominiali
rispettivamente di competenza del conciliatore (art. 7, capoverso, c.p.c.) e del pretore (art. 8, n. 4, c.p.c.) in
quanto la patrimonialit del thema decidendum prevale sullaccertamento della misura e delle modalit delluso,
che costituisce soltanto un presupposto necessario per la determinazione delle singole quote di spesa.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6936, Piccirillo c. Cartamo ed altri.
d) Domanda giudiziale
Lamministratore del condominio legittimato passivamente in ordine alla domanda diretta a far dichiarare la
nullit della deliberazione dellassemblea con la quale sono state modificate a maggioranza, e non con
lunanimit dei consensi dei condomini, le tabelle millesimali.
* Trib. civ. Milano, 12 gennaio 1989. (Cc., art. 1131), in Vita Notar. 1989, 156.
La domanda di uno dei condomini per laccertamento della invalidit ed inefficacia della tabella millesimale
deliberata dallassemblea dei condomini senza voto unanime, deve essere necessariamente proposta nei
confronti di tutti i condomini, e non anche del solo amministratore del condominio, la cui rappresentanza
processuale passiva dei condomini limitata, a norma dellart. 1131 c.c. alle parti comuni delledificio, ma che
passivamente legittimato ad causam per la tutela degli interessi comuni, sui quali la domanda di accertamento
della invalidit delle tabelle millesimali destinata a riflettersi.
* Cass. civ., sez. II, 10 maggio 1992, n. 4405, Tiziani c. Condominio di Via Marsala 20, Bologna.
Nel caso di impugnazione di una delibera assembleare concernente la modificazione delle tabelle millesimali,
lamministratore del condominio privo di legittimazione passiva, dovendo una siffatta domanda siccome
diretta a modificare la situazione soggettiva di ogni singolo condominio essere proposta nei confronti di tutti i
partecipanti al condominio.
* Trib. civ. Milano, 15 ottobre 1990.
e) Formazione
Qualora la formazione delle tabelle millesimali venga adottata dallassemblea condominiale a maggioranza, la
relativa deliberazione assembleare, che per essere valida deve raggiungere la maggioranza degli intervenuti e
la met del valore delledificio (art. 68, comma secondo, disp. att. cod. civ., in relazione allart. 1138, comma
terzo, e allart. 1136, comma secondo cod. civ.), non impegna gli assenti ed i dissenzienti, richiedendosi per la
formazione delle tabelle millesimali il consenso di tutti i condomini; gli assenti e i dissenzienti, di conseguenza
possono far valere non solo la nullit assoluta della deliberazione, denunziando leventuale mancanza nella
deliberazione approvata del numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti o la mancanza della
met del valore delledificio, ma anche la nullit relativa costituita dalla loro mancata adesione.
* Cass. civ., sez. II, 24 novembre 1983, n. 7040, Imm.re Centocaramelle Spa c. Cond. via Morghen 72, Napoli,
in Arch. loc. e cond. 1984, 66.
Qualora la formazione delle tabelle millesimali venga adottata dallassemblea condominiale a maggioranza, la
relativa deliberazione assembleare che per essere valida deve raggiungere la maggioranza degli interventi e la
met del valore delledificio (art. 68, comma terzo, e allart. 1136, comma secondo, cod. civ.), non impegna gli
assenti e i dissenzienti, richiedendosi per la formazione delle tabelle millesimali il consenso di tutti i condomini;
gli assenti e i dissenzienti, di conseguenza, possono fare valere non solo la nullit assoluta della deliberazione
denunziando leventuale mancanza sulla deliberazione approvata del numero dei voti che rappresenti la
maggioranza degli intervenuti o la mancanza della met del valore delledificio, ma anche la nullit relativa
costituita dalla loro mancata adesione.
* Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1985, n. 1057, Cassano c. Cond. di Via del Melo, 48 di Bari, in Arch. loc. e cond.
1985, 479.
La formazione delle tabelle millesimali e la loro modifica nelle ipotesi previste dallart. 69 disp. att. cod. civ., in
quanto negozi di accertamento dei valori delle quote condominiali spettanti ai condomini, con funzione
puramente valutativa del patrimonio ai soli effetti della distribuzione del carico delle spese condominiali e della
misura del diritto di partecipazione alla formazione della volont assembleare del condominio, non richiedono la
forma scritta ad substantiam, con la conseguenza che, nel caso in cui la formazione o la modifica di dette tabelle
avvenga in assemblea allunanimit dei presenti, ma senza la partecipazione di tutti i condomini allassemblea
stessa, il consenso unanime di questi ultimi in ordine alle tabelle formate o rettificate pu manifestarsi anche per
facta concludentia. Tale consenso non pu, invece, dedursi dal comportamento tenuto da quei condomini che

nellassemblea abbiano gi espresso dissenso allapprovazione delle tabelle millesimali, in quanto, in presenza
della loro esplicita volont, non lecito ricercare una contraria volont tacita o presunta che sulla prima
dovrebbe prevalere.
* Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1985, n. 1057, Cassano c. Cond. di Via del Melo, 48 di Bari, in Arch. loc. e cond.
1985, 479.
Per la formazione delle tabelle millesimali si deve escludere la necessit delladozione della forma scritta, non
trattandosi di atto idoneo a modificare gli effetti traslativi derivanti dal contratto di acquisto e non potendo lo
stesso incidere sulla consistenza dei diritti reali spettanti ai singoli condomini.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 23 giugno 1986, n. 5515, Fraschim c. Cond. di viale Liguria 46/48, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1986, 470.
In tema di condominio di edifici, il consenso in ordine alla formazione di tabelle millesimali oppure alla loro
modifica, non richiedendo la forma scritta ab substantiam, pu ben manifestarsi per facta concludentia, come la
concreta applicazione delle stesse tabelle per pi anni.
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1988, n. 5686, Mauro c. Cond. di Piazza Dante, 89 Napoli, in Arch. loc. e cond.
1989, 40.
La formazione delle tabelle millesimali e la loro modifica nelle ipotesi previste dallart. 69 disp. att. e trans. cod.
civ. in quanto negozi di accertamento dei valori delle quote condominiali spettanti ai condomini, con funzione
puramente valutativa del patrimonio ai soli effetti della distribuzione del carico delle spese condominiali e della
misura del diritto di partecipazione alla formazione della volont assembleare del condominio non richiedono
la forma scritta ad substantiam e pertanto, ove la modifica di dette tabelle avvenga in assemblea, allunanimit
dei presenti, ma senza la partecipazione totalitaria dei condomini allassemblea stessa, il consenso unanime di
questi ultimi in ordine alle tabelle rettificate pu ben manifestarsi per facta concludentia, come la concreta
applicazione delle stesse per pi anni.
* Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 1980, n. 5593, Cuccia c. Condominio Via Umberto Giordano 7, Palermo, in Arch.
loc. e cond. 1981, 46.
Qualora la delibera assembleare di un condominio di edificio venga annullata (nella specie: per mancata
formazione delle tabelle millesimali), alla manifestazione di voto, a suo tempo espressa dai singoli condomini
che concorsero alla sua approvazione, non pu attribuirsi lefficacia di unassunzione di obblighi a titolo
personale nei confronti dei terzi. Infatti, le manifestazioni di voto espresso dai singoli condomini, essendo diretta
a formare la volont dellassemblea con effetto vincolante per tutti i condomini, anche dissenzienti o assenti,
vincolano i soggetti che lo hanno espresso soltanto a condizione che si formi una valida deliberazione
assembleare. Peraltro, in base al principio dellapparenza accolto dallart. 2377, comma secondo, c.c. per le
societ ed applicabile, per identit di ratio, anche in tenia di condominio, restano salvi, sono, pertanto,
azionabili nei confronti del condominio e dei singoli condomini i diritti acquistati da terzi in buona fede, in
esecuzione della deliberazione impugnata, anteriormente al suo annullamento.
* Cass. civ., sez. II, 3 maggio 1976, n. 1561.
Qualora la formazione della tabella millesimale di propriet avvenga in assemblea non necessaria la
partecipazione totalitaria dei condomini, poich il consenso unanime di questi pu realizzarsi anche mediante il
successivo comportamento concludente (nel senso dellaccettazione) di quei condomini che non hanno
partecipato allassemblea in cui le tabelle furono adottate; da ci deriva che mentre tutti i condomini partecipanti
alla suddetta assemblea sono vincolati alla manifestazione di volont negoziale espressa e quindi non possono
impugnare la relativa deliberazione assembleare, i condomini assenti o dissenzienti possono proporre tale
impugnativa facendo valere come motivo dinvalidit della deliberazione la mancata formazione dellaccordo di
tutti i condomini sulle nuove tabelle millesimali, confermando con il loro comportamento processuale la volont di
non uniformarsi alle decisioni dellassemblea.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 10 ottobre 1988, n. 02
Il consenso in ordine alla formazione delle tabelle millesimali o alla loro modificazione, non richiedendo la forma
scritta ad substantiam, pu manifestarsi anche per facta concludentia, come la concreta applicazione delle
stesse tabelle per pi anni.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 giugno 1990, n. 01 Bellavita c. Condominio di Corso Sempione n. 67, Milano, in
Arch. loc. e cond. 1991, 135.
Per la formazione e la revisione delle tabelle millesimali indispensabile il consenso di tutti i partecipanti al
condominio. In difetto ditale unanime consenso, ciascun condomino (non gi il condominio) pu richiedere
giudizialmente, nella ricorrenza dei presupposti di legge, che siano formate o revisionate le dette tabelle
convenendo in giudizio tutti gli altri condomini, litisconsorti necessari.
* Trib. civ. Roma, 4 marzo 1997, n. 4800,
Il consenso in ordine alla formazione delle tabelle millesimali o alla loro modificazione, non richiedendo la forma
scritta ad substantiam, pu manifestarsi anche per facta concludentia, come la concreta applicazione delle
stesse tabelle per pi anni.
* Trib. civ. Milano, 7 giugno 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 135.
f) In genere
In tema di condominio degli edifici, la validit dellapprovazione da parte dellassemblea dei condomini del
rendiconto di un determinato esercizio e del bilancio preventivo dellesercizio successivo non postula che la
relativa contabilit sia tenuta dallamministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per il bilancia
delle societ, essendo invece sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di
entrata e di uscita, con le quote di ripartizione; n si richiede che queste voci siano trascritte nel verbale
assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione
giustificativa, in quanto rientra nei poteri dellorgano deliberativo la facolt di procedere sinteticamente

allapprovazione stessa, prestando fede ai dati forniti dallamministratore. Sono, pertanto, valide le deliberazioni
assembleari con le quali si stabilisce che il bilancia preventivo per il nuovo esercizio sia conforme al preventivo o
al consuntivo dellesercizio precedente, eventualmente aumentato di una certa percentuale, in tal modo
risultando determinate, per riferimento alle spese dellanno precedente, sia la somma complessivamente
stanziata, sia quella destinata alle singole voci, mentre la ripartizione fra i singoli condomini deriva
automaticamente dallapplicazione delle tabelle millesimali.
* Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1984, n. 3231,
Lart. 1123, primo comma, cod. civ., che nellipotesi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa
dispone che le relative spese sono ripartite in proporzione delluso da ciascuno fattane, non pu subire deroga
per la circostanza che lunit immobiliare sia compresa nella tabella millesimale generale delledificio
condominiale, in quanto tali tabelle, formate in base al solo valore delle singole unit immobiliari, servono solo
per il riparto delle spese generali e di quelle che riguardano le parti delledificio comuni a tutti i condomini, ma
non sono utilizzabili per il riparto delle spese che non sono comuni a tutti i condomini in ragione del diverso uso
delle cose condominiali. (Nella specie, in applicazione ditale principio, la Suprema Corte ha confermato la
pronuncia della corte di merito che aveva ritenuto non dovute dalla parte attrice, la cui propriet era pur inclusa
nelle tabelle millesimali, le spese per la manutenzione delle fognature, in quanto il suo locale al piano interrato
era sfornito di impianti igienici).
* Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1987, n. 8484,
In tema di riparto di spese condominiali, qualora non si possa fare riferimento a una tabella valida e vincolante
per tutti i condomini, spetta al giudice statuire se la pretesa del condominio nei confronti dei singoli partecipanti
alla comunione sia conforme ai criteri di ripartizione che, con riguardo al valore delle singole quote di propriet,
sono sanciti dalla legge in subiecta materia, determinando egli stesso il valore dei piani o porzioni di piano
espresso in millesimi. Pertanto, non essendo prevista dalla legge la possibilit di adozione dei criteri provvisori di
distribuzione delle spese condominiali, deve escludersi che, in mancanza di tabelle millesimali validamente
approvate da tutti i condomini, lassemblea possa adottare, a maggioranza e in via temporanea, un criterio di
ripartizione delle spese condominiali che consenta il versamento dei contributi a titolo di acconto e salvo
conguaglio da operare successivamente allapprovazione delle tabelle millesimali.
* Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1985, n. 1057, Cassano c. Cond. di Via del Melo, 48 di Bari, in Arch. loc. e cond.
1985, 479; Arch. civ. 1985, 824.
Rispetto alla controversia concernente la domanda di restauro di parti comuni delledificio condominiale ha
carattere pregiudiziale la controversia volta ad accertare se lattore abbia o meno la qualit di condomino, ove
tale qualit costituisca il presupposto necessario della richiesta di esecuzione dei lavori interessanti le parti
comuni e le relative spese debbano essere ripartite fra i condomini in base alle tabelle millesimali.
* Cass. civ., sez. II, 26 agosto 1985, n. 4542,
Nelle cooperative edilizie a contributo statale, ai sensi degli artt. 201 e segg. del rd. 28 aprile 1938, n. 1165, la
stipulazione del primo mutuo individuale, con lacquisto da parte dellassegnatario della propriet dellalloggio,
segna il momento in cui ledificio passa dal regime di propriet indivisa, facente capo alla cooperativa, a quello di
propriet frazionata, con la formazione di con domanda di revisione delle tabelle millesimali, e, prima della
decisione sia gi decorso lindicato quinquennio, deve essere condominio cui partecipa la cooperativa stessa
per le unit non ancora trasferite in propriet ai rispettivi assegnatari, e, al contempo, determina la devoluzione
delle controversie condominiali alla cognizione delle apposite commissioni di vigilanza, per la durata di cinque
anni, al termine dei quali subentra la giurisdizione del giudica ordinario. Pertanto, qualora il giudice ordinario sia
adito affermata la giurisdizione del giudice medesimo, a ci non ostando il principio della perpetuatio
iurisdictionis, di cui allart. 5 cod. proc. civ., il quale vale a rendere insensibile a mutamenti sopravvenuti la
competenza giurisdizionale sussistente e ai momento della domanda, noi ad escludere quella in origine carente,
ma intervenuta prima della decisione.
* Cass. civ., sez. un., 5 dicembre 1987., n. 9106,
La presunzione di pari entit delle quote dei partecipanti alla comunione, fissata dallart. 1101, primo comma,
cod. civ., non operante nei rapporti fra i soci di una cooperativa edilizia, al fine dellassegnazione degli alloggi
in fabbricato realizzato dalla cooperativa medesima. tenuto conto della normale diversit delle unit immobiliari
di un edificio, nonch del fatto che leguale trattamento di detti soci, anche per il concorso nelle spese, viene
assicurato dalla determinazione comparativa del valore degli alloggi per mezzo delle cosiddette tabelle
millesiniali.
* Cass. civ., sez. I, 9 febbraio 1981, n. 781. Carolli c. Cooperativa Edilizia Adria Domo Srl, in Arch. civ. 1981,
321.
La disciplina della ripartizione delle spese condominiali contenuta in un regolamento di natura contrattuale, pu
essere innovata, in base al principio dellautonomia contrattuale enunciato dallart, 1322 c.c., da una nuova
convenzione, la quale, non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta ai sensi dellart. 1350 c.c., ma
richiede il consenso di tutti i condomini, che pu essere espresso anche per facta concludentia dovendo, per,
in ogni caso la manifestazione tacita di volont rapportarsi ad un comportamento univoco e concludente dal
quale possa desumersi, per Il comune modo di intendere, un determinato volere con un preciso contenuto
sostanziale. (Nella specie la C.S. in base allenunciato principio ha confermato la decisione dei giudici del merito
che aveva escluso la formazione di un nuovo accordo negoziale per facta concludentia con riguardo ad un
applicazione di diversi criteri di ripartizione delle spese condominiali, ancorch avutasi per diversi anni, ma
senza la consapevolezza della diversit di quei criteri e delle tabelle millesimali relative).
* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1991, n. 7884.
Laccettazione delle tabelle millesimali desumibile anche da fatti concludenti, come il costante pagamento
delle quote condominiali in base ad esse dovuto non ne esclude limpugnabilit, ex art. 69, 1, att. c.c., per

obiettiva divergenza del valore considerato rispetto a quello reale, sempre che questa discenda da errori di fatto,
attinenti alle caratteristiche degli elementi necessari, ex art. 68 att. c.c., per la valutazione o di diritto, in ordine
alla identificazione degli elementi stessi, restando, di conseguenza, esclusa la rilevanza di apprezzamenti
soggettivi nella stima commerciale di questi ultimi, con la conseguenza che non costituisce errore idoneo a
fondare la suddetta impugnativa lattribuzione alle unit immobiliari del piano terreno obbiettivamente destinate
per conformazione strutturale ad attivit commerciali di un valore pi elevato rispetto a quello derivante dal
mero calcolo della superficie e della cubatura.
* Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1994, n. 1367,
La partecipazione con voto favorevole alle reiterate delibere adottate dallassemblea dei condomini di un edificio
per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello
espresso nelle tabelle millesimali, o lacquiescenza alla concreta applicazione di queste delibere, pu assumere
il valore di unico comportamento rivelatore della volont di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei
condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e pu
dar luogo, quindi, per facta concludentia, ad una convenzione modificatrice della disciplina sulla ripartizione delle
spese condominiali che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta
ma solo il consenso, anche tacito o per facta concludentia, purch inequivoco, di tutti i condomini.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4814, Anaclerio ed altri c. Soc. Immobiliare Dalma, in Arch. loc. e cond.
1994, 777.
In tema di condominio degli edifici, il singolo condomino non pu sottrarsi allobbligo di concorrere, secondo la
ripartizione risultante dalle tabelle millesimali suscettibili di modificazione anche per fatti concludenti alle
spese di erogazione del servizio centralizzato di riscaldamento distaccando la propria porzione immobiliare dal
relativo impianto, senza che rilevino in contrario n la L. 29 maggio 1982, n. 308, sul contenimento dei consumi
energetici, n la circostanza che il condominio stesso consti di pi edifici separati, ma serviti da impianti comuni
non frazionati in relazione alle singole unit immobiliari.
* Cass. civ., sez. II, 4 maggio 1994, n. 4278,
Il provvedimento camerale con il quale la corte dappello, in sede di reclamo contro il decreto del tribunale, in
totale riforma ai questo, dichiari improponibile listanza proposta dai condomini, in sede di volontaria
giurisdizione, a norma dellart. 1105, ultimo comma, c.c., in quanto non attinente allamministrazione della cosa
comune, bens rivolta ad ottenere lapprovazione e la declaratoria di validit di un regolamento condominiale con
le relative tabelle millesimrali, proponibile solo in sede contenziosa. non presenta i requisiti della difinitivit e
della decisoriet, non essendo in nessun modo idoneo ad incidere in via definitiva su posizioni di diritto
soggettivo in conflitto; e di conseguenza non impugnabile con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.
* Cass. civ., sez. II, 28 aprile 1994, n. 4038, Baldieri c. Condominio "Gradoni Paiazzina" di Ussita.
Laccettazione, da parte dei condomini, della tabella millesimale predisposta dal venditore-costruttore ed
allegata ai singoli contratti di vendita d luogo ad una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese che,
anche se si discosta da quelli fissati dalla legge per la ripartizione delle spese relative alle parti comuni
delledificio, vincolata tra le parti, attesa la derogabilit dei predetti criteri legali, salva la possibilit di revisione
delle tabelle millesimali per errore sul valore effettivo delle singole unit immobiliari. prevista dal art. 69 att. c.c..
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1995, n. 1028, Arrgo c. Condominio Edificio Caruso.
Lunit sistematica tra la disposizione dellart. 1118 primo comma c.c., a norma del quale il diritto di ciascun
condomino sulle parti comuni delledificio proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli
appartiene, e la disposizione del primo comma dellart. 1123 c.c., per il quale le spese necessarie per la
conservazione ed il godimento delle parti comuni delledificio, per la prestazione dei servizi nellinteresse
comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale
al valore della propriet di ciascuno, non impedisce, trattandosi di norme derogabili, che siano
convenzionalmente previste discipline diverse e differenziate tra loro dei diritti di ciascun condomino sulle parti
comuni (che possono essere attribuiti in proporzione diversa maggiore o minore rispetto a quella della sua
quota individuale di piano o porzione di piano) e degli oneri di gestione del condominio, che possono farsi
gravare sui singoli condomini indipendentemente dalla rispettiva quota di propriet delle cose comuni e dalluso.
(Nella specie, stata riconosciuta la validit dellaccordo che attribuiva ai condomini, proprietari di unit abitative
di diverso valore, un uguale diritto dominicale sulle parti comuni prevedendo la formazione di tabelle millesimali
solo ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione e pulizia delle stesse).
* Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1995, n. 7546, Bernardini v. Masieri ed altri.
Le clausole del regolamento condominiale che stabiliscono i criteri di ripartizione delle spese sono modificabili
soltanto con il consenso unanime dei condomini. pertanto nulla, in quanto adottata in assenza di un
condomino, la delibera assembleare con la quale venga affidato ad un tecnico specializzato lincarico di formare
le tabelle millesimali. Detta delibera, pur costituendo un atto prodromico alla modifica del criterio di ripartizione
delle spese reca comunque un danno ai condomino assente, il quale pertanto legittimato ad impugnarla.
* Trib. civ. Verona, 29 giugno 1995,
Lobbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera
dellassemblea che approv le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione volta
soltanto a rendere liquido un debito preesistente e che pu anche mancare ove esistano tabelle millesimali, per
cui lindividuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini il frutt di una semplice
operazione matematica. Pertanto, nel caso di alienazione di un appartamento, obbligato al pagamento dei tributi
il proprietario nel momento in cui la spesa viene deliberata.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1996, n. 9366,
Le spese di riscaldamento devono essere ripartite tra i condomini sulla base di tabelle f approvate in via
definitiva e con lunanimit dei consensi. (Fattispecie di delibera assembleare con la quale lamministratore di

condominio veniva incaricato di applicare, ai tini di una nuova ripartizione delle spese di riscaldamento tra i
condomini, una tabella millesimnale provvisoria, in attesa dellapprovazione di quella definitiva).
* Corte app. civ. Roma, 24 settembre 1997, n. 2807, Condominio di Via Segesta n. 10 in Roma c. Genovesi, in
Arch. loc. e cond. 1998, 81.
In tema di riparto di spese condominiali. i condomini, oltre a poter derogare convenzionalmente al criterio di cui
allart. 1123 cod. civ., possono altres adottare, anche a maggioranza, un criterio di ripartizione provvisorio e
temporaneo che consenta di far fronte alle spese annuali di manutenzione e gestione dei servizi comuni, i cui
versamenti devono allora essere considerati a titolo di acconto e salvo il conguaglio da operare
successivamente, anche in caso di non ancora avvenuta approvazione definitiva delle tabelle millesimali.
* Trib. civ. Roma, sez. V. 24 marzo 1988, c. 4563.
g) Revisione e modifica
In tema di condominio di edifici, lerrore che ai sensi dellart. 69 disp. att. cod civ. determina la revisione delle
tabelle millesimali consiste non nellerrore che con riguardo allatto di approvazione delle tabelle stesse vizia il
consenso del condominio, come disciplinato dagli artt. 1428 e seguenti cod. civ., ma nella obiettiva divergenza
tra il valore effettivo delle singole unit immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle,
atteso che nellart. 69 citato lerrore non viene riferito al consenso del condominio allapprovazione delle tabelle
bens obbiettivamente ai valori in essa contenuti, comportandone la revisione e non lannullamento dellatto di
approvazione.
* Class. civ., sez. II, 21 luglio 1988, n. 4734,
In tema di condominio di edifici, qualora le tabelle millesimali allegare al regolamento condominiale contrattuale
non abbiano formato oggetto di modifica con il consenso unanime di tutti i condomini ovvero con sentenza del
giudice a norma dellart. 69 disp. att. cod. civ., nonostante le variazioni di consistenza delle singole unit
immobiliari a seguito delle mutate condizioni delledificio, la ripartizione delle spese condominiali
legittimamente effettuato in conformit delle tabelle stesse, con la conseguenza che il condominio, richiesto del
pagamento della quota di pertinenza, ove intenda contestare il criterio di ripartizione, deve proporre domanda,
anche riconvenzionale, di revisione o modifica delle tabelle ai sensi del citato art. 69 nei confronti di tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 31 maggio 1988, n. 3701,
Costituiscono errori essenziali e possono, quindi, dar luogo a revisione delle tabelle millesimali, in materia di
condominio di edificio, in base allart. 69, n. 1, disp. att. cod. civ., gli errori che attengano alla determinazione
degli elementi necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti (quali lestensione, laltezza,
lubicazione, ecc.), siano errori di diritto (ad esempio, erronea convinzione che nellaccertamento dei valori
debba tenersi conto di alcuni degli elementi che, ai sensi dellart. 68, ultimo comma, disp. att. cod. civ. sono
irrilevanti a tale effetto); non possono, invece, qualificarsi essenziali gli errori determinati soltanto dai criteri pi o
meno soggettivi con cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima sia stata compiuta, poich
lerrore di valutazione, in s considerato, non pu mai essere ritenuto essenziale, non costituendo un errore
sulla qualit della cosa, a norma dellart. 1429 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1982, n. 116, Cond. V. S. Grego, c. Soc. Manif. Pesar.
La richiesta di revisione delle tabelle miliesimali condominiali deve essere proposta in contradittorio di tutti i
condomini e non contro il condominio cumulativamente rappresentato dallo amministratore, in quanto loggetto
della controversia esorbita dallambito delle cose o interessi comuni ed incide su diritti esclusivi dei singoli
condomini, sicch la rappresentanza dellamministratore ne resta esclusa anche dal lato passivo.
* Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3967, Piantoni A. c. Cond. V. Montello.
In tema di condominio nodi edifici la deliberazione assembleare, adottata a maggioranza, che modifichi le tabelle
millesimali relative alla ripartizione delle spese inefficace nei confronti del condomino assente o dissenziente
per nullit radicale deducibile senza limitazione di tempo, e non quindi soggetta al termine di impugnazione di
tremila giorni previsto per le deliberazioni annullabili: allo stesso modo sono nulle e quindi impugnabili senza
limitazione di tempo le delibere con le quali, successivamente, sulla base delle tabelle illegittimamente
modificate, siano determinati i contributi da corrispondere da parte dei singoli condomini, per il principio che latto
nullo non produce alcun effetto e non pu essere convalidato dal decorso del tempo
* Cass. civ., sez. II, 11 settembre 1989, n. 3920, Cristiano c. Cond. di Via Pompeo Magno, 9 di Napoli, in Arch.
loc. e cond. 1990, 259.
Lerrore che consente la revisione delle tabelle millesimali ai sensi dellart. 69 att. c.c. lerrore vizio di cui allart.
1428 c.c.
*Trib. civ. Torino, 20 maggio 1989, in Vita Notar, 1989, 160.
La richiesta di revisione delle tabelle millesimali deve essere proposta in contraddittorio di tutti i condomini
singolarmente, e non contro il condominio cumulativamente rappresentato dallamministratore, in quanto
loggetto della controversia esula dallambito delle cose o interessi comuni, ed incide sui diritti esclusivi dei
singoli condomini, sicch la rappresentanza dellamministratore ne resta esclusa anche dal lato passivo.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 21 dicembre 1992,
Allassemblea dei condomini, nellambito delle attribuzioni concernenti la gestione delle cose, degli impianti e dei
servizi comuni previste dallart. 1135 n. 2 c.c., deve riconoscersi la competenza a modificare, in via provvisoria,
tabelle millesimali concernenti il servizio di riscaldamento e di riscuotere i relativi contributi a titolo di acconto e
salvo conguaglio, qualora, in seguito alle modifiche apportate da un condomino allimpianto di riscaldamento
allinterno del proprio appartamento, le tabelle originarie non corrispondano alla nuova estensione degli elementi
radianti.
* Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1996, n. 8657, Calvagioni c. Condominio di via Fucini n. 284 in Roma, in Arch. loc.
e cond. 1997, 80.

In tema di condominio di edifici, lerrore il quale, ai sensi dellart. 69 att. c.c. giustifica la revisione delle tabelle
millesimali non coincide con lerrore vizio del consenso, disciplinato dagli articoli 1428 e seguenti c.c., ma
consiste nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unit immobiliari e il valore proporzionale ad
esse attribuito nelle tabelle, senza che in proposito rilevi il carattere negoziale della formazione delle stesse.
* Cass. civ., sez. un., 9 luglio 1997, n. 6222,
Sia per revisionare o modificare le tabelle millesimali di alcune unit immobiliari, sia per la prima caratura di
esse, il giudice deve verificare i valori di tutte le porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi quali la
superficie, laltezza di piano, la luminosit, lesposizione incidenti sul valore effettivo di esse, e quindi
adeguarvi le tabelle, eliminando gli errori riscontrati.
* Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1998, n. 5942,
La revisione delle tabelle millesimali possibile anche se lerrore nella valutazione delle unit immobiliari stato
determinato dallapplicazione dei criteri stabiliti dal R.D. 15gennaio 1934 n. 56, richiamati nel regolamento
condominiale, perch lultrattivit pattizia in quanto in esso recepita di tale normativa, non esclude lerrore,
rilevabile in base alla successiva normativa del nuovo codice civile che lha abrogata e non gi al momento
della sua commissione.
* Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1998, n. 5942,
h) Valore proporzionale degli immobili
Poich la determinazione dei valori proporzionali avviene tenendo conto delle caratteristiche proprie degli
immobili, e non anche della eventuale possibile destinazione cui sono adibiti in concreto che determinata,
soprattutto, da valutazioni puramente soggettive, e cio dalle personali necessit e dalla convenienza
economica consegue che, ove le caratteristiche obiettive dellimmobile, prese in esame nel determinare gli
elementi necessari per il calcolo dei valori proporzionali delle singole unit immobiliari, rimangano immutate, e
cambi soltanto la situazione esterna, che non comporta dirette conseguenze sulle caratteristiche proprie
dellimmobile, ma soltanto sulla sua maggiore o minore valorizzazione economica non sussistono n gli estremi
dellerrore, n delle mutate condizioni delledificio per disporre la revisione delle tabelle millesimali.
* Trib. civ. Parma, 14 gennaio 1998,
TERMINE PER IL PAGAMENTO DEI CANONI SCADUTI
E' infondata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la questione di legittimit costituzionale dell'art. 55 della legge
27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), nella parte in cui prevede la possibilit di
sanare in sede giudiziale la morosit, impedendo in tal modo la risoluzione del contratto nel solo procedimento
per convalida di sfratto e non anche nel giudizio ordinario di risoluzione per inadempimento.
* Corte cost., 21 gennaio 1999, n. 3, Salemme ed altri c. Petrucci, in Arch. loc. e cond. 1999, 53.
La L. 27 luglio 1978, n. 392, quanto ai nuovi contratti, ha previsto la sanatoria della morosit per le sole locazioni
ad uso di abitazione, cui si applica l'art. 5 della stessa legge, e tale sanatoria non estensibile alle locazioni non
abitative.
* Cass. civ., Sezioni Unite,28 aprile 1999, n. 272, Soc. Micheletti c. Soc. Soiltecnica, in Arch. loc. e cond. 1999,
397.
La richiesta del termine di grazia, pur se vale ad impedire l'emissione del provvedimento di rilascio dell'immobile
locato, non comporta rinuncia ad una eventuale azione di ripetizione da parte del conduttore moroso di somme
pagate in eccedenza all'equo canone.
* Cass. civ., sez. III, 7 novembre 2000, n. 14481, Serra c. Saiu, in Arch. loc. e cond. 2000, n. 6.
La L. n. 392/1978 non ha, neppure implicitamente, abrogato il procedimento per convalida di sfratto di cui all'art.
657 c.p.c. ma ha apportato - con specifico riferimento allo sfratto per morosit - particolari modifiche, stabilendo
modalit e termini entro i quali consentito al conduttore di sanare la morosit, con l'effetto di impedire, alla
prima udienza, la convalida dello sfratto o, successivamente, l'emissione dell'ordinanza di rilascio, ai sensi
dell'art. 665, stesso codice, con la conseguenza che, qualora - concesso dal pretore il termine di grazia di cui
all'art. 55 della L. n. 392/1978 - l'intimato non provveda a sanare la morosit del termine perentorio concessogli,
detto giudice non tenuto a decidere con sentenza sulla domanda di risoluzione, ma pu emettere, nel
concorso delle altre condizioni, il provvedimento di convalida, che non assume natura di sentenza e non
passibile di impugnazione mediante appello.
* Cass., sez. III, 16 gennaio 1990, n. 160, Attolino c. Vanacori.
In tema di locazione di immobili urbani, la legge 27 luglio 1978, n. 392, all'art. 55, ha inserito, nel procedimento
speciale per convalida di sfratto, un subprocedimento di sanatoria, stabilendo modalit e termini entro i quali
consentito al conduttore di evitare la convalida dello sfratto o, successivamente, la emissione dell'ordinanza di
rilascio, attraverso la corresponsione dei canoni dovuti, con la conseguenza che, ove il conduttore non abbia
manifestato alcuna opposizione all'intimato sfratto, limitandosi a richiedere il termine per sanare la morosit, non
potr, in caso di attestazione dell'intimante di mancata o incompleta sanatoria nel termine assegnato, fondare la
sua opposizione, volta ad impedire la emissione a suo carico del provvedimento definitivo di rilascio ex art. 663,
primo comma, c.p.c., che su eccezioni relative al completo adempimento della obbligazione nella forma
qualificata derivata dal provvedimento di assegnazione del termine.
* Cass. civ., sez. III, 11 ottobre 2000, n. 13538, Romeo ed altra c. Nigro, in Arch. loc. e cond. 2000, n. 6.
La speciale sanatoria della morosit del condutture prevista dall'art. 55 legge 27 luglio 1978 n. 392 subordinata
al pagamento integrale oltre dei canoni scaduti, degli interessi legali e delle spese processuali liquidate dal
giudice, per cui in caso di pagamento incompleto la morosit persiste e va escluso che l'inadempimento residuo
sia suscettibile di nuova verifica sotto il profilo della gravit.
* Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 1998, n. 1320, Villari c. Crin ed altro.
In tema di locazioni di immobili urbani, qualora il conduttore cui sia stato intimato lo sfratto per morosit nel
pagamento del canone, ottenuta la concessione del termine di grazia previsto dagli artt. 5 e 55 legge 27 luglio

1978 n. 392, non provveda, nel termine concesso, al pagamento integrale dei canoni scaduti con gli interessi e
le spese processuali liquidate dal giudice in sede di concessione del termine, legittimamente viene emessa nella
successiva udienza, alla quale la causa stata rinviata, ordinanza di convalida di sfratto, senza necessit di una
nuova verifica della residua inadempienza, trattandosi di termine perentorio, come risulta dall'ultimo comma
dell'art. 55 citato.
* Cass. civ., sez. III, 18 febbraio 1998, n. 1717, Taumac Srl c. Azionaria Casermaggi Soc.
Qualora il conduttore, cui sia stato intimato sfratto per morosit ai sensi dell'art. 658 c.p.c. e concesso dal
giudice il termine di grazia ex art. 55 della legge 27 luglio 1978 n. 392, non provveda alla sanatoria nel termine
stabilito, il giudice deve emettere non gi la convalida prevista all'art. 663 c.p.c., bens il provvedimento di
rilascio di cui all'art. 56 della suddetta legge il quale, pur avendo natura costitutiva in quanto risolve il rapporto
locatizio, deve rivestire la forma dell'ordinanza, senza che occorra la pronuncia di una sentenza, la cui necessit
non risulta da alcuna norma n dato desumere dall'ultimo comma del richiamato art. 55.
* Cass., sez. III, 24 luglio 1981, n. 4792, Biglietto c. Aran.
La speciale sanatoria della morosit del conduttore trova applicazione soltanto nel procedimento di convalida di
sfratto per morosit di cui all'art. 658 c.p.c. e non pure quando sia introdotto un ordinario giudizio di risoluzione
del contratto per inadempimento, nel qual caso, ai sensi del terzo comma dell'art. 1453 c.c., non consentito al
conduttore adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda. Tale sanatoria
subordinata, dal primo comma dell'art. 55 della legge n. 392 del 1978, al pagamento oltre che dei canoni
scaduti, anche degli interessi legali e delle spese processuali liquidate dal giudice. Ne consegue che, in caso di
incompleta sanatoria, legittimamente viene emessa, una volta scaduto il termine di grazia, ordinanza di
convalida ex art. 663 c.p.c., dovendosi ritenere che la morosit persiste, senza che l'inadempimento residuo sia
suscettibile di una nuova verifica sotto il profilo della gravit.
* Cass. civ., sez. III, 7 agosto 1996, n. 7253, Alessandri c. Roncan, in Arch. loc. e cond. 1996, 891.
La particolare sanatoria della morosit nel pagamento del canone di locazione stabilita dall'art. 55 della legge
sull'equo canone trova applicazione soltanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosit di cui all'art.
658 c.p.c. e non pure qualora sia introdotto, con citazione, un ordinario giudizio di risoluzione del contratto per
inadempimento, nel qual caso, ai sensi del terzo comma dell'art. 1453 c.c., non consentito al conduttore
adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda.
* Cass. civ., sez. III, 29 novembre 1994, n. 10202, Fiacchi c. Scala.
Lo speciale istituto della sanatoria della morosit del conduttore, previsto e disciplinato dall'art. 55, L. 27 luglio
1978, n. 392, per le locazioni aventi ad oggetto immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, trova applicazione
sia nel procedimento di convalida di sfratto per morosit di cui all'art. 658 c.p.c., sia allorch la domanda per
conseguire la restituzione dell'immobile sia stata introdotta dal locatore con un ordinario giudizio di risoluzione
del contratto per inadempimento.
* Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2000, n. 2087, Pettinelli c. Schiantoni, in Arch. loc. e cond. 2000, 233.
Nel caso di opposizione alla intimazione di sfratto per morosit dopo la convalida (art. 668 c.p.c.), la procedura
di sanatoria a norma dell'art. 55 della L. 27 luglio 1978 n. 392, sia per effetto del pagamento delle somme dovute
alla prima udienza, sia nel termine fissato dal giudice, non richiede la preventiva decisione in ordine
all'ammissibilit dell'opposizione, non comportando automaticamente la chiusura del procedimento, cos come
accade nell'ordinario procedimento di convalida ma restando l'avvenuta sanatoria condizionata al successivo
accertamento dell'ammissibilit dell'opposizione di spettanza del giudice competente per il merito. Ne consegue
che la deliberazione fatta dal pretore, in quella fase sommaria, sull'ammissibilit dell'opposizione, ha di necessit
carattere provvisorio e strumentale ed sempre revocabile con la sentenza che decide la controversia.
* Cass. civ., sez. III, 2 dicembre 1993, n. 11923, Mettadelli c. Paoli.
Poich l'art. 82 della L. 27 luglio 1978 n. 392 sull'equo canone, secondo cui ai giudizi in corso al momento
dell'entrata in vigore della legge suddetta continuano ad applicarsi ad ogni effetto le leggi precedenti, si applica
sia alla disciplina sostanziale che a quella processuale vigente in materia di locazioni urbane, la sanatoria della
morosit come prevista agli artt. 5 e 55 della citata legge n. 392 del 1978, non applicabile ai giudizi proposti
prima della sua entrata in vigore.
* Cass., sez. III, 17 gennaio 1987, n. 369, Torre c. Paone.
A differenza del regime transitorio delle locazioni urbane disposto dalla L. n. 392 del 1978 (art. 74) nel regime
ordinario, in mancanza di un onnicomprensivo richiamo, l'art. 55 della detta legge - senza porsi in contrasto con
il principio di eguaglianza ex art. 3 Cost. - consente al conduttore di sanare la morosit dei canoni soltanto con
riguardo alle locazioni per uso abitativo indicati dall'art. 5 della stessa legge e non , quindi, applicabile alle
locazioni per uso non abitativo, che sono assoggettate ad una autonoma disciplina alla quale possono essere
estese solo le norme sulle locazioni abitative espressamente richiamate, tra le quali non rientra quella del citato
articolo.
* Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 1992, n. 2496, Pesci c. Fust Fortunata.
In tema di concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti previsto dall'art. 55 della legge
del 1978 n. 392, la mancanza di espresse limitazioni all'applicabilit di tale norma, nonch di qualsivoglia
incompatibilit di ordine logicoconcettuale tra la sanatoria della morosit, come da essa regolata, e le locazioni
non abitative escludono una interpretazione riduttiva dell'istituto e comportano la sua applicabilit anche con
riferimento alla locazione d'immobile adibito ad uso diverso da quello di abitazione, stipulato successivamente
all'entrata in vigore della richiamata legge.
* Cass. civ., sez. III, 21 aprile 1998, n. 4031, De Vitis c. Leoni.
L'art. 5 della L. 27 luglio 1978 n. 392 sulla predeterminazione della gravit dell'inadempimento, ai fini della
risoluzione del rapporto, correlandosi alle peculiari regole sulla determinazione del canone dettate per le
locazioni ad uso abitativo, non pu essere applicato alle locazioni non abitative, la cui disciplina non richiama la

disposizione del citato art. 5; alle predette locazioni non abitative , invece applicabile l'art. 55 della stessa
legge, relativo alla possibilit di sanare la mora, che, bench inserito nel complesso di norme dettate per le
locazioni abitative, prevede una disciplina limitatrice della risoluzione del contratto che, per la ratio che la ispira,
di carattere generale e rientra, per di pi, tra le disposizioni processuali richiamate in tema di locazioni non
abitative dagli artt. 42 e 74 della L. n. 392 del 1978.
* Cass. civ., sez. III, 29 maggio 1995, n. 6023, Maniccia c. Altomare.
Il pagamento in corso di causa dei canoni di locazione scaduti, non esclude la valutazione da parte del giudice
del merito della gravit dell'inadempimento del conduttore dedotto con l'intimazione di sfratto, specie quando
l'inadempimento sia stato preceduto da altri prolungati, reiterati e ravvicinati ritardi nel pagamento del canone
medesimo.
* Cass. civ., sez. III, 10 agosto 1999, n. 8550, Calcei c. Clerico.
La colpa dell'inadempiente, quale presupposto per la risoluzione del contratto, presunta sino a prova contraria,
e tale presunzione destinata a cadere solo a fronte di risultanze, positivamente apprezzabili, dedotte e provate
dal debitore, le quali dimostrino che quest'ultimo, nonostante l'uso della normale diligenza, non sia stato in grado
di eseguire tempestivamente le prestazioni dovute per cause a lui non imputabili. (Principio enunciato in tema di
inadempimento del pagamento del canone di locazione).
* Cass. civ., sez. III, 17 novembre 1999, n. 12760, Associati di Natale Centore c. Cond. Spes Mea Ragusa.
Il mancato pagamento del canone di locazione, decorsi venti giorni dalla prevista scadenza, costituisce, ai sensi
dell'art. 5 della legge n. 392 del 1978, motivo di risoluzione del contratto ai sensi dell'art. 1455 c.c., senza che il
giudice possa compiere una valutazione discrezionale dell'importanza dell'inadempimento, che operata ex
lege; tuttavia a norma dell'art. 55 della citata legge consentito al conduttore, in deroga al disposto di cui
all'ultimo comma dell'art. 1453 c.c., di evitare la risoluzione versando alla prima udienza, o nel termine
assegnatogli dal giudice, l'importo dei canoni scaduti, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali
liquidate.
* Cass., sez. III, 17 aprile 1987, n. 3791, Grisolia c. Pepino.
La contestazione della morosit, da parte del conduttore cui sia stato intimato sfratto ex art. 658 c.p.c., qualora
sia diretta ad opporsi alla convalida ed all'ordinanza di rilascio di cui all'art. 665 c.p.c., esaurisce in tali limiti la
sua efficacia e, quindi, non preclude n rende incompatibile il ricorso alla sanatoria di cui all'art. 55 della legge n.
392 del 1978, introdotta a completamento pi dettagliato della procedura di convalida dettata dal codice di rito
per la possibilit offerta al conduttore di sanare la morosit e la cui utilizzazione comporta implicitamente, ma
necessariamente, la manifestazione della prevalente volont solutoria del conduttore, che va autonomamente
valutata e regolamentata in aderenza alla ratio legis di componimento della lite.
* Cass., sez. III, 21 agosto 1985, n. 4474, Marzocca c. De Pergola.
La contestazione della morosit da parte del conduttore cui sia stato intimato sfratto, ai sensi dell'art. 665 c.p.c.,
non preclude il ricorso alla sanatoria di cui all'art. 55 della L. 27 luglio 1978, n. 392, nel senso che con la
richiesta di sanatoria l'ordinanza di convalida non pu pi ritenersi condizionata dalla mancata proposizione
dell'opposizione, secondo quanto dispone l'art. 665 citato, bens dal mancato pagamento del dovuto nel termine
che ha carattere perentorio all'uopo fissato giusta il disposto dell'art. 55 citato.
* Cass. civ., sez. III, 8 agosto 1996, n. 7289, Emerson Societ c. Cascone.
L'art. 55 della L. 27 luglio 1978 n. 392, che consente al conduttore di sanare la mora in sede giudiziale versando,
alla prima udienza, l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori, non applicabile nel caso
in cui il conduttore, al quale sia stato intimato lo sfratto per morosit, si oppone alla convalida ammettendo la
mora per una somma inferiore ed offrendo, quindi, solo il pagamento di questa somma. In tale ipotesi,
mancando il pagamento integrale delle somme pretese, deve essere, invece, applicato l'art. 666 c.p.c.
* Cass. civ., sez. III, 12 maggio 1993, n. 5414, La Mantia c. Troilo.
Il conduttore che, opponendosi alla convalida dello sfratto intimatogli dal locatore per mancato versamento del
canone e della maggior somma dovuta per aggiornamento Istat, versi il canone alla prima udienza ai fini della
sanatoria prevista dall'art. 55 della L. 27 luglio 1978 n. 392, ma non anche le somme aggiuntive per
l'aggiornamento, in quanto non indicate nell'intimazione di sfratto, ha diritto di sanare la mora anche
successivamente alla prima udienza, ma non oltre quella in cui il locatore abbia precisato l'ammontare spettante
per il detto aggiornamento.
* Cass. civ., sez. III, 17 luglio 1991, n. 7934, Gaetani c. Pasquazi.
Il conduttore di immobile urbano, convenuto con azione di sfratto per morosit, pu sanare la mora, secondo la
previsione dell'art. 55 primo e secondo comma della L. 27 luglio 1978, n. 392, versando l'intero ammontare di
quanto dovuto, per canone ed oneri accessori, fino alla prima udienza, ovvero entro il successivo termine che
abbia chiesto ed ottenuto dal giudice. Detta sanatoria, pertanto, non ravvisabile in un versamento inferiore,
che non tenga conto delle maggiorazioni del canone stabilite dalla citata legge, mentre resta in proposito
irrilevante che il conduttore medesimo ponga in discussione l'applicabilit di quelle maggiorazioni, trattandosi di
situazione che consente di sospendere il versamento della parte del canone in contestazione, ai sensi dell'art.
45 ultimo comma della suddetta legge, solo nel caso in cui penda controversia sulla determinazione del canone
stesso.
* Cass., sez. III, 20 agosto 1985, n. 4444, Michelazzi c. Nichea.
Il giudice non ha il potere di valutare se il superamento, ancorch esiguo, del termine di grazia concesso al
conduttore ai sensi dell'art. 55 legge 27 luglio 1978 n. 392, o all'affittuario di fondo rustico ai sensi dell'art. 46
legge 3 maggio 1982 n. 203, per sanare la morosit, costituisca inadempimento grave, n se il ritardo dipenda
dal debitore o da un terzo di cui egli si sia avvalso per adempiere (come nel caso di trasmissione della somma
dovuta tramite assegno spedito a mezzo del servizio postale nel termine, ma pervenuto qualche giorno dopo),
perch da un lato il giudice ha soltanto la possibilit di fissare il termine entro il limite minimo e massimo stabilito

dal legislatore; dall'altro l'obbligazione di pagamento del canone, in mancanza di diversa pattuizione, deve
essere adempiuta al domicilio del creditore al tempo della scadenza, e perci il rischio di ritardo o mancata
ricezione resta a carico del debitore, perch attiene alla fase preparatoria del pagamento.
* Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2000, n. 1336, Masia c. Putzu.
Il termine di grazia, concesso dal giudice al conduttore o all'affittuario di fondo rustico per sanare la morosit nel
pagamento dei canoni, perentorio perch, costituendo un'eccezione al principio secondo il quale dopo la
proposizione della domanda l'inadempiente non pu pi adempiere, determina una sospensione dell'effetto
risolutorio che essa ha per il contratto.
* Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 2000, n. 1336, Masia c. Putzu.
Il pagamento dei canoni di locazione successivo alla domanda giudiziale del locatore di risoluzione per
inadempimento non vale a sanare la morosit del conduttore ai sensi dell'art. 55 della legge sull'equo canone,
ove non comprenda anche il pagamento degli oneri accessori (contributi condominiali) e delle spese del
procedimento.
* Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 1996, n. 11367, Di Martino c. Ruocco W. ed altri.
La L. n. 392/1978 cosiddetta sull'equo canone - compreso l'art. 79 che tende soltanto a garantire l'equilibrio
sinallagmatico del contratto secondo la valutazione operata dal legislatore - non pone limiti all'autonomia
negoziale con riguardo alla detreminazione preventiva del risarcimento del danno nel caso di ritardo
nell'adempimento delle reciproche prestazioni, tra cui quella relativa al pagamento del canone alle scadenze
pattuite. Consegue che la clausola con la quale le parti abbiano convenuto un tasso di interesse superiore a
quello legale sull'importo dei canoni corrisposti in ritardo trova applicazione agli effetti della risarcibilit del
maggior danno di cui al secondo comma dell'art. 1224 cod. civ., ma non ai fini della sanatoria della morosit, per
cui gli interessi devono essere calcolati al tasso legale, come prescrive l'art. 55 della L. n. 392 del 1978, in
quanto altrimenti la suddetta clausola attribuirebbe al locatore l'indebito vantaggio di rendere pi oneroso per il
conduttore il meccanismo di purgazione della mora.
* Cass., sez. III, 15 marzo 1989, n. 1303, Soc. Samegep c. Inpdai.
Il pagamento dei canoni di locazione successivo alla domanda giudiziale del locatore di risoluzione per
inadempimento non impedisce la pronuncia di risoluzione del contratto di locazione qualora non comprenda
anche gli interessi legali e le spese processuali, a nulla rilevando che il conduttore si dichiari disposto a
provvedere al relativo pagamento.
* Cass, sez. III, 27 novembre 1986, n. 6995, Fornelli c. Grimaldi.
Qualora il conduttore si avvalga del meccanismo di sanatoria previsto dall'art. 55 della L. n. 392 del 1978 per
ridurre solo in parte la morosit, resta escluso che la inadempienza residua sia suscettibile di una nuova verifica,
da effettuarsi successivamente alla prima udienza, della sua importanza secondo i parametri predeterminati
dall'art. 5 della citata legge al fine di giustificare la risolubilit del contratto.
* Cass., sez. III, 15 marzo 1989, n. 1303, Soc. Samegep c. Inpdai.
A norma dell'art. 55 della L. 27 luglio 1978, n. 392, per ottenere la concessione del termine di grazia il conduttore
deve allegare specificamente e provare le sue condizioni di difficolt.
* Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1992, n. 6778, Merola c. Viotti.
In tema di locazione di immobili urbani, la disposizione dell'art. 55 della legge n. 392 del 1978, secondo cui il
giudice pu assegnare al conduttore, per sanare la morosit, un termine non superiore a giorni novanta dinanzi
a comprovate condizioni di difficolt ovvero di giorni centoventi se la inadempienza, protrattasi per non oltre
due mesi, conseguente alle precarie condizioni economiche del conduttore, insorte dopo la stipulazione del
contratto e dipendenti da disoccupazione, malattie o gravi comprovate condizioni di difficolt (commi secondo e
quarto dell'articolo citato), comporta che anche per la prima ipotesi risulti agli atti la prova delle condizioni di
difficolt in cui sia venuto a versare il conduttore, restando la diversa durata del termine correlata alla minore o
maggiore gravit di tali condizioni.
* Cass., sez. III, 20 giugno 1988, n. 4217, Bortoletto c. Cappellato.
Qualora il conduttore che non opponendosi alla convalida abbia ottenuto il termine di grazia previsto dall'art. 55
della L. n. 392 del 1978, non provveda a sanare tempestivamente ed integralmente la morosit (nella specie per
oneri accessori, interessi e spese legali), il pretore tenuto, all'udienza fissata entro dieci giorni dalla scadenza
del suddetto termine, a pronunciare convalida dello sfratto per morosit, senza necessit di rinvio della causa
per la ulteriore trattazione del merito.
* Cass., sez. III, 18 aprile 1989, n. 1835, Masi c. Iacomussi.
Poich a norma dell'art. 55 della L. 27 luglio 1978, n. 392, la concessione di un termine per il pagamento dei
canoni scaduti rappresenta non un obbligo ma una facolt discrezionale di cui il giudice pu avvalersi quando,
non essendo stato effettuato il pagamento in udienza, sussistono comprovate condizioni di difficolt del
conduttore, senza che la sollecitazione da parte dell'intimato di tale facolt integri opposizione preclusiva della
convalida, legittimamente il giudice, ove non ritenga di concedere il richiesto termine, convalida lo sfratto con
provvedimento che ha natura di ordinanza non impugnabile - salva l'opposizione ex art. 668 cod. proc. civ. - ove,
oltre al requisito della mancata opposizione dell'intimato, sussista anche l'attestazione in giudizio del locatore o
del suo procuratore della persistenza della morosit.
* Cass., sez. III, 25 novembre 1989, n. 5113, Vacirca c. De Bernardinis.
In tema di sanatoria della morosit prevista dall'art. 55 della legge n. 392 del 1978, il diniego da parte del giudice
richiesto della concessione del relativo termine per il pagamento da parte del conduttore moroso, sfugge al
sindacato della Corte di cassazione ove sia motivato con argomentazioni immuni da vizi sia logici che giuridici.
* Cass., sez. II, 10 agosto 1982, n. 4490, Caccialupi c. Brundo.
L'ordinanza con la quale il pretore, adito per la convalida di sfratto, concede al conduttore il termine di grazia per
sanare la morosit, provvedimento privo di carattere decisorio e inidoneo a pregiudicare la decisione della

causa ed , pertanto, insuscettibile di essere qualificato come sentenza implicita sulla competenza.
* Cass. civ., sez. III, 21 luglio 1993, n. 8133, Mazzola c. Matrisciano.
Nel procedimento di convalida di sfratto per morosit, il provvedimento con il quale si assegna al conduttore un
termine di grazia per sanare la morosit, in quanto privo di carattere decisorio, non impugnabile con ricorso
per cassazione a norma dell'art. 111 della Costituzione.
* Cass., sez. III, 24 marzo 1983, n. 2077, Fiastra c. Piunti.
Il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. contro i provvedimenti adottati con forma
diversa dalla sentenza consentito a condizione che essi abbiano la natura sostanziale di una sentenza, nel
senso che, oltre ad incidere su diritti soggettivi di natura sostanziale delle parti, abbiano attitudine al passaggio
in giudicato formale e sostanziale. Conseguentemente non pu essere impugnata con il ricorso per cassazione
ai sensi dell'art. 111 Cost. l'ordinanza di rilascio con riserva delle eccezioni di cui all'art. 665 c.p.c., che non
definisce la causa, perch nel giudizio sul rilascio possono essere rimessi in discussione tutti i fatti che si
assume siano stati trascurati dal giudice dell'ordinanza. N a diversa conclusione pu pervenirsi nel caso in cui
si contesti la mancata ammissione della parte al godimento del beneficio della purgazione della mora, a norma
dell'art. 55 della L. n. 392 del 1978, poich la relativa richiesta espressione di una facolt strumentale del
conduttore o dell'intimato e non di un diritto soggettivo, e contro il diniego vanno utilizzati i rimedi ordinari,
compresi, se lo consente la fattispecie, quelli delle opposizioni esecutive.
* Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1996, n. 5088, Soc. Italia Hotels c. Soc. Centro Alberghiero Fauch, in Arch. loc. e
cond. 1996, 911.
Nel procedimento di convalida di sfratto, l'ordinanza pretorile che respinge l'istanza del convenuto di
concessione di un termine di grazia ai sensi dell'art. 55 della legge 27 luglio 1978, n. 392, sul presupposto della
inapplicabilit di detta disposizione alle locazioni non abitative, risolve una questione di merito di natura
decisoria ed pertanto impugnabile con l'appello.
* Cass. civ., sez. III, 21 aprile 1998, n. 4031, De Vitis c. Leoni.
Nel procedimento per convalida di sfratto per morosit, il provvedimento che assegna o nega il termine di grazia,
ai sensi dell'art. 55 della L. 27 luglio 1978, n. 392, non ha carattere decisorio e non , quindi, autonomamente
impugnabile, n impugnabile, essendo il gravame espressamente escluso dal primo comma dell'art. 665
c.p.c., l'ordinanza di rilascio che, disattesa l'istanza di concessione del termine di grazia, il giudice
contestualmente pronunci.
* Cass. civ., sez. III, 17 febbraio 1994, n. 1529, Altobelli c. Fossa.
In tema di sanatoria della morosit, da parte del conduttore, nel termine all'uopo assegnatogli dal giudice ai
sensi del secondo comma dell'art. 55 della legge n. 392 del 1978, dal correlato disposto dell'ultimo comma della
stessa norma - per il quale l'osservanza del termine esclude la risoluzione del contratto - e del secondo comma
del successivo art. 56 che collega (sia pure al fine di determinare la data dell'esecuzione) al mancato
pagamento nel termine assegnato il provvedimento di rilascio, emerge che al suddetto termine stato conferito in modo espresso e specifico - il carattere della perentoriet, con la conseguenza, in caso di inosservanza di
esso, della decadenza dalla relativa sanatoria e della irrilevanza, ai fini della conservazione del contratto di
locazione, di un adempimento effettuato dopo la scadenza del termine stesso.
* Cass. civ., sez. III, 16 luglio 1986, n. 4598, Salvaggio c. De Luca. Conforme, Cass. civ., sez. III, 27 febbraio
1995, n. 2232, Reveruzzi c. Canale.
Il termine per purgare la mora, previsto dall'art. 55, secondo comma, della L. 27 luglio 1978 n. 392, pu essere
concesso dal giudice anche in udienza successiva alla prima, non portando detta norma alcuna indicazione
temporale o altra preclusione all'esercizio del potere del giudice. (Nella specie, avendo il conduttore - cui era
stato intimato sfratto per morosit per mancato pagamento degli oneri accessori - richiesto detto termine alla
prima udienza, il pretore aveva invitato le parti alla produzione di acconcia documentazione e, successivamente,
aveva statuito accogliendo la richiesta di concessione del termine stesso).
* Cass., sez. III, 22 maggio 1982, n. 3132, Pucci c. Palma.
La sanatoria della morosit prevista dall'art. 55 della legge n. 392 del 1978 in relazione al mancato pagamento
del canone di locazione di immobile urbano, ammessa anche se le parti abbiano pattuito la clausola risolutiva
espressa, contenendo tale norma disposizioni di ordine pubblico che non possono essere derogate dalle private
pattuizioni.
* Cass., sez. III., 27 novembre 1986, n. 6995, Fornelli c. Grimaldi.
Qualora il conduttore di immobile urbano, convenuto in giudizio per morosit, davanti al pretore, provveda, a
norma dell'art. 55 della legge n. 392 del 1978, all'offerta del pagamento dei canoni arretrati (o degli oneri
accessori), il locatore tenuto a ricevere tale pagamento ed il suo procuratore ad litem legittimato, a norma
dell'art. 1188, primo comma, c.c., a ricevere il pagamento stesso. All'illegittimo rifiuto del procuratore ad litem a
ricevere il pagamento, consegue, pertanto, che la situazione obiettiva di inadempimento non addebitale al
conduttore a titolo di colpa e quindi l'esclusione della risoluzione del rapporto di locazione.
* Cass., sez. III, 17 aprile 1987, n. 3791, Grisolia c. Pepino.
A norma dell'art. 55, primo comma, della legge n. 378 del 1978 - secondo il quale la morosit pu essere sanata
in sede giudiziale solo se il conduttore versi, alla prima udienza, l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per
gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate
in tale sede dal giudice - l'inadempimento di tali obbligazioni pu essere sanato tardivamente solo con l'effettivo
pagamento delle somme dovute per i titoli suindicati, e non con la mera enunciazione della disponibilit ad un
futuro pagamento.
* Cass. civ., sez. III, 18 ottobre 1994, n. 8469, Quaranta D. ed altra c. Elefante G.
Gli artt. 5 e 55 della legge n. 392 del 1978 (cosiddetta dell'equo canone) hanno introdotto relativamente alla
gravit dell'inadempimento predeterminata ex lege, alla possibilit della sanatoria ed alla concessione del

termine di grazia, un'equiparazione fra canone di locazione ed oneri accessori con la conseguenza che anche la
morosit per soli oneri accessori pu essere dedotta in giudizio con lo speciale procedimento di convalida ex art.
658 c.p.c.
* Cass., sez. III, 18 aprile 1989, n. 1835, Masi c. Iacomussi.
Nel caso di novazione soggettiva del contratto di locazione, la mora del conduttore per il pagamento dei canoni
scaduti, a meno che non vi sia un interesse del creditore-locatore alla esecuzione personale dell'obbligazione
(art. 1182 c.c.), pu essere sanata anche dall'originario conduttore, prima dell'udienza di convalida dello sfratto
per morosit e con gli effetti previsti dall'art. 55 della legge sull'equo canone, purch il pagamento comprenda
anche gli oneri accessori, le spese e gli interessi, rimanendo altrimenti a carico del nuovo conduttore, sul quale
grava l'obbligazione del pagamento del canone, ogni conseguenza negativa del parziale adempimento.
* Cass. civ., sez. III, 4 novembre 1992, n. 11947, Pichiceni c. Grolloni.
La legge 431/98 ha fatto venire meno anche per le locazioni abitative il principio della determinazione legale del
canone, lasciando tuttavia in vigore il disposto degli artt. 5 e 55 L. 392/78 per cui l'istituto della sanatoria
giudiziale della morosit, previsto dal precitato art. 55, deve ritenersi applicabile anche con riferimento alle
locazioni di immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione.
* Trib. civ. Bassano Del Grappa, ord. 2 dicembre 1999, Soc. Polo Immobiliare c. Ditta Power Driver, in Arch. loc.
e cond. 2000, 764.
Ove il conduttore, cui sia stato intimato sfratto per morosit, contesti in parte il debito e chieda un termine per
sanare la morosit relativamente alle somme che non contesta di dovere, non pu concedersi il termine di grazia
previsto dal secondo comma dell'art. 55 L. n. 392/1978, bens quello di cui all'art. 666 c.p.c.. Peraltro, qualora lo
steso conduttore abbia chiesto in subordine il termine di cui all'art. 55 citato per pagare l'intera somma richiesta
dal locatore, pu concedersi questo termine alternativamente a quello previsto dall'art. 666 c.p.c.; con la
conseguenza che se il conduttore versa entro tale ultimo termine il canone non contestato, lo sfratto nei suoi
confronti non pu essere convalidato, ma egli pu essere condannato al rilascio se nel prosieguo del giudizio si
accerti l'infondatezza delle sue eccezioni, laddove la sanatoria della morosit prevista dall'art. 55 esclude
senz'altro la risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore.
* Pret. Milano, ord. 10 maggio 1983, CAF Srl c. Tecnor Time Systems Srl.
L'ordinanza con la quale viene assegnato un termine per la sanatoria della morosit a norma dell'art. 55 L.
392/78 pu essere modificata in applicazione dell'art. 177 c.p.c., rispettando sempre il termine massimo di giorni
90 assegnabile per la sanatoria della morosit.
* Pret. Piacenza, ord. 10 gennaio 1980, Casella c. Bertoli.
Entro i limiti massimi di novanta o centoventi giorni, il termine di grazia pu essere prorogato purch ne sia fatta
tempestiva istanza prima della scadenza del termine gi concesso e purch si alleghino e comprovino
circostanze nuove e sopravvenute.
* Pret. Parma, 6 febbraio 1982, n. 66, Cocconi c. Squercia.
L'opinione che il termine di grazia di cui all'art. 55 della legge n. 392 del 1978 possa essere prorogato dal
giudice, non risulta dal testo ed contraria alla ratio della norma.
* Trib. Milano, sez. X, 24 gennaio 1985, n. 681, Spa La Fondiaria c. Rossetti.
La disposizione di cui all'art. 55 della legge n. 392 del 1978 supera anche la valutazione della gravit
dell'inadempimento contenuta in una clausola risolutiva espressa contrattuale. Ma ove il conduttore non abbia
chiesto l'applicazione della norma di tutela, dichiarandosi pronto a far fronte agli oneri aggiuntivi da essa previsti,
non pu che valutarsi l'inadempimento alla stregua dell'indicata clausola, non scardinata dal sistema dell'art. 55
citato.
* Trib. Milano, sez. X, 27 dicembre 1984, n. 8344, Sas S. Carlo 5/1 c. Gragnani Lanca.
Pur a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 3/99, con la quale si interpretato l'art. 55 della legge
n. 392/78 come riferibile anche ai giudizi ordinari di risoluzione del contratto di locazione per morosit iniziati
nelle forme di cui all'art. 447 bis c.p.c., resta sempre ferma per la sanatoria la barriera preclusiva della prima
udienza, di cui al citato art. 55 della legge n. 392/78, che nel caso di giudizio per convalida di sfratto quella
tenuta nella fase sommaria.
* Pret. civ. Napoli, sez. IV, 26 marzo 1999, Pennarola c. Crescentini, in Arch. loc. e cond. 2000, 116.
Nel giudizio di sfratto per morosit, qualora il procuratore ad litem del locatore abbia accettato anche senza le
spese processuali il pagamento offerto a saldo del proprio debito dal conduttore intimato, il quale si sia rifiutato
di accollarsi le spese di causa eccependo l'imputabilit al locatore del ritardo nel pagamento, deve ritenersi
realizzata la sanatoria giudiziale della morosit di cui all'art. 55 L. n. 392/1978 e non pu quindi accogliersi la
domanda di risoluzione del contratto tenuta ferma dal locatore, n condannarsi il conduttore al pagamento delle
spese di causa in base al principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c. Peraltro, ove nel corso del giudizio il
locatore abbia dimostrato l'infondatezza delle affermazioni del conduttore circa la imputabilit a lui del ritardo nel
pagamento, il conduttore stesso pu essere condannato, ai sensi del combinato disposto degli artt. 92 e 88
c.p.c., a rifondere le spese causate alla controparte con il suo comportamento sleale.
* Pret. civ. Milano, 19 maggio 1989, Saita c. Mastropierro n.c.
La disposizione di cui al primo e quarto comma dell'art. 55 L. 27 luglio 1978 n. 392, che dichiara sanabile la
morosit rispettivamente per non pi di tre volte e per non pi di quattro volte in un quadriennio, va interpretata
nel senso che detto limite opera non solo nel corso dello stesso rapporto locatizio, pur se sia mutata l'originaria
persona del locatore, ma anche quando le pregresse situazioni di morosit siano state sanate in un arco di
tempo di quattro anni, purch a cavallo dei due quadrienni di cui all'art. 1 della L. n. 392/1978, o ricompreso in
un rapporto locatizio di durata pi lunga, quale ad esempio quello per uso non abitativo.
* Pret. civ. Taranto, 10 giugno 1982, n. 517, Colella c. Cicala.
La sanatoria della morosit in sede giudiziale deve considerarsi ammessa soltanto nell'ambito del procedimento

sommario di convalida di sfratto, e quindi non anche nel giudizio a cognizione ordinaria promosso per
l'accertamento dell'inadempimento e per la pronuncia della risoluzione del contratto di locazione.
* Pret. civ. Lecce, 18 novembre 1998, n. 620, Monsellato c. Zappatore ed altra, in Arch. loc. e cond. 1999, 848.
L'art. 55 L. n. 392/1978 in tema di concessione di un termine per il pagamento dei canoni locatizi scaduti
applicabile anche alla locazione di immobile adibito ad uso diverso da quello abitativo stipulato successivamente
all'entrata in vigore della richiamata legge.
* Pret. civ. Bergamo, ord. 8 giugno 1999, Soc. Rossini Immobiliare c. Soc. Galmor Metal, in Arch. loc. e cond.
1999, 663.
Il libretto di risparmio al portatore, per le sue caratteristiche di titolo di credito facilmente ed immediatamente
negoziabile, mezzo di pagamento idoneo a sanare la morosit ex art. 55 della L. n. 392/78.
* Trib. civ. Asti, 7 maggio 1985, n. 246, De Lisi e altro c. Menafro.
La sanatoria ex art. 55, L. n. 392/78, della morosit nel pagamento dei canoni di locazione, ammessa anche
con riguardo agli immobili adibiti ad uso diverso dall'abitazione.
* Pret. civ. Piacenza, ord. 26 aprile 1996, Soc. STP c. Soc. Videograf, in Arch. loc. e cond. 1996, 964.
A differenza dal regime transitorio delle locazioni disposto dall'art. 74 della L. n. 392/78, nel regime ordinario l'art.
55 della suddetta legge consente al conduttore di sanare la morosit dei canoni soltanto con riguardo alle
locazioni per uso abitativo indicate nell'art. 5 della stessa legge e non quindi applicabile alle locazioni per uso
non abitativo.
* Pret. civ. Verona, 16 maggio 1997, n. 350, Spessa c. Soc. Bon Bon, in Arch. loc. e cond. 1997, 662.
USO DELLA COSA COMUNE CONDOMINIALE
SOMMARIO: a) Abuso; b) Accessione: e) Alterazione della destinazione; d) Aree destinate a giochi; e)
Autorizzazione assembleare; f) Concessioni amministrative; g) Controversie; h) Disposizione della quota; i)
Forno: j) Godimento separato; k) Limiti: l) Modificazioni: m) Ostacoli al diretto godimento; n) Pari uso; o) Piscina;
p) Rilascio di nullaosta: q) Targhe e insegne (apposizione); r) Tende (installazione): s) Uso diverso; t) Uso
esclusivo; u) Uso frazionato; v) Uso pi intenso; w) Uso turnario; x) Uso vietato; y) Usucapione; z) Usufruttuario.
a) Abuso
L'amministratore del condominio, che responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza. dal cattivo uso
dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari. non pu essere ritenuto
responsabile, ancorch sia tenuto a far osservare il regolamento condominiale, dei danni cagionati dall'abuso
dei condomini nell'uso della cosa comune, non essendo dotato di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei
singoli condomini - salvo che il regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 att. c.c., preveda la possibilit di
applicazione di sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme da esso stabilite sull'uso delle cose
comuni - n obbligato a promuovere azione giudiziaria contro i detti condomini in mancanza di una espressa
disposizione condominiale o di una delibera assembleare.
* Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1993, n. 8804, Ersoni c. Cond. Abruzzo I di Pineto.
b) Accessione
Ove una fattispecie trovi specifica disciplina nell'art. 1102, che regola l'uso della cosa comune da parte dei
partecipanti alla comunione, preclusa l' applicazione alla stessa, in via analogica, dell'art. 936 c.c. in materia di
accessione. non essendo consentito il ricorso alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (c.c.
analogia legis) in assenza di una qualsivoglia lacuna dell'ordinamento.
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n. 10699, Parrocchia della Cattedrale di Avellino c. Camera commercio di
Avellino.
La disciplina dell'accessione contenuta nell'art. 934 c.c. si riferisce solo alle costruzioni (o piantagioni) su terreno
altrui e non anche alle costruzioni eseguite da uno dei comproprietari sul terreno comune, per le quali debbono
ritenersi, invece, applicabili le norme sul condominio ed, in particolare, la disposizione dell'art. 1120 c.c., che
vieta, tra l'altro, le innovazioni che rendano alcune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento di
altri condomini, a meno che non vi sia il consenso di questi, nella forma scritta richiesta, a pena di nullit, per la
costituzione di diritti reali su beni immobili.
* Cass. civ., sez. II, 18 aprile 1996, n. 3657, Perolio c. Peroglio.
La norma dell'art. 938 c.c., che disciplina la cosiddetta accessione invertita, ha carattere eccezionale - in quanto
derogativa sia del principio dell'accessione ("quod inaedificatur solo cedit"), sia di quello secondo cui il
proprietario ha diritto di disporre della propria cosa in maniera piena ed esclusiva - e come tale non pu trovare
applicazione nell'ipotesi di costruzione eseguita in tutto o in parte su un suolo di propriet comune del costruttore
e di terzi, nella quale si applicano le norme sulla comunione, senza che sia eccepibile una disparit di
trattamento tra comunista e terzo, rientrando nella discrezionalit del legislatore la delimitazione del campo di
operativit dell'accessione invertita. (Fattispecie relativa alla costruzione eseguita su un cortile destinato all'uso
comune degli edifici che lo circondano).
* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1996, n. 9982, Tossi ed altro c. Condominio di Via Var nn. 7/9 in Milano ed
altro, in Arch. loc. e cond. 1997, 438.
c) Alterazione della destinazione
L'art. 1102 cod. civ., nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione, prescrive che in ogni caso non pu
essere alterata la destinazione della cosa comune, sicch solo le modificazioni di questa, in quanto consentano
il pari uso secondo il diritto di ciascuno, rientrano nella previsione legale, mentre vietata ogni diversa attivit
innovatrice. (Nella specie, alla stregua del principio enunciato, stata giudicata corretta la decisione che ha
ritenuta vietata la costruzione di un terrazzo pensile soprastante un cortile comune, con la costruzione, inoltre di

gradini e di un'aiuola sul cortile stesso).


* Cass. civ., sez. II, 26luglio 1983, n. 5132, Bono c. D'Accordo.
La destinazione della cosa comune - che, a norma dell'ari. 1102 c.c., ciascun partecipante alla comunione non
pu alterare - dev'essere determinata attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi appagabili con
l'uso della cosa, giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi, e di fatto, quali le caratteristiche della cosa; e
dev'essere cassata con rinvio la sentenza del merito che esclude essere stata alterata la destinazione di un
pozzo comune dalla costruzione di un impianto di adduzione dell'acqua ad una casa di propriet singola, senza
accertare se ci abbia implicato limitazioni allo sfruttamento da parte degli altri partecipanti.
* Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1976, n. 4397.
d) Aree destinate a giochi
La disciplina dei giochi dei bambini nei viali del cortile-giardino condominiale non integra un'occupazione degli
stessi n un'alterazione della destinazione della cosa comune, con impedimento del pari uso degli altri
condomini, risolvendosi in una forma di utilizzazione diversa da quella normale ma non illegittima, essendo
compatibile con la destinazione del bene. Essa pu, di conseguenza, essere disposta dall'assemblea con
deliberazione adottata con la maggioranza prevista dall'art. 1136 cod. civ., ancorch il regolamento di
condominio di natura contrattuale vieti l'occupazione delle parti comuni da parte dei condomini. Cass. civ., sez.
II, 8 luglio 1981, n. 4479,
L'utilizzazione del cortile comune come spazio destinato al gioco limitatamente ai soli bambini di et inferiore ai
dodici anni, integra un uso aggiuntivo della cosa comune la cui disciplina rimessa alla volont dell'assemblea,
la quale ben pu deliberare sul punto con la maggioranza di cui all'art. 1136.
* Trib. civ. Milano, 28 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 604.
L'utilizzazione per il gioco dei bambini di una parte assai limitata dell'area verde consortile non contrasta con la
destinazione a giardino prevista, per quella stessa area, dal Regolamento consortile, ma ne costituisce
unicamente un migliore e pi intenso godimento per soddisfare esigenze che pure appaiono insopprimibili e,
comunque, senz'altro meritevoli di tutela nella vita di un condominio.
* Trib. civ. Milano, 3 ottobre 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 767.
La norma di un regolamento condominiale che disciplina il criterio di ripartizione delle spese di manutenzione
relative al campo da tennis condominiale non pregiudica il godimento del campo anche a favore dei figli dei
proprietari degli appartamenti non residenti nel condominio, godimento configurabile quale uso indiretto della
cosa comune.
* Trib. civ. Milano, 28 febbraio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 603.
e) Autorizzazione assembleare
La deliberazione dell'assemblea condominiale. con la quale venga autorizzato l'uso di un bene comune in modo
incompatibile con l'utilizzazione ed il godimento di parti dell'edificio di propriet di un singolo condomino,
illegittima indipendentemente dalla circostanza che, per ragioni contingenti e transitorie, il bene di propriet
individuale ed esclusiva non sia attualmente utilizzato secondo la sua naturale destinazione (In base al suddetto
principio la S.C. ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato la illegittimit di una
delibera con la quale era stata decisa l'utilizzazione come parcheggio di un'area condominiale sotto il profilo che
detto uso avrebbe ostacolato l'accesso ad alcuni locali di propriet individuale destinati ad essere utilizzati come
autorimesse, a nulla rilevando che detto uso non fosse attuale per la necessit di realizzare alcuni lavori di
rifinitura e di adattamento dell'immobile).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1989, n. 3858, Cond. Via Ronci e. Soc. Getfa.
Nel condominio di edifici allorquando una deliberazione dell'assemblea condominiale, la quale sancisce un
determinato uso della cosa comune, venga adottata con il voto unanime dei partecipanti al condominio, l'atto
conserva la sua validit anche se abbia, in ipotesi, a limitare il godimento di alcuno dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1987, n. 5709, Cond. Roma MN c. Lasagna.
f) Concessioni amministrative
In tema di condominio negli edifici, qualora uno dei condomini, senza violare i limiti di cui all'art. 1102 c.c., faccia
uso della cosa comune (nella specie mediante la costruzione di un comignolo sul tetto dell'edificio), la mera
mancanza delle concessioni o autorizzazioni amministrative non pu essere invocata dal condominio quale
fonte di risarcimento del danno, riflettendosi esclusivamente nei rapporti tra il privato e la pubblica
amministrazione.
* Cass. civ., 8 agosto 1990, n. 8040.
g) Controversie
Quando tra alcuni comunisti insorga controversia sulle modalit di uso della cosa comune, ancorch riguardanti
una modificazione che, non incidendo sull'estensione dei diritti degli altri partecipanti (art. 1102, comma
secondo, cod. civ.) n eccedendo l'ordinaria amministrazione (ari. 1108 cod. civ.), tende al suo migliore
godimento, nel giudizio instaurato fra i comunisti in disaccordo, non v' litisconsorzio necessario di tutti gli altri
partecipanti alla comunione.
* Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1988, n. 734, Zammataro c. Pitonio.
Il condomino, il quale denunci la violazione dei limiti che debbono osservarsi dai singoli condomini nell'uso della
cosa comune, assumendo che taluno di quelli abbia destinato parte della cosa stessa al servizio della sua
propriet esclusiva e, cos, impedito l'esercizio sulla medesima del concorrente diritto di tutti gli altri condomini,
propone un'azione reale che va ricondotta nel paradigma delle azioni negatorie, il cui valore deve essere
determinato a norma dell'art. 15 cod. proc. civ. e, in particolare, in base al criterio sussidiario previsto dall'ultimo
comma essendo venuto meno - a seguito della abolizione delle imposte reali e la loro sostituzione con l'imposta
sul reddito delle persone fisiche (art. 82 del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597) - il criterio del riferimento al tributo
diretto verso lo Stato.

* Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3964. Cond. Napoli c. Comotti.
Lo stabilire se un determinato uso della cosa comune da parte del singolo condomino (nella specie: posa di
tubazioni) rientri o meno tra quelli consentiti compito del giudice del merito la cui valutazione incensurabile in
sede di legittimit, se adeguatamente motivata.
* Cass. civ., sez. II, 13 marzo 1982, n. 1624, Di Russo c. Melloni.
Nella controversia concernente l'inosservanza delle norme condominiali riguardanti la condotta dei condomini
nell'uso o godimento delle cose comuni, sono legittimati passivi, in assenza di dolo o colpa da parte
dell'amministratore, solo coloro che in effetti abbiano compiuto le trasgressioni e cio i singoli condomini, tenuti
ad osservare le regole di condotta dettate dal regolamento.
* Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1974, n. 397.
L'indagine sulla illiceit o meno dell'uso della cosa comune, da parte del condomino di edificio, va condotta alla
stregua degli obiettivi criteri legali della sussistenza o meno di un pregiudizio alla cosa medesima, ovvero di una
lesione del diritto di godimento spettante agli altri partecipanti, mentre rimane irrilevante, a tal fine, ogni
valutazione sulla concreta idoneit di quell'uso ad arrecare utilit al suo autore, salva la configurabilit di atti
d'emulazione, ai sensi ed agli effetti di cui all'art. 833 c.c. Nel contrasto fra le parti, il giudice chiamato a
dichiarare la volont concreta della legge nel fatto dedotto ed accertato, non anche ad indicare astrattamente
quali fatti sarebbero conformi o meno a diritto. Pertanto, nella controversia diretta a stabilire la liceit od illiceit
di una determinata opera, eseguita da un condomino su parte comune di edificio (nella specie, vetrina apposta
su muro perimetrale), non pu ritenersi consentito di richiedere al giudice di indagare o pronunciarsi su quali
eventuali modifiche di quell'opera potrebbero assicurarne la liceit.
* Cass. civ., sez. II, 30 maggio 1978, n. 2749.
h) Disposizione della quota
A norma dell'art. 1103 cod. civ., la vendita di quota di bene indiviso ammissibile e valida, senza che gli altri
comproprietari abbiano diritto di opporsi, e, pertanto, se in un contratto di vendita indicato che il bene
appartiene a pi persone e solo alcune di esse lo sottoscrivono, non pu negarsi a priori la validit della vendita
delle singole quote, a meno che non ricorra l'inscindibilit della prestazione, da dedursi e verificarsi nel giudizio
di merito.
* Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 1982. n. 5647, Ferrari c. Oneta.
Qualora il compartecipe alieni la sua quota della propriet indivisa, l'acquirente subentra nella comunione al
posto dell'alienante, ma se l'alienazione riguarda non la quota ma la parte determinata corrispondente alla quota
e vi sia l'assenso di tutti gli altri compartecipi, si ha una vera e propria divisione o atto equiparato alla divisione,
perch si realizza il risultato tipico della divisione. Pertanto, se chi chiede la divisione non contesta l'avvenuto
scioglimento nei modi predetti, l'oggetto della pretesa si riduce ad un mero accertamento, ma se lo contesta e
non risultano provati nelle forme idonee la divisione o i suoi surrogati, va disposta la divisione, ma il fatto storico
rimane, con la conseguenza che ognuno deve imputare alla sua quota ci che ha ricevuto, con le rivalutazioni
del caso e con le responsabilit conseguenti, giacch la stima per la divisione coeva alla sua attuazione.
* Cass. civ., sez. II, 8 febbraio 1982, n. 753, Mazzafoglia c. Mazzafoglia.
In tema di comunione, il diritto di ciascun partecipante di cedere ad altri il godimento della cosa, nei limiti della
sua quota (art. 1103 cod. civ.), implica che al partecipante medesimo deve riconoscersi anche la facolt di
costituire, sempre nei limiti della sua quota. un diritto reale di uso a favore di un terzo.
* Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1980, n. 4706, Cattaneo c. Albini.
La rinunzia abdicativa del partecipante ad una comunione, in quanto determina l'accrescimento della quota
rinunciata a favore degli altri partecipanti, ha una funzione satisfattiva-liberatoria; ne consegue che il rinunziante,
con la dismissione del proprio diritto (reale) si libera delle obbligazioni (propter rem) a quel diritto collegate, e
queste vanno a carico dei rimanenti partecipanti.
* Cass. civ., sez. II, 23 agosto 1978, n. 3931.
Il trasferimento della propriet esclusiva di una porzione di piano di un edificio in condominio comporta altres il
trasferimento delle parti oggetto di propriet comune, salvo che il trasferimento di queste ultime non risulti
espressamente escluso dal titolo.
* Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1978, n. 3719.
i) Forno
L'art. 1117 n. 3, c.c., elenca, in via del tutto esemplificativa, le opere, le installazioni e i manufatti di qualunque
genere che servono all'uso comune e che il legislatore ha voluto comuni ai proprietari dei diversi piani o porzioni
di piano di un edificio, facendo salva la diversa volont di detti proprietari o del loro autore; conseguentemente,
un forno sistemato su un pianerottolo comune, in difetto di un titolo che ne attribuisca la propriet esclusiva ad
uno dei proprietari, ben pu ritenersi destinato all'uso e al godimento comune, come accessorio di parti od opere
comuni, da presumersi del pari comune.
* Cass. civ., sez. II, 14 marzo 1977, n. 1030.
j) Godimento separato
L'atto scritto, che necessario per lo scioglimento della comunione e la divisione della propriet immobiliare, ai
sensi dell'art. 1350 n. 11 cod. civ., non occorre invece per la semplice attribuzione, ferma rimanendo la
compropriet, fra gli aventi diritto, di un godimento separato del bene comune che pu essere validamente
attuata anche con convenzione verbale.
* Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 1984, n. 1428, Calabrese c. Calabrese.
k) Limiti
L'art. 1102, primo comma, cod. civ. assoggetta l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino al
duplice limite di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso
secondo il loro diritto; e tale principio vale, ovviamente, anche per le modificazioni che il condomino, ai sensi

della stessa norma, voglia apportare a proprie spese per il miglior godimento della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1987, n. 2722, Catalani c. Cond. V. Malakoff.
L'art. 1102 c.c. intende assicurare al singolo partecipante, per quel che concerne l'esercizio del suo diritto, la
maggior possibilit di godimento della cosa comune, nel senso che, purch non resti alterata la destinazione del
bene comune e non venga impedito agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa, egli deve ritenersi
libero di servirsi della cosa stessa anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilit, senza
che possano costituire vincolo per lui forme pi limitate di godimento attuate in passato dagli altri partecipanti, e
pu scegliere, tra i vari possibili usi quello pi confacente ai suoi personali interessi. (Nella specie si escluso
che esorbiti dal corretto uso della cosa comune la transennatura e l'occupazione periodica di un portico con
legna da parte di un condomino, in assenza di prova del carattere stabile dell'occupazione e di un apprezzabile
pregiudizio per gli altri condomini).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1994, n. 7652, Pezzi c. Bertagnolli.
La norma dell'ari. 1102 c.c., concernente la facolt del condomino di apportare modifiche a sue spese per il
migliore godimento della cosa comune, derogabile per regolamento condominiale avente efficacia contrattuale
in quanto sottoscritto da tutti i condomini, ma tale deroga deve risultare in modo espresso e non pu ritenersi
implicitamente disposta per la previsione nel regolamento dell'assoggettamento a delibera assembleare (a
maggioranza qualificata) delle modificazioni alle cose comuni finalizzate al miglior godimento delle cose stesse,
da parte della pluralit condominiale, dato che queste ultime comportano non solo l'incidenza della spesa su tutti
i condomini, ma altres la modifica in tutto o in parte nella materia o nella forma ovvero nella destinazione di fatto
o di dritto della cosa comune, a differenza delle modificazioni apportabili dal singolo condomino, che non
possono incidere che sul pari uso (anche potenziale) degli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 1992, n. 10895, Valletta c. Condominio di Via Zamenhof 7/9 di Bologna.
L'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante sottoposto dall'art. 1102 c.c. a due limiti
fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli
altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Pertanto, a rendere illecito l'uso basta il mancato
rispetto dell'una o dell'altra delle due condizioni, sicch anche l'alterazione della destinazione della cosa comune
determinato non soltanto dal mutamento della funzione, ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore,
ricade sotto il divieto stabilito dall'art. 1102 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 luglio 1995, n. 7752, Pinelli c. Muccilli.
Le due condizioni d'uso della cosa comune, consistenti, a norma dell'art. 1102 c.c., nella non alterazione della
cosa stessa e nel non impedimento agli altri comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto,
debbono necessariamente coesistere, onde a rendere illecito l'uso sufficiente la sola alterazione della cosa,
determinata non solo dal mutamento della sua funzione ma anche dal suo scadimento a deteriore condizione.
* Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1976, n. 247.
L'uso da parte di ciascun condomino - nonch del locatario che da quest'ultimo ha causa - della cosa comune e
delle parti comuni di una cosa sottoposto, ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., al divieto di alterare la destinazione
della cosa comune, nonch a quello di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro
diritto, con preminenza dell'osservanza del primo divieto potendosi avere salvaguardia degli interessi dei
condomini solo col rispetto della destinazione attualmente impressa alla cosa comune. L'accertare se gli atti e le
opere dei singoli condomini, miranti ad una intensificazione del proprio godimento della cosa comune, siano
conformi o meno alla destinazione della cosa comune, compito del giudice del merito, incensurabile in sede di
legittimit se congruamente motivato. (In applicazione del principio di cui alla massima, stata ritenuta corretta
la decisione del giudice del merito che, sulla base di una norma del regolamento di condominio che prevedeva
una espressa autorizzazione condominiale, ha affermato che l'apposizione di cartelloni pubblicitari sulla facciata
non pu essere considerata esplicazione del normale uso di godimento della cosa).
* Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1984, n. 4195, Soc. Supermoda c. Lucarini.
Il limite al diritto di godimento spettante a ciascun condomino iure proprietatis sulle parti comuni - nella specie
divieto di sosta, anche per il carico e discarico di masserizie, in tutti gli spazi comuni dell'edificio - disposto dal
regolamento condominiale nell'interesse comune e accettato nei singoli atti d'acquisto, ha natura negoziale e
perci pu essere modificato soltanto per iscritto e con il consenso unanime dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1997, n. 854, Pascale ed altri c. Cond. V. Petrarca 175 Napoli.
Il condomino non ha il dovere di limitare l'uso della cosa comune ai soli casi in cui il suo interesse non possa
essere altrimenti soddisfatto con il medesimo costo, perch il solo limite che l'art. 1102 c.c. pone al potere di
utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun condomino quello del divieto di alterarne la destinazione e
di impedire che altri ne faccia parimenti uso secondo il suo diritto.
* Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172, Bolgianni c. Del Pani.
La coesistenza di una comunione d'uso e di separate propriet esclusive in relazione ad un determinato bene,
possibile quando proprietari di esso siano dei privati, in quanto compatibile con il godimento o uso comune del
bene, la propriet esclusiva di sue parti separate, intesa come residua facolt di disposizione di esse, va esclusa
quando invece i proprietari siano due enti pubblici territoriali ed il bene sia un bene demaniale (nella specie, una
strada), poich la demanialit esclude la facolt di disposizione e l'unico modo di esercizio della facolt di
godimento da parte dei suddetti enti pubblici, in relazione alla natura del bene, quello della destinazione al
pubblico transito, coincidente con la sua comunione d'uso.
* Cass. civ., sez. I, 11 maggio 1983, n. 3246, Soc. Lloyd. Adr. c. Com. Cervignano.
L'uso della cosa comune da parte del condomino, oltre ad essere soggetta ai limiti interni posti dalla legge nei
rapporti tra condomini (art. 1102 cod. civ.), incontra anzitutto un limite esterno, in relazione all'ambito stesso
delle parti di propriet condominiale, al di fuori del quale non pu parlarsi di uso o miglior uso della cosa
comune, poich il rispetto della propriet esclusiva dei singoli condomini esige che gli altri non possano

invaderne la sfera, n gravarla di pesi o limitazioni, ove non abbiano al riguardo un particolare diritto. (Nella
specie, enunciando il surriportato principio, il S.C. ha confermato la decisione del giudice del merito di condanna
di un condomino alla rimozione di tubazioni con cui aveva invaso una cantina di propriet esclusiva di altro
condomino).
* Cass. civ., sez. II, 13 marzo 1982, n. 1624, Di Russo c. Melloni.
Poich l'art. 1102 cod. civ. vieta le utilizzazioni della cosa comune che impediscono agli altri condomini di
continuare a farne uso in conformit alla sua destinazione, il condomino di un edificio non pu, eseguendo una
costruzione in appoggio al muro perimetrale comune (nella specie: tettoia), chiudere le aperture del medesimo
destinate a dare luce ad un vano di propriet di altro condomino, sicch tale opera che sia stata eseguita
lecitamente al momento della sua realizzazione, non pu essere frustrata da una siffatta utilizzazione
successiva della cosa comune pretesa dall'altro condomino.
* Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1981, n. 1941, Resegna C. c. Ascione A.
Il divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilit di sfruttamento da parte di tutti i partecipanti
alla comunione secondo l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni del bene
comune delle quali i comproprietari si siano convenzionalmente attribuiti il godimento separato, in quanto anche
in tal caso, non venendo meno la contitolarit dell'intero bene, la facolt di utilizzazione della cosa attribuita a
ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed analoga facolt degli altri, con la conseguenza che
sono consentite solo le opere necessarie al miglior godimento, dovendo per contro ravvisarsi una lesione del
diritto di compropriet degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e
quindi concretamente sottratta alla possibilit dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o
originariamente praticati.
* Cass. civ., sez. II, 4 maggio 1993, n. 5161, Inno c. Inno, in Arch. loc. e cond. 1993, 744.
Nel condominio di edificio, al fine di determinare la portata del godimento spettante a ciascun partecipante sui
beni comuni, occorre fare riferimento al momento in cui l'unico dominio esclusivo si fraziona in pi propriet
individuali. Pertanto, tale godimento non pu estendersi a vantaggio di costruzioni realizzate da un condomino
nell'ambito della sua propriet individuale successivamente alla costituzione del condominio, in ampliamento
oppure a completamento dell'edificio condominiale, anche se in attuazione degli intendimenti dell'originario
costruttore ed unico proprietario.
* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1980, n. 5719, Turturno c. Martino.
Il principio di cui all'art. 1102 cod. civ., sull'uso della cosa comune consentito al partecipante, non applicabile ai
rapporti tra propriet individuali (e loro accessori) e beni condominiali finitimi, che sono disciplinati dalle norme
attinenti alle distanze legali ed alle servit prediali, ossia da quelle che regolano i rapporti tra propriet contigue
od asservite e che non contraddicono alla particolare normativa della comunione.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1980, n. 221, Galeano c. Grasso.
L'esercizio della facolt di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall'ari. 1102 c.c., deve
esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di compropriet sulla cosa medesima e non pu essere
esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse propriet del medesimo condomino perch in tal caso si
verrebbe ad imporre una servit sulla cosa comune per la cui costituzione necessario il consenso di tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1994, n. 11138, Societ Albergo Saturnia Internazionale c. Piamonte.
L'assemblea del condominio di un edificio ha il potere di disciplinare, e, eventualmente, nel concorso di
giustificate ragioni ed interessi comuni, di ridurre l'uso della cosa comune da parte dei singoli partecipanti, ma
non anche quello di sopprimere totalmente l'uso medesimo, ancorch limitatamente a determinati periodi di
tempo. (Nella specie, premesso il principio di cui sopra, la S.C. ha ritenuto correttamente affermata dai giudici
del merito la nullit, e, quindi, l'impugnabilit oltre il termine stabilito dall' art. 1137 terzo comma c.c., della
delibera con la quale era stata decisa l'assoluta chiusura di un cancello di accesso al cortile, in determinate ore
del giorno).
* Cass. civ., sez. II, 9 maggio 1977, n. 1791.
A norma dell' art. 1138 c.c., l'assemblea dei condomini pu, in sede di formazione o di modifica del regolamento
condominiale, regolare, a maggioranza, le modalit di godimento delle cose e dei servizi comuni (istituendo, se
del caso, l'uso turnario degli stessi), ma non anche disciplinare la misura e l'intensit di esso quale risulta dal
titolo di acquisto o dalla legge ed, in particolare dall'art. 1102 c.c., limitando tale godimento ad una soltanto delle
forme di uso di cui la cosa comune sia suscettibile secondo la sua destinazione. Le norme del regolamento
condominiale che introducano tali limitazioni specialmente nel caso in cui queste possono incidere
sull'utilizzabilit e sulla destinazione delle parti dell'edificio di propriet esclusiva, hanno carattere convenzionale,
nel senso che, se predisposte dall'originario proprietario dello stabile, debbono essere accettate dai condomini
nei rispettivi atti di acquisto, ovvero con atti separati e, se, invece, deliberate dall'assemblea condominiale,
debbono essere approvate all'unanimit. Inoltre, i vincoli da esse costituiti, avendo natura di oneri reali, per poter
essere opposti ai terzi acquirenti a titolo particolare, debbono essere trascritti nei pubblici registri, ovvero
accettati nei singoli negozi di acquisto.
* Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1977, n. 621.
L'art. 1102 c.c., non pone una norma inderogabile i cui limiti non possano essere resi pi severi da un
predisposto regolamento condominiale, successivamente recepito nel contratto d'acquisto di beni compresi nel
complesso condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1975, n. 1600.
La sfera dei diritti dei singoli condomini sulla cosa comune pu essere suscettibile di restrizioni purch abbiano
natura contrattuale e siano trascritte per la loro ulteriore validit anche nei confronti dei successivi acquirenti (la
fattispecie esaminata riguarda una veranda appoggiata ed ancorata al muro della facciata dell'edificio).

* Trib. civ. Napoli, 30 novembre 1991, n. 13613, in Arch. loc. e cond. 1992, 129.
L'annessione effettuata da un singolo condomino di una porzione della cosa comune a locale di sua propriet
esclusiva e la correlativa sottrazione ditale porzione al pari diritto degli altri condomini, configurano violazione del
disposto dell'art. 1102 cod. civ., il quale, nel permettere a ciascun condomino di servirsi della cosa comune e di
apportarvi le modifiche necessarie per il migliore godimento, pone come condizione limitativa il divieto di alterare
la destinazione e quello di impedire agli altri partecipanti di fanne parimenti uso, secondo il loro diritto.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 30 marzo 1987, n. 574, Paolucci c. Manco e Condominio di via M. Ruta, in Arch.
loc. e cond. 1987, 323.
In un condominio composto da meno di dieci condomini, sebbene non sussista l'obbligo giuridico di formare un
apposito regolamento che disciplini l'uso della cosa comune, tuttavia il potere della maggioranza dei condomini
di disporre o meno le modalit per il migliori godimento della cosa comune trova il suo limite nel rispetto della
condizione che il diritto di compropriet possa estrinsecarsi liberamente e, in ogni caso, non pu menomare le
facolt attribuite dalla legge all'amministratore.
* Giud. conc. Roma, 20 novembre 1986, Battista c. Condominio di via dei Tecii n. 14, Roma, in Arch. loc. e cond.
1987, 579.
L'assemblea condominiale pu, in sede di approvazione del regolamento, e con le maggioranze previste dall'art.
1136 cod. civ., imporre ai singoli condomini limitazioni all'uso e alla destinazione dei loro appartamenti, quando
tali destinazioni, per loro natura, necessariamente implichino un uso eccessivo o sproporzionato delle cose
comuni ovvero ne alterino la destinazione. Di conseguenza, spetta al condominio dissenziente provare
l'esistenza di un regolamento contrattuale che, accettato dai singoli compratori, abbia fissato una determinata
destinazione dell'edificio.
* Trib. civ. Agrigento, sez. I, 4 luglio 1977, Miceli c. Condominio Sud, in Arch. loc. e cond. 1980, 85.
In caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di
taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso diluiti i condomini,
legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal
che possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione
senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una sua autonomia rispetto
all'edificio), quando risulti quello di una o pi delle porzioni immobiliari in cui l'edificio stesso si articoli.
* Cass. civ., sez. II, 13luglio 1993, n. 7691, Muraro c. Zuccato, in Arch. loc. e cond. 1993, 706.
Le modificazioni della cosa comune o di sue parti (muri perimetrali, cortili ecc.), eseguite dal singolo condomino
ai fini di un suo uso particolare, diretto ad un migliore e pi intenso godimento della cosa medesima,
costituiscono una consentita esplicazione del diritto di compropriet ex art. 1102 cod. civ., ove non implicano
alterazioni della consistenza e della destinazione del bene e non pregiudichino i diritti di uso e di godimento degli
altri condomini. Diversamente, si risolvono in una innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 stesso codice, e nel
caso di costruzione, nel cortile comune, di una autoclave per il servizio di una singola unit abitativa - seppure
consentita con deliberazione della assemblea dei condomini a norma del quinto comma dell'art. 1136 - comporta
sottrazione di una parte del suolo comune alla sua naturale destinazione ed all'uso e godimento degli altri
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1911, Nilo c. Centonze.
Il divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilit di sfruttamento da parte di tutti i partecipanti
alla comunione secondo l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni del bene
comune delle quali i comproprietari si siano concordemente attribuito il godimento separato, in quanto anche in
tal caso, non venendo meno la contitolarit dell'intero bene, la facolt di utilizzazione della cosa attribuita a
ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed analoga facolt degli altri, con la conseguenza che
sono consentite solo le opere necessarie al miglior godimento, e dovendo per contro ravvisarsi una lesione del
diritto di compropriet degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e
quindi concretamente sottratta alla possibilit dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o
originariamente praticati.
* Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 1986, n. 421, Fusco c. Di Resta.
Costituiscono esplicazione del diritto di compropriet ex art. 1102 cod. civ., e in quanto tali non richiedono la
preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, le modificazioni della cosa comune eseguite dal singolo
condomino ai fini di un suo uso particolare diretto al miglior godimento della medesima (e, quindi, anche in
assenza di una necessit in senso assoluto), che non implichino alterazioni della consistenza e della
destinazione della cosa stessa e non pregiudichino i diritti di uso e di godimento degli altri condomini. Sono,
invece, innovazioni le modificazioni che importino alterazioni della consistenza della cosa comune o ne mutino la
destinazione e che, ai sensi dell'art. 1120, primo comma, cod. civ., richiedono, perch possano essere disposte,
la maggioranza assembleare di cui al quinto comma del successivo art. 1136.
* Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1982, n. 6608, Zecca c.Rossi.
L'art. 1102 cod. civ., nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione al fine di salvaguardare l'interesse
comune e quello dei singoli, consente solo di apportare modificazioni alla cosa comune purch non ne sia
alterata la destinazione e non vengano pregiudicati i concorrenti diritti di uso degli altri comproprietari, onde ogni
attivit costituente non modificazione, ma innovazione (nella specie: costruzione eseguita su suolo comune),
vietata dalla norma citata.
* Cass. civ., sez. II, 8 febbraio 1982, n. 734, Maini c. Dav.
E' validamente dato in forma verbale, da un comproprietario all'altro, l'assenso per semplici modificazioni della
cosa comune nel quadro di un accordo sul contemperamento concreto dei rispettivi singoli usi concorrenti della
cosa stessa.
* Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1977, n. 398.

A norma dell'art. 1102 c.c. ciascun condomino pu servirsi della cosa comune apportandovi le modificazioni che
egli ritenga utili per il miglior godimento di essa, fino a sostituirla con altra che offra maggiore funzionalit. Tali
facolt, peraltro, sono legittime solo se si esplicano nei limiti dettati dalla legge, e cio con l'astensione da ogni
alterazione del bene comune e conservando la possibilit dell'uso di esso da parte di ogni altro condomino
nell'ambito del suo diritto. I limiti ora indicati non vengono superati dal solo fatto dell'uso pi intenso da parte di
uno o pi condomini, purch attraverso lo stesso non si giunga al turbamento dell'equilibrio con tutti i diritti di
costoro o a un cambiamento della destinazione del bene comune, non soltanto in vista dell'uso attuale, ma
anche di quello potenziale secondo la natura della cosa e il fine al quale essa venne predisposta, sicch resta
del tutto indifferente - salvo che in relazione alla costituzione di diritti esclusivi a favore di alcuno dei condomini o
di terzi - che da tempo pi o meno lungo uno o pi degli interessati non si siano serviti del bene in questione.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1976, n. 1836.
In caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di
taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini,
legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal
ch possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione
senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una sua autonomia rispetto
all'edificio), quando risulti quello di una o pi delle porzioni immobiliari in cui l'edificio stesso si articoli.
* Cass. civ., sez. II, 13 luglio 1993, n. 7691, Muraro e Zuccato.
m) Ostacoli al diretto godimento
L'ostacolo al diretto godimento della cosa comune da parte di uno dei comproprietari frapposto dagli altri non
richiede di necessit un formale rifiuto in risposta ad una identica richiesta bens pu risultare, oltre che da
espresse manifestazioni di volont, anche da comportamenti al fine equivalenti da apprezzare in relazione alle
condizioni oggettive del bene comune ed ai rapporti personali tra i diversi comproprietari. Tale ostacolo fa
sorgere, a carico di chi lo ponga in essere, l'obbligo di prestazione risarcitoria sostitutiva del godimento non
fruito.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1983, n. 176, Benedetti c. Aspesi.
In applicazione dell'art. 1102 c.c., qualora il partecipante alla comunione, con l'esecuzione di nuove opere, renda
impossibile o menomi l'esercizio del diritto degli altri partecipanti, frapponendovi un qualche ostacolo, che si
traduca in un pregiudizio giuridicamente rilevante ed apprezzabile, ciascuno degli altri condomini pu chiedere la
rimozione dell'opera che altera e sconvolge il rapporto di equilibrio della comunione.
* Cass. civ., sez. II, 14 marzo 1974, n. 716.
n) Pari uso
La parit dell'uso assicurata dall'art. 1102 c.c. ad ogni condomino, intesa a consentire qualsiasi altro miglior
uso e non anche quel particolare, specifico ed identico uso realizzato con la modificazione in atto. Il concorso di
diritti al miglior godimento della cosa comune si risolve non col criterio della priorit (presupposizione), bens con
quello dell'equo contemperamento dei contrapposti interessi.
* Cass. civ., sez. II, 9 settembre 1970, n. 1378.
La nozione di pari uso della cosa comune che ogni compartecipe, utilizzando la medesima, deve consentire agli
altri a norma dell'art. 1102 cod. civ., non da intendere nel senso di uso identico, giacch l'identit nello spazio,
o addirittura nel tempo, potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso
particolare o addirittura un uso a proprio esclusivo vantaggio, soprattutto nel caso di modificazioni apportate alla
cosa. (Nella specie, in cui i giudici del merito avevano ritenuto uso legittimo della cosa comune ai sensi dell'art.
1102 cod. civ. l'appoggio, da parte di un condomino, di una trave del solaio di separazione tra due piani alla
"cassa" delle scale comuni, il S.C. alla stregua del principio che precede, ha considerato corretta la decisione).
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4601, Gravina c. Trillo.
Per pari uso della cosa comune deve intendersi non un uso identico nello spazio o addirittura nel tempo, a
quello attuato dal comproprietario-condomino modificatore, ma quel qualsiasi altro miglior uso che gli altri
condomini possano convenientemente fare in altra parte della cosa comune.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 19 settembre 1988, Deccesari c. Condominio di Via Archimede 16, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1989, 740.
L'unit sistematica tra la disposizione dell'art. 1118 comma 1 c.c., a norma del quale il diritto di ciascun
condomino sulle parti comuni dell'edificio proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli
appartiene, e la disposizione del comma 1 dell'art. 1123 c.c., per il quale le spese necessarie per la
conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse
comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale
al valore della propriet di ciascuno, non impedisce, trattandosi di norme derogabili, che siano
convenzionalmente previste discipline diverse e differenziale tra loro dei diritti di ciascun condomino sulle parti
comuni (che possono essere attribuiti in proporzione diversa - maggiore o minore - rispetto a quella della sua
quota individuale di piano o porzione di piano) e degli oneri di gestione del condominio, che possono farsi
gravare sui singoli condomini indipendentemente dalla rispettiva quota di propriet delle cose comuni o dall'uso.
(Nella specie, stata riconosciuta la validit dell'accordo che attribuiva ai condomini, proprietari di unit abitative
di diverso valore, un uguale diritto dominicale sulle parti comuni prevedendo la formazione di tabelle millesimali
solo ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione e pulizia delle stesse).
* Cass. civ.. sez. II, 8 luglio 1995, n. 7546, Bernardini c. Masieri e altri.
o) Piscina
Il diritto di invitare ospiti nella piscina condominiale costituisce un modo di fruizione del bene comune e come
tale ai sensi degli arti. 1118 e 1123 cod. civ. deve essere proporzionato alla propriet.
* Pret. civ. Roma, 13luglio 1989, Vianelli e altra c. Condominio "Le quattro rose" sito in Ardea, via Latina -

localit nuova Florida, in Arch. loc. e cond. 1989, 757.


p) Rilascio di nulla-osta
Il diritto del condomino di usare le parti comuni dell'edificio, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca
agli altri condomini di farne parimenti uso (arti. 1102 e 1139 c.c.), implica per questi ultimi l'obbligo di
comportarsi in modo da non rendere impossibile, e ingiustificatamente pi gravoso, l'uso del singolo e cos il
dovere di quell'attiva cooperazione necessaria per l'uso del condomino. Pertanto, qualora un terzo estraneo alla
comunione, ma di cui il condomino debba necessariamente avvalersi per la sua posizione di monopolio o
supremazia, contesti il diritto del condomino di fare un certo uso legittimo della cosa comune senza il preventivo
nulla-osta degli altri condomini, costoro non possono rifiutarne il rilascio, semprech il rifiuto non risulti in
concreto giustificato da un ragionevole motivo. (Nella specie l'Acea e la Soc. Romana Gas, richiesti da un
condomino dell'installazione dei servizi di acqua e gas, avevano preteso il preventivo nulla-osta del condominio).
* Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1978, n. 2816.
q) Targhe e insegne (apposizione)
Ciascuno dei condomini pu servirsi dei muri perimetrali dell'edificio condominiale per quelle utilit accessorie
che ineriscono al godimento della sua propriet esclusiva, qual l'utilit del risalto pubblicitario dell'attivit
professionale o commerciale svolta, che si realizza normalmente mediante l'apposizione di insegne, targhe,
cartelli e simili. Consegue che - poich la utilizzazione del muro perimetrale comune mediante tale apposizione
non ne altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio condominiale - l'utilizzazione stessa,
ove non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare eguale uso del muro,
costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune.
* Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1986, n. 6229, Ruggeri c. Grassitelli.
n tema di condominio di edifici, i partecipanti con voto unanime possono sottoporre a limitazioni, nell'ambito
dell'autonomia negoziale, l'esercizio dei poteri e delle facolt che normalmente caratterizzano il contenuto del
diritto di propriet sulle cose comuni, venendosi in materia disponibile, con la conseguenza che con regolamento
contrattuale possono vietare l'apposizione di insegne, targhe e simili sui muri perimetrali comuni, ovvero
subordinarla al consenso dell'amministrazione.
* Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1993, n. 9311, Cond. di Piazza di Spagna, n. 20, di Roma c. Credito Italiano.
Il conduttore, cui consentito trarne dalla cosa locata tutte le utilit inerenti al suo normale godimento, escluse
solamente quelle espressamente vietate dal contratto o confliggenti con il diritto del locatore o di terzi, pu
utilizzare le parti comuni dell'edificio condominiale, ove sito l'immobile locatogli, con eguale contenuto ed
eguali modalit del potere di utilizzazione spettante al proprietario. Consegue che, ove non sia stato escluso dal
contratto, il conduttore pu apporne sul muro perimetrale dell'edificio condominiale targhe od insegne atte a
pubblicitarie la sua attivit commerciale svolta nel locale locatogli.
* Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1986, n. 6229, Ruggeri c. Grassitelli.
L'utilizzazione del muro perimetrale comune da parte del singolo condomino mediante l'apposizione di insegne,
targhe, cartelli e simili non ne altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio condominiale e,
ove non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare uguale uso del muro,
costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune.
* Pret. civ. Trani, 25 luglio 1989, Guastadisegno ed altra c. De Gennaro, in Arch. loc. e cond. 1989, 751.
E' illegittima la collocazione, da parte di un condomino, di insegne luminose, targhe e cartelli pubblicitari sul
portone di ingresso, sul muro e nel corridoio dell'atrio condominiale, in quanto tale utilizzazione, non concessa
dal condominio, comunque in contrasto con la funzione o la destinazione tipica ditali parti comuni.
* Trib. civ. Brescia, 26 aprile 1994, n. 1100, Bonfiglio c. Soc. Ocean Viaggi, in Arch. loc. e cond. 1995, 161.
La norma di un regolamento condominiale che vieti la collocazione di targhe, insegne o tende di qualsiasi
genere senza il permesso scritto dell'assemblea, non applicabile nel caso in cui un condominio collochi, sulla
parte di pianerottolo strettamente al servizio dell'ingresso al proprio alloggio, alcune piastrelle in ceramica di
notevole pregio artistico e non recanti alcuna scritta.
* Pret. civ. Ravenna, 24 marzo 1992, n. 29, in Arch. loc. e cond. 1992, 641.
La controversia relativa alla rimozione di un'insegna apposta sulla facciata dell'edificio condominiale in
violazione del regolamento di condominio, deve essere compresa tra quelle aventi ad oggetto le modalit e 1'
uso dei servizi condominiali. ora di competenza del giudice di pace.
* Giud. pace Bari, 12 febbraio 1996, Condominio Viale Unit d'Italia n. 13/A in Bari c. Magazzini del Faraone, in
Arch. loc. e cond. 1996, 267.
E' suscettibile di valutazione economica l'azione, basata sul divieto contenuto nel regolamento di condominio,
diretta alla rimozione di un'insegna dalla facciata dell'edificio condominiale. Siffatta azione va inquadrata negli
obblighi di fare, che trovano sistemazione nell'ambito dell'art. 14 c.p.e., secondo il quale. se la somma non
stata indicata o il valore non dichiarato, la causa si presume di competenza del giudice adito, senza possibilit di
poterne contestare il valore a mente del comma 2, atteso che la lite non concerne somme di denaro o beni
mobili.
* Giud. pace Bari, 12 febbraio 1996, Condominio Viale Unit d'Italia n. 13/A in Bari c. Magazzini del Faraone, in
Arch. loc. e cond. 1996, 267.
r) Tende (installazione)
Nel caso di installazione di una tenda e delle relative intelaiature metalliche su di uno spazio di propriet
comune, da parte del condominio del piano terreno che lo abbia in uso esclusivo e destinato a ristorante, per la
sussistenza della violazione dell'art. 1102 c.c., con riguardo al mutamento della struttura e della funzione del
detto bene comune ed in particolare al diritto di veduta in "a piombo" dei condomini dei piani superiori, deve
accertarsi sia l'utilitas (specifica o socialmente rilevante) derivante da quel diritto che in concreto la sua
menomazione, tenendo conto in ispecie del distacco (in altezza) della tenda dalle vedute dei piani superiori,

delle caratteristiche dei luoghi e dell'uso normale, nonch, in relazione alla specifica destinazione dello spazio
comune, delle consuetudini e del normale comportamento degli esercenti di attivit consimili.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1991, n. 11392, Spa Porto Salvo c. Garbagnati ed altri.
s) Uso diverso
L'utilizzazione della cosa comune ad opera del condomino pu avvenire tanto secondo la destinazione usuale
della cosa stessa, quanto in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri partecipanti alla
comunione, sempre per nell'ambito della destinazione normale della cosa senza alterazione del rapporto di
equilibrio tra le utilizzazioni concorrenti attuali e anche potenziali diluiti i comproprietari, ma non quando quel
godimento peculiare e inconsueto del singolo compartecipante determini pregiudizievoli invadenze nell'ambito
dei coesistenti diritti degli altri comproprietari. (Nella specie, si ritenuto che il comproprietario di una striscia di
terreno non abbia il diritto di occupare lo spazio aereo sovrastante la striscia stessa con una costruzione sullo
stesso aggettante, in quanto in tal caso la occupazione si risolve in una utilizzazione particolare realizzata
mediante la stabile incorporazione al contiguo bene del singolo comproprietario di una porzione dello spazio
aereo sovrastante il bene comune).
* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1984, n. 6192, inzerilli c. Mustica.
La cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., pu essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e
diverso dal suo normale uso se ci non alteri l'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli
altri e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari pertanto,
legittima la costruzione di sporti sul cortile, (sulla strada o sul passaggio comune) se sia realizzata in modo da
non pregiudicane n la normale funzione del cortile, che di regola, quella di fornire aria e luce agli immobili
circostanti (e, per la strada, quella di permettere il transito dei condomini) n le possibilit di utilizzazione
particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini. (Nella specie, trattavasi del telaio e dei battenti degli
infissi, in posizione di completa apertura o di completa chiusura, realizzati, al pianterreno, nel muro prospiciente
il passaggio comune senza ridurne la larghezza utilizzabile, dato che nel tratto precedente il passaggio era
ristretto da un 'antica sporgenza).
* Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172, Bolgianni c. Del Pani.
L'utilizzazione della cosa comune da parte del condominio pu aver luogo anche in modo particolare e diverso
da quello praticato dagli altri compartecipanti, sempre che l'utilizzazione particolare rientri tra le destinazioni
normali della cosa e non alteri l'utilizzazione praticata dagli altri, ossia il rapporto di equilibrio fra le utilizzazioni
concorrenti - attualmente ed anche potenzialmente - di tutti i comproprietari. Tale alterazione sussiste qualora il
godimento particolare ed inconsueto del singolo condomino determini pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei
coesistenti diritti altrui, quali asservimenti, immissioni e molestie.
* Cass. civ., sez. II, 10 novembre 1981, n. 5954. Pirolozzi c. Pinolozzi.
L'utilizzazione della cosa comune ad opera del condomino pu aver luogo non soltanto secondo la destinazione
usuale, ma anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri partecipanti, sempre che
l'utilizzazione particolare non impedisca l'utilizzazione degli altri e non alteri il rapporto di equilibrio tra le facolt
di utilizzazione, attualmente o potenzialmente concorrenti, dei comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 24aprile 1981, n. 2451, Ferrara c. Carosello.
Una volta che sia stato convenuto l'uso frazionato e precario di una cosa comune, l'utilizzazione della cosa
anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri compartecipanti non viola la norma di cui
all'art. 1102 cod. civ., sempre che tale utilizzazione rientri fra le destinazioni normali della cosa comune e non
alteri o ostacoli l'utilizzazione praticata dagli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1979, n. 6338. Borra c. Galli.
Nel condominio di edificio, al fine di determinare la portata e l'estensione del godimento spettante a ciascun
partecipante sui beni comuni, nonch di accertare l'eventuale esistenza, in favore del singolo condomino, di
particolari diritti di utilizzazione, contrastanti con la destinazione normale dei beni medesimi, occorre tener
presente la situazione al momento della nascita del condominio, in relazione alle disposizioni del suo atto
costitutivo e del regolamento, rimanendo irrilevante l'eventuale diversit della situazione medesima in epoca
anteriore.
* Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1976. n. 1348.
t) Uso esclusivo
Il regolamento condominiale contrattuale - il quale viene ad esistenza nel momento in cui, contestualmente al
primo atto di vendita di una frazione esclusiva dell'edificio. comportante la nascita del condominio, l'acquirente
ne accetta le varie clausole - pu contenere, oltre all'indicazione delle parti dell'edificio di propriet comune ed
alle norme relative all'amministrazione e gestione delle cose comuni, la previsione dell'uso esclusivo di una parte
dell'edificio definita comune a favore di una frazione di propriet esclusiva. In tal caso il rapporto ha natura
pertinenziale, essendo stato posto in essere dall'originario unico proprietario dell'edificio, legittimato
all'instaurazione ed al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli arti. 817 e 818, secondo
comma, c.c., con l'ulteriore conseguenza che, attenendo siffatto rapporto alla consistenza della frazione di
propriet esclusiva, il richiamo puro e semplice del regolamento condominiale in un successivo atto di vendita (o
promessa di vendita) da parte del titolare della frazione di propriet esclusiva, a cui favore sia previsto l'uso
esclusivo di quella parte comune, pu essere considerato sufficiente ai fini dell'indicazione della consistenza
della frazione stessa venduta o promessa in vendita.
* Cass. civ., sez. II, 4 giugno 1992. n. 6892.
A norma dell' art. 1102 cod. civ. l'utilizzazione della cosa comune da parte di uno dei partecipanti alla
comunione, anche se pi intensa o diversa da quella degli altri, non vale di per s sola a mutare il titolo del
possesso, e, quindi, ad attrarre la cosa comune o parte di essa nella sfera della disponibilit esclusiva del
singolo comunista, il quale, ove intenda espandere il suo possesso in via esclusiva sul bene, pur non dovendo

necessariamente compiere gli atti di "interversio possessionis", previsti dagli art. 1141 e 1164 cod. civ.,
rispettivamente per il mutamento della detenzione in possesso, e del possesso di un diritto reale su cosa altrui,
in possesso corrispondente all'esercizio della propriet, deve tuttavia concretarsi in atti integranti un
comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini sulla cosa, incompatibile
con il permanere del compossesso altrui.
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1985, n. 319, Alberio c. Incorvaia.
Il condomino che, col consenso degli altri comproprietari, usa in modo esclusivo una cosa comune, non estende
il suo dominio su di essa neppure sotto il profilo di maggiori poteri, in quanto sarebbe all'uopo necessario il
compimento ad opera del medesimo, di atti idonei a mutare il titolo del possesso.
* Cass. civ., sez. III, 22 giugno 1978, n. 3091.
L'originario proprietario diluito l'edificio divenuto poi condominiale ovvero tutti i condomini possono conferire ad
un singolo condomino sulla cosa comune un particolare diritto, il quale alteri la destinazione funzionale della
cosa comune; e questo particolare diritto secondo la volont delle parti interessate pu avere contenuto
meramente obbligatorio con effetti limitati alle parti contraenti, ovvero il contenuto reale di una servit.
* Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1975, n. 899.
Il diritto di compropriet dei condomini sulle parti comuni di un edificio deve ritenersi leso ogni qualvolta uno dei
condomini abbia attratto la cosa comune in tutto od in parte nella propria disponibilit esclusiva, sottraendola alla
possibilit di sfruttamento collettivo. (Nella specie, il proprietario di alcuni scantinati confinanti con il terrapieno
sottostante all'androne dell'edificio in condominio, aveva messo in comunicazione detti scantinati aprendo i muri
delimitanti il terrapieno, procedendo allo sbancamento di questo e provvedendo alla costruzione di una soletta in
cemento armato di sostegno del soprastante androne).
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1973, n. 2759.
u) Uso frazionato
Allorquando sia possibile l'uso frazionato della cosa comune in considerazione della sua natura e destinazione, i
partecipanti alla comunione (ovvero il giudice in caso di controversia sulle modalit d'uso) possono accordarsi
circa l'utilizzazione di parte di questa da uno dei comproprietari purch. a norma dell'art. 1102 cod. civ., tale
utilizzazione rientri tra quelle cui destinata la cosa comune e non alteri od ostacoli il godimento degli altri
comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1985, n. 434, Michelon c. Stocchero.
v) Uso pi intenso
Al singolo condomino consentita l'esecuzione di un'opera implicante un maggiore suo godimento della cosa
comune soltanto se la realizzazione di essa non impedisca agli altri condomini il compimento di opere, gi
previste o ragionevolmente prevedibili in base alla destinazione attuale della cosa comune ed alle prospettive
offerte dalla sua natura, le quali permettano ai medesimi lo stesso od altro miglior uso di tale cosa, a vantaggio
delle loro propriet esclusive. (Nella specie, il S.C., enunciando il surriportato principio, ha cassato la decisione
di merito che aveva riconosciuto legittima la costruzione, da parte di un condomino, di un pensile sovrastante il
cortile comune, senza accertare se questo manufatto costituisse o non impedimento alla costruzione di ulteriori
pensili ed alla esecuzione di opere simili o anche diverse [balconi, finestre, ecc.] che, secondo una ragionevole
previsione, gli altri condomini potessero realizzare in futuro al servizio delle unit immobiliari di loro propriet
esclusiva).
* Cass. civ., sez. Il, 5 aprile 1982, n. 2087, Deidda c. Lama.
La nozione di pari uso della cosa comune che ogni compartecipe nell'utilizzare la cosa medesima deve
consentire agli altri, a norma dell'art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico perch l'identit .nello
spazio o addirittura nel tempo potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso
particolare o a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che per stabilire se l'uso pi intenso da parte di un
condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio fra i partecipanti al condominio - e perci da ritenersi non
consentito a norma dell'art. 1102 - non deve aversi riguardo all'uso fatto in concreto di detta cosa da altri
condomini in un determinato momento, ma di quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.
* Cass. civ., sez. II, 23 manzo 1995, n. 3368, Pipan c. Cond. via C. D'Appello.
Il giudice del merito, per accertare se l'uso pi intenso della cosa comune da parte di un condomino venga ad
alienare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti al condominio e debba perci ritenersi non consentito ex art.
1102 c.c., non deve tener presente l'uso fatto in concreto di detta cosa dagli altri condomini in un determinato
momento, ma quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. (Nella specie in base al principio surriportato,
stata ritenuta corretta la decisione di merito, la quale aveva affermato che la collocazione da parte di un
condomino sul muro perimetrale comune di tre bacheche, fornite di impianto di illuminazione, per l'esposizione di
quadri in vendita, era illegittima, perch tale da impedire agli altri condomini ogni eventuale uso che in avvenire
essi avrebbero voluto fare di detto muro, per collocarvi targhe professionali o commerciali).
* Cass. civ., sez. II, 11 dicembre 1992, n. 13107, Franco c. Del Buono.
L'esecuzione, da parte del comproprietario, di una modificazione alla cosa comune, al fine di farne un uso pi
intenso (nella specie, l'apertura di un nuovo accesso su cortile fra fabbricati) non illegittima per il solo fatto che
determini un'alterazione dell'equilibrio fino allora esistito fra gli usi esercitati dai comunisti; tale illegittimit
sussiste solo ove si accerti che l'incremento dell'uso del singolo partecipante pregiudichi la possibilit degli altri
di continuare nell'esercizio del loro uso, e di ampliare eventualmente il medesimo in modo e misura analoghe.
* Cass. civ., sez. II, 11luglio 1975, n. 2746.
L'art. 1102 c.c. consente al condomino di usare della cosa comune per un suo fine particolare, ove egli, in tal
modo, ritragga dal bene una specifica utilit aggiuntiva, rispetto alle utilit generali ridondanti a vantaggio dei
condomini tutti, ma gli vieta in modo assoluto di alterare la destinazione della cosa stessa, snaturandola,
impedendone o compromettendone la funzione che le propria.

* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1976, n. 579.


w) Uso turnario
L'assemblea condominiale pu legittimamente regolamentare l'uso dei beni comuni limitando il godimento dei
condomini, nell'interesse comune, senza incorrere in causa di nullit assoluta, salvo escludere il godimento
diretto dei condomini o di alcuno di essi; sicch, in caso d'incapienza dei beni, il godimento turnario offre l'unico
strumento idoneo a consentire il godimento diretto di tutti i condomini, e nessuna norma inderogabile impone di
ragguagliare la durata dei periodi di godimento all'entit delle quote di compropriet dei turnisti.
* Trib. civ. Genova, sez. III, 10 ottobre 1992, n. 2927, Barabino c. Cond. di viale Pio VII n. 38-40 di Genova, in
Arch. loc. e cond. 1993, 113.
x) Uso vietato
L'accordo di tutti i condomini che, anche imponendo divieti (nella specie proibizione di occupare
temporaneamente le parti comuni dell'edificio), tenda ad assicurare ai condomini stessi un migliore e pi
funzionale godimento delle cose e dei servizi comuni attenendo alla disciplina delle modalit di uso di questi,
sempre modificabile con una deliberazione assembleare, senza necessit di un successivo consenso diluiti i
condomini che l'hanno in precedenza stipulata.
* Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1977, n. 1898.
La deliberazione con la quale l'assemblea di un condominio di edificio, alla stregua del regolamento
condominiale, accerti eccesso od abnormit nell'uso dei beni comuni da parte di un singolo condomino (nella
specie, per deposito di materiali nel cortile e nell'androne), ed applichi, nei confronti di quest'ultimo, la sanzione
pecuniaria prevista, non comporta una lesione dei diritti del condomino medesimo sulle cose e servizi comuni,
ma attiene esclusivamente alla disciplina dell'uso di quelle cose e servizi: detta delibera, pertanto, non affetta
da nullit, deducibile in ogni momento con azione di accertamento, ma solo impugnabile ai sensi e nei termini
perentori di cui all'art. 1137 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1976, n. 132.
Deve ritenersi vietata dall'art. 1102 cod. civ. la divisione orizzontale di un appartamento, che comporti la totale
utilizzazione del preesistente margine di sicurezza statica dell'edificio condominiale pur non pregiudicando la
funzione portante dei muri comuni e cos la stabilit dell'edificio, in quanto le opere eseguite dal singolo
condomino, finiscono col precludere sostanzialmente agli altri condomini sia l'utilizzazione dei muri comuni
secondo il loro diritto, che la facolt di sopraelevazione consentita dall'art. 1127 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 23 aprile 1980, n. 2673, Montalbano c. Montesanti.
Il provvedimento del giudice che interdisce l'uso non consentito della cosa comune, reso possibile dalle
modifiche avvenute nella propriet esclusiva di uno dei comproprietari, non pu limitarsi a vietare l'uso non
consentito, ma deve contenere disposizioni che rendano materialmente impossibile il perpetuarsi dell'uso
illegittimo.
* Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1980, n. 4841, Sorrentino c. Nappi.
Rientra nei poteri dell'assemblea del condominio regolare l'uso delle cose comuni, ma non escludere uno o pi
condomini dall'uso delle cose comuni, se ad esso abbiano diritto in base al titolo o alla legge (nella fattispecie
l'assemblea, decidendo di escludere i proprietari soltanto di boxes e non anche di appartamenti nel condominio,
dall'uso degli ascensori anche ai soli fini del raggiungimento dei boxes, aveva deliberato in materia sicuramente
esulante dal campo delle sue attribuzioni, e, stando alla prospettazione aveva sacrificato il diritto degli stessi
sulle cose comuni).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 21 giugno 1991, medita.
E' invalida la delibera assembleare che faccia divieto di accedere alla terrazza comune - destinata
esclusivamente per copertura - per stendere i panni e battere i tappeti in quanto tale diritto si fonda sul principio
di cui all'art. 1102 c.c., in virt del quale ognuno pu servirsi della cosa comune purch non ne alteri la
destinazione.
* Trib. civ. Milano, 14 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 799.
y) Usucapione
Il partecipante alla comunione pu usucapire l'altrui quota indivisa del bene comune senza necessit di
interversio possessionis, ma attraverso l'estensione del possesso medesimo in termini di esclusivit. A tal fine si
richiede, tuttavia, che tale mutamento del titolo (art. 1102, secondo comma, c.c.) si concreti in atti integranti un
comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibili
con il permanere del compossesso altrui sulla stessa e non soltanto in atti di gestione della cosa comune
consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri (art. 1141 c.c.) o ancora atti
che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazioni di spese per il miglior godimento della cosa
comune, non possono dar luogo a un'estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro
compossessore.
* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1990, n. 10294.
La disposizione dell'art. 1102, comma 2 c.c., secondo la quale il partecipante alla comunione non pu estendere
il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso
impedisce al compossessore che abbia utilizzato la cosa comune oltre i limiti della propria quota non solo
l'usucapione ma anche la tutela possessorie del potere di fatto esercitato fino a quando questo non si riveli
incompatibile con l'altrui possesso.
* Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1995, n. 12231, Polito c. Condominio via E. Nicolardi n. 56.
Il condomino, per usucapire la cosa di propriet comune, non deve dimostrare l'interversione del possesso, ma
deve fornire la prova di avere sottratto la cosa all'uso comune per il periodo utile all'usucapione e, cio, di una
condotta univocamente diretta a rivelare che nel condominio si verificato un mutamento di fatto nel titolo del
possesso, e non la prova del mero non uso della cosa da parte degli altri condomini.

* Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1984, n. 2622, Spinelli c. Riccio.


Il godimento del bene comune pu essere invocato dal comproprietario al fine dell'usucapione della propriet
dello stesso solo quando si traduca in un suo possesso di tipo esclusivo, con riguardo sia al corpus sia
all'animus, incompatibile con la possibilit degli altri condomini di uso del bene medesimo.
*Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1983, n. 4908. Coppola c. Codella.
L'uso della cosa comune da parte del singolo condomino non pu estendersi alla occupazione permanente di
una parte del bene comune, tale che, nel concorso degli altri requisiti di legge, possa portare alla usucapione
della parte occupata.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 663, Di Scala c. Trani. Conf., Cass. civ., 14 dicembre 1994, n. 10699.
Il partecipante alla comunione di un bene non pu estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri
partecipanti se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso; ai fini dell'usucapione della cosa
comune sufficiente che il condomino, per tutto il tempo necessario ad usucapire, possieda l'intera cosa in
modo esclusivo ed inconciliabile con il godimento comune della cosa stessa.
* Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1974, n. 1923.
Il condomino pu usucapire la cosa di propriet comune e senza necessit di una interversione del possesso ai
sensi dell'ari. 1164 c.c. soltanto attraverso una estensione del possesso medesimo, in termini per di esclusivit.
A questo fine, tuttavia, non sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso della cosa, ma occorre
che quel condomino abbia goduto in modo oggettivamente incompatibile con la possibilit di godimento altrui,
che risulti in radice eliminata, non bastando a surrogare siffatta connotazione di esclusivit ed incompatibilit
(con il compossesso degli altri soggetti) la mera utilizzazione del bene in maniera pi intensa, ed ancor meno la
sola prova del mero non uso della cosa da parte degli altri condomini.
* Corte app. civ. Milano, sez. III, 12 novembre 1993, n. 2261, inedita.
z) Usufruttuario
Poich l' usufruttuario ha il godimento dei beni e dei servizi condominiali, egli risponde di fronte al condominio
delle quote di manutenzione e gestione ordinaria.
* Trib. civ. Milano, 15 gennaio 1992, in L'Ammin. 1993, 1,16.
USO PROMISCUO DELL' IMMOBILE LOCATO
Deve essere dichiarata inammissibile la domanda con cui il locatore chiede al giudice di determinare il canone
equo relativo ad un immobile che, locato originariamente per uso esclusivo di abitazione, sia stato, nel corso del
rapporto, destinato dal conduttore ad uso promiscuo (abitazione e attivit commerciale o artigianale ecc.), anche
se il locatore, per la decorrenza dei termini previsti dall'art. 80 L. n. 39*2/78, non possa pi ottenere la
risoluzione del contratto. Ci in quanto la normativa in vigore non prevede un intervento del giudice in tale
materia (ma solo in tema di locazione di immobile destinato ad uso di abitazione e come tale, di fatto,
impiegato). Dovr, pertanto, essere escluso, nel caso di unilaterale mutamento della destinazione dell'immobile
locato, l'obbligo del conduttore di pagare un canone maggiore di quello originariamente convenuto o stabilito per
legge, non potendosi cumulare, a tal fine, canoni parziali corrispondenti ai due o pi usi contestuali, e dovendosi
applicare, comunque, il principio dell'uso prevalente, che assorbe in s quello secondario.
* Pret. civ. Taranto, 30 ottobre 1981, Carrino c. Perrone, in Arch. loc. e cond. 1981, 446.
La necessit del locatore di disporre dell'immobile locato per destinarlo a propria abitazione non pu trovare
deroga o limite ai fini del recesso, per l'uso promiscuo dell'immobile - come abitazione e come studio
professionale - fatto dal conduttore.
* Cass. civ., sez. III, 10 giugno 1982, n. 3535, Brancati c. Montesanto.
La mancata previsione espressa, nella legge 27 luglio 1978 n. 392, dell'ipotesi di locazione d'immobile adibito ad
uso promiscuo, non implica l'inammissibilit del recesso del locatore in relazione alle locazioni di tale tipo,
soccorrendo, ai fini dell'individuazione della disciplina applicabile al caso concreto, il principio dell'uso
prevalente.
* Cass. civ., sez. III, 3 luglio 1982. n. 3985, La Rosa c. Ferrari.
La decadenza dalla proroga legale della locazione, prevista dall' art. 3, n. 1 della L. 23 maggio 1950, n. 253 per il
conduttore che abbia la disponibilit di un'altra abitazione idonea alle proprie esigenze familiari, applicabile
anche all'ipotesi in cui l'immobile sia locato ad uso promiscuo, quando sia accertata la prevalenza dell'uso
abitativo dello stesso.
* Cass. civ., sez. III, 22 novembre 1982, n. 6283, Bellotti c. Tomasi
VERBALE DELL'ASSEMBLEA CONDOMINIALE
Il verbale dell'assemblea del condominio, anche nella parte in cui indica la presenza, di persona o per delega,
dei condomini, offre una prova presuntiva, di modo che spetta al condomino che impugni la deliberazione,
contestando la rispondenza a verit di detta indicazione, di fornire la relativa dimostrazione.
* Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1992, n. 12119, Gallegari c. Condominio Via G. Prato.
La mancata sottoscrizione del verbale da parte della persona che abbia, in un primo tempo, presieduto
l'assemblea condominiale e poi, per un sopravvenuto malore, si sia allontanata, sicch il verbale sia stato
sottoscritto soltanto dal presidente subentrato al primo, concreta una irregolarit formale, che non determina la
nullit della deliberazione, e che pertanto deve essere dedotta nel termine perentorio di cui all'art. 1137 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 1973, n. 2812.
L'omessa trascrizione, nel verbale dell'assemblea condominiale, del rendiconto presentato dall'amministratore
non comporta l'invalidit della deliberazione che ha approvato tale atto, in quanto, nel mentre siffatta trascrizione

non richiesta dalle norme sul condominio di edifici, non sono applicabili a quest'ultimo le diverse disposizioni
che regolano la redazione e l'approvazione dei bilanci delle societ.
* Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1975, n. 3936.
Costituisce prova scritta idonea ad ottenere decreto ingiuntivo (artt. 63 att. c.c. e 633 c.p.c.) per il pagamento
delle spese condominiali, il verbale dell'assemblea che approva il rendiconto, perch la relativa delibera vincola
anche gli assenti ed i dissenzienti finch non dichiarata nulla o annullata dal giudice dell'impugnazione, se non
decaduti (art. 1137 c.c.).
* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 9787, Capozza c. Cond. Piazza Cattedrale in Bitonto.
In tema di assemblea condominiale, la sua seconda convocazione condizionata dall'inutile e negativo
esperimento della prima, sia per completa assenza dei condomini, sia per insufficiente partecipazione degli
stessi in relazione al numero ad al valore delle quote. La verifica di tale condizione va espletata nella seconda
convocazione, sulla base delle informazioni orali rese dall'amministratore, il cui controllo pu essere svolto dagli
stessi condomini, che o sono stati assenti alla prima convocazione, o, essendo stati presenti, sono in grado di
contestare tali informazioni. Pertanto, una volta accertata la regolare convocazione dell'assemblea, l'omessa
redazione del verbale che consacra la mancata riunione dell'assemblea in prima convocazione non impedisce
che si tenga l'assemblea in seconda convocazione, n la rende invalida.
* Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1996, n. 3862, De Sisto c. Condominio di via Bravetta n. 664 in Roma, in Arch. loc.
e cond. 1996, 499.
Una volta accertata la regolare convocazione dell'assemblea condominiale in prima ed in seconda
convocazione, in relazione ai termini che vanno osservati, la mancata redazione del verbale, che consacri la
mancata riunione dell'assemblea in prima convocazione, non impedisce, n invalida l'assemblea indetta in
seconda convocazione.
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1980, n. 590, Rossi c. Cond. Giardina.
La redazione per iscritto del verbale delle riunioni dell'assemblea dei condomini, prevista dall'ultimo comma
dell'art. 1136 cod. civ., non prescritta a pena di nullit, tranne nel caso che la delibera assembleare incida su
diritti immobiliari.
* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1980, n. 4615, Zallone c. Cond. V. Consoni.
Per i verbali delle assemblee di condominio la forma scritta richiesta solo ad probationem, in quanto la
mancanza del processo verbale rende la deliberazione inopponibile al condomino assente, che non abbia
partecipato alla sua elaborazione ed alla sua approvazione, ma non impedisce affatto la conoscenza aliunde e
l'esecuzione della deliberazione anche da parte sua.
* Cass. civ., sez. II, 3 aprile 1970, n. 882.
La redazione per iscritto del verbale delle riunioni dell'assemblea dei condomini assolve ad una funzione
meramente probatoria, eccettuato il caso di deliberazione che contenga atti di disposizione di diritti immobiliari.
Ne consegue che le eventuali irregolarit formali non comportano l'invalidit della delibera, poich il testo scritto
offre esclusivamente una prova presuntiva che non impedisce al condomino dissenziente il quale impugni la
deliberazione contestandone la rispondenza a verit di fornirne la relativa dimostrazione. (Fattispecie in tema di
nomina del presidente e relativa sottoscrizione).
* Trib. Civ. Milano, sez. VIII, 24 luglio1997, n. 8804, Molfa c. Condominio di via Casati n. 4 in Milano, in Arch. loc.
e cond. 1998, 238.
Un verbale di assemblea condominiale ben pu essere utilizzato allo scopo di manifestare una volont
negoziale degli intervenuti o di alcuni di essi, ma, se per il negozio richiesta la forma scritta ad substantiam, in
tanto soddisfatto il requisito formale, in quanto le parti del negozio abbiano proceduto alla sottoscrizione di
detto verbale, poich ove lo scritto sia prescritto ad substantiam, la sottoscrizione essenziale ai fini
dell'operativit ed efficacia della manifestazione della volont negoziale. Conseguentemente, la sottoscrizione
del verbale di assemblea solo da parte del presidente e del segretario non idonea ad integrare il suindicato
requisito di forma, relativamente a negozi di cui siano parti altri soggetti.
* Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1981, n, 4480, Carosi c. Salvati.
La dichiarazione del condomino soccombente di non voler avvalersi dell'impugnazione avverso la sentenza
emessa nei confronti suoi, del condominio e di altri condomini, validamente resa, con effetti preclusivi della
proponibilit del gravame, nel corso di un'assemblea condominiale, senza necessit che il verbale nel quale
essa viene riportata sia sottoscritto dal condomino, giacch la dichiarazione di voler prestare acquiescenza ad
una sentenza, potendo essere resa anche tacitamente, non soggetta al requisito della forma scritta, mentre la
sottoscrizione del verbale assembleare da parte dei condomini necessaria solo quando la delibera abbia il
contenuto di un contratto per il quale sia richiesto ad substantiam il suddetto requisito.
* Cass. civ., sez. II, 24 luglio 1995, n. 8079, Giannetti c. Cond. di Via del Ges.
Il verbale di assemblea condominiale pu essere impiegato per consacrare particolari accordi fra il condominio
ed uno dei condomini, purch il documento sia sottoscritto da tutti i contraenti. In tal modo esso acquista effetto
probante e la funzione propria della scrittura privata, fa fede della manifestazione di volont contrattuale di tutti
gli intervenuti e la sottoscrizione vale a conferire alla convenzione la forma scritta che sia richiesta ad
substantiam ovvero ad probationem. (Nella specie la sentenza di merito confermata dalla S.C. aveva ravvisato
nel verbale dell'assemblea condominiale, sottoscritto da tutti i condomini, una transazione tra un condomino ed il
condominio).
* Cass. civ., sez. II, 19 marzo 1996, n. 2297, Rannisi c. Cond. V. Giuffrida 185 CT.
Poich la delibera condominiale deve risultare in forma documentale (art. 1136, ultimo comma, c.c.),
inammissibile la prova testimoniale volta a dimostrare una volont assembleare difforme da quella che risulta dal
verbale.
* Cass. civ., sez. II, 8 marzo 1997, n. 2101, Cond. De Cesare Napoli c. Peduto.

Nel verbale dell'assemblea devono essere indicati gli elementi indispensabili per il riscontro della validit della
costituzione dell'assemblea e delle sue deliberazioni, pena la nullit delle deliberazioni adottate dall'assemblea.
* Trib. Civ. Napoli, sez. X, 12 maggio 1989, n. 4923, Milano c. Condominio di Vicolo Belvedere, 1, Napoli, in
Arch. loc. e cond. 1989, 716.
L'obbligo di trasmissione al condomino del verbale dell'assemblea e di ogni sua parte integrante (nella specie
trattavasi di una bozza di transazione giudiziaria approvata) strumentale all'esercizio della facolt di
impugnazione.
* Trib. Civ. Roma, sez. II, 19 novembre 1985, n. 15835, Borgia c. Cond. di via Accademia Antiquaria, 23 di
Roma, in Arch. loc. e cond. 1986, 298.
L'invio tardivo a tutti i condomini di copia del verbale delle deliberazioni assunte in assemblea non costituisce
causa di nullit delle delibere suddette.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 22 luglio 1997, n. 2520, Soc. Ambra Nuova c. Condominio di Via Correggio n. 19
in Milano, in Arch. loc. e cond. 1998, 228.
Il verbale di un'assemblea condominiale non pu essere considerato come una denunzia poich questa, per sua
stessa natura, deve essere costituita da una dichiarazione recettizia, che non pu produrre effetti fino a che non
sia portata a conoscenza, effettiva o presunta, del destinatario.
* Trib. civ. Mondov, 21 aprile 1987, n. 99, Condominio Gran Baita in Prato Nevoso di Frabosa Sottana c.
Costruzioni Montane Gran Baita Sas e Alaimo Spa, in Arch. loc. e cond. 1987, 728.
Il verbale di un'assemblea condominiale ha natura di scrittura privata. Ne deriva che l'eventuale falso ideologico
(nella specie: stesura dopo la conclusione dei lavori; difforme indicazione degli argomenti trattati o discussi;
asserita ma non effettuata notificazione a tutti i condomini del consuntivo della gestione) nel predetto verbale
non punibile.
* Cass. pen., sez. V, 14 gennaio 1987 (c.c. 20 novembre 1986, n. 1274), Di Nanna.
Il processo verbale che ex art. 1136, u.c., c.c., deve essere redatto e trascritto nel registro tenuto
dall'amministratore, ha la funzione di documentare la valida costituzione dell'organo, la formazione e il contenuto
della volont condominiale espressa attraverso le assunte delibere, s che non sussiste alcun obbligo ex lege e,
specularmente, alcun diritto dei condomini a veder riprodotti nel verbale ogni loro osservazione, richiesta o
dichiarazione che esuli dai suddetti contenuti.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 18 settembre 1992, n. 1491, Visotto c. Cond. di via della Torre n. 32 di Milano, in
Arch. loc. e cond. 1993, 543.
Il verbale dell'assemblea condominiale da ritenere essenziale solo nel caso in cui vi sia la necessit di
registrare le deliberazioni prese e non quando deliberazioni non risultino adottate.
* Trib. civ. Bologna, sez. I, 8 gennaio 1992, n. 22, Franchini c. Condominio di Via Avesella n. 16 di Bologna, in
Arch. loc. e cond. 1993, 333.
In tema di condominio di edifici il singolo condomino nell'esercizio delle sua facolt non pu alterare la
destinazione del bene comune e non pu impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della stessa cosa.
Lo ha ribadito la Cassazione, con la sentenza n. 3640 del 24 febbraio 2004, riscontrando un abuso nel
comportamento di un condomino che aveva mantenuto ferma per lunghi periodi di tempo la sua autovettura nel
parcheggio condominiale manifestando l'intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva ed ostacolandone
il libero e pacifico godimento ed alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facolt.
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILESENTENZA 24 febbraio 2004 n. 3640
Lobbligo di pagare il compenso allavvocato grava, in linea di principio, sul soggetto che lo ha officiato, sebbene
lopera professionale sia stata richiesta e si sia svolta nellinteresse anche di un terzo.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza 26 aprile 2004 n. 7926, rigettando la pretesa di un
avvocato che chiedeva ad una delle parti il pagamento di un compenso per prestazioni professionali consistenti
nella redazione di un contatto di locazione.
La Suprema Corte inoltre ha sollevato dei dubbi sul fatto che un'opera professionale come quella della
redazione di un contratto di locazione possa essere svolta nel comune interesse del locatore e della conduttrice,
dal momento che gli stessi sono portatori, per definizione, di interessi contrapposti.
Cassazione Sezione terza civile Sentenza 26 aprile 2004 n. 7926
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1544 del 28 gennaio 2004, torna nuovamente su alcuni interessanti
aspetti relativi alla materia condominiale, confermando gli orientamenti espressi dalla precedente giurisprudenza
di legittimit. In particolare la Corte statuisce che: - La contabilit di un condominio deve essere improntata a
semplicit di forme senza il rispetto delle formalit prescritte dal codice per i bilanci societari, assumendo rilievo
solo lesattezza delle poste attive e passive iscritte nel rendiconto. Lomissione o la mancata precisazione del
documento di bilancio dei nomi dei singoli condomini morosi, del tutto ininfluente sulla legittimit della delibera
di approvazione dello stesso, non potendosi individuare una irregolarit neppure formale del bilancio in relazione
alla denunciata omissione.( cfr. Cass. 29 aprile 1981, n. 2625, in Massimario della Giurisprudenza italiana, 1981;
Cass. 7 ottobre 1982, n. 5150, in Archivio delle locazioni, 1982, 644; Cass., 25 maggio 1984, n.3231, in Rivista
giuridica delledilizia, 1984, I, 620; Cass., 30 dicembre 1997, n.13100, in Rivista giuridica delledilizia, 1998, I,
306, nota di DE TILLA; Cass., 13 ottobre 1999, n. 11526, in Vita notarile, 1999, 1377)
- Sussiste
un diritto del singolo condomino ad ottenere dallamministratore copia della documentazione del condominio,
purch ci non intralci lattivit amministrativa e non sia contrario ai principi di buona fede e correttezza. Nel
caso di specie infatti, la Corte ha negato che possa costituire motivo di impugnazione della delibera di
approvazione del bilancio condominiale la mancata messa a disposizione di documenti documentabile nei
confronti di soggetti che, per aver svolto attivit di consulenza allinterno del condominio, avevano in pi
occasioni avuto modo di verificare la suddetta documentazione. (cfr., Cass., 29 novembre 2001, n. 15159, in
Giurisprudenza italiana, 2002, 1361; Cass., 26 agosto 1998, n. 8460, in Giustizia civile, 1999, I, 2456; sul diritto

del singolo condomino di esaminare ed estrarre, a proprie spese, la documentazione contabile del condomino,
al fine di poter valutare loperato dellamministratore, cfr. Trib. Genova, 21 ottobre 1998, in Archivio delle
locazioni, 1998, 881; )
Urbanistica - Piano insediamenti produttivi (P.I.P) - Assegnazioni di lotti - Procedura concorsuale - Criteri
Fattispecie: persona fisica priva del requisito di essere ditta o societ localizzata ed effettivamente operante nel
territorio comunale. E legittimo il mancato riconoscimento di alcuna priorit ad un aspirante assegnatario in
quanto titolare di aree espropriate per la realizzazione del P.I.P, in quanto persona fisica priva del requisito di
essere ditta o societ localizzata ed effettivamente operante nel territorio comunale. Tale previsione del bando
sarebbe legittima perch sorretta dalla ratio di favorire quelle imprese che, per la realizzazione di unopera di
interesse pubblico (quale certamente anche il P.I.P.), sono state costretta a trasferirsi su altra area, ma non
consente il riconoscimento del beneficio a chi abbia semplicemente subito lespropriazione di unarea, ma non vi
svolgeva attivit produttiva. (Conferma T.A.R. Campania, II Sezione, 4.7.2001, n. 3118). CONSIGLIO DI STATO
sez. V, 31 dicembre 2003, sentenza n. 9284
Urbanistica Oneri concessori - Art. 3 L. n. 47/85 - Gli interessi di legge in caso di ulteriore ritardo nel
pagamento - art. 1282 c.c. - Interessi al tasso legale Sussistenza. Sugli aumenti dovuti per il ritardato
pagamento degli oneri concessori spettano al Comune anche gli interessi di legge in caso di ulteriore ritardo nel
pagamento di tali aumenti dopo la scadenza del periodo di tempo previsto per lapplicazione delle sanzioni di cui
allart. 3 L. n. 47/85. Invero, la sanzione amministrativa in questione consiste nel pagamento di una somma di
denaro dovuta per il trascorrere di un certo periodo di tempo di ritardo nel pagamento degli oneri concessori,
decorso il quale il relativo importo della sanzione va evidentemente maggiorato degli interessi al tasso legale ai
sensi dellart. dellart. 1282 c.c. Detta disposizione di carattere generale, in mancanza di una specifica disciplina
di settore, senzaltro applicabile anche alle sanzioni amministrative pecuniarie una volta sorta lobbligazione ex
lege di pagare una certa somma di denaro, altrimenti lulteriore ritardo nel pagamento della sanzione pecuniaria
andrebbe a danneggiare unicamente lAmministrazione. Pres. Frascione - Est. Cerreto - Soc. Marinelli s.p.a.
(avv.ti Police e Scocai) c. Comune di Perugia (avv.to Cartasegna) (Conferma T.A.R. Umbria dell11.9.2002, n.
654) CONSIGLIO DI STATO sez. V, 18 Dicembre 2003, Sentenza n. 8345
Programma pluriennale di attuazione e piano di lottizzazione. La mancata inclusione di unarea nel programma
pluriennale di attuazione non di ostacolo allapprovazione di un piano di lottizzazione. C.d.S., sez. IV, 14
ottobre 1997, n. 1194. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e Mazzarelli) c. COMUNE
DI ROMA (Carnovale) (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre
1990) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775 (vedi: sentenza per esteso)
Programma pluriennale di attuazione - le previsioni contenute negli strumenti urbanistici generali - gli interventi di
edificazione e di urbanizzazione. Il programma pluriennale di attuazione uno strumento di programmazione,
mediante il quale il Comune temporalizza lattuazione delle previsioni contenute negli strumenti urbanistici
generali, delineando le zone nelle quali, nei successivi anni, si dovr obbligatoriamente procedere a costruire
(C.d.S., sez. IV, n. 1741 del 27 marzo 2002; 11 marzo 1999, n. 250); esso assolve, quindi, allesigenza di
graduare nel tempo gli interventi di edificazione e di urbanizzazione in un sistema in cui il piano regolatore ha
per sua stessa natura durata a tempo indeterminato e deve quindi contenere previsioni di lunga scadenza che
restano quiescenti per lungo tempo, rendendole attuali. (C.d.S., sez. IV, 12 luglio 1993, n. 703). - Pres. RICCIO Est. SALTELLI MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e Mazzarelli) c. COMUNE DI ROMA (Carnovale) (Conferma
Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n. 796 del 24 settembre 1990) CONSIGLIO DI STATO
Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775 (vedi: sentenza per esteso)
Programma pluriennale di attuazione - autonomia rispetto alle previsioni contenute nel piano di edilizia
economica e popolare (P.E.E.P.) - armonioso sviluppo urbanistico del territorio comunale - insediamenti edilizi
abusivi oggetto di sanatoria - i principi di legalit, imparzialit e buon andamento. Il programma pluriennale di
attuazione completamente autonomo rispetto alle previsioni contenute nel piano di edilizia economica e
popolare, con la conseguenza che, anche in ragione della diversa efficacia temporale dei due strumenti, la
percentuale ivi assegnata alledilizia pubblica, peraltro rientrante nei limiti massimi ammessi dalla legge, frutto
di una scelta discrezionale, sindacabile solo se manifestamente illogica o arbitraria, tanto pi che i vizi del piano
di edilizia economica e popolare non rifluiscono nel programma pluriennale di attuazione. Atteggiandosi il piano
pluriennale di attuazione a strumento di attuazione delle scelte urbanistiche gi delineate in sede di piano
regolatore generale, ragionevole, secondo un coerente e logico progetto di armonioso sviluppo urbanistico del
territorio comunale, prevedere con priorit la realizzazione delle previsioni di piano regolatore proprio per quelle
zone adiacenti ovvero vicine a quelle in cui erano stati realizzati insediamenti edilizi abusivi oggetto di sanatoria:
in tal modo, infatti, la sanatoria concessa si sposta, com necessario, dal piano meramente burocratico, a quello
effettivo del territorio, consentendo agli interventi originariamente abusivi di inserirsi effettivamente nel territorio
comunale, quale parte integrante del relativo disegno urbanistico. Nel programma pluriennale di attuazione la
sopravvalutazione di vani, superfici, servizi, infrastrutture e tempi di esecuzione, inconciliabile con i principi di
legalit, imparzialit e buon andamento, fissati dallarticolo 95 della Costituzione, che devono presiedere l'azione
amministrativa nella ponderazione degli interessi pubblici e contrasta inoltre con la stessa funzione dello
strumento in esame di disciplinare temporalmente, ed in modo coordinato, gli interventi edilizi attuativi delle
previsioni del piano regolatore generale. - Pres. RICCIO - Est. SALTELLI MOLINARIO (Avv.ti Lavitola e
Mazzarelli) c. COMUNE DI ROMA (Carnovale) (Conferma Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sez. I, n.
796 del 24 settembre 1990) CONSIGLIO DI STATO Sezione IV - 25 novembre 2003, Sentenza n. 7775 (vedi:

sentenza per esteso)


Urbanistica - Inquinamento elettromagnetico - stazioni radio base - Condono (art. 31 l. n. 47/1985 e succ. mod.)
- Servizio pubblico - Impianti tecnologici - Assenza di specifiche prescrizioni - Condizioni. In assenza di
specifiche prescrizioni, deve ritenersi che la realizzazione degli impianti tecnologici come le stazioni radio base
non sia soggetta a prescrizioni urbanistico edilizie preesistenti, dettate con riferimento ad altre tipologie di opere,
elaborate quindi con riferimento a possibilit di diversa utilizzazione del territorio, nellinconsapevolezza del
fenomeno della telefonia mobile e dellinquinamento elettromagnetico in generale. Il titolo concessorio infatti non
pu essere negato se non con riguardo ad una specifica disciplina conformativa che prenda in considerazione le
reti infrastrutturali tecnologiche necessarie per il funzionamento del servizio pubblico. CONSIGLIO DI STATO,
sez. VI, 24 novembre 2003, sentenza n. 7725
Urbanistica - concessione edilizia in sanatoria rifiuto - prescrizioni assolute e inderogabili - P.E.C. (Piano
Esecutivo Convenzionato) - variante necessit. La concessione edilizia in sanatoria non pu essere rilasciata
quando labuso contrasta con le relative prescrizioni assolute e inderogabili (contenute nella Tav. 3 del P.E.C.
Piano Esecutivo Convenzionato), prescrizione che, in quanto espressione della volont della competente
Amministrazione comunale, non possono essere modificate se non a seguito di una variante allo stesso Piano
esecutivo; ne discende altres la piena legittimit del parere negativo della C.I.E. sul quale il diniego si fonda,
mentre appaiono conseguentemente erronei i presupposti di fatto e di diritto sui quali la sentenza di primo grado
si fonda. (Pres. Quaranta - Est. DOttavi - Comune di Ciri (Avv.ti Montanaro e Romanelli) c. PIAVE S.a.s. (Avv.ti
Contaldi e Barosio) (Riforma Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte, 1 Sezione, n.1114/02, del 29
maggio 2002). CONSIGLIO DI STATO sez. V 21 novembre 2003, n. 7616 (vedi: sentenza per esteso)
Edilizia e urbanistica - lo sfruttamento delle residue capacit di costruzione di un edificio di propriet
condominiale - lastrico solare - la facolt di elevare nuovi piani o nuove fabbriche indennit - opposizione o di
liquidazione dellindennit - aspetti civilistici ed amministrativi - lo sfruttamento edilizio dei suoli - la concessione
edilizia - titolare dello jus aedificandi. Lart. 1127 del codice civile disciplina compiutamente lo sfruttamento delle
residue capacit di costruzione delledificio, attribuendo, salvo che dal titolo risulti una diversa disciplina, al
proprietario dell'ultimo piano ed a chi proprietario esclusivo del lastrico solare la facolt di elevare nuovi piani
o nuove fabbriche. E riconoscendo agli altri condomini il diritto a percepire un'indennit pari al valore attuale
dell'area da occuparsi con la nuova fabbrica, diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, e
detratto l'importo della quota a lui spettante. Tale disciplina, di carattere squisitamente civilistico, si proietta su
quella amministrativa contenuta nelle norme che regolano lo sfruttamento edilizio dei suoli (legge 28 gennaio
1977, n. 10), secondo la quale la concessione edilizia data al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per
richiederla (art. 4), nel senso che titolare dello jus aedificandi, nel caso di sopraelevazione o nuova fabbrica in
un edificio di propriet condominiale, sono unicamente i soggetti che hanno il potere giuridico di realizzare le
costruzioni. Cio i soggetti indicati dallart. 1127 del codice civile, il proprietario dell'ultimo piano ed il proprietario
esclusivo del lastrico solare. Ci ovviamente non pregiudica le questioni di diritto civile e quelle pi prettamente
patrimoniali che possono insorgere tra i condomini, le quali vanno risolte in sede di opposizione o di liquidazione
dellindennit. Ma si tratta di questioni che, come esattamente affermato dal primo giudice, esorbitano dal diritto
amministrativo e dallambito dei poteri affidati allautorit amministrativa. Pres. Frascione - Est. Fera - Comune di
Pieve di Emanuele (avv. Antonini e Romanelli) c. Immobiliare Friza srl (avv. Bassani e Scoca) (Conferma TAR
Lombardia, sez. II, n. 293 del 17 marzo 1997). CONSIGLIO DI STATO sez. V 21 novembre 2003, n. 7539 (vedi:
sentenza per esteso)
Urbanistica e edilizia - norme sul nuovo condono edilizio - questione di legittimit costituzionale delle norme
contenute nellart. 32 del D.L. 30 settembre 2003 n. 269, sul condono edilizio, in relazione agli artt. 3, 9, 2
comma, 32, 1 comma, 97, 1 comma, 117, 3 comma, della Costituzione - carattere di eccezionalit e di
chiusura di unepoca - il contrasto insito nella natura per cos dire premiale dellabusivismo con il comportamento
della maggioranza dei cittadini onesti e osservanti la legge - violazione dei principi di eguaglianza, di
ragionevolezza e di buona amministrazione - Enti locali - oneri urbanizzativi e misure di inserimento delle
costruzioni abusive nel contesto dei piani regolatori - convinzione di impunit. Le norme sul condono, ad avviso
della C. Cost., prendono atto di una situazione di illegalit di massa che si intende ricondurre, per esigenze di
carattere economico-sociale e contemporaneamente per esigenze di bilancio che spingono a ricercare
spasmodicamente pronte risorse finanziarie, nellalveo del diritto, con attribuzione ad una fattispecie mediatrice
(lautodenuncia) dellefficacia di estinzione dellilliceit; ma le stesse sentenze della Corte costituzionale (v.
soprattutto le sentenze nn. 369/1988, 169/1994, 416/1995, 427/1995 e 256/1996), sottolineano che tale
esercizio del potere di clemenza deve avere carattere di eccezionalit e di chiusura di unepoca, perch in caso
contrario non si giustificherebbe il contrasto insito nella natura per cos dire premiale dellabusivismo con il
comportamento della maggioranza dei cittadini onesti e osservanti la legge, con conseguente violazione dei
principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di buona amministrazione. Deve tenersi conto, inoltre, che una
rottura del menzionato carattere eccezionale della misura condonistica attenuerebbe le remore della generalit
dei soggetti alla commissione di abusi, per speranza ed anzi per la certezza che in un prossimo futuro tale
misura sarebbe senzaltro riadottata e, per altro verso, ingenererebbe nei pubblici poteri un senso di sfiducia, di
inutilit delle misure repressive e di inammissibile lassismo, a sua volta, per effetto perverso, generatore di
ulteriori illeciti urbanistico-edilizi. In particolare la Corte, con la sentenza n. 416/1995, sia pure ribadendo che la
riapertura dei termini del condono, nei limiti delleccezionalit sopra evidenziata, non sembrava confliggere con i
principi di ragionevolezza e di eguaglianza, non ha legittimato lequazione fra carenza di controllo e nuova

necessit di condono, preannunciando sostanzialmente un eventuale giudizio di incostituzionalit qualora in


futuro fosse stata emanata una nuova legge al riguardo, soprattutto (come di fatto ora avvenuto) nella forma
della mera riapertura dei termini precedentemente scaduti, sia pure in un contesto del tutto insufficiente, anche
per la scarsit delle risorse stanziate di misure di riqualificazione del territorio. N sembra poter giustificare un
siffatta e rinnovata misura la semplice considerazione delle esigenze di natura finanziaria, che ormai ricorrono in
modo del tutto ordinario e permanente, anche se non si tenga conto delle ingenti risorse (che fra laltro
bilanciano le entrate del condono) necessarie agli Enti locali per oneri urbanizzativi e misure di inserimento delle
costruzioni abusive nel contesto dei piani regolatori. In particolare, la Corte ha osservato che sarebbe stato
inevitabile un giudizio negativo nel caso di altra reiterazione della norma sul condono, soprattutto con ulteriore e
persistente spostamento dei termini temporali di riferimento del commesso abuso edilizio, anche perch la
gestione del territorio sarebbe stata certamente compromessa sul piano della ragionevolezza da una ciclica o
ricorrente possibilit di condono sanatoria con conseguente convinzione di impunit. Pres. ed Est. Cicci Garulli (Avv. Foglia) c. Comune di Neviano degli Arduini (n.c.) - (solleva questione di legittimit costituzionale).
TAR EMILIA ROMAGNA, SEZ. DI PARMA - ordinanza 20 novembre 2003 n. 27 (vedi: ordinanza per esteso)
Urbanistica e edilizia - legislazione condonistica - giudizio di incostituzionalit - il condono realizza un sistema
ingiusto e discriminatorio proprio nei confronti dei cittadini rispettosi delle leggi - i principi di eguaglianza,
ragionevolezza, buona amministrazione e di tutela ambientale - D.L. 30/09/2003, n. 269 - art. 117, 3 comma,
Cost. - invasione delle competenze al riguardo del legislatore regionale e degli Enti locali. Il condono realizza un
sistema ingiusto e discriminatorio proprio nei confronti dei cittadini rispettosi delle leggi, che si vedono privare di
quei beni che anchessi avrebbero potuto costruire violando le norme, e che dallaltro sarebbero costretti,
soprattutto in mancanza delle specifiche situazioni di diritto soggettivo, esse sole salvaguardate dalla
legislazione condonistica, a subire il degrado urbanistico prodotto dallillegalit edilizia, riemersa con
ostentazione e legalizzata con rischio che in futuro si producano le condizioni per un ulteriore degrado. La
normativa censurata (Decreto Legge 30/09/2003, n. 269 (in G.U. n. 229 del 2/10/2003 suppl. ord. n. 157/L)
non sembra poi violare soltanto i principi di eguaglianza, ragionevolezza, buona amministrazione e di tutela
ambientale, ma anche le competenze regionali concorrenti in materia di governo del territorio stabilite dallart.
117, 3 comma, della Costituzione (v. al riguardo, la sentenza n. 303/2003 della Corte costituzionale). Infatti,
come stato ben osservato anche dalla dottrina, con il condono lo Stato non detta principi generali (che sono a
lui riservati) ma introduce uneccezione, invadendo una competenza regionale, anche se ai primi commi dellart.
32 il D.L. n. 269/2003 si preoccupa di dichiararle salve. Al riguardo, mentre non ben chiaro il riferimento (che
non sembra pertinente alla materia in esame) alladeguamento delle norme regionali alle disposizioni di cui al
D.P.R. n. 380/2001, che infatti fissa principi e non gi eccezioni a meno che non si consideri la possibilit di
una disciplina ricorrente e anzi permanente del condono che possa assorgere ai caratteri di principio , le
statuizioni condonistiche sono estremamente precise e dettagliate, e fissano in modo esaustivo ogni aspetto
della materia, per cui il riferimento alla competenza regionale per il "rispetto delle condizioni dei limiti e delle
modalit del rilascio del titolo abilitativo sanante" non pu che limitarsi di fatto, nonostante la ridondanza
dellespressione, che ad aspetti di semplice dettaglio del procedimento. Sembra pertanto che il legislatore
statale abbia esorbitato dalla sua competenza che consiste nella semplice emanazione dei principi
fondamentali, che non possono essere di dettaglio o addirittura regolamentari. N pu fondatamente affermarsi
che nella specie si tratta di principi generali dellordinamento giuridico e di riforma fondamentale
economico-sociale: si tratta invece soltanto di introduzione di un sistema moralmente discutibile per reperire
subito e comunque risorse finanziarie. Infine, sembra indubbio che il condono (come nel caso qui in esame) sia
suscettibile di introdurre di deroghe, e quindi limitate varianti, ai piani regolatori, che vengono contraddetti,
sanandosi costruzioni del tutto contrarie alle disposizioni in essi contenuti, con invasione delle competenze al
riguardo del legislatore regionale e degli Enti locali. Pres. ed Est. Cicci - Garulli (Avv. Foglia) c. Comune di
Neviano degli Arduini (n.c.) - (solleva questione di legittimit costituzionale). TAR EMILIA ROMAGNA, SEZ. DI
PARMA - ordinanza 20 novembre 2003 n. 27 (vedi: ordinanza per esteso)
Edilizia ed urbanistica - Decadenza di una concessione od autorizzazione edilizia - Mancato inizio dei lavori
fissato nel titolo abilitativo - Sussiste - Effettivo inizio dei lavori - Assenza di cantierizzazione in atto - Opere edili
di dimensioni limitate e non proseguite - Animus aedificandi - Assenza. E' legittima la pronuncia di decadenza di
una concessione od autorizzazione edilizia per mancato inizio dei lavori nel termine fissato nel titolo abilitativo,
che, sulla base dellaccertamento dello stato dei lavori e della constata assenza di una cantierizzazione in atto,
risulta mancante un serio animus aedificandi, quale movente delle opere realizzate. (In specie, le opere edili
realizzate apparivano molto limitate e, se pur iniziate, non erano state proseguite, come si evinceva dalla
mancanza di cantiere accertata in loco, e che pertanto non apparivano logicamente funzionali ad un intento
costruttivo, ma piuttosto a quello di non incorrere nella decadenza di legge). Pres. Ravalli, Est. Balloriani
Edilvanna s.r.l. (Avv.ti Nardelli e Musa) c. Comune di Fasano (Br) (Avv. Carparelli). In materia si veda anche:
Consiglio di Stato, Sez V, 1 ottobre 2003, n. 5648; Consiglio di Stato, Sez. V sentenza 29 gennaio 2003, n.
453; Consiglio di Stato, Sez. V sentenza 6 giugno 2001, n. 3075; TAR PUGLIA-LECCE, SEZ. I ordinanza 19
novembre 2003 n. 1069
Edilizia ed urbanistica - norme sul nuovo condono edilizio - Abusivismo edilizio - opere edilizie ultimate entro il
31 marzo 2003 - Sospensione automatica di tutti i procedimenti amministrativi e giurisdizionali riguardanti
immobili abusivi - art. 32 del D.L. n. 269/2003 - Ex art. 44 della L. n. 47/1985 - Applicabilit fino alla data del 31
marzo 2004. Lart. 32 -comma 25 -del D.L. 30.9.2003 n. 269 (pubblicato nel supplemento ordinario alla G.U. n.
229 del 2.10.2003) prevede lapplicabilit delle disposizioni di cui ai capi IV e V della Legge 28 febbraio 1985 n.

47 e successive modificazioni e integrazioni relativamente alle opere edilizie ultimate entro il 31 marzo 2003.
Mentre, lart. 44 della Legge 47/85 (compreso nel capo IV della legge medesima) comporta la sospensione (tra
laltro) dei procedimenti amministrativi e giurisdizionali, nonch della loro esecuzione, sino alla scadenza del
termine previsto, a pena di decadenza, per la presentazione della domanda relativa alla definizione dello illecito
edilizio. La sospensione di cui trattasi (opere abusive che risultino ultimate entro il 31 marzo 2003, e che non
abbiano comportato ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione
originaria o, in alternativa, un ampliamento superiore a 750 mc.) ha carattere automatico (ope legis) e come tale
opera indipendentemente dalla presentazione, medio tempore, della istanza di sanatoria nonch, a fortiori, dal
suo accoglimento. Pres. Petruzzelli, Est. Potenza - Ceccarelli (Avv.ti A.Pettini e M. Sani) c. Comune di Bagno a
Ripoli (n.c.) - (sospende il giudizio sino al 31 marzo 2004). TAR TOSCANA, SEZ. II ordinanza 13 novembre
2003 n. 5738
Urbanistica - concessione edilizia in sanatoria - nullit degli atti che hanno comportato il rilascio della
concessione in sanatoria e violazione del giudicato - il procedimento di sanatoria non pu porsi in contrasto con
lavvenuto definitivo richiamato accertamento giurisdizionale dellillegittimit. Una volta accertato che il
complesso delle opere autorizzate con la concessione edilizia in sanatoria riguardi la medesima realizzazione
gi oggetto dellannullamento passato in giudicato e per cui stato esperito il pure menzionato giudizio di
ottemperanza, va osservato che indubbiamente il procedimento di sanatoria non pu porsi in contrasto con
lavvenuto definitivo richiamato accertamento giurisdizionale dellillegittimit (sotto ogni profilo ivi compreso
quello del procedimento in sanatoria) della realizzazione de qua. Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003,
Sentenza n. 7226 (vedi: sentenza per esteso)
Prg - vincoli - destinazione incompatibile con lutilizzazione edilizia - variante - misura di salvaguardia motivazione. Lesistenza di una destinazione - oggetto della variante adottata - incompatibile con lutilizzazione
edilizia richiesta costituisce espressione compiuta delle ragioni, di fatto e di diritto, rilevate a base della misura di
salvaguardia. Si tratta di una misura da deliberare obbligatoriamente, secondo quanto dispongono lart. 10,
quinto comma, della l. 17 agosto 1942, n. 1150, e lart. 4, comma primo, della l. 1 giugno 1971, n. 291, fino alla
data di approvazione dello strumento urbanistico che reca le destinazioni da salvaguardare. Nella specie, perci,
sufficiente la motivazione che d contezza del contrasto o dellincompatibilit in questione. Consiglio di Stato
Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7225 (vedi: sentenza per esteso)
Prg - vincoli - sentenza di annullamento. La sentenza di annullamento, pronunciata in favore dellappellante, del
vincolo sullarea di suo interesse, non pu esplicare effetto preclusivo sullapplicazione di un nuovo vincolo
imposto per effetto di una rivalutazione della differente situazione del territorio comunale, intervenuta dopo
quattordici anni. Consiglio di Stato Sez. V, 12 novembre 2003, Sentenza n. 7225 (vedi: sentenza per esteso)
Prg - applicazione delle misure di salvaguardia - i termini per limpugnazione del piano regolatore generale
adottato. Lapplicazione delle misure di salvaguardia non fatto idoneo a far nuovamente decorrere i termini per
limpugnazione del piano regolatore generale adottato (A. pl. 9 marzo 1983, n. 1). Consiglio di Stato Sez. V, 12
novembre 2003, Sentenza n. 7225 (vedi: sentenza per esteso)
Urbanistica - piano regolatore generale - decadenza dei vincoli preordinati all'espropriazione gravanti su unarea
- obbligo del Comune dintegrare lo strumento urbanistico - illegittima inerzia dell' Amministrazione - ricorso
avverso il silenzio-inadempimento sulla istanza di ridisciplina urbanistica - c.d. zone bianche. Con il venir meno
dei vincoli preordinati all'espropriazione gravanti su unarea, sorge in capo al Comune il preciso obbligo di
completare lo strumento urbanistico, provvedendo a regolamentare l'area stessa e pertanto, allinerzia dell' Ente
che omette di porre in essere le occorrenti integrazioni del detto strumento, il privato interessato pu reagire
avvalendosi dello strumento del silenzio inadempimento (Consiglio di Stato, Sez. IV^, 25 settembre 1995 n. 745,
T.A.R. Sardegna n. 147 del 15 febbraio 2002 e n. 1320 del 4 luglio 1995, T.A.R. Veneto n. 4410 del 24 dicembre
2001) e che i limiti di edificabilit, riconducibili alle c.d. zone bianche, hanno carattere provvisorio, essendo
preciso obbligo dell'Amministrazione di colmare al pi presto ogni lacuna verificatasi nell'ambito della
pianificazione urbanistica, con correlativa possibilit di attivazione, da parte dei soggetti interessati all'
edificazione, degli strumenti previsti per evidenziare l'eventuale illegittima inerzia dell' Amministrazione (T.A.R.
Lazio Roma, II^ sez., n.2470 del 26 novembre 1999). TAR Campania-Napoli, Sez. IV - 6 novembre 2003
Sentenza n. 13372 (vedi: sentenza per esteso)
Condono edilizio - autorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilit ambientale - versamento
delloblazione - non esclude lobbligo di applicare la sanzione pecuniaria amministrativa. Lart. 2, comma 46,
della L. n. 662 del 23 dicembre 1996 in base al quale il versamento delloblazione non esime dallapplicazione
dellindennit risarcitoria di cui allart. 15 della L. n. 1457 del 1939, attesa la peculiarit della sua funzione di
riparare alla lesione di uno specifico interesse pubblico violato, lesione che perdura fintanto che esso non sia
risarcito per equivalente. Infatti oblazione e sanzione pecuniaria hanno finalit diverse, si inseriscono in
procedimenti differenti e colpiscono comportamenti diversi, cos che il pagamento delluna non fa venir meno il
dovere di agire per la riscossione dellaltra. Del resto, questo Consiglio ha espressamente chiarito che
lautorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilit ambientale non preclude la possibilit di
infliggere anche la sola sanzione pecuniaria di cui allart. 15 della legge n. 1497 del 1939, dal momento che
unautorizzazione postuma ai fini ambientali, valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di
sanatoria ai sensi dellart. 13 della legge n. 47 del 1985 semmai indirizza, vincolandolo nellesito, il residuo

potere-dovere dellautorit competente di procedere allapplicazione della sanzione di cui allart. 15 della legge
n. 1497 del 1939. La circostanza, infatti, che lAmministrazione, esercitando un potere nella sostanza conferito
dallo stesso art. 15, abbia verificato la compatibilit ambientale in via postuma, se da un lato esclude la
compromissione sostanziale dellintegrit paesaggistica, dallaltro non cancella la violazione dellobbligo,
discendente dallart. 7, di conseguire in via preventiva il titolo di assenso necessario per la realizzazione
dellintervento modificativo dellassetto territoriale (Sez. VI, n. 912 del 21 febbraio 2001). Con lulteriore
precisazione che la verifica postuma di compatibilit ambientale e la conseguente definizione del procedimento
di cui allart. 13 della legge n. 47 del 1985 non escludono lapplicabilit della sanzione pecuniaria; e che, in
presenza di una valutazione di tal fatta, lAmministrazione ha il potere-dovere di applicare la sanzione
pecuniaria, rimanendo ovviamente preclusa la possibilit di applicare la misura della demolizione e residuando il
solo problema della quantificazione dellimporto alla luce dei criteri cristallizzati dallart. 15 della legge n. 1497
del 1939 (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.). Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenze nn.
7025 - 7027 - 7028 - 7030 - 7031 - 7033 - 7034 - 7035 - 7036 - 7037 - 7038 - 7039 - 7041 - 7042 - 7043 - 7044 7045 - 7046 - 7047 (vedi: sentenza per esteso). Consiglio di Stato, Sezione IV, 3 novembre 2003, n. 7040.
Abuso edilizio in zona sottoposta a vincolo paesaggistico - natura della sanzione amministrativa - applicabilit
anche in caso di parere favorevole alla condonabilit da parte dellAutorit preposta alla tutela del vincolo. La
sanzione prevista dall'art. 15 non costituisce unipotesi di risarcimento del danno ambientale, ma rappresenta
una sanzione amministrativa applicabile sia in caso di illeciti sostanziali (compromissione dellintegrit
paesaggistica) sia nella ipotesi di illeciti formali (mancanza del titolo autorizzatorio) e trova applicazione anche
nella ipotesi in cui sia intervenuto, ai sensi dellart. 32 della L. n. 47 del 1985, parere favorevole alla
condonabilit da parte dellAutorit preposta alla tutela del vincolo. Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3
novembre 2003, sentenze nn. 7025 - 7027 - 7028 - 7030 - 7031 - 7033 - 7034 - 7035 - 7036 - 7037 - 7038 7039 - 7041 - 7042 - 7043 - 7044 - 7045 - 7046 - 7047 (vedi: sentenza per esteso). Consiglio di Stato, Sezione
IV, 3 novembre 2003, n. 7040.
Indennit per abusi edilizi in zone soggette a vincoli paesaggistici - quantificazione dellimporto - parametro di
valutazione - 3% del valore destimo della unit immobiliare. Fermo restando il principio che lindennit
risarcitoria pari alla maggior somma tra il danno paesaggistico arrecato ed il profitto conseguito, nel decreto si
precisato, sul punto, che: l'art. 15 della legge 29 giugno 1939, n. 1497, si applica a qualsiasi intervento
realizzato abusivamente nelle aree sottoposte alle disposizioni della legge medesima e del decreto-legge 27
giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, ad esclusione delle opere
interne e degli interventi indicati dal comma dodicesimo dell'art. 82 del decreto del Presidente della Repubblica
24 luglio 1977, n. 616, come integrato dalla legge 8 agosto 1985, n. 431. L'indennit risarcitoria di cui all'art. 15
della legge 29 giugno 1939, n. 1497, determinata previa apposita perizia di valutazione del danno causato
dall'intervento abusivo in rapporto alle caratteristiche del territorio vincolato ed alla normativa di tutela vigente
sull'area interessata, nonch mediante la stima del profitto conseguito dalla esecuzione delle opere abusive. In
via generale qualificato quale profitto la differenza tra il valore dell'opera realizzata ed i costi sostenuti per la
esecuzione della stessa, alla data di effettuazione delle perizia. Il profitto pari, in via ordinaria al tre per cento
del valore d'estimo dell'unit immobiliare come determinato ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 1993, n. 75,
del decreto legislativo 28 dicembre 1993, n. 568, e della legge 23 dicembre 1996, n. 662.. La disposizione in
esame, quindi, abbandonato ogni riferimento al valore di mercato del bene, assume quale parametro di
valutazione il 3% del valore destimo della unit immobiliare (o il diverso incremento della predetta aliquota
eventualmente determinata dalla Regione). Conforme: Consiglio di Stato, Sez. IV, 3 novembre 2003, sentenze
nn. 7025 - 7027 - 7028 - 7030 - 7031 - 7033 - 7034 - 7035 - 7036 - 7037 - 7038 - 7039 - 7041 - 7042 - 7043 7044 - 7045 - 7046 - 7047 (vedi: sentenza per esteso). Consiglio di Stato, Sezione IV, 3 novembre 2003, n.
7040.
Variante al piano di lottizzazione - ladozione di una variante al piano di lottizzazione ostativa al rilascio della
concessione edilizia - effetti - applicazione delle misure di salvaguardia - temporanea sospensione delle
determinazioni sulla domanda di concessione - diniego della concessione - illegittimit. Ladozione di una
variante al piano di lottizzazione ostativa al rilascio della concessione comporterebbe, non gi il diniego della
concessione, bens lapplicazione delle misure di salvaguardia, ossia la temporanea sospensione delle
determinazioni sulla domanda di concessione (legge 3 novembre 1952 n. 1902, modificata dallarticolo 4 della
legge 21 dicembre 1955 n. 1357). (Nella specie, il giudice di primo grado, ha dichiarato improcedibile il ricorso
semplicemente perch il comune aveva dichiarato di aver approvato una variante al piano di lottizzazione, senza
che risultasse in qual modo la variante fosse ostativa alla concessione edilizia). Consiglio di Stato, Sez. V, 30
ottobre 2003, sentenza n. 6763 (vedi: sentenza per esteso)
Urbanistica - provvedimento del diniego di concessione edilizia - obbligo di indicare la norma ostativa al rilascio.
E' necessario che nel provvedimento di diniego venga indicata la norma ostativa al rilascio della concessione
edilizia. (Nella specie, il comune, costituendosi in giudizio, ha apertamente ammesso daver negato la
concessione perch non sapeva quale normativa fosse applicabile; ossia di non conoscere norme ostative al
rilascio). Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6763 (vedi: sentenza per esteso)
Edilizia - tamponatura laterale - domanda di condono edilizio - carenza del necessario presupposto della
esecuzione di opere edilizie significative - concetto di completamento funzionale - effettiva realizzazione di
nuove unit abitative. La parziale tamponatura laterale (di circa un metro ancorch sagomata per linserimento di

finestre) non risulta idonea a determinare la realizzazione di un diverso organismo edilizio. Pertanto, risulta
corretta la decisione dellamministrazione di non dare ulteriore seguito alla domanda di condono edilizio,
essendo carente il necessario presupposto della esecuzione di opere edilizie significative. (Nel caso di specie
non si trattava di applicare il concetto di completamento funzionale (riferito solo alle opere interne) ma di
riscontrare leffettiva situazione dellimmobile e la mancata ultimazione delle opere dirette alla effettiva
realizzazione di nuove unit abitative). Consiglio di Stato, Sez. V, 30 ottobre 2003, sentenza n. 6753
Urbanistica - il piano per gli insediamenti produttivi - natura - piano regolatore generale. Il piano per gli
insediamenti produttivi non ha natura di mero strumento attuativo delle previsioni contenute nel piano regolatore
generale, essendogli stata riconosciuta la importante funzione di strumento di politica economica di stimolo
allespansione industriale e di incentivazione delle imprese, offrendo ad esse ad un prezzo politico le aree
occorrenti per il loro impianto e la loro espansione (C.d.S., sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3034; 22 maggio 2000, n.
2939; 5 luglio 1995, n. 539). Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6631 (vedi: sentenza
per esteso)
Urbanistica - insediamenti produttivi - approvazione del piano per gli insediamenti produttivi - decreto di
occupazione di urgenza - dichiarazione di pubblica utilit, indifferibilit ed urgenza dei lavori - progetto di
urbanizzazione. Il decreto di occupazione di urgenza costituisce un momento puramente attuativo della
dichiarazione di pubblica utilit, indifferibilit ed urgenza dei lavori che, nel caso di un piano per gli insediamenti
produttivi, deriva immediatamente e direttamente non gi dallapprovazione del progetto di urbanizzazione,
bens dallapprovazione del piano per gli insediamenti produttivi che comporta come si visto la
dichiarazione ex lege di pubblica utilit, indifferibilit ed urgenza delle opere in esse previste. Consiglio di Stato Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6631 (vedi: sentenza per esteso)
Urbanistica - piano per gli insediamenti produttivi - indicazione dei termini per linizio ed il compimento dei lavori
e delle espropriazioni - ininfluenza - il diritto di propriet esposto al potere espropriativo della pubblica
amministrazione - approvazione ex lege di dichiarazione di pubblica utilit e di indifferibilit ed urgenza delle
opere - durata di dieci anni dei termini. Non pu trovare ingresso la censura sollevata nei confronti della delibera
di approvazione del piano per gli insediamenti produttivi, con la quale gli appellanti hanno eccepito che essa non
conterrebbe lindicazione dei termini per linizio ed il compimento dei lavori e delle espropriazioni, ai sensi
dellarticolo 13 della legge 25 giugno 1865, n. 2359. Infatti, lindicazione dei predetti termini che, com noto,
svolge una funzione garantistica, costituendo riprova dellattualit dellinteresse pubblico da soddisfare e della
seriet ed effettivit del relativo progetto, evitando di esporre sine die il diritto di propriet al potere espropriativo
della pubblica amministrazione, non trova alcuna giustificazione logico giuridica nel caso del piano per gli
insediamenti produttivi, la cui approvazione ha ex lege effetto di dichiarazione di pubblica utilit e di indifferibilit
ed urgenza delle opere in esso prevista e ne fissa la durata in dieci anni (che costituisce anche il termine entro
cui le previsioni del piano stesso devono essere attuate, cosi C.d.S., sez. IV, 22 maggio 2000, n. 2939).
Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre 2003, Sentenza n. 6631 (vedi: sentenza per esteso)
Piano per gli insediamenti produttivi (P.I.P.) - P.A. - discrezionalit - dimensionamento del piano - puntuale
verifica circa lo sviluppo produttivo in atto ed in fieri - valutazione dellandamento demografico del comune.
Lente locale gode della pi ampia discrezionalit nella scelta di dotarsi di un piano per gli insediamenti
produttivi, con lunico limite della adeguata motivazione e della non irragionevolezza o arbitrariet della scelta
stessa, essendo necessario che essa si fondi sullidoneit del piano stesso ad apportare ricchezza per lintero
sistema economico sociale (C.d.S., sez. IV, 6 giugno 2001, n. 3034); stato precisato, peraltro, che il
dimensionamento del piano per gli insediamenti produttivi deve essere fondato su una puntuale verifica circa lo
sviluppo produttivo in atto ed in fieri, senza che si renda necessaria lacquisizione e lanalisi di ulteriori dati, quali
quelli dellandamento demografico del comune (C.d.S., sez. IV, 2 marzo 1995, n. 128) e che pertanto la scelta
dellamministrazione comunale insindacabile ove sia immune da vizi logici o errori di fatto, salva levidente
inidoneit del piano stesso a rispondere alle accertate esigenze economico sociali e produttive e a reali
prospettive di utilizzazione (C.d.S., sez. IV, 22 ottobre 1993, n. 912). Consiglio di Stato - Sezione IV, 27 Ottobre
2003, Sentenza n. 6631 (vedi: sentenza per esteso)
Urbanistica - attivit edilizia - verande installate come elementi accessori ad un fabbricato o a parte dello stesso
per costituire un riparo o una protezione per ledificio abitativo - applicabilit del regime della denuncia di inizio
attivit - casi di sottrazione al regime della concessione edilizia - presupposti e condizioni - c.d. verande "a filo"
di parete - terrazzo condominiale - concessione edilizia - necessit. Le strutture a veranda installate come
elementi accessori ad un fabbricato o a parte dello stesso per costituire un riparo o una protezione per ledificio
abitativo, devono ritenersi sottratti al regime della concessione edilizia per essere invece annoverabili tra quelli
aventi finalit di natura conservativa per la cui realizzazione lart. 4 del D.L. 5.10.1993 n. 338 convertito con
modifiche nella legge 4.12.1993 n. 493 e poi sostituito dallart. 2 comma 60 della legge 23.12.1996 n. 662 (e
successive modificazioni) richiede la semplice denuncia di inizio di attivit, soltanto quegli interventi realizzanti,
per le predette finalit, la installazione di elementi compatibili con le esigenze dellordinario uso delledificio o
della parte di esso cui accedono nel rispetto degli elementi tipologici formali e strutturali dello stesso edificio e
della destinazione edilizio-urbanistica delle varie parti di cui esso si compone. (Nel caso di specie non appare
riconoscibile alla struttura dal ricorrente apposta sul terrazzino del suo appartamento, confinante con quello
condominiale, una finalit meramente di riparo compatibile con luso ordinario dellabitazione e con la sua
naturale funzionalit quale consentita dalla destinazione edilizio-urbanistica delle varie parti di cui si compone,

comprensive di quelle abitabili e di quelle non abitabili. Con la realizzazione del manufatto in questione la
ricorrente ha comunque ottenuto un nuovo spazio interamente chiuso utilizzabile come nuovo minuscolo locale
che, anche nelle sue dimensioni ridotte (circa 6 mq.), arreca, nella sua sporgenza anche in elevazione sino al
balcone del piano soprastante non essendo infatti assimilabile alle c.d. verande "a filo" di parete, una visibile
alterazione allo stesso terrazzo condominiale. La sua realizzazione pertanto richiedeva, come ha esattamente
ritenuto il Comune, la esistenza di una concessione edilizia. TAR LAZIO, SEZ. II TER - 27 ottobre 2003,
Sentenza n. 9570 (vedi: sentenza per esteso)
Edilizia ed urbanistica - violazione edilizia - emissione dellordinanza di sospensione dei lavori abusivi provvedimenti definitivi diretti a reprimere labuso edilizio accertato - termine previsto dallart. 4 L. n. 47/1985 decorso dello stesso termine - potere del Comune di adottare provvedimenti repressivi anche dopo la scadenza
del suddetto termine - sussiste - assenza di motivazione giustificativa della adozione - presupposti giustificativi mancanza di motivazione - legittimit. La indicazione, contenuta nel predetto art. 4 l. n. 47/1985, del termine
entro cui il Comune, dopo la emissione della ordinanza di sospensione dei lavori abusivi, deve emanare i
provvedimenti definitivi diretti a reprimere labuso edilizio accertato, se designa il termine della legale efficacia
del provvedimento di sospensione dei lavori trascorso il quale lo stesso perde la sua efficacia, non priva il
Comune del potere di adottare i provvedimenti definitivamente repressivi della violazione edilizia perpetrata, pur
dopo il decorso dello stesso termine, con la conseguenza che lavvenuto decorso di tale termine senza ancora la
adozione dei provvedimenti definitivi enunciati dal gi citato art. 4, non rende illegittimo n lordine di
sospensione dei lavori gi emesso, n il successivo definitivo provvedimento repressivo dellabuso che sia stato
emanato pur dopo la scadenza dello stesso termine. (Nella specie, non trova alcun fondamento relativo alla
assenza di una motivazione giustificativa della adozione degli atti emessi dal Comune. Entrambi i provvedimenti
risultano infatti emessi sulla base della rilevazione, da parte dello stesso Comune, delle opere indicate negli atti
al ricorrente notificati, e nella constatazione che le stesse opere sono state eseguite senza concessione edilizia.
Tali indicazioni costituiscono i presupposti giustificativi della adozione dei provvedimenti che il Comune ha
adottato per reprimere labuso edilizio da lui accertato, che, come noto, essendo di dovuta emanazione una
volta accertata la esecuzione di opere edilizie senza la relativa concessione, non richiedono alcuna ulteriore
motivazione. TAR LAZIO, SEZ. II TER - 27 ottobre 2003, Sentenza n. 9570 (vedi: sentenza per esteso)
Edilizia ed urbanistica - mutamento nelluso delloriginario terrazzino - costruzione di una c.d. verande "a filo" di
parete - violazione edilizia - concessione edilizia - necessit - locali condominiali - regolamento del condominio
relativo allimmobile - realizzazione di impianti o altre opere interne - limiti. Attesa la gi rilevata consistenza
dellopera, c.d. verande "a filo" di parete, eseguita sul terrazzo da ritenersi di per s annoverabile, nella sua
conformazione e collocazione, tra quelle richiedenti il preventivo rilascio di concessione edilizia, non assume
alcuna rilevanza n la mancata previsione, nel regolamento del condominio relativo allimmobile di cui trattasi, di
un divieto per i singoli condomini di realizzare lavori edilizi nei locali di propriet o in locali condominiali, n la
contestazione del ricorrente sulleffettivo avvenuto cambio di destinazione dellarea su cui ha realizzato il suo
intervento, che il medesimo intenderebbe negare sulla base di confutazioni alle rilevazioni del Comune relative
alla realizzazione di impianti elettrici, idrici o opere di pavimentazione, allinterno della struttura di cui trattasi. Va
al riguardo osservato che, anche indipendentemente dalla realizzazione di impianti o altre opere interne, deve
ritenersi gi verificato un mutamento nelluso delloriginario terrazzino attraverso la realizzazione, al suo posto, di
un ambiente interamente chiuso, sia pure di esigue dimensioni, esterno ai vani abitativi dellappartamento. TAR
LAZIO, SEZ. II TER - 27 ottobre 2003, Sentenza n. 9570 (vedi: sentenza per esteso)
Urbanistica - piano di recupero - annullamento - rilascio del titolo edificatorio - divieto fino a che non venga
riformulato il P.R. - piano attuativo richiesto dallo strumento urbanistico generale. Lannullamento, in s e per s
considerato, del piano di recupero non pu comportare, infatti, il rilascio del titolo edificatorio fino a che non
venga riformulato il P.R. stesso; poich lo strumento urbanistico generale richiedeva, per la zona in questione,
un piano attuativo, non poteva, infatti, prescindersi da questo ai fini del rilascio del titolo edificatorio. Consiglio di
Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6532 (vedi: sentenza per esteso)
Il nuovo piano di recupero delle aree pu modificare il regime di utilizzabilit delle stesse - la possibilit di vietare
la demolizione del preesistente e di realizzare nuove costruzioni - funzione di carattere prettamente
conservativo. Il nuovo piano di recupero le aree di interesse delle appellanti hanno visto, peraltro, modificato il
regime di utilizzabilit delle stesse; mentre nel precedente strumento attuativo era prevista, in esse, la possibilit
di demolire il preesistente e di realizzare nuove costruzioni (sia pure con limiti edificatori che il TAR ha ritenuto,
con la ripetuta sentenza del 1999, illegittimi, in quanto difformi rispetto allart. 9 delle NTA), al contrario, nel
nuovo strumento, frutto di autonome scelte discrezionali, lAmministrazione comunale ha ritenuto di assegnare
alle aree in questione una funzione di carattere prettamente conservativo, volta a tutelare il patrimonio esistente
quale sorta di testimonianza storica del tessuto urbano preesistente. Se tale scelta di fondo sia legittima o meno
spetta allautonomo ricorso in sede di legittimit dirlo (come si ripete, radicato con ricorso al TAR n. 1182/2002,
in fase di definizione); non di meno, non pu parlarsi di determinazione manifestamente elusiva del giudicato,
ben potendo, in astratto, lAmministrazione, in sede di riesame delle scelte urbanistiche in precedenza operate e
nellesercizio delle proprie potest discrezionali in materia urbanistica (ancorch in funzione di esecuzione del
giudicato amministrativo), assegnare alla aree aggetto di programmazione una destinazione differente rispetto
alla precedente e in grado di incidere anche sulla utilizzabilit edificatoria, pi o meno piena, delle stesse.
Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6532 (vedi: sentenza per esteso)

Rilascio della concessione edilizia - la richiesta di sanatoria - il consenso del comproprietario dellarea
interessata dallintervento edilizio - il consenso del titolare del bene - il responsabile dellabuso. Precisato,
quindi, che lamministrazione pu, in sede di rilascio della concessione edilizia, legittimamente richiedere il
consenso del comproprietario dellarea interessata dallintervento edilizio, resta da verificare se tale principio
possa trovare applicazione anche nel caso della richiesta di sanatoria ex art. 13. Alla norma non pu essere
data la suddetta interpretazione riduttiva, considerato che la richiesta di sanatoria pur sempre diretta al rilascio
di una concessione o autorizzazione edilizia, come ripetutamente precisato nel primo, secondo e terzo comma,
con lunica differenza che, nellipotesi contemplata, si tratta di assentire un progetto edilizio gi realizzato, invece
che da realizzare. Non c motivo, pertanto, di ritenere che non debba trovare applicazione la regola generale di
cui allart. 4 della L. n. 10/77 e che, quindi, sia comunque necessario che il richiedente, per potere usufruire della
sanatoria, disponga del titolo per richiederla. N appare in senso contrario rilevante la circostanza che lart. 13
individui nel responsabile dellabuso, e non gi nel titolare del bene, il soggetto legittimato a chiedere la
concessione in sanatoria, in quanto in proposito agevole osservare che il legislatore ha solo adottato un
formula idonea a ricomprendere tutte le categorie di soggetti, indicati nellart. 6, che hanno concorso a realizzare
labuso, fermo restando che anche detti soggetti, non possono chiedere, senza il consenso del titolare del bene,
sul quale insistono le opere e che potrebbe essere completamente estraneo allabuso ed avere anzi un
interesse contrario alla loro sanatoria, una concessione che, in ipotesi, potrebbe risolversi in danno dello stesso.
Parimenti non pu obbiettarsi che con ci si priverebbe il responsabile dellabuso del beneficio di cui allart. 22,
perch, come stato correttamente osservato dal condominio resistente, la sanatoria costituisce una eccezione
alla regola che impone di non realizzare abusi edilizi, per cui, se labuso non pu essere sanato, il responsabile
ne sopporta le conseguenze che sono riconducibili ad una intenzionale violazione delle norme di ordine
pubblico. Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6529 (vedi: sentenza per esteso)
La necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dellattivit edificatoria - lattivit
amministrativa in materia edilizia - accertamento della conformit dellopera - i diritti dei terzi - idoneo titolo di
godimento sullimmobile - opere edilizie che interessano porzioni condominiali comuni - requisito della
legittimazione del richiedente - grave difetto istruttorio e motivazionale - effettiva corrispondenza tra la richiesta
di concessione e la titolarit del prescritto diritto di godimento. La giurisprudenza, che in passato era
prevalentemente orientata nel senso che il parametro valutativo dellattivit amministrativa in materia edilizia
quello dellaccertamento della conformit dellopera alla disciplina pubblicistica che ne regola la realizzazione,
salvi i diritti dei terzi e senza che la mancata considerazione di tali diritti possa in qualche modo incidere sulla
legittimit dellatto, pi recentemente (cfr. C.d.S., Sez. V, 15.3.2001 n. 1507) ha avuto occasione di precisare
che la necessaria distinzione tra gli aspetti civilistici e quelli pubblicistici dellattivit edificatoria non impedisce di
rilevare la presenza di significativi punti di contatto tra i due diversi profili. In proposito ha, pertanto, chiarito che
non seriamente contestabile che nel procedimento di rilascio della concessione edilizia lamministrazione
abbia il potere ed il dovere di verificare lesistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento
sullimmobile, interessato dal progetto di trasformazione urbanistica, trattandosi di una attivit istruttoria che non
diretta, in via principale, a risolvere i conflitti di interesse tra le parti private in ordine allassetto proprietario
degli immobili interessati (nel caso in esame concernenti la legittimit - o non - della esecuzione, ai sensi dellart.
1102 c.c., delle opere edilizie che interessano porzioni condominiali comuni), ma che risulta finalizzata, pi
semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione del richiedente. Ha, pertanto, concluso che,
conformemente a quanto previsto dal cit. art. 4 della L. n. 10/77, in caso di opere che vadano ad incidere sul
diritto di altri comproprietari, legittimo esigere il consenso degli stessi (che pu essere manifestato anche per
fatti concludenti) e che, a maggior ragione, qualora vi sia un conclamato dissidio fra i comproprietari in ordine
allintervento progettato, la scelta dellamministrazione di assentire comunque le opere (in base al mero riscontro
della conformit agli strumenti urbanistici) evidenzia un grave difetto istruttorio e motivazionale, perch non d
conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarit del prescritto diritto di godimento
(cfr. in termini, anche C.d.S., Sez. V, 20.9.2001 n. 4972; Tar Toscana 23.11.2001 n. 1651; Tar Emilia
Romana-Parma, 21.3.2002 n. 183). Consiglio di Stato - Sezione V, 21 Ottobre 2003, Sentenza n. 6529 (vedi:
sentenza per esteso)
Il rilascio della concessione edilizia - l'obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il contributo - natura
dellobbligo - la determinazione dell'entit - titolare della concessione edilizia - obbligazione di diritto pubblico - la
materia sottratta alla disponibilit delle parti. Sulla base del sistema costruito dalla legge 28 gennaio 1977, n.
10 (in particolare dell'art. 1, 3, 5 ed 11) il rilascio della concessione edilizia si configura come fatto costitutivo
dell'obbligo giuridico del concessionario di corrispondere il contributo ed a tale momento che occorre riferirsi
per la determinazione dell'entit del medesimo in base ai parametri normativi allora vigenti. Su tale punto,
daltronde, la giurisprudenza del giudice amministrativo da tempo appare pacifica ( vedi tra le tante, Consiglio di
Stato, sez. IV, sent. n. 1071 del 25-10-1993). Quanto alla natura dellobbligo, la giurisprudenza amministrativa
altrettanto ferma nel ritenere che questo, essendo obiettivamente collegato alla posizione del titolare della
concessione edilizia d vita ad una obbligazione di diritto pubblico dalla quale va esclusa ogni connotazione
negoziale (Consiglio di Stato, sez. V, sent. n. 2056 del 6-12-1999); con la conseguenza che la materia
sottratta alla disponibilit delle parti. Ci non consente la trasposizione in questo ambito dellarticolo 1175 codice
civile, che invece muove dal presupposto in cui le parti agiscano sulla base di una situazione giuridica
riconducibile allautonomia negoziale. Consiglio di Stato - Sezione V, 15 Ottobre 2003, Sentenza n. 6295
P.R.G. - scadenza del termine quinquennale di durata dei vincoli di inedificabilit - c.d. zona bianca - aree prive
di disciplina urbanistica. La scadenza del termine quinquennale di durata dei vincoli di inedificabilit previsti da

un piano regolatore generale, alle aree rimaste prive di destinazione si applica la disciplina dettata dalla legge
per i comuni sprovvisti di strumenti urbanistici generali (art. 4, ultimo comma l. 28 gennaio 1977, n. 10) Adunanza Plenaria n. 7/1984. Invero, come affermato dalla giurisprudenza, solo un piano regolatore generale
privo dei contenuti essenziali di cui all'art. 7 l. 17 agosto 1942 n. 1150 pu rendere un'area - nell'ipotesi di
sopravvenuta inefficacia del vincolo - assimilabile ad una c.d. zona bianca, disciplinata alla stregua delle aree
prive di disciplina urbanistica. (In specie il criterio sussidiario dettato per le cd. zone bianche, pertanto, non pu
trovare applicazione proprio perch difetta il presupposto essenziale della lacuna nella normativa urbanistica,
versandosi, invece, nel regime giuridico concorrente). Consiglio di Stato - Sezione V, 9 Ottobre 2003, Sentenza
n. 6071 (vedi: sentenza per esteso)
Rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli impianti - costruzione, modificazione e risanamento degli
impianti - localizzazione degli impianti - adozione o approvazione di piani di risanamento - competenza Regioni.
In base alla legge quadro 2001/36 naturale conseguenza che vi possa e vi debba essere una disciplina
regionale della localizzazione, della costruzione, della modificazione e del risanamento degli impianti risulta
espressamente dalla stessa legge quadro, che attribuisce alle Regioni competenza, fra laltro, in tema di
localizzazione degli impianti (art. 8, comma 1, lettere a e b), di rilascio delle autorizzazioni alla installazione degli
impianti (art. 8, comma 1, lettera c), di adozione o approvazione di piani di risanamento (art. 9). Corte
Costituzionale 7 ottobre 2003 Sentenza n. 307 (vedi: sentenza per esteso)
La disciplina di principio stabilita dalla legge quadro 2001 n.36 - le funzioni spettanti allo Stato - le competenze
delle Regioni e degli enti locali - il regime transitorio - soglie di esposizione per la popolazione - standard di
protezione dallinquinamento elettromagnetico - limiti di esposizione - valori di attenzione - cautela - progressiva
minimizzazione dellesposizione - criteri localizzativi - migliori tecnologie disponibili - limpatto negativo degli
impianti sul territorio - tracciati degli elettrodotti - la disciplina dei procedimenti autorizzativi - uso del loro territorio
- interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesaggistici e ambientali. La legge statale 22 febbraio
2001, n. 36 (Legge quadro sulla protezione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici), si
applica a tutti gli impianti che possono comportare lesposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici
con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz, e in particolare sia agli elettrodotti, sia agli impianti radioelettrici
(art. 2, comma 1), stabilisce distintamente le funzioni spettanti allo Stato (artt. 4 e 5) e le competenze delle
Regioni e degli enti locali (art. 8), e disciplina specificamente i piani di risanamento (art. 9), i controlli (art. 14), le
sanzioni (art. 15) e il regime transitorio applicabile in attesa dellemanazione del decreto del Presidente del
Consiglio dei ministri sulle soglie di esposizione per la popolazione, previsto dallart. 4, comma 2 (art. 16: cfr.
oggi d.P.C.m. 8 luglio 2003). In particolare, nel sistema della legge, gli standard di protezione dallinquinamento
elettromagnetico si distinguono (art. 3) in limiti di esposizione, definiti come valori di campo elettrico, magnetico
ed elettromagnetico che non devono essere superati in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei
lavoratori per assicurare la tutela della salute; valori di attenzione, intesi come valori di campo da non superare,
a titolo di cautela rispetto ai possibili effetti a lungo termine, negli ambienti abitativi e scolastici e nei luoghi adibiti
a permanenze prolungate; e obiettivi di qualit. Questi ultimi sono distinti in due categorie, di cui una consiste
ancora in valori di campo definiti ai fini della progressiva minimizzazione dellesposizione (art. 3, comma 1,
lettera d, n. 2), laltra invece del tutto eterogenea consiste nei criteri localizzativi, () standard urbanistici,
() prescrizioni e () incentivazioni per lutilizzo delle migliori tecnologie disponibili (art. 3, comma 1, lettera d,
n. 1). La legge attribuisce allo Stato la determinazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli
obiettivi di qualit del primo dei due tipi indicati, cio dei valori di campo definiti ai fini della ulteriore progressiva
minimizzazione dellesposizione (art. 4, comma 1, lettera a), mentre attribuisce alla competenza delle Regioni
la indicazione degli obiettivi di qualit del secondo dei tipi indicati, consistenti in criteri localizzativi, standard
urbanistici, prescrizioni e incentivazioni (art. 3, comma 1, lettera d, n. 1, e art. 8, comma 1, lettera e). Al di l
della discutibile terminologia, la logica della legge quella di affidare allo Stato la fissazione delle soglie di
esposizione, graduate nel modo che si detto, alle Regioni la disciplina delluso del territorio in funzione della
localizzazione degli impianti, cio le ulteriori misure e prescrizioni dirette a ridurre il pi possibile limpatto
negativo degli impianti sul territorio (anche se poi alcune scelte localizzative sono a loro volta riservate allo
Stato: il caso dei tracciati degli elettrodotti con tensione superiore a 150 kV: art. 4, comma 1, lettera g), oltre
che la disciplina dei procedimenti autorizzativi (cfr. art. 8, comma 1, lettera c): ci, in coerenza con il ruolo
riconosciuto alle Regioni per quanto attiene al governo e alluso del loro territorio. E vero che la stessa legge
prevede poi lemanazione di un regolamento statale destinato a contenere anche misure relative alla
localizzazione degli impianti e altre misure dirette ad evitare danni ai valori ambientali e paesaggistici e a
tutelare gli interessi storici, artistici, architettonici, archeologici, paesaggistici e ambientali, nonch una
disciplina dei principi relativi ai procedimenti autorizzativi (art. 5 e art. 8, comma 1, lettera a). Ma, a prescindere
da ogni considerazione circa la sorte che potr riservarsi a tale potest regolamentare a seguito della entrata in
vigore del nuovo art. 117, sesto comma, della Costituzione, che limita la potest regolamentare dello Stato alle
sole materie di competenza statale esclusiva, la circostanza che il regolamento previsto non stato emanato, in
assenza inoltre di qualsiasi disciplina legislativa transitoria su questi temi, rende superflua ogni ulteriore
disamina in argomento, restando fermo che le leggi regionali impugnate devono essere valutate in relazione alla
loro conformit o meno ai soli principi fondamentali contenuti nella legge quadro. Corte Costituzionale 7 ottobre
2003 Sentenza n. 307 (vedi: sentenza per esteso)
Le aree sensibili - tutela della popolazione nelle aree densamente abitate o frequentate, interesse
storico-artistico o paesistico dellarea - la definizione e la perimetrazione di tali aree - uso del proprio territorio
-competenza della Regione - la previsione di localizzazioni alternative - pianificazione del territorio - fissazione

di valorisoglia. Le aree sensibili sono definite dalla legge regionale con riguardo a situazioni e interessi (tutela
della popolazione nelle aree densamente abitate o frequentate, interesse storicoartistico o paesistico dellarea)
di cui la Regione ha certamente titolo per occuparsi in sede di regolazione delluso del proprio territorio.
Soprattutto, poi, la definizione e la perimetrazione di tali aree, nel sistema della legge regionale, hanno lunico
scopo di fondare la previsione di localizzazioni alternative, cio un tipo di misura che, fermo restando il
necessario rispetto dei vincoli della programmazione nazionale delle reti e della pianificazione del territorio,
rientra appieno nella competenza regionale in tema di governo del territorio, e specificamente nella competenza
regionale, riconosciuta dalla legge quadro (art. 8, comma 1, lettera a), per la individuazione dei siti di
trasmissione e degli impianti per telefonia mobile, degli impianti radioelettrici e degli impianti per radiodiffusione.
Essa non prelude dunque alla fissazione di valorisoglia diversi e contrastanti con quelli fissati dallo Stato, ma
attiene e pu attenere solo alla indicazione di obiettivi di qualit non consistenti in valori di campo, ma in criteri di
localizzazione, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni allutilizzo della miglior tecnologia disponibile, o
alla cura dellinteresse regionale e locale alluso pi congruo del territorio, sia pure nel quadro dei vincoli che
derivano dalla pianificazione nazionale delle reti e dai relativi parametri tecnici, nonch dai valorisoglia stabiliti
dallo Stato. Corte Costituzionale 7 ottobre 2003 Sentenza n. 307 (vedi: sentenza per esteso)
Impianti di emittenza radiotelevisiva e di stazioni radio base per telefonia mobile su ospedali, case di cura e di
riposo, scuole e asili nido - art. 10, comma 1, della legge pugliese - campo elettromagnetico prescritto dal d.m.
n. 381 del 1998 - criterio di localizzazione la cui definizione rimessa alle Regioni. E poi impugnato lart. 10,
comma 1, della legge pugliese, ai cui sensi vietata linstallazione di sistemi radianti relativi agli impianti di
emittenza radiotelevisiva e di stazioni radio base per telefonia mobile su ospedali, case di cura e di riposo,
scuole e asili nido. Secondo il ricorrente tale divieto assoluto avrebbe un contenuto diverso ed eccedente
rispetto allunico parametro del valore di campo elettromagnetico prescritto dal d.m. n. 381 del 1998, cui rinvia la
norma transitoria dellart. 16 della legge quadro. La questione infondata. Il divieto in questione, riferito a
specifici edifici, non eccede lambito di un criterio di localizzazione, in negativo, degli impianti, e dunque
lambito degli obiettivi di qualit consistenti in criteri localizzativi, la cui definizione rimessa alle Regioni
dallart. 3, comma 1, lettera d, e dallart. 8, comma 1, lettera e, della legge quadro; n di per s suscettibile di
pregiudicare la realizzazione delle reti. Corte Costituzionale 7 ottobre 2003 Sentenza n. 307 (vedi: sentenza per
esteso)
Obiettivi di qualit - criteri localizzativi, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni per lutilizzo delle migliori
tecnologie disponibili - competenza regionale. La legge quadro 2001 n. 36 distingue nettamente fra gli obiettivi
di qualit in termini di valori di campo, ai fini della progressiva minimizzazione dellesposizione -definiti dallo
Stato- e gli obiettivi di qualit in termini di criteri localizzativi, standard urbanistici, prescrizioni e incentivazioni
per lutilizzo delle migliori tecnologie disponibili, indicati dalle leggi regionali. Corte Costituzionale 7 ottobre 2003
Sentenza n. 307 (vedi: sentenza per esteso)
Il termine per la formazione del silenzio assenso sulle domande di condono - decorrenza - il parere favorevole
dallautorit preposta alla tutela del vincolo - necessit - Sovrintendenza - demolizione delle opere abusive potest sanzionatoria interamente vincolata - esercizio dellautotutela - assenza - opere di manutenzione nuova costruzione - zonizzazione di P.R.G. - fabbricato in contrasto con lambiente: baracca - N.T.A. - interventi
di ristrutturazione o sostitutivi o di ricostruzione - limiti. Il termine per la formazione del silenzio assenso sulle
domande di condono non pu decorrere ove non si sia conseguito il parere favorevole dallautorit preposta alla
tutela del vincolo. E si gi visto che sul primo abuso la Sovrintendenza si era espressa in senso negativo.
Sotto altro riguardo, in fine, il richiamo alla mancanza di motivazione circa linteresse pubblico alla demolizione
delle opere abusive, non appare sostenuto da apprezzabili argomenti. Si rammenta che non si verte in materia
di esercizio dellautotutela, ma nella manifestazione di una potest sanzionatoria interamente vincolata. (nella
specie il Comune, ha raccolto la segnalazione della Sovrintendenza, e ha motivato il diniego di condono
osservando che lart. 23 delle Norme tecniche di attuazione del P.R.G., per le opere abusive ed in contrasto con
lambiente (leggi, la baracca), ammette soltanto opere di manutenzione, e che, daltra parte, una nuova
costruzione non era assentibile per lassenza di strumenti urbanistici di dettaglio. Il provvedimento, infatti, si
richiama alla zonizzazione di P.R.G. ed alla qualificazione attribuita al fabbricato basso F.43 n. 97 come
fabbricato in contrasto con lambiente. La proposizione successiva afferma, come si sopra osservato, che a
norma dellart. 23 delle N.T.A.. i fabbricati in contrasto con lambiente non possono essere oggetto di interventi
di ristrutturazione o sostitutivi o di ricostruzione. Il progetto presentato nel gennaio 1987, consistendo in un
ampliamento del piano seminterrato e nella realizzazione al piano superiore del deposito in assi e lamiere,
doveva essere considerato, ai fini del condono come un intervento di ristrutturazione, in s non condonabile).
Consiglio di Stato Sezione V - 3 ottobre 2003, Sentenza n. 5745 (vedi: sentenza per esteso)
Approvazione di un progetto relativo ad impianto di smaltimento rifiuti - applicazione dei termini dimezzati provvedimenti di esecuzione di opere di pubblica utilit - procedure di occupazione ed espropriazione delle aree
- procedura espropriativa - interesse pubblico - lapprovazione dei progetti relativi ad impianti di trattamento dei
rifiuti - modifica leventuale diversa destinazione urbanistica dellarea - normativa acceleratoria. Il diniego
contestato, in ordine allapprovazione di un progetto relativo ad impianto di smaltimento rifiuti, non pu, infatti,
sfuggire allapplicazione dei termini dimezzati di cui al citato art. 19, che letteralmente trovava applicazione, tra
laltro, ai provvedimenti di esecuzione di opere di pubblica utilit, ed alle procedure di occupazione ed
espropriazione delle aree ad esse destinate. Orbene, non pu essere pretermesso, ai fini dellapplicabilit della
citata disposizione, che lapprovazione del progetto in argomento avrebbe comportato il rilascio, seppur

implicitamente, di una dichiarazione di pubblica utilit delle opere, sulla base di unapposita previsione normativa
(art. 27, comma 5, d.lg. 22/97), e quindi lintegrazione del momento iniziale di una procedura espropriativa. Il
tutto, inoltre, era comunque volto alla realizzazione di unopera di pubblica utilit, espressione questultima
volutamente di portata generale, nel senso della finalizzazione dellopera da costruire allo scopo di interesse
pubblico (quale senzaltro anche quello relativo allefficiente smaltimento dei rifiuti, seppur di produzione
propria, da parte di aziende legittimamente operanti nel territorio interessato), prescindendo dalla natura
pubblica o privata del soggetto chiamato a realizzarla. In pi, lapprovazione dei progetti relativi ad impianti di
trattamento dei rifiuti, come si accennava, ha leffetto, sempre ai sensi dellart. 27, comma 5, d.lg 22/97, di
modificare leventuale diversa destinazione urbanistica dellarea. Il fatto poi di essere al cospetto di un
provvedimento di tipo negativo - nella specie stata respinta listanza di un soggetto privato relativamente alla
realizzazione di unopera di pubblica utilit - non costituisce elemento di per s sufficiente ai fini di escludere
lapplicazione dei risvolti processuali della normativa acceleratoria in argomento. Consiglio di Stato Sezione V - 1
ottobre 2003, Sentenza n. 5679
Urbanistica - discarica - impianti di trattamento dei rifiuti - destinazione urbanistica dellarea. Lapprovazione dei
progetti relativi ad impianti di trattamento dei rifiuti, come si accennava, ha leffetto, sempre ai sensi dellart. 27,
comma 5, d.lg 22/97, di modificare leventuale diversa destinazione urbanistica dellarea. Consiglio di Stato
Sezione V - 1 ottobre 2003, Sentenza n. 5679
Urbanistica, regime e interventi edilizi - competenze - art. 117 Cost. - "urbanistica" e "governo del territorio". E'
da escludersi che la materia regolata dalle disposizioni censurate (urbanistica, regime e interventi edilizi) sia
oggi da ricondurre alle competenze residuali delle Regioni, ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. La
materia dei titoli abilitativi ad edificare appartiene storicamente all'urbanistica che, in base all'art. 117 Cost., nel
testo previgente, formava oggetto di competenza concorrente. La parola "urbanistica" non compare nel nuovo
testo dell'art. 117, ma ci non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia pi ricompresa nell'elenco del
terzo comma: essa fa parte del "governo del territorio". Se si considera che altre materie o funzioni di
competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo comma
dell'art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel "governo del territorio", appare del tutto implausibile che dalla
competenza statale di principio su questa materia siano stati estromessi aspetti cos rilevanti, quali quelli
connessi all'urbanistica, e che il "governo del territorio" sia stato ridotto a poco pi di un guscio vuoto. E' dunque
lungo questa direttrice, in cui lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla
potest di dettare i princip della materia, che si muovono le disposizioni impugnate. Le fattispecie nelle quali, in
alternativa alle concessioni o autorizzazioni edilizie, si pu procedere alla realizzazione delle opere con
denuncia di inizio attivit a scelta dell'interessato integrano il proprium del nuovo principio dell'urbanistica: si
tratta infatti, come agevolmente si evince dal comma 6, di interventi edilizi di non rilevante entit o, comunque, di
attivit che si conformano a dettagliate previsioni degli strumenti urbanistici. In definitiva, le norme impugnate
perseguono il fine, che costituisce un principio dell'urbanistica, che la legislazione regionale e le funzioni
amministrative in materia non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le
procedure e ad evitare la duplicazione di valutazioni sostanzialmente gi effettuate dalla pubblica
amministrazione. Corte Costituzionale 1 ottobre 2003 Sentenza n. 303 (vedi: sentenza per esteso)
L'onerosit del titolo abilitativo - oneri di urbanizzazione. L'onerosit del titolo abilitativo riguarda un principio
della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica
"governo del territorio". Corte Costituzionale 1 ottobre 2003 Sentenza n. 303 (vedi: sentenza per esteso)
Articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 - incostituzionale. La Corte Cost. dichiara la
illegittimit costituzionale dell'articolo 19, comma 2, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, nella parte in
cui, per le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici, per i quali sia stato riconosciuto, in sede di intesa,
un concorrente interesse regionale, non prevede che la commissione speciale per la valutazione di impatto
ambientale (VIA) sia integrata da componenti designati dalle Regioni o Province autonome interessate. Corte
Costituzionale 1 ottobre 2003 Sentenza n. 303 (vedi: sentenza per esteso)
Urbanistica - Piano Regolatore Generale - vincoli di piano - vincoli di inedificabilit assoluta del suolo - vincoli
preordinati allespopriazione - efficacia di cinque anni - piani particolareggiati - piani di lottizzazione
convenzionati - variante specifica - variante generale. In materia di vincoli di inedificabilit, infatti, non essendo
stata abrogata, tacitamente, dalla legge 28 gennaio 1977 n. 10, trova applicazione, in tutte le ipotesi di vincoli di
piano, la disposizione dellart. 2, primo comma, della legge 19 novembre 1968 n. 1187, la quale prevede che le
indicazioni di Piano Regolatore Generale che assoggettino beni determinati a vincoli preordinati
allespopriazione o che comportino linedificabilit assoluta del suolo o, comunque, privino il diritto di propriet
del suo sostanziale valore economico, perdano efficacia qualora entro cinque anni dallapprovazione del P.R.G.
non siano stati approvati i relativi piani particolareggiati ovvero non siano stati autorizzati i piani di lottizzazione
convenzionati. Ne consegue che, decorso inutilmente il predetto termine, larea interessata dallatto impositivo
ormai inefficace risulta sprovvista di una regolamentazione urbanistica ed il Comune obbligato ad una nuova
pianificazione dellarea rimasta non normata (cfr. Cons. Stato, Ad. Pl. 2 aprile 1984, n. 7; Cons. Stato, Sez. IV,
22 febbraio 1999, n. 209; Cons. Stato, Sez. IV, 27 dicembre 2001, n. 6415). Nel caso di specie, il Comune di
Bari, a seguito della decadenza dei vincoli urbanistici in questione gravanti sugli immobili di propriet degli
appellanti, era quindi tenuto a provvedere allintegrazione del P.R.G., divenuto parzialmente inoperante,

potendosi reiterare i vincoli decaduti sia attraverso una variante specifica che una variante generale, unici
strumenti che consentono allamministrazione comunale di verificare la persistente compatibilit delle
destinazioni gi impresse ad aree situate nelle zone pi diverse del territorio comunale rispetto ai principi
informatori della vigente disciplina di piano e alle nuove esigenze di pubblico interesse. Da tale obbligo il
Comune non esonerato per lapplicabilit, nei casi in questione, della disciplina dettata dallart. 4, ultimo
comma, della legge 28 gennaio 1977 n. 10, la quale ha natura provvisoria, e non pu sostituirsi alla disciplina
che la legge affida alle responsabili valutazioni del Comune. Consiglio di Stato - Sezione V, 1 Ottobre 2003,
Sentenza n. 5675 (vedi: sentenza per esteso)
La disciplina urbanistica del piano regolatore generale - decadenza dei vincoli di piano - vincoli di inedificabilit vincoli preordinati allespopriazione - inerzia del Comune - interventi sostitutivi della Regione - in via
giurisdizionale procedimento del silenzio-rifiuto. La disciplina urbanistica del piano regolatore generale deve
considerare la totalit del territorio comunale, e quindi anche i suoli rimasti privi di disciplina a seguito di
sopravvenuta decadenza dei vincoli posti sugli stessi. Va ribadito, in proposito, che lAdunanza Plenaria di
questo Consiglio 2 aprile 1984 n. 7, si espressa sostenendo che poich i Comuni sono obbligati a dotarsi di
uno strumento urbanistico generale che copra lintero territorio, la situazione di inedificabilit conseguente alla
sopravvenuta inefficacia di talune destinazioni di piano per sua natura provvisoria, essendo destinata a durare
fino allobbligatoria integrazione del piano, divenuto parzialmente inoperante. In caso di inerzia del Comune, il
privato che vi abbia interesse pu promuovere gli interventi sostitutivi della Regione oppure adire in via
giurisdizionale, secondo il procedimento del silenzio-rifiuto. Consiglio di Stato - Sezione V, 1 Ottobre 2003,
Sentenza n. 5675 (vedi: sentenza per esteso)
La delibera comunale di adozione di una variante allo strumento urbanistico - fattispecie complessa - atto di
approvazione regionale - strumento di governo del territorio - impone lapplicabilit delle misure di salvaguardia.
La delibera comunale di adozione di una variante allo strumento urbanistico, pur costituendo un elemento della
fattispecie complessa che si completa con l'atto di approvazione regionale, nellordinamento vigente ha acquisito
anche unefficacia imperativa diretta e propria, che ne fa uno strumento di governo del territorio (Cons. Stato,
A. P., 9 marzo 1983, n. 1), che impedisce gli interventi edilizi ed urbanistici contrastanti con esso ed impone
lapplicabilit delle misure di salvaguardia (gi previste come discrezionali dalla legge 3 novembre 1952 n. 1902,
e rese obbligatorie dallart. 3, ultimo comma, legge 6 agosto 1967 n. 765) (Cons. Stato, V, 14 novembre 1997, n.
1308 e 17 maggio 2000, n. 2874). Consiglio di Stato - Sezione V, 1 Ottobre 2003, Sentenza n. 5664
Strumento esecutivo lottizzativo - situazione di edifici esistenti - lottizzazione - strumento generale comunale di
pianificazione urbanistica. Va escluso che con uno strumento esecutivo ad iniziativa di parte, peraltro non
perfettamente collimante con le scelte generali effettuate in sede di strumento generale comunale di
pianificazione urbanistica, si possano imporre allAmministrazione modalit e tempistiche non conformi alle
norme e non condivise, con riferimento, in particolare, alla situazione di edifici esistenti. Consiglio di Stato Sez.
V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5464 (vedi: sentenza per esteso)
Il piano di lottizzazione pu essere sempre sostituito da un piano particolareggiato di formazione pubblica assetto urbanistico particolare e totalmente proprio - potere del Comune - legittimit - piano di lottizzazione
obbligatoria - modificazioni - piano attuativo - aree comprese nel p.e.c. - lindennit di esproprio per il valore
delledificio - opere di urbanizzazione primaria e secondaria non compatibile con la vigente normativa
urbanistico-edilizia - monetizzazione di parte delle aree per servizi. Il piano di lottizzazione pu essere sempre
sostituito da un piano particolareggiato di formazione pubblica, ove il Comune intenda dare alla zona un assetto
urbanistico particolare e totalmente proprio, sicch sembrerebbe non potersi desumere il potere del Comune di
dettare il concreto contenuto urbanistico, si deve tuttavia osservare che lart. 28, comma 12, L.U.
tradizionalmente riconosce al Comune il potere di apportare modificazioni al piano di lottizzazione obbligatoria,
per il caso in cui sussista un rilevante interesse alla realizzazione di un piano attuativo nella zona, ed anche in
mancanza di un piano particolareggiato. Date dunque le conseguenze urbanistiche, e non semplicemente
edilizie, del piano di lottizzazione, anche in relazione alle sue dimensioni e alle connessioni con linsediamento,
si ritiene in definitiva che il Comune possa, nellosservanza dello strumento urbanistico generale vigente, dettare
modifiche e prescrizioni di pianificazione che rendano il piano meglio inserito nel contesto urbanistico
dellinsediamento e pi aderente allo strumento generale di cui attuazione. Consiglio di Stato Sez. V, 24
settembre 2003 - sentenza n. 5464 (vedi: sentenza per esteso)
Assenza di un regime urbanistico - indici di edificabilit - zone di rispetto - zona bianca - omessa localizzazione
delle zone verdi - ristrutturazione ed ampliamento di un edificio residenziale esistente - lassoggettamento
dellintervento alle rigorose prescrizioni - compatibilit edilizia delledificazione - la sanzione dellinefficacia dei
vincoli - la decadenza di tutta la disciplina urbanistica ed edilizia - prescrizioni, espropriative o conformative,
decadute - compatibilit del progetto presentato dallinteressato con il vigente regime generale. A fronte, della
riscontrata (e non contestata) sussistenza di una disciplina generale sufficientemente dettagliata (siccome
comprensiva di puntuali indicazioni in merito alla tipologia degli interventi assentibili, agli indici di edificabilit,
alle zone di rispetto ecc.) e della portata limitata dellintervento in questione (ristrutturazione ed ampliamento di
un edificio residenziale esistente), la qualificazione dellarea come zona bianca (nella specie operata dal
Comune) e lassoggettamento dellintervento alle rigorose prescrizioni contenute nellultimo comma dellart.4
della legge n.10/77 si appalesano del tutto irragionevoli ed errati, in quanto postulano linesistente presupposto
dellassenza di un regime urbanistico di per s sufficiente a consentire la valutazione della compatibilit edilizia

delledificazione richiesta e poich trascurano di considerare la ridotta incidenza di questultima sulla


conformazione della zona (di talch anche lomessa localizzazione delle zone verdi si appalesa del tutto
insufficiente a legittimare il controverso diniego). La sanzione dellinefficacia dei vincoli in questione
(quandanche configurabile) non implica, invero, la decadenza di tutta la disciplina urbanistica ed edilizia
concernente la zona considerata (e non direttamente connessa alle prescrizioni, espropriative o conformative,
decadute) ed impone, pertanto, allamministrazione comunale di assumere questultima quale paradigma
valutativo della compatibilit del progetto presentato dallinteressato con il vigente regime generale. Consiglio di
Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5456 (vedi: sentenza per esteso)
Approvazione dei piani particolareggiati - compressione sine die lo jus aedificandi - standards vigenti - le c.d.
zone bianche. E inaccettabile la conseguenza di ritenere compresso sine die lo jus aedificandi a causa della
colpevole inerzia del Comune nellapprovazione dei piani particolareggiati ed in presenza di una disciplina
urbanistica generale (non direttamente connessa alla prescrizione, di localizzazione degli spazi verdi, rimasta
inattuata) che, per la permanente efficacia dei suoi contenuti precettivi e per la sufficienza di questi ultimi,
consente allamministrazione di valutare, alla stregua degli standards vigenti, la compatibilit degli interventi
edilizi progettati e le impedisce, al contempo, di applicare la disciplina prevista per le c.d. zone bianche.
Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5456 (vedi: sentenza per esteso)
PRG - la distinzione tra l'urbanistica e l'edilizia - carattere dei rispettivi procedimenti - procedimento complesso,
ad elevata discrezionalita' - provvedimento di controllo di conformita'. La distinzione tra l'urbanistica e l'edilizia
sta, oltre che ovviamente nella diversit degli oggetti che sono disciplinati dalle norme, nel carattere dei rispettivi
procedimenti, posto che il principio fondamentale che governa il settore, facilmente ricavabile dalla legislazione
dello Stato, stabilisce che "gli strumenti urbanistici generali e le relative varianti danno luogo ad un procedimento
complesso, ad elevata discrezionalita', "(Corte costituzionale 12 febbraio 1996, n. 26), mentre "la concessione
edilizia un provvedimento di controllo di conformita' del progetto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente
nella zona e, come tale, ha natura vincolata e non discrezionale" ( Consiglio Stato sez. V, 10 gennaio 1997, n.
28). Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 - sentenza n. 5446
Titolarit della concessione edilizia - caso in cui il diritto appartenga a pi titolari - listanza pu essere
presentata da un comproprietario solo laddove la situazione di fatto consenta di "supporre (lesistenza di) un
"pactum fiduciae". L'articolo 4 della legge 29 gennaio 1977, n. 10, afferma che "la concessione data dal
sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla". Espressione questa che, nel caso in cui il
diritto appartenga a pi titolari, stata intesa dalla giurisprudenza nel senso che listanza possa essere
presentata da un comproprietario solo laddove la situazione di fatto consenta di "supporre (lesistenza di) un
"pactum fiduciae" intercorrente tra gli stessi (comproprietari)" (Consiglio Stato sez. 5 giugno 1991 n. 883). (Nel
caso di specie, non solo non vi era alcun indizio da cui poter supporre un'intesa fra tutti i proprietari, ma anzi
l'iniziativa di alcuni di essi, una volta conosciuta dagli altri, stata vivacemente contesta. Quindi non vi dubbio
che il provvedimento originariamente rilasciato dall'amministrazione comunale era viziato perch il richiedente
non aveva pieno titolo ad ottenere l'autorizzazione edilizia). Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 sentenza n. 5445 (vedi: sentenza per esteso)
L'annullamento in sede di autotutela dei provvedimenti, illegittimamente rilasciati, che consentono l'esercizio
della ius aedificandi - vizio derivanti da false ed erronee rappresentazioni del privato - eccesso di potere assenza. L'annullamento in sede di autotutela dei provvedimenti che consentono l'esercizio della ius aedificandi
illegittimamente rilasciati "congruamente motivato con la sola enunciazione del vizio che li inficia". (Consiglio
Stato sez. V, 24 marzo 2001, n. 1702), specie nell'ipotesi in cui il vizio derivi da "false ed erronee
rappresentazioni del privato (Consiglio Stato sez. V, 24 marzo 2001, n. 1702). (Nel caso di specie, non ve
dubbio che l'errore derivato dal fatto che gli interessati nel presentare istanza, da loro sottoscritta con la
generica dicitura "i proprietari frontisti", non avevano evidenziato la circostanza che essi non rappresentavano la
totalit dei comproprietari ma solo una parte degli stessi). Consiglio di Stato Sez. V, 24 settembre 2003 sentenza n. 5445 (vedi: sentenza per esteso)
Prg - requisito del dimensionamento di quartiere risulta previsto solo per i mercati, gli impianti sportivi e le aree
verdi - altre opere di urbanizzazione secondaria. Il requisito del dimensionamento di quartiere risulta previsto
solo per i mercati, gli impianti sportivi e le aree verdi (cfr. art.4, 2 comma, della legge n.847/1964), con la
conseguenza che le altre opere di urbanizzazione secondaria ben possono essere dimensionate su scala
diversa e superiore. Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003, sentenza n. 5315
Esenzione dal pagamento per gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria - opera pubblica e/o di unopera
di interesse generale - i requisiti soggettivi ed oggettivi - il contributo afferente il rilascio della concessione
edilizia non dovuto per gli impianti, le attrezzature - esecuzione del contributo di costruzione - elenco delle
opere di urbanizzazione primaria e secondaria - non da intendersi tassativo e vincolato. Ai fini
dellindividuazione dellente istituzionalmente competente non necessariamente rilevante la natura pubblica
immediata dellente realizzatore quanto piuttosto quella oggettiva relativa alla realizzazione dellopera; in tale
ambito questa Sezione ha avuto modo di precisare che ai fini dellesecuzione del contributo di costruzione la
norma pu venire riferita anche ad unopera realizzata ad un soggetto privato perch per conto di un ente
pubblico (cfr. C.S. Sezione V n.206/99); mentre sotto il profilo oggettivo indubbio che la realizzazione
dellopera in questione caserma dei Vigili del Fuoco risponde sicuramente alle caratteristiche di unopera

pubblica e/o di unopera di interesse generale. Il Collegio ritiene che al contrario di quanto dedotto dal Tribunale
lelenco delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria non debba intendersi tassativo e vincolato perch,
come esattamente ritenuto dalla giurisprudenza condivisa dalla Sezione, debbono ritenersi rientrare nella
nozione di opere di urbanizzazione previste dalla normativa anche quelle realizzazioni di specifica rilevanza
pubblica e sociale, qual certamente la costruzione di un immobile da adibirsi a caserma dei VV.FF.. (Nella
fattispecie coesistono i requisiti soggettivi ed oggettivi previsti dalla pi volte richiamata norma di cui allart.9,
primo comma, lettera f), prima parte, della L. n.10/77, secondo cui il contributo afferente il rilascio della
concessione edilizia non dovuto per gli impianti, le attrezzature, le opere pubbliche o di interesse generale
realizzate dagli enti istituzionalmente competenti). Consiglio di Stato Sezione V, del 18 settembre 2003,
sentenza n. 5315
Mare e coste Fascia di rispetto costiero di 150 metri - Immobile realizzato successivamente alla L.R. 10/76
Diniego di concessione in sanatoria Legittimit. E legittimo il diniego di concessione in sanatoria (che non
presenta margini di discrezionalit) per immobili realizzati in epoca successiva allapposizione del vincolo di
rispetto costiero dei 150 metri dal mare, istituito con L.R. 9/3/1976 n10 e ricadenti entro la suddetta fascia
vincolata. Pres. ATZENI, Est. MAGGIO Pillai e altro (Avv. Candio) c. Sindaco di Quartu S. Elena (Avv.
Ornano) T.A.R. SARDEGNA, Cagliari 6 agosto 2003, n. 986
Urbanistica e Edilizia - Reato di costruzione abusiva - Condono edilizio - Natura di reato permanente - Momento
di cessazione - Individuazione - Ultimazione dell'opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne - Art. 20 L. n.
47/1985. La cessazione della permanenza del reato di costruzione abusiva va individuato nel momento della
ultimazione dell'opera, ivi comprese le rifiniture esterne ed interne, atteso che la particolare nozione di
ultimazione, contenuta nell'art. 31 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, e che anticipa tale momento a quello della
ultimazione della struttura, e' funzionale ed applicabile solo in materia di condono edilizio e non anche per
stabilire in via generale il momento consumativo del reato di costruzione in difetto di concessione (ora permesso
di costruire). Pres. Papadia U - Est. Franco A - Imp. Sorrentino ed altro - PM. (Parz. Diff.) Iannelli D. CORTE DI
CASSAZIONE Penale sez. III, 05 Agosto 2003 (UD.03/06/2003) RV. 225553, Sentenza n. 33013
Urbanistica e Edilizia - Esecuzione di una platea in calcestruzzo ospitante una fossa per la riparazione degli
automezzi pesanti e rafforzamento del fondo terroso esistente mischiando terra a sassi e asfalto spezzettato Trasformazione urbanistica - Concessione edilizia - Necessit - Art. 20 c. let. B L. n. 47/1985. L'esecuzione di
una platea in calcestruzzo ospitante all'interno una fossa per la riparazione degli automezzi pesanti e la
commistione di terra e sassi ad asfalto spezzettato, al fine di rinforzare il fondo terroso esistente, costituisce
un'opera di trasformazione urbanistica che, in quanto tale, necessita di concessione edilizia; ne' tale opera pu
essere annoverata nell'ambito degli interventi di manutenzione straordinaria - esclusi dal regime concessorio - in
quanto essi si riferiscono al recupero del patrimonio edilizio esistente e, quindi, presuppongono un edificio sul
quale eseguire le opere di manutenzione. Pres. Savignano G - Est. Onorato P - Imp. Franchin - PM. (Conf.)
Geraci V. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 05 Agosto 2003 (UD.29/05/2003) RV. 225764, Sentenza n.
33002
Territorio Edilizia e urbanistica - Istanza di condono edilizio - Inidoneit della dichiarazione sostitutiva di
notoriet resa dal ricorrente a corredo dell'istanza Elementi in contrario risultanti da verifiche
dellAmministrazione Diniego - Legittimit. In sede d'esame di un'istanza di condono edilizio, inidonea la
dichiarazione sostitutiva di notoriet stessa, non precludendo essa la possibilit di raccogliere nel corso del
procedimento elementi in contrario e pervenire, quindi, a risultanze diverse. (T.A.R. Toscana Firenze n.819 - 10
maggio 2001). Pres. BIANCHI - Est. AURELI Volpe e altri (avv.ti Cosentino e Lana) c. Comune di Latina (avv.
Manchisi).T.A.R. LAZIO Sezione Staccata di Latina del 29 luglio 2003, (Ud. 6 giugno 2003) Sentenza n. 675
(vedi: sentenza per esteso)
La differenza fra piano paesistico e piano urbanistico territoriale - protezione delle bellezze naturali - fase di
pianificazione della tutela delle zone dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico - strumento
di attuazione e specificazione del contenuto precettivo del vincolo paesaggistico - pianificazione del territorio
vincolato anche sotto la successiva attivit urbanistica - il piano urbanistico territoriale pu anche riguardare
ambiti non vincolati. E nota la differenza fra piano paesistico e piano urbanistico territoriale: il primo finalizzato
alla protezione delle bellezze naturali e pi precisamente alla fase di pianificazione della tutela delle zone
dichiarate di particolare interesse sotto il profilo paesaggistico, al fine di programmare la salvaguardia dei valori
paesistico- ambientali con strumenti idonei ad assicurare il superamento dellepisodicit, inevitabilmente
connessa a semplici ed isolati interventi autorizzatori (cfr. Cons. Stato, VI Sez., n. 25/01; n. 450/94; n. 29/93). Il
piano paesistico costituisce, pertanto, uno strumento di attuazione e specificazione del contenuto precettivo del
vincolo paesaggistico, mediante lindividuazione delle incompatibilit assolute e dei criteri e dei parametri di
valutazione delle incompatibilit relative, condizionando, prevalentemente in negativo, la successiva attivit di
pianificazione del territorio vincolato anche sotto il profilo urbanistico (cfr. Cons. St., VI Sez. n. 25/01; Corte cost.
n. 417/95; Cons. St., II Sez., n. 548/98). Al contrario, il piano urbanistico territoriale, pur avendo anche valenza
paesistico ambientale, non presuppone necessariamente un preesistente vincolo e pu anche riguardare
ambiti non vincolati (cfr. Cons. St., VI Sez., n. 25/01 cit.). Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio 2003, sentenza
n. 4351 (vedi: sentenza per esteso)
I piani territoriali paesistici - i piani territoriali urbanistici - le funzioni concernenti ladozione e lapprovazione dei

piani paesistici - gli artt. 97 e 128 Cost.. I piani territoriali paesistici di cui allart. 5 della L. n. 1497/39, nati come
unico strumento di regolazione dei beni assoggettati a vincolo panoramico, nel corso degli anni sono stati attratti
nellorbita urbanistica: ne costituisce riprova lart. 1 del D.P.R. n. 8 del 1972 in base al quale, in sede di
trasferimento alle regioni delle funzioni in materia urbanistica, sono state trasferite anche le funzioni concernenti
ladozione e lapprovazione dei piani paesistici. La successiva legge n. 431 del 1985 li ha posti, poi, su un piano
di assoluta equivalenza con i piani territoriali urbanistici, sicch tale riconosciuta reciproca integrazione di
strumenti pianificatori pu dar luogo, in determinate situazioni, ad imposizioni di condizionamenti alla sottostante
programmazione urbanistica comunale in grado di risolversi, per il loro contenuto totalmente vincolante, in veri e
propri vincoli di inedificabilit, con effetti giuridici indirettamente proiettati sulle posizioni dei privati. Del resto,
dalla elencazione del contenuto del piano paesistico, quale risulta dallart. 23 R.D. n. 1357/40, si evince la
possibilit di limitare il diritto dei privati di utilizzazione dei beni vincolati, sino al punto di consentire anche
lesclusione delledificazione quando essa risulti in grado di compromettere la conservazione dei valori
paesaggistici ed ambientali presidiati dal vincolo (cfr. Cass. II Sez. n. 1512/82; Cons. St., IV Sez., n. 682/92).
Consegue dalla impostazione su riportata che il piano paesistico territoriale ben pu individuare i beni che siano
ritenuti meritevoli di tutela, n si pu ritenere che nel dettare la disciplina di tutela primaria, posto che si muove
su un livello sovraordinato alla programmazione urbanistica, debba tener conto delle modifiche che questa
ultima deve necessariamente subire per assicurare al paesaggio una tutela tale da non essere incisa nel tempo
da singole scelte di gestione del territorio, che comunque trovano nella pianificazione di rango superiore un
limite e un indirizzo. Fissata entro tali limiti la portata del piano paesistico territoriale, appare evidente la
manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimit costituzionale degli artt. 5 L. n. 1497/39, 23 R.D. n.
1357/40 e 1 bis L. n. 431/85 per contrasto con gli artt. 97 e 128 Cost. Consiglio di Stato, Sezione IV, 29 luglio
2003, sentenza n. 4351 (vedi: sentenza per esteso)
P.R.G. - opere preesistenti in contrasto con le nuove destinazioni di zona gli interventi - interessi urbanistici ed
ambientali. Gli strumenti urbanistici, in quanto atti di pianificazione dello sviluppo urbanistico, sono
essenzialmente rivolti a disciplinare la futura attivit di trasformazione del territorio per cui le relative prescrizioni
non riguardano le opere gi eseguite in conformit alla disciplina previdente, per cui debbono ritenersi in linea di
massima consentiti sulle opere preesistenti attualmente in contrasto con le nuove destinazioni di zona gli
interventi necessari per integrarne o mantenerne la funzionalit (V. la decisone di questa Sezione n. 176 del
19.2.1997). (Nella specie si trattava di armonizzare tra di loro contrastanti interessi urbanistici ed ambientali
essendosi modificata nel tempo la destinazione di zona dellarea da industriale ad attrezzature distributive).
Consiglio di Stato, Sezione V, 29 luglio 2003, sentenza n. 4321
Urbanistica - concessione edilizia - oneri concessori - scomputo delle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria - sussistenza - circostanza che le modalit di realizzazione non siano state concordate con il comune
- irrilevanza ai fini dello scomputo - modalit e garanzie - giurisprudenza. Il soggetto titolare di concessione
edilizia (oggi permesso di costruire) pu previa convenzione con il Comune (ovvero come prescrive lart. 11,
comma 1 della legge 28.1.77, n. 10, ora sostituito dallart. 16 del T.U., emanato con D.P.R. n. 380/2001 "con le
modalit e le garanzie stabilite dal Comune") realizzare in tutto o in parte le opere di urbanizzazione, sia
primarie che secondarie, a scomputo dei relativi oneri; quando anche, tuttavia, modalit e garanzie non siano
state previamente concordate con il Comune stesso, la prevalente giurisprudenza ritiene che il concessionario
abbia diritto allo scomputo, previa valutazione comunale della entit e della effettiva utilizzazione delle opere
realizzate, ovvero della idoneit delle medesime a soddisfare le necessit del nuovo insediamento (in tal senso
cfr. Cons. St., sez. V, 26.6.94, n. 716; Cons. St., sez. IV, 7.6.77, n. 578; Cons. Giust. Amm. Sic., 30.6.95, n. 245;
TAR Calabria, Catanzaro, 24.7.97, n. 526 e 24.10.96, n. 797; TAR Toscana, 21.10.85, n. 849; TAR Lombardia,
Milano,2.10.82, n. 924). TAR LAZIO, SEZ. II BIS Sentenza 22 luglio 2003 n. 6570 (vedi: sentenza per esteso)
Urbanistica - oneri concessori - concessione edilizia - scomputo delle opere di urbanizzazione primaria e
secondaria realizzate dal concessionario - possibilit per il comune di avvalersi senza motivazione di opere non
scomputate - non sussiste - indebito arricchimento. Il diritto del titolare della concessione edilizia di realizzare in
tutto o in parte le opere di urbanizzazione, sia primarie che secondarie, a scomputo dei relativi oneri, non implica
una pretesa indiscriminata allo scomputo del valore di qualsiasi opera di urbanizzazione, volontariamente
eseguita dal concessionario al di fuori di un preventivo accordo con il Comune, ma esclude che il medesimo
Comune possa senza adeguata motivazione e con oggettivo, indebito arricchimento porre a servizio della
collettivit e dello stesso concessionario opere da quesultimo eseguite, senza che il relativo valore venga
scomputato dalla prestazione patrimoniale imposta, di tipo causale - ovvero, finalizzata appunto alla
predisposizione di infrastrutture - corrispondente agli oneri di urbanizzazione (cfr., per il principio, Cons. St., sez.
V, n. 716/94 cit. e 29.9.99, n. 1209; TAR Emilia Romagna, Parma, 7.4.98, n. 149 e TAR E.R., Bologna,
13.11.86, n. 597; TAR Veneto, 26.6.93, n. 522; TAR Lombardia, Milano, 20.5.98, n. 1036; TAR Marche, 28.4.95,
n. 182). TAR LAZIO, SEZ. II BIS Sentenza 22 luglio 2003 n. 6570 (vedi: sentenza per esteso)
Lautorizzazione allinstallazione degli impianti pubblicitari - divieti - gestione (e propriet) degli stessi - la
giurisdizione del giudice ordinario - regolamento preventivo di giurisdizione - la gestione degli spazi pubblicitari accertamento della scadenza delle convenzioni e della propriet degli impianti pubblicitari. Il profilo pubblicistico
dellautorizzazione allinstallazione degli impianti pubblicitari, contenuto nelle disposizioni in precedenza citate,
attiene allesigenza che i messaggi pubblicitari, diversamente da quelli di servizio, non debbano essere visibili
dallutente autostradale durante la marcia, ma soltanto nelle aree di sosta; una volta rispettato tale divieto, non vi
alcuna interferenza con gli interessi pubblicistici: lattivit (pubblicitaria) di gestione degli impianti quindi del

tutto estranea alle funzioni, affidate al concessionario autostradale, rilevanti invece dal punto di vista
pubblicistico. La giurisdizione del giudice ordinario, rilevando che lattivit esercitata dalla societ autostrade per
la gestione degli spazi pubblicitari nelle aree di sosta ha carattere imprenditoriale, economico - commerciale,
senza alcuna connessione con il servizio pubblico affidato in concessione, che, in base all'articolo 10 della legge
n.537 del 1993, ha come oggetto principale la costruzione e la gestione di autostrade. Pertanto la societ
autostrade, nello stipulare le convenzioni in questione, ha agito in veste privatistica, per il perseguimento di
interessi economici ed imprenditoriali, disancorati dallo scopo di assicurare il pubblico servizio in concessione.
Peraltro, con ordinanza n. 2817 del 24 febbraio 2003, la Corte di Cassazione, sezioni unite civili, si
pronunciata su un regolamento preventivo di giurisdizione, relativo ad una controversia intrapresa dalla societ
Autostrade davanti al giudice ordinario e nei confronti delle odierne appellanti, per l'accertamento della scadenza
delle stesse convenzioni e per l'accertamento della propriet degli stessi impianti pubblicitari, oggetto del
presente giudizio. Inoltre, la Cassazione, ha affermato che la possibilit di rinnovo delle autorizzazioni alla
gestione degli impianti pubblicitari, prevista dall'articolo 15 della convenzione, non espressione di attivit
pubblicistica, ma rappresenta unattivit di impresa svolta dalla societ autostrade quale soggetto privato. Tali
conclusioni sono assolutamente condivisibili e confermano la fondatezza della tesi della sussistenza della
giurisdizione del giudice ordinario. Consiglio di Stato, Sezione VI - 21 luglio 2003, sentenza n. 4205
La concessione edilizia in una localit classificata sismica - costruzione, sopraelevazione o riparazioni in localit
sismica - preavviso scritto, notificato a mezzo del messo comunale o mediante lettera raccomandata con
ricevuta di ritorno, contemporaneamente, al sindaco ed all'ufficio tecnico della regione o all'ufficio del genio civile
- necessit - responsabilit - effetti - distanza dal ciglio stradale. In base allart. 17 della legge n. 64 del 1974 gi
citato, infatti, chi vuole eseguire in localit sismica una costruzione, sopraelevazione o riparazioni tenuto a
darne preavviso scritto, notificato a mezzo del messo comunale o mediante lettera raccomandata con ricevuta di
ritorno, contemporaneamente, al sindaco ed all'ufficio tecnico della regione o all'ufficio del genio civile secondo
le competenze vigenti. Il Sindaco (oggi il dirigente dellU.T.C.), responsabile del governo urbanistico del
territorio comunale, prima di rilasciare una concessione edilizia (oggi permesso a costruire) in una localit
classificata sismica e per la quale necessaria la preventiva autorizzazione degli uffici competenti, tenuto, ad
avviso della Sezione, ad accertare la regolarit di tale autorizzazione, nei suoi profili di ordine formale, in quanto
tali profili si riflettono sul titolo concessorio, invalidandolo se irregolari. (La costruzione di cui alla concessione
edilizia assentita alta 18 metri mentre, in base alla normativa antisismica contenuta nel Decreto del Ministro
dei Lavori Pubblici del 16.1.1996, n. 19, non avrebbe dovuto superare gli undici metri - distanza dal ciglio
stradale). Consiglio di Stato, Sezione V - 14 luglio 2003, sentenza n. 4165 (vedi: sentenza per esteso)
Urbanistica - Condono edilizio - Istanza dolosamente infedele Diniego - Controllo dellAmministrazione
sullattendibilit dei dati forniti Obbligo. Il richiedente il condono edilizio ha lonere di fornire un principio di
prova in ordine alla preesistenza delle opere alla data utile al condono (Cons. Stato , Sez. IV, 10.01.2000 n.100),
restando a carico dellAmministrazione il controllo sullattendibilit dei dati forniti ed eventualmente la
contrapposizione delle risultanze di proprie verifiche (Cons. Stato Sez.V 12 10.1999). Pres. BIANCHI - Est.
AURELI Verrelli (avv. Ceci) c. Comune di Latina (avv. Di Leginio).T.A.R. LAZIO Sezione Staccata di Latina del
10 luglio 2003, (Ud. 23 maggio 2003) Sentenza n. 655. (vedi: sentenza per esteso)
Accesso ai documenti - annullamento del diniego, oppostogli dal Comune, di accesso alla documentazione
amministrativa relativa alla pratica di condono edilizio. La circostanza della materiale indisponibilit dellatto
preclusiva dellaccoglimento della domanda di accesso unicamente nellipotesi nella quale la competenza, e la
relativa disponibilit dei documenti oggetto dellistanza di accesso, sia stata trasferita ad altro ente
successivamente alla formazione degli atti, mentre la mancanza di un trasferimento di competenze ed il difetto di
una cessione dei documenti ad altra autorit impongono di reputare tenuta allostensione lamministrazione che
ha formato gli atti, senza che possa attribuirsi alcuna rilevanza alla sopravvenuta indisponibilit degli stessi (cfr.
dec. 22.4.2002 n. 2186). Gli atti di cui trattasi non risultano essere coperti da segreto. Pertanto,
lamministrazione comunale deve porre in essere tutte le iniziative necessarie (acquisizione, a sua cura, di copia
degli atti direttamente presso gli uffici della Procura della Repubblica) per rendere ostensibile allinteressato la
documentazione che forma oggetto della domanda di accesso. Consiglio di Stato, Sezione V, - 10 luglio 2003,
sentenza n. 4126
Edilizia - determinazione e liquidazione dei contributi di urbanizzazione - giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo - la ripetizione dellindebito. In tema di determinazione e liquidazione dei contributi di
urbanizzazione sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la quale non riguarda solo i casi in
cui la domanda proposta dal concessionario diretta a contestare la legittimit della pretesa avanzata dal
Comune, ma anche quelli in cui la domanda diretta ad ottenere la ripetizione di quanto si assume
indebitamente pagato (cfr. Corte di Cass., SS.UU., 19.10.1990 n. 10177; C.d.S., Sez. V, 21.10.1991 n. 1235 e
15.4.1999 n. 433). Consiglio di Stato, Sezione V, - 10 luglio 2003, sentenza n. 4102 (vedi: sentenza per esteso)
Le controversie concernenti i contributi di concessione edilizia - termini di prescrizione. Le controversie
concernenti i contributi di concessione edilizia sono giudizi che riguardano diritti soggettivi, che non
soggiacciono alle regole del processo impugnatorio e non esigono che si impugni, entro i termini decadenziali,
latto con il quale il Comune ne abbia richiesto il pagamento, ma possono essere attivate entro i termini di
prescrizione (cfr. C.d.S., Sez. V, 31.10.1992 n. 1145; 19.7.1996 n. 960 e cit. dec. n. 433 del 1999). Consiglio di
Stato, Sezione V, - 10 luglio 2003, sentenza n. 4102 (vedi: sentenza per esteso)
Il mutamento di destinazione duso degli immobili - profilo urbanistico - immobile realizzato nel 1968. In

mancanza della disciplina regionale e tenuto conto che nel sistema delineato dalla legge n. 47/1985 (v., oltre agli
artt. 7 e 8 e 25, anche gli artt. 15 e 26) il mutamento di destinazione duso degli immobili ha rilievo sotto il profilo
urbanistico solo se accompagnato da opere edilizie, non sia necessaria la concessione. Vero , peraltro, che
questa Sezione ha avuto occasione di precisare (cfr dec. n. 24 del 3.1.1998) che, in assenza della disciplina
regionale, non possono ritenersi liberalizzati, nelle more, tutti i cambiamenti di destinazione, ancorch senza
opere, qualora si pongano in manifesto contrasto con i vigenti assetti urbanistici di zona. Ma, nella specie, tale
problema non si pone, in quanto la stessa amministrazione appellante d atto, a pag. 8 del suo appello, che nel
contesto della zona interessata la modifica dellimmobile da industriale a commerciale ammissibile. Daltra
parte, il caso in esame non appare neanche riconducibile, a meno che non si dia rilievo alla situazione di fatto,
ad un vero e proprio mutamento di destinazione duso, considerato che limmobile stato realizzato nel 1968,
durante la vigenza della L. n. 765/1967, e che, pertanto, loriginaria licenza edilizia non indicava una specifica
destinazione duso. Consiglio di Stato, Sezione V, - 10 luglio 2003, sentenza n. 4102 (vedi: sentenza per esteso)
Edilizia e urbanistica Abbassamento dellaltezza interna dei vani del fabbricato con conseguente aumento
dellaltezza interna dei sottotetti - variazione essenziale nelledificio D.I.A. Insufficiente Permesso di
costruire Necessit. Labbassamento dellaltezza interna dei vani del fabbricato oggetto dellintervento
contestato, da mt. 4,00 a 3.00 circa, con conseguente aumento dellaltezza interna dei sottotetti da unaltezza
minima di mt. 1,50 a quella massima di mt. 2,50, non rientra nella manutenzione ordinaria. Trattasi di intervento
determinante una variazione essenziale nelledificio, ben oltre i limiti stabiliti dall'art. 8 primo comma lett. c) e d)
L. Reg. Lazio 2 luglio 1987 n. 36, in ragione del conseguente aumento del volume abitabile e delle unit
immobiliari, attese le ragguardevoli ed innovative dimensioni dellintervento, avendo perduto i preesistenti
sottotetti le loro originarie caratteristiche funzionali e strutturali. Onde da escludere che quello effettuato dalla
societ ricorrente possa qualificarsi un intervento di manutenzione ordinaria, a cui si accompagna, invero, la
conservazione dellassetto preesistente, nella fattispecie non verificatosi, assentibile con la D.I.A. di cui allart. 2,
comma 60 della legge n.662 del 1996. Pres. BIANCHI - Est. AURELI s.r.l. Italiana Turismo 93 (avv. Graziani)
c. Comune di S. Felice Circeo (non costituitosi). T.A.R. LAZIO Sezione Staccata di Latina del 4 luglio 2003, (Ud.
9 maggio 2003) Sentenza n. 637
La determinazione del corrispettivo della concessione di un diritto di superficie - calcolo. Quando, non si tratta
della determinazione del contributo per il rilascio di una concessione edilizia, che ha natura di prestazione
patrimoniale imposta commisurata allincidenza delle spese di urbanizzazione ed al relativo costo di costruzione
(art.3 L. n. 10/1977), senza che la sua determinazione corrisponda a costi effettivi o a specifici benefici, ma del
corrispettivo della concessione di un diritto di superficie che deve corrispondere esattamente al costo di
acquisizione delle aree e delle opere di urbanizzazione (gi realizzate o da realizzare), secondo quanto
espressamente previsto dallart. 35 L. n.865/1971 (V. le decisioni di questo Consiglio, Sezione V n. 462 del
6.5.1997 e Sezione IV n. 5359 dell11.10.2001). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003,
Sentenze nn. 3982 - 3981. Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenza n. 3983
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia urbanistica ed edilizia - provvedimenti di rilascio
o diniego della concessione edilizia - determinazione o liquidazione del contributo di concessione e delle
sanzioni. La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo deve ritenersi comunque sussistente in materia
sulla base dellart. 7 L. 21.7.2000 n. 205, che nel sostituire lart. 34 del D. L.vo 31.3.1998 n.80, gli ha
espressamente devoluto le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti delle
amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia. In specie, la
controversia non rientra nellart. 16 L. 8.1.1997 n. 10, il quale ha previsto la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo avverso i provvedimenti di rilascio o diniego della concessione edilizia, e la determinazione o
liquidazione del contributo di concessione e delle sanzioni di cui ai successivi artt. 15 e 18. N pu escludersi
lapplicabilit delle nuove disposizioni in materia di giurisdizione di cui allart. 7 L. n. 205/2000 per il fatto che la
controversia risale allanno 1994, atteso che il principio di cui allart. 5 c.p.c. (secondo cui la giurisdizione si
determina in base alla legge vigente ed allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della
domanda, con irrilevanza dei successivi mutamenti), trova applicazione solo nel caso di sopravvenuta carenza di
giurisdizione del giudice originariamente adito ma non anche allorch il mutamento dello stato di diritto o di fatto
viene a comportare lattribuzione della giurisdizione al giudice che ne era privo inizialmente (V. Cass. S.U.
n.15885 del 12.11.2002). Con la conseguenza che in questultima ipotesi (come nel caso in esame) evidenti
ragioni di economia processuale impediscono al giudice, in mancanza di norme transitorie specifiche, di
declinare la giurisdizione, che viene ad essere convalidata dalla normativa sopravvenuta nel corso del giudizio
(V. la decisione di questa Sezione n. 4236 del 6.8.2001). Conforme: Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio
2003, Sentenze nn. 3982 - 3981. Consiglio di Stato, Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenza n. 3983
Lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio - definizione. Ai sensi dellart. 18 della legge n. 47 del 28
febbraio 1985, si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate opere che
comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti
urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta
autorizzazione; nonch quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o
atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del
terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale
previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non
equivoco la destinazione a scopo edificatorio. Nella specie, risulta illegittima la sospensione di lavori, consistenti
in una recinzione con pali in legno e rete metallica, seguita dalle comminatorie di cui allart. 18, comma 7, della
legge n. 47/1985, ritenendo, che dette opere sostanziassero una lottizzazione abusiva. Consiglio di Stato,
Sezione V, - 3 luglio 2003, Sentenza n. 3973
Difesa del suolo Territorio Pianificazione urbanistica Potere di salvaguardia degli interessi ambientali

Sussistenza L. 1150/1942. Attraverso la pianificazione urbanistica, le esigenze ambientali e di difesa del suolo
possano trovare adeguata composizione in sede locale con gli altri interessi pubblici che concorrono a
determinare le scelte urbanistiche. Pertanto, gli organi preposti alla formazione del piano regolatore hanno il
potere, ai sensi dellart. 7, n. 5, della legge n. 1150 del 1942 e dellart. 9 della legge regionale n. 61 del 1985, di
salvaguardare attraverso il p.r.g. anche gli interessi ambientali e la difesa del suolo. (Nella specie, un vincolo di
inedificabilit previsto dal P.R.G. a tutela dellequilibrio idrogeologico sotterraneo, era stata ritenuto sicuramente
applicabile ad un intervento di scavo di notevole consistenza, per la realizzazione di vasche di piscicoltura).
Pres. ed Est TRIVELLATO Recchia (Avv.ti Pasetto e Bellussi) c. Comune di Cerea (Avv.ti Petrosino e
Rossettini) e Regione Veneto (Avv. Stato). T.A.R. VENETO, Venezia, Sez. II 1 luglio 2003, n. 3493
Prg - la reiterazione dei vincoli - i limiti di durata fissati dal Legislatore - la mancata previsione di indennizzo vincolo de facto di durata indeterminata - il procedimento del silenzio-rifiuto - rito processuale di cognizione e di
ottemperanza - tutela risarcitoria o indennitaria - il c.d. periodo di franchigia. La Corte Costituzionale ha
dichiarato la illegittimit costituzionale non dellintero complesso normativo che consente la reiterazione dei
vincoli, ma esclusivamente della mancata previsione di indennizzo in tutti i casi di permanenza del vincolo
urbanistico preordinato allespropriazione o comportante la assoluta inedificabilit oltre i limiti di durata fissati dal
Legislatore, quali indici di ordinaria sopportabilit da parte dei singoli (Corte Cost. n. 179/99 cit.). Daltra parte
non pu fondatamente ritenersi che il soggetto interessato da un vincolo de facto di durata indeterminata, sia
privo di tutela; egli, infatti, in caso di inerzia dellEnte territoriale nella realizzazione delle proprie scelte
urbanistiche (nella specie il Comune), pu promuovere gli interventi sostitutivi della Regione oppure agire in
sede giurisdizionale seguendo il procedimento del silenzio-rifiuto. A questa tradizionale forma di tutela - la cui
concreta effettivit risulta oggi assai implementata dalla notevole accelerazione impressa al rito processuale di
cognizione e di ottemperanza, in materia di silenzio rifiuto, dall'art. 21 bis della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, nel
testo novellato dalla L. 21 luglio 2000 n. 205 - si affiancano ulteriori strumenti di tutela complementare. Trattasi
della tutela risarcitoria o indennitaria. Se, anche per effetto dell'applicazione del regime provvisorio di cui all'art.
4, ultimo comma, della citata legge n. 10 del 1977, derivi a carico di un fondo la protrazione, oltre il c.d. periodo
di franchigia, del divieto assoluto di ogni sua utilizzazione (secondo i criteri fissati dalla Corte cost., 20 maggio
1999 n. 179 cit.), ipotizzabile - almeno secondo un ragionevole orientamento dottrinale - il diritto del
proprietario a un indennizzo, alla stregua della ricordata sentenza costituzionale di accoglimento. Consiglio di
Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3903
Comuni sprovvisti dei piani di zona ex lege n. 167 del 1962 - il provvedimento di localizzazione - gli atti della
sequenza procedimentale espropriativa - il decreto di occupazione durgenza. Nei comuni sprovvisti dei piani di
zona ex lege n. 167 del 1962 o comunque esauriti, il provvedimento di localizzazione adottato a mente dellart.
51, l. n. 865 del 1971 non presuppone lintervenuta approvazione da parte della regione, dello strumento
urbanistico generale recante la nuova destinazione a edilizia residenziale delle aree espropriande, bens la
semplice adozione e trasmissione in vista dellapprovazione; conseguentemente ben possono adottarsi tutti gli
atti della sequenza procedimentale espropriativa, compreso il decreto di occupazione durgenza prima
dellapprovazione stessa. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003, Sentenza n. 3896 (vedi: sentenza per
esteso)
Occupazione usurpativa successiva - sequenza procedimentale espropriativa successiva - P.E.E.P. lannullamento della dichiarazione di pubblica utilit indifferibilit ed urgenza - inesistenza - nullit del
provvedimento espropriativo e di occupazione durgenza. Lo strumento urbanistico pu essere anche
semplicemente adottato ai fini della legittimit della localizzazione ex art. 51, l. n. 865 cit. e della successiva
sequenza procedimentale espropriativa (cfr. sez. IV, 8 maggio 2000, n. 2643); al punto che stata ritenuta
legittima l'occupazione d'urgenza di aree oggetto di localizzazione, disposta prima che i proprietari abbiano
potuto formulare le osservazioni al P.E.E.P., nel quale la localizzazione si iscrive (cfr. sez. IV, 14 marzo 1990, n.
172). Secondo la prevalente giurisprudenza, infatti, sono da ritenersi essenziali ai fini di tutela delle posizioni
soggettive dei privati solo quelli finali di completamento delle opere e delle procedure espropriative (cfr. da
ultimo sul carattere meramente ordinatorio dei termini iniziali, Cons. Stato, sez. VI, 30 dicembre 2002, n. 8219).
E il caso classico, dellannullamento della dichiarazione di pubblica utilit indifferibilit ed urgenza che comporta
linesistenza nullit del provvedimento espropriativo e di occupazione durgenza, dando luogo a quella che la
pi recente giurisprudenza qualifica come occupazione usurpativa successiva (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 9 luglio
2002, n. 3819; Cass. civ. sez. I, 30 gennaio 2001, n. 1266; 28 marzo 2001, n. 4451; 18 febbraio 2000, n. 1814;
Corte europea dei diritti delluomo, 30 maggio 2000, Belvedere). Consiglio di Stato, Sezione IV, - 30.06.2003,
Sentenza n. 3896 (vedi: sentenza per esteso)
Ricorso avverso lo strumento urbanistico - legittimazione ad agire - limiti - diritto di propriet. Il diritto di propriet
degli originarii ricorrenti evidenzia quel loro qualificante rapporto con il territorio che legittima il loro interesse al
ricorso avverso lo strumento urbanistico di cui si discute (le cui previsioni sono peraltro preordinate alla
espropriazione delle aree ricadenti nel p.i.p. medesimo), una loro posizione altrettanto qualificata non pu
ravvisarsi con riguardo alla deliberazione consiliare (convocata in seduta straordinaria), la quale, seppure atto
impulsivo dellintera fattispecie procedimentale, non vale a ledere lunico loro interesse meritevole di tutela
giurisdizionale, ch quello al corretto assetto urbanistico delle aree di loro propriet. Consiglio di Stato, Sezione
IV, - 24 giugno 2003, sentenza n. 3818
Linteresse ad impugnare un piano urbanistico - diviene attuale solo a sguito della approvazione del
regolamento urbanistico - lapposizione di vincoli preordinati alla espropriazione. Linteresse ad impugnare un
piano urbanistico, insorge e diviene attuale solo a sguito della approvazione del regolamento urbanistico (ch
strumento precettivo e direttamente conformativo nei confronti dei privati), avendo esso solo rilevanza concreta

(anche mediante lapposizione di vincoli preordinati alla espropriazione) sul godimento e sul valore di mercato
delle aree dallo stesso interessate. Consiglio di Stato, Sezione IV, - 24 giugno 2003, sentenza n. 3818
La protrazione a tempo indeterminato delle misure di salvaguardia - limiti - prg - regione Puglia - pianificazione
urbanistica. Nella regione Puglia, l'art. 17 comma 2, l. reg. 31 maggio 1980 n. 56 non consente la protrazione a
tempo indeterminato delle misure di salvaguardia ex art. un., l. 3 novembre 1952 n. 1902, la cui adottabilit e i
cui effetti permarrebbero fino all'approvazione dello strumento urbanistico, a condizione, per, che tale termine
non superi quello massimo previsto dalla norma statale, in quanto tali misure sono strumentali al fine di
un'efficace pianificazione urbanistica, ma, proprio perche' si traducono in un divieto d'edificabilit delle aree
interessate, non possono avere che una durata temporanea e una natura eccezionale e derogatoria della
disciplina che sottomette l'attivit edificatoria al piano regolatore, ch, diversamente argomentando, si
tradurrebbero in un sacrificio per i privati non piu' giustificato dall'interesse pubblico ad un'armonica definizione
del piano stesso. (Consiglio Stato sez. V, 6 dicembre 1999, n. 2067). Consiglio di Stato Sez. V, del 16 giugno
2003, sentenza n. 3357
Concessione edilizia - lobbligo giuridico del titolare di una concessione edilizia di versare i relativi contributi prescrizione - atto di imposizione e liquidazione del contributo - la disciplina legale della prescrizione non
derogabile neppure per atto unilaterale del titolare del diritto. La giurisprudenza di questo Consiglio ha avuto,
perci, modo di precisare che il fatto costitutivo dellobbligo giuridico del titolare di una concessione edilizia di
versare i relativi contributi, ai sensi della legge n. 10 del 1977, rappresentato dal rilascio della concessione
edilizia ed a tale momento che occorre aver riguardo per la determinazione dellentit del contributo, in
applicazione della normativa vigente allatto del rilascio (V Sez. 25 ottobre 1993, n. 1071 e 6 dicembre 1999, n.
2058). Ed , di conseguenza, da quel momento stesso che lamministrazione pu far valere lobbligo che grava
sul cittadino. Un diritto si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato
dalla legge: art. 2934 cod. civ. La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto pu essere fatto
valere: art. 2935 cod. civ. Le norme in questione si applicano anche al diritto di credito del Comune avente per
contenuto il contributo in esame, in difetto di disposizioni speciali che regolino in modo diverso la specifica
obbligazione. Se, dunque, dal giorno del rilascio della concessione che lamministrazione comunale pu far
valere il suo diritto di credito, anche fissando modalit e garanzie particolari, dalla medesima data che decorre
la prescrizione del suo diritto. Latto di imposizione e liquidazione del contributo, dovuto in base alla legge n. 10
del 1977, non ha, infatti, natura autoritativa, ma si ri-solve in un mero atto ricognitivo e contabile, in applicazione
di provvedimenti generali (conf. Sez. V 27 ottobre 1986, n. 577 e 4 dicembre 1990, n. 810; C. si. 5 maggio 1993,
n. 154). Ne segue che lAmministrazione non ha alcun potere di differire lesercizio del suo diritto di credito,
come, invece, ha ritenuto il primo giudice, e che lomessa emanazione di tale atto si configura come mancato
esercizio del diritto di credito, idoneo a far decorrere il periodo di prescrizione. E, poich in mancanza di norme
speciali vigenti nel 1980, il termine in questione quello decennale, fissato dallart. 2946 del codice civile, deve
riconoscersi che il diritto di credito del Comune era estinto per compimento del periodo di dieci anni decorrenti
dalla data del rilascio della concessione edilizia. N rileva che lamministrazione comunale si sia riservata di dar
corso alla richiesta di pagamento in prosieguo di tempo, sia perch per i diritti di credito, la realizzazione dei
quali esige unattivit del creditore come nel caso in esame , la prescrizione decorre dal giorno in cui lattivit
poteva essere compiuta ed egli poteva, cos, mettersi in grado di esigere la prestazione dovuta, sia perch
linerzia del titolare del diritto assume rilevanza dal momento in cui possibile esercitare il diritto, sia, infine,
perch la disciplina legale della prescrizione non derogabile, a norma dellart. 2936 cod. civ., neppure, quindi,
per atto unilaterale del titolare del diritto. Ne deriva che con latto impugnato e, prima ancora, con quello di invito
al pagamento del contributo in parola, il Comune ha chiesto ladempimento di un credito che era ormai
prescritto. Nello stesso senso: Consiglio di Stato Sez. V, del 13 giugno 2003, sentenza n. 3332. Consiglio di
Stato Sez. V, del 13 giugno 2003, sentenza n. 3333
Oneri di urbanizzazione - contributo - modalit di pagamento. Insieme agli oneri di urbanizzazione, il contributo
deve essere determinato al momento del rilascio della concessione. Contestualmente lamministrazione deve
quantificare e a individuare le modalit di pagamento. Nello stesso senso: Consiglio di Stato Sez. V, del 13
giugno 2003, sentenza n. 3332. Consiglio di Stato Sez. V, del 13 giugno 2003, sentenza n. 3333
Destinazione di un immobile - criteri - vincoli urbanistici - concessione - a nulla rileva l'uso di fatto che
dell'immobile fa il titolare - l'abuso commesso dal proprietario - cambio illegittimo di destinazione duso. La
destinazione di un immobile non argomentabile dall'uso che ne abbia fatto il titolare, dovendo essere desunta
dalla legge, dai vincoli urbanistici e dalla concessione a nulla rilevando l'uso di fatto che dell'immobile fa il titolare
(in argomento cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12/03/1992, n. 211; Cons. Stato, Sez.V, 23/02/2000, n. 949). L'abuso
eventualmente commesso dal proprietario che abbia destinato a scopi commerciali parte di un immobile con
destinazione industriale non vale ad imprimere allo stesso una destinazione diversa a quella risultante dal titolo.
(In specie alla luce delle suesposte considerazioni stato ritenuto legittimo il provvedimento di diniego di
concessione edilizia emanato dal Comune di Chieri che ha qualificato l'intervento richiesto fosse come
"ristrutturazione di tipo B con aumento della superficie lorda di pavimento e mutamento di destinazione d'uso da
industriale a terziario commerciale"). Consiglio di Stato Sez. V, - 11 giugno 2003, sentenza n. 3295 (vedi:
sentenza per esteso)
Liter di approvazione del regolamento edilizio comunale - modifiche sostanziali apportate ed introdotte necessit di formale deliberazione consiliare finale - conseguente pubblicazione nei termini e nei modi di legge.
Giova prendere le mosse dallappurata circostanza della ancora non intervenuta efficacia (al tempo del rilascio
della concessione) dellinvocato regolamento edilizio comunale per mancato perfezionamento della relativa
trama procedimentale, alla stregua del principio di diritto enunciato da Cass., II, 15 aprile 1991, n. 3999,
secondo cui nel caso di un regolamento edilizio (con annesso programma di fabbricazione) approvato dal
Presidente della Giunta Regionale competente con modifiche sostanziali apportate ed introdotte dal detto

organo, pur sempre necessaria, e costituisce condizione di efficacia dello strumento urbanistico nella sua
interezza (cio e per la parte modificata e per la parte non modificata), una formale deliberazione consiliare
finale (di accettazione o di presa datto delle modifiche apportate ed introdotte nello strumento urbanistico
medesimo, da inserire e coordinare in un testo unico), con la conseguente pubblicazione di essa nei termini e
nei modi di legge. Consiglio di Stato Sez. V, - 11 giugno 2003, sentenza n. 3287
Urbanistica e Edilizia - Costruzione edilizia - Manufatto avente carattere precario - Requisiti - Individuazione - L.
n. 47/1985 - D. P. R. n.380/2001. In materia edilizia al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio della
concessione edilizia (ora permesso di costruire con l'entrata in vigore del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380) la
realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non pu essere desunta dalla
temporaneit della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla
intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici,
contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilit di successiva e sollecita eliminazione. Pres. Toriello
F - Est. Fiale A - Imp. Nagni - PM. (Conf.) Aizzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 10 Giugno 2003
(UD.04/04/2003) RV. 225380, sentenza n. 24898
Urbanistica - Antisismica - Edilizia - Zone Sismiche - Concessione in sanatoria - Estinzione dei reati urbanistici Estensione ai reati concernenti le costruzioni in zone sismiche - Esclusione - Fondamento - Artt. 13 e 22 L. n.
47/1985 - L. n. 64/1974. La concessione in sanatoria ex art. 13 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 estingue (ex
art. 22 della stessa legge) i soli reati contravvenzionali previsti dalle norme urbanistiche, e tra questi non
possono essere ricompresi i reati concernenti le costruzioni in zone sismiche previsti dalla legge 2 febbraio 1974
n. 64, in quanto aventi oggettivit diversa rispetto alle previsioni relative all'assetto del territorio. CED. Pres.
Toriello F - Est. Gentile M - Imp. Saporito ed altri - PM. (Diff.) Albano A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez.
III, del 09/06/2003 (UD.16/04/2003) RV. 225316 sentenza n. 24853
Urbanistica - Lottizzazione abusiva e condono - Edilizia - In genere - Estinguibilit del reato a seguito di condono
edilizio - Esclusione - Effetti sui singoli manufatti abusivi - Artt. 18 cost, 19, 20 e 38 L. n. 47/1985. Il reato di
lottizzazione abusiva, di cui all'art. 18 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 non e' suscettibile di condono edilizio,
diversamente da quanto pu avvenire per i singoli manufatti previa adozione di adeguate varianti allo strumento
urbanistico generale, atteso che l'effetto estintivo non si estende al reato integrato dall'attivit' illecita di
lottizzazione per il vulnus arrecato alla pianificazione urbanistica. Pres. Toriello F - Est. Vitalone C - Imp. Bertelli
ed altri - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 05/06/2003 (UD.04/04/2003) RV.
225311 sentenza n. 24319
Urbanistica - il carattere provvisorio o meno di un intervento edilizio - impianto industriale incompatibile con la
destinazione agricola impressa all'area dal piano regolatore. Il carattere provvisorio o meno di un intervento
edilizio non pu essere desunto dall'intenzione del richiedente, che prevede di mantenere in attivit gli impianti
per un limitato numero di anni, ma dalla natura e consistenza oggettive delle opere e di come queste incidano
sullassetto dei luoghi. (In specie, dagli atti del giudizio di primo grado risulta evidente come si tratti di un
impianto di notevoli dimensioni, costituito da manufatti, attrezzature, ed opere edili di un certo spessore e con
luso di materiali durevoli, quali il cemento armato. Tali opere, indubbiamente, incidono sull'assetto del territorio,
e si traducono nella realizzazione di un impianto industriale incompatibile con la destinazione agricola impressa
all'area dal piano regolatore, con superamento, com' pacifico tra le parti, degli indici di edificabilit, delle altezze
e delle distanze previste dalle prescrizioni urbanistiche). Consiglio di Stato, Sezione V - 4 giugno 2003 sentenza n. 3073 (vedi: sentenza per esteso)
Concessione edilizia - termine per l'impugnazione - l'effettiva e piena conoscenza - l'onere probatorio. La
giurisprudenza ferma nel ritenere come "il termine per l'impugnazione decorre dalla piena ed effettiva
conoscenza di tale provvedimento concessorio che si verifica, in mancanza di altri ed inequivoci elementi
probatori, non con il mero inizio dei lavori, ma con la loro ultimazione." (Consiglio Stato sez. V, 23 maggio 2000,
n. 2983). Ma altrettanto ferma nel ritenere che l'effettiva e piena conoscenza della concessione edilizia
rilasciata a terzi deve essere provata da chi eccepisce la tardivita' della sua impugnazione in modo rigoroso"
(Consiglio Stato sez. V, 25 ottobre 1999, n. 1688 ). Ne consegue che l'onere probatorio deve necessariamente
estendersi a tutti gli elementi della fattispecie, ivi compresa la data di ultimazione dei lavori. Consiglio di Stato,
Sezione V - 4.6.2003 - sentenza n. 3073 (vedi: sentenza per esteso)
Loccupazione dello spazio pubblico - canone per loccupazione o luso di porzioni delle pubbliche vie - lo
spiazzo in cui si svolge il mercato. Il d.lgs. n. 285 del 1992, che ha sostituito la normativa di cui al r.d. n. 1740
del 1933, allart. 27, non manca di prevedere, allart. 27, il versamento del canone per loccupazione o luso di
porzioni delle pubbliche vie. Risulta arduo, daltra parte, concepire lo spiazzo in cui si svolge il mercato, come
entit concettualmente distinguibile dalla strada, alla stregua della latissima definizione che ne danno i c.d.
codici, sia il d.P.R. n. 393 del 1959, sia il d.lgs. n. 285 del 1992, come area di uso pubblico destinata alla
circolazione di pedoni veicoli e animali. Nello stesso senso: Consiglio di Stato, Sezione V - 4 giugno 2003 sentenza n. 3063. Consiglio di Stato, Sezione V - 4 giugno 2003 - sentenza n. 3064
Piano Regolatore Generale - criteri generali - le scelte effettuate dallAmministrazione circa la destinazione di
singole aree - relazione di accompagnamento. Le scelte effettuate dallAmministrazione circa la destinazione di
singole aree non necessitano di apposita motivazione oltre quella che si pu rilevare dai criteri generali, di
ordine tecnico-discrezionale, seguiti nellimpostazione del piano, essendo sufficiente lespresso riferimento alla
relazione di accompagnamento (cfr., in termini, Ad.Pl. 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV 19 gennaio 2000, n.
245) e nella specie, il Comune di Inveruno, con la nuova destinazione a verde sport impressa alla zona
interessata, e nellambito di una voluta distinzione tra aree residenziali ed aree produttive, ha voluto evitare lo
sviluppo di ambiti industriali isolati e concentrare le aree industriali in altra zona del territorio comunale, come
emerge dalla relazione illustrativa allegata al nuovo Piano Regolatore Generale, e tale scelta non appare
illogica, irrazionale, n generica pur se da realizzare attraverso una successiva pianificazione attuativa.

Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio 2003 - sentenza n. 3022


Procedura di approvazione del nuovo strumento urbanistico - fase intermedia - tutela del il nuovo assetto del
territorio programmato dallAmministrazione comunale. Deve, ritenersi legittimo il comportamento del Comune di
Inveruno che, nelle more della procedura di approvazione del nuovo strumento urbanistico, ha fatto corretta
applicazione delle disposizioni contenute nellart. 10 della L. 17 agosto 1942, n. 1150, (nel testo introdotto
dallart. 3 della L. 6 agosto 1967, n. 765), e nellarticolo unico della L. 3 novembre 1952, n. 1902 e ci al fine di
evitare che il nuovo assetto del territorio programmato dallAmministrazione comunale, ma ancora allesame
dellAutorit regionale, possa essere compromesso da una edificazione privata realizzata medio tempore e con
esso contrastante, ancorch rispettosa della previgente disciplina. Consiglio di Stato, Sezione IV - 31 maggio
2003 - sentenza n. 3022
Urbanistica e Edilizia - Concessione edilizia illegittima - Poteri dell'autorit' giudiziaria - Disapplicazione dell'atto Possibilit di disporre il sequestro preventivo - Sussistenza - Condizioni - Art. 20 L. n. 47/1985 - All. e art. 5 L. n.
2248/1865 - Art. 321 Nuovo cod. proc. pen. In materia urbanistica, qualora venga realizzata un'opera sulla base
di una concessione edilizia illegittima, l'esame del giudice penale ha ad oggetto l'eventuale integrazione della
fattispecie penale prevista dall'art. 20 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ed in questa operazione il sindacato
sull'atto illegittimo ha carattere incidentale, trattandosi di un provvedimento che costituisce il presupposto
dell'illecito penale, senza che si debba procedere alla disapplicazione dell'atto stesso. Pertanto, anche in
presenza di una concessione edilizia illegittima, pu essere disposto il sequestro preventivo del manufatto e, in
sede di impugnazione della misura cautelare reale, l'accertamento della sussistenza del "fumus criminis"
limitato alla verifica della configurabilita', quale fattispecie astratta di reato, del fatto contestato, cos come pu
essere desunto dalla imputazione, senza che sia possibile alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza
dell'accusa ed alla probabilit di una pronunzia sfavorevole per l'indagato. Pres. Sansone L - Est. Mannino SF Imp. Marrone ed altri - PM. (Parz. Diff.) Galasso A. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. VI, 27 Maggio 2003
(CC.17/02/2003) RV. 225674, Sentenza n. 23255
Urbanistica e Edilizia - Parcheggi destinati a pertinenze di edifici - Non preesistenti - Realizzabilit sulla base di
semplice autorizzazione - Esclusione - Concessione edilizia - Necessit - Art. 20 L. n. 47/1985 - D. P. R. n.
380/2001 - L. n. 127/1997 - L. n. 122/1989. La costruzione di autorimesse o parcheggi destinati a pertinenza di
fabbricati non preesistenti, diversamente da quanto avviene per la realizzazione di parcheggi a servizio di
fabbricati gi esistenti, e' soggetta a concessione edilizia e non a semplice autorizzazione, atteso che in caso di
contestuale costruzione ex novo del fabbricato e del parcheggio che ne costituisce pertinenza la realizzazione di
quest'ultimo non pu andare disgiunta da quella del fabbricato, con conseguente assoggettamento dell'opera
complessivamente considerata ad unico regime giuridico. Pres. Postiglione A - Est. Fiale A - Imp. Cannizzaro PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale, sez. III, 26 Maggio 2003 (UD.06/03/2003) RV. 225296,
sentenza n. 22929
Il piano regolatore generale - definizione dello strumento di pianificazione - previsioni e prescrizioni - standards
urbanistici - vincoli - la disciplina urbanistica in esso contenuta destinata a svolgere i suoi effetti, ordinatori e
conformativi, esclusivamente con riferimento al futuro - sindacato di legittimit del giudice amministrativo - limiti il Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC). Il piano regolatore generale notoriamente lo strumento,
di carattere programmatico, attraverso cui lente locale provvede alla corretta gestione e alla proficua
utilizzazione del intero territorio. A tal fine, com noto, esso costituito da una serie di previsioni e di
prescrizioni, alcune di natura normativo regolamentari (come quelle contenute nelle norme tecniche di
attuazione ovvero quelle concernenti la determinazione delle tipologie e degli standards urbanistici) e altre di
natura provvedimentale (quali le localizzazioni di opere pubbliche, le zonizzazioni, la imposizione di vincoli di
inedificabilit per motivi storici, ambientali o paesaggistici, il tracciato delle strade e lindividuazione degli spazi
pubblici), tutte improntate ad una unitaria considerazione e gestione del territorio, al fine non tanto e non solo di
regolarne lassetto esistente, ma anche di delinearne e assecondarne lordinato sviluppo urbanistico in modo
adeguato e coerente con gli interessi della collettivit stanziata in un determinato territorio. A ci consegue,
innanzitutto, che la disciplina urbanistica in esso contenuta destinata a svolgere i suoi effetti, ordinatori e
conformativi, esclusivamente con riferimento al futuro: in tal senso lo strumento urbanistico non pu limitarsi a
prendere atto delle situazioni di fatto esistenti sul territorio, ponendosi come obiettivo soltanto la loro
regolazione, pena il tradimento della sua stessa funzione. E in tale ottica che trova fondamento il consolidato
principio giurisprudenziale, secondo cui le scelte urbanistiche dallAmministrazione comunale costituiscono
apprezzamenti di merito, connotati di unamplissima discrezionalit, sottratte al sindacato di legittimit, proprio
del giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi ovvero da arbitrariet,
irrazionalit o manifesta irragionevolezza, in relazione alle esigenze che si intendono concretamente soddisfare
(tra le pi recenti, C.d.S., sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3817; 22 maggio 2000, n. 2934). Per completezza deve
aggiungersi che, in concreto, lunico limite che incontra lente locale nellesercizio della delicata funzione di
pianificazione urbanistica, salvo quello intrinseco gi delineato della non arbitrariet, non irragionevolezza e
non irrazionalit, costituito dalle direttive contenute nei piani territoriali di coordinamento e in quelli ad essi
assimilati, quale con riferimento al caso che ci occupa il Piano territoriale regionale di coordinamento
(PTRC), di cui alla legge 30 aprile 1990, n. 40. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n.
2827 (vedi: sentenza per esteso)
P.R.G. - la necessit di una specifica motivazione - esclusione - relazione di accompagnamento al progetto di
piano - lobbligo di una puntuale motivazione - sussistenza - stipulazione di una convenzione di lottizzazione diniego di concessione edilizia - decadenza di un vincolo preordinato allespropriazione. Le delineate
caratteristiche delle scelte urbanistiche escludono, daltronde, la necessit di una specifica motivazione che
tenga conto, anche solo eventualmente, delle aspirazioni dei cittadini, essendo al riguardo sufficiente il semplice

riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di piano (ex pluribus, C.d.S., sez. IV, 14 dicembre
2002, n. 6297; 6 febbraio 2002, n. 664; 17 gennaio 2002, n. 250; 19 gennaio 2000, n. 245; 8 febbraio 1999, n.
121; 9 luglio 1998 n. 1073). Lobbligo di una puntuale motivazione stato ritenuto sussistente, ai fini del legittimo
uso del jus variandi quando, le nuove scelte incidono su aspettative qualificate del privato, quale quelle derivanti:
dalla stipulazione di una convenzione di lottizzazione; da una sentenza dichiarativa dellobbligo di disporre la
convenzione urbanistica; da un giudicato di annullamento di un diniego di concessione edilizia; dalla decadenza
di un vincolo preordinato allespropriazione (C.d.S., A.P. 22 dicembre 1999, n. 24; sez. IV, 9 luglio 2002, n.
3817; 27 maggio 2002, n. 2899; 20 novembre 2000, n. 6177; 12 marzo 1996, n. 301); stato, invece,
considerato affidamento generico quello relativo alla non reformatio in peius di precedenti previsioni urbanistiche
che non consentono una pi proficua utilizzazione dellarea, con la conseguenza che in tali casi non sussiste la
necessit di una motivazione specifica delle nuove destinazioni urbanistiche rispetto a quelle che pu
agevolmente evincersi dai criteri di ordine tecnico urbanistico seguiti per la redazione dello strumento stesso
(C.d.S., sez. IV, 14 giugno 2001, n. 3146; 20 ottobre 2000, n. 5635; A.P. 22 dicembre 1999, n. 24). Consiglio di
Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2827 (vedi: sentenza per esteso)
Il Piano territoriale regionale di coordinamento (PTRC) e P.r.g. - le direttive contenute nel PTRC sono
obbligatorie e non discrezionali per lAmm. Comunale - la normativa statale e quella regionale in materia
urbanistica disciplinano il concreto esercizio della funzione di pianificazione urbanistica e il relativo uso della
discrezionalit - effettivo soddisfacimento dellinteresse pubblico. In concreto, lunico limite che incontra lente
locale nellesercizio della delicata funzione di pianificazione urbanistica, salvo quello intrinseco gi delineato
della non arbitrariet, non irragionevolezza e non irrazionalit, costituito dalle direttive contenute nei piani
territoriali di coordinamento e in quelli ad essi assimilati, quale con riferimento al caso che ci occupa il Piano
territoriale regionale di coordinamento (PTRC), di cui alla legge 30 aprile 1990, n. 40. Tali direttive indicano
evidentemente - i parametri minimi a cui deve adeguarsi, per la protezione di alcuni specifici interessi urbanistici
ovvero per la tutela di altri interessi pubblici incidenti sulla materia urbanistica (tutela paesaggistica, difesa del
suolo, etc.), la discrezionalit dellente locale, senza poter impedire che il concreto esplicarsi della funzione di
pianificazione possa accordare ai predetti interessi pubblici una tutela anche maggiore di quella minima di
riferimento. Inoltre deve evidenziarsi che la normativa statale (in primis, la legge 17 agosto 1942, n. 1150, e le
successive in materia) e quella regionale in materia urbanistica (con riferimento al caso di specie, la legge
regionale 27 giugno 1985, n. 61) contengono norme che disciplinano il concreto esercizio della funzione di
pianificazione urbanistica e il relativo uso della discrezionalit indirizzandola alleffettivo soddisfacimento
dellinteresse pubblico; tali norme, tuttavia, salvo limitatissime previsioni che devono considerarsi eccezionali e
di stretta interpretazione, non possono giammai essere interpretate nel senso di imporre allAmministrazione
determinate scelte urbanistiche, facendo del relativo strumento urbanistico generale un atto a contenuto, anche
parzialmente, vincolato. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2827 (vedi: sentenza per
esteso)
Tutela ambientale del territorio - pienamente conforme agli indirizzi di tutela del territorio contenuti nella
normativa regionale il prg che impone obbligatoriamente allente locale di individuare nel piano regolatore
generale le zone di tutela e le fasce di rispetto - lindividuazione nel piano regolatore generale delle zone di
tutela, le golene, i corsi dacqua, gli invasi dei bacini naturali ed artificiali, nonch le aree ad essi adiacenti per
una profondit adeguata - le aree soggette a dissesto idrogeologico, a pericolo di valanghe ed esondazioni o
che presentano caratteristiche geologiche o morfologiche tali da non essere idonee a nuovi insediamenti inclusione in un costituendo Parco Agrario - recupero e riqualificazione degli insediamenti industriali esistenti prevalenza degli interessi ambientali - la modificabilit delle aree sulle quali preesistano insediamenti produttivi.
Deve evidenziarsi, infatti, come costituisca circostanza pacifica il fatto che le aree, la cui classificazione
urbanistica oggetto di contestazione, ricadono nellarea golenale del fiume Brenta: orbene, proprio, larticolo 27
della invocata legge regionale del Veneto 27 giugno 1985, n. 61, disciplinando in particolare le zone di tutela e le
fasce di rispetto, impone obbligatoriamente allente locale di individuare nel piano regolatore generale tra le zone
di tutela, le golene, i corsi dacqua, gli invasi dei bacini naturali ed artificiali, nonch le aree ad essi adiacenti per
una profondit adeguata. Pertanto, la scelta operata dallAmministrazione comunale di Fontaniva di classificare
tale zona come agricola (zona E, sottozona E2) pienamente conforme agli indirizzi di tutela del territorio
contenuti nella indicata normativa regionale, volta evidentemente a preservare dallattivit edilizia alcune zone
non solo per il loro particolare valore ambientale, ma anche al fine di evitare eventuali danni alle persone o alle
cose (tra le zone di tutela infatti sono espressamente comprese, per esempio, le aree soggette a dissesto
idrogeologico, a pericolo di valanghe ed esondazioni o che presentano caratteristiche geologiche o morfologiche
tali da non essere idonee a nuovi insediamenti; gli arenili e le aree di vegetazione dei litorali marini; le aree
umide, le lagune e le relative valli; le aree comprese fra gli argini maestri e il corso dacqua dei fiumi e nelle isole
fluviali, etc.). Ci tanto pi se si tiene conto che, come emerge dalle Norme Tecniche di Attuazione, allarticolo
28, disciplinando la sottozona E2, in cui specificamente ricade larea in esame, ne ha previsto la inclusione in un
costituendo Parco Agrario, da realizzare mediante un progetto di sistemazione ambientale finalizzato, oltre che
alla tutela, al ripristino e alla riqualificazione dei caratteri e dei valori naturali e culturali dellambiente (lett. a),
anche al recupero e alla riqualificazione degli insediamenti esistenti, eliminando le situazioni di degrado
ambientale, consentiti per le aree interessate dalle escavazioni anche mediante sistemazioni innovative.
Dallesame di tale norma emerge, altres, la ragionevole certezza che lAmministrazione comunale di Fontaniva
abbia effettuato le contestate scelte urbanistiche nella piena consapevolezza dellesistenza delle attivit
industriali delle societ appellanti e con lintenzione, come si ricava dalla lettura della relazione di
accompagnamento al piano regolatore nel capitolo relativo agli obiettivi della pianificazione, di porre rimedio alla
situazione di degrado ambientale esistente nella zona, ritenendo che la esistenza di tali attivit in loco, per un

verso, non potesse automaticamente legittimare la creazione di una vera e propria zona di insediamenti
industriali, incompatibile con i valori ambientali e naturali del luogo, e, per altro verso, assicurando in ogni caso,
anche nellambito dellistituendo Parco agrario, il recupero e la riqualificazione degli insediamenti esistenti,
proprio nel rispetto della salvezza dei prevalenti interessi ambientali. E significativo, al riguardo, ricordare
lavviso della Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 79 del 10 marzo 1994, pronunziando sulla questione
di legittimit costituzionale proprio dell'art. 24, terzo comma, della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61 della
Regione Veneto sollevata, con riferimento agli artt. 5, 32, 97 e 128 della Costituzione, dal Tribunale
amministrativo regionale per il Veneto sulla base della stessa interpretazione sostenutane dalle societ
appellanti, lha respinta, evidenziando che il predetto articolo 24 si limita a descrivere le caratteristiche delle
zone territoriali omogenee in cui il piano regolatore generale deve suddividere il territorio, prevedendo, al terzo
comma, soltanto che nelle zone di tipo D "vanno comprese anche le parti del territorio gi destinate, totalmente
o parzialmente, a insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati". Una simile disposizione secondo il
giudice delle leggi non impone alcun obbligo per il comune di rendere immodificabili le aree comprese nelle
stesse zone sulle quali preesistano insediamenti produttivi, come si ricava peraltro dalla lettura del successivo
articolo 30, il quale stabilisce che il piano regolatore generale individua le zone territoriali omogenee di tipo D,
indicando fra le altre componenti (al punto 3), gli impianti esistenti "che si confermano nella loro ubicazione".
Secondo la Corte Costituzionale, quindi, resta pur sempre nella disponibilit del comune, in sede di redazione
del piano, di confermare o meno nella loro ubicazione gli impianti industriali esistenti, per cui solo dopo tale
conferma assume rilievo la previsione dell'art. 24, terzo comma, della legge regionale 27 giugno 1985, n 61,
della Regione Veneto, circa l'inclusione nelle zone di tipo D delle parti del territorio gi destinate ad insediamenti
industriali. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2827 (vedi: sentenza per esteso)
P.R.G. - la discrezionalit delle scelte urbanistiche dallAmministrazione comunale - il sindacato di legittimit del
giudice amministrativo - errori di fatto o abnormi ovvero arbitrariet, irrazionalit o manifesta irragionevolezza - le
previsioni contenute in piano territoriale regionale di coordinamento (P.T.R.C.) - direttive che indicano i parametri
minimi a cui deve adeguarsi, per la protezione di alcuni specifici interessi urbanistici - insediamenti per impianti
industriali o ad essi assimilati esistenti - il comune pu modificarne le aree comprese nelle zone sulle quali
preesistano insediamenti produttivi. Le scelte urbanistiche dallAmministrazione comunale costituiscono
apprezzamenti di merito, connotati di unamplissima discrezionalit, sottratte al sindacato di legittimit, proprio
del giudice amministrativo, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi ovvero da arbitrariet,
irrazionalit o manifesta irragionevolezza, in relazione alle esigenze che si intendono concretamente soddisfare.
Le previsioni contenute in piano territoriale regionale di coordinamento sono da considerarsi quali direttive che
indicano i parametri minimi a cui deve adeguarsi, per la protezione di alcuni specifici interessi urbanistici ovvero
per la tutela di altri interessi pubblici incidenti sulla materia urbanistica (tutela paesaggistica, difesa del suolo,
etc.), la discrezionalit dellente locale, senza poter impedire che il concreto esplicarsi della funzione di
pianificazione possa accordare ai predetti interessi pubblici una tutela anche maggiore di quella minima di
riferimento. Larticolo 24 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61, si limita a descrivere le caratteristiche delle
zone territoriali omogenee in cui il piano regolatore generale deve suddividere il territorio, prevedendo, al terzo
comma, soltanto che nelle zone di tipo D vanno comprese anche le parti del territorio gi destinate, totalmente o
parzialmente, a insediamenti per impianti industriali o ad essi assimilati, e non impone alcun obbligo per il
comune di rendere immodificabili le aree comprese nelle stesse zone sulle quali preesistano insediamenti
produttivi, come si ricava peraltro dalla lettura del successivo articolo 30. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26
maggio 2003 sentenza n. 2827 (vedi: sentenza per esteso)
PRG - obbligo di astensione degli amministratori comunali in sede di adozione - principi di legalit, imparzialit e
trasparenza. Lobbligo di astensione che incombe sugli amministratori comunali in sede di adozione (e di
approvazione) di atti di pianificazione urbanistica sorge per il solo fatto che, considerando lo strumento stesso
larea alla quale lamministratore interessato, si determini il conflitto di interessi, a nulla rilevando il fine
specifico di realizzare linteresse privato e/o il concreto pregiudizio dellamministrazione pubblica (C.d.S., sez. IV,
3 settembre 2001, n. 4622; 5 luglio 2000, n. 3734; 18 maggio 1998, n. 827). Tale obbligo, che trova fondamento
nei principi di legalit, imparzialit e trasparenza che deve caratterizzare lazione amministrativa, ai sensi
dellarticolo 97 della Costituzione, essendo finalizzato ad assicurare soprattutto nei confronti di tutti gli
amministrati la serenit della scelta amministrativa discrezionale (C.d.S., sez. IV, 23 febbraio 2001, n. 1038;23
settembre 1996, n. 1035; 20 settembre 1993, n. 794) costituisce regola di carattere generale, che non ammette
deroghe ed eccezioni e ricorre quindi ogni qualvolta sussiste una correlazione diretta ed immediata fra la
posizione dellamministratore e loggetto della deliberazione, pur quando la votazione non potrebbe avere altro
apprezzabile esito e quandanche la scelta fosse in concreto la pi utile e la pi opportuna per lo stesso
interesse pubblico (C.d.S., sez. IV, 12 dicembre 2000, n. 6596; 22 febbraio 1994, n. 162). Consiglio di Stato,
Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2826 (vedi: sentenza per esteso)
Adozione p.r.g. - conflitto di interessi - amministratori comunali - obbligo di astensione - articolo 97 della
Costituzione. Lobbligo di astensione che incombe sugli amministratori comunali in sede di adozione (e di
approvazione) di atti di pianificazione urbanistica sorge per il solo fatto che, considerando lo strumento stesso
larea alla quale lamministratore interessato, si determini il conflitto di interessi, a nulla rilevando il fine
specifico di realizzare linteresse privato e/o il concreto pregiudizio dellamministrazione pubblica: esso trova
fondamento nei principi di legalit, imparzialit e trasparenza che deve caratterizzare lazione amministrativa, ai
sensi dellarticolo 97 della Costituzione ed finalizzato ad assicurare soprattutto nei confronti di tutti gli
amministrati la serenit della scelta amministrativa discrezionale. Lobbligo di astensione costituisce regola di
carattere generale, che non ammette deroghe ed eccezioni e ricorre quindi ogni qualvolta sussiste una
correlazione diretta ed immediata fra la posizione dellamministratore e loggetto della deliberazione, pur quando

la votazione non potrebbe avere altro apprezzabile esito e quandanche la scelta fosse in concreto la pi utile e
la pi opportuna per lo stesso interesse pubblico. Se vero che larticolo 19 della legge 3 agosto 1999, n. 265,
ha quali destinatari solo gli amministratori comunali, il principio dellobbligo di astensione, in quanto espressione
dei principi di legalit, imparzialit buon andamento dellazione amministrativa, fissati dallarticolo 97 della
Costituzione, espressione di una regola generale ed inderogabile, di ordine pubblico, applicabile quindi anche
al di fuori delle ipotesi espressamente contemplate dalla legge che scatta automaticamente allorquando sussiste
un diretto e specifico collegamento tra la deliberazione ed un interesse proprio di colui che vota o dei suoi
congiunti. Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2826 (vedi: sentenza per esteso)
Piani per gli insediamenti produttivi (p.i.p.) - adeguata motivazione che evidenzi linteresse pubblico alladozione
del piano - necessit. In materia di piani per gli insediamenti produttivi, questa Sezione ha pi volte richiamato la
necessit che la loro adozione sia sorretta da unadeguata motivazione, che evidenzi linteresse pubblico
alladozione del piano in vista di un incremento di ricchezza del sistema economico locale (IV, 5 luglio 1995 n.
529; IV, 4 ottobre 2000 n. 5310). Consiglio di Stato, Sezione IV - 26 maggio 2003 sentenza n. 2818
Urbanistica - Lottizzazione abusiva - Edilizia - Costruzione edilizia - Sentenza che dispone la confisca dei terreni
- Acquisizione al patrimonio comunale - Procedimento di esecuzione - Necessit - Esclusione - Artt. 18 cost, 19
e 20 L. n. 47/1985. Con il passaggio in giudicato della sentenza che, all'esito del procedimento per lottizzazione
abusiva, ha disposto, ex art. 19 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, la confisca dei terreni, questi transitano "ipso
iure" nel patrimonio del Comune senza la necessit, a differenza di quanto avviene con il provvedimento ex art.
7 stessa legge, di una fase esecutiva, atteso che l'efficacia traslativa coattiva e' prodotta, per espresso dettato
normativo, dalla sentenza che la contiene. Pres. Savignano G - Est. Piccialli L - Imp. Matarrese ed altro - PM.
(Parz. Diff.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 22/05/2003 (CC.02/04/2003) RV. 225308
sentenza n. 22557
Autorizzazione paesaggistica postuma - sanzione pecuniaria di cui allart. 15 L. 1497/1939 - applicabilit compromissione dellintegrit paesaggistica - violazione dellobbligo discendente dallart. 7 legge cit. risarcimento del danno ambientale - sanzione amministrativa - illecito sostanziale - illecito formale - profitto
conseguito con labuso. Lautorizzazione postuma per effetto della verifica di compatibilit ambientale non
preclude la possibilit di infliggere anche la sola sanzione pecuniaria di cui allart. 15 della legge n. 1497 del
1939, dal momento che unautorizzazione postuma ai fini ambientali, valevole ai fini della positiva definizione
del procedimento di sanatoria ai sensi dellart. 13 della legge n. 47 del 1985 semmai indirizza, vincolandolo
nellesito, il residuo potere-dovere dellautorit competente di procedere allapplicazione della sanzione di cui
allart. 15 della legge n. 1497 del 1939. La circostanza, infatti, che lAmministrazione, esercitando un potere nella
sostanza conferito dallo stesso art. 15, abbia verificato la compatibilit ambientale in via postuma, se da un lato
esclude la compromissione sostanziale dellintegrit paesaggistica, dallaltro non cancella la violazione
dellobbligo, discendente dallart. 7, di conseguire in via preventiva il titolo di assenso necessario per la
realizzazione dellintervento modificativo dellassetto territoriale (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.). La misura
pecuniaria prevista dallart. 15 della legge n. 1497 del 1939, nonostante il riferimento al termine indennit, non
costituisce unipotesi di risarcimento del danno ambientale ma rappresenta una sanzione amministrativa,
applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali, ovvero in caso di compromissione dellindennit paesaggistica, sia
nellipotesi di illeciti formali, quale , appunto, da ritenersi il caso di violazione dellobbligo di conseguire
lautorizzazione a fronte di un intervento compatibile con il contesto paesistico oggetto di protezione (Sez. VI, n.
912 del 2001, cit. n. 3184 del 2000). Il danno ambientale non criterio esclusivo di commisurazione
dellindennit, essendo alternativo al profitto conseguito dalla violazione; con la conseguenza che, nel caso di
realizzazione di unopera senza la prescritta autorizzazione paesistica, ove tale opera sia conforme alle
prescrizioni ambientali, e dunque non sia produttiva di danno, lindennit dovr essere commisurata al profitto
conseguito con labuso (Sez. VI, n. 912 del 2001, cit.). Consiglio di Stato, Sezione VI, 15.05.2003, sentenza n.
2653
La destinazione duso impressa allimmobile non ha nulla a vedere con lattivit che di fatto venga svolta
nellimmobile (istallazione di una falegnameria) - opere eseguite in assenza di concessione, in totale difformit o
con variazioni essenziali - la normativa edilizia - le norme di polizia urbana o di polizia rurale - controllo
dell'attivit urbanistico-edilizia - variazioni essenziali - presupposti - violazione delle norme vigenti in materia di
edilizia antisismica. Lattivit che di fatto venga svolta in un immobile non ha nulla a vedere con la normativa
edilizia, per la quale rileva soltanto la destinazione duso impressa allimmobile dalle sue caratteristiche
architettoniche in sede di costruzione o con successive opere di modificazione; n la normativa edilizia esige
che un immobile rimanga per sempre destinato alloriginaria destinazione, intesa come attivit che vi si svolge, o
alla destinazione specifica che venga indicata in sede di concessione edilizia. Altra cosa dalla normativa edilizia,
dalle sue violazioni e dalla relativa repressione, che le norme di polizia urbana o di polizia rurale consentano o
meno lo svolgimento di determinate attivit in determinate zone del territorio comunale. Perci la giurisprudenza
ha sempre affermato che le modificazioni di destinazione duso di un immobile, che richiedono autorizzazione
edilizia senza la quale sono sanzionabili come opere abusive, sono quelle realizzate appunto mediante opere
edilizie (vedansi per esempio, fra le tante decisioni della Sezione, 2 febbraio 1995 n. 180 e 24 ottobre 1996 n.
1268). Tale principio risulta positivamente dalla legge 28 febbraio 1985 n. 47, contenente norme in materia di
controllo dell'attivit urbanistico-edilizia, la quale dopo avere disciplinato allarticolo 7 il procedimento
sanzionatorio per le Opere eseguite in assenza di concessione, in totale difformit o con variazioni essenziali,
allarticolo 8, Determinazione delle variazioni essenziali (ora abrogato dallarticolo 136 del decreto legislativo 6
giugno 2001 n. 378 e sostituito dalle disposizioni dellarticolo 32 del testo unico delle disposizioni in materia
edilizia emanato con decreto del presidente della repubblica 6 giugno 2001 n. 380), stabilisce che possono
essere considerate variazioni essenziali (di un immobile rispetto al progetto approvato dal comune)

esclusivamente glinterventi comportanti: a) mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli
standards previsti dal decreto ministeriale 2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile
1968; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto
approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della
localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio
assentito in relazione alla classificazione dell'articolo 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457; e) violazione delle
norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non attenga a fatti procedurali. Nulla di tutto ci si
verificato nel caso in esame, n pertinente il richiamo operato dalla sentenza a una legge regionale
marchigiana la quale, in quanto attenga alle caratteristiche dei fabbricati, nulla muta nei principi sopra enunciati.
Consiglio di Stato, Sez. V - 14 Maggio 2003 Sentenza n. 2586 (vedi: sentenza per esteso)
Attivit urbanistico-edilizia - variazioni essenziali - presupposti - violazione delle norme vigenti in materia di
edilizia antisismica. Larticolo 32 del testo unico delle disposizioni in materia edilizia (emanato con decreto del
presidente della repubblica 6 giugno 2001 n. 380), stabilisce che possono essere considerate variazioni
essenziali (di un immobile rispetto al progetto approvato dal comune) esclusivamente glinterventi comportanti:
a) mutamento della destinazione d'uso che implichi variazione degli standards previsti dal decreto ministeriale
2 aprile 1968, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 97 del 16 aprile 1968; b) aumento consistente della cubatura
o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri
urbanistico-edilizi del progetto approvato ovvero della localizzazione dell'edificio sull'area di pertinenza; d)
mutamento delle caratteristiche dell'intervento edilizio assentito in relazione alla classificazione dell'articolo 31
della legge 5 agosto 1978, n. 457; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica, quando non
attenga a fatti procedurali. Nulla di tutto ci si verificato nel caso in esame, n pertinente il richiamo operato
dalla sentenza a una legge regionale marchigiana la quale, in quanto attenga alle caratteristiche dei fabbricati,
nulla muta nei principi sopra enunciati. Consiglio di Stato, Sez. V - 14 Maggio 2003 Sentenza n. 2586 (vedi:
sentenza per esteso)
Urbanistica - Edilizia - In genere - Parcheggi destinati a pertinenze di edifici - Non preesistenti - Realizzabilit
sulla base di semplice autorizzazione - Esclusione - Concessione edilizia - Necessit - Art. 20 L. n.47/1985 - D.
P. R. n. 380/2001 - L. n. 127/1997 - L. n. 122/1989. La costruzione di autorimesse o parcheggi destinati a
pertinenza di fabbricati non preesistenti, diversamente da quanto avviene per la realizzazione di parcheggi a
servizio di fabbricati gia' esistenti, e' soggetta a concessione edilizia e non a semplice autorizzazione, atteso che
in caso di contestuale costruzione ex novo del fabbricato e del parcheggio che ne costituisce pertinenza la
realizzazione di quest'ultimo non pu andare disgiunta da quella del fabbricato, con conseguente
assoggettamento dell'opera complessivamente considerata ad unico regime giuridico. Pres. Postiglione A - Est.
Fiale A - Imp. Cannizzaro - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 26/05/2003
(UD.06/03/2003) RV. 225296 sentenza n. 22929
Urbanistica - Termine inizio e fine lavori - Edilizia - Costruzione edilizia - Concessione ad edificare - Scadenza
dei termini di inizio o fine lavori - Reato di cui all'art. 20 legge n. 47/1985 - Configurabilita' - Fondamento - Art. 20
L. n. 47/1985 - Art. 44 L. n. 380/2001. Dopo l'inutile scadenza dei termini di inizio e fine lavori edilizi contenuti
nella concessione ad edificare (e che decorrono dal rilascio della concessione e non dal ritiro della stessa da
parte dell'interessato), la concessione e' "tamquam non esset", con la conseguenza che i lavori edilizi iniziati o
ultimati dopo la scadenza sono realizzati in assenza di titolo abilitativo, e vanno soggetti alla sanzione penale di
cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 (ora art. 44 del D.P.R. 6 giugno 2001). Pres. Toriello F - Est.
Grillo CM - Imp. Ruggia - PM. (Conf.) Albano A. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 13/05/2003
(UD.19/03/2003) RV. 225302 sentenza n. 21022
Urbanistica - Beni culturali e ambientali - D.i.a. e autorizzazione paesaggistica - Protezione delle bellezze
naturali - In genere - Immobili sotto- posti a vincoli - Interventi edilizi minori - Procedura di denuncia di inizio
attivit - Autorizzazione dell'autorit' proposta alla tutela del vincolo - Necessit - L. n. 47/1985 - L. n. 431/1985 Art. 1 cost. L. n. 443/2001 - Art. 163 cost D. Lg. n. 490/1999. In materia edilizia, anche a seguito delle nuove
disposizioni contenute del D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 e nella legge 21 dicembre 2001 n.443. gli interventi
assoggettabili al regime della denuncia di inizio attivit che riguardino immobili sottoposti a tutela storico-artistica
o paesaggistico-ambientale sono subordinati al preventivo rilascio del parere o dell'autorizzazione da parte
dell'autorit preposta alla tutela del vincolo. Pres. Papadia U - Est. Fiale A - Imp. Guido P - PM. (Conf.)
D'Ambrosio L. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 17/04/2003 (UD.17/01/2003) RV. 224720 sentenza
n. 18304
Costruzione di una nuova strada o l'allargamento di una strada esistente - trasformazione urbanistica ed edilizia
del territorio comunale - necessit della concessione. La costruzione di una strada comporta la necessit della
concessione formale del sindaco, poich essa realizza una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio
comunale, determinando un impatto ambientale che richiede un'attenta valutazione preventiva per la molteplicit
degli interessi pubblici coinvolti; per gli stessi motivi di impatto urbanistico anche l'allargamento di una strada
esistente, nel senso di un mutamento delle sue caratteristiche dimensionali, strutturali e funzionali, rende
necessaria la concessione comunale ex art. 1, l. 28 gennaio 1977, n. 10 (Cass., sez. III, 24-06-1999; Cass., sez.
III, 21-02-1997; Cass., 21-01-1991; Cass., sez. III, 09-06-1994). Consiglio di Stato - Sez. II Parere 2 aprile 2003
n. 3002/2002.
Lautorizzazioni rilasciate dal Comune in via successiva ai fini della definizione del procedimento di sanatoria di
cui allart. 13 della legge n. 47 del 1985 - carenza di una motivazione specifica - vizio di motivazione dellatto
impugnato - vizio di eccesso di potere - vizio di merito. E legittima lautorizzazioni rilasciate dal Comune in via
successiva ai fini della definizione del procedimento di sanatoria di cui allart. 13 della legge n. 47 del 1985.
Posto, infatti che il provvedimento di individuazione delle bellezze paesaggistiche ed il provvedimento di
sanatoria delle opere edilizie mancanti di concessione edilizia hanno, per legge, lidentico scopo, da individuare

nella conformazione della propriet privata alle esigenze collettive, secondo le prescrizioni della pubblica
amministrazione per il corretto uso paesaggistico ed urbanistico del bene o del territorio, nulla osta, nella
struttura della legge 28 febbraio 1985 n. 47, al rilascio dellautorizzazione paesaggistica anche in via successiva
(Cons. di Stato, Sez. VI, 21 febbraio 2001 n. 912 e n. 913).Nella fattispecie il provvedimento ministeriale appare
carente di una motivazione specifica per il caso concreto non contraddicendo puntualmente la valutazione
compiuta nel nulla osta, e contenendo affermazioni di ordine generale valevoli per una pluralit indeterminata di
casi (Cons. di Stato, Sez. VI, 29 gennaio 2002 n. 478). Consegue da ci che, a prescindere dalla questione se il
provvedimento ministeriale abbia inteso o meno sostituire una propria valutazione di merito ambientale a quella
operata dal Comune, ha rilievo assorbente il vizio di motivazione dellatto impugnato, in quanto una motivazione
puntuale e specifica per il caso concreto sarebbe stata necessaria sia per annullare il nulla osta per vizio di
eccesso di potere che per annullarlo (inammissibilmente) per vizio di merito (Cost. Sez. VI, n. 478 del 2002, cit.).
Consiglio di Stato, sezione VI, 27 marzo 2003, sentenza n. 1592 (vedi: sentenza per stesso)
La possibilit di sanare la carenza del titolo concessorio in relazione ad edifici realizzati in conformit alle
prescrizioni urbanistiche - l'autorizzazione paesaggistica pu essere legittimamente rilasciata in un momento
successivo purch le opere realizzate siano conformi alle prescrizioni in vigore - presupposto della non
concedibilit di unautorizzazione postuma - verifica postuma di compatibilit ambientale. E' ammessa
dall'ordinamento, ai sensi dell'art.13 l. 28 febbraio 1985 n.47, la possibilit di sanare la carenza del titolo
concessorio in relazione ad edifici realizzati in conformit alle prescrizioni urbanistiche, anche l'autorizzazione
paesaggistica pu essere legittimamente rilasciata in un momento successivo, previa valutazione, ancorch
postuma, relativa alla compromissione o meno della bellezza del paesaggio o del quadro d'insieme per effetto
dell'inserimento del nuovo edificio (C. Stato, sez. VI, 9/10/2000, n.5373). Riconosciuta, infatti, la possibilit di
sanare la mancanza del titolo abilitativo purch le opere realizzate siano conformi alle prescrizioni in vigore,
deve ammettersi che quella stessa mancanza possa essere ovviata con il compimento di tutti i prescritti
adempimenti procedimentali, compresi quelli concernenti la conformit dellintervento alla disciplina
paesaggistica. Va dunque confermata la sentenza gravata nella parte in cui, in accoglimento del primo motivo di
ricorso, ha annullato il provvedimento ministeriale volto ad annullare, sul presupposto della non concedibilit di
unautorizzazione postuma, lautorizzazione in sanatoria rilasciata dal Comune ai sensi dellart.7, legge
n.1497/39. Diversa questione quella relativa allapplicabilit, in caso di verifica postuma di compatibilit
ambientale e di conseguente favorevole definizione del procedimento previsto dall'art.13 l. 28 febbraio 1985
n.47, della sanzione pecuniaria ex art.15, legge n.1497/39: questione ripetutamente esaminata dalla Sezione,
ma non oggetto di specifica censura dedotta con latto di appello nel quale al citato art.15 si fa riferimento solo
per corroborare lassunto, non condiviso dal Collegio, dellinammissibilit di un rilascio ex post del
provvedimento autorizzatorio in questione. Consiglio di Stato, sezione VI, 27 marzo 2003, sentenza n. 1590
Atto presupposto - procedimento - atto complesso - vincolo urbanistico e diniego di concessione edilizia procedimento autonomo e separato. Un atto presupposto, e come tale suscettibile di impugnazione e di
caducazione, solo quando si inserisce in un unico procedimento che si conclude con ladozione di un
provvedimento impugnato in via principale. Questo caso non ricorre quando si in presenza di un atto
complesso di pianificazione urbanistica che si conclude con lapprovazione del vincolo da parte della regione. In
tali casi, gli atti successivi compreso il diniego di concessione sono frutto di un procedimento autonomo e
separato rispetto a quello di pianificazione urbanistica gi concluso. Consiglio di Stato, Sez. IV, sent. 25 marzo
2003, n. 1546
Piani per ledilizia economica e popolare - principi - disciplina. I piani per ledilizia economica e popolare
(p.e.e.p.), altrimenti noti come piani di zona o piani 167, previsti dalla l. 18 aprile 1962 n. 167, successivamente
integrata e modificata (principalmente per effetto delle leggi 22 ottobre 1971 n. 865, 28 gennaio 1977 n. 10, 5
agosto 1978 n. 457, 25 marzo 1982 n. 94, 17 febbraio 1992, n. 179), costituiscono gli strumenti urbanistici
attraverso i quali si realizzano i programmi per ledilizia economica e popolare. Il fine di costituire un patrimonio
comunale di aree libere, calcolare il prevedibile fabbisogno di un decennio, sottraendo gli interventi edilizi alla
casualit delle scelte degli enti costruttori. La legislazione di settore, i cui primi interventi risalgono agli inizi del
secolo, si preoccup essenzialmente di creare un sistema di mutui ed agevolazioni, e di disporre espropriazioni
disancorate dalle previsioni degli strumenti urbanistici. Un collegamento programmatico tra la costruzione di
alloggi per i ceti meno abbienti e la disciplina urbanistica si ebbe per la prima volta con la l. 167/62. I piani di
zona, nel pensiero del legislatore del 1962, assolvono alla fondamentale funzione, da un lato, di dare ai comuni
la possibilit di acquistare attraverso lesproprio aree da destinare alla costruzione di alloggi a carattere
economico-popolare, dallaltro di inquadrare gli interventi in un razionale ed organico disegno urbanistico, allo
scopo soprattutto di evitare la ghettizzazione delle famiglie non abbienti in quartieri periferici privi di servizi e non
collegati al resto delle citt. Tanto che la questione circa la natura dei vincoli imposti dai p.e.e.p., se a carattere
espropriativo o conformativo della propriet privata, e sulla relativa incidenza nella determinazione dellindennit
di esproprio, ripete la sua origine proprio dalla natura complessa degli strumenti in discussione. La l. 167/62
stabilisce che i comuni con popolazione superiore a 50.000 abitanti sono tenuti alla formazione del p.e.e.p., che
indichi le zone da destinare agli alloggi, ma anche alle opere e servizi complementari, ivi comprese le aree a
verde pubblico. Tutti gli altri comuni sono liberi di adottare il p.e.e.p., essendo tuttavia possibile renderne
obbligatoria la compilazione per i comuni limitrofi e quelli pi popolosi, per quelli con almeno 20.000 abitanti, per
quelli riconosciuti stazioni di cura, soggiorno e turismo, per quelli soggetti a straordinari incrementi demografici,
per quelli in cui vi sia alta percentuale di abitazioni malsane. pure prevista la possibilit dei comuni di costituirsi
in consorzio per la formazione di un unico piano consortile e per le regioni di disporre la formazione di consorzi
obbligatori per la formazione di p.e.e.p. La formazione del p.e.e.p. consta di diverse fasi (compilazione,
adozione, approvazione, pubblicazione) che ricalcano quelle dei piani particolareggiati e che possono trovare
anche particolari discipline nella legislazione regionale, a seguito del trasferimento delle funzioni statali nella

materia urbanistica. Da osservare che la tradizionale assimilazione dei p.e.e.p. alla categoria degli strumenti
attuativi, ne informa la disciplina, anche per via di recenti innovazioni legislative miranti alla semplificazione ed
allo snellimento delle procedure. da ricordare, in particolare, che lapplicazione dei piani attuativi (compresi i
p.e.e.p.) stata devoluta alla competenza degli stessi comuni, che sono solo obbligati a trasmettere alla regione
copia degli strumenti adottati e ad esprimersi sulle eventuali osservazioni di questultima (art. 24 l. 28 febbraio
1985 n. 47). Data lassimilazione dei piani di zona ai piani particolareggiati, si ritengono applicabili anche ai primi
le misure di salvaguardia di cui alla l. 19 novembre 1968 n. 1187. Il principale connotato urbanistico dei p.e.e.p.
assicurato dalla disposizione dellart. 3 l. 167/62, secondo cui le aree da comprendere nei piani di zona
debbono essere scelte di regola nelle zone destinate ad edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti, con
preferenza in quelle di espansione dellaggregato urbano (zone C). Se non sia possibile, il piano di zona,
apportando modifiche al piano regolatore generale (o al programma di fabbricazione), costituisce variante (cfr.
Cons. St., sez. IV, 7 luglio 2000, n. 3808). Possono essere comprese nei p.e.e.p. anche le aree sulle quali
insistono immobili la cui demolizione o trasformazione sia richiesta da ragioni igienico-sanitarie ovvero sia
ritenuta necessaria per la realizzazione del piano. Se il piano regolatore sia soltanto adottato purch
trasmesso ai competenti organi per lapprovazione il piano di zona vincolante in sede di approvazione del
p.r.g., in deroga al principio della gerarchia dei piani, venendo a prevalere un piano, tradizionalmente
considerato di attuazione in quanto equiparato dalla legge al piano regolatore particolareggiato (cfr. in termini e
da ultimo Cass. civ., sez. I, 16 settembre 2002, n. 13493), sullo strumento urbanistico generale. Il piano per
ledilizia economica e popolare ha, secondo quanto dispone lart. 9, l. n. 167 del 1962, valore di piano
particolareggiato di esecuzione, e la sua approvazione equivale, ai sensi dellart. 16 l. n. 1150 del 1942, a
dichiarazione di pubblica utilit, indifferibilit ed urgenza delle opere ivi previste per la durata di diciotto anni,
salvo proroghe. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)
PRG - la localizzazione dei piani, nelle zone di generale destinazione residenziale privata, non costituisce
variante al piano regolatore generale - espansione dell'aggregato urbano - l'esigenza dei piani in zone non
destinate all'edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti - lo strumento della lottizzazione. La localizzazione
dei piani, nelle zone di generale destinazione residenziale privata, non costituisce variante al piano regolatore
generale atteso che la regola proprio quella della localizzazione in tali zone e che lipotesi delle varianti
identificata dallart. 3 essenzialmente nella determinazione dellinsediamento in zone urbanistiche non
residenziali (cfr. Cons. St., sez. IV, 7 luglio 2000, n. 3808). E bene precisare subito che l'indicazione contenuta
nell'art. 3 L. 18 aprile 1962 n. 167, secondo cui le aree da comprendere nei piani per l'edilizia residenziale
pubblica sono, di norma, scelte nelle zone destinate all'edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti, con
preferenza per quelle di espansione dell'aggregato urbano, costituisce una indicazione di principio, che non
vincola il Comune in modo assoluto, atteso anche che il quarto comma dello stesso articolo prevede la
possibilit dell'adozione di un piano di zona in variante allo strumento generale, ove si manifesti l'esigenza dei
piani in zone non destinate all'edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti (cfr. Ad. plen., 3 luglio 1997, n. 12).
Il piano per l'edilizia economica e popolare, anche quando non opera in variante ad uno strumento generale,
pur sempre uno strumento di pianificazione urbanistica, sia pure di secondo grado; pertanto, la ricucitura tra
insediamenti, siano o meno essi periferici, ben pu rientrare nelle funzioni proprie del piano per l'edilizia
economica e popolare, si da giustificare di per s la scelta delle aree da insediare nel piano medesimo.
Coerentemente si affermata la possibilit di individuare sin dal momento di programmazione generale del
territorio le zone destinate alledificazione pubblica, prevedendo gi da allora gli strumenti attuativi necessari
implica per un verso la legittimit del vincolo delle aree ai piani speciali di iniziativa pubblica ed esclude per altro
verso la destinazione delle aree medesime ad edilizia privata con lo strumento della lottizzazione (cfr. sez. IV, 12
dicembre 2000, n. 6584). Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per
esteso)
Il P.e.e.p. - carattere programmatorio - spesa per lacquisizione delle aree - lamministrazione pu integrare
successivamente lindicazione dei mezzi e delle fonti di finanziamento. Dal suo marcato carattere
programmatorio discende che, ai fini della legittimit del piano stesso, non si richiede una puntuale
determinazione della spesa per lacquisizione delle aree, essendo sufficiente lindicazione di larga massima
delle spese occorrenti, in quanto lamministrazione pu integrare successivamente lindicazione dei mezzi e
delle fonti di finanziamento (cfr. sez. IV, n. 3730 del 2000 cit.) Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003
Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)
Il dimensionamento del p.e.e.p., - la concreta estensione delle aree da inserire nel p.e.e.p. (c.d.
dimensionamento). Va osservato, in particolare, che il dimensionamento del p.e.e.p., lestensione cio delle aree
da destinare alledilizia residenziale pubblica, rappresenta il vero momento programmatorio, dovendosi
rapportare le esigenze delledilizia pubblica al fabbisogno prevedibile di edilizia abitativa in generale e
innestando dunque le scelte di settore nelle scelte urbanistiche generali dellamministrazione comunale: lart. 3 l.
167/62, modificato dallart. 2 l. 10/77, stabilisce che lestensione delle zone da includere nei p.e.e.p. non pu
essere inferiore al quaranta per cento e superiore al settanta per cento di quella necessaria a soddisfare il
fabbisogno abitativo nel periodo considerato. Se la fissazione del limite massimo trova ragione nel
perseguimento di un certo equilibrio tra edilizia pubblica e privata, il limite minimo trova fondamento sia nel fatto
che il p.e.e.p. comporta un procedimento complesso e costoso, cos da non essere giustificato se non soddisfa
una percentuale cospicua del fabbisogno abitativo complessivo, sia nellintento di garantire una certa dotazione
di aree comunali a disposizione delledilizia pubblica. In ordine alle operazioni che vanno seguite per
determinare la concreta estensione delle aree da inserire nel p.e.e.p. (c.d. dimensionamento), l'amministrazione

titolare di poteri discrezionali, anche di natura tecnica, e deve basare le proprie determinazioni su un'adeguata
motivazione dalla quale possa evincersi la loro ragionevolezza ed attendibilit (cfr. Ad. plen., n. 12 del 1997 cit.;
sez. IV, 5 luglio 2000, n. 3730). Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza
per esteso)
P.e.e.p - criteri per la determinazione del fabbisogno abitativo - fabbisogno abitativo e incremento della
popolazione. In sede di determinazione del fabbisogno abitativo , dunque, legittimo tener conto (cfr. Ad. plen.,
n. 12 del 1997 cit.; sez. IV, 5 luglio 2000, n. 3730): a) del saldo migratorio negativo degli anni precedenti, b)
dell'andamento demografico in decremento e dell'aumento dei nuclei familiari, compensando i relativi dati con la
considerazione che diminuito il numero medio dei componenti delle singole unit familiari e che non pu
immaginarsi una rapida sostituzione degli emigrati con gli immigrati; c) del fabbisogno futuro e non di quello gi
soddisfatto, lecitamente o meno, essendo rimesso alla valutazione insindacabile dell'amministrazione rilevare se
gli abusi edilizi abbiano soddisfatto, sia pure in parte, una preesistente domanda abitativa, d) degli indici di
densit territoriale contenuti nelle circolari del Ministero dei lavori pubblici 27 settembre 1963 n. 4555 e 20
gennaio 1967 n. 425 i quali, per, costituiscono criteri di massima, suscettibili di diversa valutazione, sicch il
comune, in sede di approvazione di un piano per l'edilizia residenziale pubblica, ben pu assumere indici
inferiori in considerazione di comprovate esigenze urbanistiche. In definitiva, per la determinazione del
fabbisogno di alloggi da destinare ad edilizia popolare, non esiste un nesso necessariamente inscindibile tra
fabbisogno abitativo e incremento della popolazione, rappresentando questultimo solo una componente del
calcolo da effettuarsi, e potendosi prendere in esame anche altri elementi (quali lesigenza del rinnovato modo di
vivere della popolazione, legato allevoluzione del costume sociale in atto, cfr. sez. IV, n. 3730 del 2000 cit.).
Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)
P.e.e.p - espropriazione - (il c.d. esproprio sanzionatorio) - prelazione dei proprietari di aree incluse in un piano
di zona per l'edilizia economica e popolare - l'assegnazione ad una cooperativa edilizia di un'area espropriata (o
comunque da espropriare) - illegittimit. A differenza del piano regolatore particolareggiato, nel cui meccanismo
di attuazione lespropriazione delle aree non destinate alla localizzazione dei servizi pubblici solo eventuale,
nel caso di p.e.e.p., lespropriazione di tutte le aree incluse in esso diviene il meccanismo di attuazione ordinario
e necessario del piano: mentre infatti le trasformazioni previste dal p.r.p. sono lasciate alla decisione dei
proprietari, pur obbligati, e lespropriazione subordinata alla loro inerzia (c.d. esproprio sanzionatorio), ai fini
dellattuazione del p.e.e.p. stabilito che tutte le aree incluse nel piano approvato siano comunque espropriate
dai comuni o dai loro consorzi (art. 20 l. 167/62, come modificato dallart. 35 l. 865/71). A seguito dellesproprio
generalizzato di tutte le aree previste nel p.e.e.p., il comune ne diviene dunque proprietario, e le pu cedere in
propriet ai soggetti indicati nellart. 10, 10 comma, l. 167/62 (disposizione la cui categoricit stata attenuata
nel corso del tempo, dandosi la possibilit ai soggetti incaricati dellattuazione degli interventi di acquisizione
delle aree occorrenti, in nome e per conto dei comuni), o costituire su di esse un diritto reale di superficie a
favore di quei soggetti che simpegnino ad attuare le previsioni del piano. L'art. 35, comma undicesimo, della
legge n. 865 del 1971 configura una prelazione dei proprietari di aree incluse in un piano di zona per l'edilizia
economica e popolare ai soli fini dell'assegnazione in propriet (e non in superficie) dell'area e non in relazione a
un'area determinata. Sono illegittime, pertanto, le deliberazioni comunali concernenti l'assegnazione ad una
cooperativa edilizia di un'area espropriata (o comunque da espropriare) in quanto ricompresa nel piano da
destinare alla edilizia economica e popolare, ove il proprietario, in violazione dell'implicito disposto dell'art. 35,
undicesimo comma, della legge 22 ottobre 1971 n. 865, non sia stato posto in condizione di esercitare la propria
situazione giuridica soggettiva di preferenza nell'assegnazione (concretantesi in un interesse legittimo),
mediante la possibilit di partecipazione al relativo procedimento, avendo il comune omesso di fornirgli
preventivamente - in occasione di tale specifico procedimento - la notizia della scelta fatta e dell'assegnazione
prevista (cfr. sez. IV, 26 novembre 2001, n. 5940; 4 maggio 1984, n. 309). Consiglio di Stato, Sezione IV, 25
marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)
Il p.e.e.p. ha efficacia per diciotto anni dallapprovazione - procedure ablatorie - termini - programmi pluriennali
di attuazione - lespropriazione - presupposti - cessione delle aree in regime di propriet - approvazione del
programma o delle varianti. Il p.e.e.p. ha efficacia per diciotto anni dallapprovazione, con limitate possibilit di
proroga. A tale previsione legale si collegano importanti effetti in ordine allindividuazione dei termini di inizio e
completamento dei lavori e delle procedure ablatorie. Secondo un consolidato indirizzo, lart. 13, l. n. 2359 del
1865, in materia di apposizione dei termini, non applicabile per le espropriazioni attinenti ai piani di zona per
ledilizia economica e popolare, essendo sostituito ed assorbito dalle disposizioni che delimitano nel tempo ope
legis lefficacia dei piani stessi (cfr. sez. IV, n. 3730 del 2000 cit.; 19 gennaio 1999, n. 41; Ad. plen., 23 maggio
1984, n. 11). Stante la prolungata vigenza di tali piani, lart. 38 l. 865/71 (come modificato dallart. 1 d.l. 2 maggio
1974 n. 115, convertito in l. 27 giugno 1974 n. 247), prevede che lattuazione dei piani di zona avvenga a mezzo
di appositi programmi pluriennali di attuazione approvati con deliberazione del consiglio comunale, che
immediatamente esecutiva e soggetta al solo controllo di legittimit. Tali programmi, da approvarsi entro sei
mesi dallapprovazione dei piani di zona, avendo la funzione di stabilire quali aree debbono essere espropriate
in un determinato arco di tempo, costituiscono presupposto indispensabile per lespropriazione, non fosse altro
perch lart. 5 l. 247/74 attribuisce alla pubblicazione e notificazione della deliberazione che li approva gli effetti
della notifica agli espropriandi e della notizia al pubblico, previsti dallart. 10 l. 865/71. Essi devono indicare:
lestensione delle aree di cui si prevede lutilizzazione e la relativa urbanizzazione; lindividuazione delle aree da
cedere in propriet e di quelle da concedere in superficie; la spesa prevista per la realizzazione delle opere di
urbanizzazione e di quelle a carattere generale; i mezzi generali con i quali far fronte alla spesa. I programmi

sono aggiornati annualmente con apposita variante, che segue il medesimo procedimento. In assenza del
programma, lutilizzazione delle aree pu avvenire esclusivamente con diritto di superficie. Sono previsti poteri
sostitutivi della regione (nomina di commissario ad acta) qualora il comune non provveda allapprovazione del
programma o delle varianti. Ai sensi dellultimo comma dellart. 38 della l. n. 865 del 1971, la mancanza del
programma pluriennale di attuazione non si configura come limite al corretto esercizio della procedura
espropriativa delle aree comprese nei piani approvati, bens soltanto come impedimento alla cessione delle aree
in regime di propriet, dovendo la loro utilizzazione avvenire esclusivamente in regime di superficie (cfr. sez. IV,
18 marzo 1997, n. 255). Qualora il comune adotti un programma pluriennale di attuazione, costituisce contenuto
indefettibile dello stesso a mente dellart. 38, lett. b), l. n. 865 del 1971, lindividuazione delle aree da cedere in
propriet e di quelle da concedere in superficie, salvo che lamministrazione non vi abbia provveduto in sede di
redazione dellintero piano di edilizia popolare; in difetto di tale individuazione, non possibile invocare la norma
sancita dallultimo comma del medesimo articolo, che si applica solo in assenza del programma o della
individuazione effettuata in sede preventiva. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545
(vedi: sentenza per esteso)
Il piano per ledilizia economica e popolare - durata di diciotto anni - proroghe. Il piano per ledilizia economica e
popolare ha, secondo quanto dispone lart. 9, l. n. 167 del 1962, valore di piano particolareggiato di esecuzione,
e la sua approvazione equivale, ai sensi dellart. 16, l. n. 1150 del 1942, a dichiarazione di pubblica utilit,
indifferibilit ed urgenza delle opere ivi previste per la durata di diciotto anni, salvo proroghe. Consiglio di Stato,
Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)
La localizzazione dei piani di zona per ledilizia economica e popolare. Ai sensi dellart. 3, l. n. 167 del 1962, la
localizzazione dei piani di zona per ledilizia economica e popolare nelle zone di generale destinazione
residenziale privata non costituisce variante al piano regolatore generale atteso che la regola proprio quella
della localizzazione in tali zone e che lipotesi delle varianti identificata dallart. 3 essenzialmente nella
determinazione dellinsediamento in zone urbanistiche non residenziali. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo
2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)
Le aree da comprendere nei piani per l'edilizia residenziale pubblica - prevede la possibilit dell'adozione di un
piano di zona in variante allo strumento generale. L'indicazione contenuta nell'art. 3 L. 18 aprile 1962 n. 167
secondo cui le aree da comprendere nei piani per l'edilizia residenziale pubblica sono, di norma, scelte nelle
zone destinate all'edilizia residenziale nei piani regolatori vigenti, con preferenza per quelle di espansione
dell'aggregato urbano, costituisce una indicazione di principio, che non vincola il Comune in modo assoluto,
atteso anche che il quarto comma dello stesso articolo prevede la possibilit dell'adozione di un piano di zona in
variante allo strumento generale, ove si manifesti l'esigenza dei piani in zone non destinate all'edilizia
residenziale nei piani regolatori vigenti. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi:
sentenza per esteso)
Il piano per l'edilizia economica e popolare - variante ad uno strumento generale. Il piano per l'edilizia economica
e popolare, anche quando non opera in variante ad uno strumento generale, pur sempre uno strumento di
pianificazione urbanistica, sia pure di secondo grado; pertanto, la Ricucitura tra insediamenti, siano o meno
essi periferici, ben pu rientrare nelle funzioni proprie del piano per l'edilizia economica e popolare, si da
giustificare di per s la scelta delle aree da insediare nel piano medesimo. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25
marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)
La programmazione generale del territorio - le zone destinate alledificazione pubblica. La possibilit di
individuare sin dal momento di programmazione generale del territorio le zone destinate alledificazione
pubblica, prevedendo gi da allora gli strumenti attuativi necessari implica per un verso la legittimit del vincolo
delle aree ai piani speciali di iniziativa pubblica ed esclude per altro verso la destinazione delle aree medesime
ad edilizia privata con lo strumento della lottizzazione. Consiglio di Stato, Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza
n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)
Determinazione del fabbisogno abitativo previsto per l'approvazione del piano per l'edilizia economica e
popolare. In sede di determinazione del fabbisogno abitativo previsto per l'approvazione del piano per l'edilizia
economica e popolare, legittimo tener conto del saldo migratorio negativo degli anni precedenti,
dell'andamento demografico in decremento e dell'aumento dei nuclei familiari, compensando i relativi dati con la
considerazione che diminuito il numero medio dei componenti delle singole unit familiari e che non pu
immaginarsi una rapida sostituzione degli emigrati con gli immigrati. In sede di determinazione del contenuto del
piano per l'edilizia economica e popolare si deve tener conto del fabbisogno futuro e non di quello gi
soddisfatto, lecitamente o meno, ed rimesso alla valutazione insindacabile dell'Amministrazione rilevare se gli
abusi edilizi abbiano soddisfatto, sia pure in parte, una preesistente domanda abitativa. Consiglio di Stato,
Sezione IV, 25 marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)
Determinazione del fabbisogno di alloggi da destinare ad edilizia popolare - calcolo. Ai fini della determinazione
del fabbisogno di alloggi da destinare ad edilizia popolare, non esiste un nesso necessariamente inscindibile tra
fabbisogno abitativo e incremento della popolazione, rappresentando questultimo solo una componente del
calcolo da effettuarsi, e potendosi prendere in esame anche altri elementi (quali lesigenza del rinnovato modo di
vivere della popolazione, legato allevoluzione del costume sociale in atto). Consiglio di Stato, Sezione IV, 25
marzo 2003 Sentenza n. 1545 (vedi: sentenza per esteso)

PRG - procedimento di approvazione di una variante in corso allapprovazione del piano regolatore - legittimit.
Nessuna norma o principio esclude che nelle more del procedimento di approvazione del piano regolatore
venga attivato dallamministrazione comunale il procedimento di approvazione di una variante, tanto pi quando,
come nella specie, siano trascorsi circa cinque anni dalladozione del P.R.G.. Consiglio di Stato, Sezione IV del
19.03.2003, Sentenza n. 1456 (vedi: sentenza per esteso)
PRG - lomesso esame analitico/dettagliato e motivato delle osservazioni. Lomesso esame
analitico/dettagliato e motivato da parte del Comune delle osservazioni presentate a suo tempo al piano
regolatore generale, non inficia la legittimit dellatto (il ricorso stato infatti disatteso dal T.A.R. in base alla
considerazione che non occorre una analitica e dettagliata confutazione delle osservazioni). Questo indirizzo
stato ripetutamente confermato anche dalla giurisprudenza pi recente (Cons. Stato, IV sez., 7 maggio 2002,
n.2443; 22 maggio 2000, n.2914), sicch, non avendo lappellante indicato sotto quale profilo e per quale
ragione la sentenza sul punto sarebbe erronea, la censura stata disattesa. Consiglio di Stato, Sezione IV del
19.03.2003, Sentenza n. 1456 (vedi: sentenza per esteso)
PRG - il piano quadro definizione - lattivit edificatoria subordinata alladozione di uno strumento urbanistico piano particolareggiato - piani di lottizzazione - piano quadro. In sede di approvazione del piano regolatore la
giunta regionale della Puglia ha recepito le integrazioni e prescrizioni contenute nella relazione aggiuntiva
dellUfficio urbanistico regionale del 29 gennaio 1974. Nella relazione (pag.10) si legge che allart.8 delle norme
tecniche di attuazione aggiunta, dopo le parole piano particolareggiato, la frase o piani di lottizzazione o
piani quadro e si chiarisce che il piano quadro uno studio di parti pi o meno estese del territorio
urbano..(che) contiene lindividuazione delle opere primarie e secondarie di urbanizzazione e le direttive per le
realizzazioni edilizie. Da ci si deduce che il piano quadro uno strumento parallelo, nella sostanza, al piano
particolareggiato e che prevista, in alternativa alluno e allaltro, la possibilit per i privati di presentare un piano
di lottizzazione. Non , quindi, esatto che lattivit edificatoria sia stata subordinata alladozione di uno strumento
urbanistico atipico n che sia stata di fatto sospesa a tempo indeterminato, in attesa di un atto di iniziativa
pubblica per la cui approvazione non fissato alcun termine. Consiglio di Stato, Sezione IV del 19.03.2003,
Sentenza n. 1456 (vedi: sentenza per esteso)
PRG - la destinazione a zona agricola pu essere utilizzata a salvaguardia del paesaggio o dellambiente - non
occorre una specifica motivazione delle determinazioni prese area per area - competenza della Regione - le
modificazioni ritenute indispensabili in adesione a indicazioni della Soprintendenza ai monumenti - obbligo di
motivazione in caso si allontana dalla previsione originaria - lattivit produttiva preesistente. Alla Regione (art.10
della legge Puglia del 17 agosto 1942, n.1150), compete di introdurre le modificazioni ritenute indispensabili
per tutelare gli interessi e i beni indicati dalla norma, senza incontrare, in tal caso, il limite della marginalit
dellintervento rispetto a quanto stabilito dal Comune. In linea astratta, pu convenirsi che la destinazione a zona
agricola possa essere utilizzata a salvaguardia del paesaggio o dellambiente e che non occorre una specifica
motivazione delle determinazioni prese area per area, ma se la prescrizione introdotta dalla Regione
necessario che scaturisca, come richiede il citato art.10, da un giudizio di indispensabilit e che emerga almeno
la consapevolezza degli effetti che derivano dal mutamento su particolari situazioni consolidatesi nel territorio.
Nel caso in esame la destinazione stata modificata dalla regione non in osservanza di vincoli paesaggistici o
ambientalistici formali, ma in adesione a indicazioni della Soprintendenza ai monumenti (nota 23 marzo 1973,
n.2928). Tuttavia, il riconoscimento che si tratta di modifiche indispensabili non espresso in alcun atto del
procedimento n risulta che in alcun modo siano stati considerati gli effetti della nuova destinazione sullattivit
produttiva del cementificio, che pure aveva trovato specifico apprezzamento nella relazione illustrativa del
P.R.G. (pag.4). Pertanto, lintervento della Regione, che si allontana dalla previsione originaria e che, per
conseguenza, non trova giustificazione nella impostazione del piano regolatore adottato dal Comune, risulta
carente sotto il profilo istruttorio ed esplicativo. Consiglio di Stato, Sezione IV del 19.03.2003, Sentenza n. 1456
(vedi: sentenza per esteso)
P.R.G. - la potest di pianificazione urbanistica primaria - P.R.G. e variante - motivazione specifica - non
necessita. La potest di pianificazione urbanistica primaria, e tale la potest che trova espressione sia nel
P.R.G. sia nella variante, non incontra limiti nella preesistenza di fabbricati aventi una destinazione diversa e
che la variante non necessita di specifica motivazione quanto alle singole destinazioni di zona. Consiglio di
Stato, Sezione IV del 19.03.2003, Sentenza n. 1456 (vedi: sentenza per esteso)
Urbanistica - sostituzione della struttura di copertura di un edificio interventi di ristrutturazione e permesso di
costruire configurazione legislativa - D.P.R. 380/2001 - applicazione. Sono assoggettate alle prescrizioni della
ristrutturazione gli interventi definiti nellart. 31, L. 457/1978 e nellart. 3, lett. d), D.P.R. 380/2001, (nella specie si
trattato di: integrale sostituzione della struttura di copertura di un edificio, creazione di nuovi pilastri e di un
cordolo di appoggio, copertura a falde inclinate e tamponatura) solo qualora non abbiano dato luogo a
organismo edilizio in parte diverso dal precedente. I lavori che non comportino aumento di unit immobiliari o
modifiche al volume o della sagoma, dei prospetti o delle superfici o, limitatamente agli immobili inclusi nelle
zone omogenee A, se non producono mutamenti delle destinazioni duso, non sono subordinati a permesso di
costruire. Iacovacci - CASSAZIONE PENALE sezione III del 17 marzo 2003
La durata massima del piano di lottizzazione e del il piano particolareggiato - termine. La questione concernente
la durata massima del piano di lottizzazione stata risolta dalla giurisprudenza nel senso che esso perde
efficacia alla scadenza del termine massimo di dieci anni o nel minor termine previsto per la sua attuazione (da

ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 16 marzo 1999, n.286; 13 novembre 1998, n.1412), cos come avviene per il piano
particolareggiato, essendo indifferente, a tali fini, che si tratti di uno strumento attuativo di iniziativa privata o di
iniziativa pubblica (da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 25 luglio 2001, n.4074). Consiglio di Stato, Sezione IV del 11
marzo 2003, sentenza n. 1315
L'autorizzazione paesaggistica - rilascio - effetti. In materia ambientale l'autorizzazione paesaggistica deve
essere rilasciata prima e non dopo l'esecuzione dei lavori. In tale ultimo caso l'effetto del provvedimento
postumo non e' l'estinzione del reato, ma soltanto l'esclusione della rimessione in pristino dello stato dei luoghi,
poiche' l'amministrazione ha valutato l'opera e la ha ritenuta compatibile con l'assetto paesaggistico dell'area
impegnata dall'opera realizzata. Cassazione penale sez. III, 20 ottobre 1998, n. 12697 Boscarato. Tribunale di
Roma Sezione distaccata di Ostia Sentenza del 10.3.2003 (vedi: sentenza per esteso)
Piano particolareggiato - PRG e le sue varianti - deliberazione consiliare - elemento anticipatorio. In linea
generale ben possibile che una deliberazione consiliare, a determinate condizioni, possa operare come
elemento anticipatorio di un piano particolareggiato, purch in coerenza col PRG e le sue varianti. Consiglio di
Stato, Sezione V del 7 marzo 2003, sentenza n. 1258
Beni culturali e ambientali - Vincolo paesaggistico La concessione in sanatoria estingue i reati edilizi ed
urbanistici, ma non quello ambientale Art. 13 L. 47/1985 - Configurabilit dellillecito - Sussistenza. La
concessione in sanatoria ex art. 13 Legge 47 del 1985 estingue i reati edilizi ed urbanistici, ma non quello
ambientale avente oggettivit giuridica diversa dalla mera tutela urbanistica del territorio. Haggiag e altri CASSAZIONE PENALE, Sez. III, 3 marzo 2003 (ud. Del 23 gennaio 2003) RV 224175 Sentenza n. 9519 (vedi:
sentenza per esteso)
P.r.g. - le possibilit di modifica del piano regolatore da parte della regione nella fase di approvazione dello
stesso - tipi di modifiche: a) obbligatorie; b) concordate; c) facoltative - la modifica destinata a tutelare il
paesaggio o lambiente in genere non richiede una diffusa analisi argomentativa - competenze dello Stato (ora
delegate alle Regioni) in materia di ambiente - il carattere obbligatorio dellintervento regionale a tutela
dellambiente. Lart. 10, comma 2, l. n. 1150 del 1942, come modificato dallart. 3, l. n. 765 del 1967, prevede e
disciplina le possibilit di modifica del piano regolatore da parte della regione nella fase di approvazione dello
stesso. Le modifiche sono dei seguenti tipi: a) obbligatorie, in quanto riconosciute indispensabili per assicurare il
rispetto delle previsioni del piano territoriale di coordinamento, la razionale sistemazione delle opere e degli
impianti di interesse dello Stato, la tutela del paesaggio e dei complessi storici, monumentali, ambientali e
archeologici, ladozione di standards urbanistici minimi; b) concordate, ossia conseguenti allaccoglimento di
osservazioni presentate al piano e accettate dal comune; c) facoltative, in quanto consistenti in innovazioni non
sostanziali, tali cio da non mutare le caratteristiche essenziali del piano ed i suoi criteri di impostazione. E
affermazione costante della sezione che la modifica destinata a tutelare il paesaggio o lambiente in genere,
anche quando si risolva nellimprimere ad unarea il preesistente connotato di zona agricola o destinata a
parcheggi (come nel caso di specie), non richieda una diffusa analisi argomentativa, tanto pi che il limite delle
innovazioni sostanziali fissato dalle modifiche dufficio non riguarda quelle attinenti alla tutela del paesaggio e
dellambiente, che pertanto, possono anche mutare le caratteristiche essenziali e i criteri di impostazioni del
piano. Nella specie, per altro, come si evince dalla piana lettura del provvedimento impugnato, la Regione si
mossa esplicitamente allinterno delle linee di fondo e dei criteri ispiratori del piano, che, in base alla relazione
tecnica di accompagnamento predisposta dal comune, sono volti a: contenere lespansione edilizia; tutelare in
modo assoluto le risorse naturali, paesistiche ed archeologiche; riqualificare le zone turistiche; rispettare e
valorizzare le potenzialit agricole; riqualificare il centro storico, potenziare le attivit produttive industriali. La
sussistenza di specifiche competenze dello Stato (ora delegate alle Regioni) in materia di ambiente, paesaggio
ed ecosistemi, non esclude che la tutela di tali valori sia un obbiettivo primario anche per la pianificazione
urbanistica. Pertanto, in sede di approvazione di un piano regolatore, lamministrazione a ci competente pu
introdurre vincoli diretti alla protezione dellambiente e del paesaggio, ancorch non siano stati adottati i
provvedimenti previsti dalle leggi n. 1497 del 1939 e n. 1089 del 1939 (ora d.lgs. n. 490 del 1999), ed anche in
maniera pi restrittiva di quelli indicati da questi ultimi, se emanati. Per quanto concerne la doglianza incentrata
sulla omessa ripubblicazione del piano (con la conseguente impossibilit del privato di formulare osservazioni),
la giurisprudenza di questo Consiglio, afferma che <<nel procedimento di formazione dei piani regolatori
generali, la pubblicazione prevista dall'art. 9 L. 17 agosto 1942, n. 1150 finalizzata alla presentazione delle
osservazioni da parte dei soggetti interessati al progetto di piano adottato dal comune, ma non richiesta per le
successive fasi del procedimento, anche se il piano originario risulti modificato a seguito dell'accoglimento di
alcune osservazioni o di modifiche introdotte in sede di approvazione regionale>> (cfr. sez. IV, 20 novembre
2000, n. 6178; 20 febbraio 1998, n. 301 cit.; 11 giugno 1996, n. 777). Tale affermazione da cui la sezione non
intende discostarsi - coerente con il carattere obbligatorio dellintervento regionale a tutela dellambiente, che
rende superfluo lapporto collaborativo del privato, superato e ricompreso dalla scelta pianificatoria operata dal
comune e modificata in sede di approvazione dalla Regione. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003,
Sentenza n. 1197 (vedi: sentenza per esteso)
Formazione di un PRG - le scelte discrezionali dellamministrazione - motivazione - la relazione di
accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale. In occasione della formazione di
uno strumento urbanistico generale, le scelte discrezionali dellamministrazione riguardo alla destinazione di
singole aree, non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si pu evincere dai criteri generali - di
ordine tecnico discrezionale - seguiti nellimpostazione del piano stesso, essendo sufficiente l'espresso
riferimento alla relazione di accompagnamento al progetto di modificazione al piano regolatore generale, salvo
che particolari situazioni non abbiano creato aspettative o affidamenti in favore di soggetti le cui posizioni
appaiano meritevoli di specifiche considerazioni. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n.
1197 (vedi: sentenza per esteso)

P.r.g. - l'adozione ed approvazione del piano regolatore generale - apprezzamento di merito e sindacato di
legittimit - limiti - errori di fatto o abnormi illogicit. Le scelte effettuate dall'amministrazione nell'adozione ed
approvazione del piano regolatore generale costituiscono apprezzamento di merito sottratto al sindacato di
legittimit, salvo che non siano inficiate da errori di fatto o abnormi illogicit (cfr. ex plurimis e di recente, sez. IV,
8 febbraio 1999, n. 121). Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1197 (vedi: sentenza per
esteso)
In sede di approvazione di un piano regolatore generale, la Regione, ben pu introdurre vincoli diretti alla
protezione del paesaggio e dellambiente - legittimit dellinserimento nel prg di provvedimenti pi restrittivi da
quelli previsti dalle leggi in materia di tutela del paesaggio e dellambiente - competenze delegate dallo stato. In
considerazione delle competenze delegate dallo stato in materia di tutela delle bellezze naturali, la regione, in
sede di approvazione di un piano regolatore generale, ben pu introdurre vincoli diretti alla protezione del
paesaggio e dellambiente, ancorch non siano stati adottati i provvedimenti previsti dalle leggi n. 1497 del 1939
e n. 1089 del 1939 (ora d.lgs. n. 490 del 1999), ed anche in maniera pi restrittiva di quelli indicati da questi
ultimi, se emanati. Sulla esatta natura giuridica e sui limiti del potere regionale di approvazione con modifiche
dei p.r.g. adottati dai comuni, si veda: cfr. Ad. plen. 14 dicembre 2001, n. 9; sez. IV, 21 luglio 2000, n. 4076; sez.
IV, 19 gennaio 2002, n. 245; Ad. plen. 22 dicembre 1999, n. 24. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003,
Sentenza n. 1197 (vedi: sentenza per esteso)
Lapprovazione del piano regolatore - lobbligo di motivazione delle modificazioni introdotte dalla Regione modificazione dufficio (obbligatoria o facoltativa) - la modifica destinata a tutelare il paesaggio o lambiente in
genere. In sede di approvazione del piano regolatore ai sensi dellart. 10, comma 2, l. n. 1150 del 1942, lobbligo
di motivazione delle modificazioni introdotte dalla Regione si atteggiano diversamente a seconda del tipo di
modificazione dufficio (obbligatoria o facoltativa) apportata dalla Regione stessa, per cui va ritenuto che la
modifica destinata a tutelare il paesaggio o lambiente in genere, anche quando si risolva nellimprimere ad
unarea il preesistente connotato di zona agricola o destinata a parcheggi, non richieda una diffusa analisi
argomentativi, tanto pi che il limite delle innovazioni sostanziali fissato dalle modifiche dufficio non riguarda
quelle attinenti alla tutela del paesaggio e dellambiente, che pertanto, possono anche mutare le caratteristiche
essenziali e i criteri di impostazioni del piano. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1197
(vedi: sentenza per esteso)
P.r.g. - casi della necessit della singola motivazione obbligatoria. Le evenienze che, uniche, giustificano una
pi incisiva e singolare motivazione degli strumenti urbanistici generali sono ravvisabili: a) nel superamento degli
standards minimi di cui al d.m. 2 aprile 1968, con l'avvertenza che la motivazione ulteriore v riferita
esclusivamente alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal
riferimento alla destinazione di zona di determinate aree; b) nella lesione dell'affidamento qualificato del privato
derivante da convenzioni di lottizzazione, accordi di diritto privato intercorsi tra il comune e i proprietari delle
areee, aspettative nascenti da giudicati di annullamento di dinieghi di concessione edilizia o di silenzio - rifiuto su
una domanda di concessione; c) nella modificazione in zona agricola della destinazione di un'area limitata,
interclusa da fondi edificati in modo non abusivo. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n.
1197 (vedi: sentenza per esteso)
Prg - aspettativa qualificata ad una destinazione edificatoria - aspettativa generica ad una reformatio in melius la c.d. polverizzazione della motivazione. Non comunque configurabile un'aspettativa qualificata ad una
destinazione edificatoria in relazione ad una precedente determinazione dell'amministrazione, ma soltanto
un'aspettativa generica ad una reformatio in melius, analoga a quella di ogni altro proprietario di aree che aspira
ad una utilizzazione pi proficua dell'immobile; pertanto non pu essere richiesta la c.d. polverizzazione della
motivazione che sarebbe in contrasto con la natura generale dellatto, che non richiede altra motivazione che
quella dei criteri di ordine tecnico seguiti per la redazione dello stesso. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo
2003, Sentenza n. 1197 (vedi: sentenza per esteso)
P.r.g. - interesse del privato correlato ad una precedente previsione urbanistica - l'aspettativa ad una non
reformatio in peius cede di fronte alla discrezionalit del potere pubblico ci pianificazione urbanistica insidacabilit delle scelta di merito da parte del giudice amministrativo. La giurisprudenza ha da tempo segnalato
che non pu ritenersi qualificato l'interesse del privato proprietario correlato ad una precedente previsione
urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo pi proficuo: in questo caso, infatti, viene in
considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in peius delle destinazioni di zona,
cedevole dinanzi alla discrezionalit del potere pubblico di pianificazione urbanistica, per ragioni analoghe a
quelle per cui il divieto della reformatio in peius un criterio del tutto inidoneo, atteso il difetto di qualsivoglia
copertura costituzionale, a vincolare il Legislatore (cfr. Ap. 22.12.1999, n. 24). In tale ottica, viene in rilievo dal
lato sostanziale il riconoscimento in capo all'Amministrazione, in occasione della formazione dello strumento
urbanistico generale, di una ampia potest discrezionale per quanto concerne la programmazione degli assetti
del territorio, senza necessit di motivazione specifica delle scelte adottate in ordine alla destinazione delle
singole aree, ulteriore rispetto a quella desumibile dai criteri generali seguiti nell'impostazione del Piano (cfr. IV
Sez. 22 maggio 2000, n. 2934). Dal punto di vista processuale, a tale discrezionalit corrisponde logicamente la
insindacabilit delle relative scelte di merito, a meno che non siano inficiate da errori di fatto o da abnormi
illogicit (Cfr. IV Sez. 8.2.1999, n. 1214). Cons. di Stato, Sez. IV, sent. del 4.3.2003 n. 1191 (vedi: sentenza per
esteso)
P.r.g. - requisito di legittimit degli strumenti urbanistici generali e delle loro varianti che le stesse siano
precedute, nelle zone sismiche, dal parere del competente ufficio del Genio Civile. Requisito di legittimit degli
strumenti urbanistici generali e delle loro varianti che le stesse siano precedute, nelle zone sismiche (come
accade per il tenimento del Comune di Catanzaro), dal parere del competente ufficio del Genio Civile richiesto
dall'art. 13 della l. 2 febbraio 1974, n. 64 (cfr. in termini sez. IV, 8 maggio 2000, n. 2643: 19 febbraio 1999, n.

176; Cons. giust. amm. sic. 13 ottobre 1998, n. 607). Tale disposizione stabilisce che in tutti i comuni ubicati in
zona sismica, necessaria l'acquisizione del parere del competente ufficio del Genio Civile sugli strumenti
urbanistici generali e particolareggiati e sulle loro varianti. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003,
Sentenza n. 1196 (vedi: sentenza per esteso)
E illegittimo il provvedimento che affida al consiglio comunale il compito di approvare il progetto preliminare
dellopera pubblica ed alla giunta quello di approvare il progetto definitivo ed esecutivo. Palese la violazione
della disposizione sancita dallart. art. 1, comma 5, l. n. 1 del 1978, nella parte in cui affida al consiglio comunale
il compito di approvare il progetto preliminare dellopera pubblica ed alla giunta quello di approvare il progetto
definitivo ed esecutivo. La giunta comunale, nella vicenda che occupa, infatti, non ha mai adottato il
provvedimento di sua spettanza. Sotto tale angolazione stata alterata la sequenza procedimentale disegnata
dal legislatore, n pu accettarsi la tesi sostenuta dalla difesa delle appellanti, secondo cui il provvedimento
preso dal consiglio comunale, ed inviato per lapprovazione alla Regione, avrebbe avuto solo effetti e finalit
urbanistiche. Il contenuto esplicito della deliberazione consiliare e della successiva determinazione regionale,
infatti, univoco nel rivelare lintento delle amministrazioni di approvare un progetto di opera pubblica, in
variante allo strumento urbanistico vigente, con contestuale dichiarazione di pubblica utilit, indifferibilit ed
urgenza. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1196 (vedi: sentenza per esteso)
Il termine per impugnare latto di approvazione del progetto di opera pubblica avente effetto di dichiarazione di
pubblica utilit, indifferibilit ed urgenza, nonch di variante speciale al p.r.g. - insufficienza della pubblicazione
dellatto per leffettiva conoscenza - decorrenza - conoscenza individuale del proprietario - la notificazione
individuale dellatto di approvazione regionale - obbligo. Il termine per impugnare latto di approvazione del
progetto di opera pubblica ai sensi dellart. 1, l. n. 1 del 1978, avente effetto di dichiarazione di pubblica utilit,
indifferibilit ed urgenza, nonch di variante speciale al p.r.g. (perch relativa ad un bene specifico sopra il quale
viene impresso un vincolo di destinazione pubblica), decorre dalla conoscenza individuale che ne abbia avuto il
proprietario, essendo insufficiente a tal fine la pubblicazione dellatto, in quanto il provvedimento ha effetti
specifici e circoscritti allarea da espropriare per lesecuzione dellopera, e quindi rivolto a soggetti determinati
per quanto non esplicitamente nominati (cfr. sez. IV, 28 gennaio 2002, n. 452, sez. II, 27 febbraio 2002, n.
294\2001). Nello specifico, la notificazione individuale dellatto di approvazione regionale imposta dallart. 8,
comma 5, l. n. 167 del 1962, richiamato dallart. 1, comma 5, l. n. 1 del 1978, come sostituito dallart. 4, comma
3, l. n. 415 del 1998. Consiglio di Stato, Sez. IV, del 4 marzo 2003, Sentenza n. 1196 (vedi: sentenza per
esteso)
Urbanistica e Edilizia - Abusivismo - Immobile ultimato - Sequestro preventivo - Esigenze cautelari Individuazione - Art. 321 Nuovo cod. proc. pen. - Art. 20 L. n. 47/1985. In materia edilizia ipotizzabile il
sequestro preventivo anche dell'immobile abusivamente costruito e gi ultimato, atteso che le esigenze cautelari
ravvisabili sono sia il paventato aumento del carico urbanistico sia le ulteriori conseguenze dovute all'uso ed al
godimento dell'opera abusiva al di fuori di ogni controllo prescritto in funzione della tutela degli interessi pubblici
coinvolti. Pres. Savignano G - Est. Grillo C - Imp. P.M. in proc. Sferratore L - PM. (Conf.) Izzo G. CORTE DI
CASSAZIONE Penale sez. III, 26 Febbraio 2003 (CC.22/01/2003) RV. 224173, Sentenza n. 09058
Il vincolo di destinazione di unarea alla utilizzazione pubblica, in un piano regolatore generale o in un
programma di fabbricazione un vincolo temporaneo - decadenza - termine di cinque anni - scadenza del
quinquennio - temporaneit del vincolo - la destinazione a zona agricola - linteresse alla utilizzazione pubblica
dellarea. Come noto, il vincolo di destinazione di unarea alla utilizzazione pubblica, in un piano regolatore
generale o in un programma di fabbricazione un vincolo temporaneo, secondo quanto dispone lart. 2 della
legge n. 1187 del 1968 e succ. mod., destinato a decadere se, nel termine di cinque anni, le opere, alla cui
realizzazione diretto, non sono state eseguite ovvero non siano stati adottati, nello stesso termine, gli
strumenti di pianificazione secondaria attuativi della destinazione pubblica dellarea. Alla scadenza del
quinquennio, il Comune tenuto obbligatoriamente ad operare una scelta, alla quale pu anche essere forzato
dai privati proprietari che intendono sfruttare i propri diritti dominicali, tra il rinnovo del vincolo preesistente, se
ritiene che persista un prevalente e motivato interesse pubblico al suo mantenimento (prevedendo, peraltro, un
indennizzo per i privati proprietari: Corte Cost. 20.5.1999, n. 179), ovvero la fissazione di un diverso regime
dellarea di cui trattasi. Il Comune di Ruffano, con lart. 28, disponendo che, in caso di decadenza, larea oggetto
della presente controversia acquistasse la destinazione a zona agricola, si sottratto a tale scelta e, di
conseguenza, ha violato lobbligo, implicito nel citato art. 2 della legge n. 1187 del 1068, di riconsiderare ex
novo, alla scadenza del quinquennio dalla imposizione del vincolo, il regime urbanistico da assegnare allarea.
La temporaneit del vincolo, come si gi rilevato, comporta che lente preposto al governo del territorio debba
nuovamente valutare, stante il tempo trascorso, che pu averne modificato la stima originaria, linteresse alla
utilizzazione pubblica dellarea in comparazione con i concorrenti interessi dei proprietari tesi alla utilizzazione
dellarea a scopi privati. La disposizione in esame, inoltre, non risponde neppure a criteri di ordinaria
ragionevolezza, non potendosi impostare la pianificazione urbanistica, prevedendo che unarea, nel suo assetto
definitivo, possa alternativamente, e quindi indifferentemente, essere sede di opere di urbanizzazione
secondaria a servizio di una zona residenziale (scuole, mercati, chiese, impianti sportivi, ecc) se ed in quanto tali
opere verranno realizzate oppure essere sede di coltivazioni agricole. La disposizione in parola, poi, sotto altro
profilo, finisce in sostanza con il perpetuare,surrettiziamente e sine die, il preesistente vincolo di inedificabilit, in
quanto la ubicazione dellarea di cui trattasi nel pieno del centro abitato la rende di fatto inutilizzabile per i
proprietari, stanti i noti e ristretti limiti soggettivi ed oggettivi che caratterizzano luso dei suoli ubicati nelle zone
qualificate come agricole. Quanto precede senza dire che la ubicazione dellarea alla quale si ora accennato
(oltre che la stessa prima destinazione ad opere di urbanizzazione secondaria assegnatale dal Comune) rende
evidente che essa priva di quella vocazione agricola che costituisce il presupposto indefettibile per una
conforme qualificazione giuridica. Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 988

PRG - temporaneit del vincolo di destinazione - linteresse alla utilizzazione pubblica dellarea. La temporaneit
del vincolo, comporta che lente preposto al governo del territorio debba nuovamente valutare, stante il tempo
trascorso, che pu averne modificato la stima originaria, linteresse alla utilizzazione pubblica dellarea in
comparazione con i concorrenti interessi dei proprietari tesi alla utilizzazione dellarea a scopi privati. Consiglio di
Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 988
Necessit della concessione edilizia per la legittima installazione di un box - ordine di rimozione - le costruzioni
aventi intrinseche caratteristiche di precarieta' strutturale e funzionale - condizioni. Non pare dubbia la necessit
della concessione edilizia per la legittima installazione del box colpito dal controverso ordine di rimozione, posto
che, secondo un consolidato orientamento, soltanto le costruzioni aventi intrinseche caratteristiche di precarieta'
strutturale e funzionale, cioe' destinate fin dall'origine a soddisfare esigenze contingenti e circoscritte nel tempo,
sono esenti dall'assoggettamento alla concessione edilizia, mentre e' sicuramente sottoposto al predetto regime
un chiosco prefabbricato per lo svolgimento di attivita' commerciale, in quanto esso, pur se non infisso al suolo
ma solo aderente in modo stabile, e' destinato ad un'utilizzazione perdurante nel tempo, di talche' l'alterazione
del territorio non puo' essere considerata temporanea, precaria o irrilevante (Consiglio di Stato, sez. V, 24
febbraio 1996, n. 226). Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 986 (vedi: sentenza per
esteso)
Irrilevanza della doglianza relativa allomessa acquisizione dei pareri obbligatori del Dirigente dellU.T.C. e della
Commissione Edilizia Comunale. La doglianza relativa allomessa acquisizione dei pareri obbligatori del
Dirigente dellU.T.C. e della Commissione Edilizia Comunale, in presunta violazione dellart.41 V comma L.R.
Puglia n.56/80, si rivela infondata in fatto, atteso che gli avvisi dei predetti organi in merito alla natura abusiva
del manufatto ed alla necessit della sua rimozione risultano espressi nelle diverse forme delle relazioni del
Dirigente dell Ufficio Tecnico prot. n.4539 in data 23 febbraio 1996 e prot. n.13585 in data 13 giugno 1996 (l
dove si rileva la natura abusiva del chiosco prefabbricato) e della delibera della C.E.C. in data 4 gennaio 1996
(l dove si esprime espressamente parere favorevole alla demolizione con specifico riferimento allordinanza di
sospensione - nei confronti della quale quella di demolizione si pone quale provvedimento consequenziale e
necessitato). Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 986 (vedi: sentenza per esteso)
Lottemperanza allordine di demolizione e rimozione di un manufatto abusivo - termine inferiore a novanta giorni
- l'assegnazione di un termine pi breve - violazione meramente formale - illegittimit. E stata riconosciuta
linidoneit della fissazione di un termine inferiore a novanta giorni per lottemperanza allordine di demolizione a
determinare lillegittimit di questultimo, che, per univoco orientamento giurisprudenziale, l'assegnazione di un
termine pi breve di quello prescritto dall'art. 7 l. 28 febbraio 1985 n. 47 per provvedere alla rimozione del
manufatto abusivo si risolve in una violazione meramente formale, non lesiva per l'interessato, che conserva,
comunque, un termine non inferiore a quello di legge per ottemperare allingiunzione (Consiglio di Stato, Sez. V,
3 febbraio 2000, n. 597). Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 986 (vedi: sentenza per
esteso)
Normativa antisismica - irrilevanza dellaccertamento o dellerrata applicazione della L. n.64/74 se vi il rilievo
della natura abusiva del chiosco - legittimit dellordinanza di demolizione. Il motivo relativo allinapplicabilit al
manufatto in questione (chiosco metallico) della normativa antisismica stato correttamente ritenuto dal T.A.R.
irrilevante ai fini della decisione, posto che lordinanza di demolizione stata principalmente, e legittimamente,
adottata sulla base del rilievo della natura abusiva del chiosco e che leventuale accertamento dellerrata
applicazione al caso di specie della L. n.64/74 non implicherebbe lannullamento del provvedimento impugnato,
che resterebbe validamente sorretto dal motivo relativo alla violazione della normativa edilizia. Consiglio di Stato
Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n. 986 (vedi: sentenza per esteso)
La circostanza che ledificio sia stato abbandonato, con conseguente crollo di parte della sua struttura, non
preclusiva sullintervento di recupero - interventi di ristrutturazione e di ampliamento - la destinazione abitativa
nelle zone agricole - illegittimit del diniego di concessione edilizia. Non pu, dubitarsi che il manufatto in
questione (ledificio stato abbandonato, con conseguente crollo di parte della sua struttura), per come
classificato nel vecchio catasto (allegato dalla ricorrente sub 12) per la sua ubicazione nel territorio e per le sue
caratteristiche strutturali, sia stato ab origine destinato a casa colonica (non risultando, peraltro, documentate o
suggerite diverse utilizzazioni, compatibili con le sue dimensioni e la sua posizione) e, quindi, ad abitazione di
contadini. La disciplina edilizia di riferimento, posto che il combinato disposto degli artt.8 c.7 della L.R.
dellUmbria n.53/74 e 13 delle N.T.A. ammette gli interventi di ristrutturazione e di ampliamento, nella zona (B/2)
in cui ricade limmobile della ricorrente, dei fabbricati destinati ad abitazione esistenti al momento delladozione
da parte del Comune del P.R.G. In tale senso depone, anzitutto, lesame della lettera della disposizione di
riferimento (che, richiedendo la mera destinazione abitativa, pare indicare una tipologia di edificio piuttosto che il
suo stato di conservazione) ma, soprattutto, lindagine della sua ratio che, conducendo allagevole
individuazione della finalit di favorire il recupero, per mezzo della ristrutturazione e dellampliamento, delluso di
manufatti altrimenti inidonei ad assolvere loriginaria destinazione abitativa nelle zone agricole, impone di
preferire lopzione ermeneutica che assegna alla norma un contenuto precettivo coerente con il suo scopo e,
quindi, compatibile con lammissibilit della ristrutturazione di edifici parzialmente demoliti (purch inizialmente
destinati ad abitazione). Il diniego di concessione edilizia impugnato in primo grado deve, in definitiva, giudicarsi
illegittimo siccome erroneamente assunto sulla base di ragioni impeditive infondatamente basate su uno
scorretto apprezzamento della documentazione tecnica attestante la volumetria delledificio e su unerrata
valutazione del requisito della destinazione abitativa. Consiglio di Stato Sezione V, del 24.02.2003, Sentenza n.
985
Urbanistica - interventi edilizi - modifica del prospetto del fabbricato - concessione edilizia - necessit. Gli

interventi edilizi che comportino una modifica del prospetto del fabbricato, a prescindere dalle dimensioni, non
possono essere assimilati nella categoria di opere interne e neanche in quelle di manutenzione straordinaria o di
intervento di restauro o risanamento conservativo, bens in quella di ristrutturazione edilizia e necessita di
conseguenza il titolo concessorio. (Pres. Camozzi Est. Buscicchio Calderaio (Avv. Paicardi) c. Comune di
Maratea) TAR BASILICATA - 22 febbraio 2003, n.182
Urbanistica e Edilizia - Condono edilizio - Disciplina della sanatoria - Lottizzazione abusiva - Reato di cui agli
artt. 18 e 19 L. n. 47/1985 - Condonabilit ex legge 724/1994 - Esclusione Fondamento - Sanatoria dei singoli
manufatti abusivamente eseguiti - Effetti. Il reato di lottizzazione abusiva, di cui agli artt. 18 e 20 della legge 28
febbraio 1985 n. 47, non e' suscettibile di condono edilizio ai sensi dell'art. 39 della legge 23 dicembre 1994 n.
724, atteso che la disciplina della sanatoria contenuta nell'art. 35 della citata legge n. 47 esclude implicitamente
dal suo ambito di applicazione l'attivit lottizzatoria. L'eventuale sanatoria dei singoli manufatti abusivamente
eseguiti, anche se previa valutazione globale dell'attivit lottizzatoria, non estende pertanto all'attivit illecita di
lottizzazione l'effetto estintivo del reato. Pres. Toriello F - Est. Fiale A - Imp. Cicchella A - PM. (Conf.) Izzo G.
CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 21 Febbraio 2003 (UD.20/12/2002) RV. 224167, Sentenza n. 08557
La legittimazione attiva ai soggetti proprietari di immobili confinanti o viciniori con quello oggetto della
concessione edilizia - verifica della sussistenza in concreto di un loro interesse differenziato - tutela degli
interessi dei soggetti collegati in modo stabile e concreto. La giurisprudenza, ha pi volte riconosciuto linteresse
ad impugnare una licenza edilizia rilasciata a terzi da parte del proprietario di aree vicine a quelle ove devono
realizzarsi le opere, in ragione dello stabile collegamento con la zona oggetto di intervento, senza necessit
della prova di ulteriori specifici danni. A ben vedere, per, il presupposto assunto a base di tale enunciazione di
principio, rinvenibile nella circostanza per cui il contestato intervento venga ad incidere in modo apprezzabile
sugli assetti edilizi, urbanistici od ambientali relativi allintera zona considerata, e quindi implicitamente anche
sugli interessi dei soggetti a questa collegati in modo stabile e concreto. Ed in questo senso che la richiamata
giurisprudenza ha riconosciuto la legittimazione del terzo radicato nella zona, ad impugnare una concessione
edilizia che consentisse una nuova edificazione oggettivamente in grado di incidere sullassetto
urbanistico-edilizio della zona stessa, ovvero che limitasse unarea destinata a verde, o che intervenisse sui
parametri urbanistici garantiti dalle prescrizioni del P.R.G., o che interessasse i particolari valori architettonici ed
ambientali esistenti, e che quindi determinasse una apprezzabile modifica dellassetto territoriale preesistente
nel senso considerato. In altri termini, a giudizio del Collegio, lassunto per cui in materia urbanistica si deve
riconoscere la legittimazione attiva ai soggetti proprietari di immobili confinanti o viciniori con quello oggetto della
concessione edilizia, non pu comunque prescindere dalla verifica della sussistenza in concreto di un loro
interesse differenziato, alla stregua del generale principio che regola laccesso alla tutela giurisdizionale
amministrativa avverso i provvedimenti della pubblica amministrazione. T.A.R. Liguria, 21 febbraio 2003,
sentenza n. 225 (vedi: sentenza per esteso)
Concessione edilizia - la posizione legittimante alla impugnativa - requisiti. Le preoccupazioni sottese alla natura
del giudizio amministrativo risultano gi poste a fondamento della prevalente opinione giurisprudenziale che ha
escluso in materia la qualificazione in termini di azione popolare (cfr. ad es. Consiglio Stato sez. V, 13 luglio
2000, n. 3904); quindi, a fronte del dettato normativo e dei principi generali in tema di interesse concreto ed
attuale al ricorso, ulteriori limitazioni devono essere oggetto di specifiche considerazioni, derivanti
dallinsussistenza di qualsiasi possibile pregiudizio nella singola fattispecie. In tal senso, leccessiva contrazione
dei presupposti per limpugnativa in materia, oltre a porsi in evidente contrasto con la chiara disposizione
normativa, viene a stridere con i principi di cui agli artt. 24, 103, 111 e 113 della Costituzione, sulla scorta dei
quali occorre assicurare una adeguata tutela delle situazioni giuridiche soggettive, fra le quali non possono che
essere ricompresi gli interessi dei proprietari di immobili al corretto sviluppo urbanistico ed edilizio della zona. Va
pertanto ribadito che a seguito del rilascio di un titolo concessorio di natura edilizia la posizione legittimante alla
impugnativa sussiste in capo a coloro che si trovino in una situazione di stabile collegamento giuridico con il
terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato e che facciano valere un interesse giuridicamente protetto
di natura urbanistica, quale quello della osservanza delle prescrizioni regolatrici dell'edificazione (cfr. ad es.
sentenza n. 588 del 2002 di questo Tribunale e Consiglio di Stato sez. V 30 gennaio 2003 n. 469). Ci sussiste
nel caso di specie alla luce della propriet di immobili contigui in capo agli odierni ricorrenti, i quali verrebbero ad
essere interessati dallintervento anche in merito allutilizzo delle strade nonch delle ulteriori strutture di rilievo
urbanistico ed edilizio valutabili in termini di aumento del peso insediativo. T.A.R. Liguria, 21 febbraio 2003,
sentenza n. 225 (vedi: sentenza per esteso)
Conferenza dei servizi - procedimento per il rilascio della concessione edilizia - non preclude l'impugnativa n
implica acquiescenza. Neppure la circostanza che in sede di conferenza dei servizi ex art. 14, l. 7 agosto 1990
n. 241, linteressato abbia convenuto sulla conclusione del procedimento mediante il rilascio della concessione
edilizia per un solo fabbricato, con riserva, peraltro, di verificare e rivendicare ulteriori diritti edificatori sul terreno
interessato, non precluda l'impugnativa n implichi acquiescenza, dal momento che questa deve derivare da un
atto non equivoco, tale cio da non lasciare dubbi sulla volont dell'interessato di disporre della propria
posizione giuridica soggettiva (cfr. ad es. T.A.R. Lazio sez. Latina, 17 dicembre 1999, n. 1020). A maggior
ragione va esclusa qualsiasi acquiescenza nel caso de quo dove, a fronte dellapprovazione di uno strumento
attuativo e del successivo rilascio di una connessa concessione, in variante rispetto alla vigente pianificazione
generale, da nessun atto o comportamento pu trasparire qualsiasi presunto assenso degli odierni ricorrenti a
causa del silenzio mantenuto avverso una pianificazione generale ormai superata. (In specie il ricorrente
lamenta la violazione della legge n. 353 del 2000 in materia di incendi boschivi, nonch diversi profili di eccesso
di potere, in quanto i titoli edilizi sarebbero stati rilasciati nonostante la vigenza del divieto di edificare per dieci
anni trattandosi di aree interessate dal fuoco). T.A.R. Liguria, 21 febbraio 2003, sentenza n. 225 (vedi: sentenza
per esteso)

Edilizia - ripresa dei lavori abusivi - le opere di tamponatura, rifinitura e similari, di fabbricati strutturalmente
ultimati, ma non ancora abitabili, hanno natura edilizia - non possono essere eseguite in assenza dei
provvedimenti concessori, autorizzatori e degli altri adempimenti, prescritti dalla normativa urbanistica,
ambientale e sull'edilizia in cemento armato - il concetto di ultimazione al semplice completamento strutturale condonabilit - irrilevanza. La ripresa dei lavori abusivi (tali dovendo considerarsi in assenza della non ancora
conseguita sanatoria) integra gli estremi delle contravvenzioni ascritte, tenuto conto che per costante
giurisprudenza di legittimit anche le opere di tamponatura, rifinitura e similari, di fabbricati strutturalmente
ultimati, ma non ancora abitabili, hanno natura edilizia ed essendo finalizzate al completamento della
costruzione, non possono essere eseguite in assenza dei provvedimenti concessori, autorizzatori e degli altri
adempimenti, prescritti dalla normativa urbanistica, ambientale e sull'edilizia in cemento armato, a nulla
rilevando che, ai diversi fini della condonabilit ex artt. 31 e segg. L 47/85, il legislatore abbia ancorato il
concetto di ultimazione al semplice completamento strutturale. (Nella fattispecie, il Tribunale di Torre
Annunziata, sez. dist. di Sorrento, aveva dichiarato il ricorrente colpevole delle contravvenzioni, in
continuazione, di cui agli artt. 20 lett. c) L. 47/85, 2-13-4-14 l. 1086/71 ed 1 sexies L. 431/85, per aver eseguito
opere di completamento ("tompagnatura" e rifacimento di scale interne) di parte di un fabbricato, gi
abusivamente edificato ed oggetto di domanda di sanatoria; fatto accertato il 22/5/96) Cassazione Penale, Sez.
III, 21 febbraio 2003, sentenza n. 8563
Concessione edilizia rilasciata impersonalmente in capo agli "eredi" - illegittimit. Non legittima una
concessione edilizia rilasciata impersonalmente in capo agli "eredi", talch la stessa viziata per difetto di
legittimazione e con la conseguenza di impedire ogni possibilit di individuare il destinatario responsabile cui far
capo per eventuali addebiti civili, amministrativi e penali. TAR Liguria - Genova, Sez. I del 21 febbraio 2003
Sentenza n. 213
Edilizia - ripresa dei lavori abusivi - le opere di tamponatura, rifinitura e similari, di fabbricati strutturalmente
ultimati, ma non ancora abitabili, hanno natura edilizia - non possono essere eseguite in assenza dei
provvedimenti concessori, autorizzatori e degli altri adempimenti, prescritti dalla normativa urbanistica,
ambientale e sull'edilizia in cemento armato - il concetto di ultimazione al semplice completamento strutturale condonabilit - irrilevanza. La ripresa dei lavori abusivi (tali dovendo considerarsi in assenza della non ancora
conseguita sanatoria) integra gli estremi delle contravvenzioni ascritte, tenuto conto che per costante
giurisprudenza di legittimit anche le opere di tamponatura, rifinitura e similari, di fabbricati strutturalmente
ultimati, ma non ancora abitabili, hanno natura edilizia ed essendo finalizzate al completamento della
costruzione, non possono essere eseguite in assenza dei provvedimenti concessori, autorizzatori e degli altri
adempimenti, prescritti dalla normativa urbanistica, ambientale e sull'edilizia in cemento armato, a nulla
rilevando che, ai diversi fini della condonabilit ex artt. 31 e segg. L 47/85, il legislatore abbia ancorato il
concetto di ultimazione al semplice completamento strutturale. (Nella fattispecie, il Tribunale di Torre
Annunziata, sez. dist. di Sorrento, aveva dichiarato il ricorrente colpevole delle contravvenzioni, in
continuazione, di cui agli artt. 20 lett. c) L. 47/85, 2-13-4-14 l. 1086/71 ed 1 sexies L. 431/85, per aver eseguito
opere di completamento ("tompagnatura" e rifacimento di scale interne) di parte di un fabbricato, gi
abusivamente edificato ed oggetto di domanda di sanatoria; fatto accertato il 22/5/96) CASSAZIONE PENALE,
Sez. III, 21 febbraio 2003, sentenza n. 8563
Urbanistica e Edilizia - Immobile abusivo - Reato di cui al l'art. 20 L n. 47/1985 - Concorso del progettista
direttore dei lavori Responsabilit - Sussiste - Progettista non direttore dei lavori - Responsabilit - Esclusione.
Il progettista di un manufatto abusivo non risponde del reato di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47,
neanche a titolo di concorso, atteso che la fase di redazione di un progetto, anche se difforme dalla normativa
vigente, va tenuta distinta da quella di direzione dei lavori, e non pu configurarsi un nesso di causalit tra la
redazione del progetto e l'attivit di attuazione dello stesso, soltanto per la quale sussiste rilevanza penale. Pres.
Savignano G - Est. Zumbo A - Imp. Ridolfi C - PM. (Conf.) Fraticelli M. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III,
20 Febbraio 2003 (UD. 12/12/2002) RV. 224166, Sentenza n. 08420
E legittimo il diniego di concessione edilizia giustificato dalla pericolosit idrogeologica del terreno interessato
dallattivit edilizia - il divieto contenuto nellart.30 L.R. n.56/77 (Piemonte) - la verifica dellincompatibilit di
nuove costruzioni con i caratteri geomorfologici dellarea - la modifica introdotta dufficio in sede di approvazione
del P.R.G.. Il divieto contenuto nellart. 30 L.R. n.56/77 esige, per la sua operativit, unindagine specifica circa
la pericolosit idrogeologica del terreno interessato dallattivit edilizia, non altrettanto pu dirsi per le ipotesi,
quale quella in esame, nelle quali la qualificazione dellarea come instabile gi stata compiuta in via preventiva
ed astratta in sede di formazione della disciplina urbanistica ed edilizia comunale. In questultimo caso, infatti, la
verifica dellincompatibilit di nuove costruzioni con i caratteri geomorfologici dellarea gi stata effettuata dal
Comune, con la conseguenza che il rinvio alla ricordata disposizione regionale non pu che intendersi come
riferito al divieto di edilificabilit nelle zone assoggettate a quella disciplina (e precedentemente classificate
come instabili dal COmune), atteso che il precetto contenuto nella norma richiamata risulta integrato e
completato, come gi evidenziato, dalla preventiva definizione in via amministrativa della situazione di fatto che
impedisce la realizzazione di nuovi insediamenti. Una diversa lettura della disciplina considerata risulterebbe,
inoltre, priva di senso, finendo per privare di ogni utilit ed efficacia la modifica introdotta dufficio in sede di
approvazione del P.R.G., che si risolverebbe in una superflua ripetizione, per talune classi di instabilit,
dellobbligo di unindagine istruttoria circa le condizioni del terreno o, peggio, nel riconoscimento
dellammissibilit dellattivit edilizia in aree nelle quali, secondo la disciplina contenuta nella versione originaria
del Piano, era vietato ogni intervento. Risulta, quindi, chiaro che lopzione ermeneutica prescelta dal T.A.R. va
rifiutata in quanto contraria al canone ermeneutico che impedisce una lettura che assegni alla disposizione un
contenuto precettivo privo di efficacia ed utilit o, addirittura, contrastante con le sue finalit, nella specie
chiaramente identificabili nella restrizione delle possibilit edificatorie nelle aree che presentino rischi di tenuta

idrogeologica, secondo gli studi gi compiuti dallo stesso Comune. Anche sotto il profilo considerato, in
definitiva, il diniego di concessione edilizia impugnato in primo grado dalla societ Maelga va riconosciuto
legittimo ed immune dal vizio di difetto di istruttoria erroneamente riscontrato dal Tribunale piemontese.
Consiglio di Stato Sezione V, - 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 913 (vedi: sentenza per esteso)
Concessione edilizia silenzio assenso presupposti il parere favorevole della commissione edilizia non
equivale a rilascio della concessione. Loperativit del silenzio assenso (ex. art. 8 d.l. 23.01.1982, n.9 convertito
in l.25 marzo 1982, n. 94) si ha soltanto quando la domanda di concessione edilizia sia totalmente conforme alle
previsioni di dettaglio contenute nel p.r.g. e il rilascio del titolo si configuri come atto dovuto, senza alcun
margine di discrezionalit da parte della p.a.. Il parere favorevole della commissione edilizia sulla richiesta di
concessione non equivale a rilascio della stessa, al rilascio rimane deputato lorgano dirigenziale dellu.t.c..
(Pres. Camozzi Est. Buscicchio Lapenta (avv. Sassone, Cornetta) c. Comune di Corleto Porticara) TAR
BASILICATA 19 febbraio 2003, n. 166
Abusivismo - opere realizzate prima del 31 dicembre 1993 senza titolo o in difformit - istanza di condono sospensione del giudizio da parte del giudice. In applicazione dellart. 44 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, la
cui operativit per le opere realizzate prima del 31 dicembre 1993 senza titolo o in difformit dallo stesso e per le
quali sia stata presentata istanza di condono prevista dallart. 39, primo comma, della legge 724/1994, deve
essere disposta la sospensione del giudizio da parte del giudice di primo grado. Consiglio di Stato Sezione V, 19 febbraio 2003 - Sentenza n. 903
La domanda di condono dolosamente infedele - la falsit della dichiarazione relativa al tempo dellultimazione
delle opere abusive - diritto daccesso - la rimozione dufficio della concessione in sanatoria rilasciata - strumenti
sanzionatori su dichiarazioni mendaci - obbligatoriet di adottare provvedimenti repressivi da parte del Comune latto di significazione e diffida - inerzia dellAmministrazione - lobbligo di concludere il procedimento con un
provvedimento espresso - lillegittimit del silenzio-rifiuto. In ordine allinconfigurabilit di un obbligo di
provvedere su unistanza intesa a sollecitare lesercizio dei poteri di autotutela (effettivamente connotato da
unampia discrezionalit sullan della relativa attivit provvedimentale), deve, invero, osservarsi che dallesame
dellatto di significazione e diffida rimasto nella specie inevaso si ricava univocamente che, nonostante
lindicazione dei provvedimenti di annullamento e revoca tra quelli richiesti allAmministrazione, le istanti non
intendevano tanto (o, meglio, non solo) provocare la rimozione dufficio della concessione in sanatoria rilasciata
al controinteressato ma, soprattutto, stimolare ladozione dei doverosi provvedimenti sanzionatori previsti dagli
artt.40 e 45 della L. n.47/85 per i casi in cui la domanda di condono debba ritenersi dolosamente infedele.
Adducendo, infatti, nellistanza la falsit della dichiarazione relativa al tempo dellultimazione delle opere abusive
a sostegno della richiesta dei doverosi provvedimenti consequenziali, le odierne ricorrenti hanno, infatti,
evidentemente inteso provocare lattivazione da parte del Comune degli strumenti sanzionatori previsti dalla
L.n.47/85 per le domande di sanatoria fondate su dichiarazioni mendaci. Ladozione dei provvedimenti repressivi
contemplati dalla legge citata costituisce un vero e proprio obbligo per lAmministrazione, sicch, nella ricorrenza
dei presupposti prima indicati, non residua alcun margine di discrezionalit in ordine allapplicazione delle
sanzioni (Cons. Stato, Sez. V, 24.3.1998, n.345). Ne consegue che latto di significazione e diffida, a fronte del
quale lAmministrazione rimasta inerte, deve ritenersi idoneo a costituire un obbligo di provvedere, in quanto
diretto a stimolare lesercizio di un potere imposto obbligatoriamente al Comune dalla legge. N rileva, in senso
contrario, che tale potest devessere esercitata dufficio e non su istanza del privato, posto che lart.2 L.
n.241/90 equipara tali due situazioni, ai fini della configurabilit dellobbligo di concludere il procedimento con un
provvedimento espresso. Ne consegue che la circostanza che il procedimento attivabile dufficio sia stato, di
fatto, iniziato con un'istanza del privato non esonera, ovviamente, lAmministrazione dal dovere di concluderlo
con un provvedimento espresso e non esclude la connessa legittimazione dellinteressato a conseguire la
peculiare forma di tutela apprestata dallart.21 bis L. n.1034/71. N, da ultimo, lillegittimit della condotta
omissiva dellAmministrazione pu escludersi sulla base del rilievo di un precedente pronunciamento su analoga
istanza delle interessate. Con riferimento allistanza in oggetto si deve, pertanto, dichiarare lillegittimit del
silenzio-rifiuto serbato dal Comune appellato. Consiglio di Stato, Sezione V - 14 febbraio 2003 - Sentenza n. 808
(vedi: sentenza per esteso)
L'esigenza di un piano esecutivo (di lottizzazione o particolareggiato), quale presupposto per il rilascio della
concessione di costruzione - illegittimo il diniego di concessione edilizia, fondato sulla carenza di un piano di
lottizzazione (anche se richiesto dal piano regolatore) quando l'area sia urbanizzata e difetti una rigorosa
valutazione del nuovo insediamento progettato in rapporto alla situazione generale del comprensorio. La
giurisprudenza ha, ripetutamente affermato, ribadendo i principi espressi dallAd.pl. n. 12 del 6.10.1992, che
l'esigenza di un piano esecutivo (di lottizzazione o particolareggiato), quale presupposto per il rilascio della
concessione di costruzione si pone allorch si tratti di asservire per la prima volta un'area non ancora
urbanizzata ad un insediamento edilizio di carattere residenziale o produttivo, mediante la costruzione di uno o
pi fabbricati, che obiettivamente esigano per il loro armonico raccordo con il preesistente aggregato abitativo, la
realizzazione o il potenziamento delle opere e dei servizi necessari a soddisfare taluni bisogni della collettivit,
vale a dire la realizzazione o il potenziamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, e che,
pertanto, illegittimo il diniego di concessione edilizia, fondato sulla carenza di un piano di lottizzazione (anche
se richiesto dal piano regolatore) quando l'area sia urbanizzata e difetti una rigorosa valutazione del nuovo
insediamento progettato in rapporto alla situazione generale del comprensorio, e cio, quando non sia
adeguatamente ponderato lo stato di urbanizzazione gi presente nella zona interessata, n siano in modo
congruo evidenziate le concrete, ulteriori esigenze di urbanizzazione indotte dalla nuova costruzione. Consiglio
di Stato, Sezione V - 14/02/2003 - Sentenza n. 802 (vedi: sentenza per esteso)
Laffissione della concessione edilizia allalbo pretorio non fa decorrere i termini per limpugnazione della
medesima - decorrenza del termine per limpugnazione - il termine decorre di regola, quando non risulti

unanteriore conoscenza della concessione, dallultimazione dei lavori. Per espresso disposto dellarticolo 31
della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150 come sostituito dallarticolo 10 della legge 6 agosto 1967 n. 765,
laffissione della concessione edilizia allalbo pretorio non fa decorrere i termini per limpugnazione della
medesima, la giurisprudenza amministrativa unanime nel fatto che il termine decorre di regola, quando non
risulti unanteriore conoscenza della concessione, dallultimazione dei lavori (vedansi, tra le ultime decisioni di
questo Consiglio, sesta sezione, 15 maggio 2002 n. 2668, e quarta sezione, 8 luglio 2002 n. 3805); e ci
basterebbe per accogliere leccezione di tardivit del ricorso, riproposta dagli appellanti come motivo dappello.
Consiglio di Stato, Sezione V - 14/02/2003 - Sentenza n. 799
Le regole inerenti al contributo per il rilascio della concessione - loblazione da corrispondere per la sanatoria
delle opere abusive. Lart. 35 riguarda loblazione da corrispondere per la sanatoria delle opere abusive, come
reso palese dallart. 34, nel quale sono stabiliti i criteri per la determinazione della somma dovuta a tale titolo, e
dallo stesso art. 35, nel quale ancora delloblazione si tratta: al comma 1, ai commi 6 (ora 11), 7, 8, 9, 11, e 15
(ora, rispettivamente, 12, 13, 14, 16 e 20). Le regole inerenti al contributo per il rilascio della concessione di cui
allart. 3 della legge 28 gennaio 1977, n. 10, sono, invece, mantenute ferme con il successivo art. 37 della
stessa legge n. 47/1985. Ivi si dispone, infatti, che il versamento delloblazione non esime i soggetti, che
chiedono la sanatoria, dal pagamento, ai fini del rilascio della concessione, del con-tributo in questione. E non
sono stabilite regole particolari, n fatto richiamo al precedente art. 35, in tema di prescrizione del diritto del
Comune. Consiglio di Stato, Sezione V - 14/02/2003 - Sentenza n. 798
Chiosco prefabbricato - necessita di concessione edilizia il manufatto che, pur se non infisso al suolo ma
soltanto aderente ad esso in modo stabile, destinato ad una utilizzazione perdurante nel tempo - a nulla
rilevando l'eventuale precariet strutturale del manufatto - ordine di rimozione. Sono assoggettate a concessione
di costruzione non solo le attivit di edificazione, ma tutte quelle consistenti nella modificazione dello stato
materiale e della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da quello che gli proprio, in
relazione alla sua condizione naturale e alla sua qualificazione giuridica, ha chiarito che necessita di
concessione edilizia il manufatto che, pur se non infisso al suolo ma soltanto aderente ad esso in modo stabile,
destinato ad una utilizzazione perdurante nel tempo, atteso che produce trasformazione urbanistica ogni
intervento che alteri in modo rilevante e duraturo lo stato del territorio, anche in relazione alla sua qualificazione
giuridica, a nulla rilevando l'eventuale precariet strutturale del manufatto in quanto non si traduca in suo uso
per fini contingenti e specifici (Cons. Stato, V, 31 gennaio 2001, n. 343; 20 dicembre 1999, n. 2125).
Lassegnazione da parte dellAmministrazione di un termine ridotto per provvedere alla rimozione non costituisce
vizio che inficia, in termini di illegittimit, lo stesso ordine di rimozione, rimanendo comunque preclusa fino alla
scadenza del novantesimo giorno lacquisizione gratuita del manufatto abusivo. (Nella specie era stato installato
un chiosco prefabbricato nellarea di posteggio assegnatagli, e questo comportava ladozione, da parte del
Commissario straordinario prefettizio, prima di unordinanza di sospensione immediata dei lavori, poi di
unordinanza di rimozione del chiosco abusivamente realizzato e di ripristino dello stato dei luoghi). Consiglio di
Stato Sezione V, - 11 febbraio 2003 - Sentenza n. 696
Contributo per oneri di urbanizzazione - il dovere di agire secondo correttezza e buona fede - evitare
laggravamento della posizione del debitore. Il dovere di agire secondo correttezza e buona fede non assolto
solo con il compimento di atti previsti in specifiche disposizioni di legge ma si deve realizzare anche con
comportamenti non individuati dal legislatore ma che in relazione alle singole situazioni di fatto siano necessari
per evitare laggravamento della posizione del debitore (Cass. 5 novembre 1999 n. 12310). Non perci
sufficiente sostenere, cos come ha fatto il primo giudice, che nessun obbligo normativamente previsto era posto
a carico del creditore nel caso di specie, ma si deve indagare se nellesercizio dellobbligo di cooperare con il
debitore per il puntuale adempimento dellobbligazione il creditore non abbia omesso atti e comportamenti che,
senza essere particolarmente disagevoli, potevano tuttavia rendere meno gravosa la posizione del debitore. (Nel
caso in esame il Comune di Melfi non ha fatto quanto era possibile e necessario per evitare il prodursi di danni
ulteriori per le Societ appellanti. In proposito si deve aggiungere che il comportamento complessivo delle parti
secondo buona fede costituisce una fonte di integrazione degli obblighi delle parti stesse (Cass. 8 febbraio 1999
n. 1078) e che con riguardo al caso di specie latteggiamento del Comune di Melfi ha oggettivamente introdotto
un elemento di incertezza e di attesa che ha concorso a determinare il mancato pagamento alle scadenze
stabilite da parte delle Societ appellanti delle rate del contributo per oneri di urbanizzazione). Conforme:
Consiglio di Stato, Sezione V del 5 febbraio 2003, sentenze nn. 584; 583; 582; 581; 580; 579; 578; 577; 576;
575; 574; 573; 572; 571. Consiglio di Stato, Sezione V del 5 febbraio 2003, sentenza n. 585 (vedi: sentenza per
esteso)
Urbanistica - lart. 3 della legge 47/1985 - lobbligo di escutere il fideiussore - contratto di fideiussione - posizione
creditoria del Comune. Non necessario approfondire in questa sede la natura (sanzionatoria o risarcitoria)
della obbligazione nascente dallapplicazione dellart. 3 della legge 47/1985: pacifico che si tratti di una
obbligazione ex lege alla quale si rendono applicabili tutte le disposizioni di principio in materia di obbligazioni
e tanto basta, come si visto, per la definizione della controversia. Nessun valore ha, poi, il richiamo alla
automaticit della applicazione dellart. 3 della legge 47/1985: una volta che si sia accertato che non vi stato
inadempimento imputabile allobbligato lart. 3 in questione non applicabile tout-court. Inconferenti sono,
altres, i richiami contenuti nella sentenza appellata al regime delle obbligazioni tributarie che corrispondono,
come noto, a principi propri ed esclusivi del regime fiscale, tipicamente a fattispecie esclusiva, validi solo
nellambito del regime stesso. N, infine, ha pregio, sostenere che imponendo al creditore nel caso di specie
lobbligo di escutere il fideiussore si eluderebbe lobiettivo della legge e si vanificherebbe lapparato
sanzionatorio del citato art. 3 della legge 47/1985. E evidente, infatti, che il pagamento da parte del fideiussore
degli oneri dovuti se soddisfa il Comune creditore non libera il soggetto garantito nel rapporto interno con il
garante e determina effetti contrattuali ben precisi voluti dalle parti secondo cui, di norma, il garantito deve poi

rifondere il garante di quanto egli abbia versato in sua sostituzione. In ogni caso, non sussiste alcun
apprezzabile interesse pubblico a limitare la autonomia delle parti del contratto di fideiussione a convenire un
regolamento di interessi che consenta, secondo la causa tipica di tale contratto, una pi sicura soddisfazione
della posizione creditoria del Comune. Conforme: Consiglio di Stato, Sezione V del 5 febbraio 2003, sentenze
nn. 584; 583; 582; 581; 580; 579; 578; 577; 576; 575; 574; 573; 572; 571. Consiglio di Stato, Sezione V del 5
febbraio 2003, sentenza n. 585 (vedi: sentenza per esteso)
PRG - linteresse del privato proprietario - discrezionalit del potere pubblico di pianificazione urbanistica reformatio in pejus. Non pu ritenersi qualificato linteresse del privato proprietario correlato ad una precedente
previsione urbanistica che consenta un utilizzo dell'area in modo pi proficuo: in questo caso, infatti, viene in
considerazione una aspettativa generica del privato alla non reformatio in pejus delle destinazioni di zona,
cedevole dinanzi alla discrezionalit del potere pubblico di pianificazione urbanistica, per ragioni analoghe a
quelle per cui il divieto della reformatio in pejus un criterio del tutto inidoneo, atteso il difetto di qualsivoglia
copertura costituzionale, a vincolare il Legislatore. ( cfr. Ap. 22.12.1999 n. 24). Consiglio di Stato, Sezione IV del
4 febbraio 2003, sentenza n. 566 (vedi: sentenza per esteso)
La partecipazione del privato al procedimento amministrativo - PRG - limiti. Ai sensi dell'art. 13 L. 7 agosto 1990
n. 241, le disposizioni contenute nel capo III della legge medesima - relative alla partecipazione del privato al
procedimento amministrativo - non si applicano nei confronti dell'attivit della Pubblica amministrazione diretta
all'emanazione di alcuni atti, tra cui quelli di pianificazione e programmazione fra i quali va ovviamente
compreso il Piano particolareggiato - per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la
formazione. Consiglio di Stato, Sezione IV del 4 febbraio 2003, sentenza n. 566 (vedi: sentenza per esteso)
Le zone miste di insediamenti produttivi - insediamenti produttivi semplici cio di carattere generale - il rilascio di
autorizzazioni al commercio al dettaglio - il diniego di autorizzazione al commercio - illegittimit - il carattere
urbanistico della insistenza dellimmobile. Le zone miste di insediamenti produttivi, di cui allarticolo 33 del PUC
di Bolzano, nelle quali il 70% costituito da insediamenti produttivi semplici cio di carattere generale, senza
distinzioni fra impianti di carattere industriale, artigianale o commerciale, devono essere tenute distinte dalle
zone di insediamenti produttivi di interesse generale, cui si riferiscono gli articoli 34 e seguenti della legge
provinciale 20 agosto 1972, n. 15, in quanto solo per queste ultime, per le quali il legislatore ha inteso riferirsi a
future destinazioni produttive da realizzarsi attraverso piani attuativi, valgono le pi rigorose norme per il rilascio
di autorizzazioni al commercio al dettaglio, in funzione della prevalente attivit di produzione, limitato ai soli
generi indicati nellarticolo 35 bis, comma 13, della legge provinciale 20 agosto 1972, n. 15. Pertanto illegittimo
il diniego di autorizzazione al commercio al dettaglio fondato sul solo rilievo di carattere urbanistico della
insistenza dellimmobile (cui si riferisce la richiesta di autorizzazione commerciale) in zona mista di insediamenti
produttivi. Consiglio di Stato, Sez. IV - 4 febbraio 2003 - Sentenza n. 552
Urbanistica e Edilizia - Provvedimento autorizzatorio illegittimo - Reato di cui all'art. 20 L. n. 47/1985 Configurabilit - Applicabilit delle lettere a), b) o c)- Criteri - Individuazione. In caso di costruzione edilizia
realizzata in presenza di atto amministrativo illegittimo ma in contrasto con la normativa urbanistico-edilizia, si
configura il reato di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47, nelle diverse ipotesi di cui alle lettere a), b)
e c) in relazione al differente grado di offensivit e con riferimento alla distinzione tra difformit totale e parziale e
tra opere eseguite in zone soggette o meno a vincolo. Pres. Savignano G - Est. Novarese F - Imp. Tarini V - PM.
(Conf.) Izzo G. CORTE DI CASSAZIONE Penale sez. III, 03 Febbraio 2003 (CC.18/12/2002) RV. 223534,
Sentenza n. 04877
Vincoli ricadenti su zone di piano regolatore - la funzione dellasservimento - laccordo dei privati - funzioni
compatibili. Con riguardo a vincoli ricadenti su zone di piano regolatore e consistenti nella necessit di
osservare certi rapporti, che stata ammessa, con lavallo della giurisprudenza, la funzione dellasservimento (V
Sez. 28.6.2000 n. 3637; 26.11.94 n. 1382; 26.1.1993 n. 26; 7.11.1990 n. 766), consistente nellassoggettamento
di altre aree, oltre quella interessata direttamente dal singolo intervento edilizio, ad un vincolo specifico, di modo
che liniziativa da attuare possa considerarsi rispettosa del vincolo stesso, che viene cos salvaguardato
dallinsieme delle aree considerate. La delimitazione dellarea complessiva asservita, ove non ostino particolari
prescrizioni di piano, deriva, quindi, dallaccordo dei privati. E ci quanto si avverato nel caso di specie, nel
quale la totale superficie asservita al predetto rapporto, e che consente di concentrare nellarea dellappellante
solo funzioni compatibili, deriva dalladesione prestata secundum legem dai proprietari di altre aree, senza che
il rapporto sia stato interamente saturato. (Con ricorso si denunciava il contrasto del provvedimento con il piano
regolatore generale, per violazione della regola sullinsediamento di funzioni compatibili con quelle industriali ed
artigianali, proprie della zona. In specie, la costruzione di un edificio destinato a centro dintrattenimento, con
multisala cinematografica e vari servizi (bancari, impianti sportivi, ristorazione, negozi, attivit di promozione ed
esposizione, ecc.)). Consiglio di Stato, Sez. V - 30 gennaio 2003 - Sentenza n. 469
Urbanistica - Valutazione opera - In genere - Costruzione edilizia - Valutazione unitaria e complessiva dell'opera
- Conseguenze sulla prescrizione - L. n. 47/1985. La valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con
riferimento al suo complesso, non potendosi considerare separatamente i suoi singoli componenti, cos che, in
virt del concetto unitario di costruzione, la stessa pu dirsi completata solo ove siano stati terminati i lavori
relativi a tutte le parti dell'edificio; conseguentemente la permanenza del reato di costruzione in difetto di
concessione cessa con la realizzazione totale dell'opera in ogni sua parte. (Nella specie la Corte ha disatteso
l'eccezione di prescrizione proposta in relazione alla realizzazione di un fabbricato per il quale risultava
realizzata in epoca recente la sola copertura, giudicando inammissibile la pretesa del ricorrente di ritenere
oggetto di giudizio la sola attivit di copertura dell'immobile). Pres. Savignano G - Est. Franco A - Imp. Tucci L PM. (Parz. Diff.) Iacoviello F. CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 29/01/2003 (CC.06/11/2002) RV.
223365 sentenza n. 04048
Urbanistica e edilizia - Costruzione edilizia - Valutazione unitaria e complessiva dell'opera - Conseguenze sulla

prescrizione - l. n. 47/1985. La valutazione di un'opera edilizia abusiva va effettuata con riferimento al suo
complesso, non potendosi considerare separatamente i suoi singoli componenti, cos che, in virt del concetto
unitario di costruzione, la stessa pu dirsi completata solo ove siano stati terminati i lavori relativi a tutte le parti
dell'edificio; conseguentemente la permanenza del reato di costruzione in difetto di concessione cessa con la
realizzazione totale dell'opera in ogni sua parte. (Nella specie la Corte ha disatteso l'eccezione di prescrizione
proposta in relazione alla realizzazione di un fabbricato per il quale risultava realizzata in epoca recente la sola
copertura, giudicando inammissibile la pretesa del ricorrente di ritenere oggetto di giudizio la sola attivit di
copertura dell'immobile). Vedi: Cass. 1993 n. 01815 riv. 195982. Pres. Savignano Rel Franco A.Imp. Tucci L.
P.M. (parz. diff. Iacoviello F.). CASSAZIONE PENALE, Sezione III, 29 gennaio 2003 (C.C. 6/11/2002) Sentenza
n. 04048
Linstallazione e manutenzione degli impianti pubblicitari e della segnaletica stradale - la diversa disciplina - il
Codice della Strada ed il relativo Regolamento di esecuzione - enti proprietari delle strade - il regime
autorizzatorio per linstallazione degli impianti pubblicitari - laffidamento in concessione - scelto in esito ad una
procedura di selezione pubblica. Il Codice della Strada (D. Lgs. 30 aprile 1992, n.285) ed il relativo Regolamento
di esecuzione (D.P.R. 16 dicembre 1992, n.495) distinguono, in proposito, chiaramente i segnali stradali, previsti
dagli art.37 e ss. del Codice, dagli impianti pubblicitari, contemplati dallart.23, dettando una diversa disciplina
per la loro installazione e manutenzione. Mentre, infatti, lart.37 riserva espressamente agli enti proprietari delle
strade e, nel caso di specie, ai Comuni lapposizione e la manutenzione della segnaletica stradale, tenuto conto
dellevidente funzione pubblica assolta da questultima, lart.26 detta un regime autorizzatorio per linstallazione
degli impianti pubblicitari, attribuendo agli enti proprietari la competenza al rilascio dei titoli necessari. N tale
conclusione appare inficiata dalla disposizione di cui allart.134 III comma del Regolamento, che contempla la
possibilit che i segnali turistici e di territorio vengano installati da soggetti diversi dallente proprietario della
strada, atteso che tale previsione risulta del tutto compatibile con lart.37 del Codice, l dove vengono
espressamente considerate le ipotesi in cui lapposizione dei segnali compete ad un soggetto, sempre pubblico,
diverso dallente proprietario della strada. La disposizione sopra indicata, quindi, non solo non contempla la
possibilit di accesso diretto dei privati allattivit considerata, ma conferma la previsione dellart.37 che riserva
allente proprietario della strada e, solo in talune ipotesi specifiche, ad altro soggetto pubblico linstallazione e la
manutenzione dei segnali stradali. (In specie, stata rilevata titolarit in capo al Comune di Varallo delle
competenze relative allapposizione ed alla manutenzione della segnaletica stradale in questione comportando
la piena legittimit dellaffidamento in concessione ad altro soggetto della gestione del relativo servizio.
Premesso, infatti, che tale attivit risulta riservata per legge al Comune e, quindi, sottratta alliniziativa
economica privata, non pare configurabile, per mezzo della sua concessione ad un soggetto scelto in esito ad
una procedura di selezione pubblica, alcuna lesione alla concorrenza od al diritto dimpresa). Consiglio di Stato,
Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 466 (vedi: sentenza per esteso)
E legittimo il diniego di concessione edilizia motivato per relationem - parere negativo della C.E.C - ragioni
ostative di carattere ambientale. Il parere negativo della C.E.C., al quale il comune si conformava, stato
trasmesso dal funzionario responsabile dellUfficio Tecnico del Comune allinteressato (e allautore del progetto).
Il Comune, pertanto, ha integralmente ed esattamente ottemperato allobbligo derivatogli dalla pronuncia del
T.A.R., che imponeva solo di motivare il provvedimento di diniego, chiarendo i motivi della rilevata incompatibilit
sotto il profilo ambientale del progettato ampliamento delledificio, e non certamente di rilasciare la concessione
edilizia. Il nuovo atto di diniego adottato dal Comune, infatti, congruamente motivato, per relationem, con rinvio
al nuovo parere dalla C.E.C. (trasmesso allinteressato), ampiamente argomentato sulle ragioni ostative di
carattere ambientale al rilascio di un provvedimento favorevole. Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 Sentenza n. 462
Divieto indiscriminato di edificazione - parco pubblico e verde privato - esigenza di asservimento a standards per
verde pubblico o servizi. Non ammissibile un divieto indiscriminato di edificazione in zona D, ma che occorre la
verifica in concreto della insufficienza degli standards per servizi e verde pubblico, (Cons. St. Sez. V, n. 784 del
1987). Larea destinata a Zona N (parco pubblico), a seguito dellaccoglimento delle osservazioni della propriet,
con deliberazione del Consiglio comunale, stata riclassificata Zona B2 (verde privato). In tal modo, come
evidente, risulta superata ogni esigenza di asservimento a standards per verde pubblico o servizi, con implicita
conferma dellinsufficiente valutazione della urbanizzazione in atto, derivante dallaccertamento della precedente
previsione del prg. Consiglio di Stato, Sez. V - 29 gennaio 2003 - Sentenza n. 448
La formazione dei piani regolatori generali e dei regolamenti edilizi - la possibilit di prescrivere un distacco fra
edifici che si fronteggino, maggiore rispetto a quello minimo imposto con legge. L'art.9 del d.m. n.1444/1968 non
preclude ai comuni, nella formazione dei piani regolatori generali e dei regolamenti edilizi, la possibilit di
prescrivere un distacco fra edifici che si fronteggino, maggiore rispetto a quello minimo imposto dal decreto
(Cass. civ. sez.II, 4 febbraio 1998, n.1132). (Nella specie, l'art.45 del regolamento edilizio definisce, in via
generale, la distanza tra gli edifici, precludendo, in tal modo, la diretta applicabilit del citato l'art.9 d.m.
n.1444/1968 - Cons. Stato sez.V, 23 maggio 2000, n.2983). In ogni caso, lo stesso art.9 del predetto decreto
detta una puntuale disposizione per le zone A), limitatamente alle operazioni di risanamento conservativo e alle
eventuali ristrutturazioni; ed, in tal caso, prevede che le distanze tra gli edifici non possano essere inferiori a
quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti (nella specie, la distanza tra i fabbricati di circa un metro);
diversamente, la distanza minima di dieci metri tra edifici si applica alla realizzazione di nuovi edifici anche in
zona omogenea "A". Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 419 (vedi: sentenza per esteso)
La nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia - trasformazione urbanistico-edilizia del
territorio - modifica dello stato dei luoghi - irrilevante il materiale utilizzato per realizzare le opere - la
trasformazione del tessuto urbanistico ed edilizio - nuova costruzione - ampliamento della costruzione esistente.
La nozione di costruzione, ai fini del rilascio della concessione edilizia, si configura in presenza di opere che

attuino un trasformazione urbanistico-edilizia del territorio, con perdurante modifica dello stato dei luoghi, a
prescindere che essa avvenga mediante realizzazione d'opere murarie. Infatti, irrilevante che le opere siano
realizzate in metallo, in laminati di plastica, in legno o altro materiale, laddove comportino la trasformazione del
tessuto urbanistico ed edilizio. Parimenti irrilevante, ai fini della qualificazione dellopera, la circostanza che la
veranda non sorga su terreno demaniale dato in concessione, ma dietro pagamento al comune di Viareggio
della sola occupazione di suolo pubblico. Nella specie, costituisce nuova costruzione, o ampliamento della
costruzione esistente, la veranda in questione, in quanto, sotto il profilo strutturale, stabilmente infissa al suolo,
con profondit dalla parete esterna al pilastro di sostegno di mt. 5,20, con dimensioni planimetriche di mt. 7,15 x
5,07 e con unaltezza nella parte superiore di mt. 2,85 e nella parte inferiore di mt. 2,80; e, sotto il profilo
funzionale, preordinata a soddisfare la non precaria esigenza del titolare di un pubblico esercizio (Cons. Stato,
sez.V, 20 marzo 2000, n.1507 e 7 ottobre 1996, n.1194; Cass. pen., sez.III, 12 maggio 1995, n.1758 e 6 aprile
1988). Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 419 (vedi: sentenza per esteso)
Lonere di provare l'esistenza di una via pubblica. Il carattere pubblico di una strada attiene, pi che alla
propriet del bene, all'uso concreto di esso da parte della collettivit. Pertanto, chi agisce in giudizio ha lonere di
provare l'esistenza di una via pubblica, ovvero lespressa o tacita manifestazione di volont dellamministrazione
di destinare tale spazio al servizio pubblico, nonch la concreta destinazione del suolo a tale scopo. (Cass. civ.
sez.II, 19 dicembre 1996, n.11373). Consiglio di Stato, Sez. VI - 27 gennaio 2003 - Sentenza n. 419 (vedi:
sentenza per esteso)
Il pagamento di alcuni oneri di attuazione del P.E.E.P. - la comunicazione di un atto di intimazione di pagamento
- non rientra nellambito di competenza esclusiva dei dirigenti - tale atto pu essere adottato anche dal Sindaco intimazioni di pagamento natura dellatto - i fatti illeciti e gli atti giuridici in senso stretto. Ladozione e la
comunicazione di un atto di intimazione di pagamento (larticolo 45 del d. lgs. n. 80 del 1998, dellarticolo 3 del d.
lgs. n. 29 del 1993 (ora articolo 4 del d. lgs. n. 165 del 2001) ) non rientra nellambito di competenza esclusiva
dei dirigenti, perch tale atto, in considerazione della sua natura, pu essere adottato anche dal Sindaco. Gli atti
con i quali il Comune determina gli importi che ritiene dovuti e ne chiede il pagamento agli interessati non hanno,
quindi, natura di provvedimenti amministrativi. Va, inoltre, escluso che tali atti possano qualificarsi come negozi
giuridici in quanto gli atti di intimazioni di pagamento hanno natura di atti giuridici in senso stretto e possono
essere validamente compiuti anche da soggetti legalmente incapaci (da ultimo, Cass., 22 febbraio 2001; Cass.,
16 agosto 1993, n. 8711; App. Bologna, 1 gennaio 1999). Non appare, quindi, applicabile alla fattispecie in
esame la previsione dellarticolo 4, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per cui ai dirigenti
spetta l'adozione degli atti e provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano lAmministrazione
verso l'esterno []. Tale disposizione si riferisce, infatti, ai soli atti negoziali ed ai provvedimenti amministrativi,
mentre gli atti ed i fatti che non siano riconducibili a tali categorie, come ad esempio i fatti illeciti e gli atti giuridici
in senso stretto, possono essere compiuti da qualsiasi soggetto che sia attualmente inserito nellorganizzazione
amministrativa e che operi nella qualit di agente o organo dellAmministrazione. In particolare, il Sindaco di un
Comune, nella sua qualifica, pu validamente compiere atti di intimazione di pagamento in relazione a crediti
vantati dal Comune. Conforme: Consiglio di Stato, Sezione IV - 25 gennaio 2003 - sentenze nn. 382; 381; 380;
379; 378; 377; 376; 375; 374; 373; 372; 371; 370; 369; 368; 367; 366; 365; 364; 363; 362; 361. Consiglio di
Stato, Sezione IV - 25 gennaio 2003 - sentenza n. 383
Urbanistica e edilizia - Trasformazione di balconi, terrazze o altre parti di un preesistente edificio in verande Natura di pertinenza - Esclusione - Ampliamento del fabbricato preesistente - Concessione edilizia - Necessit Mancanza - Reato di cui all'art. 20 legge n. 47 del 1985 - Configurabilit. L'attivit di trasformazione di balconi,
terrazze o altre parti di un preesistente edificio in verande, mediante telai o altri strumenti tecnici idonei ad
intercludere stabilmente uno spazio libero, non costituisce realizzazione di una pertinenza, ma, ove assolvente a
permanenti finalit abitative, ampliamento del fabbricato, e come tale integrante, in difetto di autorizzazione, il
reato di cui all'art. 20 della legge 28 febbraio 1985 n. 47. Pres. Savignano - Est. Piccialli - PM. (Conf.) Geraci Imp. Macaluso CASSAZIONE PENALE, Sezione III, del 23/01/2003 (UD.28/11/2002), RV. 223295 Sentenza n.
03160
P.r.g. - lapprovazione degli strumenti urbanistici - scelte urbanistiche - limiti al sindacato di legittimit. Le scelte
urbanistiche sottese allapprovazione degli strumenti urbanistici costituiscono apprezzamento di merito sottratto
in via generale al sindacato di legittimit, salvo che non siano ictu oculi arbitrarie o illogiche o contraddittorie o
siano inficiate da errori di fatto o da abnormi illogicit o siano fondate su un evidente travisamento della realt
(cos da ultimo Cons. St., IV, 17 gennaio 2002, n. 250, e 9 luglio 2002, n. 3817). T.A.R. Pescara, 23.01.2003 sentenza n. 190
PRG - osservazioni presentate dai privati - lAmministrazione comunale obbligata a motivarne adeguatamente
leventuale rigetto - lonere della motivazione delle scelte urbanistiche. In merito, alle osservazioni presentate dai
privati, la giurisprudenza ha in proposito costantemente precisato che con tali osservazioni i privati interessati
partecipano in sostanza alla formazione del piano stesso e, pertanto, lAmministrazione comunale obbligata a
motivarne adeguatamente leventuale rigetto, facendo almeno riferimento al fatto che dette osservazioni
contrastano con le linee fondamentali del piano regolatore (cfr. Cons. giust. amm. Reg. Sic., 1 febbraio 2001, n.
42); tali osservazioni possono, pertanto, essere legittimamente respinte anche sottolineando che esse sono in
contrasto con le regole fondamentali del piano e senza che sia necessario confutarle con dettagli analitici e
specifici (Cons. St., IV, 22 maggio 2000, n. 2914). In estrema sintesi, lonere della motivazione delle scelte
urbanistiche incombe sullAmministrazione solo quando tali scelte incidano in senso peggiorativo su situazioni
meritevoli di particolari considerazioni o per la singolarit del sacrificio imposto al privato o per la preesistenza di
aspettativa ingenerate in questultimo (cos da ultimo Cons. St., IV, 9 luglio 2002, n. 3817). T.A.R. Pescara,
23.01.2003 - sentenza n. 190

Le scelte urbanistiche sottese allapprovazione degli strumenti urbanistici - motivazione - esclusione - relazione
di accompagnamento al piano. Le scelte urbanistiche sottese allapprovazione degli strumenti urbanistici non
necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si pu evincere dai criteri generali seguiti nellimpostazione
del piano contenuti nella relazione di accompagnamento al piano stesso, e ci specie in considerazione di
quanto previsto dallart. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, laddove esclude dallobbligo generale di motivazione gli
atti normativi e quelli a contenuto generale, nel cui novero rientra appunto il piano regolatore; mentre un
motivazione puntuale richiesta solo in particolari ipotesi, quali, ad esempio, il superamento degli standard
minimi o quando siano state ingenerate nei privati delle specifiche aspettative (cos da ultimo Cons. St., IV, 6
febbraio 2002, n. 664). T.A.R. Pescara, 23.01.2003 - sentenza n. 190
Urbanistica - lottizzazione - incompletezza delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria - necessita' di
approvazione di un piano di lottizzazione - superfluita' di indagini dirette ad accertare la consistenza delle opere
presenti. Ogni qualvolta l'incompletezza delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria non permetta di
qualificare una zona come quartiere stabilizzato e completo, l'edificazione di un complesso residenziale, per il
quale il piano regolatore imponga l'approvazione di un piano di lottizzazione, senza averne chiesto
l'approvazione, configura la condotta del reato di lottizzazione abusiva, essendo superflua ogni indagine diretta
ad accertare la effettiva consistenza delle opere comunque presenti nella zona. Corte di Cassazione Penale
Sez. III Del 22/01/2003 (Ud.17/12/2002) Sentenza n. 03074
Urbanistica e edilizia - Ordine di demolizione di opere edilizie abusive - Proposizione di domanda di condono
edilizio - Procedura di esecuzione della demolizione - Sospensione per la verifica dei presupposti del condono
Legittimit - L. n. 47/1985. In tema di demolizione di opere edilizie abusive, il giudice dell'esecuzione puo'
sospendere il procedimento di esecuzione in presenza dell'avvenuta proposizione di una domanda di condono
edilizio al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per la applicazione della normativa sul condono
edilizio, atteso che in caso di legittimo conseguimento della sanatoria l'ordine di demolizione pu essere
revocato per incompatibilit con il provvedimento amministrativo. . PRES. Savignano - REL. - Grillo PM. (Conf .)
- IMP. Gugliandolo. CASSAZIONE PENALE, Sezione III, del 20/01/2003 (CC.20/11/2002) RV. 223286 Sentenza
n. 02406
Urbanistica e edilizia - Ordine di demolizione - acquisizione gratuita del manufatto abusivo al patrimonio
comunale - esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento dell'opera - delibera consiliare. In tema di
demolizione di opere edilizie abusive, l'acquisizione gratuita del manufatto abusivo al patrimonio comunale
incompatibile con il provvedimento di demolizione solo se sia stata dichiarata, con la prescritta formalit della
delibera consiliare, l'esistenza di prevalenti interessi pubblici al mantenimento dell'opera. PRES. Savignano REL. - Grillo PM. (Conf .) - IMP. Gugliandolo. CASSAZIONE PENALE, Sezione III, del 20/01/2003
(CC.20/11/2002) RV. 223286 Sentenza n. 02406
Urbanistica e edilizia - Concessione "ad aedificandum " illegittima - Potere accertativo del giudice penale di
fronte ad un atto amministrativo - Atto concessorio frutto di attivita' criminosa del soggetto titolare del potere Parificazione ad atto concessorio inesistente - Art. 20 l. n. 47/1985. L'interesse protetto dalla legge 28 febbraio
1985 n. 47, deve individuarsi nella protezione sostanziale e non meramente formale degli assetti del territorio in
conformit alla normativa urbanistica e quindi la contravvenzione di cui all'art. 20 lett. B) della citata legge, che
prevede l'assenza dell'atto concessorio, sussiste anche quando l'atto formalmente presente debba intendersi
assente perch frutto di comportamento illecito del soggetto titolare del potere di emetterlo. Conf.: Cass. 1995 n.
02378 riv.202581; Cass. 1999 n. 736 riv. 212884; Cass. 1987 n.3 riv.176304; Cass. 1993 n.11935 riv. 195359.
Pres. Savignano G - Rel. Vitalone C - PM. (Conf.) Izzo G. - Imp. PM in proc. Pezzella CASSAZIONE PENALE,
Sezione III, 16/01/2003 (CC.13/11/2002) Sentenza n. 01708 RV. 223475
Concessione edilizia per la costruzione di un fabbricato per la conduzione agricola - la mancanza del lotto
minimo - la concreta necessit del manufatto ai fini della conduzione agricola del fondo - Commissione edilizia necessit dellaccertamento - parere sfavorevole espresso dallUfficio tecnico comunale - motivazione. Al
riguardo sufficiente rilevare che la mancanza del lotto minimo si giustifica proprio in relazione alla sussistenza
di uneffettiva ed obiettiva connessione funzionale dellopera da realizzare con le esigenze relative alla
conduzione del fondo, e tale connessione doveva valutarsi in concreto tenendo conto da una parte delle
caratteristiche delledificio da costruire e dallaltra delle esigenze agricole da soddisfare. Tale accertamento
invece non risulta compiuto dalla Commissione edilizia che si limitata ad esprimere un generico parere
favorevole, sulla cui base poi il sindaco ha rilasciato la concessione edilizia impugnata. Esso invece era
necessario anche in considerazione del parere sfavorevole espresso dallUfficio tecnico comunale, che si
fondava sostanzialmente sulla sproporzione tra la superficie del terreno da coltivare ( circa mq.2000) e ledificio
da realizzare (mq.167), non potendosi considerare a tal fine anche gli ulteriori mq. 8100 del sig Catallo asserviti
unicamente ai fini della realizzazione delledificio e neppure i mq.1800 del fratello dellappellante, dei quali non si
fa alcun cenno nella relativa pratica edilizia. N pu seguirsi lappellante sullirrilevanza del parere dellUfficio
tecnico comunale in quanto, una volta che si ritenuto di richiamarne il contenuto nel provvedimento di
concessione, per ci stesso sorgeva il dovere del Sindaco di indicare le ragioni per le quali riteneva di
doversene discostare. Non pertinente poi linvocazione da parte dellappellante degli artt. 41 e 44 Cost. per
contrastare la decisione del TAR, atteso che l TAR si limitato a tener conto della normativa urbanistica
allepoca vigente, che peraltro non viene contestata. Consiglio di Stato, V Sezione del 15 gennaio 2003
sentenza n. 156 (vedi: sentenza per esteso)
Risarcimento danni - criteri di liquidazione del quantum - lonere di specificazione dei motivi di appello - caso di
incremento dei costi di costruzione nel tempo trascorso dal diniego illegittimo al rilascio della concessione. Dalla
lettura delle poche righe dellatto di impugnazione dedicate alla censura della determinazione dei criteri di

liquidazione del quantum, infatti, non dato comprendere quali parametri stabiliti dal T.A.R. sono stati contestati
dal ricorrente n le ragioni per le quali gi stessi sono stati ritenuti erroneamente dettati, sicch non risulta assolto
lonere di specificazione dei motivi di appello, per come definito da costante giurisprudenza (cfr. ex multis, Cons.
Stato, Sez. VI, 21 giugno 2001, n.3318). Se, poi, si intendesse leggere la citazione di un precedente
asseritamente contrario (Cons. Stato, Sez. VI, 2 giugno 2000, n.3177) come la contestazione del riconoscimento
di tutte le voci di danno diverse da quella, accertata nella decisione citata, relativa allincremento dei costi di
costruzione nel tempo trascorso dal diniego illegittimo al rilascio della concessione, sufficiente rilevare che nel
caso di specie lattivit edilizia illecitamente impedita dallAmministrazione aveva pacificamente finalit
commerciali sicch appare del tutto corretta la determinazione di criteri comprensivi anche del pregiudizio
patrimoniale sofferto dalla societ odierna appellata in dipendenza del mancato rispetto degli obblighi
contrattuali assunti con i promettenti acquirenti e della conseguente perdita di guadagno (costituita dallomessa,
tempestiva alienazione degli immobili). Nello stesso senso: C.d.S., Sez. V, 14/01/2003 n.87. Consiglio di Stato,
V Sezione del 14 gennaio 2003 sentenza n. 88
I limiti ed il contenuto dellindagine riservata al Giudice Amministrativo investito di una pretesa risarcitoria
fondata, sullaffermata violazione di un interesse pretensivo - jus aedificandi - falso presupposto. Se, invero,
risulta astrattamente corretta, ai fini della delibazione della domanda risarcitoria, la prospettazione, contenuta
nellatto dappello, della necessaria valutazione della spettanza del bene della vita (nella specie lattivit edilizia)
connesso allinteresse pretensivo leso dallazione amministrativa giudicata illegittima (cfr. Cass., SS. UU.,
n.500/99), lammissibilit e la praticabilit di siffatta verifica, ai fini del riconoscimento dellillecito aquiliano, vanno
concretamente controllate con riferimento alla natura, vincolata o meno (e, quindi, surrogabile o meno),
dellazione amministrativa ritenuta illegittima. Ove, infatti, la valutazione sottesa alla determinazione
amministrativa assunta come lesiva risulti vincolata, pu giudicarsi ammissibile (anzi doverosa), ai fini che qui
interessano, la valutazione della concreta idoneit del provvedimento ad impedire il conseguimento del bene
della vita, e della connessa utilit economica, effettivamente spettante allinteressato. L dove, viceversa,
lapprezzamento riservato allAmministrazione risulti caratterizzato da valutazioni discrezionali, deve reputarsi
preclusa al Giudice la delibazione della spettanza del bene della vita correlato allinteresse pretensivo leso
(verificandosi, altrimenti, uninammissibile sostituzione dellorgano giudiziario a quello amministrativo, per legge
unicamente competente a compiere quella valutazione), con la conseguenza che in queste ultime ipotesi ci si
dovr riferire a diversi parametri ai fini della verifica della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi dellillecito e
della determinazione del pregiudizio risarcibile. In coerenza con i parametri di giudizio appena descritti, si deve
rilevare che nel caso in questione non pu in alcun modo dubitarsi della fondatezza della pretesa sostanziale
(intesa ad ottenere i titoli necessari allesercizio dello jus aedificandi) avanzata da La Pineta con le istanze di
concessione in sanatoria ripetutamente respinte e rifiutate dallAmministrazione Comunale di Ostuni. Posto,
infatti, che laccertamento giurisdizionale relativo alla compatibilit urbanistica dei progetti presentati dalla
societ interessata non risulta contestato dallappellante e che, quindi, la verifica relativa alla spettanza delle
concessioni edilizie deve ritenersi definitivamente ed irrevocabilmente acquisita, la contestazione svolta in
appello circa la mancanza dellautorizzazione paesaggistica, che, in effetti, risulterebbe preclusiva del
riconoscimento della spettanza del titolo a costruire in zona vincolata, va disattesa in quanto fondata su un
presupposto falso. Nello stesso senso: C.d.S., Sez. V, 14/01/2003 n. 87. Consiglio di Stato, V Sezione del 14
gennaio 2003 sentenza n. 88
Natura del provvedimento relativo alla concessione edilizia e quello relativo al nulla osta ambientale - il nulla
osta regionale costituisce un mero requisito di efficacia (e non, dunque, un presupposto di legittimit) della
concessione edilizia - la legittima esecuzione dellattivit edilizia condizionata dal rilascio dellautorizzazione
paesaggistica. E stato, infatti, affermato, con orientamento qui condiviso, che il provvedimento relativo alla
concessione edilizia e quello relativo al nulla osta ambientale sono tra loro autonomi ed indipendenti,
realizzando interessi distinti e fondandosi su presupposti diversi, e che, quindi, il rilascio della prima non risulta
condizionato dalla previa emanazione del secondo (Cons. Stato, Sez. VI, 19 giugno 2001, n.3242). Si , inoltre,
chiarito, in coerenza con il predetto principio, che il nulla osta regionale costituisce un mero requisito di efficacia
(e non, dunque, un presupposto di legittimit) della concessione edilizia, nel senso che solo la realizzazione
dellopera assentita con questultima, in zona soggetta a vincolo paesaggistico, postula il previo conseguimento
dellassenso ambientale (Cons. Stato, Sez. VI, 20 novembre 2000, n.6193). Esolo la legittima esecuzione
dellattivit edilizia ad essere condizionata dal rilascio dellautorizzazione paesaggistica, e non anche, come
infondatamente sostenuto dal ricorrente, ladozione della concessione. Diversamente opinando, peraltro, si
perverrebbe allinaccettabile conseguenza di giudicare illegittima una concessione edilizia espressamente
condizionata al conseguimento del nulla osta regionale, quando questo stato rilasciato prima dellinizio dei
lavori assentiti. Appare, in definitiva, chiaro che, nella situazione appena descritta, risultano compiutamente
soddisfatti tutti gli interessi pubblici sottesi alla normativa edilizia ed ambientale di riferimento, puntualmente
valutati dagli organi rispettivamente competenti e ritenuti compatibili con lintervento assentito, e che solo un
eventuale diniego di autorizzazione paesaggistica avrebbe potuto fondare un giudizio di inefficacia (non di
illegittimit) della concessione edilizia in questione. Va, quindi, negata ogni fondatezza alle censure rivolte
contro i provvedimenti adottati dal Commissario ad acta e la conseguente conferma degli stessi con la sentenza.
Consiglio di Stato, V Sezione del 14 gennaio 2003 sentenza n. 87
Le questioni della illegittimit del silenzio-rifiuto e della spettanza dei titoli edilizi - provvedimenti del Commissario
ad acta - il silenzio giudicato illegittimo - lenunciazione di specifici motivi. Le questioni della illegittimit del
silenzio-rifiuto e della spettanza dei titoli edilizi, sotto il profilo della compatibilit urbanistica dei relativi progetti, si
appalesano del tutto indipendenti dalle contestazioni rivolte contro il capo della conferma dei provvedimenti del
Commissario ad acta e contro quello di condanna al risarcimento dei danni e che, nei riguardi delle parti della
motivazione con cui il silenzio stato giudicato illegittimo e le concessioni edilizie sono state ritenute atti dovuti,

in quanto compatibili con il P.R.G., non risulta formulata alcuna specifica critica nellatto di appello, gli anzidetti
capi della decisione impugnata devono ritenersi passati in giudicato o, comunque, estranei al thema
decidendum dellappello, circoscritto, come noto, alla cognizione delle questioni dedotte dallappellante mediante
lenunciazione di specifici motivi (Cons. Stato, Sez. IV, 25 luglio 2001, n.4077). Consiglio di Stato, V Sezione del
14 gennaio 2003 sentenza n. 87
Conformit alla normativa urbanistica - concessione "ad aedificandum " illegittima - potere accertativo del
giudice penale di fronte ad un atto amministrativo - atto concessorio frutto di attivita' criminosa del soggetto
titolare del potere - parificazione ad atto concessorio inesistente. L'interesse protetto dalla legge 28 febbraio
1985 n. 47, deve individuarsi nella protezione sostanziale e non meramente formale degli assetti del territorio in
conformit alla normativa urbanistica e quindi la contravvenzione di cui all'art. 20 lett. B) della citata legge, che
prevede l'assenza dell'atto concessorio, sussiste anche quando l'atto formalmente presente debba intendersi
assente perch frutto di comportamento illecito del soggetto titolare del potere di emetterlo. Conforme: Cass.
1995 n. 02378; Cass. 1999 n. 00736; Cass. 1987 n. 00003; Cass.1993 n. 11935. Corte di Cassazione Penale
Sez. III, del 16/01/2003 (CC.13/11/2002), Sentenza n. 01708
La convenzione di lottizzazione - ricorso agli strumenti di tutela in caso di invalidit del contratto - oneri di
urbanizzazione - nullit della clausola - discrezionalit del Comune e la previsione della legge. E innegabile che
la convenzione di lottizzazione, a causa dei profili di stampo giuspubblicistico che si accompagnano allo
strumento dichiaratamente contrattuale, rappresenti un istituto di complessa ricostruzione, e tuttavia la
giurisprudenza concorde nel ritenere che esso rappresenti lincontro di volont delle parti contraenti
nellesercizio dellautonomia negoziale retta dal codice civile. Tale assunto conserva validit anche nelle ipotesi,
come quella qui in esame, nella quale alcuni contenuti dellaccordo vengono proposti dallAmministrazione in
termini non modificabili dal privato. La circostanza non esclude che la parte che abbia sottoscritto la
convenzione, conoscendone il contenuto, abbia inteso aderirvi e ne resti vincolata, salvo il ricorso agli strumenti
di tutela in caso di invalidit del contratto. Il diverso argomento con il quale si sostiene che la cessione
convenuta, in quanto aggiuntiva rispetto agli oneri di urbanizzazione, riferiti ad opere e servizi menzionati dalla
normativa, sia non consentita, con conseguente nullit della clausola, urta contro i due dati oggettivi posti in
evidenza dalla sentenza appellata. Il primo, la indeterminatezza quantitativa degli oneri di urbanizzazione a
mente dellart. 28 legge urbanistica, che lascia un indubbio margine al Comune di commisurarne in concreto
lentit, secondo le peculiarit della lottizzazione. Il secondo, la finalizzazione alle esigenze di urbanizzazione
dellarea, che caratterizza le prestazioni esplicitamente previste dallart. 28, si riscontra anche nella prestazione
aggiuntiva contemplata dalla convenzione, la quale pertanto, sorretta dalla medesima causa meritevole di
tutela secondo la previsione della legge. Consiglio di Stato, Sezione V, del 10 gennaio 2003 sentenza n. 33
(vedi: sentenza per esteso)
Pagamento delle opere di urbanizzazione - il dovere di agire secondo correttezza e buona fede. Il dovere di
agire secondo correttezza e buona fede non assolto solo con il compimento di atti previsti in specifiche
disposizioni di legge ma si deve realizzare anche con comportamenti non individuati dal legislatore ma che in
relazione alle singole situazioni di fatto siano necessari per evitare laggravamento della posizione del debitore
(Cass. 5 novembre 1999 n. 12310). Non perci sufficiente sostenere, cos come ha fatto il primo giudice, che
nessun obbligo normativamente previsto era posto a carico del creditore nel caso di specie, ma si deve indagare
se nellesercizio dellobbligo di cooperare con il debitore per il puntuale adempimento dellobbligazione il
creditore non abbia omesso atti e comportamenti che, senza essere particolarmente disagevoli, potevano
tuttavia rendere meno gravosa la posizione del debitore. In proposito si deve aggiungere che il comportamento
complessivo delle parti secondo buona fede costituisce una fonte di integrazione degli obblighi delle parti stesse
(Cass. 8 febbraio 1999 n. 1078). Consiglio di Stato Sezione V del 10 gennaio 2003 sentenza n. 32 (vedi:
sentenza per esteso)
Pagamento delle opere di urbanizzazione - lobbligo di escutere il fideiussore - la posizione creditoria del
Comune. Nessun valore ha, il richiamo alla automaticit della applicazione dellart. 3 della legge 47/1985: una
volta che si sia accertato che non vi stato inadempimento imputabile allobbligato lart. 3 in questione non
applicabile tout-court. Inconferenti sono, altres, i richiami contenuti nella sentenza appellata al regime delle
obbligazioni tributarie che corrispondono, come noto, a principi propri ed esclusivi del regime fiscale,
tipicamente a fattispecie esclusiva, validi solo nellambito del regime stesso. N, infine, ha pregio, sostenere che
imponendo al creditore nel caso di specie lobbligo di escutere il fideiussore si eluderebbe lobiettivo della legge
e si vanificherebbe lapparato sanzionatorio del citato art. 3 della legge 47/1985. E evidente, infatti, che il
pagamento da parte del fideiussore degli oneri dovuti se soddisfa il Comune creditore non libera il soggetto
garantito nel rapporto interno con il garante e determina effetti contrattuali ben precisi voluti dalle parti secondo
cui, di norma, il garantito deve poi rifondere il garante di quanto egli abbia versato in sua sostituzione. In ogni
caso, non sussiste alcun apprezzabile interesse pubblico a limitare la autonomia delle parti del contratto di
fideiussione a convenire un regolamento di interessi che consenta, secondo la causa tipica di tale contratto, una
pi sicura soddisfazione della posizione creditoria del Comune. Consiglio di Stato Sezione V del 10 gennaio
2003 sentenza n. 32 (vedi: sentenza per esteso)
La punibilit dei reati urbanistici con lentrata in vigore del DPR 380/2001 e labrogazione della legge 47/85 fase transitoria - esclusione della "abolitio criminis". Nel sistema dell'art. 2 del codice penale ci che fa venir
meno la punibilit non che la norma incriminatrice sia stata formalmente abrogata, bens che la legge
sopravvenuta non preveda pi il fatto come reato. Cos, testualmente, il secondo comma: Nessuno pu essere
punito per un fatto che, secondo la legge posteriore, non costituisce reato. E allo stesso modo il terzo comma:
Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui
disposizioni sono pi favorevoli al reo. E' evidente che nel sistema dell'art. 2 del codice penale non ha rilevanza

il fatto formale della successione di leggi nel tempo, bens che le leggi di volta in volta succedutesi dispongano
diversamente l'una dall'altra. Se la legge penale anteriore viene abrogata per effetto di una legge sopravvenuta,
ma quest'ultima ne riproduce il contenuto (non necessariamente con le stesse parole), non viene meno la
punibilit. Ora, sta di fatto che l'art. 7 della legge n. 47/85 pedissequamente riprodotto dal testo dell'art. 31 del
d.P.R. n. 380/2001 (quanto meno per la parte che qui interessa). Ne consegue che, al di l di ogni anche
pregevole disquisizione sui rapporti fra legge e testo unico, ed anche se si fosse in presenza di due (o pi) leggi
ordinarie succedutesi nel tempo, la sostanziale identit e continuit del contenuto dispositivo esclude che si
possa invocare la "abolitio criminis". T.A.R. Umbria, sentenza 10 gennaio 2003, n. 15 (vedi: sentenza per
esteso)
Cass. civ., sez. II, 21-12-2000, n. 16067
La deliberazione dell'assemblea di un condominio che, applicando erroneamente l'art. 1126 cod. civ. abbia
addebitato a carico di un condomino una quota delle spese di riparazione della terrazza a livello del piano
sovrastante, sovrastata a sua volta da altre terrazze sulla prosecuzione in altezza dell'edificio (destinata come
tale non tanto ad assolvere a una funzione di copertura dei piani sottostanti, quanto e soprattutto a dare un
affaccio ed ulteriori comodit all'appartamento cui collegata) nulla per indebita invasione della sfera di
propriet del singolo condomino con la conseguenza che l'impugnazione della delibera non soggetta al
termine di decadenza di cui all'art. 1137 ultimo comma cod. CIV..
Cass. civ., sez. II, 19-01-2000, n. 568
Gli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, cementi decorativi relativi ai frontali
ed ai parapetti) svolgendo una funzione di tipo estetico rispetto all'intero edificio, del quale accrescono il pregio
architettonico, costituiscono, come tali, parti comuni ai sensi dell'art. 1117 n. 3 cod. civ., con la conseguenza che
la spesa per la relativa riparazione ricade su tutti i condomini, in misura proporzionale al valore della propriet di
ciascuno.
Cass. civ., sez. II, 25-02-2002, n. 2726
Sono a completo carico dell'utente o proprietario esclusivo soltanto le spese attinenti a quelle parti del lastrico
solare del tutto avulse dalla funzione di copertura (ad es., le spese attinenti ai parapetti, alle ringhiere ecc.,
collegate alla sicurezza del calpestio), mentre tutte le altre spese, siano esse di natura ordinaria o straordinaria,
attinenti alle parti del lastrico solare svolgenti comunque funzione di copertura vanno sempre suddivise tra
l'utente o proprietario esclusivo del lastrico solare ed i condomini proprietari degli appartamenti sottostanti,
secondo la proporzione di cui al suindicato art. 1126 cod. civ.
Pertanto, la clausola che ponga a carico dell'utente o proprietario esclusivo del lastrico solare genericamente le
spese di "manutenzione" ha una sua ragion d'essere (anche ove riferita alle spese di manutenzione ordinaria e
semprech le stesse siano attinenti alla funzione di copertura del lastrico) l dove viene a porne a carico
dell'utente o proprietario esclusivo l'intero onere, e non il semplice terzo come previsto dalla norma in
argomento.
LE TABELLE MILLESIMALI
b) Approvazione.
Il potere rappresentativo conferito dal condomino ad altro soggetto per la partecipazione allassemblea
condominiale, qualora riguardi affari di ordinaria amministrazione, pu essere attribuito anche verbalmente, e la
prova dellesistenza, delloggetto e dei limiti del mandato, pu essere acquisita con ogni mezzo. Pertanto, non
richiesta la forma scritta per la rappresentanza di un condomino nellassemblea, nel caso in cui questa abbia per
oggetto la approvazione delle tabelle millesimali, in quanto tale approvazione, quale atto di mera natura
valutativa del patrimonio, ai limitati effetti della distribuzione del carico delle spese condominiali, nonch della
misura del diritto di partecipazione alla formazione della volont assembleare del condominio, non idonea a
incidere sulla consistenza dei diritti reali a c ciascuno spettanti.
* Cass. civ., sez. II. 28 giugno 1979, n. 3634,
Per la domanda di impugnazione di delibera assembleare condominiale avente ad oggetto lapprovazione delle
tabelle millesimali sempre competente ratione valoris il tribunale ai sensi dellart. 9 ultimo comma cod. proc.
civ..
* Pret. civ. Taranto, I luglio 1986, n. 394,
Gli accordi tra i condomini per lapprovazione delle tabelle millesimali non richiedono la forma scritta ad
substantiam. Conseguentemente, se tali accordi siano stati conclusi da rappresentante senza poteri di un
condomino, essi possono essere ratificati tacitamente dal rappresentato mediante la loro esecuzione, poich, a
norma dellart. 1399 cod. civ., la ratifica pu rivestire la stessa forma dellatto da ratificare.
* Pret. civ. Taranto, 8 maggio 1979,
La validit delle deliberazioni dellassemblea condominiale non condizionata ad una preventiva costituzione
legale del condominio, ovvero alla preventiva approvazione del regolamento condominiale e delle tabelle
millesimali. Invero, il condominio sorge pleno jure con la costruzione su suolo comune, ovvero con il
frazionamento, da parte dellunico proprietario o di pi comproprietari pro indivisa, di un edificio, i cui piani o
porzioni di piano vengano attribuiti a due o pi soggetti in propriet esclusiva; la formazione del regolamento
condominiale si inserisce, a sua volta, senza alcun carattere di preliminarit nel novero delle attribuzioni
demandate al potere deliberante dellassemblea; del pari non preliminare lapprovazione delle tabelle
millesimali, poich il criterio di identificazione della quota di partecipazione del condomino al condominio esiste
indipendentemente dalla formazione di tali tabelle e consente di valutare anche a posteriori, se i quorum richiesti
per la validit dellassemblea e delle relative deliberazioni, siano stati, o meno, raggiunti.

* Cass. civ., sez. II, 3 gennaio 1977, n. 1.


Lapprovazione delle tabelle millesimali, allegate al regolamento di condominio, quale atto di mera natura
valutativa del patrimonio ai limitati effetti della distribuzione del carico delle spese condominiali, nonch della
misura del diritto di partecipazione alla formazione della volont assembleare del condominio, non idoneo a
modificare gli effetti giuridici traslativi derivanti dal contratto di acquisto.
* Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1978, n. 3719.
Lapprovazione delle tabelle millesimali, allegate al regolamento di condominio, quale atto di mera natura
valutativa del patrimonio ai limiti effetti della distribuzione del carico delle spese condominiali. nonch della
misura del diritto di partecipazione alla formazione della volont assembleare del condominio, non idoneo a
modificare gli effetti giuridici traslativi derivanti dal contratto di acquisto.
* Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1994. n. 6501,
La deliberazione assembleare adottata a maggioranza, che approvi le tabelle millesirnali o il regolamento non
contrattuale relativi alla ripartizione delle spese, inefficace nei confronti del condomino assente o dissenziente
per nullit radicale deducibile senza limitazione di tempo e non meramente annullabile su impugnazione da
proporsi entro trenta giorni, a norma deliart. 1137 c.c.. atteso che le attribuzioni dellassemblea, ai sensi dellart.
1135 c.c., sono circoscritte allamministrazione dei beni comuni nel rispetto dei criteri fissati dalla legge o dalla
volont unanime dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1996, n. 7359, Cond. Via Genovesi n. 17 Milano c. Oggioni.
c)Controversie.
Le cause aventi ad oggetto con la formazione delle tabelle millesimali la ripartizione di spese attinenti alluso e al
godimento. dei servizi condominiali e dei beni comuni (nella specie spese di spurgo della fossa biologica e di
pozzetti) non rientrano tra le controversie relative alle modalit di uso e alla misura dei servizi condominiali
rispettivamente di competenza del conciliatore (art. 7, capoverso, c.p.c.) e del pretore (art. 8, n. 4, c.p.c.) in
quanto la patrimonialit del thema decidendum prevale sullaccertamento della misura e delle modalit delluso,
che costituisce soltanto un presupposto necessario per la determinazione delle singole quote di spesa.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6936, Piccirillo c. Cartamo ed altri.
d) Domanda giudiziale.
Lamministratore del condominio legittimato passivamente in ordine alla domanda diretta a far dichiarare la
nullit della deliberazione dellassemblea con la quale sono state modificate a maggioranza, e non con
lunanimit dei consensi dei condomini, le tabelle millesimali.
* Trib. civ. Milano, 12 gennaio 1989. (Cc., art. 1131), in Vita Notar. 1989, 156.
La domanda di uno dei condomini per laccertamento della invalidit ed inefficacia della tabella millesimale
deliberata dallassemblea dei condomini senza voto unanime, deve essere necessariamente proposta nei
confronti di tutti i condomini, e non anche del solo amministratore del condominio, la cui rappresentanza
processuale passiva dei condomini limitata, a norma dellart. 1131 c.c. alle parti comuni delledificio, ma che
passivamente legittimato ad causam per la tutela degli interessi comuni, sui quali la domanda di accertamento
della invalidit delle tabelle millesimali destinata a riflettersi.
* Cass. civ., sez. II, 10 maggio 1992, n. 4405, Tiziani c. Condominio di Via Marsala 20, Bologna.
Nel caso di impugnazione di una delibera assembleare con-cernente la modificazione delle tabelle millesimali,
lamministratore del condominio privo di legittimazione passiva, dovendo una siffatta domanda siccome
diretta a modificare la situazione soggettiva di ogni singolo condominio essere proposta nei confronti di tutti i
partecipanti al condominio.
* Trib. civ. Milano, 15 ottobre 1990, inedita.
e) Formazione.
Qualora la formazione delle tabelle millesimali venga adottata dallassemblea condominiale a maggioranza, la
relativa deliberazione assembleare, che per essere valida deve raggiungere la maggioranza degli intervenuti e
la met del valore delledificio (art. 68, comma secondo, disp. att. cod. civ., in relazione allart. 1138, comma
terzo, e allart. 1136, comma secondo cod. civ.), non impegna gli assenti ed i dissenzienti, richiedendosi per la
formazione delle tabelle millesimali il consenso di tutti i condomini; gli assenti e i dissenzienti, di conseguenza
possono far valere non solo la nullit assoluta della deliberazione, denunziando leventuale mancanza nella
deliberazione approvata del numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti o la mancanza della
met del valore delledificio, ma anche la nullit relativa costituita dalla loro mancata adesione.
* Cass. civ., sez. II, 24 novembre 1983, n. 7040,
Qualora la formazione delle tabelle millesimali venga adottata dallassemblea condominiale a maggioranza, la
relativa deliberazione assembleare che per essere valida deve raggiungere la maggioranza degli interventi e la
met del valore delledificio (art. 68, comma terzo, e allart. 1136, comma secondo, cod. civ.), non impegna gli
assenti e i dissenzienti, richiedendosi per la formazione delle tabelle millesimali il consenso di tutti i condomini;
gli assenti e i dissenzienti, di conseguenza, possono fare valere non solo la nullit assoluta della deliberazione
denunziando leventuale mancanza sulla deliberazione approvata del numero dei voti che rappresenti la
maggioranza degli intervenuti o la mancanza della met del valore delledificio, ma anche la nullit relativa
costituita dalla loro mancata adesione.
* Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1985, n. 1057,
La formazione delle tabelle millesimali e la loro modifica nelle ipotesi previste dallart. 69 disp. att. cod. civ., in
quanto negozi di accertamento dei valori delle quote condominiali spettanti ai condomini, con funzione
puramente valutativa del patrimonio ai soli effetti della distribuzione del carico delle spese condominiali e della
misura del diritto di partecipazione alla formazione della volont assembleare del condominio, non richiedono la
forma scritta ad substantiam, con la conseguenza che, nel caso in cui la formazione o la modifica di dette tabelle
avvenga in assemblea allunanimit dei presenti, ma senza la partecipazione di tutti i condomini allassemblea

stessa, il consenso unanime di questi ultimi in ordine alle tabelle formate o rettificate pu manifestarsi anche per
facta concludentia. Tale consenso non pu, invece, dedursi dal comportamento tenuto da quei condomini che
nellassemblea abbiano gi espresso dissenso allapprovazione delle tabelle millesimali, in quanto, in presenza
della loro esplicita volont, non lecito ricercare una contraria volont tacita o presunta che sulla prima
dovrebbe prevalere.
* Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1985, n. 1057,
Per la formazione delle tabelle millesimali si deve escludere la necessit delladozione della forma scritta, non
trattandosi di atto idoneo a modificare gli effetti traslativi derivanti dal contratto di acquisto e non potendo lo
stesso incidere sulla consistenza dei diritti reali spettanti ai singoli condomini.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 23 giugno 1986, n. 5515,
In tema di condominio di edifici, il consenso in ordine alla formazione di tabelle millesimali oppure alla loro
modifica, non richiedendo la forma scritta ab substantiam, pu ben manifestarsi per facta concludentia, come la
concreta applicazione delle stesse tabelle per pi anni.
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1988, n. 5686,
La formazione delle tabelle millesimali e la loro modifica nel-le ipotesi previste dallart. 69 disp. att. e trans. cod.
civ. in quanto negozi di accertamento dei valori delle quote condominiali spettanti ai condomini, con funzione
puramente valutativa del patrimonio ai soli effetti della distribuzione del carico delle spese condominiali e della
misura del diritto di partecipazione alla formazione della volont assembleare del condominio non richiedono
la forma scritta ad substantiam e pertanto, ove la modifica di dette tabelle avvenga in assemblea, allunanimit
dei presenti, ma senza la partecipazione totalitaria dei condomini allassemblea stessa, il consenso unanime di
questi ultimi in ordine alle tabelle rettificate pu ben manifestarsi per facta concludentia, come la concreta
applicazione delle stesse per pi anni.
* Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 1980, n. 5593,
Qualora la delibera assembleare di un condominio di edificio venga annullata (nella specie: per mancata
formazione delle tabelle millesimali), alla manifestazione di voto, a suo tempo espressa dai singoli condomini
che concorsero alla sua approvazione, non pu attribuirsi lefficacia di unassunzione di obblighi a titolo
personale nei confronti dei terzi. Infatti, le manifestazioni di voto espresso dai singoli condomini, essendo diretta
a formare la volont dellassemblea con effetto vincolante per tutti i condomini, anche dissenzienti o assenti,
vincolano i soggetti che lo hanno espresso soltanto a condizione che si formi una valida deliberazione
assembleare. Peraltro, in base al principio dellapparenza accolto dallart. 2377, comma secondo, c.c. per le
societ ed applicabile, per identit di ratio, anche in tenia di condominio, restano salvi, sono, pertanto,
azionabili nei confronti del condominio e dei singoli condomini i diritti acquistati da terzi in buona fede, in
esecuzione della deliberazione impugnata, anteriormente al suo annullamento.
* Cass. civ., sez. II, 3 maggio 1976, n. 1561.
Il consenso in ordine alla formazione delle tabelle millesimali o alla loro modificazione, non richiedendo la forma
scritta ad substantiam, pu manifestarsi anche per facta concludentia, come la concreta applicazione delle
stesse tabelle per pi anni.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 giugno 1990, n. 01 Bellavita c. Condominio di Corso Sempione n. 67, Milano, in
questa Rivista 1991, 135.
Per la formazione e la revisione delle tabelle millesimali indispensabile il consenso di tutti i partecipanti al
condominio. In difetto ditale unanime consenso, ciascun condomino (non gi il condominio) pu richiedere
giudizialmente, nella ricorrenza dei presupposti di legge, che siano formate o revisionate le dette tabelle
convenendo in giudizio tutti gli altri condomini, litisconsorti necessari.
* Trib. civ. Roma, 4 marzo 1997, n. 4800,
Il consenso in ordine alla formazione delle tabelle millesimali o alla loro modificazione, non richiedendo la forma
scritta ad substantiam, pu manifestarsi anche per facta concludentia, come la concreta applicazione delle
stesse tabelle per pi anni.
* Trib. civ. Milano, 7 giugno 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 135.
f) In genere.
In tema di condominio degli edifici, la validit dellapprovazione da parte dellassemblea dei condomini del
rendiconto di un determinato esercizio e del bilancio preventivo dellesercizio successivo non postula che la
relativa contabilit sia tenuta dallamministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per il bilancia
delle societ, essendo invece sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di
entrata e di uscita, con le quote di ripartizione; n si richiede che queste voci siano trascritte nel verbale
assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione
giustificativa, in quanto rientra nei poteri dellorgano deliberativo la facolt di procedere sinteticamente
allapprovazione stessa, prestando fede ai dati forniti dallamministratore. Sono, pertanto, valide le deliberazioni
assembleari con le quali si stabilisce che il bilancia preventivo per il nuovo esercizio sia conforme al preventivo o
al consuntivo dellesercizio precedente, eventualmente aumentato di una certa percentuale, in tal modo
risultando determinate, per riferimento alle spese dellanno precedente, sia la somma complessivamente
stanziata, sia quella destinata alle singole voci, mentre la ripartizione fra i singoli condomini deriva
automaticamente dallapplicazione delle tabelle millesimali.
* Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1984, n. 3231,
Rispetto alla controversia concernente la domanda di restauro di parti comuni delledificio condominiale ha
carattere pregiudiziale la controversia volta ad accertare se lattore abbia o meno la qualit di condomino, ove
tale qualit costituisca il presupposto necessario della richiesta di esecuzione dei lavori interessanti le parti
comuni e le relative spese debbano essere ripartite fra i condomini in base alle tabelle millesimali.
* Cass. civ., sez. II, 26 agosto 1985, n. 4542,

La presunzione di pari entit delle quote dei partecipanti alla comunione, fissata dallart. 1101, primo comma,
cod. civ., non operante nei rapporti fra i soci di una cooperativa edilizia, al fine dellassegnazione degli alloggi
in fabbricato realizzato dalla cooperativa medesima. tenuto conto della normale diversit delle unit immobiliari
di un edificio, nonch del fatto che leguale trattamento di detti soci, anche per il concorso nelle spese, viene
assicurato dalla determinazione comparativa del valore degli alloggi per mezzo delle cosiddette tabelle
millesiniali.
* Cass. civ., sez. I, 9 febbraio 1981, n. 781. Carolli c. Cooperativa Edilizia Adria Domo Srl, in Arch. civ. 1981,
321.
La disciplina della ripartizione delle spese condominiali contenuta in un regolamento di natura contrattuale, pu
essere innovata, in base al principio dellautonomia contrattuale enunciato dallart, 1322 c.c., da una nuova
convenzione, la quale, non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta ai sensi dellart. 1350 c.c., ma
richiede il consenso di tutti i condomini, che pu essere espresso anche per facta concludentia dovendo, per,
in ogni caso la manifestazione tacita di volont rapportarsi ad un comportamento univoco e concludente dal
quale possa desumersi, per Il comune modo di intendere, un determinato volere con un preciso contenuto
sostanziale. (Nella specie la C.S. in base allenunciato principio ha confermato la decisione dei giudici del merito
che aveva escluso la formazione di un nuovo accordo negoziale per facta concludentia con riguardo ad un
applicazione di diversi criteri di ripartizione delle spese condominiali, ancorch avutasi per diversi anni, ma
senza la consapevolezza della diversit di quei criteri e delle tabelle millesimali relative).
* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1991, n. 7884.
Laccettazione delle tabelle millesimali desumibile anche da fatti concludenti, come il costante pagamento
delle quote condominiali in base ad esse dovuto non ne esclude limpugnabilit, ex art. 69, 1, att. c.c., per
obiettiva divergenza del valore considerato rispetto a quello reale, sempre che questa discenda da errori di fatto,
attinenti alle caratteristiche degli elementi necessari, ex art. 68 att. c.c., per la valutazione o di diritto, in ordine
alla identificazione degli elementi stessi, restando, di conseguenza, esclusa la rilevanza di apprezzamenti
soggettivi nella stima commerciale di questi ultimi, con la conseguenza che non costituisce errore idoneo a
fondare la suddetta impugnativa lattribuzione alle unit immobiliari del piano terreno obbiettivamente destinate
per conformazione strutturale ad attivit commerciali di un valore pi elevato rispetto a quello derivante dal
mero calcolo della superficie e della cubatura.
* Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1994, n. 1367,
La partecipazione con voto favorevole alle reiterate delibere adottate dallassemblea dei condomini di un edificio
per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello
espresso nelle tabelle millesimali, o lacquiescenza alla concreta applicazione di queste delibere, pu assumere
il valore di unico comportamento rivelatore della volont di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei
condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e pu
dar luogo, quindi, per facta concludentia, ad una convenzione modificatrice della disciplina sulla ripartizione delle
spese condominiali che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta
ma solo il consenso, anche tacito o per facta concludentia, purch inequivoco, di tutti i condomini.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4814,
In tema di condominio degli edifici, il singolo condomino non pu sottrarsi allobbligo di concorrere, secondo la
ripartizione risultante dalle tabelle millesimali suscettibili di modificazione anche per fatti concludenti alle
spese di erogazione del servizio centralizzato di riscaldamento distaccando la propria porzione immobiliare dal
relativo impianto, senza che rilevino in contrario n la L. 29 maggio 1982, n. 308, sul contenimento dei consumi
energetici, n la circostanza che il condominio stesso consti di pi edifici separati, ma serviti da impianti comuni
non frazionati in relazione alle singole unit immobiliari.
* Cass. civ., sez. II, 4 maggio 1994, n. 4278,
Il provvedimento camerale con il quale la corte dappello, in sede di reclamo contro il decreto del tribunale, in
totale riforma ai questo, dichiari improponibile listanza proposta dai condomini, in sede di volontaria
giurisdizione, a norma dellart. 1105, ultimo comma, c.c., in quanto non attinente allamministrazione della cosa
comune, bens rivolta ad ottenere lapprovazione e la declaratoria di validit di un regolamento condominiale con
le relative tabelle millesimrali, proponibile solo in sede contenziosa. non presenta i requisiti della difinitivit e
della decisoriet, non essendo in nessun modo idoneo ad incidere in via definitiva su posizioni di diritto
soggettivo in conflitto; e di conseguenza non impugnabile con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.
* Cass. civ., sez. II, 28 aprile 1994, n. 4038, Baldieri c. Condominio "Gradoni Paiazzina" di Ussita.
Laccettazione, da parte dei condomini, della tabella millesimale predisposta dal venditore-costruttore ed
allegata ai singoli contratti di vendita d luogo ad una convenzione sui criteri di ripartizione delle spese che,
anche se si discosta da quelli fissati dalla legge per la ripartizione delle spese relative alle parti comuni
delledificio, vincolata tra le parti, attesa la derogabilit dei predetti criteri legali, salva la possibilit di revisione
delle tabelle millesimali per errore sul valore effettivo delle singole unit immobiliari. prevista dal art. 69 att. c.c..
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1995, n. 1028, Arrgo c. Condominio Edificio Caruso.
Lunit sistematica tra la disposizione dellart. 1118 primo comma c.c., a norma del quale il diritto di ciascun
condomino sulle parti comuni delledificio proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli
appartiene, e la disposizione del primo comma dellart. 1123 c.c., per il quale le spese necessarie per la
conservazione ed il godimento delle parti comuni delledificio, per la prestazione dei servizi nellinteresse
comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale
al valore della propriet di ciascuno, non impedisce, trattandosi di norme derogabili, che siano
convenzionalmente previste discipline diverse e differenziate tra loro dei diritti di ciascun condomino sulle parti
comuni (che possono essere attribuiti in proporzione diversa maggiore o minore rispetto a quella della sua
quota individuale di piano o porzione di piano) e degli oneri di gestione del condominio, che possono farsi

gravare sui singoli condomini indipendentemente dalla rispettiva quota di propriet delle cose comuni e dalluso.
(Nella specie, stata riconosciuta la validit dellaccordo che attribuiva ai condomini, proprietari di unit abitative
di diverso valore, un uguale diritto dominicale sulle parti comuni prevedendo la formazione di tabelle millesimali
solo ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione e pulizia delle stesse).
* Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1995, n. 7546, Bernardini v. Masieri ed altri.
Le clausole del regolamento condominiale che stabiliscono i criteri di ripartizione delle spese sono modificabili
soltanto con il consenso unanime dei condomini. pertanto nulla, in quanto adottata in assenza di un
condomino, la delibera assembleare con la quale venga affidato ad un tecnico specializzato lincarico di formare
le tabelle millesimali. Detta delibera, pur costituendo un atto prodromico alla modifica del criterio di ripartizione
delle spese reca comunque un danno ai condomino assente, il quale pertanto legittimato ad impugnarla.
* Trib. civ. Verona, 29 giugno 1995,
Lobbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera
dellassemblea che approvo le spese stesse e non a seguito della successiva delibero di ripartizione volta
soltanto a rendere liquido un debito preesistente e che pu anche mancare ove esistano tabelle millesimali, per
cui lindividuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini il frutt di una semplice
operazione matematica. Pertanto, nel caso di alienazione di un appartamento, obbligato al pagamento dei tributi
il proprietario nel momento in cui la spesa viene deliberata.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1996, n. 9366,
Le spese di riscaldamento devono essere ripartite tra i condomini sulla base di tabelle millesimalf approvate in
via definitiva e con lunanimit dei consensi. (Fattispecie di delibera assembleare con la quale lamministratore di
condominio veniva incaricato di applicare, ai tini di una nuova ripartizione delle spese di riscaldamento tra i
condomini, una tabella millesimnale provvisoria, in attesa dellapprovazione di quella definitiva).
* Corte app. civ. Roma, 24 settembre 1997, n. 2807,
g) Revisione e modifica.
In tema di condominio di edifici, lerrore che ai sensi dellart. 69 disp. att. cod civ. determina la revisione delle
tabelle millesimali consiste non nellerrore che con riguardo allatto di approvazione delle tabelle stesse vizia il
consenso del condominio, come disciplinato dagli artt. 1428 e seguenti cod. civ., ma nella obiettiva divergenza
tra il valore effettivo delle singole unit immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle,
atteso che nellart. 69 citato lerrore non viene riferito al consenso del condominio allapprovazione delle tabelle
bens obbiettivamente ai valori in essa contenuti, comportandone la revisione e non lannullamento dellatto di
approvazione.
* Class. civ., sez. II, 21 luglio 1988, n. 4734, Cortesi e altri c. Societ Tre Effe, in questa Rivista 1989, 693; Arch.
civ. 1989, 31.
In tema di condominio di edifici, qualora le tabelle millesimali allegare al regolamento condominiale contrattuale
non abbiano formato oggetto di modifica con il consenso unanime di tutti i condomini ovvero con sentenza del
giudice a norma dellart. 69 disp. att. cod. civ., nonostante le variazioni di consistenza delle singole unit
immobiliari a seguito delle mutate condizioni delledificio, la ripartizione delle spese condominiali
legittimamente effettuato in conformit delle tabelle stesse, con la conseguenza che il condominio, richiesto del
pagamento della quota di pertinenza, ove intenda contestare il criterio di ripartizione, deve proporre domanda,
anche riconvenzionale, di revisione o modifica delle tabelle ai sensi del citato art. 69 nei confronti di tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 31 maggio 1988, n. 3701,
Costituiscono errori essenziali e possono, quindi, dar luogo a revisione delle tabelle millesimali, in materia di
condominio di edificio, in base allart. 69, n. 1, disp. att. cod. civ., gli errori che attengano alla determinazione
degli elementi necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti (quali lestensione, laltezza,
lubicazione, ecc.), siano errori di diritto (ad esempio, erronea convinzione che nellaccertamento dei valori
debba tenersi conto di alcuni degli elementi che, ai sensi dellart. 68, ultimo comma, disp. att. cod. civ. sono
irrilevanti a tale effetto); non possono, invece, qualificarsi essenziali gli errori determinati soltanto dai criteri pi o
meno soggettivi con cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima sia stata compiuta, poich
lerrore di valutazione, in s considerato, non pu mai essere ritenuto essenziale, non costituendo un errore
sulla qualit della cosa, a norma dellart. 1429 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1982, n. 116, Cond. V. S. Grego, c. Soc. Manif. Pesar.
La richiesta di revisione delle tabelle miliesimali condominiali deve essere proposta in contradittorio di tutti i
condomini e non contro il condominio cumulativamente rappresentato dallo amministratore, in quanto loggetto
della controversia esorbita dallambito delle cose o interessi comuni ed incide su diritti esclusivi dei singoli
condomini, sicch la rappresentanza dellamministratore ne resta esclusa anche dal lato passivo.
* Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3967, Piantoni A. c. Cond. V. Montello.
In tema di condominio nodi edifici la deliberazione assembleare, adottata a maggioranza, che modifichi le tabelle
millesimali relative alla ripartizione delle spese inefficace nei confronti del condomino assente o dissenziente
per nullit radicale deducibile senza limitazione di tempo, e non quindi soggetta al termine di impugnazione di
tremila giorni previsto per le deliberazioni annullabili: allo stesso modo sono nulle e quindi impugnabili senza
limitazione di tempo le delibere con le quali, successivamente, sulla base delle tabelle illegittimamente
modificate, siano determinati i contributi da corrispondere da parte dei singoli condomini, per il principio che latto
nullo non produce alcun effetto e non pu essere convalidato dal decorso del tempo
* Cass. civ., sez. II, 11 settembre 1989, n. 3920,
Lerrore che consente la revisione delle tabelle millesimali ai sensi dellart. 69 att. c.c. lerrore vizio di cui
allart. 1428 c.c.
*Trib. civ. Torino, 20 maggio 1989, in Vita Notar, 1989, 160.

In materia di condominio negli edifici, la sussistenza di una sopraelevazione no implica necessariamente la


revisione delle tabelle millesimali, le quali ex art. 69, n. 2 delle disposizioni att. e trans. c.c., possono essere
rivedute e modificate (anche nellinteresse di un solo condomino) sono se notevolmente alterato il rapporto
originario dei valori dei singoli piani o porzioni di piano.
* Cass. civ., sez. II, 13 settembre 1991, n. 9579,
La richiesta di revisione delle tabelle millesimali deve essere proposta in contraddittorio di tutti i condomini
singolarmente, e non contro il condominio cumulativamente rappresentato dallamministratore, in quanto
loggetto della controversia esula dallambito delle cose o interessi comuni, ed incide sui diritti esclusivi dei
singoli condomini, sicch la rappresentanza dellamministratore ne resta esclusa anche dal lato passivo.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 21 dicembre 1992,
Allassemblea dei condomini, nellambito delle attribuzioni concernenti la gestione delle cose, degli impianti e dei
servizi comuni previste dallart. 1135 n. 2 c.c., deve riconoscersi la competenza a modificare, in via provvisoria,
tabelle millesimali concernenti il servizio di riscaldamento e di riscuotere i relativi contributi a titolo di acconto e
salvo conguaglio, qualora, in seguito alle modifiche apportate da un condomino allimpianto di riscaldamento
allinterno del proprio appartamento, le tabelle originarie non corrispondano alla nuova estensione degli elementi
radianti.
* Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1996, n. 8657,
In tema di condominio di edifici, lerrore il quale, ai sensi dellart. 69 att. c.c. giustifica la revisione delle tabelle
millesimali non coincide con lerrore vizio del consenso, disciplinato dagli articoli 1428 e seguenti c.c., ma
consiste nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unit immobiliari e il valore proporzionale ad
esse attribuito nelle tabelle, senza che in proposito rilevi il carattere negoziale della formazione delle stesse.
* Cass. civ., sez. un., 9 luglio 1997, n. 6222,
Sia per revisionare o modificare le tabelle millesimali di alcune unit immobiliari, sia per la prima caratura di
esse, il giudice deve verificare i valori di tutte le porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi quali la
superficie, laltezza di piano, la luminosit, lesposizione incidenti sul valore effettivo di esse, e quindi
adeguarvi le tabelle, eliminando gli errori riscontrati.
* Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1998, n. 5942,
La revisione delle tabelle millesimali possibile anche se lerrore nella valutazione delle unit immobiliari stato
determinato dallapplicazione dei criteri stabiliti dal R.D. 15gennaio 1934 n. 56, richiamati nel regolamento
condominiale, perch lultrattivit pattizia in quanto in esso recepita di tale normativa, non esclude lerrore,
rilevabile in base alla successiva normativa del nuovo codice civile che lha abrogata e non gi al momento
della sua commissione.
* Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1998, n. 5942,
h) Valore proporzionale degli immobili.
Poich la determinazione dei valori proporzionali avviene tenendo conto delle caratteristiche proprie degli
immobili, e non anche della eventuale possibile destinazione cui sono adibiti in concreto che determinata,
soprattutto, da valutazioni puramente soggettive, e cio dalle personali necessit e dalla convenienza
economica consegue che, ove le caratteristiche obiettive dellimmobile, prese in esame nel determinare gli
elementi necessari per il calcolo dei valori proporzionali delle singole unit immobiliari, rimangano immutate, e
cambi soltanto la situazione esterna, che non comporta dirette conseguenze sulle caratteristiche proprie
dellimmobile, ma soltanto sulla sua maggiore o minore valorizzazione economica non sussistono n gli estremi
dellerrore, n delle mutate condizioni delledificio per disporre la revisione delle tabelle millesimali.
* Trib. civ. Parma, 14 gennaio 1998,
LE ANTENNE CONDOMINIALI
a) Inquinamento elettromagnetico (telefonia cellulare).
In materia di installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, in presenza di documentazione,
consistente in una relazione clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite da una
persona residente nello stabile e lattivazione degli impianti, deve cautelarmente essere considerato prevalente
linteresse primario alla salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente
sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati urgenti i lavori e le opere concernenti
linstallazione e lattivazione dellimpianto. (Fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia cellulare era
stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale). * Cons. Stato, sez. VI, ord. 25 marzo 1997,
Linstallazione di un ripetitore per telefonia cellulare su di un lastrico solare situato in un edificio condominiale
non costituisce violazione dellart. 1122 c.c., in quanto: a) non sussiste alcun riscontro scientifico della
pericolosit di tale impianto per la salute dei condomini; b) la concessionaria del servizio di telefonia presenti
allautorit competente un progetto che attesti come limpianto suddetto non arrechi danni alla statica
delledificio. * Trib. civ. Piacenza, 13 febbraio 1998, n. 51, Condominio di Via S. Francesco n. 8 in Piacenza c.
Soc. Omnitel Pronto Italia e Cella. [99800841]
In materia di installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, in presenza di documentazione,
consistente in una relazione clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite da una
persona residente nello stabile e lattivazione degli impianti, deve cautelarmente essere considerato prevalente
linteresse primario alla salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente
sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati urgenti i lavori e le opere concernenti
linstallazione e lattivazione dellimpianto. (Fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia cellulare era
stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale). * Tar Lazio, sez. I, ord. 18 dicembre 1996, n. 3806,
Codacons e Condominio di Corso Vittorio Emanuele II n. 184 in Roma c. Ministero delle Poste e
Telecomunicazioni e Soc. Omnitel.
b) Installazione.

Il diritto allinstallazione di antenne ed accessori - sia esso configurabile come diritto soggettivo autonomo che
come facolt compresa nel diritto primario allinformazione e diretta alla attuazione di questo (art. 21, Cost.) limitato soltanto dal pari diritto di altro condomino, o di altro coabitante nello stabile, e dal divieto di menomare
(in misura apprezzabile) il diritto di propriet di colui che deve consentire linstallazione su parte del proprio
immobile. Pertanto, qualora sul terrazzo di uno stabile condominiale sia installata (per volont della maggioranza
dei condomini) unantenna televisiva centralizzata e un condomino (o un abitante dello stabile) intenda invece
installare unantenna autonoma, lassemblea dei condomini pu vietare tale seconda installazione solo se la
stessa pregiudichi luso del terrazzo da parte degli altri condomini o arrechi comunque un qualsiasi altro
pregiudizio apprezzabile e rilevante ad una delle parti comuni. Al di fuori di tali ipotesi, una delibera che vieti
linstallazione deve essere considerata nulla, con la conseguenza che il condomino leso pu fare accertare il
proprio diritto allinstallazione stessa, anche se abbia agito in giudizio oltre i termini previsti dallart. 1137 cod.
civ. o, essendo stato presente allassemblea, senza esprimere voto favorevole alla delibera, non abbia
manifestato espressamente la propria opposizione alla delibera stessa. * Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1985, n.
5399, Acinapura c. Cond. via Colli.
Lart. 1 della L. 6 maggio 1940, n. 554, con lo stabilire che i proprietari di uno stabile o di un appartamento non
possono op-porsi allinstallazione nella loro propriet di aerei esterni destinati al funzionamento di apparecchi
radiofonici appartenenti agli abitanti degli stabili e degli appartamenti stessi, non impone una servit, ma si limita
allattribuzione di un diritto, a favore degli abitanti dello stabile e degli appartamenti, allinstallazione, e quindi
anche alla manutenzione degli impianti, pure contro la volont di altri abitanti. Tale diritto non ha contenuto
reale, ma ha natura personale e il titolare di esso, in virt della detta norma, pu esercitarlo indipendentemente
dalla qualit di condomino, per il solo fatto di abitare nello stabile e di essere o diventare utente radio-televisivo.
Conseguentemente, quando il locatario di un appartamento, nellinstallare unantenna televisiva, arrechi danno
al tetto comune delledificio, legittimato allazione di risarcimento del danno proposta dal condominio il solo
locatario e non anche il locatore-proprietario dellappartamento. * Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 1986, n. 1176,
Cond. Pollaiuol. c. Parodi.
Gli artt. 1 e 3 L. 6 maggio 1940 n. 554, dettati con riguardo alla disciplina degli aerei esterni per audizioni
radiofoniche, ma applicabile per analogia anche alle antenne televisive e lart. 231 del d.p.r. 29marzo 1973 n.
156, stabilendo che i proprietari delledificio non possono opporsi alla installazione esterna di antenne da parte
di abitanti dello stesso stabile per il funzionamento di apparecchi radiofonici o televisivi, attribuiscono al titolare
dellutenza il diritto allinstallazione dellantenna sulla terrazza delledificio, ferma restando la facolt del
proprietario al libero uso di questa secondo la sua destinazione ancorch comporti la rimozione od il diverso
collocamento dellantenna, che resta a carico del suo utente, alluopo preavvertito. Ne deriva che il proprietario
della terrazza che vi abbia eseguito dei lavori comportanti la rimozione dellantenna non pu essere condannato
al ripristino nello stato preesistente, posto che spetta allutente provvedere a sua causa e spese alla rimozione
ed al diverso collocamento dellantenna. * Cass. civ., sez. Il, 24 marzo 1994, n. 2862.
Il diritto riconosciuto dallart. 232, secondo comma, D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 ad ogni occupante,
proprietario od inquilino, di unit immobiliari di appoggiare antenne televisive sui muri e sulle coperture dei
fabbricati, si configura come un diritto soggettivo perfetto ed assoluto di natura personale, avente la sua fonte
nella primaria libert, costituzionalmente garantita, allinformazione e, pertanto, va ritenuto, per sua natura,
insuscettibile di valutazione pecuniaria, con la conseguenza che le azioni ad esso relative rientrano fra quelle da
considerarsi di valore indeterminabile, riservate alla competenza per valore del tribunale, a norma dellart. 9,
secondo comma, c.p.c. * Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 1993, n. 1139, Carro L. c. Carro A.
In tema di compossesso, ricorre lipotesi dello spoglio quando latto compiuto dal compossessore (preteso
spoliatore) abbia travalicato i limiti del compossesso (impedendo o rendendo pi gravoso luso paritario della res
agli altri compossessori), ovvero abbia comportato lapprensione esclusiva del bene, con mutamento
delloriginario compossesso in possesso esclusivo, ne consegue che, con riguardo allutilizzazione del tetto di un
immobile da parte di uno dei compossessori mediante linstallazione di unantenna ricetrasmittente, la
configurabilit di uno spoglio o di una turbativa del possesso nei confronti degli altri compossessori postula,
necessariamente, laccertamento di un impedimento ad un analogo uso del bene comune da parte di costoro,
conseguente allo specifico comportamento in concreto tenuto dal primo utilizzatore. * Cass. civ., sez. II, 5 giugno
1998, n. 5517, Obbialero c. Esposito.
Il diritto di installare lantenna televisiva comprende la facolt di compiere tutte le attivit necessarie per la messa
in opera, ivi compreso il diritto di accedere temporaneamente attraverso la propriet aliena, e tale imposizione
del limite al diritto di propriet da riconoscersi a favore non solo di chi titolare di un diritto di compropriet o di
altri diritti reali sullo stabile, ma anche di chiunque vi abiti a qualunque titolo. * Pret. civ. Salerno, ord. 24 ottobre
1990.
Il diritto di installazione di antenna non ha natura reale, ovvero non si configura come una speciale limitazione
del diritto di propriet, inquadrabile in unipotesi di servit coattiva, ma perso-nale, poich la norma che lo
contempla prescinde, nellattribuirlo, dalla titolarit di un diritto di propriet o di un altro diritto reale
sullappartamento ed ha la propria origine in un rapporto obbliga-torio ex lege, onde lo stesso ha diretta
rilevanza nei confronti del proprietario o del condominio e, come tale, da ritenersi azionabile dinanzi al giudice
ordinario. * Pret. civ. Salerno, ord. 24 ottobre 1990.
E' tutelabile ex art. 700 cod. proc. civ. il diritto dei condomini di un edificio di passare attraverso lappartamento
di un altro condomino al fine di poter installare unantenna televisiva sul tetto delledificio, purch non ne risulti
menomato, in modo apprezzabile, il diritto di propriet di questultimo. * Pret. civ. Roma, ord. 16 dicembre 1989,
Marras e altri c. Salata.
Il diritto di installare unantenna TV spetta esclusivamente al condomino e allinquilino dello stabile interessato
allinstallazione, ma non allutente che non abita in tale stabile. Appare quindi manifestamente infondata

leccezione di incostituzionalit dellart. 232 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, nella parte in cui, in violazione
dellart. 21 Cost., non prevede la possibilit di installare antenne TV anche sui terrazzi degli stabili adiacenti a
quello in cui abita lutente ove questi non capti sufficientemente i segnali televisivi con lantenna installata sul
proprio stabile a causa della interclusione di questultimo tra edifici pi alti. * Corte app. civ. Lecce, 8 febbraio
1994.
Linstallazione su di un lastrico solare di propriet di un condomino di un ripetitore per telefonia cellulare, con
utilizzo delle cose comuni che consista esclusivamente nellancoraggio dellimpianto suddetto ai muri esterni,
non configura alcuna violazione dellart. 1102 cc. *Trib civ. Piacenza, 13 febbraio 1998, n. 51, Condominio di Via
S. Francesco n. 8 in Piacenza c. Soc. Omnitel Pronto Italia e Cella.
Linquilino di un immobile condominiale ha un diritto personale e non reale, ai sensi dellart. 1 del D.P.R. 6
agosto 1990, n. 233, di installare e mantenere qualsiasi tipo di antenna di ricezione televisiva sul terrazzo di
copertura dello stabile (sia comune che di propriet esclusiva di alcuni condomini) e di compiere tutte le attivit
necessarie alla sua messa in opera ed al suo funzionamento: tale diritto tutelabile in via cautelare col ricorso
ex art. 700 c.p.c. compete, pertanto, in via autonoma ed immediata, anche al detentore qualificato (conduttore
o comodatario) dellalloggio. * Trib. civ. Palermo, 13 maggio 1991.
Lart. 1 della L. 6 maggio 1940 n. 554 che sancisce il diritto del condomino ad installare unantenna sul
terrazzo comune o di propriet altrui si applica anche allesercizio di attivit radiofonica in una unit
immobiliare sita in un edificio condominiale. Ed infatti siffatta attivit, anche se svolta da privati, non solo
espressione di esercizio di impresa tesa al lucro, ma altres strumento di esternazione del pensiero. Il solo
limite che la installazione non deve in alcun modo impedire il libero uso della propriet secondo la sua
destinazione n arrecare danni alla propriet medesima od a terzi. * Trib. civ. Latina, 16 novembre 1992.
e) Manutenzione.
Il difetto di manutenzione dellantenna televisiva suscettibile di creare pericolo nella statica dellantenna
medesima, pregiudicando la ricezione e compromettendo il diritto allinformazione televisiva per cui legittima la
richiesta di tutela in via durgenza ex art. 700 cod. proc. civ., da parte del locatore che sia impedito alla
manutenzione predetta dal conduttore. * Pret. civ. Roma, sez. I, decr. 13 giugno 1983, Durante ed altri c. Gay e
altro.
La ristrutturazione dellantenna centralizzata televisiva gi esistente, comportante lo smantellamento delle
strutture preesistenti allo scopo di ampliare la gamma dei programmi da ricevere, non costituisce innovazione. *
Trib. civ. Genova, 18 giugno 1988, n. 1850.
Il passaggio di un radioamatore e del personale tecnico da questi incaricato attraverso labitazione di un
condomino, al fine di eseguire dalle finestre di esso interventi di riparazione o manutenzione di cavi di
collegamento ad una antenna installata sul tetto delledificio condominiale, con sacrificio della libert di domicilio,
non consentito dagli artt. 397 e 232 comma 4, del D.P.R. 29marzo 1973, n. 156, interpretati in modo conforme
alla Costituzione, quando gli interventi stessi siano possibili in altro modo, ancorch pi costoso. * Corte app.
civ. Milano, 30 giugno 1995.
d) Ponte radio.
In materia di radiodiffusione, il reato di cui allart. 195, secondo comma, D.P.R. n. 156/1973, che si riferisce
soltanto allinstallazione o allesercizio senza concessione di un impianto, non configurabile in relazione
allinstallazione di un semplice "ponte radio", che non pu certamente considerarsi autonomo impianto di
radiodiffusione, essendo un semplice "collegamento di telecomunicazione" per migliorare il segnale in un
determinato bacino di utenza. * Cass. pen., sez. III, 19 maggio 1997, n. 1653 (cc. 10 aprile 1997), Calcante.
e) Ricetrasmittenti.
Il dovere dei comproprietari o coabitanti di un fabbricato di non opporsi a che altro comproprietario o coabitante,
in qualit di radioamatore munito della prescritta autorizzazione amministrativa, installi unantenna
ricetrasmittente su porzione di propriet altrui o condominiale, nei limiti in cui ci non si traduca in
unapprezzabile menomazione dei loro diritti o della loro possibilit di procedere ad analoga installazione, deve
essere riconosciuto, anche in difetto di unespressa regolamentazione delle antenne da radioamatore nella
disciplina della legge 6 maggio 1940 n. 554 e del d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, dettata a proposito delle antenne
per la ricezione radiotelevisiva, tenuto conto che tale dovere, anche per le antenne radiotelevisive, non si
ricollega ad un diritto dellinstallatore costituito dalla citata normativa, ma ad una sua facolt compresa nel diritto
primario alla libera manifestazione del proprio pensiero e ricezione del pensiero altrui, contemplato dallart. 21
della Costituzione, e che, pertanto, un pari dovere ed una pari facolt vanno riconosciuti anche nellanalogo
caso delle antenne da radioamatore. *Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1983, n. 7418, Rudelli c. Cerina.
Il titolare del diritto di installazione di unantenna ricetrasmittente pu legittimamente rinunciare a determinate
modalit di esercizio di tale diritto. Per essere valida, la suddetta rinuncia deve essere manifestazione di una
libera e cosciente determinazione della volont di disporre del proprio diritto, nonch risultare da espressioni
incontrovertibili rivelatrici di un intento chiaro in tal senso. (Fattispecie in ordine a clausole, contenute in un
contratto di locazione, relative alle modalit di uso di unantenna radioamatoriale installata sul tetto dellimmobile
locato). * Trib. civ. Milano, 15 dicembre 1997, Sfreddo e. Campeotto. [99800621]
Limpedimento allesercizio del diritto di installazione di antenna ricetrasmittente sul terrazzo condominiale
(manifestatosi attraverso il rifiuto opposto da alcuni condomini di consentire ai tecnici di accedere alla terrazza
per riparare lantenna, nonch attraverso il rifiuto dellamministratore di consegnare le chiavi della porta di
accesso ditale terrazza) non legittima lazione di reintegrazione, in quanto il predetto diritto non ha natura reale,
ma personale, spettando a chiunque abiti nel condominio. * Pret. civ. Roma, ord. 13 luglio 1987, Ciocca e Soc.
Road Runner c. Condominio Via De Saint Bon, 49 di Roma.
Con riguardo ad un edificio in condominio ancorch dotato di antenna televisiva centralizzata, n lassemblea
dei condomini, n il regolamento da questa approvato possono vietare linstallazione di singole antenne

ricetrasmittenti sul tetto comune da parte dei condomini, in quanto in tal modo non vengono disciplinate le
modalit di uso della cosa comune, ma viene ad essere menomato il diritto di ciascun condomino alluso della
copertura comune, incidendo sul diritto di propriet dello stesso. * Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1990, n. 7825, Del
Degan c. Cond. Malbor. Ud.
Ai sensi dellart. 1 lett. g), L. 28 dicembre 1993, n. 561, lesercizio senza autorizzazione di impianto radioelettrico
ricetrasmittente, previsto dallart. 195 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, non costituisce pi reato ed soggetto
soltanto al pagamento di una sanzione amministrativa. *Cass. pen., sez. III, 5 aprile 1994, n. 3969 (ud. 16
maggio 1994), Cazzola.
f) Sul balcone di un appartamento.
E' da ritenersi lecita linstallazione sul balcone di un appartamento condominiale di una antenna televisiva
trasmittente non diversa dalle comuni antenne riceventi, non potendo essere qualificati innovazioni gli atti di
maggior utilizzazione della cosa comune che non importino alterazione o modificazione e non precludano agli
altri condomini un uguale maggior uso. * Trib. civ. Roma, 27 ottobre 1980, Cond. via Govoni 1 c. Aladino S.p.a.
e altro.
ASCENSORE CONDOMINIALE
a)Condominio multiscale.
Se in un unico complesso condominiale esiste una pluralit di servizi di cose comuni, ciascuna delle quali serve,
per obiettiva destinazione, in modo esclusivo all'uso e al godimento di una parte soltanto dell'immobile, essa
cosa o servizio deve considerarsi comune non gi alla totalit dei condomini. bens soltanto a quella parte di
essi al cui uso comune funzionalmente e strutturalmente destinata. (Nella specie, in relazione ad un edificio
condominiale fornito di due scale, ciascuna delle quali destinata a servire esclusivamente gli appartamenti cui d
accesso, stato escluso che, deliberata la installazione dell'ascensore in una delle scale, potesse opporvisi un
condomino proprietario di appartamento servito dall'altra scala).
*Cass. civ., 26 gennaio 1971, n. 196.
In un condominio ove siano due scale da applicarsi per il collocamento dell'ascensore il condominio parziale;
inoltre in applicazione dell'art. 2, L. n. 13/89 le maggioranze sono quelle previste dall'art. 1136 secondo e terzo
comma c.c.
*Trib. civ. Milano, 12 aprile 1990, in L'Amministratore 1990, n. 5.
In un condominio multiscale e dovendo occupare gli ascensori parte del cortile comune le decisioni spettano
all'assemblea globale. Per il vantaggio che l'innovazione porta pu essere sacrificato 1'uso degli spazi occupati
dagli impianti degli ascensori stessi.
*Trib. civ. Milano, 21 dicembre 1989, in L'Amministratore 1990, n. 7/8.
b)Gettoniera.
Nei regolamenti condominiali, accettati in seno agli atti di acquisto delle singole unit immobiliari. hanno natura
negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini, mentre hanno
natura tipicamente regolamentare quelle che concernono le modalit d 'uso delle cose comuni e, in genere,
lorganizzazione e il funzionamento dei servizi condominiali, e che non riguardano quindi il diritto alloro
godimento, n qualsivoglia altro diritto spettante ai condomini come tali. Le disposizioni oggettivamente
regolamentari, a differenza di quelle a contenuto negoziale, possono essere modificate con deliberazione
assembleare maggioritaria, ai sensi dell'art. 1136 c.c., pur se formalmente inserite in un regolamento a tipo
contrattuale. (Nella specie, la Suprema Corte ha affermato le legittimit della deliberazione assembleare
maggioritaria, che aveva disposto l'installazione di una gettoniera nell'ascensore, in deroga alla disposizione a
contenuto regolamentare, fissata in un regolamento condominiale a tipo contrattuale, prevedente un sistema
diverso di pagamento delle spese relative all'ascensore stesso).
*Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1976. n. 864.
L'installazione della gettoniera al servizio dell'ascensore, comporta una notevole incidenza sull'economia del
servizio in quanto risulta addirittura mutato il sistema di reperimento dei fondi necessari per l'esercizio del
servizio.
*Trib. civ. Roma, 25 marzo 1964, n. 1225.
c)Impignorabilit.
Gli ascensori e gli impianti di riscaldamento, comprese le caldaie ed i bruciatori, sono parti integranti degli edifici
nei quali sono installati, e non semplici pertinenze; essi, infatti, non hanno una funzione propria, ancorch
complementare e subordinata rispetto a quella degli edifici, ma partecipano alla funzione complessiva ed
unitaria degli edifici medesimi, quali elementi essenziali alla loro destinazione, da ci consegue che l'ascensore
e l'impianto di riscaldamento non sono pignorabili, come beni mobili, separatamente dall'edificio in cui sono
installati, e che I' opposizione con la quale il debitore deduca detta impignorabilit, in quanto tendente a
contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente su quei beni, configura, ai sensi dell'art. 615 c.p.c.,
opposizione all'esecuzione, e non opposizione agli atti esecutivi.
*Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1976, n. 654; conf. Cass. 27 febbraio 1976, n. 653.
d)Installazione.
La installazione in un edificio in condominio (o in una parte di esso) di un ascensore di cui prima esso era
sprovvisto costituisce, ai sensi dell'art. 1120. primo comma, c.c., una innovazione, con la conseguenza che la
relativa deliberazione deve essere presa con la maggioranza di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c., secondo
cui l'approvazione deve avvenire "con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al
condominio e i due terzi del valore dell'edificio". L'installazione di un ascensore in un edificio in condominio (o
parte autonoma di esso), che ne sia sprovvisto, pu essere attuata, riflettendo un servizio suscettibile di

separata utilizzazione, anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, purch sia fatto salvo il diritto degli altri
di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione
dell'impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera. Sono innovazioni vietate, che, quindi, debbono essere
approvate dalla unanimit dei condomini, soltanto quelle che, pur essendo volute dalla maggioranza
nell'interesse del condominio, compromettono la facolt di godimento di uno o di alcuni condomini in confronto
degli altri, mentre non lo sono quelle che compromettono qualche facolt di godimento per tutti i condomini. A
meno che il danno che subiscono alcuni condomini non sia compensato dal vantaggio. Pertanto, qualora, al
posto della tromba delle scale e dell'andito corrispondente a pianterreno, si immette un impianto di ascensore, a
cura e spese di alcuni condomini soltanto, il venir meno dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio
nell'identico modo originario non contrasta con la norma del secondo comma dell'art. 1120 c.c. perch, se pur
resta eliminata la possibilit di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne offre uno diverso, ma di contenuto
migliore, onde la posizione dei dissenzienti salvaguardata dalla possibilit di entrare a far parte della
comunione del nuovo impianto.
*Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1975, n. 2696.
L'art. 1120 cc., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con
determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una
spesa da ripartire fra tutti i condomini su base millesimale, mentre qualora non debba farsi luogo ad un riparto di
spesa, per essere stata questa assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la
norma generale di cui all'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, e secondo cui ciascun partecipante
pu servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto e pu apportare a tal fine a proprie spese le modificazioni necessarie
per il miglior godimento della cosa medesima. Ricorrendo le suddette condizioni, pertanto, un condomino ha
facolt di installare nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione
degli altri condomini, e pu far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri
condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera
assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo.
*Cass. civ., sez. II, 12febbraio 1993, n. 1781, Fonti e altri c. Colombo e altri.
Il pregiudizio, per alcuni condomini, della originaria possibilit di utilizzazione delle scale e dell'andito occupati
dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto
posto dall'art. 1120, secondo comma, c.c., ove risulti che alla possibilit dell'originario godimento della cosa
comune offerto un godimento migliore, anche se di diverso contenuto.
*Cass. civ., sez. II, 29aprile 1994, n. 4152. Bava c. Condominio edificio in C.so Vittorio Emanuele.
L'opera nuova pu dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune o sue singole parti,
interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se
l'opera, pur essendo utilizzabile da tutti i condomini, stata costruita esclusivamente a spese di uno solo dei
condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi
della stessa contribuendo, ai sensi dell'art. 1120 c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione. (Nella
specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne dell'edificio condominiale con una strada
posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il
sottosuolo comuni, anche un terreno in propriet esclusiva del condomino che le aveva eseguite).
*Cass. civ., sez. II, 1 aprile 1995, n. 3840, Chiappara c. Villari.
L'installazione di un servizio in precedenza inesistente, suscettibile di uso separato ed a spese del solo
condomino interessato non richiede l'approvazione da parte dell'assemblea con la maggioranza qualificata
richiesta per le innovazioni ex art. 1120 cod. civ., trovando, in questo caso, applicazione l'art. 1102 cod. civ.
(Nella fattispecie. trattavasi dell'installazione di un ascensore da parte di un condomino portatore di handicap, il
quale si era accollato l'intero onere delle Spese).
*Trib. civ. Milano, Il maggio 1989, Soli c. Condominio via Ozanam 10/a, Milano, in Arch. loc. e cond. 1990, 325.
Allorch I' uso della cosa comune, pur comportando innovazione, venga effettuato dal singolo condomino a sue
spese e non risulti alterata la destinazione della cosa n ne sia impedito l'uso agli altri condomini. non
necessaria una preventiva delibera assembleare di approvazione. (Nella specie stata accolta, in base al
suddetto principio, la richiesta di provvedimento d'urgenza avanzata da soggetto affetto da incapacit
deambulatoria che lamentava il rifiuto opposto all'installazione di un impianto di ascensore nel condominio ove
risiedeva).
*Pret. civ. Milano, ord. 19 maggio 1987, Soli e L.E.D.H.A. c. Condominio di via Ozanam 10/A, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1988, 197.
La norma dell'art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini
con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino
per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale. Ove non si faccia questione di spese, torna
applicabile la norma generale dell'art. 1102 c.c. - che contempla anche le innovazioni - secondo cui ciascun
partecipante pu servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ed, a tal fine, pu apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune, come (nel caso di specie) applicare nella
tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione di tutti i condomini.
*Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1977, n. 1300.
Sussiste, alla stregua dell'art. 1102 cod. civ., il diritto del condomino di installare, a proprie cure e spese, un
impianto di ascensore nel vano delle scale in cui ubicata la propria unit immobiliare, salva la facolt di ogni
altro condomino interessato di richiedere la partecipazione all'utilizzo dell'opera, previa corresponsione delle
quote di spesa dovute secondo legge.

*Trib. civ. Milano, sez. VIII, 12 ottobre 1989, n. 8434,


L'installazione dell'ascensore, riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, pu essere attuata
anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai
vantaggi della innovazione contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera.
*Pret. civ. Taranto, ord. 5 ottobre 1993, in Arch. loc. e cond. 1994. 383.
In tema di condominio negli edifici, la delibera assembleare, che, pur senza approvare uno specifico progetto e
preventivo di spesa, autorizzi l'installazione di un ascensore ad opera ed a spese di un singolo condomino. ma
con salvezza del diritto degli altri condomini di partecipare in qualunque momento ai vantaggi dell'installazione
medesima, tramite contributo ai costi di esecuzione e manutenzione, configura innovazione diretta al
miglioramento della cosa comune, e come tale, validamente adottata con le maggioranze prescritte dall'art.
1136 quinto comma. c.c..
N sulla legittimit di detta delibera incide l'indicata mancanza di progetto e di preventivo, la quale comporta
soltanto la necessit che la delibera stessa venga integrata da successive decisioni assembleari, per
determinare le modalit di attuazione ed esecuzione dell'innovazione, nel rispetto dei limiti e dei divieti fissati dal
secondo comma dell'art. 1120 c.c..
*Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1977, n. 4921, Molinari c. Cond. V.S. Stefano.
Costituisce innovazione vietata ex art. 1120, secondo comma, c.c., 1'installazione di un impianto di ascensore
che, rispettando le dimensioni minime della cabina previste dalle prescrizioni tecniche sia della legge nazionale
che di quella regionale, comporti una riduzione del piano di calpestio dei vari piani.
*Trib. civ. Milano, 23 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Ciascun condomino pu procedere alla installazione, a proprie cure e spese, di un impianto di ascensore, salva
la facolt degli altri condomini di chiedere la partecipazione all'uso previa corresponsione della quota di spesa, e
semprech non venga alterata la destinazione della cosa comune e non venga impedito agli altri condomini di
farne parimenti uso.
*Pret. civ. Messina, ord. 7 dicembre 1991, in Giur. mer. 1993, 351.
Nel caso in cui i condomini siano gravati, in base ad un atto pubblico di acquisto, dalla servit passiva di
installazione di un ascensore a favore di una singola porzione immobiliare, non occorre una nuova
manifestazione di volont in sede di assemblea condominiale per autorizzare tale installazione e la realizzazione
delle relative opere.
*Pret. civ. Roma, sez. IV, 28giugno 1994, n.4191, Orsini c. Rossetti, Albertazzi e altri, in Arch. loc. e cond. 1994,
846.
Le norme della L. n. 13/89 che prevedono una deroga alle maggioranze stabilite dal codice civile per le
innovazioni consistenti nella realizzazione di un ascensore in un edificio condominiale al fine dell'eliminazione
delle barriere architettoniche sono applicabili indipendentemente dalla presenza o meno di portatori di handicap
nell'immobile.
*Trib. civ. Milano, 19 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Una modesta compressione del diritto di cui all'art. 1102 c.c. deve ritenersi tollerabile quando sia giustificato
dall'interesse altrui ad un pi proficuo uso della cosa comune e non rechi in concreto alcun serio pregiudizio o
grave sacrificio (Fattispecie in tema di installazione di un ascensore comportante un limitato restringimento dello
spazio di passaggio comune).
*Trib. civ. Milano, 9settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Non sussiste alcun concreto interesse ad impugnare una deliberazione dell'assemblea condominiale che si limiti
a disporre l'installazione di un ascensore rinviando ad una successiva riunione l'approvazione della spesa e la
relativa ripartizione, non potendo affatto escludersi che l'assemblea non approvi la spesa e non potendo in ogni
caso prefigurarsi quale potrebbe essere l'effettivo contenuto di una futura deliberazione sulla materia.
*Trib. civ. Milano. 18 aprile 1991. in Arch. loc. e cond. 1992. 154.
Quando l'installazione di un ascensore consiste in un uso pi intenso della cosa comune, senza alterazione
della sua destinazione e senza sottrazione agli altri condomini del pari uso della cosa, si ha uso della cosa
comune ai sensi dell'art. 1102 e non innovazione ex art. 1120.
*Trib. civ. Foggia 29 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
L'installazione di ascensore nella tromba delle scale, pur comportando la riduzione o il venire meno
dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio nel modo originario, non contrasta con la norma dell'art. 1120
comma 2 c.c., in quanto, pur se resta eliminata la possibilit di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne
offre uno diverso e di contenuto migliore, anche alla luce della L. n. 13 del 1989, mentre la posizione dei
dissenzienti salvaguardata dalla possibilit di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto. Pertanto
non sussiste una vera alterazione della destinazione, n si compromette la facolt di godimento della cosa
comune da parte di tutti i condomini.
*Pret. civ. Catania. ord. 14 maggio 1991, in Giur. mer. 1993, 351.
L 'installazione dell'ascensore costituisce una delle eccezioni alla regola dell'applicabilit delle norme sulle
distanze in campo condominiale in quanto l'ascensore va considerato alla stregua di un impianto indispensabile
ai fini di una civile abitabilit in sintonia con l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini.
*Trib. civ. Napoli, 16 novembre 1991, n.13008. in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
La disciplina in materia di distanze non opera per quegli impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di
una reale abitabilit dell'appartamento e che riflettono l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini. Inoltre,
l'art. 3 comma 2 L. n. 13 del 1989, nel porre l'obbligo dell'osservanza delle distanze di cui all'art. 907 c.c. per la
sola ipotesi in cui "tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di
propriet o uso comune" implicitamente riconosce che tali distanze, se eventualmente applicabili, non debbano
comunque essere osservate con riferimento alle unit immobiliari comprese nel medesimo edificio condominiale.

*Pret. civ. Catania, ord. 20 marzo 1992, in Giur. mer. 1993, 351.
La nullit di una delibera assembleare che abbia disposto l'installazione di un ascensore in uno stabile
condominiale non impedisce che tale installazione possa essere realizzata autonomamente da uno o pi singoli
condomini.
*Trib. civ. Napoli, 1 ottobre 1991. in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
L'impianto dell'ascensore costituisce uno degli interventi volti ad eliminare una barriera architettonica rendendo
possibile ai soggetti in minorate condizioni fisiche che abitano l'immobile o che possono frequentarlo la vita di
relazione interpersonale.
*Trib. civ. Firenze, 19 maggio 1992, n. 849, in Arch. loc. e cond. 1992, n. 4.
nulla la delibera - adottata secondo la maggioranza prevista dall'art. 2 della L. n. 13/1989 - di installazione di
un ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino portatore di handicap, qualora ci comporti un
sensibile deprezzamento dell'unit immobiliare di altro condomino.
*Corte app. civ. Napoli, sez. II, 27 dicembre 1994. n. 3074. Condominio di via Salvator Rosa n. 253 in Napoli c.
Lovallo, in Arch. loc. e cond. 1995, 393.
L'installazione dell'ascensore non pu comportare un pregiudizio intollerabile o un danno apprezzabile ad un
singolo condominio, nel qual caso l'innovazione non pu essere considerata legittima, e ci vale anche se
l'ascensore viene installato a norma dell'art. 3 della L. 9 gennaio 1989, n. 13.
*Trib. civ. Napoli, 16 novembre 1991, n. 13008, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
Ai sensi della L. n. 13/1989 anche se l'ascensore da considerarsi innovazione per la sua approvazione sono
sufficienti le semplici maggioranze del secondo e terzo comma dell'art. 1136 e non quelle del quinto comma del
citato articolo.
*Trib. civ. Milano, 14 novembre 1991, in L'Ammin. 1992, 3, 13.
e)Limitazioni all'uso.
Anche nel condominio degli edifici trova applicazione, relativamente ai beni comuni, il principio, desumibile
dall'art. 1102 cod. civ., che consente al singolo condomino di usare della cosa comune anche per un suo fine
particolare, con conseguente possibilit di ritrarre dal bene una specifica utilit aggiuntiva rispetto a quelle
generali ridondanti a favore degli altri condomini, con il solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto
spettante a questi ultimi. Da tanto consegue che in difetto di specifiche limitazioni stabilite dal regolamento di
condominio, l'uso dell'ascensore per il trasporto di materiale edilizio pu essere legittimamente inibito al singolo
condomino solo qualora venga concretamente e specificatamente accertato che esso risulti dannoso, sia
compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la
tempestiva e conveniente utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alle frequenze
giornaliere, alla durata e all'eventuale orario di esercizio del suddetto uso particolare, alle cautele adoperate per
la custodia delle cose trasportate, tenendo conto di ogni altra circostanza rilevante per accertare le eventuali
conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto, possono derivare dal suddetto uso particolare
dell'ascensore.
*Cass. civ., sez. II, 6 aprile l982, n. 2ll7, Colaci c. Cond. V. Casilina.
Integra una molestia possessoria la regolamentazione dell'uso delle cose comuni da parte dell'amministratore di
un condominio, anche se adottata nel convincimento di agire nel legittimo esercizio delle attribuzioni a lui
devolute dall'art. 1130 n. 2 cod. civ. - in difetto di esplicite limitazioni stabilite nel regolamento di condominio e
sempre che tale regolamentazione non risulti giustificata da particolari ragioni connesse, ad esempio, alla
sicurezza dei condomini o dei terzi o alla salvaguardia della stessa conservazione della cosa comune - che
attenti al contenuto del diritto che su di esse compete a ciascun condomino, in violazione dei principi che
regolano l'uso delle cose comuni da parte dei singoli partecipanti alla comunione. pertanto, illegittimo il divieto
dell'uso del lastrico solare per limitate e temporanee esigenze connesse al trasporto di alcuni mobili da un
appartamento all'altro dello stesso fabbricato, nonch il divieto di usare l'ascensore per il trasporto di materiale
edilizio, ove non si accerti che tale uso risulti concretamente dannoso, sia compromettendo la buona
conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente
utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alla frequenza giornaliera del suddetto uso
particolare e agli inconvenienti che possono derivarne al decoro dell'edificio, tenuto conto delle cautele che
vengono o meno adoperate in ciascun caso concreto per la custodia del materiale trasportato, del numero degli
utenti che normalmente si servono dell'ascensore per accedere alle varie unit immobiliari, nonch di ogni altra
circostanza rilevante per accertare le eventuali conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto,
possono realmente derivare dal su indicato uso particolare dell'ascensore.
*Cass. civ. sez. II, 6 febbraio 1982, n. 686, Colaci c. Cond. Casilina.
Le innovazioni di cui all'art. 1120, primo comma, cod. civ. (nella specie, consistenti nella collocazione di una
porta sulla scala condominiale e nel blocco con chiave della pulsantiera dell'ascensore), realizzate
dall'amministratore del condominio in assenza di preventiva delibera assembleare, in quanto idonee a turbare il
pacifico godimento e l'utilizzazione del singolo condomino su alcune parti comuni dell'edificio, rendono
ammissibile l'azione di manutenzione a tutela del (com)possesso (delle menzionate parti comuni) proposta da
quest'ultimo. Peraltro l'adozione, nel corso del giudizio possessorio, di una delibera condominiale che ratifichi,
con la maggioranza qualificata prevista dall'art. 1136, quinto comma. cod. civ., le spese relative alle eseguite
innovazioni e sostanzialmente autorizzi le innovazioni medesime, legittima, sia pure tardivamente, sotto il profilo
dell'esercizio del possesso, la condotta posta in essere dall'amministratore suddetto, facendo venir meno i
connotati della molestia e turbativa in essa (condotta) originariamente ravvisabili, con conseguente rigetto nel
merito della domanda di manutenzione come sopra proposta.
*Pret. civ. Gallarate, 16 gennaio 1990, Steri c. Galli, in Arch. loc. e cond. 1990, 361.
f) Locali macchina.

La servit di accesso ai locali macchina degli ascensori attraverso il seminterrato di propriet di un condomino,
comprende il diritto del condominio, e per esso dell'amministratore, ad avere copia delle chiavi di accesso a
detto locale.
*Trib. civ. Napoli, sez. III, 30 ottobre 1993, n. 10600, Cond. di via degli Aranci. n. 25 di Sorrento c. Stinga, in
Arch. loc. e cond. 1994, 597.
) Manutenzione e conservazione.
da ritenersi inefficace e non produttivo di alcuna conseguenza giuridica in capo al condominio un contratto
decennale di manutenzione degli ascensori stipulato dall'amministratore condominiale senza la preventiva
delibera dell'assemblea, trattandosi di atto eccedente l'ordinaria amministrazione.
*Pret. civ. Bologna, 28 novembre 1992, n. 948.
h) Presunzione di comunione..
L'area di base del vano di corsa dell'ascensore deve considerarsi parte comune dell'edificio, ai sensi dell'art.
1117, n. 3, cc., ed ogni condomino legittimato a far valere il suo diritto reale sulle aree condominiali e far
cessare occupazioni illecite od usi non consentiti.
*Trib. Civ. Napoli, 15 novembre 1989, in Rass. equo canone 1990, 272.
L'ascensore quando non sia installato originariamente nell'edificio all'atto della sua costruzione e vi venga
installato successivamente per iniziativa di tutti o parte dei condomini non costituisce propriet comune di tutti i
condomini, bens appartiene in propriet a quei condomini che l'hanno impiantato a loro spese, salvo la facolt
degli altri condomini. prevista dall'art. 1121 ultimo comma c.c., di partecipare successivamente all'innovazione.
*Cass. civ., 18 novembre 1971, n. 3314.
i) Proprietari dei locali al piano terreno.
Non risultando il contrario dai titoli di acquisto delle singole propriet individuali, l'ascensore deve considerarsi di
propriet comune anche dei condomini proprietari di negozi siti al piano terreno, poich occorre far riferimento
non all'utilizzo in concreto, ma alla potenzialit del medesimo.
*Corte app. civ. Bologna, sez. II, 1 aprile 1989. n. 273, Zerbini e altri c. Condominio di via Marconi 6, Bologna, in
Arch. loc. e cond. 1990, 67.
Il proprietario di unit immobiliari sue al piano terreno o aventi accesso separato mediante scala in propriet
esclusiva, tenuto a concorrere nelle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale o degli ascensori
comuni, limitatamente a quella parte di oneri che viene suddivisa, ai sensi dell 'art. 1124 cod. civ., in ragione del
valore del piano o della porzione di piano: non invece dovuta alcuna quota di quella parte di spese ripartite, in
base alla medesima norma, in misura proporzionale alla distanza dei piani dal suolo.
*Trib. civ. Monza, 12 novembre 1985, Tarasconi c. Condominio Assiria I di Sesto San Giovanni, in Arch. loc. e
cond. 1986, 299.
L'ascensore una parte comune anche per i proprietari delle unit condominiali site al piano terra poich essi
possono trarre utilit dall'impianto, che idoneo a valorizzare l'intero immobile e normalmente permette di
raggiungere pi comodamente parti superiori che sono comuni a tutti.
* Trib. civ. Milano. sez. VIII, 16marzo 1989, Mazzilli ed altri c. Condominio di via Valassina 45, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1989, 515.
l) Separato godimento.
In caso di installazione da parte di un condomino di un ascensore suscettibile di suo separato godimento, trova
applicazione l'art. 1102 cod. civ. - a mente del quale il singolo condomino pu apportare alla cosa comune le
modificazioni necessarie al migliore godimento - e non l' arti. 1120 cod. civ.. dettato per le ipotesi di innovazione
della cosa comune, per cui non pare necessaria l'approvazione da parte dell'assemblea con la maggioranza
qualificata richiesta per le innovazioni e le spese di installazione sono esclusivamente a carico dell'interessato.
*Trib. civ. Milano. 1l maggio 1989. Sole c. Condominio di via Ozanam,10/A di Milano, in Arch. loc. e cond. 1990,
74.
Nel condominio di edificio, in caso di godimento separato di servizi comuni, ai fini della validit delle
deliberazioni assembleari. configurabile una maggioranza limitata ai soli condomini della parte di edificio alla
quale destinato il servizio in separato godimento. (Nella specie, in un edificio in condominio, provvisto di tre
scale, ciascuna fornita di proprio ascensore, la deliberazione assembleare di sostituzione dell'ascensore di una
scala, vecchio, con un ascensore nuovo, era stata presa con maggioranza limitata ai condomini di quella parte
di edificio servita dall'ascensore da sostituire).
*Cass. civ., sez. II, 4 ettembre 1970, n. 1188.
In caso di godimento separato di servizi comuni all'interno di un unico condominio, ai fini della validit delle
delibere assembleari configurabile una maggioranza limitata ai soli condomini della parte di edificio alla quale
destinato il servizio in separato godimento. (Fattispecie in tema di installazione di un ascensore).
*Trib. civ. Milano. 12 aprile 1990, in Archi. loc. e cond. 1991, 336.
m) Sostituzione.
La sostituzione di ascensori usurati e non pi agibili con ascensori nuovi, anche di tipo e marca diversi, conformi
alle nuove tecniche, non costituisce innovazione poich le cose comuni oggetto delle modifiche (strutture del
vano ascensore e locali annessi, cabina) non subiscono alcuna sostanziale trasformazione e conservano la loro
destinazione strumentale al servizio, anche se si realizzano mutamenti alla loro conformazione.
*Corte app. civ. Milano, sez. I, 9 ottobre 1987, n. 1983, Condominio di via Console Marcello 18/2 di Milano c.
Dondoli, in Arch. loc. e cond. 1989, 707.
n) Spese
In tema di condominio degli edifici, la disciplina di cui agli arti. 1123, 1125 cod. civ. sul riparto delle spese
inerenti ai beni comuni, suscettibile di deroga con patto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento

condominiale, ove abbia natura convenzionale, e sia di conseguenza vincolante nei confronti di tutti i
partecipanti. Pertanto, con riguardo alla ripartizione delle spese per la manutenzione degli ascensori, deve
ritenersi valida ed operante la disposizione del suddetto regolamento, che preveda il concorso di tutti i
condomini, inclusi quelli abitanti al piano terreno, in base ai millesimi delle rispettive propriet.
*Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1986, n. 6499, Jannace c. C. V. Petrarca NA.
Gli interventi di adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento di obiettivi di
sicurezza della vita umana e incolumit delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti e i terzi, non
attengono all'ordinaria manutenzione dello stesso o al suo uso e godimento, bens alla straordinaria
manutenzione, riguardando l'ascensore nella sua unit strutturale. Le relative spese devono quindi essere
sopportate da tutti i condomini, in ragione dei rispettivi millesimi di propriet, compresi i proprietari degli
appartamenti sui al piano terra.
*Trib. civ. Parma, sez. II, 29 settembre 1994, n. 859, Paini e altra c. Condominio Elisabetta, in Arch. loc. e cond.
1994, 831.
AUTORIMESSE E POSTI AUTO
Atti osceni.
Gli atti osceni messi in atto in una autorimessa condominiale si intendono commessi in luogo aperto al pubblico
anche se laccesso consentito ad una determinata categoria di terze persone.
* Cass. pen., sez. IV, 10 ottobre 1989.
Autorimessa sotterranea.
In tema di condominio di edifici, costituisce innovazione vietata ai sensi del secondo comma dellart. 1120 cod.
civ. (e, pertanto, deve essere approvata dalla unanimit dei condomini), la costruzione di autorimesse nel
sottosuolo del cortile comune, in quanto comporta il mutamento di destinazione del sottosuolo da sostegno delle
aree transitabili e delle aree verdi a spazio utilizzato per il ricovero di automezzi (con conseguente modifica di
destinazione anche dellarea scoperta soprastante a copertura di locali sotterranei) e determina una situazione
di permanente esclusione di ogni altro condomino dalluso e dal godimento di ciascuna autorimessa sotterranea,
assegnata ai singoli condomini, ancorch rimasta di propriet comune.
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1988, n. 6817, Cond. Collignon c. Cavallini.
Il condomino che abbia acquistato in propriet esclusiva lo spazio destinato al parcheggio di un autoveicolo,
ancorch sito nel locale adibito ad autorimessa comune del condominio, ha facolt a norma dellart. 841 c.c. di
recintarlo anche con la struttura di un cosiddetto "box", sempre che non gliene facciano divieto latto di acquisto
o il regolamento condominiale avente efficacia contrattuale e non derivi un danno alle parti comuni delledificio
ovvero una limitazione al godimento delle parti comuni dellautorimessa.
* Cass. civ., 25 maggio 1991, n. 5933.
Lassegnazione in uso esclusivo di porzione di area condominiale destinata a parcheggio, con delimitazione sul
pavimento dellarea dei singoli posti macchina. esclude la facolt di ciascun condomino di migliorare il
godimento della cosa mediante lerezione di box chiuso sulla porzione di area assegnata.
* Trib. civ. Napoli, sez. III, 8 luglio 1977, Presti ed altri c. Mellino, motivaz. e nota in Arch. civ. 1977, 1135.
Il condominio deve provvedere alle riparazioni e al risarcimento dei danni derivanti dallinfiltrazione di acqua
piovana o di irrigazione nei boxes, la cui copertura rappresentata dal fondo del giardino, di cui il condominio
detentore e custode.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 9 marzo 1989, Aceti e altri c. Condominio di Via Mecenate 103, Milano, motivaz. e
nota in Arch. loc. e cond. 1989, 536.
Posta la natura comune del cortile sovrastante i box e posto il conseguente godimento del medesimo da parte di
tutti i condomini, ne consegue la necessit di ripartizione delle relative spese di manutenzione tra tutti i
condomini, sia pure con ladozione di criteri correttivi in riferimento allulteriore godimento della cosa comune da
parte dei boxisti, non potendo i condomini non proprietari di box pretendere di essere esclusi da tale ripartizione.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 5aprile 1993, Caruso c. Cond. di Via Ornato di Milano, in Arch. loc. e cond. 1995, n.
2.
La realizzazione, in difetto di concessione edilizia, di box per auto (nella specie, costruiti dopo la demolizione di
locali destinati a magazzini), siti in cortile separato dalledificio principale, configura il reato di cui allart. 17, lett.
b), L. 28 gennaio 1977, n. 10, applicabile pur dopo lentrata in vigore del D.L. 20 novembre 1981, n. 663, in
quanto lart. 7, lett. a) di questo si riferisce solo alle pertinenze di modesta entit, strutturalmente collegate alla
preesistente costruzione principale.
* Pret. pen. Foggia, 1 dicembre 1981, Di Lascia ed altri, motivaz. e nota in Riv. pen. 1982, 515.
Nel caso in cui un box per auto sia locato, ancorch con separato contratto, al conduttore di un appartamento
destinato ad abitazione, sito nello stesso stabile, da parte del proprietario di entrambi i detti immobili, si che
questi risultino destinati ad un uso unitario per un pi completo godimento dellabitazione concessa in locazione,
il rapporto locativo del box, il cui uso si attua in funzione di pertinenza dellabitazione, va assoggettato allo
stesso regime giuridico relativo alla locazione di tale secondo immobile.
* Casa. civ., sez. III, 4settembre 1990, n. 9115, Soc. Alleanza A c. Fava.
Cancelli.
Non costituisce innovazione, ma semplice modificazione della cosa comune, la sostituzione dei cancelli di
ingresso e uscita dei box, con sistema di apertura manuale, con altri a movimento automatizzato. Pertanto la
relativa spesa pu essere validamente deliberata dallassemblea dei condomini con le maggioranze previste
dallart. 1136, secondo e terzo comma, cod. civ.
* Trib. civ. Monza 14 dicembre 1984, Garimoldi e altri c. Cond. Sesto Est. 1. Motivaz. e nota in Arch. loc. e cond.
1985, 79.
Controversie.

Il soggetto che quale proprietario di un appartamento di un edificio in condominio agisca in giudizio nei confronti
di un terzo, perch gli sia inibita la sosta ed il parcheggio di veicoli effettuata sullarea di propriet condominiale
in violazione delle disposizioni del regolamento del condominio, non esercita unazione possessoria di
manutenzione (rientrante nellesclusiva competenza per materia del pretore) bens unazione petitoria, agendo in
forza ed a tutela dei poteri e delle facolt inerenti alla compropriet del suddetto bene, con la conseguenza che
per la individuazione del giudice per essa competente trovano applicazioni gli ordinari criteri della competenza
per valore.
* Cass. civ.. sez. II, 25 maggio 1992, n. 6225.
La controversia promossa dal proprietario di appartamento in fabbricato condominiale, nei confronti del
costruttore-venditore, per sentire riconoscere la destinazione a parcheggio di veicoli di spazi realizzati nel
fabbricato stesso, in conformit del disposto dellart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150
(introdotto dallart. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765), non investe direttamente atti amministrativi, quali quelli
in base a cui stato costruito e destinato ledificio, ma riguarda esclusivamente posizioni di diritto soggettivo
nellambito di rapporti privatistici, e, pertanto, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario.
* Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 1984, n. 6602, Meda c. Oddo.
Lazione diretta ad ottenere laccertamento della destinazione dellautorimessa a servizio dello stabile
condominiale introduce una controversia che concerne lestensione del diritto dei singoli condomini in
dipendenza dei rispettivi acquisti e, pertanto, esula dalla sfera di rappresentanza attribuita dallart. 1131 cod. civ.
allamministratore del condominio, il quale quindi sfornito di legittimatio ad processum.
* Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 1988, n. 2129, Cond. V. Imprunet. c. Soc. Pian. 2 Torri.
Il singolo condomino da solo ovvero un gruppo di condomini senza necessit di chiamare in giudizio gli altri
condomini o lamministratore del condominio possono proporre lazione giudiziaria contro il costruttore-venditore
per rivendicare il diritto reale duso sullarea delledificio destinata a parcheggio con atto dobbligo nei confronti
dellamministrazione comunale, non ricorrendo un ipotesi di litisconsorzio necessario.
* Cass. civ., sez. II, 19 aprile 1994, n. 3717, Torrevecchia 1972 c. Quinto.
La domanda di un condomino di sistemazione in via definitiva dei posti-macchina del garage condominiale non
rientra fra le cause relative alla misura o comunque alle modalit d uso dei servizi o dei beni del condominio.
* Pret. civ. Taranto, 22 ottobre 1985, o. 523, Ferramosca c. Cond. di via Lazio, n. 111, Taranto, motivaz. e nota
in Arch. loc. e cond. 1986, 152.
Il fatto di chi parcheggia la propria vettura in uno spazio privato adeguatamente segnalato come interdetto alla
sosta, pu senza dubbio qualificarsi come una molestia al pacifico godimento della strada privata da parte
dellente proprietario e possessore. Ne consegue che la rimozione dellauto parcheggiata contro le disposizioni
date e rese adeguatamente conoscibili integra il lecito esercizio dellautotutela possessoria, che trova il suo
fondamento normativo nellart. 2044 c.c. che esclude lantigiuridicit della reazione ad unazione obiettivamente
ingiusta.
* Giud. conc. Bologna 9 ottobre 1991, in Arch. giur. circ. e sin. 1992, 54.Destinazione di un locale comune a
garage.
Lassemblea di un condominio edilizio pu validamente deliberare con la maggioranza di cui allart. 1136,
secondo comma, cc. la specifica destinazione di un locale di propriet comune a garage in relazione alle
caratteristiche obbiettive del locale medesimo (nella specie: locale situato al piano terra delledificio con accesso
alla via pubblica mediante una rampa carrabile) non importando una sostanziale modifica della cosa comune
bens trattandosi di un atto di amministrazione diretto ad assicurare a tutti i condomini il miglior godimento e la
migliore utilizzazione della cosa comune, senza che ne derivi una violazione del principio del godimento paritario
per limpossibilit di assicurare a ciascun condomino un posto macchina, in quanto il pari uso della cosa comune
non postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i compartecipi della comunione,
che resta affidato alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza.
* Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1992, n. 2084. Rotondano c. Cond. via Onofrio RM.
Difficolt di manovra.
illegittima la costruzione di un ripostiglio nel corridoio condominiale, sia pur deliberata a maggioranza
dallassemblea condominiale, che diminuisca in modo apprezzabile il godimento della propriet esclusiva anche
di uno solo dei condomini. (Nel caso di specie originariamente loperazione di fuoriuscita dellautovettura
dallautorimessa del condomino dissenziente era facilmente eseguibile con manovra in due tempi, mentre dopo
la costruzione del ripostiglio, di fronte allautorimessa, tale manovra poteva compiersi soltanto in quattro tempi).
* Pret. civ. Monza, 5 luglio 1982, n. 666, Pellegrini c. Cond. Esedra 1, motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1983,
555.
La deliberazione dellassemblea condominiale, con la quale venga autorizzato luso di un bene comune in modo
incompatibile con lutilizzazione ed il godimento di parti delledificio di propriet di un singolo condomino,
illegittima indipendentemente dalla circostanza che, per ragioni contingenti e transitorie, il bene di propriet
individuale ed esclusiva non sia attualmente utilizzato secondo la sua naturale destinazione. (In base al suddetto
principio la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato la
illegittimit di una delibera con la quale era stata decisa lutilizzazione come parcheggio di unarea condominiale
sotto il profilo che detto uso avrebbe ostacolato laccesso ad alcuni locali di propriet individuale destinati ad
essere utilizzati come autorimesse, a nulla rilevando che detto uso non fosse attuale per la necessit di
realizzare alcuni lavori di rifinitura e di adattamento dellimmobile).
* Casa. civ., sez. II, 5 settembre 1989, n. 3858, Cond. di Via Ronciglione, 20, Roma c. Soc. Gefta.
Diritto di parcheggio nellautorimessa comune.
Nel condominio degli edifici la disciplina delle parti comuni, o presuntivamente dichiarate tali dallart. 1117 cod.
civ., informata ai principi dellindivisibilit e della loro inseparabilit, in ragione della loro destinazione al relativo

servizio, da quelle di pertinenza esclusiva dei condomini, sicch, non potendo il singolo condomino, senza il
consenso degli altri condomini, unilateralmente disporre delle parti comuni in modo autonomo ed indipendente
da quelle di sua propriet esclusiva, il cedente di una porzione di piano di sua esclusiva propriet non pu
riservare a s il diritto di compropriet e quindi luso di parti comuni destinate al complesso condominiale (nella
specie, diritto al parcheggio nellautorimessa comune), con la conseguenza che, essendo inopponibile al
condominio lanzidetta riserva di propriet, egli, ormai terzo rispetto al condominio, non pi legittimato a
partecipare alle assemblee n ad impugnarne le deliberazioni.
* Casa. civ., sez. II, 10 gennaio 1990, n. 9, Condominio Via della Farnesina, 347, di Roma c. Necci.
Furto.
Il locale autorimessa, anche se situato entro il perimetro delledificio condominiale (nella specie, nel
seminterrato), non pu ritenersi incluso tra le "parti comuni delledificio" indicate dallart. 1117 c.c., neppure sotto
laspetto di "parte delledificio necessaria alluso comune", cos che, da un canto, il condominio non pu giovarsi
della relativa presunzione al fine di pretendere il contributo di ogni condomino alle relative spese di
manutenzione e dallaltro, sul condomino che adduca di non essere tenuto a tale contributo (per non essere
comproprietario del locale) non incombe lonere della relativa prova negativa. Al fine di accertare la esistenza, o
meno, dellobbligo del singolo condomino di sostenere, in misura proporzionale, le spese di manutenzione del
detto locale occorre, pertanto, la prova positiva dellappartenenza di esso in propriet comune, determinante
essendo, al fine anzidetto, lesame dei titoli di acquisto dei singoli comproprietari dellimmobile.
* Casa. civ., sez. II, 22 ottobre 1997, n. 10371, Condominio La Torre in Chiaravalle c. Chiappa, in Arch. loc. e
cond. 1998, 47.
In tema di furto, la circostanza aggravante dellesposizione alla pubblica fede configurabile anche quando la
cosa si trova in luogo privato, ma aperto al pubblico o comunque facilmente accessibile, ovvero in un cortile di
casa di abitazione in diretta comunicazione con una pubblica via ovvero in parcheggio privato non custodito.
* Cass. pen., sez. II, 5 settembre 1991, n. 8798 (ud. 17 gennaio 1991), Crisafulli.
Sussiste laggravante di cui allart. 625, n. 1, c.p., nel caso di furto di due biciclette commesso in unautorimessa
condominiale, comunicante con ledificio soprastante ove erano le abitazioni dei condomini, sebbene la porta di
comunicazione fosse chiusa a chiave al momento del furto.
* Cass. pen., sez. II, 17 gennaio 1981, Pelamatt
In area comune alberata.
In tema di condominio degli edifici, lutilizzazione a parcheggio di autovetture private di unarea comune alberata,
originariamente goduta come "parco-giardino", in relazione alla sua apprezzabile estensione, non si traduce in
un miglioramento della cosa comune, ma comporta mutamento ed alterazione della destinazione della
medesima, in pregiudizio dei diritti dei singoli condomini. Essa, pertanto, non pu essere validamente deliberata
dallassemblea del condominio, con le maggioranze previste per le innovazioni utili (artt. 1120 primo comma e
1136 quinto comma c.c.), ma postula lunanimit di tutti i condomini.
* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1977, n. 4922.
Opere di prevenzione anti incendio.
In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalit tra spese ed uso di cui al comma 2 dellart. 1123
c.c., secondo cui (salva contraria convenzione) le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni
delledificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in
proporzione delluso che ciascuno pu farne, esclude che le spese relative alla cosa che in alcun modo, per
ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, pu servire ad uno o pi condomini possano essere poste
anche a carico di questi ultimi. (Nella specie, si trattava delle spese di installazione delle porte tagliafuoco
dellatrio comune nel quale si aprivano le porte di alcune autorimesse in propriet esclusiva di singoli condomini,
secondo le prescrizioni della L. 7 dicembre 1984, n. 818 e del D.M. 16 febbraio 1982).
* Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7077, Condominio di Via Nicolai n. 73 di Roma c. Sciamanna, in Arch.
loc. e cond. 1995, 807.
Le spese per la riparazione delle porte tagliafuoco e limpianto di ventilazione dei box vanno ripartite unicamente
tra i proprietari dei medesimi beni, e non anche tra gli altri condomini che non ne possiedono, non potendo avere
alcuna rilevanza a riguardo la circostanza che tali misure attengono alla sicurezza dellintero edificio.
* Corte app. civ. Roma 24 aprile 1991, in Giur. mer. 1992, 539.
Parcheggio a pagamento.
Il potere della maggioranza dei partecipanti alla comunione di disporre le modalit per il miglior godimento della
cosa comune presuppone il rispetto della condizione che il diritto di compropriet debba potersi estrinsecare
liberamente, con lunico limite derivante dal divieto di impedire uguale uso da parte degli altri compartecipanti e
di alterare la destinazione della cosa comune. (Nella specie la Corte di cassazione ha ritenuto corretta
laffermazione dei giudici del merito secondo cui la deliberazione della maggioranza che stabiliva lonere del
pagamento di una somma per il parcheggio di autobus dei comproprietari su di un area comune da essi
utilizzata per il deposito di detti autoveicoli, veniva a limitare illegittimamente il potere di ciascuno di disporre
liberamente del bene comune).
* Cass. civ., sez. II, 24giugno 1974, n. 1905.
Il riconoscimento del diritto di uso di aree destinate a parcheggio comporta per i fruitori lobbligo di integrare il
pagamento (c.d. conguaglio del prezzo).
* Trib. civ. Napoli ord. 24 ottobre 1991, in Nuovo dir. 1992, 454.
legittima la norma del regolamento della comunione che stabilisce che i viali e i marciapiedi comuni, la cui
funzione normale quella del transito pedonale, siano destinati al parcheggio oneroso degli autoveicoli degli
inquilini; siffatta innovazione vincola tutti i partecipanti nel senso che essi devono accollarsi lonere della
manutenzione delle cose per lusura che il transito e la sosta delle vetture comportano.

* Trib. civ. Napoli, sez. X, 29 gennaio 1987, n. 840, Terribile e altri c. Condominio "Parco del Pino" di San
Giorgio a Cremano, Motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1987, 348.
Sosta su spazio destinato al libero accesso del pubblico.
Le disposizioni del regolamento condominiale e la relativa delibera assembleare, adottate non allunanimit ma
a maggioranza, le quali pregiudichino i diritti di un condominio risultanti dallatto originario del suo acquisto sono
radicalmente nulle e lazione giudiziaria per far valere tale nullit non soggetta al termine di decadenza di cui
allultimo comma dellart. 1137 cod. civ. (Nella specie, alla stregua del citato principio, la Suprema Corte ha
confermato la pronuncia del giudice del merito di nullit di una delibera dellassemblea dei condomini che a
maggioranza aveva consentito la sosta dei veicoli su uno spazio condominiale destinato, per una clausola del
contratto di acquisto, al libero accesso del pubblico).
* Cass. civ., sez. II, 5 agosto 1988, n. 4851, Coni. Sesto Fio. c. Salvini.
Strisce di vernice.
lecita la realizzazione di strisce in vernice tracciate sulla pavimentazione dellaccesso alle autorimesse
condominiali da parte di chi eserciti su di esse una servit di passaggio, a patto che non vengano menomati i
diritti del proprietario del fondo dominante ex art. 1067, secondo comma, c.c.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 giugno 1993, Condominio di Via dei Valtorta n. 7 di Milano c. Societ Immobiliare
Giocate, motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1993, 783.
Superficie convenzionale.
Allautorimessa concessa dal locatore con separato contratto di locazione allo stesso conduttore
dellappartamento di propriet del medesimo locatore si applicano i criteri di determinazione del canone fissati
dallart. 13, L. n. 392 del 1978 solo se ne sia concretamente provato il rapporto di pertinenza, per essere
lautorimessa destinata in modo durevole ed effettivo al servizio dellabitazione, anche nella sua componente
soggettiva (oltre che oggettiva), la quale implica lesigenza che il detto collegamento funzionale tra i due beni sia
leffetto della volont, anche tacita, del proprietario (o del titolare di un diritto reale sulla cosa) e non solo la
conseguenza delluso a cui stata destinata dal conduttore. (Nella specie in base allenunciato principio la
Suprema Corte ha annullato la decisione del merito che non riguardo ad autorimessa posta nello stesso edificio
in cui si trovava lappartamento, in locazione con distinto contratto e per un canone autonomamente
determinato, aveva ritenuto il vincolo pertinente con lappartamento solo in base "alla situazione di fatto
esistente").
* Casa. civ., sez. III, 27 settembre 1991, n. 10124, Istituto Nazionale delle Assicurazioni c. Serignoli.
In tema di determinazione del canone di locazione di un immobile destinato ad uso di abitazione, lart. 13 della L.
27luglio 1978, n. 392, riferendosi alle autorimesse ed ai posti macchina, stabilisce che essi vanno considerati, ai
fini del calcolo complessivo del canone, quali componenti della superficie convenzionale degli immobili locati; ne
consegue che, qualora unautorimessa ed un appartamento, siti nello stesso immobile, siano stati locati dal
proprietario ad uno stesso conduttore, con pattuizione di due canoni separati, la subordinazione funzionale tra
lautorimessa e lappartamento e cio la utilizzazione della stessa da parte del conduttore per il ricovero della
sua autovettura - il cui accertamento compete al giudice di merito - comporta che, ove con la pattuizione
intervenuta le parti abbiano inteso eludere i criteri imperativi posti dalla legge, la pattuizione stessa incorre nella
sanzione di nullit prevista dallart. 79 della citata legge.
* Casa. civ., sez. III, 16 marzo 1990, n. 2203, Istituto nazionale delle assicurazioni c. Cittadin.
Con riguardo alla locazione di immobili urbani, sussiste la presunzione di un rapporto pertinenziale a norma
dellart. 817 cod. civ. tra lappartamento destinato ad abitazione ed il posto macchina sito nellautorimessa
condominiale, qualora gli immobili appartengano al medesimo proprietario, siano ubicati nel medesimo edificio,
siano concessi in locazione allo stesso conduttore ed il posto macchina risulti destinato a soddisfare le esigenze
abitative della famiglia alloggiata nellappartamento anche se ci avvenga con separati e successivi contratti,
atteso che la volont del locatore in ordine alla destinazione dellautorimessa, pu anche essere desunta da un
successivo negozio con il quale egli, trasferendo il bene considerato accessorio in godimento allo stesso
soggetto che si trova gi nel possesso, in forza di un rapporto di natura personale, della cosa principale,
consente di fatto una miglior utilizzazione di questultima.
* Cass. civ., sez. III, 8 marzo 1990, n. 1857, Ragni c. Istituto nazionale delle assicurazioni.
Ai fini della determinazione dellequo canone, sussiste un vincolo pertinenziale e di accessoriet, derivante da
una relazione di subordinazione funzionale, tra un immobile locato ad uso abitazione ed un altro locato ad uso
autorimessa.
* Pret. civ. Pordenone, 5 marzo 1990, Locuratolo c. Puiatti, in Arch. loc. e cond. 1990, 792.
Tetto a copertura delle autorimesse.
Le spese di manutenzione di una copertura a lastrico con funzione di sostegno di unarea verde condominiale,
vanno ripartite tra i condomini proprietari del lastrico e della sovrastante area verde da una parte e i proprietari
delle sottostanti autorimesse, e devono essere rapportate alla diversa utilit ritratta, che pu equitativamente
fissarsi rispettivamente in 1/3 e 2/3. Gli interventi di manutenzione di tale copertura sono di competenza
dellamministratore, ed lassemblea che delibera sulle spese di manutenzione straordinaria.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in Parma e
Condominio di via Rav n. 1 in Parma, in Arch. loc. e cond. 1996, 75.
Al tetto posto a copertura delle autorimesse esterne alledificio condominiale - svolgente, nella sua struttura
unitaria ed omogenea, una funzione di riparo e di protezione delle unit sottostanti, ciascuna delle quali
costituisce pertinenza della propriet esclusiva dei singoli condomini - applicabile la presunzione di comunione
stabilita dallart. 1117 n. 1 c.c. con la conseguenza che esso costituisce, al pari del tetto delledificio
condominiale, oggetto di propriet comune e che lamministratore del condominio legittimato ad esercitare le
azioni che lo concernono. (Nella specie, condanna del costruttore al rifacimento della impermeabilizzazione o al

rimborso per eseguirla direttamente).


* Casa. civ., sez. II, 5 settembre 1994, n. 7651, Zucchetti c. Cond. di Via Verdi n. 6 di Cernusco sul Naviglio.
Trasformazione dellarea di parcheggio.
Lassemblea dei condomini, con deliberazione presa a maggioranza, mentre ha potere di predeterminare, sul
cortile comune, le aree destinate a parcheggio delle automobili e di stabilire, nellinterno di esse, le porzioni
separate di cui ciascun condomino pu disporre, non ha, altres, il potere di disporre la trasformazione dellarea
di parcheggio in una vera e propria area edificabile, destinata alla costruzione di alcune autorimesse (a
beneficio, oltretutto, non della collettivit, bens dei singoli che intendano profittarne).
* Casa. civ., sez. II, 16 febbraio 1977, n. 697.
Uso del cortile.
In tema di condominio di edifici, poich la naturale e principale funzione dei cortili (cose comuni ex art. 1117 cod.
civ.) quella di dare aria e luce ai locali prospicienti di propriet esclusiva e di consentire il libero transito per
accedere ai medesimi, lassemblea condominiale, con deliberazione presa a maggioranza, ha il potere di
predeterminare, nel cortile comune, le aree destinate a parcheggio delle automobili e di stabilire, al loro interno,
le porzioni separate di cui ciascun condominio pu disporre, ma non quello di deliberare la trasformazione in
unarea edificabile destinata alla installazione, con stabili opere edilizie, di autorimesse, a beneficio di alcuni
soltanto dei condomini, configurandosi una innovazione vietata a norma dellultimo comma dellart. 1120 cod.
civ., in ragione, oltre che del venir meno della stessa funzione della detta area comune, della sua utilizzazione
esclusiva da parte di alcuni dei condomini, con la sottrazione alluso ed al godimento anche di un solo
condomino.
* Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1988, n. 6673, Strazzabosco c. Bovolato.
Il comproprietario di un cortile destinato al parcheggio degli autoveicoli dei condomini non pu utilizzarne una
parte per la costruzione di una autorimessa per la propria auto, comportando questa una alterazione sia della
consistenza strutturale della cosa comune che della destinazione funzionale della stessa, cos utilizzata, oltre
che per la sosta della autovettura, per il deposito dei relativi accessori e di altri beni.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1994, n. 4996, Borgato c. Condominio delledificio Il Casone.
La sussistenza di un divieto assoluto per tutti i condomini di sostare con le auto nel cortile condominiale non
comporta necessariamente che leventuale deroga concessa ad un terzo (nella specie lamministratore) debba
essere adottata con il consenso di tutti i condomini, giacch non sussiste in tale ipotesi violazione di alcun diritto
soggettivo dei singoli condomini.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 17settembre 1987, n. 1349, Faiella c. Condominio di via Teresa degli Scalzi 148,
Napoli, motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1987, 709.
E' illegittima, in quanto lesiva dei diritti dei partecipanti pretermessi, la delibera con la quale, nellipotesi in cui il
cortile comune non sia abbastanza ampio da accogliere le autovetture di tutti i condomini, lassemblea anzich
prevedere un uso turnario dellarea abbia stabilito di concedere in locazione i posti macchina disponibili ad
alcuni soltanto dei condomini stessi.
Trib. civ. Milano, sez. VIII, 12 febbraio 1987, n. 1266, Immobiliare Chicca c. Condominio di Via Monte di Piet n.
19, Milano, motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1988, 159.
Lespressione "sosta di autoveicoli", usata nel regolamento di un condominio, al fine di consentire la medesima
alle autovetture dei condomini nel cortile interno dello stabile, va interpretata alla luce della situazione dei luoghi,
al fine di stabilire se la citata espressione faccia riferimento ad un uso a parcheggio stabile, ovvero ad un uso a
sosta temporanea di automezzi per carico e scarico di merci o per altre necessit eccezionali.
* Trib. civ. Milano 25 maggio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 608.
La deliberazione assembleare che specifica le modalit di utilizzo del cortile come parcheggio, pre-cludendo ai
residenti di posteggiare in aree diverse dalle due fasce laterali libere e mantenendo inalterato il precedente
divieto di lasciare lauto davanti al proprio box o in spazi che impediscono il diritto di tutti allagevole uso del
cortile comune, non pu essere considerata come introduttiva di uninnovazione, ex art. 1120 cod. civ., nel caso
in cui la suddetta delibe-razione sia astrattamente e concretamente inidonea a ledere linteresse di uno o pi
condomini in particolare, poich garantisce a tutti, indistintamente, il diritto di parcheggio nelle due aree laterali
individuate. (Nella specie, stata pienamente rispettata la destinazione molteplice che il cortile aveva in
precedenza, in quan-o area destinata non esclusivamente a parcheggio, bens al transito ed alla sosta di
persone e veicoli, al gioco dei bambini e allaccesso agli stessi edifici).
*Pret. civ. Legnano, 21 novembre 1988, n. 122, Fusetti c. Condominio Monterosa, motivaz. e nota in Arch. loc. e
cond. 1989, 377.
La norma di un regolamento contrattuale di condominio che vieti di parcheggiare e lavare le auto nel cortile
interno non fissa un modo di regolamentare la cosa comune (di tal tipo sarebbe stata invece ad esempio una
clausola che, sul presupposto che fosse consentito il parcheggio e il lavaggio delle auto, regolamentasse tali
diritti fissando gli orari, i giorni e le modalit), bens limita il diritto di godimento dei condomini sulla cosa comune
escludendo che di essa si possa fare un certo uso perch, evidentemente, non ritenuta confacente agli interessi
dei condomini. Trattasi quindi di una norma che fa nascere un vero e pro-prio diritto soggettivo in capo a tutti i
condomini, e che, in quanto tale, pu essere modificata solo con il consenso unanime di tutti i condomini.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 29 ottobre 1992, n. 438, Barbieri e altri c. Condominio Belvedere di Ca-stel San
Giovanni, motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1993, 788.
Il fatto di parcheggiare con sistematicit nel cor-tile comune unautocisterna, ove contrasti con la destinazione
abitativa dellintero complesso immobiliare causando altres un danno di natura estetica allaspetto dei luoghi,
nonch la sostanziale trasfor-mazione del cortile in luogo di deposito, integra quel mutamento di destinazione
che lart. 1102 cod. civ. pone come limite alluso di ogni singolo condomino.
* Pret. civ. Foligno, 12 marzo 1987, n. 16, Toma-relli c. Tomarelli e altro, motivaz. e nota in Arch. loc. e cond.

1987, 379.
In mancanza di un divieto contrattuale lecito realizzare nel cortile comune posti macchine per las-segnazione
ai condomini in uso esclusivo unitamente ad archetti per impedire il parcheggio selvaggio ed ai limitatori di
velocit.
* Trib. civ. Milano 17 giugno 1991, in LAmmin. 1991, n. 9.
- da ritenere legittima la delibera assembleare che, disciplinando le modalit duso del cortile con-dominiale,
abbia previsto la possibilit per i singoli condomini di parcheggiarvi le proprie vetture a condizione che la sosta
degli automezzi avvenga in spazi ben delimitati e non impedisca agli altri condomini le manovre di accesso e di
uscita dai garages ivi esistenti nonch un uso proprio del cortile comune.
* Giud. conc. Lanciano, 14 dicembre 1987, Man-zoni c. Condominio Moro Via Del Verde, 45 di Lan-ciano,
motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1989, 188.
- legittima la delibera dellassemblea dei condomini che attribuisca a tutti i condomini la facolt di occupare il
cortile comune con autovetture proprie, purch senza pregiudizio per il godimento delle pro-priet o pertinenze
degli altri condomini, anche se lo spazio limitato non consente il parcheggio contempo-raneo delle autovetture di
tutti i partecipanti.
* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990, in Arch. /oc. e cond. 1991, 623.
Uso del parcheggio.
Sussiste la violazione di cui allart. 1120, secon-do comma, cod. civ., allorch il condominio, delibe-rando che
luso del parcheggio sia riservato ai soli condomini proprietari di una determinata quota millesimale (nella
fattispecie 112,33 millesimi), inibisca agli altri proprietari, con quota millesimale inferiore a detto limite, luso
dellarea destinata a parcheggio.
* Pret. civ. Modugno, 29 maggio 1987, Petruzzelli Mitola c. Condominio di Via Bruno Bozzi n. 13, Modugno,
motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1988. 159.
Il riconoscimento del diritto di uso di aree destinate a parcheggio comporta per i fruitori lobbligo di integrare il
pagamento (cd. conguaglio del prezzo).
*Trib. civ. Napoli, ord. 24 ottobre 1991,
Anche dopo le innovazioni allart. 18 L. n. 765 del 1967 con la L. n. 47 del 1985, il titolare del potere di
disposizione degli spazi per parcheggi ha lobbligo di consentire la concreta utilizzazione degli stessi a favore dei
condomini che ne facciano richiesta.
* Pret. civ. Bari, 4 ottobre 1988, in Giur. merito 1989, 1132.
E' lecito il parcheggio negli spazi comuni condominiali a condizione che sia ben delimitato e non impedisca agli
altri condomini luso dei garages ivi esistenti ed un uso proprio del bene comune.
* Giud. conc. Lanciano, 14 dicembre 1987, in Nuo-vo dir. 1988, 743.
Vincolo di destinazione.
Il vincolo pubblicistico inderogabile riguardante gli spazi adibiti a parcheggio di cui allart. 18 della L. n. 765 del
1967 (che ha trovato conferma nella successiva L. n. 122 del 1982), traducendosi in un rapporto di
pertinenzialit necessaria con diritto reale dei sin-goli condomini alluso dellautorimessa, non pu riguardare le
costruzioni anteriori allentrata in vigore della detta norma, alle quali sar da ritenersi applica-bile la disciplina
ordinaria di cui agli artt. 817 ss. c.c. (secondo la quale, per lesistenza del vincolo perti-nenziale tra beni,
richiesta la sussistenza di un ele-mento oggettivo che, cio, il bene sia destinato al servizio o allornamento di
altro bene e di un ele-mento soggettivo che, cio, tale destinazione risponda alleffettiva volont
dellavente diritto di creare un vincolo di strumentalit necessaria o complementariet funzionale tra i beni ),
con la conseguenza che, per affermare la esistenza di un vincolo pertinenziale tra una abitazione oggetto di
alienazione e lautorimessa (specie se individuata in distinta particella catastale) sar necessario accertare
lesistenza, oltre che del rapporto funzionale tra la cosa principale e quella accessoria, anche dellelemento
soggettivo del-la destinazione pertinenziale, consistente nella effettiva volont dei titolari della propriet sui beni
collegati di destinare durevolmente la cosa accessoria al servizio di quella principale.
* Casa. civ., sez. II, 17 giugno 1997, n. 5395, Dai-done c. La Ferrara, in Arch. loc. e cond. 1997, 1012.
Lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n. 1150, nel testo introdotto dallart. 18 della L. 6 agosto 1967 n. 765, il
quale prescrive che "nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse debbono
essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri
cubi di costruzione", pone un vincolo pubblicistico di destinazione, che non pu subire deroga negli atti privati di
disposizione degli spazi stessi, le cui clausole difformi sono perci sostituite di diritto dalla norma imperativa.
Tale principio resta immutato anche dopo lentrata in vigore della L. 28 febbraio 1985 n. 47, atteso che lart. 26
ultimo comma di detta legge, nello stabilire che "gli spazi di cui allart. 18 della L. 6 agosto 1967 n. 765
costituiscono pertinenze delle costruzioni ai sensi degli artt. 817, 818 ed 819 cod. civ.", non ha portata
innovativa, ma assolve soltanto alla funzione di esplicitare la regola, gi evincibile nella norma interpretata,
secondo cui i suddetti spazi possono essere oggetto di atti o rapporti separati, fermo per rimanendo quel
vincolo pubblicistico.
* Casa. pen., sez. un., 18 luglio 1989, n. 3363, Bal-dassarri c. Societ Edilizia Crisa r.l.
Lart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150. introdotto dallart. 18 della legge 6 agosto 1967,
n. 765, il quale dispone che nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse
debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni
venti metri cubi di costruzione, configura norma imperativa ed inderogabile, in correlazione degli interessi
pubblicistici da essa perseguiti, che opera non soltanto nel rapporto fra il costruttore o proprietario di edificio e
lautorit competente in materia urbanistica, ma anche nei rapporti privatistici inerenti a detti spazi, nel senso di
imporre la loro destinazione ad uso diretto delle persone che stabilmente occupano le costruzioni o ad esse
abitualmente accedono. Ci comporta, in ipotesi di fabbricato condominiale, che, qualora il godimento dello

spazio per parcheggio non sia assicurato in favore del proprietario del singolo appartamento in applicazione dei
principi sullutilizzazione delle parti comuni delledificio o delle sue pertinenze, essendovi un titolo contrattuale
che attribuisca ad altri la propriet dello spazio medesimo, deve affermarsi la nullit di tale contratto nella parte
in cui sottrae lo spazio per parcheggio alla suddetta inderogabile destinazione, e conseguente-mente deve
ritenersi il contratto stesso integrato "ope legis con il riconoscimento di un diritto reale di uso di quello spazio in
favore di detto condomino (salva restando la possibilit delle parti di ottenere, anche giudizialmente, un
riequilibrio del sinallagma contrattuale. alterato dallindicata integrazione delloggetto di una delle prestazioni).
*Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 1984, n. 6600, Ciardi c. Soc. Il Pogg. Can.
Il regime di cui allart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 introdotto dallart. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765 (cosiddetta legge ponte) e rimasto immutato dopo lentrata in vigore della L. 28 febbraio
1985, n. 47 il cui art. 26, ultimo comma, stabilisce che gli spazi di parcheggio costituiscono pertinenze, non
comporta che tali aree, fermo restando il vincolo di destinazione, rientrino tra le parti comuni delledificio a norma
dellart. 1117 cc.
* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1994, n. 6696, Alvaro c. Galvani.
Le aree degli edifici riservate a parcheggio ex art. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dallart.
18 della L. 6 agosto 1967 n. 765, devono presumersi comuni ai sensi dellart. 1117 cod. civ. (la cui elencazione
non tassativa), atteso che sussiste per dette aree, obiettivamente destinate per legge ad uso comune,
lidentica ratio che sta alla base della presunzione di comunione stabilita da detta norma codicistica. Ove, poi,
tale presunzione sia vinta dal titolo, risultando quelle aree di propriet esclusiva di uno o pi condomini, il vincolo
di destinazione comune determina la costituzione ope legis a favore dellintero edificio o delle sue singole parti,
appartenenti a proprietari diversi, di un diritto reale di uso sulle aree medesime.
* Cass. civ., sez. II, 20 luglio 1987, n. 6365, De San-tis c. Acconcia.
Lobbligo di riservare a parcheggio, nelle nuove costruzioni ed aree ad esse inerenti, appositi spazi (in misura
non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri di fabbricato), ai sensi e nel vigore dellart. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765 (e quindi prima della L. 28 febbraio 1985, n. 47, il cui art. 26, in via innovativa, qualifica
come pertinenziale il rapporto con i suddetti spazi), si ricollega ad esigenze pubblicistiche e costituisce un
vincolo di destinazione, in favore degli abitanti delle costruzioni medesime, non derogabile, n da parte del
costruttore, n da parte di successivi rapporti privatistici. che restano colpiti da nullit ove si pongano in
contrasto con tale destinazione. Pertanto, in edificio condominiale, e per il caso in cui gli indicati spazi si trovino
in aree incluse fra i beni comuni, la citata norma rende invalida la clausola del regolamento condominiale,
recepita nei contratti di vendita, che introduca divieti di parcheggio, e, quindi, legittima la deliberazione
assembleare che consenta il parcheggio stesso in contrasto con tale regolamento.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1988, n. 3370, Pigno-ne c. Cond. P. S. Ant.
Lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942, n. 1150, cos come modificato dallart. 18, della L. 6 agosto 1967, n.
765, il quale prescrive che nelle nuove costruzioni e anche nelle aree di loro pertinenza debbono essere riservati
appositi spazi per parcheggi, pone un vincolo pubblicistico di destinazione, ed un rapporto di pertinenza
necessario tra gli appartamenti delledificio e gli spazi per parcheggio posti al loro servizio, che non pu essere
spezzato da atti di autonomia privata e che conseguentemente comporta, nel caso di locazione, con separati
contratti, dellappartamento e dellarea di parcheggio o del box al medesimo conduttore, lassoggettamento, ai
sensi dellart. 818 cc., della cosa accessoria (il box o larea di parcheggio) al regime locativo della cosa
principale (lappartamento). Per gli immobili in precedenza costruiti, ai quali la predetta norma, essendo
irretroattiva, non pu essere applicata, lassoggettamento del distinto contratto di locazione del box al regime del
contratto di locazione dellappartamento presuppone, invece, laccertamento, in concreto, sotto il profilo
oggettivo e soggettivo, di un rapporto pertinenziale tra i due beni, secondo gli ordinari criteri fissati dalle
disposizioni del codice civile.
* Casa. civ., sez. III, 28 ottobre 1992, n. 11731, Centore c. Pinto.
Lart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dallart. 18 L. 6 agosto 1967 n. 765
(cosiddetta legge ponte) prescrivendo che negli edifici di nuova costruzione siano riservati appositi spazi di
parcheggio, pone un vincolo pubblicistico di destinazione non suscettibile di deroga negli atti privati di
disposizione degli spazi ridetti, ma non ne indica la localizzazione in una parte piuttosto che in unaltra del
complesso condominiale, n crea per essi una presunzione di comunione inquadrabile nellart. 1117 c.c.,
implicando soltanto il divieto per il propritario di disporne in modo da sottrarlo a detta destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1993, n. 4934, De Lu-cia c. Chiaro.
In tema di spazi riservati a parcheggio secondo quanto prescrive, per le nuove costruzioni, lart. 18 della L. 6
agosto 1967 n. 765, il riconoscimento in via giudiziaria del diritto dei proprietari acquirenti degli appartamenti
dellimmobile di usufruire dellarea di parcheggio nonostante la riserva di propriet a favore dellalienante,
originario proprietario delledificio, non presuppone n condizionato al previo accordo sulla misura della
integrazione del corrispettivo della vendita degli appartamenti, n allaccertamento giudiziale di tale integrazione,
che pu essere anche successivo ed indipendente dal predetto riconoscimento.
* Casa. civ., sez. II, 28 maggio 1993, n. 5979, Toda-ro e altra c. Di Noi.
Anche a norma dellart. 26, ultimo comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47, che non ha modificato il regime
vincolistico imposto dallart. 18 della legge ponte 26 agosto 1967, n. 765 fra unit abitativa e spazi di
parcheggio condominiali, chiarendone solo loriginaria portata, deve ritenersi che i contratti di autonoma
disposizione di detti parcheggi, pur ammissibili, non possono intaccare il diritto reale duso a favore del titolare
dellunit abitativa. pertanto nulla e va sostituita ope legis la clausola contrattuale con la quale il venditore
dellimmobile abbia riservato a s la propriet dellarea di parcheggio, salvo il diritto del venditore e
correlativamente lobbligo dellacquirente dellunit abitativa di integrare il prezzo convenuto per il riequilibrio del
sinallagma del contratto di compravendita.

* Casa. civ., sez. II, 18luglio 1991, n. 7994, Berlino c. Calabr.


Lart. 41 sexies della L. 17agosto l942, n. 1150, nel testo introdotto dallart. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765 (a
norma del quale nelle nuove costruzioni o nelle aree di pertinenza di queste debbono essere riservati appositi
spazi per parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione) ed
ulteriormente chiarito dallart. 26 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (che, conferendo certezza testuale alla regola
gi desumibile dallart. 18 della L. n. 765 del 1967, ha precisato che larea destinata a parcheggio costituisce
pertinenza della costruzione), pone un inderogabile vincolo pubblicistico di destinazione di detta area, che non
impedisce al proprietario delledificio di riservarsi, negli atti di vendita dei singoli appartamenti, la propriet
dellarea stessa destinata a parcheggio o di trasferire ad altri la propriet, atteso che non attribuisce tale
propriet ai condomini per effetto automatico dellacquisto dellappartamento, ma esclude solo la possibilit che
la riserva o il trasferimento a terzi della propriet privi i proprietari degli appartamenti delledificio del diritto reale
di utilizzazione di tale area per il parcheggio dei loro veicoli, sottraendola al vincolo pubblicistico di destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 1 giugno 1993, n. 6104, Lisan-drelli c. Snc lannozzi.
Con riguardo agli spazi riservati a parcheggio, secondo quanto prescrive per le nuove costruzioni lart. 18 della
L. 6 agosto 1967, n765, deve ritenersi consentita, in applicazione delle regole dettate dal codice civile sulle
pertinenze, ed anche prima dellentrata in vigore dellart. 26, ultimo comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (che
comunque chiarisce la portata di detto art. 18, inquadrando quelle porzioni nella normativa delle pertinenze), la
riserva di propriet in favore del costruttore, con gli atti di trasferimento delle singole unit condominiali o
dellintero fabbricato, semprech venga rispettato lindicato vincolo di destinazione (come nel caso in cui il
parcheggio resti assicurato ai condomini mediante il pagamento di un canone).
* Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 1988, n. 2129, Cond. V. Imprunet. c. Soc. Pian. 2 Torri.
Costituiscono un valido strumento interpretativo del contratto di vendita di appartamento condomi-niale, nel
silenzio o nellambiguit della convenzione in ordine al diritto dellacquirente al godimento del-larea di
parcheggio realizzata dal costruttore, le norme disciplinanti le costruzioni tra cui lart. 41 sexies della L. 17
agosto 1942 n. 1150 (introdotto dallart. 18 della L. 6agosto 1967,0.765), statuente che nelle nuove costruzioni
debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi e ci per il principio che il bene casa deve essere
concepito nella sua regolare confor-mazione, delineata dalle norme suindicate, nonch in virt del principio di
buona fede, di cui agli artt. 1366 e 1375 cod. civ., ed in base allart. 1374 dello stesso codice, che obbliga le parti
anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo le leggi, tra le quali vanno incluse quelle regolanti erga
omnes, in vista del pubblico interesse, le caratteristiche del bene oggetto della compravendita.
* Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1981, n. 2452. Cond. Porris. S. c. Marrazzo.
La nullit della clausola del contratto di compravendita di appartamento che esclude il trasferimento della
propriet o del diritto reale di utilizzazione dellarea condominiale da riservare a parcheggio, ai sensi dellart. 41
sexies L. 27 agosto 1942 n. 1150, aggiunto dallart. 18 L. 6 agosto 1967 n. 765, ed il conseguente trasferimento
ex lege del predetto diritto al compratore, comporta il diritto del venditore al corrispettivo di tale trasferimento,
che d luogo ad un credito di valore rivalutabile perch ha la funzione di integrazione non del prezzo, in senso
proprio, ma degli effetti legali della compravendita, con laggiunta di un effetto legale che articolandosi nel
trasferimento della propriet o del diritto reale di godimento dellarea di parcheggio e nella integrazione del
corrispettivo, in egual misura le parti sono tenute a rispettare ed in egual misura deve conseguentemente
incidere sul loro patrimonio, senza alterare lobbligo del venditore di rimborsare lavente diritto dei frutti civili
eventualmente percepiti con lo sfruttamento dellarea dalla data del contratto.
* Casa. civ., sez. II, 20 aprile 1993, n. 4622, Cond. di via G. Pilli 86/b di Camaro Inferiore c. Lascari.
Lart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 - come introdotto dallart. 18 della L. 6 agosto
1967 n. 765, che dispone lobbligatoria riserva, a servizio delle nuove costruzioni, di spazi per parcheggi ha, per la finalit perseguita (ordinato assetto urbanistico), carattere imperativo ed opera non solo come norma
di azione, nel rapporto pubblicistico tra la pubblica amministrazione e chi domanda la licenza edilizia, bens
anche come norma di relazione, nei rapporti privatistici concernenti detti parcheggi, in quanto pone un limite
allautonomia privata, sanzionando di nullit, ai sensi degli artt. 1418 e 1419 cod. civ., ogni convenzione che, per
privato interesse del costruttore o del rivenditore degli immobili (o anche dei condomini stessi), sottragga gli
spazi suindica-ti alla funzione loro assegnata dalla legge. Ne deriva che va dichiarata nulla, per contrariet alla
disposizione imperativa in questione, sia la clausola con cui il costruttore od altri nel vendere i singoli
appartamenti, escludano dalla vendita la compropriet dei locali di parcheggio, come parte di natura
condominiale (art. 1117 cod. civ.), o, comunque, il godimento del servizio di parcheggio a titolo di servit, sia
latto con cui lacquirente di un appartamento rinuncia al servizio medesimo, con il conseguente diritto di
questultimo di fruire del servizio e dellalienante di esigere il relativo corrispettivo pecuniario.
* Casa. civ., sez. II, 25 gennaio 1982, n. 483, Paolillo c. Napoli.
Per sentir dichiarare la destinazione di unarea a parcheggio condominiale, ai sensi dellart. 18 della L. 6 agosto
1967, n. 765, e la nullit dei negozi contrari alla citata norma vincolistica, ove larea stessa sia comune a due
condominii (rendendosi applicabili le norme specifiche della comunione ex art. 1100 e 1105 c.c. e non anche
quelle che regolano il condominio), la legittimazione dei singoli partecipanti, e per essi degli amministratori, ad
agire contro terzi, o contro altri partecipanti, pu sorgere anche da una semplice manifestazione di volont dei
partecipanti.
*Cass. civ., sez. II, 4gennaio 1993, n. 18, Prosperi c. Bucci.
Lart. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765 (intro-duttivo dellart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942
n. 1150) disponendo che nelle nuove costruzioni devono essere riservati spazi per parcheggi in misura non
inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione non delinea una servit di uso
pubblico, ma crea una situazione pertinenziale tra la propriet delledificio e larea di parcheggio ad esso
destinata (confermata, per la Regione siciliana, dalla qualifica dellarea di parcheggio come dotazione

delledificio, ex art. 21 della legge regionale 26 maggio 1973 n. 21), la quale, nellipotesi di edificio condominiale,
assume la forma della compropriet, in capo ai condomini, dellarea, come parte necessaria alluso comune (art.
1117 cod. civ.), se larea stessa era di propriet del costruttore, ovvero di un diritto (comune) di servit dei
condomini sullarea, se questa appartiene ad un terzo. La normativa, dato il fine pubblico perseguito, ha natura
cogente e pertanto qualsiasi negoziazione avente ad oggetto unit immobiliari di un edificio dotato dellarea di
parcheggio comporta ipso iure il trasferimento al compratore della proporzionale quota dellarea medesima
(quota di compropriet o di coservit), in virt dellintegrazione ope legis degli effetti del contratto ai sensi dellart.
1374 cod. civ., senza il versamento di un ulteriore corrispettivo, salva, per il venditore, ricorrendo gli estremi
richiesti dallart. 1429 n. 4 cod. civ., lazione di annullamento del contratto, ove lomesso computo nel prezzo del
valore della quota dellarea di parcheggio si ricolleghi ad un errore sulle conseguenze giuridiche del negozio.
* Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1981, n. 6714, Romano c. Trio.
Nella disciplina urbanistica di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765, lobbligo di riservare nelle nuove costruzioni spazi
per parcheggio, ai sensi dellart. 18 della citata legge, pu essere osservato realizzando tali spazi tanto in aree
di pertinenza, quanto in locali facenti parte delle costruzioni stesse (e da trasferire agli acquirenti delle singole
unit immobiliari), come nel caso di boxes o garages ricavati in piani interrati.
*Casa. civ., sez. II, 20 marzo 1989, n. 1390, Calca-gna c. Cianfriglia.
La mera circostanza che il costruttore di un fabbricato condominiale, il quale, prima di vendere i singoli alloggi,
nel destinare delle aree a parcheggio ai sensi e nel vigore dellart. 18 della L. 6 agosto 1967. n. 765, se ne sia
riservato la propriet, come il fatto che i successivi atti di vendita non contengano espressa menzione del
trasferimento anche della compropriet delle aree medesime, non sufficiente a superare la presunzione di
inclusione delle dette aree fra i beni comuni, posta dallart. 1117 cot. civ.
* Casa. civ., sez. II, 26 giugno 1990, n. 6472, Di Giuseppe c. Massafra.
La superficie a parcheggio pu essere oggetto di qualunque negozio traslativo utilizzabile nella libera
disponibilit privatistica: pu restare di propriet del costruttore delledificio nellipotesi di vendita separata delle
singole unit immobiliari; pu diventare unentit condominiale; pu essere ceduta a terzi estranei al
condominio; pu essere infine collegata alla propriet esclusiva d un singolo appartamento. Ci che importa
che il titolare di tale bene ne rispetti la destinazione al servizio del fabbricato o del singolo appartamento cui il
parcheggio afferisce. In questultima ipotesi fatto salvo il diritto del proprietario attuale dellalloggio di cui il
parcheggio costituisce pertinenza a reclamare il parcheggio medesimo: in tale momento il proprietario del
parcheggio, previo pagamento di una indennit, dovr metterlo a disposizione del proprietario
dellappartamento.
* Trib. civ. Latina. 29 ottobre 1987, n. 830, Giovannelli e altro c. Riccardo, motivaz. e nota in .Arch. loc. e cond.
1988, 438.
In tema di spazi per parcheggi e del relativo vincolo pubblicistico di destinazione di cui allart. 41 sexies della L.
n. 1150/1942, il singolo condomino pu invocare la forzosa costituzione in suo favore del diritto reale duso
nonch la titolarit di uno jus possessionis di analogo contenuto non con riferimento a qualunque area
strutturalmente annessa alledificio ma sottratta dal costruttore al regime condominiale di cui allart. 1117 cc., ma
solo nelle ipotesi nelle quali risulti acclarato il vincolo di destinazione a parcheggio di quellarea siccome
originariamente previsto nellambito del progetto approvato.
*Pret. civ. Trani, 25 marzo 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 343.
Ai sensi dellart. 18 L. 6 agosto 1967, n. 765 gli spazi per parcheggi debbono intendersi coattivamente vincolati
alla destinazione di pertinenza delle singole unit abitative delledificio e le parti non hanno il potere di
concludere contratti contrastanti con la detta destinazione.
* Trib. civ. Napoli, 12 ottobre 1988, in Giur. merito 1990, 44.
Lamministratore di condominio non legittimato a proporre azioni per lacquisizione delle aree destinate a
parcheggio di cui allart. 18 della L. n. 765/1967, nemmeno quando agisca in base a delibera maggioritaria
dellassemblea.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 29 agosto 1994, n. 7225, Condominio Parco Maria di Via Arpino n. 15 bis di Casoria
c. De Falco ed altri. in Arch. loc. e cond. 1995, n.1.
La superficie a parcheggio pu essere oggetto di qualunque negozio traslativo utilizzabile nella libera
disponibilit privatistica: pu restare di propriet del costruttore delledificio nellipotesi di vendita separata delle
singole unit immobiliari; pu diventare unentit condominiale: pu essere ceduta a terzi estranei al
condominio; pu essere, infine, collegata alla propriet esclusiva di un singolo appartamento. Alla legge importa
solo che chiunque risulti poi essere il titolare di tale bene ne rispetti la destinazione al servizio del fabbricato o
del singolo appartamento cui il parcheggio afferisce. In tale ultima ipotesi, invero, tanto il proprietario costruttore
che si sia riservata la propriet dellarea alienando separatamente lalloggio, quanto il terzo acquirente della sola
superficie a parcheggio senza alcun diritto sullalloggio cui essa afferisce, possono liberamente disporre del loro
diritto di propriet fintantoch luso o la propriet del parcheggio non vengano reclamati dal proprietario attuale
dellalloggio di cui esso costituisce pertinenza. In tale momento, previo pagamento di unindennit, il proprietario
del parcheggio dovr metterlo a disposizione del proprietario dellappartamento.
* Trib. civ. Latina. 29 ottobre 1987, in Nuovo dir, 1988, 339.
Il vincolo di dotazione di aree destinate a parcheggio, previsto dallart. 41 sexies della L. n. 1150/1942, ha natura
di diritto reale di uso a favore degli inquilini dello stabile condominiale: pertanto, ove non sia contemplato nel
contratto di vendita. questo si reputa inficiato da nullit nella parte in cui sottrae lo spazio per parcheggio alla
suddetta inderogabile destinazione.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 17 novembre 1993, n. 9856, Pellino ed altri c. Soc. Accardo ed alti, in Arch. loc. e
cond. 1995, n. 1.
Lart. 41 sexies L. n. 1150/1941 non attribuisce alcun diritto soggettivo ai condomini di nuova costru-zione,

integrando piuttosto una norma di azione destinata a disciplinare lattivit della P. A. in sede di controllo degli
interventi urbanistici privati sul territorio.
* Trib. civ. Napoli, sez. I, 13 aprile 1994, n. 3447, Soc. Presud c. Cond. Parco La Nuova Residenza di Napoli, in
Arch. loc. e cond. 1995, n. 1.
Nel caso in cui gli acquirenti di appartamenti in condominio agiscono per il riconoscimento del diritto di
parcheggio contro lacquirente dei relativi spazi, questultimo non ha diritto di chiedere il pagamento del valore
dello spazio riconosciuto (cd. conguaglio).
* Trib. civ. Napoli, 7 febbraio 1994, in Giur. merito 1994, 470.
Lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942, n. 1l50 stabilisce solo misure quantitative per la determinazione degli
spazi da destinare a parcheggi, senza statuire alcuna formalit in ordine alla localizzazione delle aree da
asservire a tale scopo, ragion per cui i parcheggi possono essere localizzati sia in luoghi interrati delledificio, sia
al suo piano terreno, sia in aree esterne, anche se non strettamente adiacenti.
* Cons. Stato, sez. IV, 3 febbraio 1992, n. 140, in Giur. it. 1992, III, 1, 560.
CANNE FUMARIE
Concessione edilizia.
I lavori di innalzamento e copertura di una canna fumaria, in quanto completano "funzionalmente" unopera
preesistente, richiedono la concessione edilizia.
* Cass. pen., sez. III, 25 ottobre 1988, n. 10396 (ud. 9 febbraio 1988), Amatori.
Lautorizzazione edilizia per la realizzazione di una canna fumaria in un muro perimetrale di un edificio pu
essere rilasciata al singolo condomino proprietario dellunit immobiliare che la canna fumaria destinata a
servire.
* Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 1997, n. 699, Comune di Milano c. Ardizzon, in Arch. loc. e cond. 1997, 1058.
Installazione.
Il condomino che inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione,
con opere murarie, al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazione
particolare della cosa che non ne compromette necessariamente la destinazione e che deve essere, pertanto,
considerato del tutto legittimo se, trattandosi della occupazione di una zona periferica di una parte del tutto
trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, possa, in concreto, escludersi, che la predetta
utilizzazione, menomi la funzione di copertura e calpestio del lastrico o le possibilit di uso degli altri
comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2774, Cenci E. c. Cenci G.
Negli edifici in condominio, qualora distinte canne adibite a sfiatatoi, destinate a servire singolarmente diversi
locali o appartamenti, siano incorporate nel muro comune e preesistano al condominio, il servizio pu essere
qualificato comune quanto meno nel suo complesso.
* Cass. civ., 16 luglio 1964, n. 1931.
- illegittima linstallazione di unautonoma canna fumaria nel tratto di facciata compreso tra i balconi e le finestre
di cinque piani di un edificio condominiale in quanto, pur non alterando la naturale destinazione del muro
comune n la stabilit delledificio, viola le
norme sulle distanze legali, riduce la visuale laterale che si gode dalle finestre ed altera in modo sensibile il
decoro architettonico della facciata.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII. 26 marzo 1992, Soc. Milmar c. Alescio; Condominio Chiocciola e Agnello e altri,
motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1992, 354.
Linstallazione da parte di un condomino di una canna fumaria in aderenza, appoggio o con incastro nel muro
perimetrale di un edificio, attivit lecita rientrante nelluso della cosa comune, previsto dallart. 1102 c.c. e,
come tale, non richiede n interpello n consenso degli altri condomini.
* Trib. civ. Napoli, sez. IV, 17marzo 1990, n. 3422, in Arch. loc. e cond. 1991, 145.
illegittima linstallazione in appoggio alla facciata di un edificio condominiale di un condotto in lamiera ad uso
camino per lestrazione di fumi ed odori da un vano retrostante un negozio, qualora turbi lesercizio del possesso
di una terrazza a livello esclusivamente posseduta da un singolo condomino limitandone il prospetto e la veduta.
* Pret. civ. Pordenone, 7 dicembre 1990, n. 508, inedita.
Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra propriet autonome
e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio
condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con lapplicazione delle norme particolari relative alluso
delle cose comuni (art. 1102 c.c.), cio nel caso in cui lapplicazione di queste ultime non sia in contrasto con le
prime e delle une e delle altre sia possibile una complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme
relative alluso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilit di quelle relative alle distanze legali
che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di
subordinazione rispetto alle prime. (Nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro
condominiale, ed in prossimit della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica
condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 23gennaio 1995, n. 724, Albini c. Cond. "Il Pino" di Como, in Arch. loc. e cond. 1995, 320.
Il singolo condomino non ha diritto alla tutela possessoria nei confronti del condominio con riferimento ai
comportamenti di fatto posti in essere in attuazione di decisioni prese da alcuno dei suoi organi. (Nella
fattispecie, un condomino aveva proposto lazione di manutenzione contro lattuazione della delibera
assembleare riguardante linstallazione delle canne fumarie).
* Trib. civ. Parma, ord. 3 gennaio 1997, Bottini c. Condominio "I Tigli" in Salsomaggiore, in Arch. loc. e cond.
1997,97.

Propriet.
La canna fumaria soggetta alla presunzione di comunione di cui allart. 1117 c.c. e deve, quindi, ove il
contrario non risulti dal titolo, ritenersi comune e la circostanza che la canna inizi da un determinato
appartamento irrilevante e non pu giustificare la pretesa del proprietario dellappartamento stesso di un
acquisto per accessione.
* Cass. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.
La canna fumaria destinata a servire un determinato appartamento da ritenersi di propriet esclusiva del
titolare dellappartamento medesimo anche se non sia formata da tubi in cotto o cemento o altro materiale
idoneo, ma risulti, invece, ricavata nel vuoto di un muro perimetrale per tutta laltezza delledificio.
* Cass. civ., 17 maggio 1967, n. 1033.
Il condomino, titolare della servit di tenere canne fumarie e di ventilazione sulla propriet comune, non ha
anche il diritto di passaggio attraverso le parti di propriet esclusiva altrui per procedere alla installazione ed alla
manutenzione delle canne.
* Casa. civ., 2 agosto 1977, n. 3385.
Con riguardo ad edificio in condominio, una canna fumaria, anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, non
necessariamente di propriet comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini, se sia destinata a
servire esclusivamente lappartamento cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla
presunzione legale di comunione.
* Cass. civ., sez. II, 29agosto 1991, n. 9231, Battista ed altro c. Signorelli ed altro.
Spese.
Lobbligazione di ricostruire una canna fumaria, la cui originaria consistenza sia stata mutata nel tratto che
attraversa un singolo appartamento, a carico del proprietario di questo come obbligazione reale e non gi a
carico comune dei condomini.
* Corte app. civ. Napoli, 14 gennaio 1950.
Le spese per la riparazione di una canna fumaria che serve un appartamento non possono essere messe a
carico della collettivit.
* Trib. civ. Milano, 18 gennaio 1990, in LAmministratore 1990, n. 3.
Sostituzione.
- consentito sostituire una vecchia canna fumaria in metallo, comune a due edifici in condominio, distinti e
contigui, alla quale erano collegate le caldaie delle lavanderie dei due stabili, con una nuova canna in eternit
collegata allimpianto di riscaldamento di uno soltanto dei suddetti fabbricati, alla condizione, per, che sia
possibile allaltro condominio di servirsi della nuova canna collegandovi il proprio impianto.
*Casa. civ., 21 maggio 1976, n. 1836.
Uso.
La riduzione della sezione di una canna fumaria ad opera di uno dei condomini (nella specie mediante
immissione di un tubo in eternit) non consentita qualora di fatto alteri la destinazione della cosa comune ed
impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto.
* Casa. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.
Nel caso in cui cessi luso di un impianto di riscaldamento condominiale non viene meno per questa sola ragione
il compossesso dei singoli comproprietari sulla relativa canna fumaria, sia perch riconducibile ai poteri del
titolare di un diritto reale la facolt di mettere o non mettere in attivit un impianto, sia perch la canna fumaria
va considerata come un manufatto autonomo, suscettibile di svariate utilizzazioni.
* Casa. civ., sez. II, 17 febbraio 1995, n. 1719, Massafra c. Longhini
MURI CONDOMINIALI
Abbattimento.
Labbattimento di muro perimetrale di edificio condominiale in cemento armato ad opera di un condomino ravvisabile anche nel caso in cui venga rimossa la muratura (di tompagnamento) facente parte di detto muro incidendo sulla sostanza essenziale della cosa, non rientra nellambito dellart. 1102 cod. civ., che, nel regolare i
diritti dei partecipanti alla comunione al fine di salvaguardare linteresse comune e quello dei singoli consente
solo modificazioni delle cose comuni nei limiti indicati, bens costituisce innovazione, soggetta, come tale, alle
regole dettate dallart. 1120 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 18 giugno 1982, n. 3741, Di Chiara c. Severino.
La norma contenuta nellart. 1102 c.c., nel sancire il diritto di ogni partecipante alla comunione di servirsi della
cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il
loro diritto, gli attribuisce la facolt di apportarvi, a tal fine, le modificazioni necessarie al suo miglioramento ma
non certamente quella di eliminarla, sia pure per sostituirla poi con altra di diversa consistenza e struttura. Ne
consegue che labbattimento di un muro portante di un edificio in condominio - sia pur sostituito, come nella
specie, da travi in ferro - incidendo sulla struttura essenziale della cosa comune e sulla precipua funzione, non
pu farsi rientrare nellambito delle facolt concesse al singolo partecipante alla comunione dal citato art. 1102
c.c., ma costituisce vera e propria innovazione, soggetta, come tale, alle regole dettate dallart. 1120 c.c.
*Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1994, n. 9497, Martino c. Ghio.
Aperture.
In tema di utilizzazione del muro perimetrale delledificio condominiale da parte del singolo condomino,
costituiscono uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 del cod. civ.,
le aperture praticate dal condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua esclusiva propriet,
esistenti nelledificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la
destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo allacquisto di una

servit (di passaggio) a carico della propriet condominiale.


* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5780, Parr. SS. Vito M. c. Cond. Via Fratt. Conf., Cass. civ., sez. II, 13
gennaio 1995, n. 360.
Qualora lapertura del muro perimetrale comune di un edificio condominiale sia eseguita dal singolo condomino
per mettere in comunicazione una unit immobiliare di sua esclusiva propriet con unaltra unit compresa in un
diverso fabbricato, luso del muro comune non pu ritenersi consentito a norma dellart. 1102 c.c. in quanto non
si risolve in un semplice maggiore suo godimento, ma integra una anormale e diversa utilizzazione diretta a
sopperire ai bisogni di un bene al quale non legato da alcun rapporto, venendo inoltre il muro e, quindi, le parti
comuni del fabbricato, quali le fondazioni ed il suolo di cui esso fa parte, ad essere gravate da una vera e
propria servit a favore di un bene estraneo al condominio, per la cui legittima costituzione, vertendosi in tema di
diritti reali immobiliari, richiesta a pena di nullit la manifestazione del consenso in forma scritta di tutti i
partecipi.
* Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773, Magazzini c. Alessandri.
Costituisce uso indebito della cosa comune, non consentito, quindi, dalla norma dellart. 1102 cod. civ.,
lapertura praticata da un condomino nel muro comune per mettere in collegamento un vano delledificio
condominiale con altro suo immobile estraneo a detto edificio, in quanto tale apertura viene a creare una servit
a carico del condominio, per la cui costituzione richiesto il consenso di tutti i partecipanti alla comunione
risultante da atto scritto a pena di nullit.
* Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867, Cond. V. Teramo c. Soc. Setta.
Lapertura di una porta o di una finestra da parte di un condomino o la trasformazione di una finestra che
prospetta il cortile comune in una porta di accesso al medesimo mediante labbattimento del corrispondente
tratto di muro perimetrale che delimita la propriet del singolo appartamento non costituisce di per s abuso
della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come ius possidendi a tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1988, n. 1112. Castellana c. Marraffa.
Il condomino pu aprire nel muro comune delledificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti solo se
queste opere, di per s non incidenti sulla destinazione della cosa, non pregiudichino il decoro architettonico
delledificio.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1994, n. 4996. Borgato c. Cond. Il Casone di Cernobbio.
Il comproprietario o compossessore non pu servirsi di unarea comune per accedere, attraverso unapertura
appositamente creata in un muro divisorio comune, ad un immobile di sua esclusiva propriet o di suo esclusivo
possesso, diverso dal fondo al cui servizio larea venne originariamente creata, perch ci si risolverebbe nella
costituzione di una vera e propria servit di passaggio su tale area, ovvero in una molestia del compossesso
altrui.
* Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1987, n. 2973, Gianella c. Bickler.
Lapertura di varchi e linstallazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni delledificio
condominiale eseguiti da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso allunit immobiliare di sua propriet
esclusiva, di massima non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini,
non comportando per costoro una qualche impossibilit di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dellart.
1102, primo comma, c.c., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non gi
alla necessit di ovviare ad una interclusione dellunit immobiliare al cui servizio il detto accesso stato creato,
ma allintento di conseguire una pi comoda fruizione di tale unit immobiliare da parte del suo proprietario.
* Cass. civ., sez. II, 29aprile 1994, n. 4155, DUrso c. Di Giacomo.
I muri che delimitano il complesso condominiale, costituendone quindi il perimetro, non tollerano - abbiano essi
natura di muri portanti o meramente divisori - aperture, da parte di un condomino, ove realizzando un passaggio
con un immobile di appartenenza dello stesso condomino ma estraneo al condominio, possano dar luogo,
attraverso il prolungato possesso, ad acquisto di servit a carico dellentit condominiale che circoscrivono.
* Cass. civ., sez. II, 16 novembre 1985, n. 5628, Magnetto c. Fazzini.
Nellapplicazione delle regole di cui allart. 1102 cod. civ. il giudice non pu limitarsi ad esaminare se le
modificazioni apportate dal condominio alla cosa comune per il migliore godimento di questa o della sua
propriet singola siano o meno suscettibili di compromettere la stabilit e lestetica delledificio in base allassetto
attuale; ma deve invece accertare, in base allesame della destinazione attualmente impressa in concreto alla
cosa comune, nonch in base alle ragionevoli prospettive offerte dalloggettiva struttura, ubicazione e
destinazione delle propriet individuali e tenendo conto, altres, delle aspettative desumibili dalluso che ciascun
condomino faccia della sua propriet o da allegati apprezzabili mutamenti, se siano prevedibili modificazioni
uguali o analoghe da parte degli altri condomini e se queste sarebbero pregiudicate dalle modifiche gi attuate o
in via di attuazione. (Nella specie, in applicazione del principio di cui alla massima, stata ritenuta corretta la
decisione di merito che ha ritenuto legittima lapertura nel muro perimetrale comune di un accesso dal cortile
comune alla propriet esclusiva del condomino non risultando impedito luso da parte degli altri condomini n del
muro perimetrale n del cortile).
* Cass. civ., sez. II, 4 marzo 1983, n. 1637, Del Rosso c. Bandini.
Il condomino di un edificio, essendo comproprietario dellintero muro perimetrale comune e non della sola parte
di esso corrispondente alla sua esclusiva propriet, pu apportare a tale muro, senza bisogno del consenso
degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che consentono di trarre dal bene comune una
particolare utilit aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche allapertura
nel muro di un varco di accesso dal cortile condominiale ai locali di propriet esclusiva, purch non impedisca
agli altri condomini di continuare nellesercizio delluso del muro o di ampliarlo in modo e misura analoghi e non
alteri la normale destinazione del muro medesimo.

* Cass. civ., sez. II, 4 marzo 1983, n. 1637, Del Rosso c. Bandini.
In presenza di aperture nel muro comune di un edificio in condominio eseguite da un condomino in
corrispondenza della propria propriet individuale, il terzo estraneo al condominio che da tali aperture subisca
lesione nei propri diritti pu chiederne la modificazione o leliminazione nei confronti del singolo condomino che
lapertura ha eseguito, ma non pu, neppure citando in giudizio lintero condominio, invocare a fondamento del
proprio diritto la violazione del decoro architettonico delledificio condominiale a cui estraneo, in quanto il
decoro architettonico rappresenta solo un limite fissato alla facolt, individuale e collettiva, di apportare
modificazioni alledificio condominiale per il miglioramento, luso pi comodo o il maggior rendimento delle sue
parti, di propriet comune o di propriet singola e che opera nei soli confronti dei partecipanti al condominio e
non opponibile dai terzi.
* Cass. civ.. sez. II, 13 gennaio 1983, n. 255, Lasagni c. Cattini.
Lapertura di nuove finestre o la trasformazione di quelle esistenti nel muro comune verso gli spazi condominiali
(nella specie, un pozzo di luce destinato ad arieggiare e illuminare i locali interni che vi prospettano), in
corrispondenza della propriet del singolo, costituisce esercizio del diritto di propriet e non di quello di servit,
per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondo altrui (artt. 900. 907, cod. civ.),
bens quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa,
senzaltro limite che lobbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilit e il decoro architettonico
delledificio e di non ledere i diritti degli altri condomini (artt. 1102, 1139 cod. civ.).
* Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1982, n. 6929. Pochy Rian c. Giannandrea.
Lapertura di un arco nel muro perimetrale di edificio condominiale, eseguita dal singolo condomino per
accedere in altra sua propriet esclusiva, estranea al condominio, costituisce un indebito uso di tale muro, in
quanto ne altera la destinazione e la funzione di recinzione del fabbricato condominiale, assoggettandolo a quel
passaggio in favore di un bene non compreso in detto fabbricato, suscettibile di tradursi nel corrispondente
diritto reale a carico dellimmobile condominiale.
* Cass. civ.. sez. II, 8 aprile 1982, n. 2175, Grimaldi c. Castiglione.
Il proprietario di un edificio e del pertinente cortile, che sia comproprietario, insieme con il proprietario di un
edificio latistante, del muro di recinzione del cortile del quale occasionalmente beneficia questultimo edificio,
non abbisogna a norma dellart. 1120 cod. civ. del consenso del partecipante alla comunione del muro per aprire
in esso un varco al fine di soddisfare il proprio particolare interesse di accedere dal proprio stabile alla strada,
ricorrendo lapplicazione della norma dellart. 1102 cod. civ. sulluso della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 674, Lunardini c. Collina.
Salva lopposizione, per motivi di sicurezza o di estetica, degli altri partecipanti alla comunione, al condominio
consentito di aprire nel muro comune, sia esso maestro oppure no, luci sulla strada o sul cortile; tuttavia, qualora
il muro comune assolva anche la funzione di isolare e dividere la propriet individuale di un condominio dalla
propriet individuale di altro condominio, ricorrono anche gli estremi per lapplicabilit dellart. 903, secondo
comma, cod. civ., con la conseguenza che, in tal caso, lapertura della luce resta subordinata sia alle condizioni
ed alle limitazioni previste dalle norme in materia di condominio (con riguardo agli interessi riconosciuti a tutti i
partecipanti alla comunione e alle regole stabilite circa luso delle cose comuni da parte dei singoli condomini)
sia, alla stregua del secondo comma del citato art. 903 cod. civ., al consenso del condominio vicino, in
considerazione dellinteresse del medesimo alla riservatezza della sua propriet individuale.
* Cass. civ., sez. II, 12 giugno 1981, n. 3819, Gallo c. Cicatelli.
Lapertura di un vano nel muro perimetrale di edificio condominiale, eseguita dal singolo condomino in
corrispondenza dellandrone comune per accedere in altra sua propriet contigua, estranea al condominio,
costituisce un indebito uso del muro medesimo, in quanto ne altera la destinazione e la funzione di recinzione
del fabbricato condominiale, assoggettandolo a passaggio in favore di bene non compreso in detto fabbricato.
* Cass. civ., sez. II, 21 aprile 1981, n. 2339, Valeriani c. Valeriani.
Lapertura di finestre lucifere da parte del proprietario di un piano o porzione di piano nel muro perimetrale
comune delledificio condominiale non comporta mutamento dellessenza strutturale e funzionale del muro
stesso e deve perci ritenersi operata legittimamente anche senza il consenso degli altri condomini, semprech
non sia vietata da convenzioni speciali o da norme del regolamento di condominio, non pregiudichi il decoro,
lestetica o la stabilit delledificio e non ostacoli lesercizio del concorrente diritto degli altri condomini.
*Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1980, n. 597, Capria c.Laiacona.
La realizzazione di unapertura nel muro perimetrale delledificio condominiale, che metta in comunicazione senza pregiudizio per la stabilit e il decoro architettonico delledificio - lappartamento di propriet esclusiva con
il giardino "annesso", attuando un collegamento tra entit principale ed entit accessoria costituenti ununica
entit condominiale, si configura come atto di godimento rivolto ad una maggiore e pi intensa utilizzazione della
cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1978, n. 4592.
Il condomino di un edificio non pu, eseguendo una costruzione in aderenza al muro perimetrale comune,
chiudere unapertura destinata a dare luce ad un vano di propriet di altro condomino, giacch lart. 1102 c.c. gli
vieta di attrarre nella sua sfera esclusiva un elemento comune delledificio, con correlativo impedimento per un
altro condomino di continuare a farne uso in conformit alla sua destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1975, n. 1560.
Nella controversia concernente la legittimit di unapertura praticata nel muro perimetrale di un edificio
condominiale da uno dei condomini, per mettere in comunicazione il proprio appartamento con altro, di sua
propriet, posto in un edificio attiguo, oggetto di diverso condominio, non necessario integrare il contraddittorio
nei confronti di questultimo.
* Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 1974, n. 3274.

Non consentito ad un condomino, senza il consenso degli altri condomini, praticare nel muro perimetrale
unapertura in modo tale da mettere in comunicazione due edifici completamente distinti fra di loro.
* Trib. civ. Piacenza, 3 luglio 1987, n. 314, Marchesi c. Burzi.
Ciascun condomino, purch nel rispetto dei limiti di cui allart. 1102 cod. civ., pu, senza necessit di preventiva
autorizzazione condominiale, aprire una porta nel muro comune.
* Trib. civ. Genova, sez. III, 18 luglio 1990, n. 2263, Mazzei e altra c. Condominio di Via La Spezia 4-6, Genova,
in Arch. loc. e cond. 1990, 744.
Attraversamento di condutture, cavi e tubature.
Il comportamento della societ di distribuzione del gas che inserisce arbitrariamente e senza alcuna necessit la
diramazione per la fornitura del gas ad un utente condominiale anzich nella "presa" gi predisposta sulla
montante di distribuzione condominiale, in quella realizzata per lutenza di un singolo condomino, presenta i
caratteri della turbativa e molestia del godimento cui ha diritto questultimo sulla parte dei muri perimetrali
dellimmobile attraversati dalle condutture del gas.
* Pret. civ. Molfetta, 23 luglio 1988, n. 31, Germinano c. Italgas Sud Spa, in Arch. loc. e cond. 1989, 141.
Lesecuzione nei muri comuni di tracce e canali per lincasso degli impianti elettrici dei servizi di interesse
comune configura lipotesi di cui allart. 1102 c.c.
* Trib. civ. Milano, 24 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 592.
Le opere di canalizzazione murata comprendenti gli impianti elettrici, gli impianti del telefono e quelli
dellantenna televisiva non possono considerarsi delle innovazioni.
* Trib. civ. Milano, 17 giugno 1991, in LAmm. 1991, n. 8.
Costituisce uso legittimo della cosa comune, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1102 e 1139 c.c.,
lutilizzazione dei muri comuni da parte del singolo condomino per installarvi tubature per lo scarico di acque o
per il passaggio del gas. nonch sfiatatoi per evitare il ristagno di odori.
* Trib. civ. Trani. 19 gennaio 1991, n. 104, in Arch. loc. e cond. 1991, 120.
Costruzione in appoggio.
Lillegittima costruzione in appoggio al muro perimetrale delledificio condominiale, eseguita dal condomino che
sia anche proprietario esclusivo del suolo adiacente a detto muro, pu dar luogo alla costituzione per
usucapione di una servit a favore del fondo di propriet esclusiva ed a carico di quello di propriet
condominiale e, comportando un uso della cosa comune in violazione dellart. 1102 cod. civ., costituisce una
lesione del diritto di propriet degli altri condomini, la quale, salvi gli effetti dellusucapione, perseguibile senza
limiti temporali quanto al diritto di ottenere la rimozione dellopera illegittima, mentre il diritto al risarcimento del
danno, conseguendo ad un illecito permanente, dato dalliniziale comportamento lesivo e dalla successiva
omessa eliminazione della situazione illegittima, soggiace a prescrizione pro rata temporis.
* Cass. civ., sez. II, 13 agosto 1985, n. 4427, Lippi c. Picecco e altro.
Non pu essere ravvisata una costruzione in appoggio, qualora tra i due muri vicini esista unintercapedine di
cinque centimetri, ricoperta con lamiera per evitare le infiltrazioni di acqua piovana, salvo che sia accertata
linterdipendenza delle due strutture murarie per leventuale "ammorsamento" dei solai di copertura ed il ridotto
spessore del nuovo muro in corrispondenza della pi consistente struttura preesistente.
* Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1977, n. 5152.
In tema di appoggio di costruzione al muro comune, lart. 884 c.c. riguarda la comunione del muro che risulti
instaurata ovvero si presuma sussistere tra proprietari, in quanto tali, di fondi finitimi, laddove non rientra nella
sua fattispecie quella particolare forma di comunione costituita dal condominio degli edifici, grazie alla quale si
trovi ad essere compartecipe della propriet del muro maestro di un fabbricato il proprietario esclusivo di un
fondo confinante. Costui, dato che i muri maestri delledificio condominiale sono destinati essenzialmente e
soltanto al servizio delledificio stesso, pu utilizzarli, per il miglior godimento del piano, o della porzione di piano,
a lui appartenente, ma non pu avvalersene, senza il consenso degli altri condomini, per lutilit dellaltro,
distinto immobile di cui egli solo, e non anche gli altri condomini, vanta la propriet; ci comporterebbe, infatti, la
costituzione di una servit a favore di un bene estraneo al condominio, costituzione che non pu legittimamente
avvenire senza il consenso di tutti i comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1977, n. 3378.
Il diritto di compropriet dei condomini sulle parti comuni di un edificio deve ritenersi leso ove uno dei condomini,
in violazione delle regole sui rapporti di vicinato abbia volto lutilit che pu dare la cosa comune a vantaggio di
altra diversa e distinta sua propriet contigua. (Nella specie uno dei condomini aveva costruito in un cortile di
sua esclusiva propriet un manufatto in appoggio al muro perimetrale comune).
* Cass. civ., sez. II, 24agosto 1981, n. 4985, Romanello c. Meloni.
in appoggio la costruzione che scarica sul muro del vicino il peso degli elementi strutturali costitutivi di essa,
mentre in aderenza quella che posta in semplice e totale combaciamento con il muro del vicino, rispetto al
quale ha piena autonomia, strutturale e funzionale, con la conseguenza dellindipendenza del regime giuridico
delle due propriet contigue, si che il perimento o la demolizione delluna possano verificarsi senza che
lintegrit dellaltra ne sia compromessa. Ci premesso, deve ritenersi in appoggio anche la costruzione che
gravi col suo peso sulle fondazioni della fabbrica del vicino.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1974, n. 3177.
Distanze legali.
Lart. 884 c.c., una norma speciale di stretta interpretazione, che per la fattispecie da esso disciplinata, deroga
alle norme generali sulla comunione fra cui lart. 1102 c.c., che regola luso della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1970, n. 538.
Nelle zone soggette alla legge 25 novembre 1962 n. 1684 (cosiddetta legge sismica) non possono trovare
applicazione le disposizioni dellart. 884 cod. civ. che consentono al comproprietario del muro comune di

immettervi travi, nonch di attraversare il muro "con chiavi e catene di rinforzo", trattandosi di disciplina
inoperante nelle zone sismiche per la prevalenza della relativa specifica legislazione.
* Cass. civ., sez. II, 13 gennaio 1983, n. 252, Mirabile c. Cutroni.
A norma dell art. 884 c.c. - che va applicato per intero, non per parti separate, in quanto lultimo comma
stabilisce le condizioni di illiceit, richieste, fra laltro, per le aperture di incavi nel muro comune previste nel
primo comma - il comproprietario, senza ladempimento di alcuna preventiva formalit, pu legittimamente
praticare nel muro comune gli incavi che non riescano di danno o di pericolo per essi.
* Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1970, n. 538.
Il comproprietario del muro comune non pu praticare incavi che oltrepassino la met dello spessore del muro.
* Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1970, n. 2362.
La facolt di innalzamento del muro comune, prevista dallart. 885 c.c., non pu essere esercitata in violazione
delle distanze legali stabilite specificamente per le vedute, dallart. 907 dello stesso codice. Pertanto
linnalzamento del muro comune che delimiti un terrazzo o un lastrico solare con opere, quali un parapetto,
destinate permanentemente ed inequivocamente allesercizio della servit di veduta, non pu essere consentito,
risolvendosi in un impedimento allesercizio del corrispondente diritto da parte del proprietario del fondo
dominante.
* Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1990, n. 11125, De Carlo c. Console.
Facciata.
La facciata e il relativo decoro architettonico di un edificio costituiscono un modo di essere dellimmobile e cos
un elemento del modo di godimento da parte del suo possessore; di conseguenza la modifica della facciata,
comportando una interferenza nel godimento medesimo, pu integrare una indebita turbativa suscettibile di
tutela possessoria.
* Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7069, DAlessandria c. Michienzi. Conf., Cass. civ., sez. II, 10 luglio
1985, n. 4109, Rossattini c. Meneghini.
La facciata di prospetto di un edificio - abbia o meno valore architettonico o decorativo - rientra nella categoria
dei muri maestri, dei quali cenno espresso nel n. 1 dellart. 1117 c.c., e forma, conseguentemente, oggetto di
propriet comune dei proprietari dei diversi piani o porzione di piani riuniti in condominio; a carico di tutti costoro,
conseguentemente, deve porsi, in proporzione, la spesa di rifacimento dellintonaco.
* Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 1977, n. 298.
La domanda proposta da un condomino nei confronti di altro condomino per ottenere la riduzione in pristino
della facciata delledificio condominiale, ove comporti laccertamento del diritto del condomino convenuto di
modificare sostanzialmente la facciata delledificio in forza del proprio titolo dacquisto, essendo destinata ad
incidere sui diritti su un bene comune degli altri condomini, deve essere decisa nei confronti di tutti, perch
investe un rapporto giuridico unico ed indivisibile, con la conseguenza che deve disporsi lintegrazione del
contraddittorio nei confronti dei condomini pretermessi a norma dellart. 102 c.p.c.
* Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1992, n. 11509, Comparini c. Ponzoni.
Non costituisce innovazione gravosa o voluttuaria, ai sensi dellart. 1121 cod. civ., il rivestimento in travertino
della facciata dello stabile condominiale fino allaltezza di m. 2,65; a maggior ragione non costituisce
innovazione gravosa o voluttuaria il rifacimento del rivestimento in marmo gi esistente.
* Pret. civ. Taranto, 27 maggio 1986, Cond. di via Plateja, 28, Taranto c. Carbone Mongelli, in Arch. loc. e cond.
1986, 500.
Qualora un condominio sia formato da parti edificali distinte, le spese per la imbiancatura delle facciate non
possono essere ripartite fra tutti i condomini in base ai millesimi di propriet.
* Trib. civ. Milano, 21 marzo 1991, in LAmm. 1991, n. 5.
Deve considerarsi valida la delibera assembleare che ha conferito allamministratore lincarico di direttore dei
lavori da eseguirsi sulle facciate condominiali.
* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990, in LAmm. 1990, n. 5.
In materia di condominio i proprietari dei boxes, situati in corpo di fabbrica separato e retrostante, sono tenuti a
contribuire alle spese di conservazione e di manutenzione della facciata, indipendentemente dal fatto che essi
debbano o meno passare allinterno delledificio di cui essa faccia parte.
* Trib. civ. Milano 18 novembre 1991, in Giust. civ. 1992, I, 3181.
In parte propriet comune ed in parte propriet esclusiva.
Qualora un muro sia in parte in propriet comune ed in parte in propriet esclusiva, il comproprietario non pu
effettuare opere sulla parte di sua propriet esclusiva, che pregiudichino la stabilit della parte comune.
* Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 1978, n. 4688.
Luci.
Ogni trasformazione che rende interna una luce che prima era esterna, ne riduce, di regola, lutilit perch
impedisce di ricevere luce ed aria direttamente dallesterno, sicch, quando la trasformazione riguarda il muro
comune nel quale il condomino ha diritto di mantenere la luce, illecitamente eccede lambito dei poteri di
utilizzazione della cosa comune, che lart. 1102 c.c. riconosce ad ogni condomino solo nei limiti in cui non sia
alterata la destinazione della cosa o impedito agli altri condomini di fare uso di tale cosa secondo il loro diritto.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1993, n. 5223, Calafiore c. Pulitan.
Muro divisorio.
In tema di condominio negli edifici, debbono comprendersi tra le parti delledificio necessarie alluso comune, di
cui allart. 1117 n. 1 cod. civ. la destinazione delle quali, a norma del precedente art. 1102, non pu essere
alterata dal singolo condomino - le parti definite come tali dal titolo o aventi unoggettiva attitudine al servizio ed
al godimento collettivo. Tra esse non rientra un muro, di ridotte dimensioni, delimitante un terreno di propriet
esclusiva di un condomino, ove risulti inidoneo a tutelare la sicurezza del condominio quale muro di cinta, e

idoneo soltanto a delimitare la detta propriet esclusiva come muro divisorio.


* Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1981, n. 577, Imperati c. Acampora.
Nellordinamento vigente non esiste il principio della indivisibilit funzionale del muro divisorio: questo si
presume comune ma, per ci stesso, pu anche essere oggetto, per convenzione o altro titolo, di propriet
divisa, in senso verticale od orizzontale.
* Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1977, n. 2590, Godina c. Corvaglia.
La presunzione del muro divisorio tra due edifici non viene meno per la demolizione di uno di essi.
* Cass. civ., sez. II, 8 settembre 1977, n. 3915.
La comunione del muro divisorio non va intesa nel senso che ciascuno dei comproprietari abbia la propriet
assoluta della met del muro (e del suolo) secondo una linea mediana ideale, da considerarsi come linea di
confine delle propriet esclusive da esso delimitate bens nel senso che ciascuno di essi proprietario, sia pure
pro quota, dellintero muro, e del suolo ad esso sottostante, in ogni sua parte (identificandosi la linea di confine
delle propriet esclusive con il muro ed il suolo comune); n la demolizione di uno dei due edifici confinanti fa
venire meno (in assenza di titolo o di giustificazione) la comunione, che pu essere utilmente invocata ad ogni
effetto da ciascuno dei partecipanti, con la conseguenza che il comproprietario del muro comune abbattuto
arbitrariamente dallaltro comproprietario ha diritto alla costruzione del manufatto secondo le primitive sue
caratteristiche, nonch al risarcimento del danno ed alla restituzione della parte di suolo comune indebitamente
attratta nella sfera della signoria esclusiva dellaltro condomino, restando esclusa lapplicabilit dellart. 938 cod.
civ., in tema di accessione invertita, che configurabile in relazione ad una porzione di fondo di propriet
esclusiva.
* Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1988, n. 3393, Nardi c. Mercuri.
La fatiscenza delle strutture interne portanti di un edificio non pu far s che, per ci solo, i muri divisori o di
"tamponatura" sottostanti a dette strutture, per il fatto di assumere una funzione temporanea di sostegno delle
medesime, diventino comuni. Una tale situazione, priva di carattere di definitivit e di pertinenza, e che riproduce
semplicemente uno stato anormale, di usura, o di pericolo nella statica delledificio, impone semplicemente, a
carico dei condomini, lobbligo di riparare le strutture originariamente portanti, e divenute fatiscenti, senza
incidere in assenza di adeguati negozi o atti giuridici sulla condizione originaria dei diritti sulle strutture
stesse o su quelle adiacenti.
* Cass. civ., 20aprile 1971, n. 1135.
I muri divisori tra le unit immobiliari di propriet esclusiva e quelle di propriet comune negli edifici in
condominio non sono equiparabili n specificamente ai muri maestri n genericamente alle parti delledificio
necessarie per luso comune ai sensi dellart. 1117, n. 1, c.c.; i muri divisori suddetti sono soggetti, in
applicazione del criterio analogico, alla disciplina prevista dallart. 880, c.c., secondo cui si presume comune il
muro di separazione tra entit fondiarie finitime. (Nella specie, il condomino proprietario di un locale del piano
cantinato destinato a ripostiglio aveva abbattuto il muro di separazione tra landrone coperto di propriet
condominiale e il detto locale per adibire questultimo a garage. I giudici del merito avevano accolto la domanda
di rimessione in pristino e la Corte di cassazione, rigettando il ricorso, ha enunciato il principio di cui in
massima).
* Cass. civ., 11 marzo 1975, n. 903.
Nozione di muri maestri.
In tema di parti comuni delledificio condominiale, nella nozione di muri maestri di cui allart. 1117 c.c. rientrano i
pannelli esterni di riempimento fra pilastri in cemento armato, i quali ancorch la funzione portante sia assolta
principalmente da pilastri ed architravi sono anchessi eretti a difesa degli agenti atmosferici e fanno parte
della struttura e della linea architettonica delledificio. N siffatta condominialit viene esclusa dallessere
addossato ad essi il muro di altro fabbricato costruito in aderenza, restando ciascuno degli edifici delimitato,
difeso e strutturalmente delineato dal proprio muro, con la conseguente autonomia giuridica della disponibilit
che su ciascuno hanno i diversi nuclei di condomini, senza alcun ingerenza dell uno sul muro dellaltro.
* Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1982, n. 776.
Nel caso di costruzione in cemento armato, lespressione muro maestro contenuta nellart. 1117, c.c., non va
riferita solamente allintelaiatura di pilastri e di architravi che costituisce lossatura delledificio, ma anche ai
pannelli in muratura di mattoni o di altro materiale che riempiono allesterno i vani e compongono insieme il
primo edificio, che senza di essi sarebbe un vuoto scheletro privo di funzionalit pratica.
* Cass. civ., 23aprile 1971, n. 1186.
Nozione di muri perimetrali.
I muri perimetrali di un edificio condominiale sono destinati al servizio esclusivo delledificio stesso di cui
costituiscono parte organica. Per tale loro funzione e destinazione possono essere usati dal singolo condomino
solo per il miglior godimento della parte di edificio di sua propriet esclusiva, ma non possono essere utilizzati,
senza il consenso di tutti i condomini, per lutilit di altro immobile di sua esclusiva propriet non facente parte
del condominio, in quanto ci implicherebbe la costituzione d una servit in favore di un bene estraneo al
condominio. Ne consegue che il condomino il quale voglia appoggiare al muro condominiale una costruzione
realizzata su suolo contiguo di sua propriet esclusiva non pu farlo senza il consenso degli altri condomini, non
essendo applicabile la disciplina dellart. 884 c.c. (costruzione in appoggio al muro comune).
* Cass. civ. 26 marzo 1994. n. 2953.
I muri perimetrali delledificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri
maestri al fine della presunzione di comunione di cui allart. 1117 cod. civ., in quanto determinano la consistenza
volumetrica delledificio unitariamente considerato proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la
superficie coperta e delineano la sagoma architettonica delledificio stesso. Pertanto, nellambito dei muri comuni
delledificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali

dellimmobile.
* Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867, Cond. V. Teramo c. Soc. Setta.
Poich le moderne tecniche costruttive in cemento armato hanno profondamente modificato la funzione dei muri
perimetrali che non pi quella di assicurare la stabilit delledificio bens soltanto quella di delimitarlo
esternamente, mentre la funzione portante esercitata dai pilastri e dalle architravi in conglomerato cementizio,
labbattimento da parte di un condominio di un tratto del muro perimetrale di tamponamento per sostituirlo con
porte scorrevoli non comporta, di regola, un alterazione della sua normale destinazione, vietata dallart. 1102,
c.c., ma costituisce uso normale lecito della cosa comune e solo in particolari circostanze, da dimostrarsi di volta
in volta pu assumere aspetti lesivi dellintegrit delledificio quando ne comprometta la sicurezza o il decoro o
altri essenziali caratteristiche.
* Cass. civ., sez. II, 25 settembre 1991, n. 10008, Colleschi c. Tiboni.
I muri perimetrali di un edificio, anche se relativi a chiostrine o cortili su cui affaccino solo una parte dei
condomini, sono comuni a tutti i proprietari di unit immobiliari dello stabile, in quanto, costituendo lossatura
della costruzione, svolgono una funzione di utilit comune, anche se, ovviamente, pi intensa per coloro che
hanno appartamenti prospicenti su dette chiostrine o cortili. Pertanto, alle assemblee condominiali che devono
deliberare su argomenti interessanti i muri perimetrali hanno diritto di partecipare tutti i condomini dello stabile e
non solo quelli che, per la particolare posizione delle loro unit immobiliari, traggono da detti muri un vantaggio
particolare rispetto al vantaggio generale e comune derivante dalla naturale funzione degli stessi.
* Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7402, Bruno c. Silvestri.
I muri perimetrali delledificio in condominio i quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri
portanti, delimitano la superficie coperta, determinando la consistenza volumetrica delledificio unitariamente
considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica sono
da considerare comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di propriet
singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro
esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani
attici.
* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1978, n. 839.
I muri perimetrali degli edifici in cemento armato (cosiddetti pannelli di rivestimento o di riempimento) sono
compresi fra i muri maestri definiti comuni dal n. 1 dellart. 1117 c.c., giacch, pur non avendo funzione portante,
la quale negli edifici anzidetti assolta principalmente dai pilastri e dagli architravi, costituiscono parte organica
ed essenziale dellintero immobile che, senza la delimitazione da essi operata sarebbe uno scheletro vuoto
privo di qualsiasi utilit.
* Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773, Magazzini c. Alessandri.
Parapetti alla sommit delledificio.
Rientrano nellambito dei muri condominiali, ex art. 1117 n. 3 cod. civ., anche i parapetti posti alla sommit
delledificio, svolgendo funzione di coronamento dellintero stabile, le cui spese di riparazione debbono essere
ripartite fra i condomini ex art. 1123 cod. civ.; pertanto, la determinazione della maggioranza dei condomini
partecipanti allassemblea di esonerare alcuni condomini dallonere di spesa, con pregiudizio per i proprietari
gravati, costituisce una tipica violazione dei diritti individuali sindacabili sotto il profilo della nullit.
* Corte app. civ. Milano, 15 settembre 1989, Condominio di via Fumagalli n. 10, Milano c. Carulli e altri, in Arch.
loc. e cond. 1990, 282.
Pareti esterne.
Se possono presumersi oggetto di propriet comune anche i muri perimetrali di un edificio in condominio, in
quanto essi appaiono necessari allesistenza ed alla statica dellimmobile, sono escluse, invece, da tale
presunzione le pareti esterne, le quali abbiano, non gi la funzione di sorreggere ledificio, ma solamente quella
di chiuderne gli ambienti, rispetto a costruzioni nelle quali lossatura delledificio sia costituita, anzich mediante
muri, mediante altri sistemi costruttivi (intelaiature in cemento armato o in altri materiali, colonnati, pilastri ecc.). I
muri di un edificio in condominio, che non esercitano alcuna funzione statica, ma sono soltanto divisori di
contigui fabbricati, hanno unutilit limitata a determinate parti delledificio e, interessando in sostanza solo i
titolari delle propriet che delimitano, possono bens dare eventualmente luogo ad uno stato di comunione
parziale tra i proprietari degli appartamenti limitrofi, che vengono a trovarsi da essi divisi, ma non possono
essere considerati (salvo che il contrario non risulti dal titolo) oggetto di propriet comune di tutti i proprietari
delle diverse porzioni delledificio.
* Cass. civ., 8 novembre 1958, n. 3654.
Sopraelevazione.
I muri perimetrali di un edificio condominiale sono oggetto di propriet comune anche nelle parti in cui delimitano
un piano ottenuto con la sopraelevazione dello stabile, perch anche in quelle parti essi adempiono
strutturalmente a una funzione che interessa tutti i partecipanti al condominio.
* Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1978, n. 2475.
Spese.
In tema di condominio di edifici, nel caso in cui un muro portante appartenga in propriet esclusiva ad uno solo
dei partecipanti al condominio, essendo esso comunque indispensabile per lesistenza delledificio, con la
propriet esclusiva del singolo concorre una comunione di godimento in favore di tutti coloro i quali, nelledificio,
sono titolari della propriet solitaria dei piani o delle porzioni di piano, con la conseguenza che tutti i condomini
i quali ricavano una utilit dalla cosa, necessaria per lesistenza e per la protezione dei loro immobili sono
tenuti a contribuire alle spese per la con- con-servazione del muro in questione in proporzione alle rispettive
quote, secondo il principio generale enunciato dallart. 1123 primo comma c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 1996, n. 1154, Condominio di via Conciliazione 26 Putignano c. Vinella

Michelangelo.
Mentre lonere delle spese di riparazione e ricostruzione del muro comune per quelle cause di deterioramento
dipendenti dal suo uso normale , ai sensi dellart. 882 c.c., a carico di tutti i comproprietari, in proporzione del
diritto di ciascuno, e si trasferisce, perci, in capo a chiunque sia proprietario della cosa nel momento in cui si
presenta la necessit della riparazione o della ricostruzione, lonere delle spese provocate dal fatto di uno dei
partecipanti, essendo connesso alla responsabilit personale di questo, grava esclusivamente sul soggetto che
vi ha dato causa e non si trasferisce, quindi, solo a causa del trasferimento del diritto reale, al condomino che gli
succeduto.
* Cass. civ. 30 marzo 1994, n. 3089.
Le spese per il rifacimento o la riparazione dei muri, che delimitino i giardini di singoli condomini con i fondi
confinanti, devono ritenersi a carico proporzionale di tutti i partecipanti, in applicazione dellart. 1123 primo
comma c.c., qualora il regolamento condominiale, di natura contrattuale, consideri detti manufatti di propriet
comune, cos convenzionalmente assimilandoli ai muri di cinta.
* Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1990, n. 8198, Esibiti c. Cond. V. Gozzano.
In un edificio in condominio, le scale oggetto di propriet comune a norma dellart. 1117 n. 1 c.c., se il
contrario non risulta dal titolo comprendono lintera relativa cassa, di cui costituiscono componenti
essenziali ed inscindibili le murature che la delimitano, assolvano o meno le stesse, in tutto o in parte, anche la
funzione di pareti delle unit immobiliari di propriet esclusiva cui si accede tramite le scale stesse. Ne consegue
che, anche quando i lavori di manutenzione o ricostruzione delle scale importino il rafforzamento delle murature
svolgenti anche tale ultima funzione, con indiretto vantaggio dei proprietari specificamente interessati, la
ripartizione delle spese deve avvenire in base alla regola posta dallart. 1124, primo comma, c.c., salvo che
(diversamente che nella specie pervenuta al giudizio della S.C.) oggetto dei lavori siano non il vano scale nel
suo complesso ma solo le murature costituenti le pareti perimetrali delle unit immobiliari prospicienti il vano
scale (e questultimo in tutto o parte delimitanti), poich in tale ultimo caso la ripartizione delle spese va
effettuata mediante lapplicazione, opportunamente coordinata, dei criteri fissati dagli artt. 1123, secondo
comma, e 1124, primo comma, c.c.
* Cass. civ.. sez. II, 7 maggio 1997, n. 3968, R. Buffardi e G. Buffardi, in Arch. loc. e cond. 1997, 623.
Utilizzo.
Lutilizzazione, da parte del singolo condomino, del muro perimetrale delledificio per le sue particolari esigenze
legittima purch non alteri la natura e la destinazione del bene, non impedisca agli altri condomini di farne uso
analogo e non arrechi danno alle propriet individuali dei medesimi altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 20 marzo 1974, n. 776.
I muri perimetrali di un edificio in condominio sono destinati allesclusivo servizio delledificio condominiale, del
quale costituiscono parte organica, e non possono, per loro natura, essere asserviti, se non nei modi consentiti
dalla legge (atto scritto e consenso di tutti i condomini), ad altro immobile di propriet esclusiva di uno dei
condomini, costituente entit economica distinta rispetto alledificio condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 20 maggio 1978, n. 2504.
Con riguardo al muro perimetrale di un edificio condominiale, il quale oggetto di comunione per tutta la sua
estensione, ivi comprese le parti corrispondenti a piani e ad appartamenti di propriet individuale, lutilizzazione
del singolo partecipante deve ritenersi preclusa non solo quando ne alteri la destinazione od impedisca agli altri
condomini un pari uso (art. 1102 cod. civ.), ma anche quando implichi una lesione del diritto di altro partecipante
sul bene di sua propriet esclusiva (nella specie, trattandosi di una scala esterna che toglieva luce ed aria ad un
sottostante appartamento).
* Cass. civ., sez. II, 4maggio 1982. n. 2751, De Leo c. Mele.
Il principio secondo cui lutilizzazione di parti comuni e anche di muri divisori delledificio condominiale per la
realizzazione di impianti al servizio esclusivo dellappartamento del singolo condomino esige il rispetto sia
dellart. 1102 cod. civ., sia delle norme del codice civile sulle distanze per evitare la violazione dei diritti degli altri
condomini sugli immobili di loro esclusiva propriet, non applicabile nellipotesi di installazione degli impianti
che sono indispensabili per una effettiva abitabilit dellappartamento secondo la evoluzione delle esigenze
generali dei cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene.
* Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 139, Tormen c. Ciampa.
I muri perimetrali di un edificio in condominio costituiscono oggetto di comunione pro indiviso per tutta la loro
estensione. Pertanto, il proprietario di ciascun piano pu utilizzarli anche nella parte corrispondente ai piani o
porzioni di piano di propriet esclusiva di altri condomini, sia pure con il rispetto dei limiti posti dallart. 1102, c.c.
* Cass. civ., 8 luglio 1969, n. 2514.
Nel caso di edifici in condominio, i proprietari dei singoli piani possono utilizzare i muri comuni, nella parte
corrispondente agli appartamenti di propriet esclusiva, aprendovi nuove porte o vedute preesistenti o
trasformando finestre in balconi o in pensili, a condizione che lesercizio della indicata facolt, disciplinata dagli
artt. 1102 e 1122 c.c., non pregiudichi la stabilit e il decoro architettonico delledificio e non menomi o
diminuisca sensibilmente la fruizione di aria e luce per i proprietari dei piani inferiori. (Nella specie il giudice di
merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto sussistente una sensibile diminuzione
di aria e luce in danno dellappartamento sito al piano terra, in conseguenza della costruzione di balconi da parte
dei proprietari degli appartamenti siti al primo e al se condo piano, in relazione anche alla giacitura particolare
delledificio condominiale, il cui piano terra si trovava di circa due metri al di sotto della latistante via pubblica).
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n. 10704, Scibetta c. Naro e Alongi.
Negli edifici i cui piani appartengono a proprietari diversi, i muri perimetrali, salvo che il contrario risulti dal titolo,
sono comuni pro indiviso per tutta la loro estensione: n consegue che, ai sensi dellart. 1102 c.c., ciascun
proprietario dei diversi piani pu servirsi, nel suo interesse, del muro comune anche nella parte rispondente al

piano di altro proprietario, purch tale utilizzo, conformemente alla disposizione citata, non sia contrario agli
interessi della comunione e non impedisca lesercizio degli altri partecipanti. * Corte app. civ. Firenze, 21
novembre 1990, n. 1181
In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della cosa
comune, ma solamente quella che alteri lentit materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero
determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere
eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti lesecuzione
delle opere. Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di
un uso del bene pi intenso e proficuo, si versa nellambito dellart. 1102 c.c., che pur dettato in materia di
comunione in generale, applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nellart. 1139
c.c. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva affermato che lapertura
di una porta da parte di un condomino nel muro comune dellandito di ingresso delledificio condominiale, non
alterava lentit materiale del bene n modificava la sua destinazione, ma integrava una consentita
modificazione della cosa comune a norma dellart. 1102 c.c.).
*Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1997, n. 240, Botteri ed altro c. Messina ed altro, in Arch. loc. e cond 1997, 433.
IL RAPPORTO DI PORTIERATO
Caratteri del rapporto.
Carattere precipuo del contratto di portierato, quale emerge dalle disposizioni legislative e dalle norme
corporative tuttora vigenti (L. 9 aprile 1952 n. 401; L. 31 marzo 1954 n. 109; CCNL 30 aprile 1938) una
prestazione di vigilanza e di custodia al servizio di stabili con le loro relative pertinenze, destinati ad uso
esclusivo o prevalente di abitazione di pi nuclei familiari. Va, pertanto, riconosciuta la qualifica di portiere
con la conseguente applicazione della normativa relativa (L. 21 marzo 1953 n. 215, sulla corresponsione della
gratifica natalizia ai lavoratori addetti alla vigilanza, custodia e pulizia degli immobili urbani; L. 4 febbraio 1958 n.
23, sul conglobamento e perequazione dei salari dei portieri) a chi svolge le anzidette mansioni al servizio di
un parco destinato a distinti condominii tutti solidalmente responsabili per il pagamento della retribuzione, per
essere il parco destinato a loro servizio e per il fatto di giovarsi delle prestazioni lavorative del portiere mentre
irrilevante, al fine di escludere lesistenza di un contratto di portierato, la circostanza che ogni edificio
condominiale abbia un proprio portiere.
* Cass. civ., sez. lav., 15 dicembre 1979, n. 6539, Grulliero c. Lanza.
Nello speciale rapporto di portierato, la somministrazione dellalloggio costituisce una prestazione del datore di
lavoro fornita della connotazione della alternativa (onde la validit delle clausole individuali o collettive, che la
contemplino, in riferimento allart. 1285 cod. civ.) rispetto all"indennit sostitutiva", nella quale si identifica il
valore convenzionale dellalloggio, per la determinazione della retribuzione, ai fini del computo degli istituti legali
e contrattuali, con la conseguenza che nel caso di impossibilit della somministrazione dellalloggio (per la
mancanza dello stesso nelledificio in cui deve essere prestato il servizio) lobbligazione del datore di lavoro
viene a concentrarsi a norma dellart. 1288 cod. civ. nella corresponsione della detta indennit, senza che ne
derivi una riduzione della retribuzione, ovvero una lesione della sua proporzionalit e sufficienza ex art. 36 Cost.
(Nella specie, la sentenza impugnata confermata dal S.C. aveva escluso che un portiere, trasferito con le
stesse mansioni, a prestare servizio in altro stabile, appartenente al medesimo proprietario e privo di alloggio di
servizio, avesse diritto a conservare il precedente alloggio, in luogo dellofferta indennit sostitutiva).
* Cass. civ., sez. lav., 25 agosto 1987, n. 7015, Onorati Conti c. Inps.
Il contratto di portierato ha per oggetto una prestazione di vigilanza e di custodia al servizio di stabili destinati ad
uso, esclusivo o prevalente, di abitazione di pi nuclei familiari. Dalle disposizioni legislative e dalle norme
corporative vigenti , infatti, conside-rato portiere solo colui che presta la propria opera per la vigilanza, la
custodia ed, eventualmente, la pulizia degli stabili, oltre alle mansioni accessorie di cui alle consuetudini locali e
non anche il lavoratore che, con rapporto continuativo, presta la propria opera per la pulizia dellandrone, delle
scale e degli accessori, ed, eventualmente, anche per la accensione e lo spegnimento della luce, per lapertura
e chiusura del portone, con esclusione del servizio di vigilanza e custodia.
* Cass. civ., 25 marzo 1970, n. 801.
Nel rapporto di portierato, in cui la subordinazione deve essere ravvisata nellassoggettamento del lavoratore al
potere direttivo del datore di lavoro, esercitato anche mediante il controllo dei singoli condomini, la
somministrazione dellalloggio ubicato nelledificio condominiale, ove non risulti giustificata da un diverso titolo,
deve presumersi effettuata, in favore del lavoratore che vi dimora, al fine di svolgervi il servizio di portierato, che
implica lattivit di vigilanza e custodia, alla prestazione delle quali finalizzata la suddetta somministrazione.
* Cass. civ., sez. lav., 4 dicembre 1990, n. 11638, Cucca e altri e. Cond. Si.Bo di Nuoro.
Controversie.
In tema di rapporto giuridico anomalo, che non trovi disciplina nellordinamento, il giudice chiamato a risolvere
una controversia ad esso relativa, deve fare ricorso ai principi generali dellordinamento stesso a norma dellart.
12 disp. prel. al codice civile. Fra questi principi generali, nel campo dei rapporti patrimoniali vi quello che si
racchiude nellespressione rebus sic stantibus, cui si ispira lart. 1467 cod. civ., in forza del quale un rapporto
giuridico patrimoniale, ove non altrimenti disciplinato, non pu essere mantenuto in vita quando siano venute
meno, in misura notevole, le condizioni di equilibrio sulle quali esso sorto. (Nella fattispecie, trattavasi di un
onere reale, tale qualificato con sentenza passata in giudicato, rappresentato da un vincolo di perpetua
destinazione di una unit condominiale a servizio di portierato, anomalo sia in quanto pressoch esaustivo dei
poteri di godimento del titolare del bene gravato, sia perch ricollegato ad una controprestazione economica a
carico del condominio beneficiario dellonere stesso fissata nel 1903 e divenuta affatto simbolica non

esprimendo alcun valore economico degno di considerazione).


* Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1986, n. 6584, Vettese e. Cond. V. P. 66.
In genere.
In materia di impugnazione di delibere dellassemblea dei condomini ex art. 1137 cod. civ., il sindacato del
giudice di mera legittimit, ma ci non esclude la possibilit, anzi la necessit, di un accertamento della
situazione di fatto che alla base della determinazione assembleare, allorquando tale accertamento costituisca
il presupposto indefettibile per controllare la rispondenza della delibera alla legge. (Nella specie, la delibera
aveva per oggetto lassunzione di un secondo portiere nel complesso condominiale, ed occorreva stabilire se si
fosse in presenza di una innovazione non consentita, oppure di un semplice adeguamento alle necessit
obiettive del servizio di portierato gi esistente; la Suprema Corte ha annullato la decisione del merito per una
insufficiente valutazione al riguardo).
* Cass. civ., sez. II, 7 luglio 1987, n. 5905, Milazzo c. Cacciola.
Deve ritenersi lecita lattivit di mediazione in relazione ai rapporti di portierato, trattandosi di una categoria di
lavoratori non inserita nelle liste di collocamento e di cui la disciplina speciale, rinviata a successiva
regolamentazione dalla L. 29 aprile 1949, n. 264, non stata neppur attuata con la successiva legge n. 339 del
1958: mancano la possibilit di applicare per analogia norme proibitive o restrittive, ovvero di operare con
interpretazione creativa su aspetti sociali devoluti alla competenza del legislatore ordinario.
* Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1968, n. 3674.
Lart. 659 cod. proc. civ. per il quale "se il godimento di un immobile il corrispettivo anche parziale di una
prestazione dopera, lintimazione d licenza o di sfratto... pu essere fatta quando il contratto viene a cessare
per qualsiasi causa" non si riferisce alle sole ipotesi di custodia, portierato e guardiania, ma a tutte quelle di
concessione in godimento di un immobile funzionalmente collegata con un rapporto di prestazione dopera in
modo da costituirne, anche parzialmente, il corrispettivo.
* Cass. civ., sez. III, 21 giugno 1984, n. 3680, Zeni c. Carosini.
La mancanza di unautorizzazione amministrativa, prescritta per lo svolgimento di una determinata attivit
lavorativa, non comporta lilliceit delloggetto o della causa del contratto di lavoro agli effetti dellart. 2126 cod.
civ.; pertanto, in tema di rapporto di portierato, la mancata iscrizione del lavoratore nel registro previsto dallart.
62 del T.U. delle leggi di PS. (r.d. 18 giugno 1931, n. 773) non esclude il diritto alla retribuzione per lattivit
concretamente esercitata.
* Cass. civ., sez. lav., 12 maggio 1989, n. 2171, Varignana c. Inps.
La clausola del regolamento di condominio istitutiva del servizio di portierato, in quanto non attribuisce ai
condomini diritti soggettivi, ma riguarda lamministrazione della cosa comune, pu essere abolita o modificata
col voto favorevole della maggioranza dei condomini, senza che occorra lunanimit dei consensi.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 14 maggio 1990, Galimberti c. Condominio di Via Morgantini n. 29/31, Milano, in
questa Rivista 1991, 140.
In caso di scioglimento totale di un condominio, qualora residuino beni in comune ed in assenza di un titolo
che disponga diversamente deve farsi luogo allapplicazione delle norme sul condominio allorquando le cose
o i servizi appaiano legati ai singoli edifici in un rapporto di "necessariet ed accessoriet" (es. gli impianti idrici,
di riscaldamento, di illuminazione, il servizio di portierato, gli accessi, il parcheggio per le automobili); soltanto
per il caso si tratti di cose non necessarie per lesistenza delle costruzioni (es. piscine, campi da tennis, negozi,
ristoranti, parchi, ecc.) si applicano le norme sulla comunione, trattandosi di beni e servizi che sfuggono al
richiamo dellart. 1117 c.c..
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 24 febbraio 1995, n. 7942, Russo ed altri, Nocchetti ed altri c. Cond. del Parco
dellOleandro di Napoli e Comunione del Parco dellOleandro, in questa Rivista 1996, 240.
Istituzione del servizio.
Listituzione del servizio di portierato, non previsto dal regolamento di condominio, che comporti la destinazione
ad alloggio del portiere di locali di propriet comune aventi in precedenza una diversa funzione, e la
soppressione del medesimo servizio, nellopposta ipotesi in cui questo sia previsto dal regolamento anzidetto
con destinazione ad alloggio del portiere di locali di propriet comune, configurano (derivandone,
rispettivamente, la nascita e lestinzione di un vincolo di destinazione pertinenziale a carico di parti comuni) atti
eccedenti lordinaria amministrazione, per la cui deliberazione attesa lequiparazione ditale categoria di atti
alle innovazioni disposte dal secondo comma dellart. 1108 cod. civ. (applicabile al condominio per il rinvio
operato dallart. 1139 dello stesso codice) necessaria la maggioranza qualificata (che rappresenti la
maggioranza dei partecipanti al condominio e due terzi del valore delledificio) prevista dal quinto comma dellart.
1136 cod. civ., il quale non esaurisce la disciplina delle maggioranze in relazione a tutte le deliberazioni
assumibili dallassemblea dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 25 marzo 1988, n. 2585, Del Genio e. Condominio "Palazzo Romano - De Falco", Nola,
Napoli.
Portineria e alloggio del portiere.
Ai sensi degli artt. 1130 e 1131 cod. civ., allamministratore del condominio spetta per legge la disciplina della
gestione ed uso delle cose comuni e della prestazione dei servizi e cos dellesercizio del servizio comune di
portierato ed il potere di risolvere il rapporto di lavoro fra il portiere ed il condominio. Di conseguenza
lamministratore pu, anche senza deliberazione dellassemblea dei condomini, agire per il rilascio dellalloggio
detenuto senza titolo dal portiere licenziato (cui lalloggio stesso era stato concesso ad integrazione della
retribuzione), dipendendo tale rilascio dalla risoluzione di un rapporto obbligatorio assunto per la gestione del
servizio comune ed essendo il recupero di detto alloggio essenziale per lulteriore espletamento dello stesso
servizio.

* Casa. civ., sez. lav., 3 ottobre 1985, n. 4780, Menna c. Occorsio.


Lobbligazione avente ad oggetto il pagamento di una pigione, di canone o di altro corrispettivo periodico del
godimento di un bene ha natura di debito pecuniario ove sia stato preventivamente determinata in una somma
fissa di denaro e, pertanto, essendo soggetta al principio nominalistico, non suscettibile di rivalutazione. Tale
principio applicabile anche al canone fissato in danaro in corrispettivo dellonere reale posto a carico di uno dei
condomini di un edificio e consistente nellobbligo di conservare, nellinteresse del condominio, loriginaria
destinazione dellappartamento di sua esclusiva propriet (nella specie, locali di portierato).
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1974, n. 3168.
La concessione in uso dellalloggio per lespletamento delle mansioni di portierato o di pulizia dello stabile
costituisce una prestazione accessoria del rapporto, la quale perde automaticamente la sua obbligatoriet e non
pi dovuta con la cessazione del rapporto d lavoro che ne il necessario presupposto.
* Cass. civ., sez. III, 4 dicembre 1981, n. 6435, Di Gennaro c. Lambitelli.
Il rapporto avente ad oggetto labitazione del portiere viene definito come contratto atipico, non configurabile
come locazione, sicch non si applica a simili rapporti la legge sullequo canone e il diritto al godimento della
casa di abitazione viene meno con la ces-sazione del rapporto di portierato.
* Trib. civ. Napoli, sez. VI, 20 giugno 1985, n. 5988, Cappelli e altri c. Spiniello, in loc. e cond. 1985, 508.
Pulizia.
Qualora il portiere sia sostituito con lavascale e sia stato in tal modo istituito un nuovo e diverso rapporto per la
pulizia dellandrone, delle scale e degli altri luoghi comuni di passaggio dello stabile, il criterio di ripartizione delle
spese relative tra i condomini non pu pi identificarsi con quello stabilito dal regolamento per le spese del ben
diverso rapporto di portierato. E qualora nel regolamento d condominio manchi unesplicita disciplina per la
predetta sostituzione, ladozione di un nuovo criterio di ripartizione delle spese rispondenti alla nuova situazione
pu fissarsi con deliberazione a maggioranza dei condomini, non risolvendosi nella menomazione di alcun loro
diritto risultante dagli atti di acquisto o da altra convenzione. (Nella specie: il giudice d merito aveva ritenuto
ripartibili le spese per il lavascale a norma dellart. 1124 cc. che disciplina la manutenzione delle scale giusta la
delibera dellassem-blea condominiale la quale sostituito il servizio di portierato con quello di lavascale
aveva modificato la norma del regolamento secondo cui le spese di portierato dovevano essere divise in base al
valore millesimale degli appartamenti).
*Cass. civ., sez. lI, 25 marzo 1970, n. 801.
Ripartizione delle spese.
Le spese di portierato in un edificio condominale, trattando-si di servizio per sua natura tale da assicurare la
custodia - vigilanza dellintero fabbricato, vanno ripartite tra i condomini alla stregua del criterio dettato dallart.
1123 primo comma, cod. civ., la cui applicabilit pu essere legittimamente negata solo se risulti una contraria
convenzione oppure se si accerti che il servizio, per parti-colari situazioni di cose e luoghi, non pu considerarsi
reso nellin-teresse di tutti i condomini. (Nella specie, il S.C., enunciando il sur-riportato principio, ha ritenuto che
la corte del merito aveva erro-neamente sostituito al criterio di cui al primo comma dellart. 1123 cod. civ., il
diverso criterio basato su una ritenuta maggiore utiliz-zazione del servizio da parte di alcuni condomini).
*Cass. civ., sez. Il, 18 febbraio 1986, n. 962, Cassa Marittima Meridionale e. Cond. di via Quintino Sella, n. 215,
di Bari.
Le spese di portierato in un edificio condomniale, trattando-si di servizio per sua natura tale da assicurare la
custodia - vigilanza dellintero fabbrjtuito, vanno ripartite tra i condomini alla stregua del criterio dettato dallart.
1123, primo comma, cod. civ., la cui applicabilit pu essere legittimamente negata solo se risulti una contraria
convenzione (come espressamente previsto dallindicata norma) oppure se si accerti che il servizio, per
particolari situazioni di cose e luoghi, non pu considerarsi reso nellinteresse d tutti i condomini. (Nella specie, il
S.C., enunciando il surriportato princi-pio, ha ritenuto correttamente applicato lart. 1123, primo comma, citato
dai giudici del merito, che avevano accertato trattarsi di ser-vizio di portierato notturno reso nellinteresse
comune, e non dei soli condomini proprietari di autorimesse).
*Cass. civ., sez. lI, 30 ottobre 1981, n. 5751, Sri Lister e. Con-dominio di Via Parini 9, Milano.
Le spese necessarie per la prestazione del servizio di portiera-to in un edificio composto da pi unit immobiliari
vanno poste a carico di tutte queste in misura "proporzionale alloro valore", ai sensi dellart. 1123 cod. civ., a
meno che risulti che il servizio non sia svolto nellinteresse comune di tutti gli immobili ovvero alcuno. di essi sia
stato convenzionalmente esonerato dallonere. Lapplica-zione ditale criterio di ripartizione delle spese non
esclusa dal diverso grado di "utilit" che ciascuna unit immobiliare pu trarre
20. A.L.C. 1998. n. 4.
in concreto dal servizio del portierato, in dipendenza di particolari circostanze (nella specie, trattavasi di un
locale ad uso commerciale con ingresso autonomo e diretto dalla strada, il cui conduttore so-steneva la non
ripetibilit nei suoi confronti delle spese per il servi-zio di portinera, ovvero la loro ripetibilit in misura
proporzionale alluso del servizio).
*Pret. civ. Milano, 9 giugno 1983, Imm.re Fara Ovest Spa e. Immediauto Spa, in questa Rivista 1983, 523.
Allorquando una clausola di un regolamento di condominio di natura contrattuale stabilisca, senza distinzioni,
che le norme contenute nel medesimo "sono revocabili e suscettibili di modifiche ed aggiunte, purch queste
risultino approvate dallassemblea con le maggioranze necessarie per legge", il giudice del merito, chiamato ad
accertare se sia legittima una delibera assembleare maggioritaria con la quale le spese di portierato siano state
poste anche a carico dei condomini proprietari dei locali esterni e interrati delledificio che una norma di detto
regolamento esoneravThvece dal concor-rere a tali spese, non pu risolvere il problema, nel senso della
ille-gittimit, esclusivamente sulla base del principio generale secondo cui le norme condominiali sorte per
contratto possono essere modi-ficate solo col consenso di tutti i contraenti stessi, ma si deve inda-gare se la
surriferita clausola non deroghi a questo principio, avva-lendosi, a tal fine, degli strumenti interpretativi offerti dal

codice civile e, in particolare, dallart. 1367 che impone, nel dubbio, di in-terpretare le singole clausole "nel senso
in cui possono avere qual-che effetto, anzich in quello secondo cui non ne avrebbero alcu-no", oltre che della
valutazione del comportamento complessivo delle parti (art. 1362, secondo comma, cod. civ.) in relazione al
pre-gresso pagamento di quelle spese da parte dei condomini origina-riamente esclusi.
*Cass. civ., sez. Il, 25 marzo 1987, n. 2888, Condominio di via Gomez dAyala 9, Napoli c. De Alteriis e
Amendola.
In tema di condominio degli edifici, la deliberazione assem-bleare, la quale, con riguardo alla ripartizione delle
spese di portie-rato, le estenda anche ai proprietari dei vani terranei senza ingresso dallandrone, deve ritenersi
affetta da nullit, non mera annullabi-lit, con conseguente proponibilit della relativa impugnazione in ogni
tempo, anche dopo il termine di decadenza fissato dallart. 1137 cod. civ., qualora, adottata a maggioranza,
risulti integrare un riparto di dette spese difforme da quello fissato con regolamento condominiale di natura
contrattuale, quale quello predisposto dallunico originario proprietario delledificio e poi di volta in volta accettato
dagli acquirenti delle singole porzioni, atteso che le dispo-sizioni ditale regolamento sono modificabili solo
attraverso una nuova convenzione conclusa dalla totalit dei condomini.
*Casa. civ., sez. Il, 5 ottobre 1983, n. 5793, Galati e. Cond. Roma 6 Le.
Il giudice pu stabilire criteri d ripartizione delle spese di portierato diversi da quello di cui allart. 9, secondo
comma, della I. n. 392/1978 (900/o a carico del conduttore) nel caso di servizio di portineria espletato anche
per la confermazione dellimmobile al quale esso destinato in modo inadeguato e in misura ridotta.
*Pret. civ. Torino, 30gennaio 1985, Gorra ed altri e. Tucci, in Arch. loc. e concI 1985, 342.
In tema d condominio negli edifici le spese di portierato che siano previste nel regolamento tra quelle di
carattere generale, vanno ripartite tra tutti i condomini ai sensi dellart. 1123 c.c. in misura proporzionale al
valore della propriet di ciascuno e indipendentemente dalla maggiore o minore utilizzazione del servizio da
parte di condomini proprietari di unit immobiliari site in posizione particolare (nella specie negozi), senza che ne
sia configurabile una deroga con riguardo alla mera esistenza di una tabella, allegata al re-golamento, per la
ripartizione di spese particolari di pertinenza dei soli appartamenti.
*Cass. civ., sez. lI, 30 maggio 1990, n. 5081, Sette c. Cond. V. Pietras.
In caso di risoluzione di contratto atipico di locazione per servizio di portierato, il relativo provvedimento
immediatamente
eseguibile col solo preavviso ex art. 608 cod. proc. civ., non doven-do il giudice di cognzione fissare la data di
esecuzione ex art. 56, 1. n. 392/1978, n potendo riehedersi la fissazione ditale data al giu-dice
dellesecuzione.
*Pret. civ. Salerno, ord. 25 luglio 1983,
Dal momento della costituzione del cosiddetto "condominio di gestione" tra gli assegnatari di alloggi economici e
popolari, spetta allassemblea condominiale il potere di deliberare sulluso e godimento delle cose comuni e sulla
ripartizione delle relative spese, nel rispetto delle norme di legge e di regolamento, con la conseguenza che ove
detto condominio assuma direttamente la gestione dei servizi di portierato e di riscaldamento oltre lordinaria
manutenzione delle parti comuni delledificio, la quota variabile di spesa relativa a tali servizi viene
legittimamente determinata dagli stessi assegnatari riuniti in assemblea e deve essere corrisposta
allamministratore, anzich allente proprietario, con esclusione di eventuali spese generali (come lassicurazione
od altro) ancora sostenute da detto ente.
*Casa. civ., sez. Il, 11 agosto 1990, n. 8195, Tecchi Cristofori e. Alberti e altri.
La norma contenuta in un regolamento condominiale per la quale "le spese di portierato, luce scala e
manutenzione delle mede-sime sono accollate ai condomini dei laboratori, magazzini, garage, negozi, solo in
ragione di un terzo della rispettiva quota millesimale di propriet" applicabile anche nei confronti di un istituto di
ere-dito.
*Trib. civ. Milano, sez. VIII, 10settembre 1992,
In tema di locazione di alloggi di edilizia economica e popo-lare, le modalit di determinazione delle spese per i
servizi, come previste dallart. 19, D.P.R. n. 1035 del 1972 secondo il quale il canone costituito, tra laltro, di
una quota per i servizi di custodia e portierato, di pulizia, di riscaldamento, di ascensore e degli altri eventuali
servizi derivanti da usi e consuetudini locali, nonch per consumi dacqua ed energia elettrica relativi alle parti
comuni, per contributo fognatura e per lasporto dei rifiuti solidi; quota fissata dallIstituto autonomo per le case
popolari in relazione ai servizi prestati ed al costo degli stessi calcolato sul complesso degli immo-bili gestiti
non possono assurgere a linee essenziali caratterizzanti la materia delle locazioni di alloggi di edilizia
residenziale pubblica. La norma in oggetto, infatti, non costituice precetto fondamentale, attinente alla
configurazione essenziale del rapporto, bens a disposizione di dettaglio, concernente aspetto specifico della
discipli-na del rapporto stesso. Ne consegue che, correttamente, il giudice coneiliatore, nellesercizio del suo
potere equitativo, pu disattendere la suindicata disposizione, sul rilievo che la volont delle parti, emergente dal
contratto di locazione, appare inequivocabilmente diretta a sostituire al criterio legale della quota fissa
proporzionale il diverso criterio convenzionale della quota variabile commisurata alleffettivo importo delle spese
di gestione. Siffatta operazione er-meneutica, siccome ispirata a criteri equitativi, si sottrae al sindaca-to di
legittimit.
*Casa. civ., sez. III, 12 novembre 1994, n. 9553, Istituto Autonomo Case Popolari e. Della Valle
Dal momento della costituzione del cosiddetto (condominio di gestione" tra gli assegnatari di alloggi economici e
popolari, spetta allassemblea condominiale il potere di deliberare sulluso e godimento delle cose comuni e sulla
ripartizione delle relative spese, nel rispetto delle norme di legge e di regolamento, con la conseguenza che ove
detto condominio assuma direttamente la gestione dei servizi di portierato, di riscaldamento oltre lordinaria
manutenzione delle parti comuni delledificio, la quota variabile di spesa relativa a tali servizi viene
legittimamente determinata dagli stessi assegnatari riuniti in assemblea e deve essere corrisposta

allamministratore, anzich allente proprietario, con esclusione di eventuali spese generali (come lassicurazione
od altro) ancora sostenute da 4etto ente.
*Casa. civ., sez. I, 8 maggio 1995, n. 5023, Di Lena ed altri e. Spa Ente Nazionale Case al Popolo - E.N.C.A.P..
Le spese di portierato in un edificio condominiale sono a ca-rico di tutti i condomini in misura proporzionale al
valore delle singole unit immobiliari, compresi i proprietari di negozi o magazzini con ingresso diretto dalla
pubblica via, salvo diversa convenzione.
*Corte app. civ. Milano, sez. 1,24 novembre 1981, n. 1843, Sas LAmbrosiana di Rossi Maria e C.c. Condominio
di Via Palestrina 4, Milano, in questa Rivista 1982, 71.
Soppressione del servizio.
Agli obblighi, gravanti sul locatore ai sensi dellart. 1575 n. 2 e.c., di mantenere lappartamento locato in istato da
servire alluso convenuto da riportare lobbligo, assunto per contratto, di assicurare il servizio di portierato (da
cui nasce una responsabilit del locatore per fatto dellausiliario: art. 1228 cc.), giacch la nozione di "cosa
beata" non pu essere ristretta alla singola unit delledificio ma va estesa alle pertinenze, agli accessori ed ai
servizi. tuttavia valido il patto che esonera il locatore dalla responsabilit per danni (ed incensurabile
linterpretazione del giudice del merito che ritiene trattarsi di responsabilit non solo aquiliana ma anche
contrattuale) derivati da fatto del portinaio o di un terzo, poich tale patto preventivo di esonero non contrasta
con obblighi derivanti da norme di ordine pubblico (art. 1229 cpv. c.c.), ossia con lobbligo del portinaio di
dispiegare la necessaria vigilanza e di opporsi efficacemente alla consumazione di azioni delittuose sancito
dallart. 113 del regolamento per lesecuzione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, n
linterpretazione che ne conserva la validit svuota di contenuto lobbligo di assicurare il servizio di portierato,
ponendosi cos in contrasto col principio di buona fede.
*Casa. civ., sez. III, 29 luglio 1975, n. 2938.
La forma scritta costituisce requisito necessario dei contratti risolutori del diritto di propriet sui beni immobili,
dovendo dai medesimi trarsi con sufficiente certezza tutti gli elementi del negozio cui le parti abbiano inteso dare
vita, quali lindicazione del bene ritrasferito e del prezzo, nonch la manifestazione delleffettiva volont di
operare il nuovo trapasso del bene. (Nella specie, si ritenuto che sia insufficiente a determinare il
ritrasferimento del diritto di compropriet, sui locali destinati al servizio di portierato, dai condomini al venditore
costruttore, il generico richiamo contenuto nei singoli contratti di vendita delle unit immobiliari a una clausola
del regolamento del condominio predisposta dal venditore nella
quale si prevedeva il ritrasferimento a costui della propriet di detti locali in caso di cessazione del servizio di
portierato).
*Casa. civ., sez. Il, 14 febbraio 1981, n. 908, Palmiotto e. Palmiotto.
In tema di condominio negli edifici, il dovere dellamministratore, ai sensi dellart. 1130 n. 2 cod. civ., di
controllare e disciplinare il godimento di locali comuni (nella specie, locali destinati ad alloggio del portiere dopo
la soppressione del servizio di portierato), implica, in mancanza di diverse disposizioni dellassemblea, il diritto di
detenere le chiavi dei suddetti locali, per assicurarne luso da parte dei singoli condomini in condizioni di parit.
*Casa. civ., sez. lI, 23 luglio 1983, n. 5076, De Lorenzo e. Cond. V. Patern.
La soppressione (come la istituzione) del servizio di portierato, comportando il venir meno (od il sorgere) di un
vincolo di destinazione di una parte comune del condominio, configura un atto di straordinaria amministrazione.
Pertanto, tale innovazione deve essere deliberata dalla maggioranza qualifieata dei due terzi del valore del
condominio, a tutela degli eventuali pregiudizi sul patrimonio degli amministrati, connessi alla particolare
rilevanza del medesimo atto.
*Corte app. civ. Milano, sez. 1,20 giugno 1989, n. 1032, Ferrario e. Condominio Viale Tibaldi 3, Milano, in questa
Rivista 1990,284.
Lassemblea del condominio con la maggioranza prevista dallart. 1136 comma 5 e.e. pu deliberare la
modificazione (o anche la soppressione) del servizio di portierato, sempre che vengano osservati i principi in
materia di innovazioni posti dallart. 1120 e.e. e non ne derivino per taluno dei condomini vantaggi o svantaggi
diversi rispetto agli altri. Pertanto, nulla per violazione dellart. 1120 citato, la deliberazione assunta a
maggioranza che, conservando la proporzionalit di spesa sulla collettivit condominiale, attui in un condominio
costituito da pi edifici la "eentralizzazione" del servizio di portierato, in guisa da lasciare immutata la situazione
per i condomini delledificio presso il quale il servizio viene svolto, mentre i condomini degli altri edifici vengono a
trarre dal servizio una utilit minore.
*Casa. civ., sez. Il, 29 aprile 1993, n. 5083, Cond. Via Tiziano (MI) e. Imm.re Elsi sas.
Qualora un servizio condomrniale (nella specie: portierato) sia previsto nel regolamento di condomanio, la sua
soppressione comporta una modificazione del regolamento che deve essere approvata dallassemblea con la
maggioranza stabilita dallart. 1136, eomma 2, cc. (maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la
met del valore delledificio) richiamato dallart. 1138, comma 3.
*Casa. civ., sez. Il, 29 marzo 1995, n. 3708, Condominio di Via 5. Martino n. 2 in Genova e. Lombardo ed altri.
Svolgimento del servizio.
Il servizio di portierato, come ogni altro di interesse comune, deve essere disciplinato a norma dellart. 1130, n. 2
cc. e pu ritenersi ben assicurato, sempre che sia diligentemente svolto, anche se sussista reciproca antipatia
ed insofferenza personale tra laddetto al servizio ed alcuno dei condomini, sempre che lincolumit personale
non si traduca, da parte del primo, in un persistente contegno incivile e scorretto o addirittura in manifestazioni
ingiuriose.
*Trib. civ. Firenze, 3 marzo 1962, in Giur. it. 1962, I, 2, 481.
Ove il servizio di portierato non venga svolto dal relativo incaricato in maniera conforme alle prescrizioni e con la
diligenza dovuta, il conduttore d un appartamento sito nelledificio, cui quel servizio si riferisce, pu eccepire, nei
confronti del proprietario locatore, la sua inadempienza in relazione a quel servizio e chiedere giudizialmente di

essere esonerato dal pagamento delle relative spese.


*Casa. civ., sez. III, 2luglio 1991, n. 7257, Ist. Naz. Previdenza dei Giornalisti italiani "G. Amendola" e. Rossi e
altri e Ricci e altri.
RISCALDAMENTO E RISPARMIO ENERGETICO
Collaudo dell'impianto.
Fa capo all'amministratore del condominio l'obbligo, sanzionato penalmente, di denunciare al comando
provinciale dei vigili del fuoco l'installazione dell'impianto di riscaldamento al fine di consentire il collaudo
dell'impianto stesso. Il reato di omessa denuncia al comando provinciale dei vigili del fuoco dell'installazione
dell'impianto di riscaldamento di natura omissiva ed a carattere permanente.
* Cass. pen., sez. III, 14 aprile 1976, n. 4676 (ud. 14 marzo 1975).
Combustibili.
Le disposizioni in materia di combustibili contenute negli artt. 11, 12. 13 e 14 della L. n. 615/1966, sono
applicabili sia agli impianti termici per uso riscaldamento sia agli impianti termici industriali.
* Cass. pen., sez. III, 5 aprile 1990, n. 5187 (ud. 27 febbraio 1990), Massimilla.
La modifica del tipo di alimentazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato da gasolio a metano non
costituisce un'innovazione ma, se l'impianto preesistente obsoleto o guasto, rappresenta una manutenzione
straordinaria, mentre se il preesistente bruciatore ancora funzionante, la sua sostituzione rientra nelle semplici
modifiche migliorative dell'impianto, ove diretta a utilizzare una fonte di energia pi redditizia e meno inquinante.
A ci consegue che per l'approvazione della relativa delibera non richiesta la maggioranza prevista dall'art.
1136, comma 5, del c.c.
* Corte app. civ. Roma, 7 maggio 1997, n. 1517, Spinazzoli c. Cond. di via Livio Andronico, in Guida al dir. 1997,
24, 57.
Condutture e tubature.
Nel caso di attraversamento da parte dei tubi dell'impianto termico condominiale di un vano di propriet
esclusiva non fruente di detto impianto si deve ravvisare l'esistenza di una servit prediale di conduttura di liquidi
a carico di tale vano ed a vantaggio delle altre parti dell'edificio e non la semplice configurazione di opere,
installazioni e manufatti di uso e godimento comune ai sensi dell'art. 1117, n. 3 del codice civile, la quale
presuppone gli estremi del reciproco vantaggio con la conseguenza che per la sua costituzione non sufficiente
il mero consenso verbale del proprietario del vano e la mancata opposizione alle relative delibere condominiali,
essendo richiesto per detto consenso la prescritta forma scritta.
* Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1988, n. 1523, Cond. v. Ledi. Vitt. c. Pipolo.
Nel caso di attraversamento, da parte dei tubi dell'impianto di riscaldamento condominiale, di un vano in
propriet esclusiva sprovvisto di radiatori e quindi non fruente di detto impianto, va ravvisata una servit prediale
di conduttura di liquidi, a carico ditale vano ed a vantaggio delle altre parti dell'edificio, e non la situazione
prevista dall'art. 1117, n. 3, cod. civ.. postulante l'estremo del reciproco vantaggio.
* Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 1982, n. 369, Marangio c. Cond. V. Innocenz.
Per quanto si presumano di propriet esclusiva del condomino le condutture che si addentrano nei singoli
appartamenti, la trasformazione o la modificazione di tali condutture non pu essere liberamente effettuata dal
condomino, quando essa si traduca in un pregiudizio per gli altri partecipanti alla comunione modificandone i
diritti. Pertanto, il condomino non pu variare, aumentandola, la superficie radiante del proprio impianto di
termosifone, collegato con l'impianto centrale.
* Cass. civ., 17 maggio 1960, n. 1216.
In tema di condominio di edifici, i poteri dell'assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135
c.c.), non possono invadere la sfera di propriet dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a
quelle esclusive, tranne che una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di
acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda. Pertanto non consentito alla
maggioranza dei condomini deliberare una diversa collocazione delle tubazioni comuni dell'impianto di
riscaldamento in un locale di propriet esclusiva, con pregiudizio di tale propriet. senza il consenso del
proprietario del locale stesso.
* Cass. civ., sez. II, 27 agosto 1991, n. 9157. Tedesco c. Cond. "Pietro da Breggia".
La collocazione in un vano (o altro ambiente o spazio) compreso nel perimetro del condominio delle tubazioni (o
parte di esse) dell'impianto termico centralizzato, o di altro servizio comune, non rende di per s quel vano
insuscettibile di autonomo ed esclusivo diritto di propriet, salve le limitazioni di tale diritto - contraenti
corrispondenti servit - correlata all'obbligo di consentire e conservare la destinazione di tali tubazioni al servizio
ed a vantaggio dell'intero edificio condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1992, n. 5978.
Per gli impianti che servono all'uso e al godimento comune, quali quelli per il riscaldamento, la presunzione di
comunione opera soltanto per tutta quella parte dell'impianto che pu ritenersi centrale, e non anche per le
condutture derivanti che, staccandosi dall'impianto centrale, si addentrano nei singoli appartamenti, in ordine alle
quali vale, invece, la presunzione di propriet esclusiva. La trasformazione o la modificazione ditali condutture
pu essere liberamente effettuata dal condomino soltanto se non si traduca in un pregiudizio degli altri
partecipanti alla comunione, il quale pregiudizio ricorre nell'ipotesi in cui uno dei condomini aumenti la superficie
radiante del proprio impianto di termosifone. collegato con l'impianto centrale di riscaldamento, oltre la misura
prevista dal regolamento. In tal caso, trattandosi di un innovazione, che importa una modificazione dei diritti dei
condomini, il consenso alla trasformazione delle condutture non pu essere provato che mediante scrittura.
* Cass. civ., 31luglio 1958, n. 2812.

La semplice esistenza di una servit di conduzione di tubi nelle strutture murarie di appartamento. a favore del
condominio, non costituisce di per s obbligo del singolo condomino di contribuzione alle spese per il
riscaldamento centrale.
* Pret. civ. Firenze, 17 giugno 1986, Sparnacci c. Condominio via Trieste 26, Firenze, in Arch. loc. e cond. 1986,
497.
In conformit al disposto dell'art. 1117. n. 3, cod. civ., la presunzione di compropriet dell'impianto per il
riscaldamento opera soltanto per quella parte che pu ritenersi centrale e non pure per le condutture che,
staccandosi dall'impianto centrale, si addentrano nei singoli appartamenti e soddisfano, quindi, unicamente le
esigenze individuali di ciascun condomino; ne consegue che, per le suddette condutture, vale la presunzione di
propriet esclusiva da parte del condominio medesimo.
* Corte app. civ. Napoli, sez. I, 21 maggio 1986, n. 845. Candido c. Perillo e Amm. del Condominio via Dei Mille
25, Napoli, in Arch. loc. e cond. 1986, 657.
La presunzione di compropriet ex art. 1117 c.c. dell'impianto centrale di riscaldamento fino al punto di
diramazione ai locali di propriet esclusiva dei singoli condomini non pu essere esclusa per il fatto che alcune
unit immobiliari siano sprovviste di diramazioni, giacch ci che rivela al fine di escludere il concorso nelle
spese l'obiettiva configurazione dei luoghi, tale da escludere di per se stessa la potenzialit d'uso della cosa
comune.
* Trib. civ. Milano, 2 marzo 1992. in Arch. loc. e cond. 1992, n. 3.
Il distacco delle diramazioni relative ad una o pi unit immobiliari dell'edificio condominiale dall'impianto di
riscaldamento consentito quando il condominio interessato provi che da questo deriver un effettiva
proporzionale riduzione delle spese di esercizio e non si verificher uno squilibrio in pregiudizio del regolare
funzionamento dell'impianto centrale stesso.
* Cas. civ., sez. II, 14 febbraio 1995, n. 1597, Maddalena c. Cond. Parco delle Magnolie. Conf. App. civ. Milano,
19 gennaio 1996. n. 139, in Arch. loc. e cond 1996, n. 5 e Giud. pace Roma, 5 settembre 1996, ibidem.
Posto che un impianto centrale di riscaldamento destinato a riscaldare i vari appartamenti di uno stabile
proporzionato nei suoi organi fondamentali (caldaia, bruciatore e tubazioni) alla quantit di calorie necessarie a
riscaldare l'intero stabile, il distacco di una parte dell'impianto dalla centrale termica, cos come la creazione di
un impianto autonomo di riscaldamento. concretano una alterazione della destinazione della cosa comune e non
gi una delle modifiche consentite dall'art. 1102 c.c., poich in tal caso si altera la destinazione della cosa
comune, snaturandola o impedendone o compromettendone la funzione che le propria.
* Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1977, n. 1001.
In tema di condominio degli edifici, il singolo condomino non pu sottrarsi all'obbligo di concorrere, secondo la
ripartizione risultante dalle tabelle millesimali - suscettibili di modificazione anche per fatti concludenti - alle
spese di erogazione del servizio centralizzato di riscaldamento distaccando la propria porzione immobiliare dal
relativo impianto, senza che rilevino in contrario n la L. 29 maggio 1982, n. 308, sul contenimento dei consumi
energetici, n la circostanza che il condominio stesso consti di pi edifici
separati, ma serviti da impianti comuni non frazionati in relazione alle singole unit immobiliari.
* Cass. civ., sez. II, 4 maggio 1994, n. 4278, Cond. 5. Giacomo Primo di Torino c. Soc. Cada Sini.
Il singolo condomino non pu, di regola, mediante unilaterale rinunzia al servizio di riscaldamento, sottrarsi
all'obbligo di contribuire al pagamento delle spese di funzionamento di impianto centralizzato di termosifone, sito
in stabile condominiale: resta salva l'eccezionale ipotesi in cui il condomino rinunziante dimostri che l'esclusione
dal riscaldamento di alcuni locali si risolva in una proporzionale riduzione delle spese generali di esercizio.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 12 giugno 1981, n. 889: La Lombarda s.n.c. c. Condominio viale Piave, angolo
via F.lli Cervi - Limbiate, in Arch. loc. e cond. 1982, 75.
Il condomino non pu distaccarsi dall'impianto di riscaldamento centralizzato senza il consenso di tutti gli altri
condomini, n a seguito di ci esimersi dall'obbligo di contribuire alle spese per la prestazione di tale servizio.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 14 ottobre 1987, n. 10251, Rubino c. Condominio di Via Cupa Angara, n. 5, Napoli, in
Arch. loc. e cond. 1988, 440.
Il distacco delle diramazioni di uno o pi appartamenti dall'impianto di riscaldamento centralizzato, con
conseguente esclusione dalle spese di gestione comuni, necessita del voto favorevole di tutti indistintamente gli
interessati al funzionamento dell'impianto, e quindi non solo dei condomini, ma anche dei conduttori di alloggi siti
nel condominio.
* Trib. civ. Napoli, 24settembre 1987, n. 8791, Novino c. Condominio di via S. Giacomo dei Capri 39/D, Napoli,
in Arch. loc. e cond. 1988, 126.
In caso di illegittimo distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento, il condomino che ha operato il distacco
non tenuto al riallaccio del nuovo impianto a quello centralizzato se il suo comportamento stato causato dalle
omissioni del condominio (nella specie il condominio non aveva provveduto per anni a mettere l'impianto
centralizzato in condizioni di fornire un sufficiente riscaldamento al convenuto).
* Trib. civ. Milano, 23 gennaio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 363.
Il distacco delle diramazioni relative a uno o pi appartamenti dall'impianto centrale generalmente vietato
perch incide negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio
termico che pu essere eliminato solo con aggravio delle spese di esercizio e conservazione per i condomini
che continuassero a servirsi dell'impianto centralizzato; il distacco consentito, quindi, solamente se venga
fornita la prova che dal medesimo non derivino i suddetti inconvenienti.
* Trib. civ. Torino, sez. I bis, 7 settembre 1987, n. 6030, S.S. Bienes Prima c. Olimpic Srl, in Arch. loc. e cond.
1987, 716.
Il distacco delle diramazioni dall'impianto termocentralizzato incide negativamente sulla destinazione obiettiva

della cosa comune, determinando uno squilibrio termico che pu essere eliminato solo con una maggiore spesa
di esercizio e conservazione per i condomini che continuano a usare dell'impianto, per cui da ritenersi
consentito solo quando previsto dal regolamento contrattuale ovvero quando avvenga col voto unanime dei
partecipanti, oppure nel caso in cui l'interessato al distacco dimostri che da questo non possa derivare alcun
inconveniente.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 25 giugno 1986, n. 6703, Rubino c. Cond. via Cupa Angara, 5, Napoli, in Arch. loc. e
cond. 1986, 468.
Il distacco delle diramazioni relative ad uno o pi appartamenti dall'impianto centrale di riscaldamento, qualora
non venga provata l'assenza di inconvenienti per effetto di tale distacco, deve ritenersi vietato in quanto incide
negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio termico che pu
essere eliminato solo con un aggravio delle spese di esercizio e conservazione per i condomini che continuano
a servirsi dell'impianto centralizzato.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 26 ottobre 1996, n. 8837, Longo c. Comunione impianto riscald. viale Tiziano nn. 14 e
22 di Portici e altri, in Arch. loc. e cond. 1996, 933.
In caso di installazione di un impianto autonomo di riscaldamento con distacco da quello centralizzato, la
rinuncia al servizio di riscaldamento e l'esonero dalla relativa spesa non pu essere determinata
autonomamente ed unilateralmente ma, al contrario, deve essere autorizzata dall'assemblea (con il quorum ex
art. 1120 cod. civ.), una volta verificata l'entit della riduzione di spese derivanti dal distacco.
* Trib. civ. Roma, sez. IV, 24 maggio 1985, n. 6623, Lo Cascio c. Cond. di via Arena, 8, Roma, in Arch. loc. e
cond. 1986, 113.
Integra gli estremi dell'atto di molestia e legittima l'esercizio dell'azione di manutenzione, ex art. 1170 cod. civ., il
distacco operato da un condomino dall'impianto centralizzato di riscaldamento, ci costituendo alterazione della
cosa comune, con conseguente pericolo di possibili inconvenienti nella sua utilizzazione.
* Pret. civ. Firenze, 24 gennaio 1989, Compostrini ed altri c. Bordoni, in Arch. loc. e cond. 1989, 780.
Il distacco delle diramazioni relative a uno o pi appartamenti dall'impianto centrale di riscaldamento e
consentito quando il singolo interessato provi che il distacco stesso non incida negativamente sulla destinazione
obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio termico e, al contrario, possa servire a porre rimedio
ad una situazione di inefficienza dell'impianto comune.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 gennaio 1989, n. 680, Condominio di Via Bertelli 2, Milano c. Migliavacca, in
Arch. loc. e cond. 1990, 94.
Il distacco delle diramazioni relative ad una o pi porzioni immobiliari dall'impianto centrale di riscaldamento
consentito soltanto quando i singoli interessati provino che dal distacco derivi una effettiva proporzionale
riduzione delle spese di esercizio, senza che si verifichi uno squilibrio in pregiudizio del regolare funzionamento
dell'impianto.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 11 ottobre 1993, Soc. Sida c. Cond. di via Popoli Uniti n. 24 di Milano, in Arch. loc. e
cond. 1994, 600.
ammissibile il distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento condominiale allorquando, in
considerazione delle particolari caratteristiche tecniche dell'impianto, comporti un'effettiva proporzionale
riduzione del consumo, con esclusione di aggravi di sorta per gli altri partecipanti al condominio.
* Trib. civ. Milano, 7 ottobre 1991, in Arch. loc. e cond., 1992, 87.
Non censurabile l'installazione di un impianto di riscaldamento autonomo aggiuntivo che non arrechi
pregiudizio a quello condominiale ma, qualora dal distacco derivi anche una minima manomissione dell'impianto
centralizzato, ne consegue la condanna alla riduzione in pristino con collegamento all'impianto centralizzato nel
momento in cui esso venga rimesso in funzione.
* Trib. civ. Roma, 9 luglio 1988, in Foro it. 1989, I, 2964.
Griglia di aerazione.
La competenza sulla domanda di sostituzione della griglia di aerazione della centrale comune di riscaldamento,
posta nella soglia di ingresso dell'edificio condominiale, al fine di evitare inconvenienti nel transito, va
determinata in base al valore perch non si configura una controversia sulle modalit di uso del servizio
condominiale (art. 8 n. 4 c.p.c.), n una controversia sulla misura dei servizi del condominio (art. 7 comma
secondo c.p.c.).
* Cass. civ. 11 gennaio 1994, n. 223.
impignorabilit degli impianti.
Gli ascensori e gli impianti di riscaldamento, comprese le caldaie ed i bruciatori, sono parti integranti degli edifici
nei quali sono installati, e non semplici pertinenze; essi, infatti, non hanno una funzione propria, ancorch
complementare e subordinata rispetto a quella degli edifici, ma partecipano alla funzione complessiva ed
unitaria degli edifici medesimi, quali elementi essenziali alla loro destinazione, da ci consegue che l'ascensore
e l'impianto di riscaldamento non sono pignorabili, come beni mobili, separatamente dall'edificio in cui sono
installati, e che l'opposizione con la quale il debitore deduca detta impignorabilit, in quanto tendente a
contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente su quei beni, configura, ai sensi dell' art. 615 c.p.c.,
opposizione all'esecuzione, e non opposizione agli atti esecutivi.
* Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1976, n. 654.
inquinamento atmosferico.
La necessit di dare esecuzione ad una legge imperativa che imponga la adozione di cautele o accorgimenti per
evitare l'inquinamento atmosferico (L. 13 luglio 1966 n. 615) non sottrae le relative delibere dell'assemblea
condominiale all'osservanza delle maggioranze previste dall'art. 1136 c.c. qualora, per eseguire in concreto il
comando della legge, si debba far luogo ad innovazioni in senso tecnico, sia a causa delle opere che per diretta
conseguenza dell'applicazione di quelle cautele e di quegli accorgimenti si rendono necessarie, sia a causa

dello stato dei luoghi condominiali, che debbono essere convenientemente modificati per attuare quelle opere.
* Cass. civ., sez. II, 12 aprile 1976, n. 1281.
La carenza, nell'impianto comune di riscaldamento, dei requisiti tecnici prescritti dalla legge per la sicurezza
delle persone e delle cose e per limitare l'inquinamento prodotto dalla combustione non impedisce alla
assemblea di deliberare sulle relative spese di esercizio (art. 1135 c.c.) perch tale deliberazione non attiene
alla attivazione dell'impianto, che rientra tra i compiti propri dell'amministratore (art. 1130 c.c.).
* Cass. civ., sez. II, 27 settembre 1996, n. 8531, Aliotta c. Condominio Due Palme di via Lentini in Siracusa, in
Arch. loc. e cond. 1997, 446.
In forza dell'art. 1131 cc., l'amministratore di un condominio deve osservare ed applicare tutte le disposizioni
legislative e amministrative che possono riguardare il condominio stesso; fra l'altro, egli ha il compito, ai sensi
dell'art. 1130, n. 2 c.c., di disciplinare la prestazione dei servizi di interesse comune, compreso quello del
riscaldamento centrale. Di conseguenza la responsabilit per l'impiego di combustibili proibiti dall'art. 13 L. 13
luglio 1966, n. 615 ricade esclusivamente sull'amministratore e nessun addebito pu venir mosso al singolo
condomino, che pur abbia partecipato ad un'assemblea ove si sia discusso del problema.
* Cass. pen., sez. III, 29 maggio 1972, Dal Vecchio.
Le disposizioni in materia di combustibili contenute negli artt. 11, 12, 13 e 14 della L. n. 615/1966, sono
applicabili sia agli impianti termici per uso riscaldamento sia agli impianti termici industriali.
* Cass. pen., sez. III, 5 aprile 1990, n. 5187 (ud. 27 febbraio 1990), Massimilla.
Le disposizioni di attuazione delle direttive Cee in materia di qualit dell'aria, contenute nel d.p.r. 24 maggio
1988, n. 203, sono esclusivamente rivolte agli impianti industriali, e non ai titolari di impianti termici per il
riscaldamento di ambienti civili.
* Tar Lombardia, 4ottobre 1991, n. 1227, in Giur. it. 1993, III, 1, 418.
Installazione dell'impianto.
L'installazione dell'impianto di riscaldamento, avvenuta successivamente alla costituzione del condominio, fa
escludere la presunzione di compropriet dell'impianto stesso, di cui all'art. 1117 cod. civ.
* Pret. civ. Napoli, sez. V, 19 gennaio 1983, D'Alessandro e altro c. Cond. di via Cilea, 26, NA, in Arch. loc. e
cond. 1983, 364.
Lettura del contatore.
Il locatore ha diritto di accedere all'interno di un immobile locato per provvedere alla lettura del contatore
dell'acqua al fine di ripartire le spese secondo le diverse unit immobiliari servite.
* Pret. civ. Roma, sez. I, decr. 26 ottobre 1983, Grandi e altro c. D'Agostino, in Arch. loc. e cond. 1984, 327.
Locale sede dell'impianto.
La dichiarazione dell'assemblea del condominio con la quale viene dato in locazione ad uno dei condomini il
locale condominiale in cui sistemato l'impianto di riscaldamento ed affidato allo stesso condomino la gestione
del servizio di riscaldamento richiede, ai fini della sua validit, la maggioranza semplice, avendo ad oggetto la
disciplina di un servizio volto al soddisfacimento dell'interesse collettivo dei condomini, e non un'innovazione
diretta all'uso pi comodo o al maggior rendimento di cosa comune.
* Cass. civ.. sez. II, 28 gennaio 1976, n. 270.
Nell'edificio condominiale, l'impianto di riscaldamento centrale ed i locali ad esso destinati costituiscono un
complesso unitario, indivisibile.
* Cass. civ., 26 giugno 1976, n. 2419.
Obblighi dell'amministratore.
Soltanto nel caso di installazione di un impianto termico centralizzato posto in edificio amministrato in
condominio l'obbligo di presentare idoneo progetto e di adempiere alle prescrizioni della legge incombe
sull'amministratore (e sar necessario predisporre un progetto unitario riguardante l'intero edificio riscaldato); nel
caso, invece, di installazione di impianti termici individuali tale obbligo grava sul proprietario dell'alloggio e,
quindi, dell'impianto.
* Trib. civ. Torino, sez. I, 19 ottobre 1994. n. 7963, Rosso Brignone c. Condominio di Via Assarotti, n. 1, di
Torino, in Arch. loc. e cond. 1994, 828.
Obblighi del locatore.
Qualora l'installazione del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio risulti, in relazione alle
caratteristiche ed alla situazione logistica dell'immobile, non gravosa n voluttuaria, tale innovazione, se
approvata nei modi prescritti, vincolante per tutti i condomini, con la conseguenza che, nell'ipotesi di un locale
dato in locazione, come il proprietario-locatore tenuto a sostenere pro quota le spese di impianto, parimenti il
conduttore non pu sottrarsi (trattandosi di innovazione lecita ex art. 1582 c.c.) al pagamento delle spese di
esercizio fin dal momento dell'attuazione del servizio stesso, ancorch questo sia stato introdotto nel corso della
locazione, essendo l'aumento degli oneri accessori conseguente all'applicazione dell'art. 9 L. 27 luglio 1978 n.
392, senza alterazione del rapporto sinallagmatico, posto che a fronte di una maggiore spesa per il conduttore vi
un obiettivo miglioramento delle condizioni di utilizzabilit del bene.
* Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1993, n. 7001, lasparra c. Soc. Perretti.
La legge n. 392 del 1978 (cosiddetta dell'equo canone) disciplina i rapporti tra locatore e conduttore, senza
innovare in ordine alla normativa generale sul condominio negli edifici, sicch l'amministratore ha diritto - ai
sensi del combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 att. stesso codice - di riscuotere i contributi e le spese per
la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da
ciascun condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unit immobiliari
(contro i quali pu invece agire in risoluzione il locatore ex art. 5 della citata legge n. 392 del 1978, per il
mancato rimborso degli oneri accessori), anche con riguardo alle spese del servizio comune di riscaldamento
ancorch questi ultimi abbiano diritto di voto, in luogo del condomino locatore, nelle delibere assembleari

riguardanti la relativa gestione.


* Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1994, n. 1104, Comune di Torino c. Cond. di via Risorgimento n. 14 di Poirino, in
Arch. loc. e cond. 1994, 559.
Il conduttore di un immobile ad uso ufficio posto al piano terreno di uno stabile, ed insufficientemente riscaldato
nonostante il regolare funzionamento dell'impianto centralizzato condominiale di riscaldamento, non pu
pretendere dal condominio la realizzazione di modifiche all'impianto esistente o di un nuovo impianto idoneo ad
assicurare nei locali occupati temperature adeguate, n pu vantare analogo diritto nei confronti del locatore. ai
sensi dell'art. 1575 cod. civ., qualora la situazione lamentata dipenda dalle stesse caratteristiche originarie
dell'impianto (di tipo a pannelli radianti posati a pavimento), e debba quindi considerarsi alla stregua di un vizio
dell'immobile gi esistente all'inizio della locazione.
* Pret. civ. Milano, ord. 14 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1992. 421.
ammissibile il provvedimento di urgenza che imponga al locatore di provvedere a proprie spese
all'installazione di un impianto autonomo di riscaldamento se l'originario servizio venuto meno per la decisione
dell'assemblea dei condomini di sopprimere l'impianto centralizzato esistente.
* Pret. civ. Roma, ord. 3 marzo 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 849.
Orario di funzionamento.
Ogni condomino ha il diritto di ottenere che l'impianto di riscaldamento sia strutturato in modo da assicurare,
nelle ore di accensione, un uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti e ci attraverso opportuni
accorgimenti tecnici, quali una differenziazione delle superfici radianti, in rapporto alla posizione, struttura,
esposizione e volumetria di ogni appartamento. Se peraltro le caratteristiche di posizione, struttura ed
esposizione di un appartamento (nella specie, attico) siano tali da determinare nelle ore di interruzione del
funzionamento dell'impianto un calo della temperatura pi accentuato che negli altri appartamenti, al di fuori di
qualsiasi deficienza nell'organizzazione e conduzione del servizio, il condominio interessato ha diritto di ottenere
una maggiore fruizione del servizio comune - nei limiti stabiliti dalle norme generali regolanti il funzionamento
degli impianti termici - purch ci sia consentito dalle caratteristiche dell'impianto e possa effettuarsi senza
pregiudizio o disagio per gli altri condomini, restando a carico del richiedente la maggiore spesa derivante dal
protratto o pi intenso funzionamento dell'impianto (anche in relazione all'eventuale deterioramento) e quella che
possa rendersi necessaria per la messa in opera di strumenti o l'adozione di accorgimenti tecnici atti ad evitare
un eccesso di calore negli altri appartamenti.
* Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1981, n. 3775, Condominio di via XX Settembre 150, Perugia c. Briziarelli, in Arch.
loc. e cond. 1981, 397, motiv. e nota.
Qualora l'accensione anche di notte dell'impianto di riscaldamento, in esito a controversia fra il condominio ed il
singolo condomino, venga prevista quale mera modalit tecnica per assicurare a detto condomino un'erogazione
di calore pari a quella goduta dagli altri proprietari, il passaggio in giudicato della relativa sentenza non osta a
che l'assemblea successivamente deliberi di spegnere l'impianto stesso nelle ore notturne, ove i nuovi
accorgimenti di gestione egualmente consentano il raggiungimento dell'indicato obiettivo.
* Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1990, n. 11124, Marini c. Samaritan.
Determinare l'orario di funzionamento del servizio di riscaldamento e stabilire la sua gestione costituiscono
modalit d'uso di un servizio condominiale, dal momento che si tratta di stabilire i criteri per l'erogazione ditale
servizio e per il suo uso. La competenza relativa alle cause riguardanti tale materia spetta quindi al giudice
conciliatore ex art. 1 della L.
n.399 /1984.
* Pret. civ. Treviso, 20 luglio 1985, n. 288, Prioni c. Pavan e altri e Zanatta n.c., in Arch. loc. e cond. 1986, 155.
Atteso che i rumori e le vibrazioni prodotte dalle apparecchiature che alimentano la rete del riscaldamento
condominiale impongono l'adozione di particolari accorgimenti idonei a riportare nei limiti della normale
tollerabilit tali inconvenienti, l'impianto di riscaldamento deve rimanere fermo dalle ore 22 alle ore 7 ed inoltre,
al fine di ridurre la rumorosit per il periodo in cui si faccia uso ditale impianto, devono essere adottati gli
accorgimenti suggeriti dal consulente tecnico.
* Trib. civ. 5. Maria Capua Vetere, 9 giugno 1986, n. 1142, Zacchia e altro c. Cond. Sol-Air di via Tazzoli, 67,
Caserta e altri, in Arch. loc. e cond. 1986, 669.
La domanda diretta ad invalidare una delibera assembleare nella parte riguardante l'orario di funzionamento del
servizio di riscaldamento e la gestione di esso non introduce una controversia sulle modalit d'uso dei servizi
condominiali di cui all'art. 1 della L. n. 399/1984, sibbene sulla misura dei servizi del condominio di case di cui
all'art. 2 della citata legge, ed , pertanto, di competenza del pretore.
* Giud. conc. Treviso, ord. 6 giugno 1986, Prioni e altro c. Pavan e altri, in Arch. loc. e cond. 1986, 521.
- annullabile per eccesso di potere, ai sensi dell'art. 1130 n. 2 cod. civ., la delibera assembleare che abbia
statuito l'accensione dell'impianto centralizzato di riscaldamento dalle ore 16 alle ore 22, con esclusione delle
ore mattutine, in quanto regola generale (anche alla luce della L. n. 645/1983) che il riscaldamento vada
erogato soprattutto nelle ore pi fredde della giornata, che sono quelle di prima mattina e di sera, nelle quali v'
maggior pericolo che le condizioni climatiche possano procurare danni alla salute di coloro che vivono
nell'edificio e quindi all'interesse della comunione.
*Giud. cone. Bari, 10 ottobre 1989, n. 308, Cavone c. Condominio di via Calefati n. 399 di Bari e Loiodice, in
Arch. loc. e cond. 1990, 159.
In materia di servizio di riscaldamento organizzato in un edificio in condominio mediante una centrale termica
comune, l'efficienza e la funzionalit dell'impianto sono direttamente strumentali alla normale abitabilit delle
singole porzioni immobiliari. Ogni condomino, quindi, ha diritto di ottenere che l'impianto di riscaldamento sia
strutturato in modo da assicurare nelle ore di accensione un uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti, e
ci mediante opportuni accorgimenti tecnici, e anche per mezzo di una maggiore fruizione del servizio comune,

nei limiti stabiliti dalle norme generali che regolano il funzionamento degli impianti termici.
* Trib. civ. Milano, 25 maggio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 812.
Pannelli solari.
L'installazione da parte di un condomino di pannelli solari su parte comune dell'edificio condominiale (nella
specie, sul lastrico di copertura del vano scale), che non alteri la cosa comune e non impedisca agli altri
comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto, non costituisce innovazione, n a norma dell'art.
1120 cod. civ., n a norma del successivo art. 1121, ma legittimo uso della cosa comune.
* Trib. civ. Salerno, sez. II, 16 marzo 1982, D'Aniello c. Condominio di via A. Capone 9, Salerno, in Arch. loc. e
cond. 1982, 269.
Riattivazione e mantenimento in funzione.
In tema di condominio negli edifici, legittimo, da parte dei condomini, il ricorso al procedimento ex art. 700 cod.
proc. civ., nel caso in cui il loro diritto al riscaldamento pu subire un danno grave ed irreparabile, sussistendo
pericolo di un concreto nocumento all'integrit psico-fisica dei medesimi in conseguenza dell'inerzia degli
amministratori relativamente alla riattivazione e al mantenimento in funzione dell'impianto centralizzato di
riscaldamento a gasolio, nonostante la rigida stagione invernale in atto.
* Trib. civ. Molfetta, 31 dicembre 1988, Nappi e altri c. Condominio Via Serao 24, Molfetta, in Arch. loc. e cond.
1989, 368.
Smaltimento delle acque.
L'installazione di due pompe per lo smaltimento delle acque dell'impianto di riscaldamento di un condominio
costituisce una modifica migliorativa dell'impianto termico esistente, che non incide sulla cosa comune,
mutandone la funzione o la destinazione: conseguentemente, la relativa deliberazione - come pure la sua
successiva revoca - pu essere adottata dall'assemblea dei condomini senza la maggioranza qualificata
prescritta per le innovazioni.
* Cass. civ., sez. II, 22 maggio 1978, n. 2541.
Sostituzione del bruciatore.
La sostituzione del bruciatore dell'impianto di riscaldamento di un edificio condominiale, nei casi in cui il
bruciatore sostituito era guasto o obsoleto, deve considerarsi atto di straordinaria manutenzione, in quanto
diretto a ripristinare la funzionalit dell'impianto senza alcuna modifica sostanziale e funzionale dello stesso,
mentre deve essere ricondotta alle modifiche migliorative, e non alle innovazioni, se ha lo scopo di consentire
l'utilizzazione di una fonte di energia pi redditizia, pi economica o meno inquinante. (Nella specie, si trattava
della sostituzione di un bruciatore alimentato da gasolio con un bruciatore alimentato da gas metano).
* Cass. civ., sez. II, 18 maggio 1994, n. 4831, Condominio di Via Campania nn. 15 e 17 di Taranto c. Masella.
Spese (ripartizione).
In tema di condominio, ai fin della ripartizione delle spese di riscaldamento, l'unico criterio base che sia
conforme al principio generale di cui all'art. 1123, comma 2, c.c. quello della superficie radiante.
* Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1995, n. 946, Giani c. Cond. Viale Meyello 6, Milano.
In tema di ripartizione delle spese del servizio condominiale di riscaldamento, i criteri stabiliti dai commi primo e
secondo dell'art. 1123, cc. possono essere derogati - secondo quanto sancisce la detta norma - soltanto da una
convenzione sottoscritta da tutti i condomini o da una deliberazione presa dagli stessi in sede assembleare con
la unanimit dei consensi dei partecipanti alla comunione; e pertanto non consentito all'assemblea
condominiale, deliberando a maggioranza. di porre in via provvisoria le spese di riparazione degli impianti singoli
a carico indistintamente di tutti i condomini.
* Cass. civ., sez. II, 16 novembre 1991, n. 12307, Varrica c. Milano. Nello stesso senso, v. Cass. 4 giugno 1993.
n. 6231.
Con riguardo all'impianto di riscaldamento installato in un fabbricato condominiale, l'indagine diretta a stabilire se
il singolo partecipante, che non usufruisca del servizio di riscaldamento (nella specie. in quanto proprietario
esclusivo di negozi), sia ugualmente comproprietario di detto impianto, e, quindi, in applicazione dell'art. 1123
cod. civ., sia tenuto a concorrere nelle spese inerenti alla sua conservazione, va condotta in base ai criteri fissati
dall'art. 1117 cod. civ. sull'individuazione delle parti comuni dell'edificio, tenendo conto che la comunione di detto
impianto, ove debba essere negata in base alla citata norma, pu essere riconosciuta, per effetto di diversa
previsione del regolamento condominiale, solo se esso abbia natura contrattuale, perch predisposto
dall'originario unico proprietario e poi accettato con i singoli atti di acquisto. ovvero perch adottato con il
consenso unanime di tutti i partecipanti, manifestato nelle dovute forme.
* Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3966, Cristiani c. Cond. V. Stur. Ge.
L'indagine diretta a stabilire se il singolo partecipante al condominio (nella specie, proprietario di
un'autorimessa), che non usufruisce del servizio di riscaldamento, sia ugualmente proprietario di detto impianto
e, quindi, in applicazione dell'art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere alle spese inerenti alla sua conservazione o
al rifacimento, va condotta in base ai criteri fissati dall'art. 1117 c.c. per l'individuazione delle parti comuni
dell'edificio. Cosicch, limitandosi la propriet comune dell'impianto di riscaldamento al punto di diramazione ai
locali di propriet esclusiva dei singoli condomini, qualora manchi detta diramazione, poich non esiste la
possibilit che i locali medesimi fruiscano del riscaldamento, l'impianto non pu considerarsi destinato alloro
servizio.
* Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1996, n. 4270, Cond. Tre Stelle c. Benardi.
L'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti
comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla
maggioranza trova la sua fonte nella compropriet delle parti comuni dell'edificio (art. 1123, primo comma, c.c.);
con la conseguenza che la semplice circostanza che l'impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi
sufficiente calore non pu giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio

dell'impianto, dato che il condomino non titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura
contrattuale sinallagmatica e, quindi, non pu sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o
insufficiente erogazione del servizio.
* Cass. civ., sez. un., 26 novembre 1996, n. 10492, Rauco c. Condominio di Via Vaccari 38 in Roma, in Arch.
loc. e cond. 1997, 61.
Il singolo condomino non titolare di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica nei confronti del condominio
relativamente all'utilizzazione dei servizi comuni e, pertanto, non pu sottrarsi dal contribuire alle spese di
gestione del servizio di riscaldamento centralizzato in proporzione ai millesimi, allegando la mancata o
insufficiente erogazione di quel servizio, n pu proporre azione di danno contro il condominio per il mancato
promovimento dell'azione contrattuale nei confronti dell'impresa installatrice dell'impianto, posto che il
condomino conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei
suoi diritti di comproprietario pro quota delle parti comuni, potendo ricorrere all'autorit giudiziaria nel caso di
inerzia dell'amministrazione del condominio a norma dell'art. 1105 c.c., dettato in materia di comunione, ma
applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio disposto dall'art. 1139 c.c.
* Cass. civ. 15 dicembre 1993, n. 12420.
In tema di condominio degli edifici, qualora il bene comune, come l'impianto di riscaldamento, si trovi in
situazione di inscindibilit materiale o funzionale con i manufatti afferenti alle porzioni di propriet esclusiva dei
singoli condomini (nella specie, trattandosi di impianto realizzato con serpentine inserite nei solai), il potere del
regolamento, e, correlativamente, dell'assemblea dei condomini nel rispetto del regolamento, di provvedere in
ordine alla gestione di detto bene comune (nella specie, ripartendo fra tutti i condomini le spese di riparazione
delle serpentine dei singoli appartamenti) non resta escluso a causa della inevitabile incidenza riflessa di tale
gestione su quelle propriet esclusive.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1983, n. 960, Soc. Ac. Au. c. Condominio A-4.
In tema di ripartizione delle spese del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio, la qualit dell'uso
che un singolo appartamento pu fare del servizio stesso, a norma dell'art. 1123, secondo comma, c.c., va
calcolata, ai fini della determinazione della spesa, in rapporto alla capacit potenziale di assorbimento, e cio, in
forza del fabbisogno obiettivo dell'appartamento stesso, secondo uno dei tanti criteri possibili (numero dei
radiatori o delle bocchette, massa o superficie irradiante, superficie irradiata, cubatura degli ambienti, contatore,
ecc.) con la conseguenza che procedutosi a tale determinazione del fabbisogno, non pu apportarsi alcuna
diminuzione alla correlativa spesa proporzionale per effetto di ragioni particolari (nella specie: temperatura degli
appartamenti dell'ultimo piano del fabbricato inferiore a quella degli altri che determinano quel fabbisogno o che
lo aumentano rispetto ad appartamenti di eguale estensione od eguale cubatura).
* Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1978, n. 3839.
In tema di ripartizione delle spese condominiali attinenti al servizio centralizzato di riscaldamento di un edificio
adibito ad uso abitativo, che costituito da due appartamenti sia in comunione pro indiviso tra due comproprietari,
trova applicazione la disciplina dettata per la comunione dall'art. 1104 c.c., con la conseguenza che ogni
comproprietario obbligato a sostenere le spese stesse in proporzione al valore della sua quota,
indipendentemente dal concreto vantaggio che tragga dal detto servizio e senza possibilit di sottrarsi a
quest'obbligo rinunciando al servizio medesimo, ove tale rinuncia possa produrre effetti pregiudizievoli per l'altro
comproprietario.
* Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1994, n. 3600, Ornamenti c. Anselmi.
Le spese per la conservazione dell'impianto centrale di riscaldamento (nella specie, determinate dalla necessit
di adeguare l'impianto alle nuove prescrizioni tecniche di cui alla L. n. 615 del 1966) sono a carico di tutti i
condomini che possono fruire del relativo servizio, in rapporto al valore della propriet individuale di ciascuno
(art. 1123, primo comma, c.c.). a differenza delle spese di esercizio, che vanno ripartite in proporzione dell'uso e
della utilit che ciascuno pu realizzare dal servizio comune, qualora si tratti di cose destinate a servire i
condomini in misura diversa (art. 1123, secondo comma, c.c.). Ne consegue che anche i condomini, i cui locali
siano privi di radiatori attualmente allacciati all'impianto centrale, sono tenuti a concorrere nelle spese di
manutenzione straordinaria dell'impianto centrale di riscaldamento, secondo la disciplina contenuta nell'art. 1118
c.c.
* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1977, n. 693.
La ripartizione delle spese del riscaldamento centralizzato di un edificio in condominio, deliberata dall'assemblea
o disciplinata dal regolamento condominiale, in contrasto con l'art. 1123, primo capoverso, c.c. - secondo cui,
per le cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese vanno ripartite in proporzione all'uso che
ciascuno pu farne - soltanto se debba essere effettuata in base al valore della propriet delle singole quote,
ovvero in base ad un diverso criterio che appaia inidoneo, per la sua evidente irrazionalit, a fissare un congruo
rapporto fra la spesa e l'uso individuale. Qualora, invece, questo rapporto possa essere attuato con pi sistemi
pratici che, come i tre metodi adottati nella prassi edilizia e rispettivamente fondati sulla estensione della
superficie irradiata o sulla cubatura degli appartamenti o sul numero degli elementi radianti, attuano, in modo pi
o meno soddisfacente riguardo alle circostanze del caso, il precetto di legge, la preferenza accordata, in
concreto, ad uno di essi non viziata da illegittimit e sfugge, pertanto, al controllo del giudice, cui spetta
reprimere una deliberazione illegale, ma non sostituire alla deliberazione legalmente adottata una pi
conveniente. senza invadere la sfera di autonomia degli organi condominiali.
* Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 1974, n. 4166.
All'assemblea dei condomini, nell'ambito delle attribuzioni concernenti la gestione delle cose, degli impianti e dei
servizi comuni previste dall'art. 1135 n. 2 c.c., deve riconoscersi la competenza a modificare, in via provvisoria,
tabelle millesimali concernenti il servizio di riscaldamento e di riscuotere i relativi contributi a titolo di acconto e
salvo conguaglio, qualora, in seguito alle modifiche apportate da un condomino all'impianto di riscaldamento

all'interno del proprio appartamento, le tabelle originarie non corrispondano alla nuova estensione degli elementi
radianti.
* Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1996, n. 8657,
Con riguardo al risarcimento del danno dovuto a norma dell'art. 1494 c.c. il credito dei comproprietari di un bene
unico ed indivisibile (nella specie, impianto di riscaldamento condominiale) per il rimborso delle spese occorrenti
alla sua riparazione, deve considerarsi indivisibile perch, essendo indivisibile, per finalit e funzione, la
prestazione che ne oggetto, indivisibile anche il fatto ed il risultato del ripristino; tale credito pu essere
pertanto fatto valere da ciascuno dei comproprietari per l'intero, ai sensi dell'art. 1319 c.c. (salva la successiva
definizione del rapporto all'interno della contitolarit).
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4804,
Il criterio dell'addebito delle spese di riscaldamento in base alla superficie radiante non l'unico idoneo a
consentire una razionale e giusta ripartizione delle medesime, potendo ben applicarsi qualsiasi criterio che con
soddisfacente approssimazione consenta una effettiva distribuzione delle spese in relazione alle caratteristiche
delle singole unit immobiliari e del beneficio effettivamente goduto.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 9 dicembre 1985, n. 10314,
La carenza, nell'impianto comune di riscaldamento, dei requisiti tecnici prescritti dalla legge per la sicurezza
delle persone e delle cose e per limitare l'inquinamento prodotto dalla combustione non impedisce alla
assemblea di deliberare sulle relative spese di esercizio (art. 1135 c.c.) perch tale deliberazione non attiene
alla attivazione dell'impianto, che rientra tra i compiti propri dell'amministratore (art. 1130 .c.).
* Cass. civ., sez. Il, 27 settembre 1996, n. 8531,
Le spese di riscaldamento non sono dal locatore ripetibili se non deliberate o comunque approvate dall'apposita
assemblea dei conduttori.
* Pret. civ. Piacenza, 19 giugno 1980, Ina c. Corvini, in Arch. loc. e cond. 1980, 414.
Il criterio di ripartizione delle spese del riscaldamento centralizzato in un edificio in condominio conforme al
criterio legale , allo stato attuale della tecnica termica ed edilizia, quello che assume come parametro la
superficie radiante. Conseguentemente, la delibera condominiale che adotti un diverso criterio (come quello del
riparto della spesa in proporzione alla cubatura), senza che ci sia reso necessario da peculiari caratteristiche
dell'edificio o dell'impianto, lede il diritto del condomino dissenziente alla intangibilit, senza il suo consenso,
della posizione soggettiva in ordine alle cose e ai servizi comuni, stabilita dalla legge o dalle pattuizioni risultanti
dal titolo di acquisto.
* Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1974, n. 1300.
La domanda con la quale il conduttore di un immobile urbano richieda al locatore il rimborso delle spese per
opere di trasformazione del riscaldamento centralizzato in impianto autonomo non rientra tra quelle relative alla
straordinaria manutenzione o alla conservazione dell'immobile che, a norma degli artt. 23-45 della L. 27 luglio
1972, n. 392, spettano alla competenza per materia del pretore, e deve essere, quindi, proposta dinnanzi al
giudice competente secondo il generale criterio del valore della causa.
* Cass. civ., 23 maggio 1991, n. 5841.
Obbligato alla corresponsione delle spese condominiali di riscaldamento il proprietario dell'unit immobiliare, e
non il conduttore, qualora manchi la prova della qualit di condomino apparente di quest'ultimo.
* Pret. civ. Roma, 14 novembre 1994, n. 6303, Soc. La Farmacia c. Condominio di via Baldo degli Ubaldi n. 32
in Roma, in Arch. loc. e cond. 1995, 438.
Nelle locazioni degli immobili urbani, i premi di assicurazione dello stabile, il compenso dell'amministratore ed il
concorso nelle spese di riparazione dell'impianto di riscaldamento e di revisione dell'impianto antincendio non
sono compresi tra gli oneri accessori che l'art. 9 della legge n. 392 del 1978 pone a carico del conduttore - salvo
patto contrario - da valutarsi alla stregua del divieto di pattuizioni dirette ad attribuire al locatore vantaggi in
contrasto con le disposizioni della predetta legge (art. 79, primo comma). Del pari deve ritenersi escluso dalle
spese a carico del conduttore l'ammortamento degli impianti, quale deposito frazionato nel tempo di somme di
danaro necessarie per l'acquisto di nuovi impianti a seguito della vetust di quelli in uso, trattandosi di una
destinazione patrimoniale nell'esclusivo interesse del locatore, tenuto a mantenere la cosa locata in istato da
servire all'uso convenuto e, quindi, a prestare i relativi servizi.
* Cass. civ., sez. III, 11 novembre 1988, n. 6088, Di Piazza c. Miglio.
- nulla la deliberazione condominiale assunta a maggioranza avente per oggetto la modifica della disposizione
contrattuale del regolamento relativa al criterio di ripartizione delle spese di riscaldamento, in quanto, in tal caso,
la possibilit di una modificazione presuppone il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio.
* Trib. civ. Milano, 15 giugno 1989, inedita.
- nulla la deliberazione condominiale che fissi l'applicazione di un criterio di ripartizione di spese per la
sostituzione della caldaia del riscaldamento centralizzato con riferimento alla tabella delle propriet, diretta a
determinare i valori in millesimi da servire per la ripartizione di tutte le spese relative alle parti comuni, che opera
soltanto una elencazione di stile delle parti comuni dell'edificio e "di quant'altro previsto dall'art. 1117 c.c.",
invece che fare riferimento alla tabella di ripartizione della spesa in base all'uso del riscaldamento da ciascun
condomino effettuato.
* Pret civ. Bari, 17 marzo 1989, in Rass. equo canone 1989, 185.
L'adesione di tutti i condomini all'esonero di quelli autorizzati dall'assemblea condominiale al distacco
dell'impianto di riscaldamento centralizzato dall'obbligo di contribuire comunque alle spese di manutenzione
ordinaria e straordinaria dell'impianto, non richiede l'atto scritto ad substantiam, potendosi realizzare anche per
facta concludentia.
* Tib. civ. Milano 7 ottobre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 832.
In tema di locazione di immobili urbani, appartiene alla competenza per materia del pretore, ai sensi dell'art. 29

della L. 23 maggio 1950, n. 253 e dell'art. 10 della L. 26 novembre 1969, n. 833, la causa, iniziata anteriormente
all'entrata in vigore della L. 27 luglio 1978, n. 392, concernente le domande con le quali il locatore, da un lato,
chieda accertarsi la sussistenza o meno del suo obbligo di contribuire alle spese di riscaldamento in
considerazione del mancato uso del servizio da parte del conduttore e, dall'altro, subordinatamente
all'accertamento di detto obbligo, chieda la condanna del conduttore al pagamento delle dette spese
direttamente all'amministrazione del condominio ovvero alla restituzione di quanto anticipato dallo stesso
locatore.
* Cass. civ., 20 agosto 1990, n. 8498.
Trasferimento della centrale termica.
La delibera con la quale l'assemblea dei condomini decide di demolire e asportare l'impianto di riscaldamento e
di ricostruirlo ex novo in luogo diverso e con caratteristiche del tutto differenti, anche se ispirata dalla necessit
di adeguare l'impianto alle prescrizioni della L. 13 luglio 1966 n. 615, recante provvedimenti contro
l'inquinamento atmosferico, deve pur sempre ritenersi relativa a vere e proprie innovazioni e non ad opere di
manutenzione straordinaria. (Nella specie il condomino lamentava che l'installazione della nuova centrale
termica comportava una sensibile menomazione dell'uso del cortile comune, rendendo difficoltosa la manovra di
accesso al garage di propriet esclusivo dell'attore).
* Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1980, n. 2288, Condominio di Viale Cesare Augusto c. Trasacco. in Arch. loc. e
cond. 1980, 372.
Trasformazione in impianti singoli.
La delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari a
gas, ai sensi dell'art. 26, comma 2, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, in relazione all'art. 8. comma 1, lett. g)
della stessa legge, assunta a maggioranza delle quote millesimali valida anche se non accompagnata dal
progetto di opere corredato dalla relazione tecnica di conformit di cui all'art. 28. comma primo della legge
stessa, attenendo tale progetto alla successiva fase di esecuzione della delibera.
*Cass. civ., sez. II, 1luglio 1997, n. 5843, Palmisano c. Pietrella e altri.
In tema di condominio di edifici, la delibera dell'assemblea di eliminazione dell'impianto di riscaldamento
centralizzato per far luogo ad impianti autonomi di riscaldamento richiede il consenso unanime dei condomini,
senza che sia sufficiente la maggioranza di cui al secondo e quarto comma dell'art. 1136 c.c., n quella di cui al
quinto comma dello stesso articolo, configurando non una semplice modifica, ma una radicale alterazione della
cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unit
immobiliari gi allacciate o suscettibile di allacciamento, che urta contro il limite invalicabile di cui all'art. 1120,
secondo comma, c.c., che vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al
godimento anche di un solo condomino dissenziente. In tale ipotesi non pu trovare applicazione l'art. 5, quarto
comma. della L. 29 maggio 1982, n. 308. il quale dispone che, in caso di interventi su punti comuni di edifici volti
al contenimento del consumo energetico termico degli edifici stessi ed all'utilizzazione delle fonti energetiche
rinnovabili, sono valide le relative decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali, atteso che presuppone
l'attuazione di un migliore uso o di un maggiore rendimento della cosa comune, ma non il suo mutamento ex art.
1120, secondo comma, c.c. e tantomeno la sua soppressione.
* Cass. civ., 10 giugno 1991, n. 6565.
In tema di condominio di edifici, la delibera di rinuncia all'impianto centralizzato di riscaldamento nella disciplina
previgente alla L. 9 gennaio 1991 n. 10, configurando non una semplice modifica, bens una radicale
trasformazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica, obiettivamente
pregiudizievole per tutte le unit immobiliari gi allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, soggetta
all'art. 1120 secondo comma c.c., che vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni dell'edificio inservibili
all'uso o al godimento anche di un solo condomino dissenziente, senza che in contrario rilevi la disposizione
dell'art. 5 della L. 29 maggio 1982 n. 308 (abrogata dall'art. 23 della citata L. n. 10 del 1991), che si riferisce alla
diversa ipotesi di interventi su parti comuni di edifici volti al contenimento di consumo energetico.
* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1993, n. 1926, Branchesi c. Cond. Savoia.
L'amministratore del condominio passivamente legittimato in ordine alla domanda giudiziale del condomino
volta all'accertamento della invalidit della delibera assembleare relativa alla trasformazione, secondo le
previsioni della legge 9 gennaio 1991, n. 10, dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari,
trattandosi di controversia riguardante un bene comune; ne deriva che in tale ipotesi non occorre procedere
all'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini, i quali peraltro restano sempre legittimati ad
intervenire in proprio o a proporre impugnazione.
* Cass. civ., sez. II, l luglio 1997, n. 5843, Palmisano c. Pietrella e altri.
- nulla la deliberazione condominiale di trasformazione dell'impianto termocentralizzato in impianti termosingoli
adottata a maggioranza, qualora non sia accompagnata dall'approvazione di un progetto delle opere da
realizzare, redatto a cura del proprietario dell'edificio o di chi ne ha titolo (normalmente l'amministratore del
condominio) e corredato dalla relativa relazione tecnica di conformit, prescritti dalla L. n. 10/1991 in modo "da
consentire ai condomini dissenzienti di verificare che il sacrificio del loro diritto al mantenimento del servizio
comune risponda alle finalit ed alle prescrizioni della legge stessa".
* Trib. civ. Chiavari, 3 maggio 1995, n. 151, Squassi ed altri c. Condominio di Via Arata n. 17 in Chiavari, in Arch.
loc. e cond. 1995, 642.
- nulla la deliberazione condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento adottata a
maggioranza dei millesimi qualora non sia accompagnata dall'approvazione di un progetto e della relativa
relazione tecnica di conformit prescritti dalla L. n. 10/91, in modo da consentire ai condomini dissenzienti di
verificare che il sacrificio del loro diritto al mantenimento del servizio comune risponda alle finalit ed alle
prescrizioni della legge stessa.

* Trib. civ. Roma. sez. III, 3 marzo 1993, n. 3390, Palma e altri c. Cond. di via Valbondione n. 98 di Roma, in
Arch. loc. e cond. 1993, 110.
- nulla la delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti
termoautonomi adottata con la maggioranza delle quote millesimali senza che ciascun condomino sia stato reso
edotto dell'effettivo contenimento dei consumi energetici tramite la messa a disposizione del progetto e della
relativa relazione tecnica di conformit prescritti dalla L. n. 10/1991.
* Trib. civ. Trani, ord. 6 marzo 1996,
In tema di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti termoautonomi, l'art. 26, n. 2
della L. n. 10/199 1 (disciplina di chiara valenza pubblicistica che, come tale, imperativa e prevalente su quella
privatistica) implicitamente deroga agli artt. 1120 e 1136 c.c., ritenendo sufficiente e valida una delibera votata
dalla sola maggioranza delle quote millesimali, senza che vi sia alcuna necessit della maggioranza personale:
non necessario nemmeno che tale delibera faccia riferimento al progetto esecutivo, alla relazione tecnica e,
pi in generale, al rispetto della normativa UNI e CEI.
* Trib. civ. Torino, sez. I, 19 ottobre 1994, n. 7963,
Per poter ritenere legittima ex L. n. 10/1991 la delibera di trasformazione dell'impianto termocentralizzato si
richiede: a) l'acquisizione del relativo progetto a gas per il riscaldamento e l'acqua calda; b) l'identificazione dei
condomini che - ex art. 1121 c.c. - abbiano dichiarato di non voler beneficiare della trasformazione; c) la
definizione precisa della pratica di trasformazione per la concessione del contributo (preferibilmente unitaria); d)
la ripartizione degli oneri inerenti alla trasformazione.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 9 luglio 1993, n. 7244,
Una delibera assembleare che - in applicazione della L. n. 10/1991 - approvi la trasformazione dell'impianto
centralizzato di riscaldamento in singoli impianti autonomi legittima solo se viene assunta in presenza di un
progetto idoneo a stabilire sia la concreta attuabilit sia l'effettiva convenienza, sotto il profilo del risparmio
energetico, di tale trasformazione.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 2 aprile 1992, Rossari e altra c. Cond. di via Risorgimento n. 11 di Corbetta, in Arch.
loc. e cond. 1993, 573.
- valida la delibera assembleare (adottata a maggioranza dei millesimi) la quale, disponendo lo sgombero del
locale contenente la centrale termica al fine della sua sostituzione con impianti termoautonomi, privi alcuni
condomini che ne abbiano fatto richiesta dell'uso dell'impianto centralizzato, di cui essi siano disposti ad
assumersi tutte le spese di gestione. Ci in quanto la ratio della L. n. 10/1991, che quella di contenere il
consumo di energia negli edifici, sarebbe vanificata, dato che il funzionamento di una caldaia idonea a
soddisfare i bisogni di un intero condominio, ma utilizzata di fatto solo da alcuni condomini, determinerebbe un
consumo di energia molto elevato.
* Trib. civ. Udine, 30 dicembre 1996, n. 1161, Mezzacasa ed altra c. Condominio Perseverare di Udine, in Arch.
loc. e cond. 1997, 266.
Secondo il combinato disposto degli artt. 8, lettera g) e 26 della L. n. 10/1991, per gli interventi in parti comuni
degli edifici e consistenti nella trasformazione di impianti centralizzati di riscaldamento in impianti unifamiliari a
gas metano, sono valide le delibere assembleari prese a maggioranza delle quote millesimali ed ispirate ad una
finalit di risparmio energetico e di riduzione del tasso d'inquinamento, in sintonia ed in conformit con la ratio
della L. n. 10/1991. Tali delibere non sono inficiate da nullit qualora la decisione dell'assemblea sia stata
assunta pur in mancanza di dati tecnici da cui emerga la convenienza della trasformazione sotto il profilo del
risparmio economico, in quanto trattasi di questione attinente al merito della gestione condominiale.
* Trib. civ. Terni, 18 luglio 1996, n. 422, in Arch. loc. e cond. 1996, n. 5.
La delibera dell'assemblea dei condomini costituisce solo il momento iniziale del procedimento di trasformazione
dell'impianto di riscaldamento da centralizzato a unifamiliare a gas. la cui validit non condizionata dal
preventivo approntamento e messa a disposizione dei condomini del progetto e della relazione tecnica.
* Trib. civ. Avellino, 19 dicembre 1996, n. 1246,
In tema di condominio degli edifici, la delibera di rinuncia non al mero servizio, ma all'impianto centralizzato di
riscaldamento, configurando non una semplice modifica bens una radicale alterazione della cosa comune nella
sua destinazione strutturale od economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unit immobiliari gi
allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, urta contro il limite invalicabile di cui al secondo comma
dell'art. 1120 cod. civ., che vieta tutte "le innovazioni.., che rendano... parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o
al godimento anche di un solo condomino" dissenziente, senza che possa rilevare la mancanza di assoluta
irreversibilit dell'adottata decisione, n la particolare onerosit del mantenimento ed adeguamento degli
impianti.
* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1986, n. 7256, Cond. G. Lido c. Taf.
In tema di condominio la delibera assembleare di eliminazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato per
fare luogo ad impianti autonomi di riscaldamento richiede il consenso unanime dei condomini, senza che sia
sufficiente la maggioranza di cui al secondo e al quarto comma dell'art. 1136 c.c., n quello di cui al quinto
comma dello stesso articolo, configurando non una semplice modifica, ma una radicale alterazione della cosa
comune nella sua destinazione strutturale o economica.
* Trib. civ. Napoli, 26 ottobre 1996, n. 8837. in Rass. Ioc. e cond. 1996, 495.
In tema di condominio degli edifici, la trasformazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in impianti
autonomi, richiede il consenso di tutti i condomini, giacch l'abbandono dell'impianto centralizzato, la rinuncia
alle precedenti modalit di riscaldamento, la destinazione a nuovo impianto di locale idoneo, la necessit di
nuove opere e relativi oneri di spesa, non possono essere imposti al condomino dissenziente, ai sensi dell'art.
1120, secondo comma.
*Cass. civ., 27 aprile 1991, n. 4652.

Il condominio pu deliberare, con la maggioranza qualificata di cui al comma 1 dell'art. 1120 c.c., che il
dismesso impianto centralizzato di riscaldamento sia mantenuto in esercizio solo per il riscaldamento dei locali
condominiali, trattandosi di un'attivit che, senza alterarne la consistenza e la destinazione originaria, attua il
potenziamento ed il migliore godimento della cosa comune.
*Cass. civ., sez. II, 1 marzo 1995, n. 2329, Hansalop Anstalt c. Cond. di via Zandonai n. 86-88, di Roma.
La delibera assembleare costituisce solo il momento iniziale del procedimento di trasformazione dell'impianto di
riscaldamento da centralizzato a unifamiliare a gas, procedimento che prevede anzitutto che, a cura del
proprietario dell'edificio o di chi ne ha titolo, sia redatto un progetto delle opere da realizzare, corredato da una
relazione tecnica, da allegare alla denuncia dell'inizio dei lavori (art. 28), finalizzato al rilascio della certificazione
e collaudo delle opere (art. .29) e alla certificazione energetica dell'edificio (art. 30).
*Trib. civ. Roma, ord. 4 marzo 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 359.
In tema di riscaldamento di condominio degli edifici, la delibera avente ad oggetto la rinuncia all'impianto
centralizzato di riscaldamento e l'installazione di impianti autonomi valida se adottata con la maggioranza
indicata dal quinto comma dell'art. 1136 cod. civ. purch l'installazione degli impianti autonomi non comporti una
spesa eccessivamente onerosa.
*Trib. civ. Roma, ord. 11 novembre 1987, Chiarelli c. Alessandrini e altri, in Arch. loc. e cond. 1988, 400.
La decisione di procedere all'installazione di impianti di riscaldamento autonomo, in sostituzione dell'impianto
centralizzato a carbone non costituisce innovazione vietata ex art. 1120 secondo comma c.c., quando
l'assemblea condominiale abbia inteso uniformarsi, con tale delibera, all'ordinanza del Sindaco che vieta
l'utilizzazione di impianti di riscaldamento a carbone e abbia accertato l'impossibilit di trasformare l'impianto
esistente se non a prezzo di oneri estremamente gravosi.
* Trib. civ. Milano, 18 dicembre 1991. n. 10582, in Giust. a Mil. 1992, n. 2.
In tema di innovazioni ex art. 1120 cod. civ., la trasformazione dell'impianto termico condominiale in impianti
termo singoli, comportando la disattivazione dell'impianto condominiale e la sua inutilizzabilit da parte dei
condomini (ad esempio da parte dei condomini dissenzienti) integra una fattispecie di innovazione vietata poich
eccede i limiti della conservazione, dell'ordinaria amministrazione e del godimento delle cose, ed incide
sull'interesse di tutti i condomini, anche se dettata da motivi tecnici.
* Trib. civ. Firenze, 20 ottobre 1988, n. 1609, Kranjcevic Srl c. Condominio di via R. Giuliani, nn. 137-139, in
Firenze, in Arch. loc. e cond. 1989, 527.
Gli assegnatari di alloggi di edilizia pubblica residenziale possono costituire assemblee gestionali dei servizi
comuni, al fine di regolare le modalit della loro erogazione e del loro uso, nonch della ripartizione delle spese
ma non possono, invece, adottare decisioni destinate ad incidere sulla struttura di un impianto comune,
alterandone l'originaria impostazione e modificandone la consistenza e l'ambito degli effetti che gli sono propri.
(Nella specie, trasformazione del servizio centralizzato di riscaldamento con impianto autonomo).
* Cass. civ., 23 aprile 1991, n. 4425.
La delibera assembleare che, avendo constatato lo stato di usura e la non conformit alle norme di sicurezza
antincendi di un impianto di riscaldamento centralizzato autorizza i singoli condomini a procedere
all'installazione di impianti singoli, non arreca alcun pregiudizio al condomino dissenziente, posto che questi non
potrebbe comunque godere dell'impianto, ma consente soltanto ai condomini di procurarsi l'utilit resa in
precedenza dal bene comune con modalit differenti, pi comode e convenienti.
* Trib. civ. Lecce, 30 aprile 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 508.
E' valida la delibera assembleare che, a maggioranza, disponga la sostituzione dell'impianto centralizzato di
riscaldamento a gasolio con impianti autonomi a metano.
*Pret. civ. Camerino, 5 giugno 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 508.
Costituisce innovazione la disattivazione definitiva dell'impianto centralizzato di riscaldamento ed acqua calda
con conseguente trasformazione in impianti di riscaldamento autonomo, secondo le scelte da operarsi dai
singoli condomini nell'ambito delle rispettive propriet esclusive.
* Corte app. civ. Genova, 19 febbraio 1991, n. 53, in Arch. loc. e cond. 1991, 508.
La trasformazione di un impianto centralizzato di riscaldamento in impianti a gas di propriet singola (avvenuta
in virt di quanto dispone la L. 9 gennaio 1991, n. 10) esclude sia sotto l'aspetto funzionale che sotto quello
giuridico la conservazione attiva del sistema termico trasformato, le cui componenti materiali rimangono solo
come semplici residuati per la opportuna rottamazione, non potendo la minoranza dissenziente pretendere di
lasciare attivo ovvero riattivare e far funzionare a proprie spese l'impianto trasformato, in quanto ci sarebbe
contrario alla ratio legis che chiaramente quella della razionalizzazione dell'energia sotto il triplice profilo
termico, economico ed ecologico.
* Trib. civ. Napoli, 29 novembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 364.
La legge n. 10 del 1991 ritiene meritevole di tutela agli effetti della determinazione della maggioranza dei
consensi solo la delibera di trasformazione dell'impianto, non pure quella che abbia ratificato o autorizzi
comunque distacchi isolati da parte di singoli condomini e che rappresenterebbe certamente un'incoerente
regola-mentazione termoenergetica condominiale lasciando coesistere in maniera disordinata, con dispersioni
calorifiche e sprechi, due sistemi, quello termocentralizzato e quello singolo, con conseguente alterazione e
squilibrio termico del primo non compensato dal secondo.
* Trib. civ. Napoli, 29 novembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 364.
La demolizione e asportazione dell'impianto di riscaldamento e la sua ricostruzione con caratteristiche diverse,
anche se determinate dalla necessit di adeguamento dell'impianto alle disposizioni che disciplinano la materia
in relazione alle esigenze di risparmio energetico e di tutela ambientale, costituisce vera e propria innovazione.
La relativa delibera non perci adottabile a maggioranza sia pure qualificata (art. 1120 c.c.) ed quindi
illegittima se non ha ottenuto il consenso di tutti i partecipanti al condominio.

* Trib. civ. Milano, 7 febbraio 1991, n. 970, in Arch. loc. e cond. 1991, 508.
Sussistono entrambi i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, che ne legittimano la sospensione,
nel caso di delibera di assemblea condominiale che a maggioranza stabilisca la trasformazione dell'impianto
comune di riscaldamento da centralizzato in autonomo (fattispecie in cui la delibera condominiale era stata
impugnata sotto il duplice profilo formale, per violazione del combinato disposto degli artt. 1136, sesto comma,
c.c. e 67, secondo comma, att., e sostanziale, per violazione dell'art. 1120. secondo comma, c.c.).
* Trib. civ. Pescara, ord. 2 dicembre 1991, in P.Q.M. 1991, 3,61.
Le disposizioni di cui agli artt. 8, lettera g) e 26 della L. n. 10/1991, che prevedono che per gli interventi in parti
comuni degli edifici e consistenti nella trasformazione di impianti di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas
siano valide le delibere assembleari prese a maggioranza delle quote millesimali, sono da ritenersi applicabili
anche nel corso del processo iniziato prima dell'entrata in vigore della stessa.
* Trib. civ. Milano, 16 dicembre 1991, n. 10582, in Arch. loc. e cond. 1992, 364.
Tubazioni.
La collocazione in un vano (o altro ambiente o spazio) compreso nel perimetro del condominio delle tubazioni (o
parte di esse) dell'impianto termico centralizzato, o di altro servizio comune, non rende di per s quel vano
insuscettibile di autonomo ed esclusivo diritto di propriet, salve le limitazioni di tale diritto - concretanti
corrispondenti servit - correlate all'obbligo di consentire e conservare la destinazione di tali tubazioni al servizio
ed a vantaggio dell'intero edificio condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 19maggio 1992, n. 5978, Cecconi e altri c. Giovagnetti. Appignanesi e altri e Fossi e altri, in
Arch. loc. e cond. 1992, 772.
Il condomino di un edificio non pu operare, ostandovi gli artt. 1102 e 1120 c.c., innovazioni sul tratto di
pertinenza del proprio appartamento dell'impianto comune di riscaldamento (nella specie: interrompendo il
percorso delle tubature) in guisa da impedire l'utilizzazione dell'impianto da parte degli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 2 maggio 1996, n. 4023. Bonutti c. Bonutti.
Vigilanza.
A norma dell'art. 1130. n. 2 cc., spetta all'amministratore disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei
servizi nell'interesse comune in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini. In tale
incombenza dell'amministratore rientra la vigilanza sulla regolarit dei servizi comuni, anche per quanto attiene
alle interferenze con i singoli appartamenti, e il dovere di eseguire verifiche e di impartire le necessarie
provvidenze intese a mantenere integra la parit del godimento dei beni comuni da parte di tutti i condomini;
pertanto, ben pu essere disposta la sostituzione negli impianti di termosifone centrale, esistenti nei singoli
appartamenti, dei bocchettoni liberamente manovrabili con detentori fissi, quando tale rimedio sia volto a
disciplinare l'uso del servizio da parte dei singoli condomini.
* Cass. civ., 17 maggio 1960, n. 1216.
Poich a norma dell'art. 1122 c.c. il limite alla facolt di ogni condomino di eseguire opere sul proprio piano (o
porzione di piano di sua propriet) si identifica in ogni danno consistente nella diminuzione di valore della cosa
comune riferito alla funzione della cosa, considerata nella sua unit, costituisce danno per le cose comuni anche
il pericolo attuale e non meramente ipotetico connesso con il rischioso funzionamento o con la realizzazione
imperfetta di un impianto autonomo di riscaldamento, quando la tecnica di realizzazione e la complessit delle
operazioni necessarie per l'uso dello stesso comportino la possibilit di recare danno all'impianto di
riscaldamento centrale.
* Cass. civ., sez. Il, 25 gennaio 1995, n. 870, Bilotta c. Condominio di via Gallucci 6 di Catanzaro.
Nel caso in cui l'insufficiente riscaldamento di un appartamento dipenda da una deficienza nell'organizzazione e
conduzione dell'impianto di riscaldamento comune, l'amministrazione condominiale tenuta ad eliminare ogni
vizio o difetto dell'impianto, risarcendo il singolo partecipante danneggiato.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 gennaio 1989, n. 680, Condominio di Via Bertelli 2, Milano c. Migliavacca, in
Arch. loc. e cond. 1990, 94.
Il singolo condomino, in quanto detentore dei radiatori, responsabile del non perfetto funziona-mento
dell'impianto di riscaldamento a causa dell'aria presente nei radiatori medesimi e nei tratti di tubo che dal
pavimento salgono fino alla valvola di sfogo.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 6 aprile 1992, n. 4166, Montano c. Cond. di via Grossich n. 31 di Milano, in Arch.
loc. e cond. 1993, 123.
Sono da ritenere responsabili sia il tecnico installatore che il proprietario dell'immobile locato in caso di decesso
del conduttore dovuto all'imperfetto funzionamento dell'impianto termico.
* Pret. pen. L'Aquila. 5 ottobre 1992, M. e altro, in .Arch. loc. e cond. 1993, 586.
Colui che installa uno scaldaacqua alimentato a gas metano ha il dovere di predisporre tutte le opere e i presidi
suggeriti dalla buona tecnica, dalla prudenza e dall'esperienza, al fine di rendere pienamente efficiente il sistema
di smaltimento dei prodotti della combustione e, in ogni caso, di verificare la funzionalit della canna di
esalazione ditali prodotti. L'osservanza di tale dovere prescinde dall'evenienza che l'impianto di smaltimento sia
realizzato al momento dell'installazione ovvero preesista in quanto, prima di porre in attivit l'apparecchiatura.
deve essere accertata l'idoneit funzionale e l'assenza di condizioni foriere di danno per le persone.
* Cass. pen., sez. IV, 23 febbraio 1993, n. 1762 (ud. 18 dicembre 1992), Bianco.
Colui che provvede alla installazione di un apparecchio pericoloso, quale lo scaldabagno a gas, ha il dovere di
adottare tutte le misure imposte dalla tecnica e dall'esperienza, maturate tra gli esperti o suggerite dalla comune
prudenza, per assicurare il corretto funzionamento dell'apparecchio e prevenire danni alle persone. (Fattispecie
in cui la morte della vittima era stata causata da un'acuta intossicazione da ossido di carbonio prodotto a sua
volta dall'irregolare funzionamento del tubo di scarico dello scaldabagno a gas che era stato installato

dall'imputato, ritenuto responsabile di omicidio colposo).


SOPRAELEVAZIONE
Applicabilit della norma.
L'art. 1127 c.c. in tema di sopraelevazione sopra l'ultimo piano dell'edificio, essendo inserito nella
regolamentazione del condominio, pi specifica rispetto a quella della comunione in generale, ed avendo, nel
primo comma, quale destinatario il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, postula una divisione della propriet
in senso orizzontale e non trova pertanto applicazione nella comunione disciplinata negli articoli da 1100 a
lll6c.c.
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n. 10699, Parrocchia della Cattedrale di Avellino c. Camera di
Commercio di Avellino.
Colonna d'aria sovrastante l'edificio.
Lo spazio aereo sovrastante il suolo costituisce una proiezione di questo ultimo verso l'alto ed perci
liberamente utilizzabile dal proprietario del suolo quando non vi osti un diritto reale di terzi. Ne consegue che
l'acquisto per usucapione della propriet di una superficie posta alla sommit di un edificio giustifica la
sopraelevazione da parte dell'usucapiente con conseguente occupazione dello spazio aereo sovrastante.
* Cass. civ., sez. II, 30 gennaio 1997, n. 926, Tirloni c. Marchetti.
La "colonna d'aria" sovrastante l'edificio condominiale appartiene in propriet a tutti i condomini, in quanto
comproprietari del suolo su cui l'edificio sorge, ed perci che nel momento in cui essi ne vengano in parte
privati, a seguito di sopraelevazione dello stabile - anche se eseguita dal proprietario esclusivo dell'ultimo piano
o del lastrico solare - sorge in loro favore il diritto ad essere indennizzati della perdita ai sensi dell'art. 1127 c.c.
* Cass. civ., 27 dicembre 1975, n. 4233.
L'indennit a carico di chi sopraeleva trova la sua ragione giustificativa nell'utilizzazione della colonna d'aria,
corrispondente alla proiezione in altezza, e cio in senso verticale, del suolo su cui costruito l'edificio, nonch
del godimento delle parti e dei servizi comuni, ed ha il suo presupposto giuridico nella comunione dell'area
costituente la base dello stabile, il cui valore, ripartito pro quota fra i condomini, ricompreso in quella di ciascun
piano o porzione di piano.
* Cass. civ., 7 dicembre 1974, n. 4093.
condizioni statiche.
La sopraelevazione realizzata dal proprietario dell'ultimo piano di edificio condominiale, in violazione delle
prescrizioni e cautele tecniche fissate dalle norme speciali antisismiche, riconducibile nell'ambito della
previsione dell'art. 1127 secondo comma cod. civ., in tema di sopraelevazioni non consentite dalle condizioni
statiche del fabbricato. A fronte di tale opera, pertanto, deve riconoscersi la facolt del condominio di ottenere
una condanna alla demolizione del manufatto, nonch la legittimazione alla relativa azione dell'amministratore
del condominio medesimo, vertendosi in materia di atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni
dell'edificio (art. 1130 n.4 e art. 1131 cod. civ.).
* Cass. civ., Sezioni Unite, 8 marzo 1986, n. 1552, Bellusci c. Cond. V. XII Gen.
L'art. 1127 cod. civ., che vieta al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale sopraelevazioni precluse
dalle condizioni statiche del fabbricato medesimo, e, quindi, consente all'altro condomino di agire per la
demolizione delle opere realizzate in violazione di detto divieto, trova applicazione pure nel caso di
sopraelevazioni che non osservino le specifiche disposizioni dettate dalle leggi antisismiche, anche in tale
ipotesi, peraltro, la relativa domanda, investendo un rapporto privatistico cui estranea la pubblica
amministrazione, rientra nell'ambito della giurisdizione del giudice ordinario.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 12 febbraio 1987, n. 1541, Arzeni c. Panzini.
La norma dell' art. 1127 cod. civ. sottopone il diritto del proprietario dell'ultimo piano a tre limiti dei quali il primo
(condizioni statiche) introduce un divieto assoluto, cui possibile ovviare se con il consenso unanime dei
condomini il proprietario sia autorizzato all'esecuzione delle opere di rafforzamento e di consolidamento
necessarie a rendere idoneo l'edificio a sopportare il peso della nuova costruzione, mentre gli altri due limiti
(turbamento delle linee architettoniche. diminuzione di aria e luce) presuppongono l'opposizione facoltativa dei
singoli condomini contro-interessati.
* Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1986, n. 3532, Santoro c. Certelli. Conf. Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1996, n.
2708.
Il proprietario dell'ultimo piano di edificio condominiale, in mancanza del consenso degli altri partecipanti. non
pu sottrarsi al divieto di sopraelevazioni non consentite dalle condizioni statiche del fabbricato (art. 1127
secondo comma cod. civ.), provvedendo direttamente all'esecuzione di opere di rafforzamento e
consolidamento, specie se queste implichino un'invasione della sfera di godimento degli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1983, n. 4009, Picciolo c. Aramini.
Contraria previsione del titolo.
L'art. 1127, primo comma. cod. civ., nel consentire al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale,
ovvero al proprietario esclusivo del lastrico solare, di elevare "nuovi piani" o "nuove fabbriche", contempla, con
riguardo ad entrambe le ipotesi, la contraria previsione del titolo, con la conseguenza che questo ultimo (nella
specie, regolamento condominiale di tipo contrattuale) pu legittimamente vietare anche l'aggiunta di manufatti a
quelli preesistenti all'ultimo piano (nella specie, veranda di chiusura di lastrico "terrazzato" a livello).
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1987, n. 4632, Sciunmach c. Cesarini.
La limitazione convenzionale del diritto di sopraelevazione ex art. 1127 cod. civ. (nella specie: mediante clausola
degli atti di vendita di appartamenti condominiali da parte del titolare ditale diritto), la quale ha indubbia natura
reale, una volta trascritto il titolo che la prevede, opponibile al terzo acquirente del bene su cui essa grava
(nella specie: terrazza di copertura dell'edificio condominiale), a nulla rilevando la sua mancata riproduzione
nell'atto di trasferimento di detto bene.

* Cass. civ., sez. Il, li novembre 1982, n. 5958, Lener c. Soltesz.


controversie.
La domanda rivolta a denunciare l'illegittimit della sopraelevazione dell'ultimo piano di edificio condominiale,
per violazione dell' art. 1127 secondo comma cod. civ. o di norme convenzionali (come quelle del regolamento
condominiale di tipo contrattuale), la quale pu essere proposta pure dal singolo condomino, a tutela del decoro
o della statica del fabbricato, ovvero del proprio godimento di aria o luce, spetta alla cognizione del giudice
ordinario, anche quando si tratti di edificio urbano, ricollegandosi a posizioni di diritto soggettivo, e pu implicare
la condanna alla demolizione del manufatto (eseguibile con la procedura di cui agli artt. 612 e segg. cod. proc.
civ. in tema di obblighi di fare).
* Cass. civ., Sezioni Unite, 21 gennaio 1988, n. 426, Ferri c. Pedretti.
Qualora per l'esistenza di un titolo contrario il diritto alla sopraelevazione, ex art. 1127 cod. civ., risulti in tutto od
in parte escluso, il singolo condomino pu agire giudizialmente, senza necessit di integrazione del
contraddittorio nei confronti degli altri condomini, per far accertare nei riguardi di colui che ha effettuato la
sopraelevazione dell'edificio l'inesistenza del diritto di procedervi e per ottenere le conseguenziali pronunzie di
riduzione dei luoghi nel pristino stato, poich la compropriet delle parti comuni realizzate nel fabbricato
condominiale in occasione ed a seguito della sopraelevazione, in tanto sorge ed configurabile (e rileva, quindi,
anche al limitato effetto di fare assumere la veste di litisconsorte necessario a ciascuno degli altri condomini del
medesimo fabbricato), in quanto sussistono le condizioni richieste dall'art. 1127 cod. civ. Resta, peraltro, salvo il
diritto degli altri condomini di spiegare intervento volontario autonomo nel processo, inteso a far dichiarare,
alternativamente, sia l'inesistenza delle condizioni richieste per la sopraelevazione ai sensi ed agli effetti di cui
all'art. 1127 cod. civ. (in concorrenza con la domanda gi proposta), sia l'esistenza delle stesse condizioni, in
relazione all'interesse ed alla legittimazione propri dell'interventore ai fini della tutela e della conservazione delle
cose comuni realizzate nel legittimo esercizio del diritto di sopraelevazione.
* Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1982, n. 5958, Lener c. Soltesz.
In ipotesi di sopraelevazione in edificio in condominio, legittimato passivo nell'azione per danni causati alle cose
di propriet esclusiva di singoli condomini soltanto colui che sopraeleva e non il condominio.
* Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1970, n. 338.
Differenze dal diritto di superficie.
Il diritto di sopraelevazione spettante al proprietario dell'ultimo piano o del lastrico solare, a norma dell'art. 1127
c.c., diverso dal diritto di superficie su edificio costruito o costruendo, attribuito a un terzo dai condomini di
quest'ultimo. Infatti, mentre il primo incontra i limiti fissati dalla citata norma, il secondo soggetto soltanto alle
condizioni stabilite nel contratto. Inoltre, quest'ultimo diritto, qualora abbia ad oggetto la costruzione di tutti i
possibili piani che siano compatibili con la solidit dell'edificio, pu essere esercitato anche per gradi, in tempi
diversi. Ne discende che l'acquirente del diritto di superficie, il quale, in seguito alla costruzione di uno soltanto
dei suddetti piani, abbia acquistato il diritto di sopraelevare ulteriormente nei limiti del citato art. 1127 c.c., e
legittimato a chiedere l'accertamento giudiziario del diverso e pi ampio diritto di sopraelevazione derivantegli
dal contratto costitutivo della superficie.
* Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1975, n. 4078.
Diritti dei proprietari dei nuovi piani.
In ipotesi di sopraelevazione di edificio condominiale, i proprietari dei piani (o delle porzioni di piano) risultanti
entrano a far parte del condominio ipso facto e ipso iure e, conseguentemente, ai sensi dell'art. 1117 cod. civ.,
acquistano senz'altro un diritto di comunione su tutte le parti di edificio ivi menzionate, ancorch comprese nei
piani preesistenti, salva contraria disposizione del titolo, comunque non desumibile dal silenzio o da eventuali
pretermissioni di questo, specie per le entit immobiliari condizionanti l'esistenza e la conservazione del
fabbricato (suolo, strutture di copertura, muri perimetrali, tramiti di accesso, ecc.), trattandosi di entit di cui
fruiscono necessariamente tutti i condomini e per le quali, pertanto, pu escludersi il regime di compropriet solo
se il titolo precisi il minor diritto succedaneo (servit, diritto d'uso, ecc.) a base di siffatta fruizione.
* Cass. civ., sez. II, 11 maggio 1984, n. 2889, Gismondi S. c. Marvaldi G.
Distanze legali.
Con riguardo alle sopraelevazioni l'art. 17 comma primo lett. c) della L. 6 agosto 1967 n. 765 (cosiddetta legge
ponte) prevedendo che la distanza tra edifici vicini non pu essere inferiore all'altezza di ciascun fronte
dell'edificio da costruire, si riferisce per la determinazione dell'altezza alla parte dell'edificio da realizzare non
anche all'intero corpo di fabbrica sopraelevato, considerato l'intento del legislatore di non incidere su diritti
quesiti, derivanti da una costruzione realizzata in precedenza nel rispetto delle distanze legali, in applicazione
del principio secondo cui l'attivit edilizia regolata dalla legge vigente nel momento in cui essa realizzata.
Tale principio, peraltro, non comporta che in caso di successive sopraelevazioni ciascuna sia soggetta a
separato computo dell'altezza, dovendo la relativa determinazione essere effettuata con riferimento a tutte le
sopraelevazioni.
* Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1992, n. 4799, Rovere c. Qddo.
Divieto.
L'art. 1127 c.c. sottopone il diritto del proprietario dell'ultimo piano alla sopraelevazione a tre limiti, dei quali il
primo (condizione statica) introduce un divieto assoluto, cui possibile ovviare se, con il consenso unanime dei
condomini, il proprietario sia autorizzato all'esecuzione delle opere di rafforzamento e di consolidamento
necessarie a rendere idoneo l'edificio a sopportare il peso della nuova costruzione, mentre gli altri due limiti
(turbamento delle linee architettoniche, diminuzione di aria e di luce) presuppongono l'opposizione facoltativa dei
singoli condomini contro-interessati. Pertanto, l'art. 1127 cit. ha carattere innovativo rispetto al corrispondente
art. 12 R.D.L. 15 gennaio 1934 n. 56, in quanto inibisce al proprietario dell'ultimo piano di sopraelevare se le

condizioni statiche in atto dell'edificio siano sfavorevoli e la sopraelevazione richieda opere di rafforzamento e di
consolidamento delle strutture essenziali.
* Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1996, n. 2708, Pacetti c. La Veglia ed altri.
Il divieto di sopraelevazione, previsto in un regolamento condominiale di natura contrattuale, avente
sostanzialmente natura di servitutis altius non tollendi a carico dell'ultimo piano dell'edificio ed a favore sia delle
parti di propriet comune che di quelle di propriet esclusiva, pu essere fatto valere da ciascuno dei condomini
sia come tale che quale proprietario esclusivo di una porzione dell'edificio.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5776, Belforti c. Ded.
L' art. 1127 c.c., disciplinante il regime legale delle sopraelevazioni, derogabile, come emerge dall'espressa
riserva contenuta nel primo comma, da una convenzione preesistente o coeva alla costituzione del condominio.
Ne consegue che il divieto assoluto di sopraelevazione - nella specie, stabilito dal regolamento di condominio
(costituente parte integrante del contratto di acquisto dei singoli cespiti) a carico dell'ultimo piano dell'edificio ed
a favore tanto delle parti di propriet comune, quanto delle unit immobiliari in propriet esclusiva dell'edificio avendo sostanzialmente natura di servit altius non tollendi, pu essere fatto valere sia da i singoli condomini
che dal condominio.
* Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 1994, n. 10397, Cannici c. Condominio "Stadio 5".
La facolt di sopraelevare spetta ex lege al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio o al proprietario esclusivo
del lastrico solare, salve le limitazioni di cui al secondo e terzo comma dell'art. 1127 cod. civ., ed il suo esercizio
non necessita di alcun riconoscimento da parte degli altri condomini, ma pu soltanto essere vietato in forza di
un'espressa pattuizione, costitutiva di una servit assimilabile a quella non aedificandi.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1983, n. 805, Nicosia c. Fall. Pantalena.
La vendita dell'area soprastante l'edificio da parte del proprietario di esso, con il divieto per l'acquirente di
costruire su di essa pi di un piano e con il patto che il lastrico soprastante il piano sopraelevato rester solo in
parte di propriet del costruttore, d luogo a costituzione di servit di non sopraedificare ulteriormente su detto
lastrico a favore della porzione dello stesso che, secondo il patto. diviene di propriet condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 19 aprile 1975, n. 1509.
Edificio costruito in zona terremotata.
Con riguardo agli edifici costruiti con il contributo dello Stato nelle zone colpite da terremoto, l'applicabilit della
speciale disciplina degli artt. 216 e 217 del r.d. 28 aprile 1938. n. 1165, concernente l'esclusione di indennizzo ai
proprietari dei piani sottostanti per il caso di sopraelevazione effettuata dal proprietario dell'ultimo piano su
terrazza di copertura, prescinde dai requisiti di bisogno economico previsti in tema di edilizia economica e
popolare. Peraltro, detta disciplina - in virt dell'espressa previsione dell'art. 201 del citato r.d. - sottoposta a
limiti temporali e cessa di essere operante allorch tutti gli alloggi di un determinato edificio siano stati riscattati o
ammortizzati, con la conseguenza che, successivamente, detta sopraelevazione resta regolata alla disciplina del
codice civile (art. 1127), che prevede un'indennit quale corrispettivo non solo dell'occupazione della colonna
d'aria ma anche del maggiore uso del suolo e degli altri elementi comuni.
* Cass. civ., sez. II, 30 aprile 1988, n. 3287, Bruschetto c. Vasari.
Le sopraelevazioni effettuate dal proprietario dell'ultimo piano di un edificio costruito in zona terremotata dal
Ministero dei lavori pubblici, e da questo alienato a norma del r.d. 4 settembre 1924 n. 1356, sono disciplinate,
per quanto concerne l'eventuale diritto degli altri condomini all'indennit per sopraelevazione, alle disposizioni
vigenti in materia di edilizia economica e popolare, e, in particolare, alla disciplina contenuta nel TU. 18 aprile
1938, n. 1165, il cui art. 217 stabilisce che l'indennit spetta solo quando l'edificio sopraelevato sia coperto da
tetto e non anche nel caso in cui lo stesso sia coperto da terrazzo. Tale disposizione della legge speciale non
stata abrogata - n espressamente n tacitamente - dall' art. 1127 del codice civile vigente.
* Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1980, n. 2267, Lo Cascio c. Romano.
Indennit.
In tema di condominio di edifici, qualora colui che sopraeleva sia per titolo proprietario esclusivo non solo
dell'ultimo piano o del lastrico solare, ma anche della colonna d'aria soprastante, non concepibile un
indennizzo per la utilizzazione di un bene che proprio di chi lo usa a suo vantaggio mediante la
sopraelevazione e che, per essergli stato attribuito in propriet esclusiva di fronte agli altri condomini dell'edificio,
non ammette possibilit di sfruttamento da parte di costoro.
* Cass. civ., sez. II, 14ottobre 1988, n. 5556, Casiere c. Potito.
L'indennit di sopraelevazione di cui all'art. 1127 cod. civ., che costituisce un debito di valore (soggetto alla
rivalutazione monetaria), deve essere calcolata assumendo come base unicamente il valore attuale del suolo
nella parte di esso corrispondente al piano di sopraelevazione, supposto come completamente libero, senza
cio che possa operarsi alcuna diminuzione di esso in considerazione delle strutture del fabbricato e dei limiti
che ne derivano, n della sua maggiore o minore vetust.
* Cass. civ., sez. II, 5 dicembre 1987, n. 9032, Trinca c. Trovalusci.
Non nullo il negozio stipulato dal proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale con gli altri condomini,
diretto a determinare la misura dell'indennit a questi ultimi spettante per la progettata sopraelevazione
dell'edificio stesso, ancorch risulti l'inattuabilit della sopraelevazione per le condizioni statiche dell'edificio o
per i divieti previsti dalle norme antisismiche.
* Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1983, n. 5229, Arzeni c. Panzini.
La determinazione dell'indennit dovuta, ai sensi del quarto comma dell'art. 1127 cod. civ., per la
sopraelevazione dell'edificio condominiale va operata con riferimento al tempo della sopraelevazione tenendo
conto, peraltro, della svalutazione monetaria verificatasi fino al tempo della concreta liquidazione.
* Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1981, n. 4861, in Arch. Civ. 1982, 288.
Il proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale, che costruisce uno o pi piani in aggiunta a quelli

preesistenti, tenuto a corrispondere ai proprietari degli altri piani l'indennit prevista dal quarto comma dell'art.
1127 cod. civ., la quale va determinata con riferimento al valore dell'area comune, su cui sorge l'edificio, in
relazione al numero dei piani di questo, senza che rilevi n il rapporto fra l'altezza ed il volume del fabbricato
preesistente e di quello attuale, n l'eventuale appartenenza al proprietario che esegue la nuova costruzione
della parte dell'edificio (soffitta, lastrico solare ecc.) in cui tale costruzione eseguita, n, infine, la mancanza di
autonomia e le limitate dimensioni della medesima. Infatti, tale obbligo nasce dalla maggiore utilizzazione, da
parte del condomino proprietario dell'ultimo piano, del suolo comune su cui sorge l'edificio condominiale, alla
quale consegue la necessit di compensare gli altri condomini della diminuzione del valore delle rispettive quote
del condomino proprietario dell'ultimo piano, del suolo comune su cui sorge l'edificio condominiale, alla quale
consegue la necessit di compensare gli altri condomini della diminuzione del valore delle rispettive quote del
suolo comune.
* Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1981, n. 4861, Malentacchi c. Galletti.
La terrazza, realizzata in occasione della sopraelevazione di un edificio in sostituzione del tetto preesistente,
costituisce essa stessa una sopraelevazione con il conseguente indennizzo per i condomini estranei all'opera
quando, oltre ad assolvere la funzione di copertura, acquisti, per struttura ed ubicazione, il carattere di bene di
propriet ed uso esclusivo del proprietario dell'ultimo piano, ovvero sia destinata al godimento anche dei
condomini estranei alla sopraelevazione.
* Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 1980, n. 99, Lo Po. c. Miuccio.
Nel caso in cui un edificio condominiale venga, in un medesimo contesto, sopraelevato di pi piani anche
quando tale sopraelevazione sia di particolare entit - l' indennit prevista dall'art. 1127 c.c. deve essere
determinata dividendo il valore del suolo (su cui insiste l'edificio o la parte di esso che venga sopraelevata) per il
numero complessivo dei piani (preesistenti e di nuova costruzione), moltiplicando poi il quoziente ottenuto per il
numero dei piani sopraelevati e sottraendo, infine, dal prodotto cos conseguito la quota che, tenuto conto del
precedente stato di fatto e di diritto, sarebbe spettata al condomino che ha eseguito la sopraelevazione. E errato
il diverso criterio, secondo il quale, nel caso considerato, dovrebbe determinarsi l'indennit ripetendosi il calcolo
piano per piano, come se si trattasse di pi sopraelevazioni eseguite in tempi diversi. L'indennit prevista dall'art.
1127, per il caso della sopraelevazione di uno stabile condominiale, in quanto rivolta a compensare la riduzione
arrecata al diritto di propriet dei condomini sulla colonna d'aria soprastante l'edificio, deve essere calcolata in
base al valore posseduto dell'area, da occuparsi con la nuova costruzione, al momento in cui il sopralzo stato
eseguito e non gi a quello in cui l'indennit liquidata. La somma risultante da tale calcolo, peraltro, trattandosi
di debito di valore, deve essere rivalutata alla stregua della sopravvenuta svalutazione monetaria e, nel
contempo, debbono essere liquidati gli interessi legali.
* Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1977, n. 1300.
Il proprietario esclusivo del lastrico solare partecipa ai diritti e agli obblighi della comunione delle cose e dei
servizi dell'edificio che derivano dalla disciplina del condominio edilizio, anche se non sia proprietario di un piano
o di una porzione di piano; partecipando egli, pertanto, alla comunione del suolo su cui l'edificio insiste, deve
regolarmente operarsi la detrazione dell'importo della quota di compropriet a lui spettante per determinare
l'indennit che egli tenuto a corrispondere, in caso di sopraelevazione, agli altri condomini, a norma dell'art.
1127 c.c..
* Cass. civ., sez. II, 26 marzo 1976, n. 1084.
Il proprietario esclusivo del lastrico solare, per poter eseguire la sopraelevazione, cui ha diritto, senza esser
tenuto a corrispondere l'indennit prevista dall'art. 1127 c.c., deve aver acquistato (o essersi riservato) anche la
propriet esclusiva della cosiddetta colonna d'aria sovrastante l'edificio.
* Cass. civ., 26 marzo 1976, n. 1084.
In un edificio condominiale, il proprietario dell'ultimo piano, od il proprietario esclusivo del lastrico solare, il quale
legittimamente effettui una sopraelevazione, non pu esimersi dall'obbligo di pagare agli altri condomini
l'indennit prevista dall'art. 1127 quarto comma c.c., per il solo fatto di aver acquistato (o di essersi riservato,
nell'ipotesi di originaria propriet dell'intero stabile) il diritto di sopraelevare: tale diritto, infatti, salvo che il titolo
espressamente lo preveda, non conferisce la propriet esclusiva della colonna d'aria sovrastante l'edificio,
concepita come proiezione verso l'alto dell'area sulla quale sorge il fabbricato ed in relazione alla cui
occupazione si pone l'esigenza dell'indennit medesima.
* Cass. civ., sez. 11, 15 marzo 1976, n. 939.
Qualora siano richiesti, per la prima volta in appello, gli interessi corrispettivi su somma attribuita a titolo di
indennit per altrui sopraelevazione di edificio condominiale (art. 1127 u.c. c.c.), gli interessi medesimi non
possono esser concessi con decorrenza dalla data della sentenza, non esecutiva, di primo grado (e tale
decorrenza deve essere fissata dalla data della citazione d'appello), dato che al momento della sentenza di
primo grado il eredito principale non poteva considerarsi ancora liquido ed esigibile, per la possibilit che quella
pronuncia fosse gravata di appello.
* Cass. civ., sez. II, 27 dicembre 1975, n. 4233.
La determinazione dell'indennit prevista dall'art. 1127 cc., nel caso di sopraelevazione di un solo piano, deve
essere effettuata assumendo come elemento base del calcolo il valore del suolo sul quale insiste l'edificio o le
parti di esso che viene sopraelevato, dividendo, poi, il relativo importo per il numero dei piani, compreso quello
di nuova costruzione, e detraendo, infine, dal quoziente cos ottenuto, la quota che spetterebbe al condomino
che ha eseguito la sopraelevazione; nel caso di sopraelevazione di pi piani, invece, il quoziente ottenuto
dividendo il valore del suolo, per il numero complessivo dei piani preesistenti e di quelli di nuova costruzione
dovr essere moltiplicato per il numero di questi ultimi, e l'ammontare dell'indennit sar rappresentata dal
prodotto cos ottenuto, diminuito della quota che, tenendo conto del precedente stato di fatto e di diritto,
spetterebbe al condomino che ha eseguito la sopraelevazione; in tale ultimo caso, deve respingersi come errato

il diverso criterio secondo il quale l'indennit andrebbe considerata piano per piano, iniziando dal primo e
calcolando il nuovo piano sovrastante come se si trattasse di un piano gi costruito.
* Cass. civ.. sez. II, 26 marzo 1976, n. 1084.
La norma dell'art. 1127, quarto comma. disponendo che il prodotto dell'estensione della superficie sopraelevata
per il valore a metro quadro va diviso per il numero dei piani, ivi compreso quello da edificare, ai fini della
determinazione dell'indennit di sopraelevazione, stabilisce un criterio giuridico di valutazione, che non consente
di considerare quoad valorem come inedificata, un'area di cui gi sia stata sfruttata parzialmente la potenzialit
edificatoria.
* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1970, n. 1900.
L'indennit prevista dal quarto comma dell'art. 1127 c.c. deve ritenersi dovuta agli altri condomini non solo per
l'ipotesi della sopraelevazione del lastrico solare di un edificio in condominio, ma anche nel caso di
sopraelevazione di una terrazza a livello eseguita dal proprietario di essa e dell'appartamento adiacente da cui vi
si accede. I cosiddetti ammezzati e mezzanini devono essere calcolati - sia pure come mezzi piani - ai fini della
determinazione dell'indennit di sopraelevazione, semprech abbiano, sul piano strutturale e funzionale,
connotazioni di autonomia e di indipendenza e non siano astretti alle altre unit immobiliari da intimi vincoli
pertinenziali.
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1974, n. 4274.
Ove la sopraelevazione intervenga in un edificio condominiale che, pur compreso in un complesso edilizio
formato da pi stabili, sia rivestito da connotazioni di autonomia e indipendenza, rispetto agli altri fabbricati, con i
quali abbia in comunione soltanto i cortili interni, l'indennit di sopraelevazione spetta esclusivamente ai
proprietari degli appartamenti siti in detto edificio, e cio ai proprietari dei piani e delle porzioni di piano inferiori a
quello della sopraelevazione, per essere soltanto questi depauperati nella loro sfera patrimoniale, in
conseguenza della maggiore incidenza, attraverso lo sfruttamento della colonna d'aria soprastante, sull'area
costituente la base dell'edificio, ed attraverso un pi intenso godimento, sulle parti e sui servizi comuni di questo.
* Cass. civ.. sez. II, 7 dicembre 1974. n. 4093.
dal momento in cui completata la costruzione sopra l'ultimo piano dell'edificio e non gi dall'inizio della
stessa che sorge l'obbligo del pagamento dell'indennit prevista dall'art. 1127 c.c., obbligo che non
incompatibile con la circostanza che al momento dell'inizio della sopraelevazione non vi fosse condominio.
* Trib. civ. Monza, 25 febbraio 1982, Davi c. Pontillo, in Arch. civ. 1982, 878.
Poich l'indennit di sopraelevazione prevista dall'art. 1127 c.c. non costituisce risarcimento del danno, per la
decorrenza dei relativi interessi occorre la costituzione in mora, a norma dell'art. 1282 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 16 ottobre 1990, n. 10098, Levantesi c. Sonnino.
Installazione di veranda a vetri.
L'installazione di una veranda a vetri, con copertura del terrazzo all'ultimo piano dell'edificio condominiale,
effettuata dal relativo proprietario, soggetta alla disciplina dettata dall'art. 1127 c.c. e in particolare, alla
disposizione del terzo comma di detto articolo, la quale vieta sopraelevazioni che "pregiudichino l'aspetto
architettonico dell'edificio" medesimo. L'illegittimit ditale installazione, pertanto, postula il verificarsi non di una
pura e semplice modificazione della linea stilistica del fabbricato, ma di una concreta diminuzione del valore
economico dello stesso, in relazione al suo aspetto esteriore. La relativa indagine va condotta in stretta
correlazione con la visibilit della nuova opera, tenuto conto che nessun pregiudizio, nel senso indicato, pu
essere riscontrato in manufatti che, secondo la valutazione di ogni concreta circostanza, istituzionalmente
demandata al giudice del merito, siano assolutamente invisibili ai terzi, ovvero siano visibili in posizioni tanto
distanti e particolari da non lasciar spazio ad un 'eventuale compromissione estetica.
* Cass. civ., sez. II, 24 ottobre 1978, n. 4804.
Modifiche alla scala comune.
Il condomino che ha diritto di sopraelevare ha facolt di apportare le modifiche necessarie alla scala comune,
mediante le indispensabili demolizioni e le successive ricostruzioni a livello pi elevato.
* Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1980, n. 6362, Mangraviti c. Mangraviti.
Nozione.
Ai fini dell'art. 1127 cod. civ., la sopraelevazione di edificio condominiale costituita soltanto dalla realizzazione
di nuove opere (nuovi piani o nuove fabbriche) nell'area sovrastante il fabbricato, per cui l'originaria altezza
dell'edificio superata con la copertura dei nuovi piani o con la superficie superiore terminale delimitante le
nuove fabbriche, sicch non v' sopraelevazione in ipotesi di modificazione solo interna, contenuta negli originari
limiti strutturali, delle parti dell'edificio sottostanti alla sua copertura (nella specie: trasformazione in unit
abitabile di locali sottotetto), nel qual caso non possono per s venire in rilievo nei rapporti tra i condomini,
nell'ambito della disciplina civilistica della sopraelevazione in questione, in difetto di specifiche pattuizioni al
riguardo, la modificazione tra i "volumi tecnici" od i vincoli di destinazione gravanti in virt del progetto approvato
e dell'autorizzazione di relativa attuazione, riguardando la nozione di "volume tecnico" e tali vincoli
esclusivamente la regolamentazione pubblicistica dell'attivit edilizia.
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1983, n. 680, Bossi c. Scalmana.
Ai fini dell'art. 1127 c.c. la sopraelevazione di edificio condominiale deve intendersi non nel senso di costruzione
oltre l'altezza precedente di questo, ma come costruzione di uno o pi nuovi piani o di una o pi nuove fabbriche
sopra l'ultimo piano dell'edificio, quale che sia il rapporto con l'altezza precedente del medesimo; ci perch tale
norma trova giustificazione nell'occupazione, da parte di chi sopraeleva, dell'area comune su cui sorge il
fabbricato, ossia della maggiore utilizzazione, mediante sfruttamento della colonna d'aria sovrastante l'edificio, di
detta area. Ne consegue che anche la costruzione realizzata su terrazza di propriet esclusiva del proprietario
dell'adiacente appartamento, quando la terrazza sia quella dell'ultimo piano o piano attico dell'edificio
condominiale, ed assolve perci come lastrico solare alla funzione di copertura della parte sottostante detto

edificio, va considerata come sopraelevazione, ed soggetta al relativo regime legale, perch comporta le
stesse conseguenze in termini di occupazione e di utilizzazione della colonna d'aria sovrastante il fabbricato di
qualsiasi altra ipotesi di sopraelevazione, costituente espressione del diritto di propriet esclusiva dell'ultimo
piano del lastrico solare.
* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1991, n. 12173, Bellotto c. Fazzalari.
Costituisce sopraelevazione, ai sensi dell'art. 1127 c.c., l'occupazione dell'area comune sovrastante l'ultimo
piano, sia con un altro piano, sia con una nuova fabbrica, che pu consistere anche in materiale diverso da
cemento o laterizi, purch sia stabile e compatta -come nel caso di struttura in alluminio, immobilizzata
solidamente su un terrazzo di copertura, di propriet esclusiva - mentre irrilevante che possa esser stata
considerata dal giudice penale, per escludere il reato previsto dall'art. 17. lett. b) della legge 28 gennaio 1977 n.
10, pertinenza dell'appartamento.
* Cass. civ., sez. II, 1 luglio 1997, n. 5839, Borriello V. c. Cond. Via Nicolardi 159.
Al fine dell'art. 1127 cod. civ., la sopraelevazione di edificio condominiale deve intendersi non nel senso di
costruzione oltre l'altezza precedente di questo, ma come costruzione di uno o pi nuovi piani (o d'una o pi
nuove fabbriche) sopra l'ultimo piano dell'edificio, quale che sia il rapporto con l'altezza precedente di questo.
Ci perch tale norma trova giustificazione nell'occupazione, da parte di chi sopraeleva, dell'area comune su cui
sorge il fabbricato, ossia nella maggiore utilizzazione di detta area, implicante che, rimanendo sempre lo stesso
il valore del suolo (dividendo), con l'aumento del numero dei piani (divisore) necessariamente diminuisce il
valore di ogni quota piano (quoziente), onde l'indennit dovuta da colui che sopraeleva agli altri condomini ha
propriamente lo scopo di ristabilire la situazione economica precedente, mediante la prestazione dell'equivalente
pecuniario della frazione di valore perduta, per effetto della sopraelevazione, da ogni singola quota-piano.
* Cass. civ., sez. II, 16 marzo 1982, n. 1697, Gorgone c. Massari.
Nuovo lastrico solare.
Qualora il lastrico solare di un edificio sia accessibile ai condomini, in relazione alle necessit derivanti dalla sua
specifica funzione, direttamente dalle scale comuni, va ritenuta illegittima la sopraelevazione eseguita dal
proprietario del lastrico medesimo, ove il nuovo lastrico ricostruito a seguito della sopraelevazione risulti
accessibile ai condomini solo passando attraverso locali di propriet esclusiva, facenti parti del piano
sopraelevato.
*Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1976, n. 939.
Opposizione.
A norma dell'art. 1127 comma terzo cod. civ. il diritto dei condomini di opporsi alla sopraelevazione che sia
suscettibile di pregiudicare l' aspetto architettonico dell'edificio o di diminuire notevolmente l'aria e la luce ai piani
sottostanti - il cui accertamento demandato al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimit se
congruamente motivato -pu essere esercitato non solo prima dell'inizio della sopraelevazione ma anche dopo
che la stessa sia effettuata, con facolt di domandare, in questa seconda ipotesi, la riduzione in pristino ed il
risarcimento del danno conseguente al pregiudizio derivato.
* Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1982, n. 6611, Di Benedetto c. Passari.
Pregiudizio per l'aspetto architettonico.
In materia di condominio di edifici, il codice civile, nel riferirsi, quanto alle sopraelevazioni (art. 1127, terzo
comma), all'aspetto architettonico dell'edificio, e, quanto alle innovazioni (art. 1120, secondo comma), al decoro
architettonico dello stesso, adotta nozioni di diversa portata, intendendo per aspetto architettonico la
caratteristica principale insita nello stile architettonico dell'edificio, sicch l'adozione, nella parte sopraelevata, di
uno stile diverso da quello della parte preesistente comporta normalmente un mutamento peggiorativo
dell'aspetto architettonico complessivo, percepibile da qualunque osservatore. La relativa indagine, condotta in
stretta correlazione con la visibilit dell'opera e con l'esistenza di un danno economico valutabile, demandata
al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimit, se congruamente motivato, senza
comportare l'obbligo di un'espressa motivazione sulla sussistenza del pregiudizio economico, quando questo
da ritenersi insito in quello estetico. in conseguenza della gravit di quest'ultimo (nella specie, trattavasi di
veranda costruita sulla terrazza di un edificio condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1947, Menichini c. Candela.
Il pregiudizio all'aspetto architettonico dell'edificio che i condomini possono addurre a norma dell'art. 1127, terzo
comma ad impedimento della sopraelevazione da parte del proprietario dell'ultimo piano pu consistere in una
diminuzione del valore dell'immobile diversamente dalla semplice alterazione, prevista dall'art. 1120, secondo
comma come comunque impeditiva della innovazione eseguita specificamente sulla cosa comune, e la relativa
valutazione da parte del giudice pu risultare implicitamente nella stessa descrizione degli elementi di contrasto
della eseguita sopraelevazione rispetto all'edificio. (Nella specie, i giudici del merito, con decisione confermata
dal Supremo Collegio, avevano indicato nella diversit di composizione di materiali del manufatto, nella minore
altezza rispetto agli altri piani, nel tipo di copertura e di finestratura le cause del rilevato pregiudizio, s da
escludere che fosse stata attuata una ricostruzione dell'equilibrio estetico della facciata).
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1988, n. 4613, Verdarelli c. Cond. Savorelli.
Il codice civile, in materia di condominio di edifici, nel riferirsi quanto alle sopraelevazioni, all'aspetto
architettonico dell'edificio e, quanto alle innovazioni, al decoro architettonico dello stesso, adotta nozioni di
diversa portata, intendendo per aspetto architettonico la caratteristica principale insita nello stile architettonico
dell'edificio, sicch l'adozione, nella parte sopraelevata, di uno stile diverso da quello della parte preesistente
dell'edificio comporta normalmente un mutamento peggiorativo dell'aspetto architettonico complessivo
(percepibile da qualunque osservatore), e denotando per decoro architettonico una qualit positiva dell'edificio
derivante dal complesso delle caratteristiche architettoniche principali e secondarie, onde una modifica
strutturale di una parte anche di modesta consistenza dell'edificio o un'aggiunta quantitativa diversa dalla

sopraelevazione, pur non incidendo normalmente sull'aspetto architettonico, pu comportare il venir meno di
altre caratteristiche influenti sull'estetica dell'edificio e cos sul detto decoro architettonico incorrendo nel divieto
ex art. 1120 cit.
* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1987, n. 8861, Di Lella c. Cucciani.
Il diritto di eseguire una costruzione sopra l'ultimo piano di un edificio condominiale, previsto, a favore del
proprietario di detto piano, dall'art. 1127 cod. civ., non subordinato alla possibilit che la sopraelevazione
mantenga o ripeta le preesistenti linee architettoniche dell'edificio, ma soltanto alla regola - la cui eventuale
violazione va accertata con indagine di fatto in relazione ai singoli casi - di non pregiudicare il decoro dell'edificio
medesimo o di non peggiorare l'aspetto esterno secondo il comune senso estetico.
* Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1980, n. 2267, Lo Cascio c. Romano.
Revisione delle tabelle.
In materia di condominio negli edifici, la sussistenza di una soprelevazione non implica necessariamente la
revisione delle tabelle millesimali, le quali ex art. 69, n. 2, att e trans. c.c., possono essere rivedute e modificate
(anche nell'interesse di un solo condomino) solo se notevolmente alterato il rapporto originario dei valori dei
singoli piani o porzioni di piano
Cass. civ., sez. II, 13 settembre 1991, n. 9579, Cerroni c. Papalia ed altri.
Titolarit del diritto.
Il condomino che intende effettuare la sopraelevazione dell'edificio in condominio per l'intera sua superficie ha
l'onere di provare di essere proprietario esclusivo dell'intero ultimo piano o del lastrico solare
* Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 1974, n. 52.
Spettando al proprietario dell'ultimo piano di un edificio condominiale il diritto di sopraelevazione, questi ha
anche il diritto di optare per un diverso sistema di copertura dell'edificio, trasformando un tetto spiovente in un
lastrico solare o terrazzo destinato a suo uso esclusivo.
* Corte app. civ. Messina, 18 novembre 1985, Mastroieni e Costa c. Pinizzotto e Gangemi, in Arch. loc. e cond.
1986, 660.
Unanime consenso.
Il divieto di sopraelevazione, nel caso in cui le strutture dell'edificio condominiale siano inidonee a sorreggere il
nuovo piano, ha carattere assoluto e non pu essere rimosso neanche dall'unanime consenso di tutti i
condomini. Il consenso unanime di questi ultimi , invece, richiesto per la preventiva esecuzione delle opere di
consolidamento, eseguite le quali, risorge il diritto del proprietario dell'ultimo piano di eseguire il sopralzo non
condizionato all'assenso, concorde o maggioritario, degli altri comunisti. Il suddetto consenso non richiede la
forma scritta, non implicando un atto di disposizione di diritti reali, sia nel caso in cui i lavori di consolidamento
impongano l'introduzione o il passaggio nelle parti dell'edificio di propriet esclusiva, sia nel caso in cui tali lavori
siano da effettuarsi soltanto nell'ambito delle parti comuni dello stesso stabile, salvo, in quest'ultima ipotesi, che i
detti lavori rendano la parte comune, inservibile per l'uso anche di un solo comproprietario.
* Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1977, n. 1300.
Violazione delle norme di edilizia.
Il diritto al risarcimento dei danni di cui all'art. 872 c.c. presuppone la violazione delle norme di legge o
regolamento in materia edilizia e non l'eventuale difformit della costruzione rispetto alla licenza edilizia, la quale
per la sua natura di autorizzazione amministrativa come non pregiudica i diritti dei terzi cos non attributiva a
loro favore di diritti maggiori o diversi di quelli riconosciuti dalle fonti di diritto obiettivo. Ne consegue che il
proprietario di un edificio, il quale abbia effettuato la sopraelevazione di un piano, non pu invocare una ragione
di danno per il pregiudizio all'estetica ed alla simmetria degli edifici, nei confronti del proprietario dell'edificio
contiguo, che nell'effettuare a sua volta la sopraelevazione, non si sia uniformato alle prescrizioni di ornato,
poste unicamente dalla licenza edilizia e non anche da norme di legge o regolamentari, giacch siffatta condotta
se per un verso determina responsabilit nei confronti della P.A.., per altro verso non pu considerarsi fatto
produttivo di danno risarcibile per il vicino.
* Cass. civ., sez. II, 23ottobre 1991, n. 11210, Brigidi c. Saccomandi.
SOTTOTETTO CONDOMINIALE
Il sottotetto di un edificio in condominio, non essendo incluso tra le parti comuni indicate nell'art. 1117 c.c., non
costituisce - in difetto di elementi contrari desumibili dal titolo - oggetto di comunione e, poich esso. di regola,
assolve una funzione isolante e protettiva (dal caldo e dal freddo) del piano pi elevato, di questo costituisce
normalmente una pertinenza. qualora non ne sia dimostrata una destinazione diversa.
* Cass. civ., 23 maggio 1991, n. 5854.
Il "sottotetto" di edificio condominiale. sia che assolva esclusivamente una funzione isolante a protezione
dell'ultimo piano, costituendo pertinenza e, quindi, parte integrante dello stesso, sia che assolva anche altre
funzioni ovvero abbia dimensioni e caratteristiche tali da consentire l'utilizzazione come vano autonomo - la cui
appartenenza va determinata solo in base ad un titolo - pu considerarsi di propriet comune se, per
caratteristiche strutturali e funzionali, risulti, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all'uso comune
o all'esercizio di un servizio di interesse comune.
* Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1987, n. 2722, Catalani c. Cond. V. Malakoff.
L'ambiente ricavato sotto il tetto dell'edificio in condominio, in modo da formare una camera d'aria limitata, in
alto, dalla struttura del tetto ed, in basso, dal solaio che copre i vani dell'ultimo piano (cosiddetto sottotetto),
assolve, di regola, ad una funzione isolante e protettiva di questi vani e, quando non risulti una diversa
destinazione o non sia diversamente disposto dal titolo, non , quindi, oggetto di comunione ma costituisce
pertinenza dell'appartamento dell'ultimo piano.
* Cass. civ., sez. Il, 15 giugno 1993, n. 6640. Giussani c. Albanese e altra.
Il sottotetto di un edificio, quando assolve l'esclusiva funzione di isolare i vani dell'alloggio ad esso sottostanti si

pone in rapporto di dipendenza con i vani stessi cui serve da protezione e non pu essere, pertanto, da questi
ultimi separato senza che si verifichi l'alterazione del rapporto di complementariet dell'insieme.
Conseguentemente, non essendo in tale ipotesi il sottotetto idoneo a essere utilizzato separatamente
dall'alloggio sottostante cui accede, non configurabile il possesso ad usucapionem dello stesso da parte del
proprietario di altra unit immobiliare.
* Cass. civ., sez. Il, 8 agosto 1986, n. 4970, Colarossi c. Corsetti.
Il criterio giurisprudenziale, secondo cui il sottotetto di un edificio in condominio appartiene di regola al
proprietario dell'ultimo piano, applicabile nei casi in cui il contrario non risulti dal titolo.
* Cass. civ., 13 ottobre 1971, n. 2886.
I sottotetti, le soffitte, le cantine, i solai vuoti e gli analoghi spazi non praticabili destinati ad isolare il corpo di
fabbrica dalla sua copertura costituiscono una pertinenza dell'intero edificio condominiale (o del suo ultimo
livello) ove appartengano in via esclusiva al proprietario di questo e non danno luogo a loro volta ad un piano a
s stante, essendo destinati ad una funzione accessoria, quali depositi, stenditoi e camere d'aria a protezione
degli alloggi sottostanti dal caldo, dal freddo e dall'umidit. La ristrutturazione di locali del genere non comporta
sopraelevazione, ai sensi dell'art. 1127 c.c., nei soli casi di modificazioni soltanto interne, contenute negli
originari limiti dell'edificio senza alcun aumento della sua altezza.
* Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1997, n. 5164, Canu Salvatore c. Canu Francesca.
Il sottotetto di un edificio condominiale pu essere ritenuto pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano
soltanto se assolve, mediante la creazione di una camera d'aria, all'esclusiva funzione di isolamento e di
protezione dell'appartamento stesso dal caldo, dal freddo o dall'umidit e non anche nella diversa ipotesi che
esso abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da permettere l'utilizzazione come vano autonomo. In
quest'ultima ipotesi, l'appartenenza deve essere stabilita in forza di idoneo titolo e, in mancanza di questo, sulla
base della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., pur non comprendendo questa norma
esplicitamente il sottotetto nell'elencazione delle cose comuni dell'edificio, allorquando esso risulti
oggettivamente destinato, anche soltanto in via potenziale, all'uso comune.
* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 9788, Casalgrandi c. Bellei, in Arch. loc. e cond. 1997, 973.
Il sottotetto di un edificio, non compreso tra le parti comuni indicate dall'art. 1117 c.c., costituisce una pertinenza
dell'appartamento sito all'ultimo piano quando assolva alla funzione esclusiva di isolarlo e proteggerlo dal caldo,
dal freddo e dall'umidit, formando una camera d'aria a sua difesa. Esso, tuttavia, realizza una funzione diversa
dalla mera camera d'aria quando sia destinato all'uso comune di tutti i condomini, come nel caso in cui sia
dotato di una comunicazione diretta con il vano scale comune e di un lucernario per l'accesso al tetto comune;
destinazione che costituisce il fatto noto ex art. 2727 c.c. posto dalla legge a base della presunzione di
comunione ex art. 1117 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1996, n. 4509, Ferigo c. Mengoli.
I sottotetti di un edificio in condominio, non essendo inclusi tra le "parti comuni" specialmente contemplate
dall'art. 1117 c.c., non costituiscono sempre ed incondizionatamente oggetto di comunione, ancorch manchi un
titolo che disponga ex professo altrimenti: invero, per ritenerli comuni altres necessario - in aderenza al criterio
generale enunciato nella parte finale del n. 1 della detta norma, e ribadito anche nei numeri successivi - che, per
le loro peculiari caratteristiche strutturali e funzionali, essi risultino oggettivamente destinati, sia pure in via
potenziale, all 'uso comune o ad un servizio d'interesse comune, o comunque annessi alle parti comuni, s da
costituire elementi integranti di esse.
* Cass. civ., 22 giugno 1961, n. 1493.
Mentre il tetto, ove non risulti il contrario dal titolo, si presume comune a tutti i condomini dell'edificio, il sottotetto,
di regola, cio ove il contrario non risulti dal titolo ed ove non sia dimostrata, per le sue caratteristiche strutturali
e funzionali, la sua destinazione ad un servizio comune o la sua annessione alle parti comuni, s da costituire
elemento integrante di esse, appartiene al proprietario dell'ultimo piano del quale una pertinenza in quanto
assolve, rispetto ad esso, una funzione isolante e protettiva. Se invece il sottotetto assolve esclusivamente alla
funzione di copertura dell'edificio, rientra nella nozione di tetto e, quindi, nella presunzione di comunione di cui
all' art. 1117 c.c..
* Trib. civ. Avellino, 5 giugno 1995, n. 420, Andrita c. Siniscalchi, in Arch. loc. e cond. 1995, 866.
Poich il sottotetto non incluso tra le parti comuni indicate dall'art. 1117 c.c., al fine di stabilire se esso sia di
propriet esclusiva o comune necessario tenere conto di quanto stabilito dal titolo di acquisto; in difetto di
una clausola espressa, si deve fare riferimento alla destinazione funzionale ed obiettiva del sottotetto nel singolo
edificio.
* Trib. civ. Milano, 28 maggio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 810.
Il concetto di struttura organica di un edificio comprende sia la conformazione esterna che quella interna dello
stesso. Rientra pertanto nel divieto di apportare qualunque variante alla struttura organica dell'edificio la
limitazione posta ai singoli condomini di non realizzare modifiche nell'interno della propriet esclusiva, mutando
la destinazione dei locali posti nel sottotetto.
* Corte app. civ. Milano, sez. II, 19 settembre 1995, n. 2597, Piazza e. Condominio di via Palazzi n.6 in Milano e
Arosio, in Arch. loc. e cond. 1996, 71.
Poich la presunzione legale di comunione di alcune parti dell'edificio condominiale, stabilita dall'art. 1117 cod.
civ. si fonda sulla destinazione all'uso e al godimento comune, risultante da elementi obiettivi, cio dall'attitudine
funzionale della parte di cui trattasi al servizio o al godimento collettivo, deve ritenersi che al sottotetto il quale,
per sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo al godimento di un'unit immobiliare oggetto
di un singolo diritto di propriet, non si estende la presunzione legale di cui al citato art. 1117 cod. civ., in quanto
la destinazione legale vince la presunzione legale di comunione.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 9 gennaio 1980, n. 613, Condominio di Via Farneti 10, Milano c. Bonomi, in

Arch. loc. e cond. 1980, 377.


da ritenere illegittima l'effettuazione nel sottotetto, senza alcuna autorizzazione del condominio e delle
competenti autorit, di lavori che comportino la modifica del solaio (con lesione del vaso di espansione) nonch
di parti comuni dello stabile (con lesione della servit di accesso per l'ispezione del tetto e danno estetico).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 25 settembre 1992, n. 1561, De Vilas c. Cond. di Via Ingegnoli n. 18 di Milano, in
Arch. loc. e cond. 1993, 541.
Il sottotetto, pur non costituendo una parte comune c.d. necessaria dell'edificio condominiale, deve essere
considerato di propriet comune quando sia strutturalmente destinato, anche potenzialmente, ad un servizio o
ad un uso comune.
* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990.
USO DELLA COSA COMUNE
Abuso.
L'amministratore del condominio, che responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza. dal cattivo uso
dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari. non pu essere ritenuto
responsabile, ancorch sia tenuto a far osservare il regolamento condominiale, dei danni cagionati dall'abuso
dei condomini nell'uso della cosa comune, non essendo dotato di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei
singoli condomini - salvo che il regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 att. c.c., preveda la possibilit di
applicazione di sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme da esso stabilite sull'uso delle cose
comuni - n obbligato a promuovere azione giudiziaria contro i detti condomini in mancanza di una espressa
disposizione condominiale o di una delibera assembleare.
* Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1993, n. 8804, Ersoni c. Cond. Abruzzo I di Pineto.
Accessione.
Ove una fattispecie trovi specifica disciplina nell'art. 1102, che regola l'uso della cosa comune da parte dei
partecipanti alla comunione, preclusa l' applicazione alla stessa, in via analogica, dell'art. 936 c.c. in materia di
accessione. non essendo consentito il ricorso alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (c.c.
analogia legis) in assenza di una qualsivoglia lacuna dell'ordinamento.
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n. 10699, Parrocchia della Cattedrale di Avellino c. Camera commercio di
Avellino.
La disciplina dell'accessione contenuta nell'art. 934 c.c. si riferisce solo alle costruzioni (o piantagioni) su terreno
altrui e non anche alle costruzioni eseguite da uno dei comproprietari sul terreno comune, per le quali debbono
ritenersi, invece, applicabili le norme sul condominio ed, in particolare, la disposizione dell'art. 1120 c.c., che
vieta, tra l'altro, le innovazioni che rendano alcune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento di
altri condomini, a meno che non vi sia il consenso di questi, nella forma scritta richiesta, a pena di nullit, per la
costituzione di diritti reali su beni immobili.
* Cass. civ., sez. II, 18 aprile 1996, n. 3657, Perolio c. Peroglio.
La norma dell'art. 938 c.c., che disciplina la cosiddetta accessione invertita, ha carattere eccezionale - in quanto
derogativa sia del principio dell'accessione ("quod inaedificatur solo cedit"), sia di quello secondo cui il
proprietario ha diritto di disporre della propria cosa in maniera piena ed esclusiva - e come tale non pu trovare
applicazione nell'ipotesi di costruzione eseguita in tutto o in parte su un suolo di propriet comune del costruttore
e di terzi, nella quale si applicano le norme sulla comunione, senza che sia eccepibile una disparit di
trattamento tra comunista e terzo, rientrando nella discrezionalit del legislatore la delimitazione del campo di
operativit dell'accessione invertita. (Fattispecie relativa alla costruzione eseguita su un cortile destinato all'uso
comune degli edifici che lo circondano).
* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1996, n. 9982, Tossi ed altro c. Condominio di Via Var nn. 7/9 in Milano ed
altro, in Arch. loc. e cond. 1997, 438.
Alterazione della destinazione.
L'art. 1102 cod. civ., nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione, prescrive che in ogni caso non pu
essere alterata la destinazione della cosa comune, sicch solo le modificazioni di questa, in quanto consentano
il pari uso secondo il diritto di ciascuno, rientrano nella previsione legale, mentre vietata ogni diversa attivit
innovatrice. (Nella specie, alla stregua del principio enunciato, stata giudicata corretta la decisione che ha
ritenuta vietata la costruzione di un terrazzo pensile soprastante un cortile comune, con la costruzione, inoltre di
gradini e di un'aiuola sul cortile stesso).
* Cass. civ., sez. II, 26luglio 1983, n. 5132, Bono c. D'Accordo.
La destinazione della cosa comune - che, a norma dell'ari. 1102 c.c., ciascun partecipante alla comunione non
pu alterare - dev'essere determinata attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi appagabili con
l'uso della cosa, giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi, e di fatto, quali le caratteristiche della cosa; e
dev'essere cassata con rinvio la sentenza del merito che esclude essere stata alterata la destinazione di un
pozzo comune dalla costruzione di un impianto di adduzione dell'acqua ad una casa di propriet singola, senza
accertare se ci abbia implicato limitazioni allo sfruttamento da parte degli altri partecipanti.
* Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1976, n. 4397.
Aree destinate a giochi.
L'utilizzazione del cortile comune come spazio destinato al gioco limitatamente ai soli bambini di et inferiore ai
dodici anni, integra un uso aggiuntivo della cosa comune la cui disciplina rimessa alla volont dell'assemblea,
la quale ben pu deliberare sul punto con la maggioranza di cui all'art. 1136.
* Trib. civ. Milano, 28 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 604.
L'utilizzazione per il gioco dei bambini di una parte assai limitata dell'area verde consortile non contrasta con la
destinazione a giardino prevista, per quella stessa area, dal Regolamento consortile, ma ne costituisce
unicamente un migliore e pi intenso godimento per soddisfare esigenze che pure appaiono insopprimibili e,

comunque, senz'altro meritevoli di tutela nella vita di un condominio.


* Trib. civ. Milano, 3 ottobre 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 767.
La norma di un regolamento condominiale che disciplina il criterio di ripartizione delle spese di manutenzione
relative al campo da tennis condominiale non pregiudica il godimento del campo anche a favore dei figli dei
proprietari degli appartamenti non residenti nel condominio, godimento configurabile quale uso indiretto della
cosa comune.
* Trib. civ. Milano, 28 febbraio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 603.
Autorizzazione assembleare.
La deliberazione dell'assemblea condominiale. con la quale venga autorizzato l'uso di un bene comune in modo
incompatibile con l'utilizzazione ed il godimento di parti dell'edificio di propriet di un singolo condomino,
illegittima indipendentemente dalla circostanza che, per ragioni contingenti e transitorie, il bene di propriet
individuale ed esclusiva non sia attualmente utilizzato secondo la sua naturale destinazione (In base al suddetto
principio la S.C. ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato la illegittimit di una
delibera con la quale era stata decisa l'utilizzazione come parcheggio di un'area condominiale sotto il profilo che
detto uso avrebbe ostacolato l'accesso ad alcuni locali di propriet individuale destinati ad essere utilizzati come
autorimesse, a nulla rilevando che detto uso non fosse attuale per la necessit di realizzare alcuni lavori di
rifinitura e di adattamento dell'immobile).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1989, n. 3858, Cond. Via Ronci e. Soc. Getfa.
Nel condominio di edifici allorquando una deliberazione dell'assemblea condominiale, la quale sancisce un
determinato uso della cosa comune, venga adottata con il voto unanime dei partecipanti al condominio, l'atto
conserva la sua validit anche se abbia, in ipotesi, a limitare il godimento di alcuno dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1987, n. 5709, Cond. Roma MN c. Lasagna.
Concessioni amministrative.
In tema di condominio negli edifici, qualora uno dei condomini, senza violare i limiti di cui all'art. 1102 c.c., faccia
uso della cosa comune (nella specie mediante la costruzione di un comignolo sul tetto dell'edificio), la mera
mancanza delle concessioni o autorizzazioni amministrative non pu essere invocata dal condominio quale
fonte di risarcimento del danno, riflettendosi esclusivamente nei rapporti tra il privato e la pubblica
amministrazione.
* Cass. civ., 8 agosto 1990, n. 8040.
Controversie.
Quando tra alcuni comunisti insorga controversia sulle modalit di uso della cosa comune, ancorch riguardanti
una modificazione che, non incidendo sull'estensione dei diritti degli altri partecipanti (art. 1102, comma
secondo, cod. civ.) n eccedendo l'ordinaria amministrazione (ari. 1108 cod. civ.), tende al suo migliore
godimento, nel giudizio instaurato fra i comunisti in disaccordo, non v' litisconsorzio necessario di tutti gli altri
partecipanti alla comunione.
* Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1988, n. 734, Zammataro c. Pitonio.
Il condomino, il quale denunci la violazione dei limiti che debbono osservarsi dai singoli condomini nell'uso della
cosa comune, assumendo che taluno di quelli abbia destinato parte della cosa stessa al servizio della sua
propriet esclusiva e, cos, impedito l'esercizio sulla medesima del concorrente diritto di tutti gli altri condomini,
propone un'azione reale che va ricondotta nel paradigma delle azioni negatorie, il cui valore deve essere
determinato a norma dell'art. 15 cod. proc. civ. e, in particolare, in base al criterio sussidiario previsto dall'ultimo
comma essendo venuto meno - a seguito della abolizione delle imposte reali e la loro sostituzione con l'imposta
sul reddito delle persone fisiche (art. 82 del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597) - il criterio del riferimento al tributo
diretto verso lo Stato.
* Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3964. Cond. Napoli c. Comotti.
Lo stabilire se un determinato uso della cosa comune da parte del singolo condomino (nella specie: posa di
tubazioni) rientri o meno tra quelli consentiti compito del giudice del merito la cui valutazione incensurabile in
sede di legittimit, se adeguatamente motivata.
* Cass. civ., sez. II, 13 marzo 1982, n. 1624, Di Russo c. Melloni.
Nella controversia concernente l'inosservanza delle norme condominiali riguardanti la condotta dei condomini
nell'uso o godimento delle cose comuni, sono legittimati passivi, in assenza di dolo o colpa da parte
dell'amministratore, solo coloro che in effetti abbiano compiuto le trasgressioni e cio i singoli condomini, tenuti
ad osservare le regole di condotta dettate dal regolamento.
*Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1974, n. 397.
Disposizione della quota.
A norma dell'art. 1103 cod. civ., la vendita di quota di bene indiviso ammissibile e valida, senza che gli altri
comproprietari abbiano diritto di opporsi, e, pertanto, se in un contratto di vendita indicato che il bene
appartiene a pi persone e solo alcune di esse lo sottoscrivono, non pu negarsi a priori la validit della vendita
delle singole quote, a meno che non ricorra l'inscindibilit della prestazione, da dedursi e verificarsi nel giudizio
di merito.
* Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 1982. n. 5647, Ferrari c. Oneta.
Qualora il compartecipe alieni la sua quota della propriet indivisa, l'acquirente subentra nella comunione al
posto dell'alienante, ma se l'alienazione riguarda non la quota ma la parte determinata corrispondente alla quota
e vi sia l'assenso di tutti gli altri compartecipi, si ha una vera e propria divisione o atto equiparato alla divisione,
perch si realizza il risultato tipico della divisione. Pertanto, se chi chiede la divisione non contesta l'avvenuto
scioglimento nei modi predetti, l'oggetto della pretesa si riduce ad un mero accertamento, ma se lo contesta e
non risultano provati nelle forme idonee la divisione o i suoi surrogati, va disposta la divisione, ma il fatto storico
rimane, con la conseguenza che ognuno deve imputare alla sua quota ci che ha ricevuto, con le rivalutazioni

del caso e con le responsabilit conseguenti, giacch la stima per la divisione coeva alla sua attuazione.
* Cass. civ., sez. II, 8 febbraio 1982, n. 753, Mazzafoglia c. Mazzafoglia.
In tema di comunione, il diritto di ciascun partecipante di cedere ad altri il godimento della cosa, nei limiti della
sua quota (art. 1103 cod. civ.), implica che al partecipante medesimo deve riconoscersi anche la facolt di
costituire, sempre nei limiti della sua quota. un diritto reale di uso a favore di un terzo.
* Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1980, n. 4706, Cattaneo c. Albini.
La rinunzia abdicativa del partecipante ad una comunione, in quanto determina l'accrescimento della quota
rinunciata a favore degli altri partecipanti, ha una funzione satisfattiva-liberatoria; ne consegue che il rinunziante,
con la dismissione del proprio diritto (reale) si libera delle obbligazioni (propter rem) a quel diritto collegate, e
queste vanno a carico dei rimanenti partecipanti.
* Cass. civ., sez. II, 23 agosto 1978, n. 3931.
Il trasferimento della propriet esclusiva di una porzione di piano di un edificio in condominio comporta altres il
trasferimento delle parti oggetto di propriet comune, salvo che il trasferimento di queste ultime non risulti
espressamente escluso dal titolo.
* Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1978, n. 3719.
Forno.
L'art. 1117 n. 3, c.c., elenca, in via del tutto esemplificativa, le opere, le installazioni e i manufatti di qualunque
genere che servono all'uso comune e che il legislatore ha voluto comuni ai proprietari dei diversi piani o porzioni
di piano di un edificio, facendo salva la diversa volont di detti proprietari o del loro autore; conseguentemente,
un forno sistemato su un pianerottolo comune, in difetto di un titolo che ne attribuisca la propriet esclusiva ad
uno dei proprietari, ben pu ritenersi destinato all'uso e al godimento comune, come accessorio di parti od opere
comuni, da presumersi del pari comune.
* Cass. civ., sez. II, 14 marzo 1977, n. 1030.
Godimento separato.
L'atto scritto, che necessario per lo scioglimento della comunione e la divisione della propriet immobiliare, ai
sensi dell'art. 1350 n. 11 cod. civ., non occorre invece per la semplice attribuzione, ferma rimanendo la
compropriet, fra gli aventi diritto, di un godimento separato del bene comune che pu essere validamente
attuata anche con convenzione verbale.
* Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 1984, n. 1428, Calabrese c. Calabrese.
Limiti.
L'art. 1102, primo comma, cod. civ. assoggetta l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino al
duplice limite di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso
secondo il loro diritto; e tale principio vale, ovviamente, anche per le modificazioni che il condomino, ai sensi
della stessa norma, voglia apportare a proprie spese per il miglior godimento della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1987, n. 2722, Catalani c. Cond. V. Malakoff.
L'art. 1102 c.c. intende assicurare al singolo partecipante, per quel che concerne l'esercizio del suo diritto, la
maggior possibilit di godimento della cosa comune, nel senso che, purch non resti alterata la destinazione del
bene comune e non venga impedito agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa, egli deve ritenersi
libero di servirsi della cosa stessa anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilit, senza
che possano costituire vincolo per lui forme pi limitate di godimento attuate in passato dagli altri partecipanti, e
pu scegliere, tra i vari possibili usi quello pi confacente ai suoi personali interessi. (Nella specie si escluso
che esorbiti dal corretto uso della cosa comune la transennatura e l'occupazione periodica di un portico con
legna da parte di un condomino, in assenza di prova del carattere stabile dell'occupazione e di un apprezzabile
pregiudizio per gli altri condomini).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1994, n. 7652, Pezzi c. Bertagnolli.
La norma dell'ari. 1102 c.c., concernente la facolt del condomino di apportare modifiche a sue spese per il
migliore godimento della cosa comune, derogabile per regolamento condominiale avente efficacia contrattuale
in quanto sottoscritto da tutti i condomini, ma tale deroga deve risultare in modo espresso e non pu ritenersi
implicitamente disposta per la previsione nel regolamento dell'assoggettamento a delibera assembleare (a
maggioranza qualificata) delle modificazioni alle cose comuni finalizzate al miglior godimento delle cose stesse,
da parte della pluralit condominiale, dato che queste ultime comportano non solo l'incidenza della spesa su tutti
i condomini, ma altres la modifica in tutto o in parte nella materia o nella forma ovvero nella destinazione di fatto
o di dritto della cosa comune, a differenza delle modificazioni apportabili dal singolo condomino, che non
possono incidere che sul pari uso (anche potenziale) degli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 1992, n. 10895, Valletta c. Condominio di Via Zamenhof 7/9 di Bologna.
L'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante sottoposto dall'art. 1102 c.c. a due limiti
fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli
altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Pertanto, a rendere illecito l'uso basta il mancato
rispetto dell'una o dell'altra delle due condizioni, sicch anche l'alterazione della destinazione della cosa comune
determinato non soltanto dal mutamento della funzione, ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore,
ricade sotto il divieto stabilito dall'art. 1102 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 luglio 1995, n. 7752, Pinelli c. Muccilli.
Le due condizioni d'uso della cosa comune, consistenti, a norma dell'art. 1102 c.c., nella non alterazione della
cosa stessa e nel non impedimento agli altri comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto,
debbono necessariamente coesistere, onde a rendere illecito l'uso sufficiente la sola alterazione della cosa,
determinata non solo dal mutamento della sua funzione ma anche dal suo scadimento a deteriore condizione.
* Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1976, n. 247.
L'uso da parte di ciascun condomino - nonch del locatario che da quest'ultimo ha causa - della cosa comune e

delle parti comuni di una cosa sottoposto, ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., al divieto di alterare la destinazione
della cosa comune, nonch a quello di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro
diritto, con preminenza dell'osservanza del primo divieto potendosi avere salvaguardia degli interessi dei
condomini solo col rispetto della destinazione attualmente impressa alla cosa comune. L'accertare se gli atti e le
opere dei singoli condomini, miranti ad una intensificazione del proprio godimento della cosa comune, siano
conformi o meno alla destinazione della cosa comune, compito del giudice del merito, incensurabile in sede di
legittimit se congruamente motivato. (In applicazione del principio di cui alla massima, stata ritenuta corretta
la decisione del giudice del merito che, sulla base di una norma del regolamento di condominio che prevedeva
una espressa autorizzazione condominiale, ha affermato che l'apposizione di cartelloni pubblicitari sulla facciata
non pu essere considerata esplicazione del normale uso di godimento della cosa).
* Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1984, n. 4195, Soc. Supermoda c. Lucarini.
Il limite al diritto di godimento spettante a ciascun condomino iure proprietatis sulle parti comuni - nella specie
divieto di sosta, anche per il carico e discarico di masserizie, in tutti gli spazi comuni dell'edificio - disposto dal
regolamento condominiale nell'interesse comune e accettato nei singoli atti d'acquisto, ha natura negoziale e
perci pu essere modificato soltanto per iscritto e con il consenso unanime dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1997, n. 854, Pascale ed altri c. Cond. V. Petrarca 175 Napoli.
Il condomino non ha il dovere di limitare l'uso della cosa comune ai soli casi in cui il suo interesse non possa
essere altrimenti soddisfatto con il medesimo costo, perch il solo limite che l'art. 1102 c.c. pone al potere di
utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun condomino quello del divieto di alterarne la destinazione e
di impedire che altri ne faccia parimenti uso secondo il suo diritto.
* Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172, Bolgianni c. Del Pani.
La coesistenza di una comunione d'uso e di separate propriet esclusive in relazione ad un determinato bene,
possibile quando proprietari di esso siano dei privati, in quanto compatibile con il godimento o uso comune del
bene, la propriet esclusiva di sue parti separate, intesa come residua facolt di disposizione di esse, va esclusa
quando invece i proprietari siano due enti pubblici territoriali ed il bene sia un bene demaniale (nella specie, una
strada), poich la demanialit esclude la facolt di disposizione e l'unico modo di esercizio della facolt di
godimento da parte dei suddetti enti pubblici, in relazione alla natura del bene, quello della destinazione al
pubblico transito, coincidente con la sua comunione d'uso.
* Cass. civ., sez. I, 11 maggio 1983, n. 3246, Soc. Lloyd. Adr. c. Com. Cervignano.
L'uso della cosa comune da parte del condomino, oltre ad essere soggetta ai limiti interni posti dalla legge nei
rapporti tra condomini (art. 1102 cod. civ.), incontra anzitutto un limite esterno, in relazione all'ambito stesso
delle parti di propriet condominiale, al di fuori del quale non pu parlarsi di uso o miglior uso della cosa
comune, poich il rispetto della propriet esclusiva dei singoli condomini esige che gli altri non possano
invaderne la sfera, n gravarla di pesi o limitazioni, ove non abbiano al riguardo un particolare diritto. (Nella
specie, enunciando il surriportato principio, il S.C. ha confermato la decisione del giudice del merito di condanna
di un condomino alla rimozione di tubazioni con cui aveva invaso una cantina di propriet esclusiva di altro
condomino).
* Cass. civ., sez. II, 13 marzo 1982, n. 1624, Di Russo c. Melloni.
Poich l'art. 1102 cod. civ. vieta le utilizzazioni della cosa comune che impediscono agli altri condomini di
continuare a farne uso in conformit alla sua destinazione, il condomino di un edificio non pu, eseguendo una
costruzione in appoggio al muro perimetrale comune (nella specie: tettoia), chiudere le aperture del medesimo
destinate a dare luce ad un vano di propriet di altro condomino, sicch tale opera che sia stata eseguita
lecitamente al momento della sua realizzazione, non pu essere frustrata da una siffatta utilizzazione
successiva della cosa comune pretesa dall'altro condomino.
* Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1981, n. 1941, Resegna C. c. Ascione A.
Il divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilit di sfruttamento da parte di tutti i partecipanti
alla comunione secondo l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni del bene
comune delle quali i comproprietari si siano convenzionalmente attribuiti il godimento separato, in quanto anche
in tal caso, non venendo meno la contitolarit dell'intero bene, la facolt di utilizzazione della cosa attribuita a
ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed analoga facolt degli altri, con la conseguenza che
sono consentite solo le opere necessarie al miglior godimento, dovendo per contro ravvisarsi una lesione del
diritto di compropriet degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e
quindi concretamente sottratta alla possibilit dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o
originariamente praticati.
* Cass. civ., sez. II, 4 maggio 1993, n. 5161, Inno c. Inno, in Arch. loc. e cond. 1993, 744.
Nel condominio di edificio, al fine di determinare la portata del godimento spettante a ciascun partecipante sui
beni comuni, occorre fare riferimento al momento in cui l'unico dominio esclusivo si fraziona in pi propriet
individuali. Pertanto, tale godimento non pu estendersi a vantaggio di costruzioni realizzate da un condomino
nell'ambito della sua propriet individuale successivamente alla costituzione del condominio, in ampliamento
oppure a completamento dell'edificio condominiale, anche se in attuazione degli intendimenti dell'originario
costruttore ed unico proprietario.
* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1980, n. 5719, Turturno c. Martino.
Il principio di cui all'art. 1102 cod. civ., sull'uso della cosa comune consentito al partecipante, non applicabile ai
rapporti tra propriet individuali (e loro accessori) e beni condominiali finitimi, che sono disciplinati dalle norme
attinenti alle distanze legali ed alle servit prediali, ossia da quelle che regolano i rapporti tra propriet contigue
od asservite e che non contraddicono alla particolare normativa della comunione.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1980, n. 221, Galeano c. Grasso.
L'esercizio della facolt di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall'ari. 1102 c.c., deve

esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di compropriet sulla cosa medesima e non pu essere
esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse propriet del medesimo condomino perch in tal caso si
verrebbe ad imporre una servit sulla cosa comune per la cui costituzione necessario il consenso di tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1994, n. 11138, Societ Albergo Saturnia Internazionale c. Piamonte.
L'assemblea del condominio di un edificio ha il potere di disciplinare, e, eventualmente, nel concorso di
giustificate ragioni ed interessi comuni, di ridurre l'uso della cosa comune da parte dei singoli partecipanti, ma
non anche quello di sopprimere totalmente l'uso medesimo, ancorch limitatamente a determinati periodi di
tempo. (Nella specie, premesso il principio di cui sopra, la S.C. ha ritenuto correttamente affermata dai giudici
del merito la nullit, e, quindi, l'impugnabilit oltre il termine stabilito dall' art. 1137 terzo comma c.c., della
delibera con la quale era stata decisa l'assoluta chiusura di un cancello di accesso al cortile, in determinate ore
del giorno).
* Cass. civ., sez. II, 9 maggio 1977, n. 1791.
A norma dell' art. 1138 c.c., l'assemblea dei condomini pu, in sede di formazione o di modifica del regolamento
condominiale, regolare, a maggioranza, le modalit di godimento delle cose e dei servizi comuni (istituendo, se
del caso, l'uso turnario degli stessi), ma non anche disciplinare la misura e l'intensit di esso quale risulta dal
titolo di acquisto o dalla legge ed, in particolare dall'art. 1102 c.c., limitando tale godimento ad una soltanto delle
forme di uso di cui la cosa comune sia suscettibile secondo la sua destinazione. Le norme del regolamento
condominiale che introducano tali limitazioni specialmente nel caso in cui queste possono incidere
sull'utilizzabilit e sulla destinazione delle parti dell'edificio di propriet esclusiva, hanno carattere convenzionale,
nel senso che, se predisposte dall'originario proprietario dello stabile, debbono essere accettate dai condomini
nei rispettivi atti di acquisto, ovvero con atti separati e, se, invece, deliberate dall'assemblea condominiale,
debbono essere approvate all'unanimit. Inoltre, i vincoli da esse costituiti, avendo natura di oneri reali, per poter
essere opposti ai terzi acquirenti a titolo particolare, debbono essere trascritti nei pubblici registri, ovvero
accettati nei singoli negozi di acquisto.
* Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1977, n. 621.
L'art. 1102 c.c., non pone una norma inderogabile i cui limiti non possano essere resi pi severi da un
predisposto regolamento condominiale, successivamente recepito nel contratto d'acquisto di beni compresi nel
complesso condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1975, n. 1600.
La sfera dei diritti dei singoli condomini sulla cosa comune pu essere suscettibile di restrizioni purch abbiano
natura contrattuale e siano trascritte per la loro ulteriore validit anche nei confronti dei successivi acquirenti (la
fattispecie esaminata riguarda una veranda appoggiata ed ancorata al muro della facciata dell'edificio).
* Tnib. civ. Napoli, 30 novembre 1991, n. 13613, in Arch. loc. e cond. 1992, 129.
L'annessione effettuata da un singolo condomino di una porzione della cosa comune a locale di sua propriet
esclusiva e la correlativa sottrazione ditale porzione al pari diritto degli altri condomini, configurano violazione del
disposto dell'art. 1102 cod. civ., il quale, nel permettere a ciascun condomino di servirsi della cosa comune e di
apportarvi le modifiche necessarie per il migliore godimento, pone come condizione limitativa il divieto di alterare
la destinazione e quello di impedire agli altri partecipanti di fanne parimenti uso, secondo il loro diritto.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 30 marzo 1987, n. 574, Paolucci c. Manco e Condominio di via M. Ruta, in Arch.
loc. e cond. 1987, 323.
In un condominio composto da meno di dieci condomini, sebbene non sussista l'obbligo giuridico di formare un
apposito regolamento che disciplini l'uso della cosa comune, tuttavia il potere della maggioranza dei condomini
di disporre o meno le modalit per il migliori godimento della cosa comune trova il suo limite nel rispetto della
condizione che il diritto di compropriet possa estrinsecarsi liberamente e, in ogni caso, non pu menomare le
facolt attribuite dalla legge all'amministratore.
* Giud. conc. Roma, 20 novembre 1986, Battista c. Condominio di via dei Tecii n. 14, Roma, in Arch. loc. e cond.
1987, 579.
L'assemblea condominiale pu, in sede di approvazione del regolamento, e con le maggioranze previste dall'art.
1136 cod. civ., imporre ai singoli condomini limitazioni all'uso e alla destinazione dei loro appartamenti, quando
tali destinazioni, per loro natura, necessariamente implichino un uso eccessivo o sproporzionato delle cose
comuni ovvero ne alterino la destinazione. Di conseguenza, spetta al condominio dissenziente provare
l'esistenza di un regolamento contrattuale che, accettato dai singoli compratori, abbia fissato una determinata
destinazione dell'edificio.
* Trib. civ. Agrigento, sez. I, 4 luglio 1977, Miceli c. Condominio Sud, in Arch. loc. e cond. 1980, 85.
In caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di
taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso diluiti i condomini,
legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal
che possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione
senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una sua autonomia rispetto
all'edificio), quando risulti quello di una o pi delle porzioni immobiliari in cui l'edificio stesso si articoli.
* Cass. civ., sez. II, 13luglio 1993, n. 7691, Muraro c. Zuccato, in Arch. loc. e cond. 1993, 706.
Le modificazioni della cosa comune o di sue parti (muri perimetrali, cortili ecc.), eseguite dal singolo condomino
ai fini di un suo uso particolare, diretto ad un migliore e pi intenso godimento della cosa medesima,
costituiscono una consentita esplicazione del diritto di compropriet ex art. 1102 cod. civ., ove non implicano
alterazioni della consistenza e della destinazione del bene e non pregiudichino i diritti di uso e di godimento degli
altri condomini. Diversamente, si risolvono in una innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 stesso codice, e nel
caso di costruzione, nel cortile comune, di una autoclave per il servizio di una singola unit abitativa - seppure

consentita con deliberazione della assemblea dei condomini a norma del quinto comma dell'art. 1136 - comporta
sottrazione di una parte del suolo comune alla sua naturale destinazione ed all'uso e godimento degli altri
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1911, Nilo c. Centonze.
Il divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilit di sfruttamento da parte di tutti i partecipanti
alla comunione secondo l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni del bene
comune delle quali i comproprietari si siano concordemente attribuito il godimento separato, in quanto anche in
tal caso, non venendo meno la contitolarit dell'intero bene, la facolt di utilizzazione della cosa attribuita a
ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed analoga facolt degli altri, con la conseguenza che
sono consentite solo le opere necessarie al miglior godimento, e dovendo per contro ravvisarsi una lesione del
diritto di compropriet degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e
quindi concretamente sottratta alla possibilit dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o
originariamente praticati.
* Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 1986, n. 421, Fusco c. Di Resta.
Costituiscono esplicazione del diritto di compropriet ex art. 1102 cod. civ., e in quanto tali non richiedono la
preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, le modificazioni della cosa comune eseguite dal singolo
condomino ai fini di un suo uso particolare diretto al miglior godimento della medesima (e, quindi, anche in
assenza di una necessit in senso assoluto), che non implichino alterazioni della consistenza e della
destinazione della cosa stessa e non pregiudichino i diritti di uso e di godimento degli altri condomini. Sono,
invece, innovazioni le modificazioni che importino alterazioni della consistenza della cosa comune o ne mutino la
destinazione e che, ai sensi dell'art. 1120, primo comma, cod. civ., richiedono, perch possano essere disposte,
la maggioranza assembleare di cui al quinto comma del successivo art. 1136.
* Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1982, n. 6608, Zecca c.Rossi.
L'art. 1102 cod. civ., nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione al fine di salvaguardare l'interesse
comune e quello dei singoli, consente solo di apportare modificazioni alla cosa comune purch non ne sia
alterata la destinazione e non vengano pregiudicati i concorrenti diritti di uso degli altri comproprietari, onde ogni
attivit costituente non modificazione, ma innovazione (nella specie: costruzione eseguita su suolo comune),
vietata dalla norma citata.
* Cass. civ., sez. II, 8 febbraio 1982, n. 734, Maini c. Dav.
- validamente dato in forma verbale, da un comproprietario all'altro, l'assenso per semplici modificazioni della
cosa comune nel quadro di un accordo sul contemperamento concreto dei rispettivi singoli usi concorrenti della
cosa stessa.
* Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1977, n. 398.
A norma dell'art. 1102 c.c. ciascun condomino pu servirsi della cosa comune apportandovi le modificazioni che
egli ritenga utili per il miglior godimento di essa, fino a sostituirla con altra che offra maggiore funzionalit. Tali
facolt, peraltro, sono legittime solo se si esplicano nei limiti dettati dalla legge, e cio con l'astensione da ogni
alterazione del bene comune e conservando la possibilit dell'uso di esso da parte di ogni altro condomino
nell'ambito del suo diritto. I limiti ora indicati non vengono superati dal solo fatto dell'uso pi intenso da parte di
uno o pi condomini, purch attraverso lo stesso non si giunga al turbamento dell'equilibrio con tutti i diritti di
costoro o a un cambiamento della destinazione del bene comune, non soltanto in vista dell'uso attuale, ma
anche di quello potenziale secondo la natura della cosa e il fine al quale essa venne predisposta, sicch resta
del tutto indifferente - salvo che in relazione alla costituzione di diritti esclusivi a favore di alcuno dei condomini o
di terzi - che da tempo pi o meno lungo uno o pi degli interessati non si siano serviti del bene in questione.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1976, n. 1836.
In caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di
taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini,
legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal
ch possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione
senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una sua autonomia rispetto
all'edificio), quando risulti quello di una o pi delle porzioni immobiliari in cui l'edificio stesso si articoli.
* Cass. civ., sez. II, 13 luglio 1993, n. 7691, Muraro e Zuccato.
Ostacoli al diretto godimento
L'ostacolo al diretto godimento della cosa comune da parte di uno dei comproprietari frapposto dagli altri non
richiede di necessit un formale rifiuto in risposta ad una identica richiesta bens pu risultare, oltre che da
espresse manifestazioni di volont, anche da comportamenti al fine equivalenti da apprezzare in relazione alle
condizioni oggettive del bene comune ed ai rapporti personali tra i diversi comproprietari. Tale ostacolo fa
sorgere, a carico di chi lo ponga in essere, l'obbligo di prestazione risarcitoria sostitutiva del godimento non
fruito.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1983, n. 176, Benedetti c. Aspesi.
In applicazione dell'art. 1102 c.c., qualora il partecipante alla comunione, con l'esecuzione di nuove opere, renda
impossibile o menomi l'esercizio del diritto degli altri partecipanti, frapponendovi un qualche ostacolo, che si
traduca in un pregiudizio giuridicamente rilevante ed apprezzabile, ciascuno degli altri condomini pu chiedere la
rimozione dell'opera che altera e sconvolge il rapporto di equilibrio della comunione.
* Cass. civ., sez. II, 14 marzo 1974, n. 716.
Pari uso.
La parit dell'uso assicurata dall'art. 1102 c.c. ad ogni condomino, intesa a consentire qualsiasi altro miglior
uso e non anche quel particolare, specifico ed identico uso realizzato con la modificazione in atto. Il concorso di
diritti al miglior godimento della cosa comune si risolve non col criterio della priorit (presupposizione), bens con

quello dell'equo contemperamento dei contrapposti interessi.


* Cass. civ., sez. II, 9 settembre 1970, n. 1378.
La nozione di pari uso della cosa comune che ogni compartecipe, utilizzando la medesima, deve consentire agli
altri a norma dell'art. 1102 cod. civ., non da intendere nel senso di uso identico, giacch l'identit nello spazio,
o addirittura nel tempo, potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso
particolare o addirittura un uso a proprio esclusivo vantaggio, soprattutto nel caso di modificazioni apportate alla
cosa. (Nella specie, in cui i giudici del merito avevano ritenuto uso legittimo della cosa comune ai sensi dell'art.
1102 cod. civ. l'appoggio, da parte di un condomino, di una trave del solaio di separazione tra due piani alla
"cassa" delle scale comuni, il S.C. alla stregua del principio che precede, ha considerato corretta la decisione).
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4601, Gravina c. Trillo.
Per pari uso della cosa comune deve intendersi non un uso identico nello spazio o addirittura nel tempo, a
quello attuato dal comproprietario-condomino modificatore, ma quel qualsiasi altro miglior uso che gli altri
condomini possano convenientemente fare in altra parte della cosa comune.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 19 settembre 1988, Deccesari c. Condominio di Via Archimede 16, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1989, 740.
L'unit sistematica tra la disposizione dell'art. 1118 comma 1 c.c., a norma del quale il diritto di ciascun
condomino sulle parti comuni dell'edificio proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli
appartiene, e la disposizione del comma 1 dell'art. 1123 c.c., per il quale le spese necessarie per la
conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse
comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale
al valore della propriet di ciascuno, non impedisce, trattandosi di norme derogabili, che siano
convenzionalmente previste discipline diverse e differenziale tra loro dei diritti di ciascun condomino sulle parti
comuni (che possono essere attribuiti in proporzione diversa - maggiore o minore - rispetto a quella della sua
quota individuale di piano o porzione di piano) e degli oneri di gestione del condominio, che possono farsi
gravare sui singoli condomini indipendentemente dalla rispettiva quota di propriet delle cose comuni o dall'uso.
(Nella specie, stata riconosciuta la validit dell'accordo che attribuiva ai condomini, proprietari di unit abitative
di diverso valore, un uguale diritto dominicale sulle parti comuni prevedendo la formazione di tabelle millesimali
solo ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione e pulizia delle stesse).
* Cass. civ.. sez. II, 8 luglio 1995, n. 7546, Bernardini c. Masieri e altri.
Piscina.
Il diritto di invitare ospiti nella piscina condominiale costituisce un modo di fruizione del bene comune e come
tale ai sensi degli arti. 1118 e 1123 cod. civ. deve essere proporzionato alla propriet.
* Pret. civ. Roma, 13luglio 1989, Vianelli e altra c. Condominio "Le quattro rose" sito in Ardea, via Latina localit nuova Florida, in Arch. loc. e cond. 1989, 757.
Rilascio di nulla-osta.
Il diritto del condomino di usare le parti comuni dell'edificio, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca
agli altri condomini di farne parimenti uso (arti. 1102 e 1139 c.c.), implica per questi ultimi l'obbligo di
comportarsi in modo da non rendere impossibile, e ingiustificatamente pi gravoso, l'uso del singolo e cos il
dovere di quell'attiva cooperazione necessaria per l'uso del condomino. Pertanto, qualora un terzo estraneo alla
comunione, ma di cui il condomino debba necessariamente avvalersi per la sua posizione di monopolio o
supremazia, contesti il diritto del condomino di fare un certo uso legittimo della cosa comune senza il preventivo
nulla-osta degli altri condomini, costoro non possono rifiutarne il rilascio, semprech il rifiuto non risulti in
concreto giustificato da un ragionevole motivo. (Nella specie l'Acea e la Soc. Romana Gas, richiesti da un
condomino dell'installazione dei servizi di acqua e gas, avevano preteso il preventivo nulla-osta del condominio).
* Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1978, n. 2816.
Targhe e insegne (apposizione).
Ciascuno dei condomini pu servirsi dei muri perimetrali dell'edificio condominiale per quelle utilit accessorie
che ineriscono al godimento della sua propriet esclusiva, qual l'utilit del risalto pubblicitario dell'attivit
professionale o commerciale svolta, che si realizza normalmente mediante l'apposizione di insegne, targhe,
cartelli e simili. Consegue che - poich la utilizzazione del muro perimetrale comune mediante tale apposizione
non ne altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio con-dominiale - l'utilizzazione stessa,
ove non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare eguale uso del muro,
costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune.
* Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1986, n. 6229, Ruggeri c. Grassitelli.
n tema di condominio di edifici, i partecipanti con voto unanime possono sottoporre a limitazioni, nell'ambito
dell'autonomia negoziale, l'esercizio dei poteri e delle facolt che normalmente caratterizzano il contenuto del
diritto di propriet sulle cose comuni, venendosi in materia disponibile, con la conseguenza che con regolamento
contrattuale possono vietare l'apposizione di insegne, targhe e simili sui muri perimetrali comuni, ovvero
subordinarla al consenso dell'amministrazione.
* Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1993, n. 9311, Cond. di Piazza di Spagna, n. 20, di Roma c. Credito Italiano.
Il conduttore, cui consentito trarne dalla cosa locata tutte le utilit inerenti al suo normale godimento, escluse
solamente quelle espressamente vietate dal contratto o confliggenti con il diritto del locatore o di terzi, pu
utilizzare le parti comuni dell'edificio condominiale, ove sito l'immobile locatogli, con eguale contenuto ed
eguali modalit del potere di utilizzazione spettante al proprietario. Consegue che, ove non sia stato escluso dal
contratto, il conduttore pu apporne sul muro perimetrale dell'edificio condominiale targhe od insegne atte a
pubblicitarie la sua attivit commerciale svolta nel locale locatogli.
* Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1986, n. 6229, Ruggeri c. Grassitelli.
L'utilizzazione del muro perimetrale comune da parte del singolo condomino mediante l'apposizione di insegne,

targhe, cartelli e simili non ne altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio condominiale e,
ove non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare uguale uso del muro,
costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune.
* Pret. civ. Trani, 25 luglio 1989, Guastadisegno ed altra c. De Gennaro, in Arch. loc. e cond. 1989, 751.
- illegittima la collocazione, da parte di un condomino, di insegne luminose, targhe e cartelli pubblicitari sul
portone di ingresso, sul muro e nel corridoio dell'atrio condominiale, in quanto tale utilizzazione, non concessa
dal condominio, comunque in contrasto con la funzione o la destinazione tipica ditali parti comuni.
* Trib. civ. Brescia, 26 aprile 1994, n. 1100, Bonfiglio c. Soc. Ocean Viaggi, in Arch. loc. e cond. 1995, 161.
La norma di un regolamento condominiale che vieti la collocazione di targhe, insegne o tende di qualsiasi
genere senza il permesso scritto dell'assemblea, non applicabile nel caso in cui un condominio collochi, sulla
parte di pianerottolo strettamente al servizio dell'ingresso al proprio alloggio, alcune piastrelle in ceramica di
notevole pregio artistico e non recanti alcuna scritta.
* Pret. civ. Ravenna, 24 marzo 1992, n. 29, in Arch. loc. e cond. 1992, 641.
Tende (installazione).
Nel caso di installazione di una tenda e delle relative intelaiature metalliche su di uno spazio di propriet
comune, da parte del condominio del piano terreno che lo abbia in uso esclusivo e destinato a ristorante, per la
sussistenza della violazione dell'art. 1102 c.c., con riguardo al mutamento della struttura e della funzione del
detto bene comune ed in particolare al diritto di veduta in "a piombo" dei condomini dei piani superiori, deve
accertarsi sia l'utilitas (specifica o socialmente rilevante) derivante da quel diritto che in concreto la sua
menomazione, tenendo conto in ispecie del distacco (in altezza) della tenda dalle vedute dei piani superiori,
delle caratteristiche dei luoghi e dell'uso normale, nonch, in relazione alla specifica destinazione dello spazio
comune, delle consuetudini e del normale comportamento degli esercenti di attivit consimili.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1991, n. 11392, Spa Porto Salvo c. Garbagnati ed altri.
Uso diverso.
L'utilizzazione della cosa comune ad opera del condomino pu avvenire tanto secondo la destinazione usuale
della cosa stessa, quanto in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri partecipanti alla
comunione, sempre per nell'ambito della destinazione normale della cosa senza alterazione del rapporto di
equilibrio tra le utilizzazioni concorrenti attuali e anche potenziali diluiti i comproprietari, ma non quando quel
godimento peculiare e inconsueto del singolo compartecipante determini pregiudizievoli invadenze nell'ambito
dei coesistenti diritti degli altri comproprietari. (Nella specie, si ritenuto che il comproprietario di una striscia di
terreno non abbia il diritto di occupare lo spazio aereo sovrastante la striscia stessa con una costruzione sullo
stesso aggettante, in quanto in tal caso la occupazione si risolve in una utilizzazione particolare realizzata
mediante la stabile incorporazione al contiguo bene del singolo comproprietario di una porzione dello spazio
aereo sovrastante il bene comune).
* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1984, n. 6192, inzerilli c. Mustica.
La cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., pu essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e
diverso dal suo normale uso se ci non alteri l'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli
altri e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari pertanto,
legittima la costruzione di sporti sul cortile, (sulla strada o sul passaggio comune) se sia realizzata in modo da
non pregiudicane n la normale funzione del cortile, che di regola, quella di fornire aria e luce agli immobili
circostanti (e, per la strada, quella di permettere il transito dei condomini) n le possibilit di utilizzazione
particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini. (Nella specie, trattavasi del telaio e dei battenti degli
infissi, in posizione di completa apertura o di completa chiusura, realizzati, al pianterreno, nel muro prospiciente
il passaggio comune senza ridurne la larghezza utilizzabile, dato che nel tratto precedente il passaggio era
ristretto da un 'antica sporgenza).
* Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172, Bolgianni c. Del Pani.
L'utilizzazione della cosa comune da parte del condominio pu aver luogo anche in modo particolare e diverso
da quello praticato dagli altri compartecipanti, sempre che l'utilizzazione particolare rientri tra le destinazioni
normali della cosa e non alteri l'utilizzazione praticata dagli altri, ossia il rapporto di equilibrio fra le utilizzazioni
concorrenti - attual-mente ed anche potenzialmente - di tutti i comproprietari. Tale alterazione sussiste qualora il
godimento particolare ed inconsueto del singolo condomino determini pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei
coesistenti diritti altrui, quali asservimenti, immissioni e molestie.
* Cass. civ., sez. II, 10 novembre 1981, n. 5954. Pirolozzi c. Pinolozzi.
L'utilizzazione della cosa comune ad opera del condomino pu aver luogo non soltanto secondo la destinazione
usuale, ma anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri partecipanti, sempre che
l'utilizzazione particolare non impedisca l'utilizzazione degli altri e non alteri il rapporto di equilibrio tra le facolt
di utilizzazione, attualmente o potenzialmente concorrenti, dei comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 24aprile 1981, n. 2451, Ferrara c. Carosello.
Una volta che sia stato convenuto l'uso frazionato e precario di una cosa comune, l'utilizzazione della cosa
anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri compartecipanti non viola la norma di cui
all'art. 1102 cod. civ., sempre che tale utilizzazione rientri fra le destinazioni normali della cosa comune e non
alteri o ostacoli l'utilizzazione praticata dagli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1979, n. 6338. Borra c. Galli.
Nel condominio di edificio, al fine di determinare la portata e l'estensione del godimento spettante a ciascun
partecipante sui beni comuni, nonch di accertare l'eventuale esistenza, in favore del singolo condomino, di
particolari diritti di utilizzazione, contrastanti con la destinazione normale dei beni medesimi, occorre tener
presente la situazione al momento della nascita del condominio, in relazione alle disposizioni del suo atto
costitutivo e del regolamento, rimanendo irrilevante l'eventuale diversit della situazione medesima in epoca

anteriore.
* Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1976. n. 1348.
Uso esclusivo.
Il regolamento condominiale contrattuale - il quale viene ad esistenza nel momento in cui, contestualmente al
primo atto di vendita di una frazione esclusiva dell'edificio. comportante la nascita del condominio, l'acquirente
ne accetta le varie clausole - pu contenere, oltre all'indicazione delle parti dell'edificio di propriet comune ed
alle norme relative all'amministrazione e gestione delle cose comuni, la previsione dell'uso esclusivo di una parte
dell'edificio definita comune a favore di una frazione di propriet esclusiva. In tal caso il rapporto ha natura
pertinenziale, essendo stato posto in essere dall'originario unico proprietario dell'edificio, legittimato
all'instaurazione ed al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli arti. 817 e 818, secondo
comma, c.c., con l'ulteriore conseguenza che, attenendo siffatto rapporto alla consistenza della frazione di
propriet esclusiva, il richiamo puro e semplice del regolamento condominiale in un successivo atto di vendita (o
promessa di vendita) da parte del titolare della frazione di propriet esclusiva, a cui favore sia previsto l'uso
esclusivo di quella parte comune, pu essere considerato sufficiente ai fini dell'indicazione della consistenza
della frazione stessa venduta o promessa in vendita.
* Cass. civ., sez. II, 4 giugno 1992. n. 6892.
A norma dell' art. 1102 cod. civ. l'utilizzazione della cosa comune da parte di uno dei partecipanti alla
comunione, anche se pi intensa o diversa da quella degli altri, non vale di per s sola a mutare il titolo del
possesso, e, quindi, ad attrarre la cosa comune o parte di essa nella sfera della disponibilit esclusiva del
singolo comunista, il quale, ove intenda espandere il suo possesso in via esclusiva sul bene, pur non dovendo
necessariamente compiere gli atti di "interversio possessionis", previsti dagli art. 1141 e 1164 cod. civ.,
rispettivamente per il mutamento della detenzione in possesso, e del possesso di un diritto reale su cosa altrui,
in possesso corrispondente all'esercizio della propriet, deve tuttavia concretarsi in atti integranti un
comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini sulla cosa, incompatibile
con il permanere del compossesso altrui.
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1985, n. 319, Alberio c. Incorvaia.
Il condomino che, col consenso degli altri comproprietari, usa in modo esclusivo una cosa comune, non estende
il suo dominio su di essa neppure sotto il profilo di maggiori poteri, in quanto sarebbe all'uopo necessario il
compimento ad opera del medesimo, di atti idonei a mutare il titolo del possesso.
* Cass. civ., sez. III, 22 giugno 1978, n. 3091.
L'originario proprietario diluito l'edificio divenuto poi condominiale ovvero tutti i condomini possono conferire ad
un singolo condomino sulla cosa comune un particolare diritto, il quale alteri la destinazione funzionale della
cosa comune; e questo particolare diritto secondo la volont delle parti interessate pu avere contenuto
meramente obbligatorio con effetti limitati alle parti contraenti, ovvero il contenuto reale di una servit.
* Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1975, n. 899.
Il diritto di compropriet dei condomini sulle parti comuni di un edificio deve ritenersi leso ogni qualvolta uno dei
condomini abbia attratto la cosa comune in tutto od in parte nella propria disponibilit esclusiva, sottraendola alla
possibilit di sfruttamento collettivo. (Nella specie, il proprietario di alcuni scantinati confinanti con il terrapieno
sottostante all'androne dell'edificio in condominio, aveva messo in comunicazione detti scantinati aprendo i muri
delimitanti il terrapieno, procedendo allo sbancamento di questo e provvedendo alla costruzione di una soletta in
cemento armato di sostegno del soprastante androne).
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1973, n. 2759.
Uso frazionato.
Allorquando sia possibile l'uso frazionato della cosa comune in considerazione della sua natura e destinazione, i
partecipanti alla comunione (ovvero il giudice in caso di controversia sulle modalit d'uso) possono accordarsi
circa l'utilizzazione di parte di questa da uno dei comproprietari purch. a norma dell'art. 1102 cod. civ., tale
utilizzazione rientri tra quelle cui destinata la cosa comune e non alteri od ostacoli il godimento degli altri
comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1985, n. 434, Michelon c. Stocchero.
Uso pi intenso.
Al singolo condomino consentita l'esecuzione di un'opera implicante un maggiore suo godimento della cosa
comune soltanto se la realizzazione di essa non impedisca agli altri condomini il compimento di opere, gi
previste o ragionevolmente prevedibili in base alla destinazione attuale della cosa comune ed alle prospettive
offerte dalla sua natura, le quali permettano ai medesimi lo stesso od altro miglior uso di tale cosa, a vantaggio
delle loro propriet esclusive. (Nella specie, il S.C., enunciando il surriportato principio, ha cassato la decisione
di merito che aveva riconosciuto legittima la costruzione, da parte di un condomino, di un pensile sovrastante il
cortile comune, senza accertare se questo manufatto costituisse o non impedimento alla costruzione di ulteriori
pensili ed alla esecuzione di opere simili o anche diverse [balconi, finestre, ecc.] che, secondo una ragionevole
previsione, gli altri condomini potessero realizzare in futuro al servizio delle unit immobiliari di loro propriet
esclusiva).
* Cass. civ., sez. Il, 5 aprile 1982, n. 2087, Deidda c. Lama.
La nozione di pari uso della cosa comune che ogni compartecipe nell'utilizzare la cosa medesima deve
consentire agli altri, a norma dell'art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico perch l'identit .nello
spazio o addirittura nel tempo potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso
particolare o a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che per stabilire se l'uso pi intenso da parte di un
condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio fra i partecipanti al condominio - e perci da ritenersi non
consentito a norma dell'art. 1102 - non deve aversi riguardo all'uso fatto in concreto di detta cosa da altri
condomini in un determinato momento, ma di quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.

* Cass. civ., sez. II, 23 manzo 1995, n. 3368, Pipan c. Cond. via C. D'Appello.
Il giudice del merito, per accertare se l'uso pi intenso della cosa comune da parte di un condomino venga ad
alienare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti al condominio e debba perci ritenersi non consentito ex art.
1102 c.c., non deve tener presente l'uso fatto in concreto di detta cosa dagli altri condomini in un determinato
momento, ma quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. (Nella specie in base al principio surriportato,
stata ritenuta corretta la decisione di merito, la quale aveva affermato che la collocazione da parte di un
condomino sul muro perimetrale comune di tre bacheche, fornite di impianto di illuminazione, per l'esposizione di
quadri in vendita, era illegittima, perch tale da impedire agli altri condomini ogni eventuale uso che in avvenire
essi avrebbero voluto fare di detto muro, per collocarvi targhe professionali o commerciali).
* Cass. civ., sez. II, 11 dicembre 1992, n. 13107, Franco c. Del Buono.
L'esecuzione, da parte del comproprietario, di una modificazione alla cosa comune, al fine di farne un uso pi
intenso (nella specie, l'apertura di un nuovo accesso su cortile fra fabbricati) non illegittima per il solo fatto che
determini un'alterazione dell'equilibrio fino allora esistito fra gli usi esercitati dai comunisti; tale illegittimit
sussiste solo ove si accerti che l'incremento dell'uso del singolo partecipante pregiudichi la possibilit degli altri
di continuare nell'esercizio del loro uso, e di ampliare eventualmente il medesimo in modo e misura analoghe.
* Cass. civ., sez. II, 11luglio 1975, n. 2746.
L'art. 1102 c.c. consente al condomino di usare della cosa comune per un suo fine particolare, ove egli, in tal
modo, ritragga dal bene una specifica utilit aggiuntiva, rispetto alle utilit generali ridondanti a vantaggio dei
condomini tutti, ma gli vieta in modo assoluto di alterare la destinazione della cosa stessa, snaturandola,
impedendone o compromettendone la funzione che le propria.
* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1976, n. 579.
Uso turnario.
L'assemblea condominiale pu legittimamente regolamentare l'uso dei beni comuni limitando il godimento dei
condomini, nell'interesse comune, senza incorrere in causa di nullit assoluta, salvo escludere il godimento
diretto dei condomini o di alcuno di essi; sicch, in caso d'incapienza dei beni, il godimento turnario offre l'unico
strumento idoneo a consentire il godimento diretto di tutti i condomini, e nessuna norma inderogabile impone di
ragguagliare la durata dei periodi di godimento all'entit delle quote di compropriet dei turnisti.
* Trib. civ. Genova, sez. III, 10 ottobre 1992, n. 2927, Barabino c. Cond. di viale Pio VII n. 38-40 di Genova, in
Arch. loc. e cond. 1993, 113.
Uso vietato.
L'accordo di tutti i condomini che, anche imponendo divieti (nella specie proibizione di occupare
temporaneamente le parti comuni dell'edificio), tenda ad assicurare ai condomini stessi un migliore e pi
funzionale godimento delle cose e dei servizi comuni attenendo alla disciplina delle modalit di uso di questi,
sempre modificabile con una deliberazione assembleare, senza necessit di un successivo consenso diluiti i
condomini che l'hanno in precedenza stipulata.
* Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1977, n. 1898.
La deliberazione con la quale l'assemblea di un condominio di edificio, alla stregua del regolamento
condominiale, accerti eccesso od abnormit nell'uso dei beni comuni da parte di un singolo condomino (nella
specie, per deposito di materiali nel cortile e nell'androne), ed applichi, nei confronti di quest'ultimo, la sanzione
pecuniaria prevista, non comporta una lesione dei diritti del condomino medesimo sulle cose e servizi comuni,
ma attiene esclusivamente alla disciplina dell'uso di quelle cose e servizi: detta delibera, pertanto, non affetta
da nullit, deducibile in ogni momento con azione di accertamento, ma solo impugnabile ai sensi e nei termini
perentori di cui all'art. 1137 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1976, n. 132.
Il provvedimento del giudice che interdisce l'uso non consentito della cosa comune, reso possibile dalle
modifiche avvenute nella propriet esclusiva di uno dei comproprietari, non pu limitarsi a vietare l'uso non
consentito, ma deve contenere disposizioni che rendano materialmente impossibile il perpetuarsi dell'uso
illegittimo.
* Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1980, n. 4841, Sorrentino c. Nappi.
Rientra nei poteri dell'assemblea del condominio regolare l'uso delle cose comuni, ma non escludere uno o pi
condomini dall'uso delle cose comuni, se ad esso abbiano diritto in base al titolo o alla legge (nella fattispecie
l'assemblea, decidendo di escludere i proprietari soltanto di boxes e non anche di appartamenti nel condominio,
dall'uso degli ascensori anche ai soli fini del raggiungimento dei boxes, aveva deliberato in materia sicuramente
esulante dal campo delle sue attribuzioni, e, stando alla prospettazione aveva sacrificato il diritto degli stessi
sulle cose comuni).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 21 giugno 1991, medita.
- invalida la delibera assembleare che faccia divieto di accedere alla terrazza comune - destinata
esclusivamente per copertura - per stendere i panni e battere i tappeti in quanto tale diritto si fonda sul principio
di cui all'art. 1102 c.c., in virt del quale ognuno pu servirsi della cosa comune purch non ne alteri la
destinazione.
* Trib. civ. Milano, 14 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 799.
Usucapione.
Il partecipante alla comunione pu usucapire l'altrui quota indivisa del bene comune senza necessit di
interversio possessionis, ma attraverso l'estensione del possesso medesimo in termini di esclusivit. A tal fine si
richiede, tuttavia, che tale mutamento del titolo (art. 1102, secondo comma, c.c.) si concreti in atti integranti un
comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibili
con il permanere del compossesso altrui sulla stessa e non soltanto in atti di gestione della cosa comune
consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri (art. 1141 c.c.) o ancora atti

che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazioni di spese per il miglior godimento della cosa
comune, non possono dar luogo a un'estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro
compossessore.
* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1990, n. 10294.
La disposizione dell'art. 1102, comma 2 c.c., secondo la quale il partecipante alla comunione non pu estendere
il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso
impedisce al compossessore che abbia utilizzato la cosa comune oltre i limiti della propria quota non solo
l'usucapione ma anche la tutela possessorie del potere di fatto esercitato fino a quando questo non si riveli
incompatibile con l'altrui possesso.
* Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1995, n. 12231, Polito c. Condominio via E. Nicolardi n. 56.
Il condomino, per usucapire la cosa di propriet comune, non deve dimostrare l'interversione del possesso, ma
deve fornire la prova di avere sottratto la cosa all'uso comune per il periodo utile all'usucapione e, cio, di una
condotta univocamente diretta a rivelare che nel condominio si verificato un mutamento di fatto nel titolo del
possesso, e non la prova del mero non uso della cosa da parte degli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1984, n. 2622, Spinelli c. Riccio.
Il godimento del bene comune pu essere invocato dal comproprietario al fine dell'usucapione della propriet
dello stesso solo quando si traduca in un suo possesso di tipo esclusivo, con riguardo sia al corpus sia
all'animus, incompatibile con la possibilit degli altri condomini di uso del bene medesimo.
*Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1983, n. 4908. Coppola c. Codella.
L'uso della cosa comune da parte del singolo condomino non pu estendersi alla occupazione permanente di
una parte del bene comune, tale che, nel concorso degli altri requisiti di legge, possa portare alla usucapione
della parte occupata.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 663, Di Scala c. Trani. Conf., Cass. civ., 14 dicembre 1994, n. 10699.
Il partecipante alla comunione di un bene non pu estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri
partecipanti se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso; ai fini dell'usucapione della cosa
comune sufficiente che il condomino, per tutto il tempo necessario ad usucapire, possieda l'intera cosa in
modo esclusivo ed inconciliabile con il godimento comune della cosa stessa.
* Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1974, n. 1923.
REGOLAMENTO DI CONDOMINIO PREDISPOSTO DAL COSTRUTTORE
Cass. civ., sez. II, 6 agosto 1999 n. 8486 Acquirente di unit immobiliare facente parte del fabbricato - Impegno contrattuale a rispettare il regolamento
condominiale da predisporsi da parte del costruttore - Vincolativit
L'obbligo dell'acquirente, previsto nel contratto di compravendita di un'unit immobiliare di un fabbricato, di
rispettare il regolamento di condominio da predisporsi in futuro a cura del costruttore non pu valere come
approvazione di un regolamento allo stato inesistente, poich solo il concreto richiamo nel singolo atto di
acquisto ad un regolamento che consente di considerare quest'ultimo come facente parte, per relationem, di
quest'atto.
LA PROPRIETA' DEL SOTTOTETTO
Cass. civ., se. II, 20 luglio 1999, n. 7764
Sottotetto - Utilizzabilit da parte di tutti i condomini - Presunzione di propriet comune
In un edificio di pi piani appartenenti a proprietari diversi, l'appartenenza del sottotetto ( non indicato
nell'articolo 1117, Codice civile, tra le parti comuni dell'edificio ) si determina in base al titolo ed in mancanza in
base alla funzione cui esso destinato in concreto. Pertanto, ove trattasi di vano destinato esclusivamente a
servire da protezione dell'appartamento dell'ultimo piano, esso ne costituisce pertinenza e deve perci
considerarsi di propriet esclusiva del proprietario dell'ultimo piano, mentre va annoverato tra le parti comuni se
utilizzabile, anche solo potenzialmente, per gli usi comuni, dovendosi in tal caso applicare la presunzione di
comunione prevista dalla norma citata, la quale opera ogni volta che nel silenzio del titolo il bene sia suscettibile,
per le sue caratteristiche, di utilizzazione da parte di tutti i proprietari esclusivi.
DIRITTO DI SOPRAELEVAZIONE
Cass. civ., sez. II, 19 luglio 1999, n. 7678 - Ercolino c. Cond. via Doria 40 - Roma
Terrazza a livello - Equiparazione al lastrico solare - Diritto di sopraelevazione - Regolamento di condominio Limitazione - Condizioni
La terrazza a livello, anche se di propriet esclusiva, equiparata (in relazione alla sua funzione di copertura
dell'edificio) al lastrico solare in senso stretto e tale considerata anche nel regime della sopraelevazione; ne
consegue che il regolamento condominiale pu limitare il diritto di sopraelevazione spettante al proprietario
dell'appartamento a cui la terrazza afferisce soltanto se esso ha natura contrattuale.
IMPUGNAZIONE DEL RENDICONTO: SOGGETTI LEGITTIMATI
Appello Milano 6 agosto 1999, n. 2215
Azione di rendiconto - Legittimazione ad agire - Passaggio di consegne
Si deve escludere che l'azione di rendiconto dia azione che spetta esclusivamente al singolo condomino,
dovendosi rilevare che fra le attribuzioni dell'assemblea sicuramente quella di approvare il preventivo delle
spese, il piano di riparto ed il rendiconto annuale dell'amministratore (art. 1135 nn. 2 e 3, Codice civile). N
riveste alcuna efficacia sul punto il rilievo che l'impugnativa del rendiconto spetti al singolo condomino e non al
condominio, considerato che il richiamo da intendersi riferito al rendiconto approvato dall'assemblea, onde la
norma giustamente ha previsto l'ipotesi di impugnativa da parte del condomino dissenziente o che comunque ne
abbia interesse. Non dubitabile che normale destinataria del rendiconto di gestione sia l'assemblea quale
tipica espressione della collettivit condominiale, onde in assenza di spontanea sottomissione del rendiconto

all'organo che per legge destinato all'esame e all'approvazione del rendiconto, la medesima assemblea sia
legittimata ad investire l'amministratore del potere di agire per richiedere la presentazione del conto al
precedente amministratore.
CRITERI DI REVISIONE DELLE TABELLE MILLESIMALI
Appello Milano 20 luglio 1999, n. 1938 - Tabelle millesimali - Revisione e modificazione - Condizioni
Non pu considerarsi conseguenza di un errore, ai sensi e per gli effetti della revisione e modificazione delle
tabelle millesimali prevista dall'articolo 69, disp. att., Codice civile, l'adozione di criteri pi o meno soggettivi con
cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima sia stata compiuta, allorch questi criteri non portino
ad una palese e obbiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unit immobiliari e il valore
proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle. Se, dunque, i criteri utilizzati sono espressione di un libero e
consentito apprezzamento, per giungere alla dimostrazione della sussistenza di un errore tabellare occorre una
ricostruzione del procedimento logico e tecnico di valutazione seguito dal primo redattore e l'individuazione, in
tale ambito, di un errore della cui prova onerato colui che ha promosso l'azione. Neppure potrebbe portare ad
una diversa soluzione il denunciato mutamento del regime di mercato degli immobili e la sua incidenza sui criteri
di redditivit originariamente attribuiti alle singole unit immobiliari, per il quale viene invocata l'applicazione della
norma di cui all'articolo 69, n. disp. att., Codice civile, relativa al mutamento di condizioni, atteso che il fatto che
le "mutate condizioni" cui si riferisce il n. 2 del citato articolo 69 sono solo quelle tassativamente elencate, ossia
quelle che comportano una "notevole" alterazione del rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di
piano "in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta
portata". Tra le predette tassative condizioni non potrebbe perci farsi rientrare quella, diversa, della mutata
situazione di redditualit di alcune unit immobiliari, e per di pi adottata indipendentemente da ogni
dimostrazione sul fatto che il rapporto originario tra i piani o le porzioni di piano ne sia effettivamente risultato
"notevolmente alterato".
RESPONSABILITA' PER DANNI A PERSONE O COSE
Tribunale Napoli, sez. IV, 3 giugno 1999, n. 3492 Parti comuni e parti esclusive - Danni a persone o cose - Risarcimento dei danni - Legittimazione passiva
Allorquando si siano verificati danni a persone e/o cose a causa della caduta di un marmo che si trova sotto la
ringhiera di un balcone, deve escludersi la legittimazione passiva del condominio, in quanto "in un edificio
condominiale.. ..l'aggetto costituito da un balcone appartiene esclusivamente al proprietario dell'unit
immobiliare corrispondente, il quale, pertanto, esclusivo responsabile del danno cagionato a terzi da un pezzo
di muratura staccatosi dal balcone"
IMPUGNAZIONE DI DELIBERA ASSEMBLEARE E TERMINE DI DECADENZA
Tribunale Napoli, sez. VI, 20 maggio 1999, n. 3303
Assemblea - Deliberazioni - Nullit e annullabilit - Impugnazione - Esercizio del diritto - Termine di decadenza
Per stabilire se si verificata o meno l'ipotesi di decadenza del diritto per l'esercizio dell'impugnativa di
assemblea condominiale, ai sensi dell'articolo 1137, Codice civile, bisogna dapprima valutare il tipo d'invalidit
da cui sarebbe affetta la delibera impugnata. Le delibere radicalmente nulle - la cui impugnativa (cosiddetta
azione di nullit) di mero accertamento, infatti, non soggetta ad alcun termine di decadenza ed
imprescrittibile, mentre sono soggette al termine di decadenze, di cui al secondo comma del citato articolo 1137,
Codice civile, le sole delibere cosiddette "annullabili". Sono nulle le delibere che ledono i diritti dei condomini, sia
nel singolo condominio (si parla, in tal caso, di nullit relativa, quanto dei condomini tutti, nel qual caso si parla di
nullit assoluta). La delibera assembleare con la quale si decida di "consentire la sosta ed il parcheggio nel
cortile condominiale ai soli residenti nel palazzo", laddove, in precedenza - data la esiguit dei posti disponibili si era previsto che questi restassero a disposizione "dei condomini primi giunti" , costituisce un'innovazione
incidente sulla disciplina dell'uso del cortile in relazione al parcheggio delle autovetture che va ad incidere sui
diritti dei singoli condomini, e, pertanto, vietata ai sensi del secondo comma dell'articolo 1120, Codice civile, non
potendo l'assemblea dei condomini, seppure a maggioranza, disporre la sottrazione di parti comuni condominiali
all'uso e al godimento anche di uno solo dei condomini.
ASSEMBLEA: PROVA DELL'AVVENUTA CONSEGNA DELL'AVVISO DI CONVOCAZIONE
Cass. Civ., sez. II, 25 marzo 1999, n. 2837
Assemblea - Convocazione - Avviso ai condomini - Prova del recapito - onere dell'amministratore Dimostrazione della consegna dell'avviso a persona priva di stabile potere di rappresentanza nei confronti del
condominio.
L'onere di provare che tutti i condomini sono stati tempestivamente convocati fa carico al condominio. Tale
prova non pu essere offerta con la dimostrazione della consegna dell'avviso a soggetti ai quali non stato
conferito uno stabile potere di rappresentanza nei confronti del condominio.
CONTRIBUTI E SPESE CONDOMINIALI
Cass. Civ., sez. II, 20 marzo 1999, n. 2617
Contributi e spese condominiali - Soggetti obbligati - Condominio apparente - Giustificazione dell'errore
incolpevole dell'amministratore terzo in buona fede.
L'amministratore di un condominio pu invocare il principio dell'apparenza del diritto, che giustifica il suo errore
di terzo in buona fede, per ottenere il pagamento della quota per spese comuni da colui che si comporta da
condomino, non avendo l'onere di controllare preventivamente i registri immobiliari per accertare la titolarit della
propriet (nella specie promissario acquirente di appartamenti dell'edificio condominiale, trasferitigli
coattivamente con sentenza di primo grado, bench non definitiva perch appellata dalla soccombente
controparte, e locati in qualit di proprietario).
MODIFICA DEI CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE

Tribunale Milano 8 febbraio 1999, n. 1320


Spese - Ripartizione - Accettazione tacita protratta nel tempo - Modifica dei criteri di ripartizione
Deve ritenersi che la ripetuta approvazione assembleare (senza alcun voto contrario sul punto) per quindici anni
di rendiconti evidenzianti costantemente criteri di riparto, differenti da quelli negoziali originari, abbia integrato
una specifica volont collettiva di modifica convenzionale di tali originari canoni negoziali. Volont collettiva da
ritenersi idonea a determinare tale convenzione modificatrice in quanto, pur non essendo essa riferibile sempre
alla totalit dei condomini , il consenso di tutti i membri della collettivit da ritenere poi sopraggiunto in forma
tacita, per facta concludentia, attraverso l'accettazione del "nuovo" schema di reparto da parte degli assenti, i
quali hanno comunque provveduto costantemente al pagamento dei contributi determinati secondo tale schema.
DELIBERAZIONE CONTRARIA ALLA LEGGE O AL REGOLAMENTO
Tribunale Milano 8 febbraio 1999, n. 1320
Delibera assembleare - Impugnazione - Atto introduttivo - Citazione ordinaria - Deposito di ricorso
Il "ricorso all'autorit giudiziaria" previsto dall'art. 1137, Codice Civile, contro le deliberazioni assembleari
contrarie alla legge o al regolamento d luogo ad un procedimento contenzioso, soggetto al principio del
contraddittorio e, come tale, introducibile anche con atto di citazione, purch notificato al condominio nel termine
di decadenza indicato dal terzo comma della norma citata
APERTURA DI LUCI TRA UN VANO E L'ALTRO DEL MEDESIMO EDIFICIO
Cass. civ., sez. II, 10 settembre 1999, n. 9637
Limitazioni legali della propriet - Apertura di luci - Caratteri - Conseguenze - Acquisto per usucapione o
destinazione del padre di famiglia - configurabilit
All'apertura tra due vani di un medesimo edificio, realizzata allo scopo di dare aria e luce ad uno di essi
attraverso l'altro, non applicabile la disciplina dettata dagli articoli 901 - 904, Codice di procedura civile,
giacch tale apertura non costituisce estrinsecazione del diritto di propriet, ossia manifestazione di una facultas
del diritto di dominio, ma ponendo in essere una vera e propria incursione sulla sfera di godimento della
propriet altrui, ha sostanza, struttura e funzioni di uno ius in re aliena, acquisibile perci mediante usucapione o
destinazione del padre di famiglia, sempre che l'apertura si concreti in opere visibili e parametri, strutturalmente
destinate ad un inequivoco e stabile assoggettamento del vano, s da rilevare all'esterno l'imposizione di un peso
a suo carico per l'utilit dell'altro.
IMPIANTI CONDOMINIALI E APPLICABILITA' DELLE NORME SULLE DISTANZE LEGALI
Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1999, n. 8801
Distanze legali - Unit abitative di edifici in condominio - Disciplina applicabile
La disposizione dell'articolo 889, Codice civile, relativa alle distanze da rispettare per i pozzi, cisterne, fossi e
tubi, applicabile anche con riguardo agli edifici in condominio, salvo che si tratti di impianti da considerarsi
indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione dell'immobile, tale da essere adeguata all'evoluzione
delle esigenze generali dei cittadini nel campo abitativo e alle moderne concezioni in tema di igiene.
RAPPRESENTANZA GIUDIZIALE DELL'AMMINISTRATORE
Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1999, n. 8589
Rappresentanza giudiziale - Legittimazione dell'amministratore - Azioni reali contro terzi a tutela delle cose
comuni - Rivendica - Autorizzazione dell'assemblea
A norma dell'articolo 1131, comma primo, Codice civile, tra i maggiori poteri che l'assemblea o il regolamento di
condominio possono conferire all'amministratore per la rappresentanza nel condominio stesso rientrano anche
quelli attinenti all'esercizio dell'azione di rivendica.
SPESE DI RIPARAZIONE DEL LASTRICO SOLARE
Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1999, n. 8532
Parti comuni dell'edificio - Terrazze, lastrici solari, logge - Ripartizione delle spese in base all'uso
L'articolo 1126, Codice civile, nel disciplinare la ripartizione delle spese di riparazione e ricostruzione del lastrico
solare per chi ne ha l'uso esclusivo, non specifica la natura reale o personale di esso, che invece determinata
dal titolo, n a tal fine rileva l'attribuzione millesimale, utilizzata come criterio per contribuire agli oneri
condominiali.
CONTESTAZIONE DEL VERBALE DI ASSEMBLEA
Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1999, n. 11526
Assemblea dei condomini - Deliberazioni - Verbale - Valore di prova presuntiva - Contestazione da parte del
condomino della verit di quanto riferito nel verbale - Onere della prova
Il verbale dell'assemblea condominiale offre una prova presuntiva dei fatti che afferma essersi in essa verificati,
per modo che spetta al condomino che impugna la deliberazione assembleare contestando la rispondenza a
verit di quanto riferito nel relativo verbale, di provare il suo assunto.
UTILIZZO DELLA COSA COMUNE DA PARTE DEL SINGOLO
Cass. civ., sez. II, 13 ottobre 1999 n. 11520
Parti comuni dell'edificio - Utilizzazione della cosa comune da parte del condomino in modo particolare e diverso
dall'uso comune - Ammissibilit - Limiti
Il limite che l'articolo 1102, Codice civile, pone al potere di utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun
condomino quello del divieto di alterarne la destinazione e di impedire che altri ne faccia parimenti uso
secondo il suo diritto. Pertanto l'uso particolare della cosa comune da parte del condomino non deve
determinare pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari, ancorch non ne sia
impedito l'uso.
LIMITAZIONI DEI DIRITTI DEI CONDOMINI
Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121
Regolamento contrattuale - Imposizioni di limitazioni dei diritti dei condomini sia sulle parti comuni che sulle

propriet individuali - Ammissibilit - Condizioni


In materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano
limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parte comuni, sia riguardo al
contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva propriet, senza che rilevi che l'esercizio del diritto
individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni. Ne discende che legittimamente le
norme di un regolamento di condominio - aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario
proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti d'acquisto dai condomini ovvero adottate in sede
assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini - possono derogare ed integrare la disciplina legale ed
in particolare possono dare al concetto di decoro architettonico una definizione pi rigorosa di quella accolta
dall'articolo 1120, Codice civile, estendendo il divieto di mutazione sino ad imporre la conservazione degli
elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della
sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva.
SPESE STRAORDINARIE E IMPUGAZIONE DEL PIANO DI RIPARTO
Tribunale Milano 22 novembre 1999, n. 10109
Spese straordinarie - Ripartizione - Approvazione del piano di riparto - Legittimazione ad impugnare
A fronte di una specifica richiesta di pagamento da parte dell'amministratore, conseguente ad una deliberazione
assembleare con la quale viene approvata l'esecuzione di opere straordinarie la cui ripartizione della spesa
stata dalla stessa assemblea demandata allo stesso "secondo le normative vigenti e tabelle millesimali" (ndr.
senza, quindi che vi sia stata approvata una concreta ripartizione della spesa), ogni condomino appare portatore
di un interesse concreto ed attuale all'accertamento giudiziale della erroneit della richiesta nei suoi confronti
specificatamente formulata e da qualificarsi, comunque, quale pretesa creditoria promanante dalla collettivit
rappresentata dall'amministratore, anche in base allo specifico mandato da questi ricevuto nel corso
dell'assemblea che autorizza i lavori.
SPESE DI IMPERMEABILIZZAZIONE DEL CORTILE
Tribunale Milano 15 novembre 1999, n. 9960
Spese di impermeabilizzazione del cortile - Ripartizione - Criteri - Onere a carico della collettivit
Considerato invero il diverso grado di "servizio" del "cortile" rispetto alle porzioni immobiliari "box" (rispetto alle
quali una parte del cortile funge da copertura e via costante di accesso a mezzi motorizzati) e rispetto al restante
edificio (per il quale il cortile funge solo da zona di generico passaggio e di accesso al locale rifiuti), non se ne
pu che trarre la conclusione di una pi intensa destinazione d'uso della porzione interessata dalle opere di
rifacimento dell'impermeabilizzazione del cortile (sovrastante alcuni box nonch due locali comuni adibiti alla
raccolta dei rifiuti dello stabile principale) per i soli condomini proprietari dei box: e ci, si noti,
indipendentemente da ogni questione in termini di uso "potenziale" ovvero concreto da parte dei membri della
collettivit, alla diversa destinazione della cosa essendo direttamente discendente dalla conformazione del
complesso. La delibera impugnata deve quindi essere dichiarata invalida in quanto essa disattende la regola di
riparto ex articolo 1123, secondo comma, Codice civile, applicabile alla fattispecie.
MODALITA' DI CONVOCAZIONE DELL'ASSEMBLEA
Tribunale Napoli, sez. II, 30 settembre 1999, n. 6867
Assemblea - Convocazione - Modalit - Presunzione di conoscenza - Onere della prova
Se vero, secondo l'orientamento giurisprudenziale prevalente, che la convocazione dell'assemblea di un
condominio, a pena d'invalidit della medesima, ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 1136, Codice civile, va
comunicata a tutti i comproprietari pro indiviso di un piano o di una porzione di piano, stante l'inapplicabilit
anche in via analogica dell'art. 2347, Codice civile, altrettanto vero che in assenza di particolari formalit per la
notifica dell'avviso di convocazione il coniuge convivente, allorquando la stessa sia stata notificato all'altro
coniuge, comproprietario, talch una volta dimostrata tale presunzione, spetta alla controparte fornire la prova
che in concreto tale conoscenza non vi sia stata. Cos pure da ritenersi che sussistano elementi tali da poter
affermare l'esistenza della presunzione di conoscenza della convocazione da parte degli altri comproprietari, se
pur non conviventi, allorquando - come nel caso di specie - uno dei coeredi, in quanto, secondo l'orientamento
della Suprema Corte, uno dei comproprietari pu ritenersi ritualmente convocato a partecipare ad un'assemblea
del condominio, nonch validamente rappresentato nella medesima, con riguardo ad affari di ordinaria
amministrazione, dall'altro comproprietario della stessa unit immobiliare, senza il bisogno di particolari formalit
essendo sufficiente che risulti provata - anche per presunzioni - l'effettiva notizia della convocazione di
assemblea ed abbia conferito, sia pure verbalmente, il potere di rappresentanza.
CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE DI RIFACIMENTO DELLA FACCIATA
Tribunale Milano 30 dicembre 1999, n. 10526
Rifacimento delle facciate - ripartizione della spesa - Art. 1123, Codice civile - Inapplicabilit tabelle millesimali di
propriet
Merita accoglimento la domanda di impugnazione di delibera con la quale sia stato deciso di ripartire in base al
criterio millesimale, indistintamente tra tutti i condomini, le spese per una serie di interventi di ristrutturazione
dello stabile che comprendevano il rifacimento della facciata previa demolizione dell'intonaco e sostituzione con
l'altro, comprese le balconate (n. d. r. nel caso in esame comunque correttamente addebitate ai soli proprietari di
queste, per la parte loro esclusiva). Ci si trova qui in presenza di opere non di opere di semplice manutenzione
estetica della facciata, suscettibili, secondo noti principi, di essere ripartite tra tutti i condomini in ragione delle
rispettive quote di propriet, ma interessanti strutture di cui si avvalgono principalmente i proprietari di
appartamenti cui la facciata serve da protezione, o addirittura, come nel caso di balconi, i soli proprietari di
questi (n. d. r. vedi quanto gi sopra precisato e quindi in questo caso non oggetto d'impugnazione).
Rappresenta quindi un eccesso di potere da parte dell'organo decisorio condominiale la ripartizione di queste
spese indiscriminatamente tra tutti i partecipanti al condominio comprendendovi coloro che, essendo proprietari

di un'unit situata al livello delle cantine, non si avvale in alcun modo diretto della facciata se non per le parti
comuni che appartengono all'edificio riparato dalla facciata (come l'androne).
CONDOMINIO - PARTI COMUNI
Cass. civ., sent. n. 875, 3 febbraio 1999, Sez. II
Delibera assembleare di chiusura dei cancelli di accesso al sottosuolo - Innovazione - Esclusione - Maggioranza
prevista
In tema di condominio negli edifici, non richiesta, per la legittimit della delibera assembleare avente a oggetto
la chiusura dei cancelli di accesso al sottosuolo ove sono collocati i posti macchina riservati ai condomini,
l'adozione con la maggioranza qualificata dei due terzi del valore dell'edificio, non concernendo tale delibera una
"innovazione", secondo il significato attribuito a tale espressione dal codice civile, ma riguardando solo la
regolamentazione dell'uso ordinato della cosa comune consiste nel non consentire a terzi estranei al condominio
l'indiscriminato accesso al sottosuolo dello stesso.
CONDOMINIO - REGOLAMENTO
Cass. civ., sent. n. 1057, 6 febbraio 1999, Sez. II
Assembleare - Modifiche delle disposizioni in materia di uso delle parti comuni - Modificabilit - Condizioni
Qualora il regolamento condominiale non abbia natura contrattuale, l'assemblea dei condomini, anche in
mancanza di unanimit, pu modificare le disposizioni regolamentari in materia di uso delle cose comuni, purch
sia assicurato il diritto al pari uso di tutti i condomini, e cio il diritto di ciascun condomino di trarre dalle cose
comuni il massimo godimento possibile, dovendo, peraltro, la eventuale maggiore utilizzazione consentire, sia
pure a livello di previsione potenziale, un godimento di pari natura ed intensit da parte degli altri condomini.
Cass. civ., sent. n. 3749, 15 aprile 1999, Sez. II
Contrattuale - Effetti vincolanti
Il regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato dagli
iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere
convenzionale e vincola tutti i successivi acquirenti non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso o
il godimento dei servizi e delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facolt dei singoli
condomini sulle loro propriet esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servit reciproca.
CONDOMINIO - RIPARTIZIONE SPESE
Cass. civ., sent. n. 3568, 12 aprile 1999, Sez. II
Manutenzione dei soffitti, delle volte e dei solai - modalit di ripartizione per i danni ascrivibili a singoli condomini
In tema di condominio di edifici, la ripartizione delle spese per la manutenzione, ricostruzione dei soffitti, delle
volte e dei solai secondo i criteri dell'art. 1125 cod. civ., riguarda le ipotesi in cui la necessit delle riparazioni
non sia da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli condomini trova
applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni a carico di colui che li ha cagionati.
Cass. civ., sent. n. 2617, 20 marzo 1999, Sez. II
Pagamento della quota per spese comunali - Applicabilit del principio dell'apparenza
L'amministratore di un condominio pu invocare il principio dell'apparenza del diritto, che giustifica il suo errore
di terzo in buona fede, per ottenere il pagamento delle quota per spese comuni da colui che si comporta da
condomino, nella specie promissario acquirente di appartamenti nell'edificio condominiale, trasferitigli
coattivamente con sentenza di primo grado, bench non definitiva perch appellata dalla soccombente
controparte, e locati in qualit di proprietari, non avendo l'onere di controllare preventivamente i registri
immobiliari per accertare la titolarit della propriet.
CONDOMINIO - RISCALDAMENTO CENTRALE
Cass. civ., sent. n. 1165, 11 febbraio 1999, Sez. II
Trasformazione di impianti autonomi a gas - Validit della delibera approvata ai sensi dell'art. 26 della legge
10/1991 anche in mancanza del progetto dell'opera
La delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari, ai
sensi dell'art. 26, comma 2, legge 10 del 9 gennaio 1991, in relazione all'art. lett. g), stessa legge, assunta a
maggioranza delle quote millesimali, valida anche se non accompagnata dal progetto delle opere corredato
dalla relazione tecnica di conformit di cui all'art. 28, comma 1, stessa legge, attenendo tale progetto alla
successiva fase di esecuzione della delibera.
CONDOMINIO - USO DELLE PARTI COMUNI
Cass. civ., sent. n. 1162, 11 febbraio 1999, Sez. II
Tubatura di scarico di un servizio esclusivo di un condomino - Collocazione in un muro maestro - Legittimit Infiltrazioni causate alla propriet di un altro condomino - Obbligo di risarcire i danni
La collocazione di una tubatura di scarico di un servizio, di pertinenza esclusiva di un condomino, in un muro
maestro dell'edificio condominiale, rientra nell'uso consentito del bene comune, per la funzione accessoria cui
esso adempie, restando impregiudicata la domanda di condanna del risarcimento del danno, anche in forma
specifica, ossia mediante sostituzioni e riparazioni, proponibile per le infiltrazioni derivatene alla propriet, o
compropriet, di altro condomino
Cass. 25/03/99 - n. 2837
Assemblea - Convocazione - Prova del recapito - Onere dell'amministratore
L'onere di provare che tutti i condomini siano stati tempestivamente convocati, fa carico al condominio. Tale
prova non pu essere offerta con la dimostrazione della consegna di un avviso a soggetti quali non stato
conferito uno stabile potere di rappresentanza nei confronti del condominio.
Parcheggio - Rivendica del diritto reale nei confronti del venditore/costruttore - litisconsorzio con gli altri
condomini.
Qualora alcuni condomini abbiano convenuto in giudizio il venditore - costruttore dell'edificio, per rivendicare il

diritto reale d'uso sull'area dell'edificio destinata a parcheggio, non ricorre un'ipotesi di litisconsorzio necessario,
nei confronti degli altri condomini, ai quali pertanto non va notificato l'atto d'impugnazione per l'integrazione del
contraddittorio.
Cass. 12/04/99 - n. 3568
Contributi e spese - Manutenzione - Danno ascrivibile a singoli condomini - Risarcimento.
In tema di condomini ed edifici, la ripartizione delle spese, per la manutenzione, ricostruzione di soffitti, delle
volte e dei solai, secondo i criteri previsti dall'art. 1125 c. c., riguarda le ipotesi in cui le necessit delle
riparazioni non siano da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli
condomini, trova applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni a carico di colui che li
ha provocati.
Cass. 12/04/99 - n. 3574
Pertinenza - Trasferimento a terzi del bene principale - Estensione alla cosa accessoria.
Costituitosi un rapporto pertinenziale tra beni a seguito della destinazione operata dal proprietario della cosa
principale, che ha piena che ha piena disponibilit anche della cosa accessoria ( nella specie una veranda a
servizio di un appartamento, realizzata su un'area condominiale, dall'originario proprietario costruttore dell'intero
edificio), gli atti di disposizione aventi ad oggetto la cosa principale, si estendo a quella accessoria. Ci sempre
che non intervenga un atto del proprietario di cessazione della destinazione, vale a dire l'esplicita esclusione
della pertinenza in un atto avente in un atto avente ad ogni oggetto la cosa principale o il compimento di un atto
avente ad oggetto la sola pertinenza.
Cass. 15/04/99 - n. 3749 Regolamento contrattuale - Clausole delimitanti il potere e le facolt dei singoli
condomini sulle propriet esclusive - Opponibilit ai successivi acquirenti .Il regolamento di condominio,
predisposto dall'originario e unico proprietario dell'intero edificio, ove accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli
piani e regolarmente trascritto presso i registri immobiliari, assume carattere di convenzionale e vincola tutti i
successivi acquirenti, non solo con riferimento alle clausole che disciplinano l'uso e il godimento dei servizi o
delle parti comuni, ma anche a quelle che restringono i poteri e le facolt dei singoli condomini sulle propriet
esclusive, venendo a costruire su queste ultime una servit reciproca.
Cass. 16/04/99 - n. 3803 Contributi e spese - Soggetti obbligati - Lastrico con funzione di copertura e di raccolta
di acque di scolo - manutenzione.In un condominio il lastrico di copertura di una parte individuata dell'edificio
condominiale, che ha la funzione, oltre che di copertura di tale parte, anche di raccolta delle acque di scolo di
altre parti dell'edificio, deve ritenersi destinato a scrivere anche queste ultime. Conseguentemente le spese di
manutenzione devono essere ripartite fra tutti i condomini che ne traggono utilit, tenendo conto della diversa
utilit che ciascuna parte pu trarne.
Cass. 28/04/99 n. 4266 Parti comuni dell'edificio - Sottotetti, soffitti e solai - Presunzione di comunione.Il
sottotetto di un edificio pu considerarsi pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano, soltanto ove assolva
l'esclusiva funzione di isolare e proteggere l'appartamento stesso dal caldo, dal freddo e dall'umidit, mediante
la creazione di una camera d'aria. Di contro tale principio non si applica allorch il sottotetto ambia dimensioni e
caratteristiche strutturali tali da consentire l'utilizzazione come vano autonomo, nel qual caso deve presumersi di
propriet condominiale, se esso risulti in concreto, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all'uso
comune o all'esercizio di un interesse comune.
SOSTITUZIONE DELL'IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 2000, n. 238
Impianti comuni - Caldaia termica obsoleta o guasta dell'impianto di riscaldamento - Sostituzione - Innovazione Configurabilit - Esclusione - Atto di straordinaria amministrazione - Sussistenza - Sostituzione per l'utilizzazione
di una pi redditizia e meno inquinante fonte di energia - Innovazione - Configurabilit - Esclusione - Modifica
migliorativa - Sussistenza.
La sostituzione della caldaia termica (bruciatore), se quella esistente obsoleta o guasta, deve considerarsi atto
di straordinaria manutenzione, in quanto diretto semplicemente a ripristinare la funzionalit dell'impianto e non a
creare una modificazione sostanziale o funzionale della cosa comune ( l'impianto di riscaldamento ). Deve
essere ricondotta invece alle modifiche migliorative dell'impianto, e non alle innovazioni dello stesso, la
sostituzione della caldaia termica, ancora funzionante, se ha lo scopo di consentire l'utilizzazione di una fonte di
energia pi redditizia e meno inquinante.
RESPONSABILITA' DEL COMMITTENTE PER I DANNI CAUSATI DALL'APPALTATORE
Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2000, n. 187
Appalto - Responsabilit per danni cagionati a terzi - Ingerenze del committente - Esclusione della responsabilit
dell'appaltatore - Condizioni
La responsabilit per i danni arrecati a terzi nell'esecuzione dell'opera, rimane esclusa solo se vi sia la prova che
egli ha reso edotto il committente dell'erroneit delle istruzioni ricevute e ci nonostante si dovuto attenere alle
dette istruzioni, per averle il committente ribadite.
MODIFICA DEI CRITERI DI RIPARTIZIONE DELLE SPESE GENERALI
Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2000, n. 126
Contributi e spese condominiali - Ripartizione delle spese generali - Modifica dei criteri - Difetto del consenso di
tutti i condomini - Nullit della delibera - Sussistenza - Conseguenze - Esperibilit dell'azione di nullit anche da
parte del condomino consenziente
E' affetta da nullit ( la quale pu essere fatta valere dallo stesso condomino che abbia partecipato
all'assemblea e ancorch abbia espresso voto favorevole, e risulta sottratta al termine d'impugnazione previsto
dall'art. 1137, Codice civile,) la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i
condomini, si modifichino i criteri legali (art. 1123, Codice civile) o di regolamento contrattuale di riparto delle

spese necessarie per la prestazione di servizi nell'interesse comune, e ci perch il riparto in base all'uso
differenziato, previsto dal secondo comma del citato art. 1123, non applicabile alle spese generali.
VARIAZIONE DI DESTINAZIONE DUSO
Tribunale Milano provvedimento reso in giudizio cautelare R.G.34286/2000
Variazione di destinazione Assemblea Richiesta di autorizzazione
La mancata richiesta di autorizzazione per lesecuzione dei lavori allamministratore non pu di per s
rappresentare esito in ogni caso preclusivo della facolt del condomino di procedere a variazioni di destinazione
della propria unit, la mancata autorizzazione (in via amministrativa e assembleare) potendo rappresentare non
gi un discrezionale divieto allesercizio di facolt duso della cosa privata ma solo una ricognizione della non
corrispondenza di tale esercizio a vincoli normativi o convenzionali e come tale rimanendo sempre soggetta a
valutazione di liceit in sede contenziosa.
IMMISSIONI ILLECITE
Cass. civ. sez. II 2 giugno 2000, n. 7420
Le propagazioni nel fondo del vicino che oltrepassino il limite della normale tollerabilit costituiscono un fatto
illecito perseguibile, in via comulativa, con lazione diretta a farle cessare (avente carattere reale e natura
negatoria) e con quella intesa ad ottenere il risarcimento del pregiudizio che ne sia derivato (di natura
personale), a prescindere dalla circostanza che il pregiudizio medesimo abbia assunto i connotati della
temporaneit e non della definitivit.
USO DELLE PERTINENZE
Cass. civ.,sez. II, 10 maggio 2000, n. 6001
Una pertinenza in comunione pu essere destinata al contemporaneo servizio di pi cose principali appartenenti
ciascuna in propriet esclusiva ai condomini della pertinenza.
USO DELLE PARTI COMUNI
La cosa comune, ai sensi dellart. 1102, Codice civile, pu essere utilizzata dal condomino anche in modo
particolare e diverso rispetto alla sua normale destinazione se ci non alteri lequilibrio tra le concorrenti
utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri comproprietari, e non determini pregiudizievoli invadenze dellambito
dei coesistenti diritti di costoro (nella specie, utilizzazione, da parte di un condomino, degli scariche condominiali
senza alterarne la destinazione e senza impedirne pari uso, attuale o potenziali, agli altri condomini).
RESPONSABILITA PER DANNI DERIVATI ALLA PROPRIETA INDIVIDUALE
Tribunale Napoli, sez. V, 12 maggio 2000, n. 6612
Il condominio non pu essere ritenuto responsabile dei danni derivati alla propriet individuale del singolo
condomino a causa della cattiva esecuzione, da parte dellimpresa designata, di lavori di natura condominiale,
essendo, invece, responsabile degli stessi limpresa esecutrice di detti lavori, nei cui confronti va richiesto il
risarcimento del danno, a meno non si possa attribuire al condominio una "culpa in eligendo" nella scelta
dellimpresa da parte del committente.
CORTILI E CAVEDI
Cass. civ., sez.II, 7 aprile 2000, n.4350.
Parti comuni delledificio Cortili,chiostrine, finestre Cavedio Nozione
Il cavedio talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce un cortile di piccole dimensioni, circoscritto
dai muri perimetrali e dalle fondamenta delledificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a
locali secondari ( quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi ), e perci sottoposto al medesimo regime giuridico
del cortile, espressamente contemplato dall art. 1117, n. 1, Codice civile, tra i beni comuni, salvo specifico titolo
contrario.
AZIONI A DIFESA DELLA COSA COMUNE
Cass. civ., sez.II, 7 aprile 2000, n.4345
Azioni a difesa o a vantaggio della cosa comune Necessit dintegrazione del contraddittorio nei confronti degli
altri partecipanti alla comunione Esclusione
Le azioni a difesa o a vantaggio della cosa comune possono essere esperite dai singoli condomini senza che sia
necessaria lintegrazione del contraddittorio nei confronti degli altri partecipanti alla comunione.
AREE DESTINATE A PARCHEGGIO
Cass. civ. sez.II, 5 aprile 2000, n.4197
Area di parcheggio Alienazione degli appartamenti di un immobile Elusione del vincolo di destinazione
dellarea di parcheggio Violazione di una norma edilizia Diritto al risarcimento dei soggetti privati del
godimento dellarea Configurabilit
Di fronte alla violazione di norme pubblicistiche incidenti sul regime della propriet privata, la posizione del
privato che subisca un danno pur sempre posizione di diritto soggettivo, onde il danno segue al mancato
godimento del bene, oggetto del diritto riconosciuto. (Fattispecie in tema dalienazione degli appartamenti di un
immobile, con elusione del vincolo di destinazione dellarea di parcheggio edificata ai sensi dellart.41 sexies
della legge 17 agosto 1942, n.1150, aggiunto dallart.18 della legge "ponte").
APERTURA DI VEDUTE
Cass. civ., sez. II, 5 aprile 2000, n. 4190
Distanze legali delle costruzioni dalle vedute Rapporti tra condomini Obbligo dosservanza delle distanze
Sussistenza
Le norme sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano anche nei rapporti tra condomini di un
edificio in quanto lart.1102, Codice civile, non deroga al disposto dellart.907, Codice civile

DOMICILIO DEL CONDOMINIO


Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2000, n. 976
Domicilio del condominio - Individuazione - Criteri
Il condominio di edifici, che non una persona giuridica, ma un ente di gestione e non ha, pertanto, una sede in
senso tecnico, ove non abbia designato nell'ambito dell'edificio un luogo espressamente destinato e di fatto
utilizzato per l'organizzazione e lo svolgimento della gestione condominiale, ha il domicilio coincidente con
quello privato dell'amministratore che lo rappresenta.
QUANDO SORGE L'OBBLIGO DI ADEMPIERE AL PAGAMENTO DELLE SPESE
Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 857
Contributi e spese condominiali - Obbligazioni del condomino - Insorgenza dell'obbligo di effettuare il pagamento
L'obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva
non dalla preventiva approvazione della spesa e della ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione
dell'attivit di manutenzione e sorge, quindi, per effetto dell'attivit gestionale concretamente compiuta e non per
effetto dell'autorizzazione accordata all'amministrazione per il compimento di una determinata attivit di gestione
( nella specie avendo il condomino ammesso di non avere pagato le quote richieste e non contestato il loro
ammontare, stata ritenuta superflua e priva di fondamento ogni altra questione, ivi compresa quella
concernente la nullit delle deliberazioni assembleari poste a fondamento del decreto ingiuntivo emanato nei
suoi confronti).
DIFFERENTE ESERCIZIO DEL DIRITTO DI POSSESSO SULLE PARTI COMUNI
Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 855
Parti comuni dell'edificio - Possesso - Modalit di esercizio - Differenze - Obbiettiva utilit ai piani o alle porzioni
di piano a cui sono collegate ovvero alle attivit dei rispettivi proprietari
Il possesso dei condomini sulle parti comuni di un edificio si esercita diversamente a seconda che le cose, gli
impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unit immobiliari, a cui sono collegati materialmente o
per destinazione funzionale ( come ad esempio per suolo, fondazioni, muri maestri, facciata, tetti, lastrici solari,
oggettivamente utili per la statica ), oppure siano utili soggettivamente, e perci la loro unione materiale o la
destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipende dall'attivit dei rispettivi proprietari ( come ad
esempio per scale, portoni, anditi, portici stenditoi, ascensore, impianti centralizzati per l'acqua calda o l'aria
condizionata ). Infatti nel primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di
piano - soltanto per traslato proprietario - trae da tali utilit; nel secondo caso nell'espletamento delle predetta
attivit da parte da parte del proprietario.
ASSEMBLEA CONVOCATA IN ORA NOTTURNA
Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2000, n. 697
Assemblea dei condomini - Convocazione - Orario della convocazione - Limiti - Esclusione
In mancanza di una norma che disponga il contrario, non esistono limiti di orario alla convocazione di
un'assemblea condominiale; n la fissazione di un'assemblea in ora notturna pu ritenersi completamente
preclusiva della possibilit di parteciparvi. Ne consegue che non sono applicabili, ai fine della verifica della
regolare costituzione dell'assemblea e della validit delle delibere adottate in seconda convocazione, allorch, in
prima, l'assemblea stessa sia andata deserta a causa dell'orario notturno, le maggioranze richieste dall'art.
1136, Codice civile con riferimento alla validit delle deliberazioni adottate in prima convocazione.
RIPARTIZIONE DELLE SPESE DEL LASTRICO SOLARE
Appello Milano 11 gennaio 2000, n. 4, a conferma Tribunale Milano del 27 novembre 1995, n. 10618
Lastrico solare - Duplice funzione: calpestio e copertura - Ripartizione delle spese - onere della manutenzione
I lastrici solari, in generale, assolvono a una duplice funzione di copertura e di piano di calpestio, e tali diverse
funzioni possono essere anche a favore di soggetti diversi, come evidente nell'ipotesi di lastrico che, pur
coprendo una porzione di edificio condominiale ( e in tale funzione servendo una pluralit di condomini), sia
come piano di calpestio, in propriet superficiaria esclusiva, ovvero in uso esclusivo di godimento di un singolo
condomino ( conforme Cass. sez. un., 29 aprile 1997, n. 3672 ). La duplicit di funzioni assolte da un lastrico
solare comporta dunque che in applicazione dei criteri desumibili dagli artt. 1123 e 1126, Codice civile,
l'obbligazione propter rem di tutelarne l'integrit e quindi di provvedere alla manutenzione e conservazione vada
attribuita sia al soggetto per cui funge da copertura, sia a quello che ne gode come piano di calpestio. La
particolarit di una situazione che vede praticamente rovesciate le posizioni presupposte dall'art. 1126, ove cio
la pluralit dei condomini gode del piano di calpestio, mentre la copertura serve ad un solo condomino, potrebbe
suggerire una diversa suddivisine dell'onere economico ( la norma chiaramente non intende penalizzare il
singolo condomino ) ma identica rimane la ratio desumibile, ossia una corresponsabilit tra l'intera comunit
condominiale ed il singolo condomino che dal bene trae una particolare ed esclusiva utilit ( come del resto
chiaramente previsto dall'art. 1123, secondo comma, Codice civile ). Deve pertanto ritenersi che l'utilit fornita
come copertura abbia rilevanza pari a quella fornita all'intera comunit condominiale per il calpestio: con la
conseguenza che la responsabilit per i danni derivanti dalla cattiva manutenzione del lastrico solare vanno
posti per met a carico del condominio e per l'altra a carico del singolo per cui funge da copertura.
PRESUNZIONE DI COMUNIONE SULLE PARTI COMUNI
Cass. civ., sez. II, 22 marzo 2000, n. 3409
Parti comuni dell'edificio - Presunzione di comunione - Titolo contrario - Necessit - Situazione di fatto non
risultante dal titolo - Ininfluenza - Superamento della presunzione
La presunzione di comunione, tra i condomini di un edificio condominiale, delle parti comuni indicate dall'art.
1117, Codice civile, pu esser superata soltanto se il contrario risulta dal titolo, non dalla singola situazione di
fatto ( principio affermato dalla Cassazione in una specie in cui unitamente all'acquisto del primo piano era stato

acquistato, in propriet esclusiva, l'accesso ad esso da una scala esterna, mentre era stato murato l'altro
accesso attraverso una scala interna comune, che per costituiva l'unico transito per accedere ai lastrici solari,
comuni anche al proprietario del primo piano ).
ANTENNE TELEFONICHE
Le antenne telefoniche e i relativi cablaggi, se di modeste dimensioni e non lesive del decoro architettonico,
sono un uso legittimo
della cosa comune Tribunale di Venezia, 1224/00, Tribunale di Piacenza, 51/1998
ASCENSORE
L'installazione a carico di un solo condomino di un
ascensore lecita, anche in presenza di una delibera contraria dell'assemblea Cassazione 3508/1999,
4252/1994
AUTOCLAVE
Un'autoclave,
collocata in una parte non altrimenti utilizzabile dell'androne comune e predisposta per l'utilizzazione da parte di
tutti gli altri condomini, non costituisce innovazione ma uso lecito ai sensi dell'articolo 1102
Cassazione 2746/1989
CANNE FUMARIE
L'installazione, in appoggio al muro condominiale e vicino alla finestra di un condominio, della canna fumaria di
un locale di altro condomino (o del suo inquilino), un'iniziativa lecita Cassazione 2998/2001, 15394/2000
CASELLE POSTALI, CAMPANELLI
nulla la delibera che, stabilendo di modificare la pulsantiera e la dislocazione delle cassette postali impedisce
a un condomino di installare un campanello e una cassetta postale supplementare a proprie
spese Tribunaledi Firenze1003/1995
CORTILE
Non costituisce abusiva utilizzazione dell'intercapedine comune di un edificio in condominio, accessibile soltanto
dal giardino del condomino interessato, la collocazione di due serbatoi in lamiera per il gasolio e di un vaso di
espansione per l'impianto di riscaldamento assazione,12344/1997
FABBRICATI SINGOLI
L'innesto sul muro perimetrale dell'edificio comune di
una costruzione di esclusiva propriet di un condomino non lecito senza il consenso di tutti, in quanto non
volto al miglior godimento della parte di fabbricato di propriet esclusiva, ma a favore di un immobile
distinto dall'edificio comune Cassazione,16117/2000 FINESTRE
Non ci si pu appellare all'articolo 1102 del Codice quando il regolamento condominiale vieti, pena il ripristino
dello stato di fatto, certe opere e in particolare una doppia finestra, mediante installazione di un
secondo telaio Cassazione,24509/1997
IMPIANTI
L'installazione di un impianto che debba considerarsi indispensabile ai fini dell'effettiva abitabilit
dell'appartamento pu derogare dalle distanze legali ma non dai divieti stabiliti dall'articolo 1102 del Codice
civile. Un condomino non pu eseguire innovazioni sul tratto di pertinenza del proprio appartamento
dell'impianto comune di riscaldamento, interrompendo il percorso delle tubature, cos da impedire l'utilizzazione
dell'impianto
da parte degli altri condomini Cassazione 13285/2001, 7752/1995, 4023/1996
LOCAZIONE
L'articolo 1102 tutela l'uso diretto e non quello
indiretto dei beni comuni. Pertanto, in caso di impossibilit d'uso dei beni comuni, possibile locarli a terzi,
preferendoli a condomini, anche a condizioni economiche meno vantaggiose Cassazione, 4131/2001
PIANEROTTOLI, SCALE
L'apertura di una porta su un pianerottolo avente le
medesime caratteristiche di quella gi esistente nella parete di fronte lecita. Viceversa lesiva del decoro
architettonico se aperta a un livello inferiore a quello del pianerottolo della scala condominiale
Cassazione 12413/2001, 5400/1998
PORTE
Un'apertura nel muro comune al fine di mettere in comunicazione due unit immobiliari comprese nello
stesso condominio legittima. Non lo se mette in comunicazione locali di sua esclusiva propriet con altri
estranei al condominio Cassazione 6069/1998, 360/1995 SCARICO
possibile l'utilizzazione di uno scarico
comune senza alterarne la destinazione e senza impedirne il pari uso Cassazione 5660/2000
SERVOSCALA
L'installazione di un servoscala al
servizio di un portatore di handicap non abbisogna di assenso assembleare Tribunale di Torre Annunziata
5/5/2000
SOTTOSUOLO
violato l'articolo 1102 con la costruzione nel sottosuolo del fabbricato condominiale di un
ampio vano destinato a un solo condomino, impedendo agli altri condomini di fare pari uso del sottosuolo
Cassazione 6921/2001
VETRINE
L'apposizione da parte di un commerciante di una vetrina nell'androne condominiale uso lecito della cosa
comune, in quanto la nozione di pari uso non va intesa nel senso di uso identico e contemporaneo Cassazione

1499/1998, 1554/1997
* Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1984, n. 2206, Sansalone c. Cond. Somma Dona. - Nel caso in cui un condomino
chieda il risarcimento dei danni ed, innanzitutto, l'eliminazione totale o parziale di alberi che, piantati a distanza
ravvicinata l'uno dall'altro in un'aiuola comune, con le loro chiome a ridosso del proprio alloggio impediscano
l'ingresso a questo dell'aria e della luce, tale questione deve essere risolta non soltanto alla stregua dell'art. 892
c.c., occorrendo invece indagare se la mancata manutenzione degli alberi, anche se piantati alla distanza legale,
non costituisca un comportamento negligente del condominio, idoneo a cagionare ingiusto danno ed a violare il
principio per il quale l'uso delle parti comuni non deve mai risolversi in pregiudizio di alcun condomino.
* Cass. civ., sez. I, 24 agosto 1992, n. 9829, Corso ed altri c. Condominio di Via Castellino n. 115 di Napoli. Nella nozione di superficie condominiale a verde che, ai sensi dell'art. 13, lett. f), della L. 27 luglio 1978, n. 392,
nella misura percentuale del 10 per cento, si traduce in una maggiore superficie convenzionale di un'unit
immobiliare facente parte di un edificio in condominio (in proporzione alla relativa quota millesimale) ai fini della
determinazione del canone di locazione, non rientrano soltanto quelle aree che - arricchite da fiori, piante,
panchine, ecc.- vengono ad impreziosire lo svolgimento della vita dei condomini, perch anche un semplice
prato realizza quel minimo di godimento estetico, di pi serena vivibilit dell'abitazione e di riservatezza che il
legislatore ha inteso valorizzare, con esclusione, invece delle superfici scoperte mantenute allo stato naturale, le
quali sviliscono, pi che esaltare, il conseguimento delle finalit perseguite dal legislatore.
* Cass. civ., 17 aprile 1991, n. 4113. - La copertura a lastrico, sovrastata da terra e da manto erboso, che
assolva anche alla funzione di sostenere un'area verde condominiale, rientra nelle parti necessariamente
comuni.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in Parma e
Condominio di via Rav n. 1 in Parma, in Arch. loc. e cond. 1996, 75. - Le spese di manutenzione di una
copertura a lastrico con funzione di sostegno di un'area verde condominiale, vanno ripartite tra i condomini
proprietari del lastrico e della sovrastante area verde da una parte e i proprietari delle sottostanti autorimesse, e
devono essere rapportate alla diversa utilit ritratta, che pu equitativamente fissarsi rispettivamente in 1/3 e
2/3. Gli interventi di manutenzione di tale copertura sono di competenza dell'amministratore, ed l'assemblea
che delibera sulle spese di manutenzione straordinaria.
Spese postali
L'individuazione della notevole entit delle spese, agli effetti del comma quarto dell'art. 1136 cod. civ. , deve
ritenersi affidata alla discrezionale valutazione del giudice di merito, rispetto alla quale il criterio della
proporzionalit tra spesa e valore dell' edificio, e la ripartizione di tale costo tra i condomini, configurano non un
vincolo, bensi' un ulteriore ed eventuale elemento di giudizio, nel senso della possibilit per il giudice di tenere
conto, nei casi dubbi, oltre che dei dati di immediato rilievo, cio dell' ammontare complessivo dell' esborso
occorrente per la realizzazione delle opere, anche del rapporto tra tale costo, valore dell' edificio ed entit della
spesa ricadente sui singoli condomini.
Le spese postali sopportate dal condominio, anche se relative all'invio della corrispondenza a singoli condomini,
attenendo alle spese di amministrazione del condominio, vanno ripartite tra tutti i condomini, in base alle tabelle
millesimali e non, invece, imputate ad personam.
Trib. di Napoli, 29/11/2003, n. 12015
"SPESE POSTALI PER LA CONVOCAZIONE DELLASSEMBLEA Il Collegio giudicante del Tribunale di
Genova (21 Gennaio 1993) ha sostenuto con una sentenza che le spese postali di spedizione dellavviso di
convocazione dellAssemblea debbano correttamente essere escluse dal conto generale di gestione del
condominio, in quanto rispondono piuttosto allinteresse individuale dei condomini destinatari dellavviso di
convocazione dellAssemblea."

Controversie, competenze del giudice di pace e giudice ordinario


a) Competenza per valore.
Lart. 7 del codice di rito, nello statuire che il
conciliatore competente unicamente per le cause di
natura cos reale, come personale relative a beni mobili
di valore non superiore a lire un milione, che non
siano attribuite dalla legge alla competenza di altro
giudice, nonch per tutte le cause relative alle modalit
di uso dei servizi condominiali, implicitamente,
ma inequivocabilmente esclude, sotto il profilo
della materia, la competenza del giudice anzidetto
per tutte le controversie immobiliari, cio per
tutte le cause aventi ad oggetto domande afferenti

a diritti tanto reali, quanto personali relativi


a beni immobili, cio pretese che abbiano la loro
fonte in rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un
bene immobile. * Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1995,
n. 1031
La domanda con la quale lattore chiede di
essere risarcito del danno subito a seguito della
infissione sul proprio fondo di pali di sostegno di
una linea telefonica, in mancanza della costituzione
di una servit, non costituisce una causa relativa a
beni immobili, e pertanto, se di valore inferiore allimporto
stabilito dallart. 7 c.p.c., appartiene alla competenza
del giudice di pace e va decisa secondo equit,
se rientra nel limite di valore dellart. 113, secondo
comma, c.p.c. * Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2003,
n. 2889
b) Apposizione di termini.
Lazione proposta per ottenere il ricollocamento
dei segni di confine contro lautore della
illecita demolizione e rimozione di essi non la
tipica azione per apposizione di termini, data nei confronti
del proprietario vicino per ottenere il concorso
nella spesa per lapposizione o il ristabilimento dei termini
di confine tra fondi contigui, bens una mera
azione personale di risarcimento del danno da
fatto illecito mediante la reintegrazione in forma
specifica; lazione predetta, quindi, non appartiene
alla competenza per materia del pretore, ma va
proposta al giudice competente per valore nel
foro generale del convenuto. * Cass. civ., sez. II, 18
dicembre 1978, n. 6064.
La domanda di apposizione dei termini, di
natura personale, resta modificata in quella, reale, di regolamento dei confini ove insorga tra le parti contrasto sulla linea di confine lungo la quale i termini devono essere collocati, con la conseguenza che,
in tale ipotesi, la controversia esula dalla competenza
per materia del pretore ed devoluta alla cognizione
del tribunale se quoad valorem eccede i limiti della
competenza pretorile. * Cass. civ., sez. II, 5 ottobre
1983, n. 5792.

La domanda diretta alleliminazione dellincertezza del confine tra due fondi e, in via meramente conseguenziale, allapposizione dei relativi termini costituisce azione di regolamento di confini, e
non azione per apposizione di termini (postulante che
i termini siano certi e pacifici e tendente, quindi, solo
a renderli visibili e riconoscibili), e, pertanto, ai fini
della competenza, non soggetta al criterio di cui
allart. 8, n. 2 c.p.c., bens al criterio generale della
competenza per valore. * Cass. civ., sez. II, 23 novembre 1982, n. 6341.
c) Distanze.

Il conferimento al giudice di pace della competenza senza limiti di valore per le cause, tra proprietari
confinanti, relative
oltre che allapposizione di termini
allosservanza delle distanze riguardo al piantamento
degli alberi e delle siepi (vigente art. 7 c.p.c.),
cio per la materia sul piano sostanziale disciplinata
dallart. 892 c.c., non implica la competenza di

questo giudice anche per le controversie promosse per ottenere la recisione di rami (o radici)
che si protendano (o addentrino) da un fondo in
quello confinante, in riferimento alla disciplina sostanziale di cui allart. 896 c.c., poich, il collegamento
tra la finalit delle due discipline di carattere sostanziale non ha sufficiente rilievo rispetto ad un giudice
che, diversamente dal pretore
a cui precedentemente
era attribuita, con formula analoga, la competenza
sulle distanze degli alberi e siepi dal confine
ha inlinea generale competenza solo per cause mobiliari,
tenuto anche presente che la violazione dellart. 896
implica la lesione di un diritto reale e che le domande
relative alla recisione di rami protesi sul fondo altrui
possono dar luogo ad eccezioni basate sulla deduzione della sussistenza al riguardo di una servit costituita per destinazione del padre di famiglia. * Cass. civ.,
sez. II, 26 gennaio 2000, n. 859

Appartengono alla competenza per materia del


[pretore] sia le controversie insorte fra proprietari di
fondi confinanti in ordine alla mancata osservanza
delle distanze stabilite dalla legge relativamente al
piantamento degli alberi, che le cause nelle quali fra
proprietari di fondi confinanti si controverta se ricorra o non ricorra la situazione in presenza della quale
chi abbia piantato gli alberi esonerato dallosservanza delle distanze stabilite, in via generale, dalla legge,
atteso che, anche in tale ipotesi, la controversia riflette, sia pure in negativo, una questione di distanze per
gli alberi, rientrante, per quanto concerne la competenza a conoscerne, nelle previsioni dellart. 8, n. 2
c.p.c. * Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1984, n. 6417.

Ai fini della determinazione della distanza


ex art. 892 c.c., ove sorga controversia sulla rilevanza da attribuire allaltezza di una pianta quale
constatata in giudizio, occorre accertare se essa
sia stata determinata da un sistema di coltivazione e di potatura razionalmente praticato sin dal
momento della messa a dimora e con il preciso
intento di imprimere alla pianta forma e dimensioni anche parzialmente diverse da quelle che
avrebbe assunto in base alle sue caratteristiche
naturali, ovvero se detta altezza sia stata determinata
da una pratica colturale irrazionale o casuale e tale da
incidere solo temporaneamente sulle dimensioni in genere e sullaltezza in particolare. (Nella specie, il giudice del merito aveva ritenuto applicabile la distanza
di mezzo metro dal confine, ai sensi dellart. 892, n. 3
c.c., ad olivi della specie cipressina, trattandosi di
piante da frutta, la cui altezza, in relazione alla natura
delle medesime, alle modalit di impianto ed al sistema di potatura concretamente adottato, non pu superare i due metri e mezzo. Il Supremo Collegio ha
confermato la decisione, enunciando il surriportato
principio). * Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1981, n.
6348

Ai fini della distanza dal confine, lart. 892 c.c.,


distingue le siepi formate da arbusti, da piante
basse, da canneti, con esclusione degli alberi di
alto e medio fusto, dalle siepi costituite da alberi
di alto e medio fusto
purch oggetto di periodica
recisione vicino al ceppo, che impedisce la crescita in
altezza e la favorisce in larghezza, rendendo, cos pos-

sibile lavvicinamento dei rami e dei vari alberi e la


formazione della protezione o barriera contro gli
agenti esterni
le quali devono osservare la distanza
di un metro dal confine. * Cass. civ., sez. II, 10 novembre 1994, n. 9368Conforme, Cass. II, 25 marzo 1999, n. 2830.

Gli alberi di alto fusto, che, a norma dellart.


892 n. 1 c.c., debbono essere piantati a non meno
di tre metri dal confine, vanno identificati con riguardo alla specie della pianta, classificata in botanica come di alto fusto, ovvero, se trattisi di
pianta non classificata come di alto fusto, con riguardo allo sviluppo da essa assunto in concreto, quando
il tronco si ramifichi ad unaltezza superiore a tre metri. * Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1978, n. 1568.

I cipressi piantati in funzione frangivento


non possono essere considerati, ai fini delle distanze legali, come alberi di alto fusto, anche se
per ragioni di tecnica agraria non possibile provvedere alla potatura dei rami ed alla recisione apicale se
non dopo che abbiano raggiunto un determinato sviluppo, in modo da assicurare alla pianta la robustezza
necessaria per assolvere alla funzione protettiva cui
stata destinata. * Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1976, n.
3708.

La deroga al divieto di ripiantare alberi a distanza non legale presuppone lesistenza di un


filare, cio di una serie unitaria di alberi
piantati o seminati dalla mano delluomo, ovvero germinati spontaneamente
che si incorporino nel
suolo in allineamento secondo una linea ideale,
retta od anche non rigorosamente tale. Rappresenta un apprezzamento di fatto del giudice del merito, insindacabile nel giudizio di Cassazione, ove adeguatamente motivato, lo stabilire se, in concreto, secondo la loro disposizione sul suolo, gli alberi costituiscano un filare. (Nella specie, la Corte Suprema ha
ritenuto che il giudice del merito abbia adeguatamente motivato rilevando che gli alberi non seguivano una
linea ideale rettilinea ma, invece, erano posti alle distanze pi disparate dal rettilineo confine). * Cass.
civ., sez. II, 16 maggio 1975, n. 1898.

La norma dellart. 893 c.c.


per cui, tra laltro,
in materia di distanze per gli alberi che nascono o si
piantano lungo le sponde dei canali si osservano i regolamenti o, in mancanza, gli usi locali e, soltanto se
gli uni e gli altri nulla dispongono, le regole stabilite
nellart. 892 dello stesso codice
fa indifferentemente riferimento sia ai canali artificiali che a quelli
naturali. * Cass. civ., sez. II, 16 giugno 1977, n. 2505.
d) Misura e modalit di uso dei servizi di condominio di case.

Lassicurare cavi elettrici ai muri comuni


condominiali e linstallare sui muri stessi o su tetti o su terrazze pure comuni centraline elettroniche ed antenne TV configura una modalit di uso
di detti beni, onde la controversia nella quale si discuta della legittimit o meno di tale forma di utilizzazione, perch contraria ad una espressa esclusione po-

sta dal regolamento condominiale o da una deliberazione assembleare ovvero perch incompatibile con
lesercizio da parte degli altri condomini di loro concorrenti alla facolt della stessa natura sul medesimo
bene, concerne non il diritto di compropriet o il diritto di esercitane in generale le relative facolt, ma
soltanto il limite qualitativo o quantitativo a seconda
della contestazione sollevata dalla particolare facolt
di utilizzare in tal guisa i beni comuni e rientra, pertanto, nella competenza per materia del Giudice di
Pace ai sensi dellart. 7 c.p.c. * Cass. civ., sez. II, 19
novembre 2001, n. 14527

Per cause relative alle modalit di uso dei servizi di condominio di case (gi di competenza del conciliatore) devono intendersi quelle concernenti i limiti
qualitativi di esercizio di facolt contenute nel diritto
di comunione, nelle quali, cio, si controverte sul
modo pi conveniente ed opportuno in cui tali facolt
devono essere esercitate, mentre le cause relative alla
misura di detti servizi (gi di competenza del pretore)
si identificano con quelle riguardanti una limitazione
o riduzione quantitativa del diritto dei singoli condomini. Da queste cause, ora attribuite entrambe
alla competenza per materia del giudice di pace a
norma dellart. 7 c.p.c., come sostituito dallart.
17 della legge 21 novembre 1991 n. 374, vanno
tenute distinte, per, le controversie che vedono
messo in discussione il diritto stesso del condomino ad un determinato uso della cosa comune e
che, quindi, rimangono soggette agli ordinari criteri della competenza per valore. * Cass. civ., sez.
II, 5 gennaio 2000, n. 25, Massagrande c. Condominio
Fogagnuolo Verona. Nello stesso senso, Cass. II, ord.
15 aprile 2002, n. 5447; Cass. II, 22 maggio 2000, n.
6642]

La sosta di unautovettura negli Spazi comuni condominiali configura una modalit di uso
di detti beni, onde la controversia nella quale si discuta della legittimit o meno di tale forma di utilizzazione, perch contraria ad una espressa esclusione posta dal regolamento condominiale o da una deliberazione assembleare ovvero perch incompatibile con
lesercizio da parte degli altri condomini di loro concorrenti facolt della stessa natura sul medesimo bene,
concerne non il diritto di compropriet o il diritto di
esercitarne in generale le relative facolt, ma soltanto
il limite qualitativo o quantitativo a seconda della
contestazione sollevata della particolare facolt
di utilizzare in tal guisa il bene comune e rientra,
pertanto, nella competenza per materia del giudice di pace ai sensi dellart. 7 c.p.c. * Cass. civ., sez.
II, 17 marzo 1999, n. 2402

La controversia tra condomini, instaurata


nella vigenza della legge 30 luglio 1984, n. 399,
relativa alla possibilit o meno di utilizzare a parcheggio dei veicoli i viali adiacenti ad un complesso condominiale, rientra nella competenza
per materia del Conciliatore perch, costituendo un
uso ulteriore rispetto alla ordinaria destinazione di
essi ad accesso ai fabbricati, attiene alla individuazione del modo pi conveniente ed opportuno per lesercizio dei diritti dominicali comuni, ossia ai limiti qualitativi dei medesimi. * Cass. civ., sez. II, 17 marzo
1999, n. 2408

Le cause relative alle modalit di uso dei


servizi condominiali, appartenenti alla competenza del giudice di pace a norma dellart. 7, comma terzo, n. 2, c.p.c., sono quelle nelle quali si disputi dei limiti qualitativi o quantitativi dellesercizio delle facolt contenute nel diritto di comunione, e non
comprendono quelle nelle quali si controverta dellesistenza, anche parziale, del diritto di compropriet del
singolo condomino, ovvero si neghi in radice un diritto vantato dallo stesso sulla cosa comune. (In applicazione di tale principio, la S.C., in una controversia insorta a seguito della domanda di un condomino che
tendeva a negare il diritto di propriet esclusiva dellaltro, il quale aveva recintato la parte di terreno controversa e costruito sopra di essa vari manufatti, ha
accolto il regolamento di competenza richiesto dal
Giudice di pace di Roma
davanti al quale era stata
riassunta la causa, a seguito di sentenza del tribunale
che aveva declinato la propria competenza
affermando la competenza del tribunale). * Cass. civ., sez.
II, 15 aprile 2002, n. 5448
Non devoluta alla competenza, per materia,
del giudice di pace (quale causa relativa alla misura e
alle modalit di uso dei servizi di condominio di case)
la controversia avente a oggetto la legittimit della delibera assembleare che neghi in radice il diritto dei condomini a una determinata utilizzazione della terrazza comune, in particolare per stendere i panni e battere i tappeti. Una tale controversia, infatti, concerne il contenuto stesso del diritto di
compropriet dei condomini, vale a dire linclusione o
meno di una specifica facolt relativa alluso del bene
comune e come tale
essendo estranea alla competenza del giudice di pace
devoluta alla competenza del tribunale. * Cass. civ., sez. II, 10 maggio
2000, n. 5989.

Le cause relative alle modalit di uso dei


servizi condominiali (appartenenti alla competenza
per materia del conciliatore ai sensi dellart. 7 c.p.c.
prima della riforma introdotta con la legge 21 novembre 1991, n. 374, che le ha attribuite al giudice di pace)
sono solo quelle riguardanti i limiti qualitativi di
esercizio delle facolt contenute nel diritto di comunione ossia quelle relative al modo pi conveniente e opportuno in cui tali facolt debbono essere esercitate, nel rispetto della parit di godimento in proporzione delle rispettive quote, secondo quanto stabilito dagli artt. 1102 e 1118 c.c., nonch in conformit
del volere della maggioranza e delle eventuali disposizioni del regolamento condominiale, mentre le cause relative alla misura degli stessi servizi
(anchesse attribuite dalla menzionata legge n. 374 del
1991 alla competenza del giudice di pace, ed anteriormente rientranti nella competenza del pretore ex art.
8 c.p.c.) riguardano le riduzioni o limitazioni quantitative del diritto dei singoli condomini e si identificano quindi con quelle aventi per oggetto
provvedimenti dellassemblea o dellamministratore che, trascendendo dalla disciplina delle modalit qualitative di uso del bene comune, incidono
sulla misura del godimento riconosciuto ai singoli
condomini. Alle sopraindicate categorie estranea invece ogni controversia nella quale sia in discussione

lesistenza stessa del diritto del condomino a fruire


della cosa o del servizio comune, che resta attribuita
Art. 7
LIBRO I - DISPOSIZIONI GENERALI
65
Page 5
al giudice competente secondo gli ordinari criteri del
valore della causa. (Nella specie la S.C. adita in sede
di regolamento di competenza ex art. 43 c.p.c. ha dichiarata la competenza del tribunale sulla domanda di
riduzione in pristino proposta da un condomino nei
confronti di altro condomino, che aveva chiuso una
parte del pianerottolo e di un bagno comuni con una
porta munita di chiave, fornita anche agli altri condomini, rilevando che non veniva in contestazione luso
particolare e speciale del pianerottolo ma il diritto del
convenuto di appropriarsi dei suddetti beni comuni).
* Cass. civ., sez. II, 14 giugno 1996, n. 5467, Spinelli
c. Labonia. Conforme, Cass. II, 15 ottobre 1994, n.
8431, la quale aveva ritenuto la competenza del conciliatore per una controversia relativa alla legittimit di
una delibera dellassemblea dei condomini che aveva
vietato luso dellascensore per il trasporto di animali
domestici prevedendo, in caso di inosservanza, una
sanzione di lire diecimila. Conforme, altres, Cass. II,
23 aprile 1991, n. 4441, la quale aveva ritenuto la competenza del conciliatore per una causa in cui si deduceva che la disposta chiusura con transenne mobili recava pregiudizio allesercizio del diritto su tali beni.

La competenza sulla domanda di sostituzione della griglia di areazione della centrale comune di riscaldamento, posta nella soglia di ingresso
delledificio condominiale, al fine di evitare inconvenienti nel transito, va determinata in base al valore
perch non si configura una controversia sulle modalit di uso del servizio condominiale (art. 8, n. 4
c.p.c.), n una controversia sulla misura dei servizi del
condominio (art. 7 comma secondo c.p.c.). * Cass.
civ., sez. II, 11 gennaio 1994, n. 223

La speciale competenza per materia [del pretore ex art. 8, n. 4 c.p.c.] per le cause relative alla
misura dei servizi del condominio di case limitata alle ipotesi in cui occorra regolare lutilizzazione in senso materiale dei servizi e delle cose
comuni e non si estende, quindi, a quella in cui si
controverta sulla legittimit di opere incidenti
sulle cose comuni o sulle strutture destinate al
servizio comune, in modo da alterarne la funzionalit e da danneggiarle, dovendo in questultimo caso,
trovare applicazione, invece, i normali criteri della
competenza ratione valoris. * Cass. civ., sez. II, 30
marzo 1995, n. 3802

La competenza per materia [del pretore] prevista


dallart. 8, comma 2, n. 4, c.p.c. riguarda le controversie inerenti ai limiti quantitativi di una non contestata
facolt di uso di servizi e beni condominiali. Esulano,
pertanto, dalla predetta competenza per materia
le cause nelle quali si controverte sulla esistenza
stessa del diritto alluso del bene o del servizio
condominiale, allorch vi siano contestazioni in ordine alla sussistenza dei coesistenti diritti dei condomini, come la controversia circa il mutamento di destinazione di uso dellimmobile ed il conseguente uso
dei beni condominiali, che resta, pertanto, assoggettata agli ordinari criteri di competenza per valore per le

cause relative a beni immobili. * Cass. civ., sez. II, 20


luglio 1994, n. 6770. Nello stesso senso, Cass. II, 3 luglio 1998, n. 6491;
Cass. II, 13 ottobre 1997, n. 9946.

Le cause aventi ad oggetto con la formazione delle tabelle millesimali la ripartizione di spese attinenti alluso e al godimento dei servizi condominiali e dei beni comuni (nella specie spese di
spurgo della fossa biologica e di pozzetti) non rientrano tra le controversie relative alle modalit di
uso e alla misura dei servizi condominiali [rispettivamente di competenza del conciliatore (art. 7, capoverso, c.p.c.) e del pretore (art. 8, n. 4, c.p.c.)] in
quanto la patrimonialit del thema decidendum prevale sullaccertamento della misura e delle modalit delluso, che costituisce soltanto un presupposto necessario per la determinazione delle singole quote di spesa.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6936

La competenza per materia che gli artt. 7 e 8


c.p.c. attribuiscono al conciliatore ed al pretore
per le controversie concernenti rispettivamente
le modalit duso e la misura dei servizi del condominio di case (che lart. 8, n. 2 attribuiva, prima
della modifica introdotta dallart. 1 della L. 30 luglio
1984, n. 399, al solo pretore) non si estende alle
controversie che abbiano ad oggetto il regolamento dei rapporti economici tra i condomini derivanti dalluso e godimento dei servizi e beni comuni e nelle quali la patrimonialit del thema decidendum prevale sullaccertamento delluso (misura e
modalit) il quale costituisce soltanto un presupposto
necessario per la determinazione delle singole quote di
spesa. (Nella specie, affermato il principio di cui in
massima, il S.C. ha dichiarato la competenza ratione
valoris del tribunale a conoscere di una controversia
concernente la determinazione della quota di spesa del
servizio di riscaldamento, posta a carico dei condomini che non ne usufruivano). * Cass. civ., sez. II, 17
agosto 1990, n. 8329

La controversia nella quale lattore, deducendo la turbativa del proprio diritto di propriet
sulla rampa e sullo Spazio di accesso e manovra
di un suo garage, chieda la cessazione del passaggio, esercitato nei predetti luoghi dal convenuto per accedere ad un locale di cui sia proprietario (domanda che introduce unazione negatoria, ex
art. 949 c.c., diretta a far dichiarare linesistenza del
diritto di servit di passaggio invocato dalla controparte), ed il convenuto spieghi domanda riconvenzionale rivolta allaccertamento di tale servit, costituita
per contratto od acquisita per usucapione, ovvero alla
costituzione di una servit di passaggio coattiva, appartiene alla competenza del tribunale, trattandosi di causa concernente diritti reali immobiliari, non gi a quella del conciliatore, non essendo riferibile al semplice regolamento di uso di
66
CODICE DI PROCEDURA CIVILE
Art. 7
Page 6
unarea condominiale. * Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1995, n. 12093

La competenza sulla domanda proposta dal


condominio per impedire ad uno dei condomini
loccupazione, con beni mobili (nella specie, sedie

e tavolini), dellarea comune antistante ledificio,


quando siano in discussione solo le modalit
delluso e non il diritto di comunione del condominio
o la misura delle relative facolt, appartiene al conciliatore, cui riservata dallart. 7 comma 2 c.p.c., la
cognizione di tutte le cause relative alle modalit di
uso dei servizi e dei beni condominiali, e, cio, le controversie sui limiti qualitativi di esercizio delle facolt
contenute nel diritto di comunione. * Cass. civ., sez.
II, 28 giugno 1995, n. 7295

La controversia instaurata da un condomino che chiede la rimozione di un cancello posto


da altro condomino, con lautorizzazione dellassemblea dei condomini, a chiusura del pianerottolo
dellultimo piano della scala comune delledificio,
dopo avere dotato di chiavi tutti gli altri condomini,
appartiene, anche quando sia stato chiesto laccertamento incidentale della nullit della delibera assembleare di autorizzazione, alla competenza del giudice
conciliatore perch, non essendovi contestazione sullesistenza del diritto, relativa alle modalit di godimento della cosa comune. * Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1992

La competenza del conciliatore sulle cause relative alle modalit di uso dei servizi e dei beni condominiali si estende non solo alle controversie tra i
condomini o tra il condominio ed il condomino,
ma anche a quelle che interessano soggetti diversi dai partecipanti alla comunit condominiale, legittimati, per altro titolo (quale, ad esempio, la
locazione di unit immobiliari delledificio), alluso
delle parti o dei servizi comuni. * Cass. civ., sez. II,
28 giugno 1995, n. 7295

Esula dalla competenza del giudice di pace


la domanda diretta a far affermare linesistenza
del potere di unassemblea condominiale di deliberare in ordine alla recinzione di Spazio a verde,
alla destinazione di posti auto su parti condominiali,
nonch allassegnazione dei singoli posti auto a discrezione dellamministratore. * Giud. pace Roma, 24
gennaio 1996
e) Immissioni moleste.

Le propagazioni nel fondo del vicino che oltrapassino il limite della normale tollerabilit costituiscono un fatto illecito perseguibile, in via
cumulativa, con lazione diretta a farle cessare
(avente carattere reale e natura negatoria) e con quella intesa ad ottenere il risarcimento del pregiudizio che ne sia derivato (di natura personale), a prescindere dalla circostanza che il pregiudizio medesimo
abbia assunto i connotati della temporaneit e non
della definitivit. * Cass. civ., sez. II, 2 giugno 2000, n.
7420

La disposizione dellart. 844 c.c., applicabile


anche negli edifici in condomino nellipotesi in cui un
condomino nel godimento della propria unit immobiliare o delle parti comuni dia luogo ad immissioni
moleste o dannose nella propriet di altri condomini.
Nellapplicazione della norma deve aversi riguardo,
peraltro, per desumerne il criterio di valutazione
della normale tollerabilit delle immissioni, alla
peculiarit dei rapporti condominiali e alla destinazione assegnata alledificio dalle disposizioni

urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. In


particolare, nel caso in cui il fabbricato non adempia
ad una funzione uniforme e le unit immobiliari siano
soggette a destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione ed ad esercizio commerciale, il criterio dellutilit sociale, cui informato lart. 844 citato,
impone di graduare le esigenze in rapporto alle
istanze di natura personale ed economica dei
condomini, privilegiando, alla luce dei principi
costituzionali (v. Cost., artt. 14, 31 e 47) le esigenze
personali di vita connesse allabitazione, rispetto alle
utilit meramente economiche inerenti allesercizio di
attivit commerciali. (Nella specie la Suprema Corte
ha confermato la decisione di merito la quale aveva
ordinato la rimozione dal muro perimetrale comune
di una canna fumaria collocata nella parte terminale
a breve distanza dalle finestre di alcuni condomini, destinata a smaltire le esalazioni di fumo, calore e gli
odori prodotti dal forno di un esercizio commerciale
Art. 7
LIBRO I - DISPOSIZIONI GENERALI
67
Page 7
ubicato nel fabbricato condominiale). * Cass. civ., sez.
II, 15 marzo 1993, n. 3090

Il titolare di un diritto personale di godimento, al quale pure non preclusa in astratto lesperibilit dellazione inibitoria delle immissioni,
non legittimato a richiedere la cessazione delle
immissioni comportante la modificazione sostanziale della conformazione dellimmobile da
cui le stesse si propagano, con conseguente diretta
incidenza sulloggetto e sullessenza del diritto immobiliare del vicino, idonea a fare stato anche nei confronti dei proprietari futuri, ossia di soggetti diversi
dagli attuali contendenti. * Cass. civ., sez. II, 22 dicembre 1995, n. 13069

Lart. 844 c.c., il quale riconosce al proprietario


il diritto di far cessare le propagazioni derivanti dal
fondo del vicino che superino la normale tollerabilit,
deve essere interpretato estensivamente, nel senso di
legittimare allazione anche il superficiario, lenfiteuta, il titolare di usufrutto, di uso o di abitazione e, inoltre, applicabile per analogia a chi sia
titolare di un diritto personale di godimento sul
fondo, come il conduttore ovvero il promissario di
vendita immobiliare che abbia ricevuto la consegna
del bene in anticipo rispetto alla conclusione del contratto definitivo. In questultima ipotesi, peraltro, se
gli accorgimenti tecnici da adottare per ricondurre le
immissioni nei limiti della normale tollerabilit comportino la necessit di modificazioni di strutture dellimmobile da cui le propagazioni derivano, si deve
escludere che il titolare di diritto personale di godimento sia legittimato a chiedere le modificazioni medesime, salva restando la reclamabilit dindennizzo.
* Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1992, n. 12133
Nel caso di immissioni moleste eccedenti la
normale tollerabilit, di cui allart. 844 c.c., lalienazione del fondo, verificatasi nel corso del giudizio diretto ad ottenere il risarcimento dei danni, non spiega alcuna influenza sulla legittimazione delloriginario proprietario a proseguire tale giudizio, almeno limitatamente ai danni prodotti allimmobile
prima del suo trasferimento, sempre che non risulti
che sia stato ceduto allacquirente anche il diritto di

credito al ristoro dei danni stessi. * Cass. civ., sez. I,


29 novembre 1999, n. 13334

In ordine alla domanda con la quale il proprietario di un fondo agisca, ai sensi degli artt. 844 e 2043 c.c.,
per ottenere la cessazione di intollerabili immissioni ed
il risarcimento dei conseguenti danni, va riconosciuta
la legittimazione passiva del proprietario del fondo
da cui provengono le immissioni stesse, ancorch
queste ultime derivino solo dalle particolari modalit di
uso del fondo da parte del conduttore del medesimo.
Anche in tale ipotesi, infatti, configurabile una responsabilit del proprietario, ove si deduca e risulti che leccedenza delle immissioni, rispetto ai limiti legali, sia imputabile a colpa e fatto del proprietario stesso, per aver
concesso in locazione limmobile con la consapevolezza
di una sua destinazione ad attivit di per s molesta ai
vicini (nella specie, deposito e lavorazione di rottami), e
per nulla aver fatto per impedire al conduttore di provocare le intollerabili immissioni. * Cass. civ., sez. II, 21
maggio 1976, n. 1833.

Lart. 844 c.c. impone, nei limiti della normale


tollerabilit e delleventuale contemperamento delle
esigenze della produzione con le ragioni della propriet, lobbligo di sopportazione delle propagazioni
inevitabili determinate dalluso delle propriet attuato nel contesto delle norme generali e speciali
che ne disciplinano lesercizio. Al di fuori di tali
limiti, si in presenza di unattivit illegittima, di
fronte alla quale non ha ragion dessere limposizione
di un sacrificio allaltrui diritto di propriet o di godimento e non sono quindi applicabili i criteri dettati
dallart. 844 c.c. ma, venendo in considerazione, in tali
ipotesi, unicamente lillecit del fatto generatore del
danno arrecato a terzi, si rientra nello schema generale dellazione di risarcimento dei danni ex art. 2043
c.c. che pu essere proposta anche cumulativamente
con lazione ex art. 844 c.c. * Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 2000, n. 15509

Lazione prevista dallart. 844 c.c. per far


cessare le immissioni provenienti dal fondo vicino che eccedano la normale tollerabilit compete
non solo al proprietario o al titolare di un diritto
reale di godimento che abbia il possesso del fondo oggetto di immissioni moleste, ma anche,
analogicamente ex art. 12 prel., al conduttore (v.
art. 1585 comma secondo c.c.), stante lidentit della
ragione di tutela sottesa alle due situazioni. * Cass.
civ., sez. II, 21 febbraio 1994, n. 1653 Nello stesso senso,
Cass. II, 1 dicembre 2000, n. 15392, che aggiunge: ... quando soltanto a costui (il locatario) debba essere imposto un
facere o un non facere, suscettibili di esecuzione forzata in caso di diniego.
f) Circolazione stradale.

Il danno provocato al veicolo di propriet di


persona diversa dal conducente dalla condotta di
questi che lo guidi su incarico del predetto proprietario, risarcibile non ai sensi dellart. 2054 c.c., bens ai
sensi dellart. 2043 c.c.; tuttavia, trattandosi di danno
prodotto dalla circolazione di un veicolo, leventuale
domanda risarcitoria deve essere in ogni caso conosciuta dal giudice di pace. * Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2002, n. 746

La competenza per materia con un limite di

valore, che lart. 7, comma secondo, c.p.c. attribuisce al giudice di pace per le cause di risarcimento
del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e
natanti, non si esaurisce nelle ipotesi contemplate dallart. 2054 c.c. ma concerne anche i casi che,
pur non essendo suscettibili di essere disciplinati da
tale articolo, tuttavia rientrano nella nozione di fatti
illeciti prodotti dalla circolazione stradale di veicoli. *
Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 2000, n. 15573

La disciplina dellart. 7, secondo comma, c.p.c.


che prevede la competenza del giudice di pace per le
cause di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, purch il valore della controversia non superi trenta milioni di lire, attiene a
materia che non suscettibile di interpretazione
estensiva od analogica, per essere stato previsto
uno specifico nesso causale tra il fatto della circolazione stradale ed il danno, nel senso che il primo elemento deve essere causa efficiente del secondo e non costituirne, invece, semplice occasione come nel caso in cui
questultimo trovi la sua causa nella c.d. insidia stradale. * Cass. civ., sez. III, ord. 11 ottobre 2002, n.
14564
g) Opposizioni allesecuzione.

In materia di procedimento civile esecutivo, in


caso di opposizione allesecuzione gi iniziata, il giudice (nel caso, il giudice di pace) individuato come
competente per valore ai sensi del combinato disposto
di cui agli artt. 615 e 17 c.p.c., competente a decidere
anche il merito della controversia; in quanto giudice
dellopposizione e non dellesecuzione, esso viceversa incompetente a decidere le domande di assegnazione e di restituzione. * Cass. civ., sez. III, 20 settembre
2002, n. 13757
a) Competenza per valore.
Lart. 7 del codice di rito, nello statuire che il
conciliatore competente unicamente per le cause di
natura cos reale, come personale relative a beni mobili
di valore non superiore a lire un milione, che non
siano attribuite dalla legge alla competenza di altro
giudice, nonch per tutte le cause relative alle modalit
di uso dei servizi condominiali, implicitamente,
ma inequivocabilmente esclude, sotto il profilo
della materia, la competenza del giudice anzidetto
per tutte le controversie immobiliari, cio per
tutte le cause aventi ad oggetto domande afferenti
a diritti tanto reali, quanto personali relativi
a beni immobili, cio pretese che abbiano la loro
fonte in rapporto, giuridico o di fatto, riguardante un
bene immobile. * Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1995,
n. 1031. Conforme, Cass. I, 3 dicembre 1996, n. 10787.
La domanda con la quale lattore chiede di
essere risarcito del danno subito a seguito della
infissione sul proprio fondo di pali di sostegno di
una linea telefonica, in mancanza della costituzione
di una servit, non costituisce una causa relativa a
beni immobili, e pertanto, se di valore inferiore allimporto
stabilito dallart. 7 c.p.c., appartiene alla competenza
del giudice di pace e va decisa secondo equit,
se rientra nel limite di valore dellart. 113, secondo
comma, c.p.c. * Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2003,
n. 2889
Si veda sub art. 10 e ss.

b) Apposizione di termini.
Lazione proposta per ottenere il ricollocamento
dei segni di confine contro lautore della
illecita demolizione e rimozione di essi non la
tipica azione per apposizione di termini, data nei confronti
del proprietario vicino per ottenere il concorso
nella spesa per lapposizione o il ristabilimento dei termini
di confine tra fondi contigui, bens una mera
azione personale di risarcimento del danno da
fatto illecito mediante la reintegrazione in forma
specifica; lazione predetta, quindi, non appartiene
alla competenza per materia del pretore, ma va
proposta al giudice competente per valore nel
foro generale del convenuto. * Cass. civ., sez. II, 18
dicembre 1978, n. 6064.
La domanda di apposizione dei termini, di
natura personale, resta modificata in quella, reale,
di regolamento dei confini ove insorga tra le parti
contrasto sulla linea di confine lungo la quale i termini
devono essere collocati, con la conseguenza che,
in tale ipotesi, la controversia esula dalla competenza
per materia del pretore ed devoluta alla cognizione
del tribunale se quoad valorem eccede i limiti della
competenza pretorile. * Cass. civ., sez. II, 5 ottobre
1983, n. 5792.
La domanda diretta alleliminazione dellincertezza
del confine tra due fondi e, in via meramente
conseguenziale, allapposizione dei relativi termini
costituisce azione di regolamento di confini, e
non azione per apposizione di termini (postulante che
i termini siano certi e pacifici e tendente, quindi, solo
a renderli visibili e riconoscibili), e, pertanto, ai fini
della competenza, non soggetta al criterio di cui
allart. 8, n. 2 c.p.c., bens al criterio generale della
competenza per valore. * Cass. civ., sez. II, 23 novembre
1982, n. 6341.
c) Distanze.
Il conferimento al giudice di pace della competenza
senza limiti di valore per le cause, tra proprietari
confinanti, relative oltre che allapposizione di termini
allosservanza delle distanze riguardo al piantamento
degli alberi e delle siepi (vigente art. 7 c.p.c.),
cio per la materia sul piano sostanziale disciplinata
dallart. 892 c.c., non implica la competenza di
questo giudice anche per le controversie promosse
per ottenere la recisione di rami (o radici)
che si protendano (o addentrino) da un fondo in
quello confinante, in riferimento alla disciplina sostanziale
di cui allart. 896 c.c., poich, il collegamento
tra la finalit delle due discipline di carattere sostanziale
non ha sufficiente rilievo rispetto ad un giudice
che, diversamente dal pretore a cui precedentemente
era attribuita, con formula analoga, la competenza
sulle distanze degli alberi e siepi dal confine ha in
linea generale competenza solo per cause mobiliari,
tenuto anche presente che la violazione dellart. 896
implica la lesione di un diritto reale e che le domande
relative alla recisione di rami protesi sul fondo altrui
possono dar luogo ad eccezioni basate sulla deduzioArt. 7 LIBRO I - DISPOSIZIONI GENERALI 63
ne della sussistenza al riguardo di una servit costituita
per destinazione del padre di famiglia. * Cass. civ.,
sez. II, 26 gennaio 2000,

Appartengono alla competenza per materia del


[pretore] sia le controversie insorte fra proprietari di
fondi confinanti in ordine alla mancata osservanza
delle distanze stabilite dalla legge relativamente al
piantamento degli alberi, che le cause nelle quali fra
proprietari di fondi confinanti si controverta se ricorra
o non ricorra la situazione in presenza della quale
chi abbia piantato gli alberi esonerato dallosservanza
delle distanze stabilite, in via generale, dalla legge,
atteso che, anche in tale ipotesi, la controversia riflette,
sia pure in negativo, una questione di distanze per
gli alberi, rientrante, per quanto concerne la competenza
a conoscerne, nelle previsioni dellart. 8, n. 2
c.p.c. * Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1984, n. 6417.
Ai fini della determinazione della distanza
ex art. 892 c.c., ove sorga controversia sulla rilevanza
da attribuire allaltezza di una pianta quale
constatata in giudizio, occorre accertare se essa
sia stata determinata da un sistema di coltivazione
e di potatura razionalmente praticato sin dal
momento della messa a dimora e con il preciso
intento di imprimere alla pianta forma e dimensioni
anche parzialmente diverse da quelle che
avrebbe assunto in base alle sue caratteristiche
naturali, ovvero se detta altezza sia stata determinata
da una pratica colturale irrazionale o casuale e tale da
incidere solo temporaneamente sulle dimensioni in genere
e sullaltezza in particolare. (Nella specie, il giudice
del merito aveva ritenuto applicabile la distanza
di mezzo metro dal confine, ai sensi dellart. 892, n. 3
c.c., ad olivi della specie cipressina, trattandosi di
piante da frutta, la cui altezza, in relazione alla natura
delle medesime, alle modalit di impianto ed al sistema
di potatura concretamente adottato, non pu superare
i due metri e mezzo. Il Supremo Collegio ha
confermato la decisione, enunciando il surriportato
principio). * Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1981, n.
6348
Ai fini della distanza dal confine, lart. 892 c.c.,
distingue le siepi formate da arbusti, da piante
basse, da canneti, con esclusione degli alberi di
alto e medio fusto, dalle siepi costituite da alberi
di alto e medio fusto purch oggetto di periodica
recisione vicino al ceppo, che impedisce la crescita in
altezza e la favorisce in larghezza, rendendo, cos possibile
lavvicinamento dei rami e dei vari alberi e la
formazione della protezione o barriera contro gli
agenti esterni le quali devono osservare la distanza
di un metro dal confine. * Cass. civ., sez. II, 10 novembre
1994, n. 9368, Maggioli c. Vedelago. Conforme,
Cass. II, 25 marzo 1999, n. 2830.
Gli alberi di alto fusto, che, a norma dellart.
892 n. 1 c.c., debbono essere piantati a non meno
di tre metri dal confine, vanno identificati con riguardo
alla specie della pianta, classificata in botanica
come di alto fusto, ovvero, se trattisi di
pianta non classificata come di alto fusto, con riguardo
allo sviluppo da essa assunto in concreto, quando
il tronco si ramifichi ad unaltezza superiore a tre metri.
* Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1978, n. 1568.
I cipressi piantati in funzione frangivento
non possono essere considerati, ai fini delle distanze
legali, come alberi di alto fusto, anche se
per ragioni di tecnica agraria non possibile provvedere
alla potatura dei rami ed alla recisione apicale se

non dopo che abbiano raggiunto un determinato sviluppo,


in modo da assicurare alla pianta la robustezza
necessaria per assolvere alla funzione protettiva cui
stata destinata. * Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1976, n.
3708.
La deroga al divieto di ripiantare alberi a distanza
non legale presuppone lesistenza di un
filare, cio di una serie unitaria di alberi piantati
o seminati dalla mano delluomo, ovvero germinati
spontaneamente che si incorporino nel
suolo in allineamento secondo una linea ideale,
retta od anche non rigorosamente tale. Rappresenta
un apprezzamento di fatto del giudice del merito,
insindacabile nel giudizio di Cassazione, ove adeguatamente
motivato, lo stabilire se, in concreto, secondo
la loro disposizione sul suolo, gli alberi costituiscano
un filare. (Nella specie, la Corte Suprema ha
ritenuto che il giudice del merito abbia adeguatamente
motivato rilevando che gli alberi non seguivano una
linea ideale rettilinea ma, invece, erano posti alle distanze
pi disparate dal rettilineo confine). * Cass.
civ., sez. II, 16 maggio 1975, n. 1898.
La norma dellart. 893 c.c. per cui, tra laltro,
in materia di distanze per gli alberi che nascono o si
piantano lungo le sponde dei canali si osservano i regolamenti
o, in mancanza, gli usi locali e, soltanto se
gli uni e gli altri nulla dispongono, le regole stabilite
nellart. 892 dello stesso codice fa indifferentemente
riferimento sia ai canali artificiali che a quelli
naturali. * Cass. civ., sez. II, 16 giugno 1977, n. 2505.
d) Misura e modalit di uso dei servizi di condominio di case.
Lassicurare cavi elettrici ai muri comuni
condominiali e linstallare sui muri stessi o su tetti
o su terrazze pure comuni centraline elettroniche
ed antenne TV configura una modalit di uso
di detti beni, onde la controversia nella quale si discuta
della legittimit o meno di tale forma di utilizzazione,
perch contraria ad una espressa esclusione posta
dal regolamento condominiale o da una deliberazione
assembleare ovvero perch incompatibile con
lesercizio da parte degli altri condomini di loro concorrenti
alla facolt della stessa natura sul medesimo
bene, concerne non il diritto di compropriet o il diritto
di esercitane in generale le relative facolt, ma
soltanto il limite qualitativo o quantitativo a seconda
della contestazione sollevata dalla particolare facolt
di utilizzare in tal guisa i beni comuni e rientra, pertanto,
nella competenza per materia del Giudice di
Pace ai sensi dellart. 7 c.p.c. * Cass. civ., sez. II, 19
novembre 2001, n. 14527
Per cause relative alle modalit di uso dei servizi
di condominio di case (gi di competenza del conciliatore)
devono intendersi quelle concernenti i limiti
qualitativi di esercizio di facolt contenute nel diritto
di comunione, nelle quali, cio, si controverte sul
modo pi conveniente ed opportuno in cui tali facolt
devono essere esercitate, mentre le cause relative alla
misura di detti servizi (gi di competenza del pretore)
si identificano con quelle riguardanti una limitazione
o riduzione quantitativa del diritto dei singoli condomini.
Da queste cause, ora attribuite entrambe
alla competenza per materia del giudice di pace a
norma dellart. 7 c.p.c., come sostituito dallart.

17 della legge 21 novembre 1991 n. 374, vanno


tenute distinte, per, le controversie che vedono
messo in discussione il diritto stesso del condomino
ad un determinato uso della cosa comune e
che, quindi, rimangono soggette agli ordinari criteri
della competenza per valore. * Cass. civ., sez.
II, 5 gennaio 2000, n. 25, Massagrande c. Condominio
Fogagnuolo Verona. Nello stesso senso, Cass. II, ord.
15 aprile 2002, n. 5447; Cass. II, 22 maggio 2000, n.
6642.
La sosta di unautovettura negli Spazi comuni
condominiali configura una modalit di uso
di detti beni, onde la controversia nella quale si discuta
della legittimit o meno di tale forma di utilizzazione,
perch contraria ad una espressa esclusione posta
dal regolamento condominiale o da una deliberazione
assembleare ovvero perch incompatibile con
lesercizio da parte degli altri condomini di loro concorrenti
facolt della stessa natura sul medesimo bene,
concerne non il diritto di compropriet o il diritto di
esercitarne in generale le relative facolt, ma soltanto
il limite qualitativo o quantitativo a seconda della
contestazione sollevata della particolare facolt
di utilizzare in tal guisa il bene comune e rientra,
pertanto, nella competenza per materia del giudice
di pace ai sensi dellart. 7 c.p.c. * Cass. civ., sez.
II, 17 marzo 1999, n. 2402
La controversia tra condomini, instaurata
nella vigenza della legge 30 luglio 1984, n. 399,
relativa alla possibilit o meno di utilizzare a parcheggio
dei veicoli i viali adiacenti ad un complesso
condominiale, rientra nella competenza
per materia del Conciliatore perch, costituendo un
uso ulteriore rispetto alla ordinaria destinazione di
essi ad accesso ai fabbricati, attiene alla individuazione
del modo pi conveniente ed opportuno per lesercizio
dei diritti dominicali comuni, ossia ai limiti qualitativi
dei medesimi. * Cass. civ., sez. II, 17 marzo
1999, n. 2408
Le cause relative alle modalit di uso dei
servizi condominiali, appartenenti alla competenza
del giudice di pace a norma dellart. 7, comma
terzo, n. 2, c.p.c., sono quelle nelle quali si disputi
dei limiti qualitativi o quantitativi dellesercizio delle
facolt contenute nel diritto di comunione, e non
comprendono quelle nelle quali si controverta dellesistenza,
anche parziale, del diritto di compropriet del
singolo condomino, ovvero si neghi in radice un diritto
vantato dallo stesso sulla cosa comune. (In applicazione
di tale principio, la S.C., in una controversia insorta
a seguito della domanda di un condomino che
tendeva a negare il diritto di propriet esclusiva dellaltro,
il quale aveva recintato la parte di terreno controversa
e costruito sopra di essa vari manufatti, ha
accolto il regolamento di competenza richiesto dal
Giudice di pace di Roma davanti al quale era stata
riassunta la causa, a seguito di sentenza del tribunale
che aveva declinato la propria competenza affermando
la competenza del tribunale). * Cass. civ., sez.
II, 15 aprile 2002, n. 5448
Non devoluta alla competenza, per materia,
del giudice di pace (quale causa relativa alla misura e
alle modalit di uso dei servizi di condominio di case)
la controversia avente a oggetto la legittimit della

delibera assembleare che neghi in radice il diritto


dei condomini a una determinata utilizzazione
della terrazza comune, in particolare per stendere
i panni e battere i tappeti. Una tale controversia,
infatti, concerne il contenuto stesso del diritto di
compropriet dei condomini, vale a dire linclusione o
meno di una specifica facolt relativa alluso del bene
comune e come tale essendo estranea alla competenza
del giudice di pace devoluta alla competenza
del tribunale. * Cass. civ., sez. II, 10 maggio
2000, n. 5989.
Le cause relative alle modalit di uso dei
servizi condominiali (appartenenti alla competenza
per materia del conciliatore ai sensi dellart. 7 c.p.c.
prima della riforma introdotta con la legge 21 novembre
1991, n. 374, che le ha attribuite al giudice di pace)
sono solo quelle riguardanti i limiti qualitativi di
esercizio delle facolt contenute nel diritto di comunione
ossia quelle relative al modo pi conveniente
e opportuno in cui tali facolt debbono essere esercitate,
nel rispetto della parit di godimento in proporzione
delle rispettive quote, secondo quanto stabilito
dagli artt. 1102 e 1118 c.c., nonch in conformit
del volere della maggioranza e delle eventuali disposizioni
del regolamento condominiale, mentre le cause
relative alla misura degli stessi servizi
(anchesse attribuite dalla menzionata legge n. 374 del
1991 alla competenza del giudice di pace, ed anteriormente
rientranti nella competenza del pretore ex art.
8 c.p.c.) riguardano le riduzioni o limitazioni quantitative
del diritto dei singoli condomini e si identificano
quindi con quelle aventi per oggetto
provvedimenti dellassemblea o dellamministratore
che, trascendendo dalla disciplina delle modalit
qualitative di uso del bene comune, incidono
sulla misura del godimento riconosciuto ai singoli
condomini. Alle sopraindicate categorie estranea invece
ogni controversia nella quale sia in discussione
lesistenza stessa del diritto del condomino a fruire
della cosa o del servizio comune, che resta attribuita
al giudice competente secondo gli ordinari criteri del
valore della causa. (Nella specie la S.C. adita in sede
di regolamento di competenza ex art. 43 c.p.c. ha dichiarata
la competenza del tribunale sulla domanda di
riduzione in pristino proposta da un condomino nei
confronti di altro condomino, che aveva chiuso una
parte del pianerottolo e di un bagno comuni con una
porta munita di chiave, fornita anche agli altri condomini,
rilevando che non veniva in contestazione luso
particolare e speciale del pianerottolo ma il diritto del
convenuto di appropriarsi dei suddetti beni comuni).
* Cass. civ., sez. II, 14 giugno 1996, n. 5467
Conforme, Cass. II, 15 ottobre 1994, n.
8431, la quale aveva ritenuto la competenza del conciliatore
per una controversia relativa alla legittimit di
una delibera dellassemblea dei condomini che aveva
vietato luso dellascensore per il trasporto di animali
domestici prevedendo, in caso di inosservanza, una
sanzione di lire diecimila. Conforme, altres, Cass. II,
23 aprile 1991, n. 4441, la quale aveva ritenuto la competenza
del conciliatore per una causa in cui si deduceva
che la disposta chiusura con transenne mobili recava
pregiudizio allesercizio del diritto su tali beni.
La competenza sulla domanda di sostituzione
della griglia di areazione della centrale comune
di riscaldamento, posta nella soglia di ingresso

delledificio condominiale, al fine di evitare inconvenienti


nel transito, va determinata in base al valore
perch non si configura una controversia sulle modalit
di uso del servizio condominiale (art. 8, n. 4
c.p.c.), n una controversia sulla misura dei servizi del
condominio (art. 7 comma secondo c.p.c.). * Cass.
civ., sez. II, 11 gennaio 1994, n. 223
La speciale competenza per materia [del pretore
ex art. 8, n. 4 c.p.c.] per le cause relative alla
misura dei servizi del condominio di case limitata
alle ipotesi in cui occorra regolare lutilizzazione
in senso materiale dei servizi e delle cose
comuni e non si estende, quindi, a quella in cui si
controverta sulla legittimit di opere incidenti
sulle cose comuni o sulle strutture destinate al
servizio comune, in modo da alterarne la funzionalit
e da danneggiarle, dovendo in questultimo caso,
trovare applicazione, invece, i normali criteri della
competenza ratione valoris. * Cass. civ., sez. II, 30
marzo 1995, n. 3802
La competenza per materia [del pretore] prevista
dallart. 8, comma 2, n. 4, c.p.c. riguarda le controversie
inerenti ai limiti quantitativi di una non contestata
facolt di uso di servizi e beni condominiali. Esulano,
pertanto, dalla predetta competenza per materia
le cause nelle quali si controverte sulla esistenza
stessa del diritto alluso del bene o del servizio
condominiale, allorch vi siano contestazioni in ordine
alla sussistenza dei coesistenti diritti dei condomini,
come la controversia circa il mutamento di destinazione
di uso dellimmobile ed il conseguente uso
dei beni condominiali, che resta, pertanto, assoggettata
agli ordinari criteri di competenza per valore per le
cause relative a beni immobili. * Cass. civ., sez. II, 20
luglio 1994, n. 6770
Nello stesso senso, Cass. II, 3 luglio 1998, n. 6491; Cass. II,
13 ottobre 1997, n. 9946.
Le cause aventi ad oggetto con la formazione
delle tabelle millesimali la ripartizione di spese
attinenti alluso e al godimento dei servizi condominiali
e dei beni comuni (nella specie spese di
spurgo della fossa biologica e di pozzetti) non rientrano
tra le controversie relative alle modalit di
uso e alla misura dei servizi condominiali [rispettivamente
di competenza del conciliatore (art. 7, capoverso,
c.p.c.) e del pretore (art. 8, n. 4, c.p.c.)] in
quanto la patrimonialit del thema decidendum prevale
sullaccertamento della misura e delle modalit delluso,
che costituisce soltanto un presupposto necessario
per la determinazione delle singole quote di spesa.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6936
La competenza per materia che gli artt. 7 e 8
c.p.c. attribuiscono al conciliatore ed al pretore
per le controversie concernenti rispettivamente
le modalit duso e la misura dei servizi del condominio
di case (che lart. 8, n. 2 attribuiva, prima
della modifica introdotta dallart. 1 della L. 30 luglio
1984, n. 399, al solo pretore) non si estende alle
controversie che abbiano ad oggetto il regolamento
dei rapporti economici tra i condomini derivanti
dalluso e godimento dei servizi e beni comuni
e nelle quali la patrimonialit del thema decidendum
prevale sullaccertamento delluso (misura e
modalit) il quale costituisce soltanto un presupposto

necessario per la determinazione delle singole quote di


spesa. (Nella specie, affermato il principio di cui in
massima, il S.C. ha dichiarato la competenza ratione
valoris del tribunale a conoscere di una controversia
concernente la determinazione della quota di spesa del
servizio di riscaldamento, posta a carico dei condomini
che non ne usufruivano). * Cass. civ., sez. II, 17
agosto 1990, n. 8329
La controversia nella quale lattore, deducendo
la turbativa del proprio diritto di propriet
sulla rampa e sullo Spazio di accesso e manovra
di un suo garage, chieda la cessazione del passaggio,
esercitato nei predetti luoghi dal convenuto
per accedere ad un locale di cui sia proprietario
(domanda che introduce unazione negatoria, ex
art. 949 c.c., diretta a far dichiarare linesistenza del
diritto di servit di passaggio invocato dalla controparte),
ed il convenuto spieghi domanda riconvenzionale
rivolta allaccertamento di tale servit, costituita
per contratto od acquisita per usucapione, ovvero alla
costituzione di una servit di passaggio coattiva, appartiene
alla competenza del tribunale, trattandosi
di causa concernente diritti reali immobiliari,
non gi a quella del conciliatore, non essendo
riferibile al semplice regolamento di uso di
unarea condominiale. * Cass. civ., sez. II, 22 novembre
1995, n. 12093
La competenza sulla domanda proposta dal
condominio per impedire ad uno dei condomini
loccupazione, con beni mobili (nella specie, sedie
e tavolini), dellarea comune antistante ledificio,
quando siano in discussione solo le modalit
delluso e non il diritto di comunione del condominio
o la misura delle relative facolt, appartiene al conciliatore,
cui riservata dallart. 7 comma 2 c.p.c., la
cognizione di tutte le cause relative alle modalit di
uso dei servizi e dei beni condominiali, e, cio, le controversie
sui limiti qualitativi di esercizio delle facolt
contenute nel diritto di comunione. * Cass. civ., sez.
II, 28 giugno 1995, n. 7295
La competenza del conciliatore sulle cause relative
alle modalit di uso dei servizi e dei beni condominiali
si estende non solo alle controversie tra i
condomini o tra il condominio ed il condomino,
ma anche a quelle che interessano soggetti diversi
dai partecipanti alla comunit condominiale,
legittimati, per altro titolo (quale, ad esempio, la
locazione di unit immobiliari delledificio), alluso
delle parti o dei servizi comuni. * Cass. civ., sez. II,
28 giugno 1995, n. 7295
Esula dalla competenza del giudice di pace
la domanda diretta a far affermare linesistenza
del potere di unassemblea condominiale di deliberare
in ordine alla recinzione di Spazio a verde,
alla destinazione di posti auto su parti condominiali,
nonch allassegnazione dei singoli posti auto a discrezione
dellamministratore. * Giud. pace Roma, 24
gennaio 1996
La disposizione dellart. 844 c.c., applicabile
anche negli edifici in condomino nellipotesi in cui un
condomino nel godimento della propria unit immobiliare
o delle parti comuni dia luogo ad immissioni
moleste o dannose nella propriet di altri condomini.

Nellapplicazione della norma deve aversi riguardo,


peraltro, per desumerne il criterio di valutazione
della normale tollerabilit delle immissioni, alla
peculiarit dei rapporti condominiali e alla destinazione
assegnata alledificio dalle disposizioni
urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. In
particolare, nel caso in cui il fabbricato non adempia
ad una funzione uniforme e le unit immobiliari siano
soggette a destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione
ed ad esercizio commerciale, il criterio dellutilit
sociale, cui informato lart. 844 citato,
impone di graduare le esigenze in rapporto alle
istanze di natura personale ed economica dei
condomini, privilegiando, alla luce dei principi
costituzionali (v. Cost., artt. 14, 31 e 47) le esigenze
personali di vita connesse allabitazione, rispetto alle
utilit meramente economiche inerenti allesercizio di
attivit commerciali. (Nella specie la Suprema Corte
ha confermato la decisione di merito la quale aveva
ordinato la rimozione dal muro perimetrale comune
di una canna fumaria collocata nella parte terminale
a breve distanza dalle finestre di alcuni condomini, destinata
a smaltire le esalazioni di fumo, calore e gli
odori prodotti dal forno di un esercizio commerciale
ubicato nel fabbricato condominiale). * Cass. civ., sez.
II, 15 marzo 1993, n. 3090
Il titolare di un diritto personale di godimento,
al quale pure non preclusa in astratto lesperibilit
dellazione inibitoria delle immissioni,
non legittimato a richiedere la cessazione delle
immissioni comportante la modificazione sostanziale
della conformazione dellimmobile da
cui le stesse si propagano, con conseguente diretta
incidenza sulloggetto e sullessenza del diritto immobiliare
del vicino, idonea a fare stato anche nei confronti
dei proprietari futuri, ossia di soggetti diversi
dagli attuali contendenti. * Cass. civ., sez. II, 22 dicembre
1995, n. 13069
Lart. 844 c.c., il quale riconosce al proprietario
il diritto di far cessare le propagazioni derivanti dal
fondo del vicino che superino la normale tollerabilit,
deve essere interpretato estensivamente, nel senso di
legittimare allazione anche il superficiario, lenfiteuta,
il titolare di usufrutto, di uso o di abitazione
e, inoltre, applicabile per analogia a chi sia
titolare di un diritto personale di godimento sul
fondo, come il conduttore ovvero il promissario di
vendita immobiliare che abbia ricevuto la consegna
del bene in anticipo rispetto alla conclusione del contratto
definitivo. In questultima ipotesi, peraltro, se
gli accorgimenti tecnici da adottare per ricondurre le
immissioni nei limiti della normale tollerabilit comportino
la necessit di modificazioni di strutture dellimmobile
da cui le propagazioni derivano, si deve
escludere che il titolare di diritto personale di godimento
sia legittimato a chiedere le modificazioni medesime,
salva restando la reclamabilit dindennizzo.
* Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1992, n. 12133
Nel caso di immissioni moleste eccedenti la
normale tollerabilit, di cui allart. 844 c.c., lalienazione
del fondo, verificatasi nel corso del giudizio diretto
ad ottenere il risarcimento dei danni, non spiega
alcuna influenza sulla legittimazione delloriginario
proprietario a proseguire tale giudizio, almeno
limitatamente ai danni prodotti allimmobile

prima del suo trasferimento, sempre che non risulti


che sia stato ceduto allacquirente anche il diritto di
credito al ristoro dei danni stessi. * Cass. civ., sez. I,
29 novembre 1999, n. 13334
In ordine alla domanda con la quale il proprietario
di un fondo agisca, ai sensi degli artt. 844 e 2043 c.c.,
per ottenere la cessazione di intollerabili immissioni ed
il risarcimento dei conseguenti danni, va riconosciuta
la legittimazione passiva del proprietario del fondo
da cui provengono le immissioni stesse, ancorch
queste ultime derivino solo dalle particolari modalit di
uso del fondo da parte del conduttore del medesimo.
Anche in tale ipotesi, infatti, configurabile una responsabilit
del proprietario, ove si deduca e risulti che leccedenza
delle immissioni, rispetto ai limiti legali, sia imputabile
a colpa e fatto del proprietario stesso, per aver
concesso in locazione limmobile con la consapevolezza
di una sua destinazione ad attivit di per s molesta ai
vicini (nella specie, deposito e lavorazione di rottami), e
per nulla aver fatto per impedire al conduttore di provocare
le intollerabili immissioni. * Cass. civ., sez. II, 21
maggio 1976, n. 1833.
Lart. 844 c.c. impone, nei limiti della normale
tollerabilit e delleventuale contemperamento delle
esigenze della produzione con le ragioni della propriet,
lobbligo di sopportazione delle propagazioni
inevitabili determinate dalluso delle propriet attuato
nel contesto delle norme generali e speciali
che ne disciplinano lesercizio. Al di fuori di tali
limiti, si in presenza di unattivit illegittima, di
fronte alla quale non ha ragion dessere limposizione
di un sacrificio allaltrui diritto di propriet o di godimento
e non sono quindi applicabili i criteri dettati
dallart. 844 c.c. ma, venendo in considerazione, in tali
ipotesi, unicamente lillecit del fatto generatore del
danno arrecato a terzi, si rientra nello schema generale
dellazione di risarcimento dei danni ex art. 2043
c.c. che pu essere proposta anche cumulativamente
con lazione ex art. 844 c.c. * Cass. civ., sez. II, 6 dicembre
2000, n. 15509
Lazione prevista dallart. 844 c.c. per far
cessare le immissioni provenienti dal fondo vicino
che eccedano la normale tollerabilit compete
non solo al proprietario o al titolare di un diritto
reale di godimento che abbia il possesso del fondo
oggetto di immissioni moleste, ma anche,
analogicamente ex art. 12 prel., al conduttore (v.
art. 1585 comma secondo c.c.), stante lidentit della
ragione di tutela sottesa alle due situazioni. * Cass.
civ., sez. II, 21 febbraio 1994, n. 1653
Nello stesso senso, Cass. II, 1 dicembre
2000, n. 15392, che aggiunge: ... quando soltanto
a costui (il locatario) debba essere imposto un
facere o un non facere, suscettibili di esecuzione forzata
in caso di diniego.
f) Circolazione stradale.
Il danno provocato al veicolo di propriet di
persona diversa dal conducente dalla condotta di
questi che lo guidi su incarico del predetto proprietario,
risarcibile non ai sensi dellart. 2054 c.c., bens ai
sensi dellart. 2043 c.c.; tuttavia, trattandosi di danno
prodotto dalla circolazione di un veicolo, leventuale
domanda risarcitoria deve essere in ogni caso conosciuta

dal giudice di pace. * Cass. civ., sez. III, 23 gennaio


2002, n. 746
La competenza per materia con un limite di
valore, che lart. 7, comma secondo, c.p.c. attribuisce
al giudice di pace per le cause di risarcimento
del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e
natanti, non si esaurisce nelle ipotesi contemplate
dallart. 2054 c.c. ma concerne anche i casi che,
pur non essendo suscettibili di essere disciplinati da
tale articolo, tuttavia rientrano nella nozione di fatti
illeciti prodotti dalla circolazione stradale di veicoli. *
Cass. civ., sez. III, 11 dicembre 2000, n. 15573
La disciplina dellart. 7, secondo comma, c.p.c.
che prevede la competenza del giudice di pace per le
cause di risarcimento del danno derivante dalla circolazione
di veicoli e natanti, purch il valore della controversia
non superi trenta milioni di lire, attiene a
materia che non suscettibile di interpretazione
estensiva od analogica, per essere stato previsto
uno specifico nesso causale tra il fatto della circolazione
stradale ed il danno, nel senso che il primo elemento
deve essere causa efficiente del secondo e non costituirne,
invece, semplice occasione come nel caso in cui
questultimo trovi la sua causa nella c.d. insidia stradale.
* Cass. civ., sez. III, ord. 11 ottobre 2002, n.
14564,
g) Opposizioni allesecuzione.
In materia di procedimento civile esecutivo, in
caso di opposizione allesecuzione gi iniziata, il giudice
(nel caso, il giudice di pace) individuato come
competente per valore ai sensi del combinato disposto
di cui agli artt. 615 e 17 c.p.c., competente a decidere
anche il merito della controversia; in quanto giudice
dellopposizione e non dellesecuzione, esso viceversa
incompetente a decidere le domande di assegnazione
e di restituzione. * Cass. civ., sez. III, 20 settembre
2002, n. 13757
Le violazioni di norme generali sulla propriet e sul condominio, ovvero la violazione del regolamento
condominiale, poste in essere dai singoli condomini con attivit ed iniziative indipendenti (anche se analoghe) e
che arrechino separati vantaggi agli immobili dei trasgressori violando i diritti degli altri condomini, pongono in
essere rapporti giuridici distinti tra gli autori degli illeciti, da un lato, e il condominio e gli altri condomini dall'altro, i
quali, ove dedotti in un medesimo giudizio, danno luogo pur sempre a cause scindibili, non sussistendo un
rapporto unico e indivisibile, tale che il giudice non possa conoscere utilmente della posizione di uno separa
tamente dalla posizione degli altri.
Ne consegue che, in un procedimento iniziato e proseguito in appello solo da alcuni condomini nei confronti dei
supposti autori dei fatti lesivi, non necessario integrare il contraddittorio nel caso in cui solo alcuni dei predetti
convenuti, rimasti soccombenti in appello, propongano ricorso in cassazione, poich, in ragione della richiamata
autonomia dei rapporti, non si versa in un'ipotesi di litisconsorzio necessario.
Corte di Cassazione, sez. Il, 16 febbraio 2004, n. 2943
Il condominio di edifici si costituisce ipso iure nel momento in cui si realizza il frazionamento dell' edificio da
parte dell 'unico originario proprietario pro indiviso, con la vendita in propriet esclusiva, ad uno o pi soggetti
diversi, di piani o porzioni di piano.
Da quel momento in poi sussiste la legittimazione atti va del condominio, e per esso del suo amministratore, in
tutte le controversie che abbiano ad oggetto la rivendica di parti comuni.
Corte di cassazione, sez. II, 19/02/2004 n. 3257
DIA
Il T.U. per l'edilizia ha espressamente collocato allo scadere del
trentesimo giorno dalla notificazione della D.I.A. il termine dopo il
quale l'interessato pu iniziare i lavori e il termine ultimo entro il
quale la P.A. pu inibire l'inizio delle opere, precisando che con la nuova disciplina i due termini in
questione sono stati unificati, ampliando quello relativo all'inizio dei
lavori e dimezzando quello relativo all'adozione di eventuali misure
inibitorie preventive. Consiglio di Stato, con la sentenza n. 308 del 29

gennaio 2004
OBBLIGO DI ADEMPIERE AL PAGAMENTO DELLE SPESE
L'obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di
manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva non dalla preventiva
approvazione della spesa e della ripartizione della stessa, ma dalla
concreta attuazione dell'attivit di manutenzione e sorge, quindi, per
effetto dell'attivit gestionale concretamente compiuta e non per effetto
dell'autorizzazione accordata all'amministrazione per il compimento di una
determinata attivit di gestione ( nella specie avendo il condomino
ammesso di non avere pagato le quote richieste e non contestato il loro
ammontare, stata ritenuta superflua e priva di fondamento ogni altra
questione, ivi compresa quella concernente la nullit delle deliberazioni
assembleari poste a fondamento del decreto ingiuntivo emanato nei suoi
confronti).
COMPETENZA DELLE SPESE GIUDIZIARIE DI REVOCA DELL'AMMINISTRATORE
CONDOMINIALE
Il procedimento di nomina o di revoca dellAmministratore di condominio,
anche quando si inserisce in una situazione di conflitto tra i condomini o
tra alcuni condomini e lAmministratore, ha natura di procedimento di
volontaria giurisdizione e, pertanto, si sottrae all'applicabilit delle
regole dettate dagli Artt. 91 e segg. C.P.C. in materia di spese
processuali, le quali postulano l'identificabilit di una parte vittoriosa
e di una parte soccombente in esito alla definizione di un conflitto di
tipo contenzioso. Ne consegue che le spese relative al procedimento in
oggetto devono rimanere a carico del soggetto che le abbia anticipate
assumendo l'iniziativa giudiziaria e interloquendo nel procedimento. Suprema Corte sez.II sentenza 20/03/2001 n. 3706
PER LE ABITAZIONI NESSUN CONTROLLO DELL'ACQUA AL RUBINETTO
I proprietari di abitazioni (o, nei condominii, gli amministratori
condominiali) non hanno alcun obbligo di effettuare controlli sulla
salubrit dell'acqua al rubinetto. Il controllo in questione deve essere
effettuato solo per gli edifici e le strutture in cui l'acqua viene
fornita al pubblico. E' quanto afferma il Ministero della salute in una
nota che conferma la tesi a rettifica di erronee informazioni
Il Ministero fa presente che, qualora si verificassero situazioni critiche
relative agli impianti o inconvenienti igienici nella distribuzione
d'acqua, gli interessati possono rivolgersi alle aziende ASL per far
effettuare i dovuti controlli analitici.
CONTABILIT CONDOMINIALE DEVE ESSERE ESATTA MA NON RICHIEDE FORMALIT
SOCIETARIE
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1544 del 28 gennaio 2004, torna
nuovamente su alcuni interessanti aspetti relativi alla materia
condominiale, confermando gli orientamenti espressi dalla precedente
giurisprudenza di legittimit. In particolare la Corte statuisce che:
- La contabilit di un condominio deve essere improntata a semplicit di
forme senza il rispetto delle formalit prescritte dal codice per i
bilanci societari, assumendo rilievo solo lesattezza delle poste attive e
passive iscritte nel rendiconto. Lomissione o la mancata precisazione del
documento di bilancio dei nomi dei singoli condomini morosi, del tutto
ininfluente sulla legittimit della delibera di approvazione dello stesso,
non potendosi individuare una irregolarit neppure formale del bilancio in
relazione alla denunciata omissione.( cfr. Cass. 29 aprile 1981, n. 2625,
in Massimario della Giurisprudenza italiana, 1981; Cass. 7 ottobre 1982,
n. 5150, in Archivio delle locazioni, 1982, 644; Cass., 25 maggio 1984,
n.3231, in Rivista giuridica delledilizia, 1984, I, 620; Cass., 30
dicembre 1997, n.13100, in Rivista giuridica delledilizia, 1998, I, 306,
nota di DE TILLA; Cass., 13 ottobre 1999, n. 11526, in Vita notarile,
1999, 1377)
La fattispecie prevista dall'art. 677 cod. pen. (omissione di lavori in edifici o costruzioni che minacciano rovina)
configura un reato proprio che pu essere commesso soltanto dal proprietario dell'edificio o dal non proprietario
che, per legge o per convenzione, sia obbligato alla conservazione o alla vigilanza del medesimo.
Ne consegue che il conduttore dell'appartamento sito nell'edificio non destinatario, in quanto tale, del precetto
di cui al citato articolo, atteso che, a norma dell'art. 1576 cod. civ., tutte le riparazioni necessarie per il
mantenimento della cosa locata sono a carico del locatore e non gi del conduttore e che costui ha solo l'onere,
secondo quanto dispone l'art. 1583 stesso codice, di non opporsi alla loro esecuzione.
Corte Cass., Sez. I, Sent. N. 41709 del 12.12.2002
Supercondominio: Riuniti i ricorsi, la Corte deve accogliere il ricorso principale e dichiarare inammissibile il

ricorso incidentale, rimettere la causa ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma, che decider attenendosi
al principio di diritto secondo cui, essendo gli edifici costituiti in altrettanti condominii, legati tra loro, tramite la
relazione di accessorio a principale a talune cose, impianti e servizi comuni (quali il viale d'accesso, le zone
verdi, l'impianto di illuminazione, la guardiola del portiere, il servizio di portierato, etc.), a queste cose, impianti e
servizi si applicano le norme sul condominio negli edifici.
Corte di Cassazione sentenza n. 9096 depositata
in data 7 luglio 2000.
Il provvedimento di assegnazione della casa familiare, secondo lespresso dettato normativo, statuito a favore
del coniuge affidatario dei figli, valutando in ogni caso le condizioni economiche delle parti e considerando la
posizione del cd coniuge debole. Se invece non c affidamento e/o convivenza di prole con il coniuge
richiedente lassegnazione, detto provvedimento non giuridicamente giustificabile in quanto non c previsione
legislativa ad hoc. Il che significa che le parti dovranno necessariamente regolare i loro rapporti concernenti la
casa coniugale in sede di giudizio ordinario avente per oggetto azione per diritti reali. N possibile far rientrare
nella determinazione dellassegno divorzile una prestazione in natura quale sarebbe lassegnazione della casa
coniugale, visto che per legge la determinazione di tale assegno deve corrispondere ad una precisa entit
monetaria tra laltro aggiornabile e quindi rivedibile. (Tribunale Civile di Nola - Prima Sezione Civile, Sentenza 23
giugno 2004: Divorzio contenzioso - Assegnazione casa coniugale - Presupposto dell'esistenza di figli minorenni
o maggiorenni - Necessit).
Non concesso allinquilino o al condomino, che abbia difficolt a trovare parcheggio sotto casa, crearsi
autonomamente un parcheggio esclusivo occupando il suolo pubblico ed impedendo quindi ad estranei la sosta.
Un tale comportamento porta agli estremi del reato di invasione di suolo pubblico (comunale).
Il giudice, con tale decisione, ha stabilito che deve essere rispettata la destinazione pubblica del suolo.
Cassazione Sez. II Penale, N 13287 del 20/12/2000
Il conduttore dellimmobile custode del bene oggetto della locazione.
Tale custodia, con la conseguente responsabilit per eventuali danni, non si estende a tutte quelle cose che non
entrano nella disponibilit del conduttore, quali ad esempio le strutture murarie e gli impianti in esse contenuti.
Linquilino, pertanto, non avendo alcuna possibilit di intervento, non responsabile dei danni accorsi agli
impianti idrici e sanitari, per riparare i quali necessario intervenire sulle opere murarie. Cassazione Sez. III,
N 6385 del 1/4/04
Il reato di omissione di lavori in edificio o costruzioni che minacciano rovina si configura solo nei confronti del
proprietario, o di colui che per legge o convenzione sia obbligato alla conservazione e vigilanza delledificio
stesso.
Pertanto, non potr farsi ricadere sullinquilino di un appartamento, allinterno delledificio, il mancato
svolgimento dei lavori.
Tutte le riparazioni necessarie alla conservazione della cosa, infatti, sono a carico del proprietario ed il
conduttore ha solo lobbligo di non opporsi allesecuzione di dette opere. Cassazione Sez. I, N 41709 del
12/12/2002
A norma del codice civile il conduttore che intenda riconsegnare limmobile al locatore, deve effettuarlo con una
formale offerta, cos come prevista dagli artt. 1209 e 1216 c.c.
La Corte ha comunque precisato che legittimo lutilizzo di altre modalit da parte dellinquilino purch serie,
concrete e tempestive che hanno valore di offerta reale non formale.
Ladozione da parte del conduttore di modalit alternative di offerta di riconsegna dellimmobile, pur se idonea ad
evitare la mora dellinquilino nella riconsegna, non per sufficiente per la costituzione in mora del proprietario
che si rifiuti, adducendo legittimi motivi dimostrabili, di ricevere limmobile. Cassazione N 7776 del 23/4/04
Qualora vi sia anche solo una parziale inagibilit di alcuni locali dellimmobile locato, ed il proprietario agisca nei
confronti dellinquilino per il mancato pagamento dei canoni, linquilino potr chiedere al giudice una riduzione
del canone, sulla base della minore utilit che lo stesso riceve dalla locazione dellappartamento.
Le condizioni di inagibilit di alcuni locali non permettono, infatti, un pieno godimento dellimmobile; ci da diritto
ad una riduzione del canone. Cassazione N 3991 del 27/02/2004
Se nel condominio ci sono locali (box, cantine, etc.) ai quali non giunge il servizio comune di riscaldamento
centralizzato, i proprietari di tali unit non sono contitolari dellimpianto.
Pertanto, non essendo loro attribuita in comunione la propriet del riscaldamento centralizzato, le spese di
conservazione non possono ricadere su di loro. Cassazione Sez. II, N 1420 del 27/01/2004
In tema di lastrico ad uso esclusivo di un condomino, le spese per la riparazione o ricostruzione del lastrico
possono essere ripartite, con gli altri condomini, solo se si riferiscono alle componenti essenziali della struttura;
ovvero ad opere murarie o di impermeabilizzazione, e che effettivamente svolgono funzioni di protezione e
copertura.
Sono invece interamente a carico del condomino, che utilizza in modo esclusivo il lastrico, le spese sostenute
per consentirne un migliore utilizzo (muretti, pavimenti, etc.), salvo che la demolizione di queste parti sia
necessaria per interventi di ricostruzione del lastrico vero e proprio. Cassazione Sez. II, N 735 del 19/01/2004
Il proprietario che concede in locazione i locali ad extracomunitari non muniti di permesso di soggiorno, non
commette il reato previsto dallart. 5 del Dlgs. 286/98; ovvero di favoreggiamento della permanenza di stranieri
in condizioni di illegalit.
A tal fine per necessario che il locatore non percepisca un ingiusto vantaggio a causa della condizione di
illegalit dei suoi inquilini; non potr quindi richiedere agli stranieri, privi di permesso di soggiorno, un canone
superiore rispetto a quello richiesto per gli extracomunitari con regolare permesso. Cassazione N 46070 del

28/11/2003
Ciascun condomino ha il diritto di esaminare, preventivamente, tutta la documentazione relativa agli argomenti
posti allordine del giorno di una successiva assemblea condominiale.
La mancata visione di tali documenti o per un tempo non adeguato, incide sulla formazione della volont
assembleare; non avendo il condomino una conoscenza completa dei documenti, non potr esprimere a pieno il
suo parere e non potr influenzare lorientamento degli altri condomini.
Pertanto, la violazione di tale diritto determina lannullabilit della delibera assembleare approvata, in quanto
risulta viziato il procedimento di formazione della volont assembleare. Cassazione Sez. II, N 13350 del
11/9/2003
La Suprema Corte ha stabilito che in caso di vendita, le spese per la conservazione delle parti comuni
delledificio, sono a carico di colui che condomino nel momento in cui nata la necessit di eseguire le relative
opere, e non nel momento in cui vi sia una deliberazione di approvazione da parte dellassemblea condominiale
(che potrebbe essere successiva alla vendita). Cassazione N 6323 del 18/4/2003
Lobbligo di ciascun condomino di contribuire per il pagamento delle spese condominiali sorge solo a seguito di
delibera di approvazione delle spese da parte dellassemblea condominiale. Pertanto, in caso di vendita
dellimmobile, obbligato al pagamento degli oneri condominiali colui che risulta essere proprietario al momento
in cui lassemblea delibera. Il nuovo condomino pagher quindi solo le spese deliberate per i lavori fatti dal
momento in cui diventato proprietario. Cassazione Sez. III, N 10370 del 17/7/02
Negli edifici in condominio, qualora vi sia pericolo di rovina di parti comuni delledificio, spetta allamministratore
provvedere a rimuovere il pericolo. Lart. 677 c.p. stabilisce, infatti, che tale obbligo incombe, oltre che al
proprietario, anche a colui che tenuto alla conservazione o alla vigilanza delledificio (amministratore), il quale
potr adottare anche provvedimenti urgenti con lobbligo di riferirne allassemblea dei condomini. Cassazione
Sez I n. 9027 del 25/02/03
Per una regolare convocazione dellassemblea, lamministratore deve adoperarsi per rintracciare tutti i
condomini, compresi quelli che abbiano cambiato indirizzo. Cassazione Sez. II, N 634 del 17/1/2003
Qualora venga appaltato ad una societ lo svolgimento di lavori condominiali, la successiva ed eventuale azione
di risarcimento danni, derivante dalla non corretta esecuzione delle opere, pu essere promossa da ogni singolo
condomino.
Non costituisce, infatti, ostacolo allazione da parte del condomino il fatto che il contratto dappalto sia stato
stipulato dallamministratore. Cassazione Sez. II, N 631 del 17/1/2003
Le deliberazioni dellassemblea condominiale possono essere nulle o annullabili. Sono nulle quelle con le quali
si delibera su un oggetto impossibile o illecito, o comunque quelle su materie che non sono di competenza
dellassemblea. Viceversa, sono annullabili le deliberazioni adottate violando norme di legge o del regolamento
di condominio. Cassazione Sez.II , N16485 del 22/11/02
Lamministratore a fine mandato, o a seguito di revoca da parte dellassemblea, rimane in carica fino alla nomina
del nuovo amministratore. Questo principio generale, non trova applicazione qualora vi sia una delibera
condominiale o una norma del regolamento condominiale, che esprimano una diversa e contraria volont
dellassemblea; in tal caso lamministratore non potr, neanche in via provvisoria, continuare nel suo mandato.
La Suprema Corte precisa inoltre che, la scadenza del mandato dellamministratore o la sua revoca, senza che
lassemblea provveda a nominarne un altro, comporta la responsabilit civile, amministrativa e penale di tutti i
condomini per eventuali violazioni di legge.
Cassazione N 15858 del 12/11/02
Linsufficiente erogazione del servizio di riscaldamento centralizzato obbliga, comunque, il condomino al
pagamento delle spese condominiali, per la conservazione dellimpianto e per il godimento del servizio comune.
Il condomino qualora dimostri di aver sostenuto spese (es. acquisto di condizionatori) per assicurarsi un
adeguato riscaldamento, avr diritto, oltre al risarcimento dei danni, al rimborso delle spese sostenute.
Cassazione N 12596 del 28/08/02
Nella vigenza della legge 392/78, la clausola contrattuale che obbliga il conduttore alla scadenza del contratto
ad eliminare il deterioramento dellimmobile avvenuto per il normale uso, nulla, ai sensi dellart. 79 L. 392/78,
in quanto con tale clausola si attribuisce al locatore un vantaggio ulteriore rispetto al solo canone. Nel caso
sottoposto allesame della Corte, il locatore richiedeva al conduttore la tinteggiatura delle pareti. La Corte ha
quindi stabilito che le spese per il lavoro di tinteggiatura sono a carico del locatore. Cassazione Sez. III, N
11703 del 5/8/02
Il conduttore, al momento del rilascio dellimmobile, non tenuto ad effettuare le opere di piccola manutenzione,
quando la necessit di dette riparazioni derivi da uso normale del bene, in conformit del contratto di locazione.
Cassazione Sez. III N10566 del 19/7/02
Qualora allordine del giorno dellassemblea condominiale vi sia la conferma o meno dellamministratore in
carica, lesame e lapprovazione del bilancio consuntivo, lamministratore, non pu votare in qualit di delegato
di un condomino se nella delega il condomino stesso, non abbia espresso la sua volont circa il voto da
esprimere in assemblea e abbia quindi lasciato la massima facolt di espressione di voto allamministratore. In
tali casi lamministratore non potr votare neanche con la delega, in quanto si trova in una situazione di conflitto
di interessi; perch le decisioni da prendere, infatti, riguardano proprio il suo operato. Cassazione Sez. III, N
10683, del 22/7/02
Le clausole dei regolamenti condominiali che limitino i diritti dei condomini sulle propriet esclusive o comuni o,
viceversa, attribuiscono maggiori diritti ad alcuni rispetto ad altri condomini, sono modificabili solo con
lunanimit dei consensi dei vari condomini; il consenso deve essere espresso per iscritto.
E invece sufficiente la maggioranza (51% degli intervenuti allassemblea e che rappresentino almeno il 50% del
valore delledificio) dei condomini per le modifiche delle clausole che regolano luso delle cose comuni.

Cassazione Sez. II, N 5626 del 18/04/02


In un Supercondominio, lassemblea, perch possa aversi una valida costituzione e quindi una corretta delibera,
deve essere composta da tutti i diversi comproprietari degli edifici che compongono il Supercondominio. La
Corte ha dichiarato nulla una norma del regolamento contrattuale di condominio che prevedeva che lassemblea
di un Supercondominio fosse composta dagli amministratori dei singoli condomini, o da singoli condomini,
delegati a partecipare in rappresentanza di ciascun condominio. Pertanto, non sono derogabili e non possono
subire eccezioni le norme sulla composizione e sul funzionamento dellassemblea. Cassazione Sez. II, N15476
del 6/12/01
I criteri e le modalit di ripartizione delle spese condominiali previsti dallart. 1123 c.c. non possono essere
utilizzati per ripartire tra i vari condomini limporto della tassa di smaltimento rifiuti.
Per tale suddivisione dovranno essere utilizzati i criteri stabiliti dallente impositore (Regione). Non si tratta infatti
di spese di manutenzione, gestione delle parti e servizi condominiali, ma di oneri relativi ai singoli immobili e
quindi ai singoli condomini, ognuno indipendentemente dallaltro. Cassazione N 15131 del 28/11/2001
Negli edifici condominiali lobbligo giuridico di eliminare il pericolo, derivante dalla imminente o avvenuta rovina
di parti comuni della costruzione, grava sullamministratore.
Solo qualora, per cause non dipendenti dalla sua volont, lamministratore non possa provvedere con la
necessaria urgenza, lobbligo incombe sui singoli condomini. Cassazione Sez. I, N 19678 del 15/05/2001
L'inquilino di un immobile, parte di un edificio condominiale, in virt del contratto di locazione da lui stipulato, ha
lo stesso diritto del proprietario di utilizzare le parti comuni del condominio, sempre nel rispetto delle regole, dei
principi e dei limiti posti dal Codice civile nell'utilizzo della cosa comune (art. 1102 C.c.) Cassazione Sez. II, N
2998 del 1/3/2001
Alle spese per la pulizia delle scale i condomini sono tenuti a contribuire in relazione all'uso che ciascuno di
essi pu fare della parte comune. L'Assemblea di Condominio pu a tal fine approvare con la maggioranza
prevista dall'art 1136 C.C. le modifiche riguardanti i criteri di ripartizione avendo questi natura regolamentare.
Cassazione n. 971 del 24/01/01
La terrazza a livello destinata a dare un affaccio e ulteriori comodit allappartamento cui collegata e del
quale rappresenta una proiezione verso lesterno. Solo quando assolve anche la funzione di copertura
delledificio pu essere equiparata al lastrico solare e in questo caso si potr richiedere al condominio la
ripartizione delle spese di ristrutturazione. Cassazione N 16067 depositata in data 21/12/2000
In assemblea di condominio, se tra i condomini vi sono usufruttuari, questi potranno ripartire con i nudi
proprietari le spese condominiali in base alla loro natura analitica esposta in assemblea. Cassazione Sez. III n.
15010 del 21/11/2000
In mancanza di un titolo che consenta di determinare la propriet del bene, si presume la comunione del bene
qualora esso per le sue caratteristiche considerato utilizzabile da tutti i condomini. Tale principio valido
anche nel caso di un vano sottotetto utilizzato da protezione dell'appartamento dell'ultimo piano. Cassazione
Sez III n. 14160 del 27/10/2000
Sono nulle le delibere assembleari condominiali avente un oggetto impossibile o illecito, ossia quelle con cui
l'assemblea abbia deciso su materie che non rientrano nella sua competenza, ossia violando diritti individuali dei
singoli..Sono invece annullabili tutte le altre deliberazioni che siano "contrarie alla legge o al regolamento di
condominio", in particolare quelle adottate senza rispettare il procedimento stabilito dalla legge o le norme
relative alla convocazione dell'assemblea e alla formazione della volont dell'assemblea (es.norme che
stabiliscono determinate maggioranze). Cassazione Sez III n. 13013 del 2/10/2000
In materia di condominio negli edifici, l'istallazione da parte di un condomino di una canna fumaria, le cui spese
vengono sopportate dallo stesso condomino, legittima purch tale opera rispetti le seguenti condizioni: non
ostacoli l'uso della cosa comune; non comporti rischi per la sicurezza e la stabilit dell'edificio; non ne alteri il
decoro archittettonico. Cassazione n. 6341 del 16/05/2000
La trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura
a mezzo di istallazione di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, non costituisce ne intervento di
manutenzione straordinarie, ne di restauro, ma opera soggetta a concessione edilizia. Cassazione N 3875 del
27/3/2000
Se la convocazione dell'assemblea condominiale non indica il luogo della riunione, e lo stesso diverso da
quello solitamente usato, l'assemblea condominiale nulla. L'amministratore di condominio ha infatti il potere di
scegliere la sede pi opportuna, a patto che sia all'interno dei confini della citt dove ubicato, e che il luogo
risulti idoneo a consentire a tutti di partecipare alla discussione. Cassazione Sez. III n. 14461 del 22/12/1999
Il proprietario di un immobile, inseito in un condominio non pu precludere l'accesso alla propret comune (il
vano di accesso all'argano di un'ascensore), anche se nell'atto di vendita stato concesso in "uso esclusivo".
Infatti, se pur al proprietario dell'appartamento spetta l'uso esclusivo della parte, rimane comunque di propriet
comune e dunque accessibile. Cassazione Sez. III n. 13200 del 26/11/1999
Gli inquilini che subiscono furti domestici da parte dei ladri entrati nelle abitazioni attraverso ponteggi e
impalcature installati sull'edificio, messi dalla propriet per lavori edilizi, devono essere risarcititi del danno
subito, dai proprietari dell'immobile e dalle imprese edili che non hanno adottato idonee misure antifurto come
allarmi, luci, steccati etc. Cassazione Sez. II n. 5775 del 10/06/1998
E' lecita la rinuncia al riscaldamento condominiale da parte di un singolo inquilino, se egli dimostra che dal suo
operato non scaturiscono n aggravi di spese per coloro che continuano ad utilizzare l'impianto centralizzato, n
squilibri tecnici nell'erogazione del servizio. Cassazione Sez. II n. 1775 del 20/02/1998
La facciata di un edificio rientra nell'ambito dei muri maestri e quindi costituisce una delle strutture essenziali che

garantisce l'esistenza dello stabile considerato. Quindi le spese di manutenzione previste devono essere ripartite
dai relativi titolari, in misura proporzionale al valore delle rispettive propriet. Cassazione Sez. II n. 945 del
28/01/1998
Il proprietario o il condomino non pu opporsi allinstallazione di antenne e al passaggio di condutture o di altro
impianto nellimmobile di sua propriet, senza diritto di indennit, quando si tratti di soddisfare la richiesta di
utenza di un inquilino o di un condomino dello stesso stabile, questo non dovuto quando tale richiesta
provenga da un inquilino o condomino di altro edificio, sia pure vicino o confinante. Il diritto di installare
unantenna compete quindi anche allinquilino e ricomprende tutte quelle attivit che sono necessarie per la
messa in opera, compreso il diritto di accedere temporaneamente nella propriet altrui. Cassazione Sez. II, N
12134 del 1/12/97
La sospensione dei termini processuali, dal 1 agosto al 15 settembre di ciascun anno, deve applicarsi anche
nei confronti del termine di 30 giorni previsto dall'art. 1137 c.c. in materia di impugnazioni di delibere
condominiali.
La Corte Costituzionale ha infatti, con tale pronuncia, stabilito l'illegittimit costituzionale dell'art. 1 della L.
742/69, nella parte in cui non estende anche nei confronti delle impugnazioni delle delibere condominiali, la
sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. Cassazione n. 49 del 2/2/1990
E' imprescrittibile, perch diretta alla tutela del diritto di compropriet, l'azione con cui i comproprietari di un
cortile - utilizzato dalla convenuta come parcheggio lamentino la violazione della destinazione dello spazio
comune, che - secondo la norma del regolamento condominiale di natura contrattuale - debba essere lasciato
libero e sgombro, attesa la natura di vincolo di natura reale - assimilabile a un onere reale o a una servit
reciproca - e non semplicemente obbligatoria della destinazione impressa dalla norma regolamentare.
Corte di Cassazione, sez. II, 4 febbraio 2004, n. 2106
E' stata approvata in via definitiva dall'Aula della Camera dei Deputati all'unanimit, nella seduta del 21 luglio
2004, la proposta di legge sulla tutela degli acquirenti di immobili vittime di fallimenti immobiliari. Si tratta di un
provvedimento che si ispira al principio sancito dalla Costituzione di salvaguardia del risparmio familiare per
lacquisto della casa. La legge delega il Governo ad emanare entro sei mesi una normativa che dia una specifica
tutela a quanti abbiano acquistato un immobile in costruzione, nell'ipotesi di intervenuto fallimento del
costruttore. In particolare, il provvedimento, prevede: 1) listituzione di un fondo di solidariet per rimborsare
almeno parzialmente i cittadini che sono rimasti vittime di fallimenti da almeno cinque anni dallentrata in vigore
della legge; 2) lintroduzione di una sorta di Rc casa che consiste nella fideiussione a carico dei costruttori che
consente agli acquirenti in caso di fallimenti di recuperare i soldi investiti. (Legge: Delega al Governo per la
tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire).
Le delibere delle assemblee di condominio aventi ad oggetto la ripartizione delle spese comuni, con le quali si
deroga una tantum ai criteri legali di ripartizione delle spese medesime, ove adottate senza il consenso unanime
dei condomini, sono nulle. (Nella specie, si trattava di una delibera assunta a maggioranza, relativa alla
ripartizione tra condomini in parti uguali, e non in base ai millesimi, della spesa relativa all'adeguamento
dell'impianto elettrico alla normativa in tema di sicurezza ed alla automazione del portone). La delibera
condominiale che deroga ai criteri legali o convenzionali di ripartizione delle spese, o che non sia approvata
all'unanimit (articolo 1123 Cc) sempre nulla; viceversa annullabile (e pertanto soggetta a impugnazione a
pena di decadenza entro 30 giorni, ex articolo 1137 ultimo comma, c.c.) solo la delibera che, in forza dell'articolo
1135, n.3 c.c ripartisce in concreto tali spese, violando i criteri prestabiliti, ma senza aver espressamente o
implicitamente inteso derogarvi. Cassazione Sez. II del 27/10/00 n. 2301 e 12/2/01 n.2001
Parte di sentenza lastrico solare: "......Pertanto, secondo il sistema normativo vigente la clausola che ponga a
carico dell'utente o proprietario esclusivo del lastrico solare, genericamente le spese di "manutenzione" ha una
sua ragion d'essere, anche ove riferita alle spese di sola manutenzione ordinaria, semprech attinenti anche alla
funzione di copertura del lastrico, riversando tale clausola a carico dell'utente o proprietario esclusivo, l'intero
onere di tali spese e non il semplice terzo, come previsto dall'art. 1126 c.civ. .....".
Cassazione Sez. II
SENTENZA 25-02-2002 n. 2726
L'assemblea del condominio non pu deliberare sulle spese fiscali relative all'acquisto del diritto sui beni comuni
e che non riguardino la loro gestione.
Lo ha stabilito la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione affermando che i rapporti tributari si
instaurano tra l'amministrazione finanziaria ed i singoli condomini, per cui l'assemblea non pu deliberare e
ripartire tra i condomini i tributi dovuti dai singoli per l'acquisto di beni destinati al servizio comune anche se tali
beni appartengono in comune a tutti i condomini.
Suprema Corte di cassazione, Sezione Seconda Civile, sentenza n.9463/04
"L'errore che giustifica la revisione delle tabelle millesimali non coincide con l'errore vizio del consenso,
disciplinato dagli articoli 1428 e seguenti c.c., ma consiste nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle
singole unit immobiliari e il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle, senza che in proposito rilevi il
carattere negoziale della formazione delle stesse" Cass., sez.II civ. 27 marzo 2001,n.4421 (conf. Cass. sez.II
civ. 28 marzo 2001, n.4528)
ACQUA
In tema di condominio negli edifici le parti dell'edificio - muri e tetti (art. 1117 n. 1 c. c.) - ovvero le opere ed i
manufatti - fognature, canali di scarico e simili (art. 1117 n. 3 c. c.) - deputati a preservare l'edificio condominiale
dagli agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le
cose comuni, le spese per la cui conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al
valore delle singole propriet esclusive ai sensi della prima parte dell'art. 1123 c. c., e non rientrano, per contro,
fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa ovvero al godimento di

alcuni condomini e non di altri (art. 1123, 2 e 3 comma, c. c.). Cass. civ., 27 novembre 1990, n. 11423
La responsabilit ex art. 2051 c.c. basata sulla presunzione di colpa nei confronti di colui che ha il dovere di
custodia sulla cosa, sia esso proprietario, usufruttuario, enfiteuta, conduttore etc. e pu riguardare anche i danni
che dipendono dall'insorgere nella cosa in custodia di un agente dannoso, come nel caso di infiltrazioni di acqua
da un immobile ad un altro (nella specie, tali infiltrazioni erano state provocate da opere eseguite sul lastrico
solare di un edifico dal possessore esclusivo di esso). Cass. civ., sez. III, 26 maggio 1993, n. 5925
Il proprietario dell'immobile locato, conservando la disponibilit giuridica e, quindi, la custodia delle strutture
murarie e degli impianti in esse conglobati, su cui il conduttore non ha il potere dovere di intervenire,
responsabile, in via esclusiva, ai sensi degli art. 2051 e 2053 c.c., dei danni arrecati a terzi da dette strutture ed
impianti, salvo eventuale rivalsa, nel rapporto interno, contro il conduttore che abbia omesso di avvertire della
situazione di pericolo. (Nella specie, in relazione a danni prodotti dallo scoppio di un tubo idrico nel punto
precedente al rubinetto d'uscita dell'acqua, stata ritenuta sussistere la concorrente responsabilit del
proprietario e del locatore). Cass. civ., sez. III, 29 maggio 1996, n. 4994
Nel condominio le spese per l'installazione e la manutenzione di una pompa per il sollevamento dell'acqua
debbono essere ripartite non gi in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo, bens con gli
stessi criteri di ripartizione delle spese dell'impianto idrico. Cass. civ., 29 novembre 1983, n. 7172
ANIMALI
In tema di condominio di edifici il divieto di tenere negli appartenenti i comuni animali domestici non pu essere
contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo
detti regolamenti importare limitazioni delle facolt comprese nel diritto di propriet dei condomini sulle porzioni
del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva, sicch in difetto di un'approvazione unanime le
disposizioni anzidette sono inefficaci anche con riguardo a quei condomini che abbiano concorso con il loro voto
favorevole alla relativa approvazione, giacch le manifestazioni di voto in esame, non essendo confluite in un
atto collettivo valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali atipici, di per s inidonei ai sensi dell'art. 1987 c.c. a
vincolare i loro autori, nella mancanza di una specifica disposizione legislativa che ne preveda l'obbligatoriet.
ass. civ., sez. II, 4 dicembre 1993, n. 12028
L'impugnativa della delibera condominiale che stabilisce il divieto di introdurre animali nell'ascensore
condominiale rientra nella competenza per materia del giudice conciliatore, trattandosi di controversia
riguardante le modalit di estrinsecazione e di esercizio del diritto di usare l'ascensore. Infatti in tema di
competenza, per "cause relative alle modalit di uso dei servizi condominiali" - di competenza del giudice
conciliatore - devono intendersi quelle riguardanti i limiti qualitativi di esercizio delle facolt contenute nel diritto
di comunione e, quindi, quelle relative al modo pi conveniente ed opportuno in cui tali facolt devono essere
esercitate, nel rispetto della parit di godimento in proporzione delle rispettive quote. Per "cause relative alla
misura dei servizi del condominio" - di competenza del pretore - devono invece intendersi quelle concernenti una
riduzione o limitazione quantitativa del diritto dei singoli condomini e, quindi, quelle aventi ad oggetto
provvedimenti dell'assemblea o dell'amministrazione che, trascendendo la disciplina delle modalit qualitative di
uso del bene comune, incidono sulla misura del godimento riconosciuto ai singoli condomini. Cass. civ., sez. II,
15 ottobre 1994, n. 8431
ANTENNE
N l'assemblea dei condomini n il regolamento da questa approvato possono vietare l'installazione di singole
antenne ricetrasmittenti, in quanto in tale modo non vengono disciplinate le modalit di uso della cosa comune,
ma viene ad essere menomato il diritto di ciascun condomino all'uso del tetto di copertura, incidendo sul diritto di
propriet comune dello stesso. Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1998, n. 5517
Il diritto di compropriet sulle cose comuni comprende quello di installare sul terrazzo dello stabile condominiale
un'antenna ricevente televisiva, diritto che non pu essere escluso, anche in presenza di antenna centralizzata,
dal regolamento condominiale. Cass. civ., 3 agosto 1990, n. 7825
Gli art. 1 e 3 l. 6 maggio 1940 n. 554, dettati con riguardo alla disciplina degli aerei esterni per audizioni
radiofoniche, ma applicabile per analogia anche alle antenne televisive e l'art. 231 del d.P.R. 29 marzo 1973 n.
156, stabilendo che i proprietari dell'edificio non possono opporsi alla installazione esterna di antenne da parte di
abitanti dello stesso stabile per il funzionamento di apparecchi radiofonici o televisivi, attribuiscono al titolare
dell'utenza il diritto all'installazione dell'antenna sulla terrazza dell'edificio, ferma restando la facolt del
proprietario al libero uso di questa secondo la sua destinazione ancorch comporti la rimozione od il diverso
collocamento dell'antenna, che resta a carico del suo utente, all'uopo preavvertito. Ne deriva che il proprietario
della terrazza che vi abbia eseguito dei lavori comportanti la rimozione dell'antenna non pu essere condannato
al ripristino nello stato preesistente, posto che spetta all'utente provvedere a sua causa e spese alla rimozione
ed al diverso collocamento dell'antenna. Cass. civ., sez. II, 24 marzo 1994, n. 2862
ASCENSORE
In tema di condominio di edifici la regola posta dall'art. 1124 c. c. relativa alla ripartizione delle spese di
manutenzione a ricostruzione delle scale (per met in ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per
l'altra met in misura proporzionale alla altezza di ciascun piano dal suolo) applicabile per analogia, ricorrendo
l'identica ratio, alle spese relative alla manutenzione e ricostruzione dell'ascensore gi esistente; nell'ipotesi,
invece, d'installazione ex novo dell'impianto dell'ascensore trova applicazione la disciplina dell'art. 1123 c. c.
relativa alla ripartizione delle spese per le innovazioni deliberate dalla maggioranza (proporzionalit al valore
della propriet di ciascun condomino). Cass. civ., 16 maggio 1991, n. 5479
BALCONI
La trasformazione in balcone o terrazza, ad opera di un condomino, di una o pi finestre del suo appartamento,
all'uopo ampliando le finestre esistenti, a livello del suo appartamento, nel muro perimetrale comune e
innestando in questo lo sporto di base del balcone terrazza, non importano una innovazione della cosa comune,

a norma dell'art. 1120 c. c., bens soltanto quell'uso individuale della cosa comune il cui ambito ed i cui limiti
sono disciplinati dagli ar. 1102 e 1122 c. c.; accertare se detto ambito e detti limiti siano stati in concreto
rispettati o meno compito del giudice di merito. Cass. civ., 31 maggio 1990, n. 5122
L'apertura di un balcone, che comporta aumento della superficie utile e mutamento dell'aspetto del fabbricato,
necessita di concessione edilizia, trattandosi di opera che esula per la sua stessa natura dal novero degli
interventi di manutenzione straordinaria o delle pertinenze, che richiedono (art. 31, l. 5 agosto 1978, n. 457; art.
7, l. 25 marzo 1982, n. 94) la semplice autorizzazione, in quanto non incidono sulla consistenza dell'immobile.
Cass. pen., 20 maggio 1988
CONDOMINIO
Le norme che disciplinano il condominio riguardano gli edifici, la cui propriet oggetto di una divisione
"orizzontale", perch i diversi piani o porzioni di piano appartengono a proprietari diversi (art. 1117 c.c.). Non si
ha condominio quando, invece, vi sono edifici totalmente distinti ed autonomi. Allorch, tuttavia, pi edifici
contigui, ma autonomi, abbiano o diano luogo a beni o servizi destinati permanentemente ed oggettivamente
all'uso e al godimento di tutti, sono applicabili ai beni e servizi comuni le norme sul condominio, ed in particolare
quelle previste dall'art. 1117 c.c.
Trib. Milano, 14 giugno 1993
DECORO ARCHITETTONICO
Nell'alterazione del decoro architettonico dell'edificio da parte del condomino, il pregiudizio economico pu
ritenersi insito nel constatato danno estetico in conseguenza della gravit di questo e della relativa
considerevole incidenza sulla facciata principale (nella specie, mediante cambio dei serramenti installati, in
sostituzione di quelli originari, alle finestre dell'unit immobiliare aperte sul prospetto del fabbricato). Cass. civ.,
sez. II, 3 settembre 1998, n. 8731
In tema di edifici in condominio la tutela della facciata apprestata non in modo astratto ed in via generale, ma
nei soli casi in cui il condominio ne faccia un uso illegittimo, compromettendone l'aspetto esteriore con
innovazioni che alterino il decoro architettonico del fabbricato. L'indagine rivolta a stabilire se in concreto ricorra
il denunciato danno all'aspetto della facciata, rientra nei poteri del giudice di merito e non sindacabile in sede
di legittimit se adeguatamente motivata. (Nella specie la sentenza impugnata confermata dalla S.C. aveva
escluso il carattere lesivo di una veranda realizzata da un condominio sulla terrazza a livello del proprio
appartamento nella parte retrostante del fabbricato). Cass. civ., sez. II, 7 febbraio 1998, n. 1297
DELEGA
In difetto di norme particolari, i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino
rappresentato sono disciplinati dalle regole del mandato, con la conseguenza che solo il condomino delegante
legittimato a far valere gli eventuali vizi della delega. Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1994, n. 3952
MINI CONDOMINIO
In base all'art. 1139 c.c., la disciplina del capo II del tit. VII del terzo libro del c.c. (art. 1117-1138) applicabile e solo per quanto in tali norme non espressamente previste possono osservarsi le disposizioni sulla comunione
in generale (art. 1110-1116 c.c.) - ad ogni tipo di condominio e, quindi, anche in quanto per essi n
esplicitamente n implicitamente derogato, ai c.d. condomini minimi, e cio a quelle collettivit condominiali
composte da due soli partecipanti, in relazione alle quali sono da ritenersi inapplicabili le sole norme
procedimentali sul funzionamento dell'assemblea condominiale, che resta regolato, dunque, dagli art. 1104,
1105, 1106. Cass. civ., sez. II, 26 maggio 1993, n. 5914
Nella ipotesi di condominio composto di due soli partecipanti (cd. "piccolo condominio"), le spese necessarie alla
conservazione o riparazione della cosa comune (nella specie, rifacimento del tetto e dei solai) devono essere
oggetto di regolare delibera, adottata previa rituale convocazione dell'assemblea dei condomini, della quale non
costituisce valido equipollente il mero avvertimento o la mera comunicazione all'altro condomino della necessit
di procedere a determinati lavori, bench urgenti ed indifferibili. Cass. civ., sez. II, 29 maggio 1998, n. 5298
MURO
Il principio della compropriet dell'intero muro perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad
apportare ad esso (anche se muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in
comunione, una peculiare utilit aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e, quindi, a procedere
anche all'apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua propriet esclusiva), a condizione di non
impedire agli altri condomini la prosecuzione dell'esercizio dell'uso del muro - ovvero la facolt di utilizzarlo in
modo e misura analoghi - e di non alterarne la normale destinazione. Costituisce, per converso, uso abnorme
del muro perimetrale l'apertura, da parte di un condomino, di un varco che consenta la comunicazione tra il
proprio appartamento ed altra unit immobiliare attigua, sempre di sua propriet, ma ricompresa in un diverso
edificio condominiale, il collegamento tra tali unit abitative determinando, inevitabilmente, la creazione di una
servit a carico di fondazioni, suolo, solai e strutture del fabbricato (a prescindere dalla creazione di una
eventuale servit di passaggio a carico di un ipotetico ingresso condominiale su via pubblica). Cass. civ., sez. II,
18 febbraio 1998, n. 1708
PORTIERE
In tema di condominio di edifici la modifica della destinazione pertinenziale dei locali adibiti ad alloggio del
portiere, anche se prevista da un regolamento condominiale contrattuale, non richiede l'unanimit dei consensi
vertendosi in materia di natura regolamentare, bens una deliberazione dell'assemblea dei condomini adottata
con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 5, c.c. Cass. civ., sez. II, 17 giugno 1997, n. 5400
REGOLAMENTO
Il regolamento di condominio, quali ne siano l'origine ed il procedimento di formazione e, quindi, anche quando
abbia natura contrattuale, si configura, in relazione alla sua specifica funzione di costituire una sorta di statuto

della collettivit condominiale, come atto volto ad incidere con un complesso di norme giuridicamente vincolanti
per tutti i componenti di detta collettivit, su un rapporto plurisoggettivo concettualmente unico ed a porsi come
fonte di obblighi e diritti non tanto per la collettivit come tale, quanto, soprattutto, per i singoli condomini;
consegue da ci che l'azione promossa per ottenere declaratoria della nullit, totale o parziale, del regolamento
medesimo esperibile non da e nei confronti del condominio, carente di legittimazione in ordine ad una siffatta
domanda ma da uno o pi condomini nei confronti di tutti gli altri, in situazione di litisconsorzio necessario, non
potendo, altrimenti, risultare "utiliter" data l'eventuale sentenza di accoglimento. Cass. civ., sez. II, 29 novembre
1995, n. 12342
In materia di condominio di edifici, l'autonomia privata consente alle parti di stipulare convenzioni che pongano
limitazioni, nell'interesse comune, ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo al
contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva propriet, senza che rilevi che l'esercizio del diritto
individuale su di esse si rifletta o meno sulle strutture o sulle parti comuni. Ne discende che legittimamente le
norme di un regolamento di condominio - aventi natura contrattuale, in quanto predisposte dall'unico originario
proprietario dell'edificio ed accettate con i singoli atti di acquisto dai condomini ovvero adottate in sede
assembleare con il consenso unanime di tutti i condomini - possono derogare od integrare la disciplina legale ed
in particolare possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione pi rigorosa di quella accolta
dall'art. 1120 c.c., estendendo il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti
alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od
in quello della manifestazione negoziale successiva. Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 1999, n. 11121
RIFIUTI
Il servizio della raccolta e rimozione dei rifiuti, quando riguardi uno stabile in regime di condominio, da ritenere
condominiale cos come da ritenere che destinataria dell'imposizione sia la collettivit dei condomini; ma la
partizione dei relativi oneri non pu non riflettere le differenze riguardanti i diversi usi dei locali (nella specie, il
tribunale ha giudicato lecita la deliberazione assembleare che aveva ripartito la spesa di raccolta dei rifiuti
distinguendo fra proprietari di unit destinate ad abitazione, a negozi ed a laboratori). Trib. Milano, 30 gennaio
1992
SANZIONI
Il regolamento di condominio non pu prevedere, per l'infrazione alle sue disposizioni, sanzioni pecuniarie di
importo superiore a lire cento. Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1995, n. 948
L'art. 70 disp. att. c.c. prevede che, per le infrazioni al regolamento di condominio, pu essere stabilito, a titolo di
sanzione, il pagamento di una somma fino a lire cento, onde sono nulle, in quanto "contra legem", le eventuali
delibere assembleari che dovessero prevedere sanzioni di importo maggiore. Cass. civ., sez. II, 26 gennaio
1995, n. 948
SCALA
L'escavazione del sottosuolo condominiale da parte di un condomino per collegare con una scala le unit
immobiliari al piano terreno con quelle poste al seminterrato, tutte di sua propriet esclusiva, non comporta
appropriazione del bene comune e non costituisce innovazione vietata, perch non determina l'inservibilit del
bene comune all'uso e al godimento a cui destinato. Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1999, n. 5546
SCARICO
La collocazione di una tubatura di scarico di un servizio, di pertinenza esclusiva di un condomino, in un muro
maestro dell'edificio condominiale, rientra nell'uso consentito del bene comune, per la funzione accessoria cui
esso adempie, restando impregiudicata la domanda di condanna del risarcimento del danno, anche in forma
specifica, ossia mediante sostituzioni e riparazioni, proponibile per le infiltrazioni derivatene alla propriet, o
compropriet, di altro condomino. Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1999, n. 1162
SOPRAELEVAZIONE
Legittimato ad esercitare il diritto all'indennit di sopraelevazione ex art. 1127 c.c. devono ritenersi colui che
rivestiva la qualifica di condomino al tempo della sopraelevazione od i suoi successori secondo le regole che
disciplinano la successione nei diritti di credito, non colui che sia divenuto successivamente proprietario della
singola unit immobiliare.
Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 1999, n. 1263
I sottotetti, le soffitte, le cantine, i solai vuoti e gli analoghi spazi non praticabili destinati ad isolare il corpo di
fabbrica dalla sua copertura costituiscono una pertinenza dell'intero edificio condominiale (o del suo ultimo
livello) ove appartengano in via esclusiva al proprietario di questo e non danno luogo a loro volta ad un piano a
s stante, essendo destinati ad una funzione accessoria, quali depositi, stenditoi e camere d'aria a protezione
degli alloggi sottostanti dal caldo, dal freddo e dall'umidit. La ristrutturazione di locali del genere non comporta
sopraelevazione, ai sensi dell'art. 1127 c.c., nei soli casi di modificazione soltanto interne, contenute negli
originari limiti dell'edificio senza alcun aumento della sua altezza.
Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1997, n. 5164
La sopraelevazione costituita dalla realizzazione di nuove opere o nuove fabbriche che superino l'originaria
altezza dell'edificio.
Cass. civ., sez. II, 20 luglio 1999, n. 7764
TABELLE
In tema di condominio, la delibera di formazione e modifica delle tabelle millesimali, valida anche se il
consenso espresso da delegati verbali dei condomini, senza necessit di procura scritta, potendo il mandato
esser provato con qualsiasi mezzo, anche per "facta concludentia" - come nel caso di prolungata accettazione

dei successivi bilanci - perch le dette tabelle hanno funzione accertativa e valutativa delle quote condominiali
onde ripartire le relative spese e stabilire la misura del diritto di partecipazione alla volont assembleare, ma non
incidono sui diritti reali spettanti a ciascun condomino. Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1998, n. 3251
TETTO
Il condomino proprietario del piano sottostante al tetto comune pu aprire su di esso abbaini e finestre - non
incompatibili con la sua destinazione naturale - per dare aria e luce alla sua propriet, purch le opere siano a
regola d'arte e non ne pregiudichino la funzione di copertura, n ledano i diritti degli altri condomini sul
medesimo. Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1998, n. 1498
USUFRUTTO
Nel caso in cui faccia parte del condominio un piano o appartamento oggetto di usufrutto, il nudo proprietario
deve essere chiamato a partecipare alle assemblee condominiali indette per deliberare sulle innovazioni o sulle
opere di manutenzione straordinaria; se invece si tratta di affari di ordinaria amministrazione deve esserne dato
avviso all'usufruttuario il quale non pu dare il suo voto nelle materie riservate al nudo proprietario. Cass. civ., 5
novembre 1990, n. 10611
I condomini, attraverso il regolamento condominiale contrattuale, possono porre limitazioni, nell'interesse
comune ai diritti dei condomini, anche sulle loro parti di esclusiva propriet, come nel caso di divieto di stendere i
panni dalle finestre e balconi. In caso di violazione da parte del singolo, gli altri condomini hanno diritto di
esigere l'osservanza del divieto anche attraverso il ricorso all'autorit giudiziaria (Corte di cassazione, 16 ottobre
1999, n. 1162).
L'art. 62 att. c.c., che, nel caso di sostituzione di pi condomini separati ad un unico preesistente condominio,
assoggetta alla disciplina del condominio negli edifici (piuttosto che alle norme sulla comunione) quelle, tra le
cose indicate dall'art. 1117 c.c., rimaste in comunione, al servizio di tutti, deve ritenersi applicabile anche nei
casi in cui in seguito allo scioglimento della comunione i singoli immobili siano rimasti in propriet solitaria.
Pertanto, nel caso di divisione di un edificio soggetto al regime del condominio in porzioni aventi le
caratteristiche di edifici autonomi, sulle parti rimaste in compropriet degli originari partecipanti nonostante lo
scioglimento del condominio, in difetto di espresso mutamento del titolo continua ad applicarsi la disciplina del
condominio di edifici con la conseguenza che, il tratto di accesso, racchiuso dalle costruzioni in propriet
esclusiva e destinato a dare ad esse il passaggio, in quanto compreso nella compropriet ex art. 1117 c.c.,
viene usato jure proprietatis e non jure servitutis dai comproprietari, che possono procedere all'apertura di nuove
porte attraverso il muro delimitante i fabbricati insistenti sull'accesso medesimo, quale legittima utilizzazione
della cosa comune a norma dell'art. 1102 c.c.. Cass. civ., sez. II, 16 marzo 1993, n. 3102, Signorini e altri c.
Palla.
Cass. civ., sez. II, 16 giugno 1992, n. 7359, Regolamento di condominio - Predisposizione a cura del costruttore.
In tema di condominio di edifici, l'obbligo genericamente assunto nei contratti di vendita delle singole unit
immobiliari di rispettare il regolamento di condominio che contestualmente si incarica il costruttore di
predisporre, come non vale a conferire a quest'ultimo il potere di redigere un qualsiasi regolamento, cos non
pu valere come approvazione di un regolamento allo stato inesistente, in quanto solo il concreto richiamo nei
singoli atti di acquisto ad un determinato regolamento gi esistente che consente di ritenere quest'ultimo facente
parte per relationem di ogni singolo atto.
Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1992, n. 5979, Baldizzone c. Bori e altri.
Parti comuni delledificio condominiale - Scale, pianerottoli, passaggi pensili.
La controversia instaurata da un condomino che chiede la rimozione di un cancello posto da altro condomino,
con lautorizzazione dellassemblea dei condomini, a chiusura del pianerottolo dellultimo piano della scala
comune delledificio, dopo avere dotato di chiavi tutti gli altri condomini, appartiene, anche quando sia stato
chiesto laccertamento incidentale della nullit della delibera assembleare di autorizzazione, alla competenza del
giudice conciliatore perch, non essendovi contestazione sullesistenza del diritto, relativa alle modalit di
godimento della cosa comune.
Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1993, n. 8746, Oddi c. Tantarelli.
In tema di condominio di edifici, l'art. 1121 c.c. riconosce ai condomini dissenzienti ( e ai loro eredi e aventi
causa), in caso di innovazioni gravose o voluttuarie, il diritto potestativo di partecipare successivamente ai
vantaggi delle innovazioni stesse, contribuendo pro quota nelle spese di esecuzione e di manutenzione
dell'opera ragguagliate al valore attuale della moneta, onde evitare arricchimenti in danno dei condomini che
hanno assunto l'iniziativa dell'opera. (Fattispecie riguardante un impianto di ascensore installato nell'edificio
condominiale non all'atto della sua costruzione, ma successivamente per iniziativa e a spese di parte dei
condomini).
Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1993, n. 8755, Cond. di viale Italia n. 48/50 di Rose c. Molinari.
L'art. 10 L. 27 luglio 1978 n. 392 il quale attribuisce al conduttore il diritto di votare in luogo del proprietario nelle
assemblee condominiali aventi ad oggetto l'approvazione delle spese e delle modalit di gestione dei servizi di
riscaldamento e di condizionamento d'aria e di intervenire senza diritto di voto sulle delibere relative alla
modificazione di servizi comuni, riconosce implicitamente con il rinvio alle disposizioni del codice civile
concernenti l'assemblea dei condomini, il diritto dell'inquilino di impugnare le deliberazioni viziate, semprech
abbiano ad oggetto le spese e le modalit di gestione dei servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria. Al
di fuori delle situazioni richiamate, la norma in esame non attribuisce all'inquilino il potere generale di sostituirsi
al proprietario nella gestione dei servizi condominiali, sicch deve escludersi la legittimazione del conduttore ad
impugnare la deliberazione dell'assemblea condominiale di nomina dell'amministratore e di approvazione del
regolamento di condominio e del bilancio preventivo.
Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1993, n. 8804, Ersoni c. Cond. Abruzzo I di Pineto.
L'amministratore del condominio, che responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso

dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari, non pu essere ritenuto
responsabile, ancorch sia tenuto a far osservare il regolamento condominiale, dei danni cagionati dall'abuso
dei condomini nell'uso della cosa comune, non essendo dotato di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei
singoli condomini - salvo che il regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 att. c.c., preveda la possibilit di
applicazione di sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme da esso stabilite sull'uso delle cose
comuni - n obbligato a promuovere azione giudiziaria contro i detti condomini in mancanza di una espressa
disposizione condominiale o di una delibera assembleare.
Cass. civ., sez. II, 25 agosto 1993, n. 8994, Cappadonna c. Lotronto e Magnani.
inammissibile il ricorso per cassazione proposto ex art. 111 Cost. avverso il decreto con il quale la corte
d'appello provveda in sede di reclamo avverso il decreto del tribunale ex art. 1129 c.c. in tema di revoca
dell'amministratore di condominio, trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione insuscettibile di
passaggio in cosa giudicata, potendo gli interessati nuovamente ricorrere al giudice per chiedere un nuovo
provvedimento in senso difforme da quello precedente.
Cass. civ., sez. II, 28 agosto 1993, n. 9130, Tancredi c. Cond. Pollice di Termoli.
In tema di condominio di edifici, nulla (e non soltanto annullabile) la deliberazione dell'assemblea presa a
maggioranza che approvi una utilizzazione particolare da parte di un singolo condomino di un bene comune,
qualora tale diversa utilizzazione - senza che sia dato distinguere tra parti principali e secondarie dell'edificio
condominiale - rechi pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei coesistenti diritti altrui, quali asservimenti,
immissioni o molestie, lesivi del diritto degli altri condomini alle cose e servizi comuni o su quelle di propriet
esclusiva di ognuno di essi. (Nella specie la C.S. ha annullato la decisione del merito che aveva ritenuto la
validit della deliberazione presa a maggioranza che aveva autorizzato un condomino ad appoggiare sul muro
perimetrale comune una canna fumaria destinata a smaltire le esalazioni prodotte dal forno di un esercizio
commerciale ubicato a piano terra, collocata nella parte terminale a breve distanza dalle finestre di altro
condomino).
Cass. civ., sez. II, 28 agosto 1993, n. 9130, Tancredi c. Cond. Pollice di Termoli.
In tema di assemblee condominiali, il legislatore non ha imposto particolari formalit in ordine alle modalit della
votazione, sicch ai fini del calcolo delle maggioranze prescritte dall'art. 1136 c.c. deve tenersi conto del voto
espresso dal condomino intervenuto tardivamente, purch non oltre la chiusura del processo verbale di cui
all'art. 1136 c.c..
Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1993, n. 9311, Cond. di Piazza di Spagna, n. 20, di Roma c. Credito Italiano.
In tema di condominio di edifici, i partecipanti con voto unanime possono sottoporre a limitazioni, nell'ambito
dell'autonomia negoziale, l'esercizio dei poteri e delle facolt che normalmente caratterizzano il contenuto del
diritto di propriet sulle cose comuni, vertendosi in materia disponibile, con la conseguenza che con regolamento
contrattuale possono vietare l'apposizione di insegne, targhe e simili sui muri perimetrali comuni, ovvero
subordinarla al consenso dell'amministrazione.
Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 1993, n. 10474, Ditta Gioda c. Cond. di Corso Unione Sovietica, n. 475, di Torino.
La deliberazione con la quale l'assemblea dei condomini convocata con l'intervento di coloro che usufruiscono
del riscaldamento (proprietari e conduttori delle singole unit immobiliari), affida, nell'esercizio del suo generale
potere di disporre in merito alle spese ed alle modalit di gestione del servizio comune, ad un condomino o ad
un terzo la gestione del servizio, attribuisce al soggetto incaricato, per la parte relativa al servizio affidatogli, il
potere di compiere atti che impegnano non i singoli partecipanti all'assemblea ma il condominio, del quale
l'assemblea organo anche quando, ai sensi dell'art. 10 della L. 27 luglio 1978 n. 392, vi partecipino i conduttori
per far valere le loro specifiche esigenze, ed in relazione ai quali persiste, pertanto, dal lato passivo, la
rappresentanza in giudizio dell'amministratore.
Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1993, n. 10519, Zangolli Manzone c. Cond. di via Polidoro di Mastrorenzo, n. 5, di
Lanciano.
La controversia, instaurata da un condomino per la rimozione dalla facciata dell'edificio condominiale di uno
scambiatore di calore installatovi da un altro condomino con l'autorizzazione della assemblea, a motivo del
pregiudizio arrecato al decoro architettonico e alla sicurezza dell'edificio stesso, riguarda non le modalit d'uso o
la misura dei servizi condominiali, ma la contestazione in radice del diritto del condomino di fare un determinato
uso della cosa comune e del potere dell'assemblea di consentirlo, e, quindi, esula dalla competenza per materia
del conciliatore o del pretore, restando soggetta alle regole della competenza per valore nelle cause relative a
beni immobili (art. 15 c.p.c.), con la conseguenza che onere della parte che eccepisca l'incompetenza del
giudice adito di dedurre e dimostrare il superamento del relativo limite.
Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 1993, n. 10719, Gobbi c. Arlandini.
A norma degli artt. 1123 c.c. e 63 att. c.c., l'amministratore di un condominio di un edificio pu riscuotere pro
quota e in base allo stato di ripartizione come approvato dall'assemblea, i contributi e le spese per la
manutenzione delle cose comuni e per la prestazione dei servizi nell'interesse comune direttamente ed
esclusivamente dai condomini, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unit
immobiliari facenti parte del condominio, anche dopo l'entrata in vigore della L. 27 luglio 1978 n. 392, la quale
disciplina i rapporti tra locatore e conduttore, senza innovare in ordine alla normativa del codice civile relativa ai
soggetti tenuti nei confronti dell'amministrazione di un condominio di un edificio al pagamento dei contributi e
delle spese di cui sopra.
Cass. civ., sez. II, 23 maggio 1992, n. 6212, Dassi c. Soc. Stella. Assemblea dei condomini - Convocazione.
In tema di condominio degli edifici, e con riguardo allassemblea dei condomini, lincompletezza dellordine del
giorno contenuto nellatto di convocazione della assemblea determina non la nullit assoluta ma lannullabilit
della deliberazione dellassemblea dei condomini, con la conseguenza che la stessa deve essere impugnata nel
termine di trenta giorni di cui allart. 1137 c.c.

Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1994, n. 4165, Milan c. Mery.


Quando dal locatore siano gi state chieste in giudizio al conduttore le somme contrattualmente dovute per
rimborso di spese condominiali, e quest'ultimo si sia reso moroso anche nel pagamento di ulteriori somme
maturate dopo il bilancio consuntivo, l'estensione della domanda al pagamento degli ulteriori crediti determina
non una mutatio, ma un'emendatio libelli, rimanendo immutata la causa petendi (inadempimento
dell'obbligazione contrattuale) gi dedotta in giudizio ed essendo solamente ampliato il petitum inteso come
oggetto mediato della domanda, che rimane inalterato nella sua individualit ontologica.
Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1994, n. 4155, D'Urso c. Di Giacomo.
L'apertura di varchi e l'installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell'edificio
condominiale eseguiti da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all'unit immobiliare di sua propriet
esclusiva, di massima non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini,
non comportando per costoro una qualche impossibilit di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell'art.
1102, primo comma, c.c., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non gi
alla necessit di ovviare ad una interclusione dell'unit immobiliare al cui servizio il detto accesso stato creato,
ma all'intento di conseguire una pi comoda fruizione di tale unit immobiliare da parte del suo proprietario.
Cass. civ., sez. II, 4 maggio 1994, n. 4269, Aresco c. Capodanno.
La disposizione dell'art. 1136 comma quarto c.c. la quale richiede per la deliberazione dell'assemblea del
condominio di edifici riguardante la nomina o la revoca dell'amministratore la maggioranza qualificata di cui al
secondo comma applicabile anche per la deliberazione di conferma dell'amministratore dopo la scadenza del
mandato.
Cass. civ., sez. II, 4 maggio 1994, n. 4278, Cond. S. Giacomo Primo di Torino c. Soc. Cada Sini.
In tema di condominio degli edifici, il singolo condomino non pu sottrarsi all'obbligo di concorrere, secondo la
ripartizione risultante dalle tabelle millesimali - suscettibili di modificazione anche per fatti concludenti - alle
spese di erogazione del servizio centralizzato di riscaldamento distaccando la propria porzione immobiliare dal
relativo impianto, senza che rilevino in contrario n la L. 29 maggio 1982, n. 308, sul contenimento dei consumi
energetici, n la circostanza che il condominio stesso consti di pi edifici separati, ma serviti da impianti comuni
non frazionati in relazione alle singole unit immobiliari.
Cass. civ., sez. II, 12 maggio 1994, n. 4632, Condominio Aurora di via Peirogallo n. 4 di Sanremo c. Soc.
Immobiliare Sanremo.
Le norme del regolamento condominiale che incidono sulla utilizzabilit e la destinazione delle parti dell'edificio
di propriet esclusiva, distinguendosi dalle norme regolamentari, che possono essere approvate dalla
maggioranza dell'assemblea dei condomini, hanno carattere convenzionale e, se predisposte dall'originario
proprietario dello stabile, debbono essere, pertanto, accettate dai condomini nei rispettivi atti di acquisto o con
atti separati; se deliberate, invece, dall'assemblea, debbono essere approvate all'unanimit, dovendo, in
mancanza, considerarsi nulle, perch eccedenti i limiti dei poteri dell'assemblea.
Cass. civ., sez. II, 14 maggio 1994, n. 4715, Notarbartolo c. Condominio V. Terrasanta n. 93 Palermo.
Il condomino non pu essere esonerato dall'obbligo di contribuire alle spese del servizio di riscaldamento
centralizzato allorch l'impianto utilizzato sia strutturato in guisa tale da assicurare all'appartamento di sua
propriet esclusiva un beneficio non diverso da quello garantito ai proprietari delle altre porzioni immobiliari, pur
in presenza di ostacoli che occasionalmente precludono tale risultato, ma siano eliminabili con opportuna
manovra, come quella di "sfiato" dei radiatori.
Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4814, Anaclerio ed altri c. Soc. Immobiliare Dalma.
La partecipazione con voto favorevole alle reiterate delibere adottate dall'assemblea dei condomini di un edificio
per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello
espresso nelle tabelle millesimali, o l'acquiescenza alla concreta applicazione di queste delibere, pu assumere
il valore di unico comportamento rivelatore della volont di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei
condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e pu
dar luogo, quindi, per facta concludentia, ad una convenzione modificatrice della disciplina sulla ripartizione delle
spese condominiali che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta
ma solo il consenso, anche tacito o per facta concludentia, purch inequivoco, di tutti i condomini.
Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4816, Giordani c. Tarquini.
I danni cagionati dalla mancata manutenzione del lastrico solare di un edificio in condominio, al pari delle spese
della sua riparazione o costruzione, non possono porsi interamente a carico del proprietario o usuario del
lastrico stesso, ma debbono essere risarciti con il concorso degli altri condomini nella proporzione stabilita
dall'art. 1126 c.c. Ci non esclude l'eventuale concorso di responsabilit, da accertare in via di rivalsa ove non
sia stata dedotta nello stesso giudizio, del costruttore o dell'amministratore del condominio in proprio per vizi di
costruzione o per negligente omissione delle necessarie riparazioni.
Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1992, n. 6225, Rampello c. Societ Camilla. Parti comuni delledificio condominiale
- Aree di parcheggio.
Il soggetto che quale proprietario di un appartamento di un edificio in condominio agisca in giudizio nei confronti
di un terzo, perch gli sia inibita la sosta ed il parcheggio di veicoli effettuata sullarea di propriet condominiale
in violazione delle disposizioni del regolamento del condominio, non esercita unazione possessoria di
manutenzione (rientrante nellesclusiva competenza per materia del pretore) bens unazione petitoria, agendo
in forza ed a tutela dei poteri e delle facolt inerenti alla compropriet del suddetto bene, con la conseguenza
che per la individuazione del giudice per essa competente trovano applicazione gli ordinari criteri della
competenza per valore.
Cass. civ., sez. II, 13 novembre 1993, n. 11207, Crivelli ed altri c. Filippis ed altri.
Nel caso in cui su una delle parti comuni di un edificio in condominio (elencate dall'art. 1117 c.c.), gravi un peso

diretto a fornire ad un piano o ad una porzione di piano in propriet esclusiva una utilit ulteriore e diversa,
rispetto a quella normalmente derivante dalla destinazione della cosa al servizio di tutte le unit immobiliari, si
configura una servit: sempre che tale peso abbia origine nei modi previsti dalla legge e, tra questi, la
destinazione del padre di famiglia.
Cass. civ., sez. II, 19 novembre 1993, n. 11435, Cond. di via Vetulonia n. 26 di Roma c. Cherchi.
In un edificio in condominio le chiostrine, vale a dire i cortili interni destinati a dare aria e luce a determinati piani
o porzioni di piano, attribuite per titolo in propriet esclusiva ai proprietari dei piani superiori, raffigurano beni
giuridici diversi rispetto ai muri maestri (interni) dell'edificio, che le delimitano. Questi muri, in quanto parti
essenziali per l'esistenza del fabbricato, essendo destinati a sorreggere l'edificio, appartengono in propriet
comune a tutti i partecipanti al condominio, con la conseguenza che alle spese per la conservazione dei muri
maestri (che delimitano le chiostrine) devono concorrere tutti i partecipanti, compresi i proprietari dei negozi siti a
piano terra, ancorch essi non siano proprietari delle chiostrine) devono concorrere tutti i partecipanti, compresi i
proprietari dei negozi siti a piano terra, ancorch essi non siano proprietari delle chiostrine.
Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1993, n. 12028, Cafagna c. Cond. Herni di Ponte S. Pietro.
In tema di condominio di edifici il divieto di tenere negli appartamenti i comuni animali domestici non pu essere
contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo
detti regolamenti importare limitazioni delle facolt comprese nel diritto di propriet dei condomini sulle porzioni
del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva, sicch in difetto di un'approvazione unanime le
disposizioni anzidette sono inefficaci anche con riguardo a quei condomini che abbiano concorso con il loro voto
favorevole alla relativa approvazione, giacch le manifestazioni di voto in esame, non essendo confluite in un
atto collettivo valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali atipici, di per s inidonei ai sensi dell'art. 1987 c.c. a
vincolare i loro autori, nella mancanza di una specifica disposizione legislativa che ne preveda l'obbligatoriet.
Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 1993, n. 12152, Toni c. Crespi e altri.
Il regolamento dei rapporti tra i proprietari di distinte unit immobiliari site in un edificio soggetto a regime del
condominio, non si esaurisce con le disposizioni relative ai rapporti di vicinato tra due propriet finitime
(emulazione, immissioni e servit); detti rapporti sono disciplinati anche dalle regole generali sulla responsabilit
civile, essendo obbligato ciascun condomino propter rem a non eseguire nel piano o porzioni di piano di sua
propriet opere che rechino danno alle parti comuni o di propriet esclusiva di altri condomini.
Cass. civ., sez. II, 11 dicembre 1993, n. 12208, Accardi c. Cond. Il Faro di Ladispoli.
Il condominio di edifici, che non una persona giuridica, ma un ente di gestione e non ha, pertanto, una sede in
senso tecnico, ove non abbia designato nell'ambito dell'edificio un luogo espressamente destinato e di fatto
utilizzato per l'organizzazione e lo svolgimento della gestione condominiale, ha il domicilio coincidente con
quello privato dell'amministratore che lo rappresenta. Pertanto, ai fini della competenza territoriale ex artt. 18 e
20 c.p.c. nei giudizi aventi ad oggetto il pagamento di contributi condominiali, il luogo di adempimento
dell'obbligazione dedotta in giudizio va individuato nel domicilio dell'amministratore in carica al tempo della
scadenza dell'obbligazione.
Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1993, n. 12304, Scapin c. Grigoletto e altri.
Il condominio non un soggetto giuridico dotato di propria personalit distinta da quella di coloro che ne fanno
parte, bens un semplice ente di gestione, il quale opera in rappresentanza e nell'interesse comune dei
partecipanti, limitatamente all'amministrazione e al buon uso della cosa comune, senza interferire nei diritti
autonomi di ciascun condomino. Ne deriva che l'amministratore per effetto della nomina ex art. 1129 c.c. ha
soltanto una rappresentanza ex mandato dei vari condomini e che la sua presenza non priva questi ultimi del
potere di agire personalmente a difesa dei propri diritti sia esclusivi che comuni.
Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1994, n. 446, Correra c. Monachese e altra.
Il perimento totale di un edificio condominiale determina l'estinzione del condominio, per mancanza dell'oggetto,
venendo meno il rapporto di servizio tra le parti comuni e le porzioni di propriet esclusiva (non pi esistenti), e
permane soltanto la comunione pro-indiviso tra gli ex condomini sull'area di risulta. Ne deriva che, in caso di
mancata ricostruzione dell'immobile (nell'ipotesi, non consentita dalla disciplina urbanistica) e di mancata vendita
all'asta del suolo e dei materiali (non richiesta, nella specie, da nessuno dei comproprietari), pu porsi fine alla
predetta comunione con lo scioglimento della stessa, che, in caso d'indivisibilit del suolo, deve essere
effettuato a norma degli artt. 1116 e 720 c.c., attribuendo preferibilmente il bene per intero al titolare della quota
maggiore (o ai titolari della quota maggiore, ove questi ne richiedano congiuntamente l'attribuzione), con
addebito dell'eccedenza, corrispondendosi, cio, agli altri condomini la somma equivalente al valore della loro
quota.
Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1994, n. 705, Cond. Via Roma, 13 c. Bertelli.
La parte che, dopo avere agito nei confronti di un condominio, nella persona dell'amministratore, ne contesta il
potere di rappresentanza per dedurre l'inammissibilit del ricorso per cassazione da questo proposto, ha l'onere
di fornire la prova della sua eccezione, concretandosi questa nella allegazione di un fatto estintivo o modificativo
dell'incarico che non pu essere presunto dal mero decorso dell'anno di durata di questo (incarico), atteso che la
disposizione dell'art. 1129 c.c., secondo la quale l'amministratore nel condominio degli edifici dura in carica un
anno, non sancisce una decadenza ope legis e non esclude, pertanto, n la tacita riconferma di anno in anno,
per effetto della mancata nomina di altro amministratore, n la proroga dei poteri di rappresentanza
dell'amministratore fino alla sua sostituzione con altro amministratore da parte dell'assemblea dei condomini o
del giudice.
Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 1994, n. 973, Netti c. Falconi.
Quando un condomino conferisce ad un avvocato o procuratore l'incarico di rappresentarlo ed assisterlo
nell'assemblea del condominio, l'attivit del professionista, avendo natura tecnica e non meramente esecutiva,
rientra come tale nella sfera delle prestazioni per le quali trova applicazione la tariffa degli avvocati e procuratori

in materia stragiudiziale
Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1994, n. 1366, Palmili c. Sciamanna.
Per decidere dell'appartenenza, in propriet comune o esclusiva di un condomino, di un locale sito nel perimetro
dell'edificio condominiale, non incluso fra quelli di propriet comune elencati nell'art. 1117 c.c. o nel regolamento
condominiale contrattuale, acquistano rilievo decisivo le vicende attinenti all'appartenenza in comunione pro
indiviso ovvero in propriet esclusiva del suolo e di quanto sopra vi si costruisce, essendo onere del condomino
che pretenda la propriet esclusiva del locale di per s non destinato ad uso comune di fornire la prova del suo
titolo di acquisto originario o derivativo.
Cass. civ., sez. II, 4 giugno 1992, n. 6892, Oria c. Borello. Regolamento di condominio - Regolamento
contrattuale.
Il regolamento condominiale contrattuale - il quale viene ad esistenza nel momento in cui, contestualmente al
primo atto di vendita di una frazione esclusiva delledificio, comportante la nascita del condominio, lacquirente
ne accetta le varie clausole - pu contenere, oltre allindicazione delle parti delledificio di propriet comune ed
alle norme relative allamministrazione e gestione delle cose comuni, la previsione delluso esclusivo di una
parte delledificio definita comune a favore di una frazione di propriet esclusiva. In tal caso il rapporto ha natura
pertinenziale, essendo stato posto in essere dalloriginario unico proprietario delledificio, legittimato
allinstaurazione ed al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli artt. 817, secondo comma e
818 c.c., con lulteriore conseguenza che, attenendo siffatto rapporto alla consistenza della frazione di propriet
esclusiva, il richiamo puro e semplice del regolamento condominiale in un successivo atto di vendita (o
promessa di vendita) da parte del titolare della frazione di propriet esclusiva, a cui favore sia previsto luso
esclusivo di quella parte comune, pu essere considerato sufficiente ai fini dellindicazione della consistenza
della frazione stessa venduta o promessa in vendita.
Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1994, n. 1367, Cond. Palazzo Capodicasa di Corso Gelone n. 52 di Siracusa c.
Conigliaro.
L'accettazione delle tabelle millesimali - desumibile anche da fatti concludenti, come il costante pagamento delle
quote condominiali in base ad esse dovuto - non ne esclude l'impugnabilit, ex art. 69, n. 1, att. c.c., per
obiettiva divergenza del valore considerato rispetto a quello reale, sempre che questa discenda da errori di fatto,
attinenti alle caratteristiche degli elementi necessari, ex art. 68 att. c.c., per la valutazione, o di diritto, in ordine
alla identificazione degli elementi stessi, restando, di conseguenza, esclusa la rilevanza di apprezzamenti
soggettivi nella stima commerciale di questi ultimi, con la conseguenza che non costituisce errore idoneo a
fondare la suddetta impugnativa l'attribuzione alle unit immobiliari del piano terreno - obiettivamente destinate
per conformazione strutturale ad attivit commerciali - di un valore pi elevato rispetto a quello derivante dal
mero calcolo della superficie o della cubatura.
Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1994, n. 1776, Marocco c. Lanzetti.
L'atto costitutivo del condominio pu senz'altro sottrarre al regime della condominialit, di cui all'art. 1117 c.c., i
pianerottoli di accesso dalle scale ai singoli appartamenti e riservarli, in tutto o in parte, al dominio personale
esclusivo dei proprietari di questi.
Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1994, n. 2392, Raspi c. Misuraca.
I condomini che non hanno personalmente partecipato al giudizio di primo grado siccome rappresentati nel
processo dall'amministratore del condominio, possono proporre impugnazione in luogo dell'amministratore,
presente nel giudizio di primo grado, ma non appellante. Non sussistono, infatti, impedimenti a che i singoli
condomini, i quali in primo grado hanno partecipato al giudizio siccome rappresentati dall'amministratore,
propongano personalmente l'impugnazione, se l'amministratore non impugna.
Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1994, n. 2393, Montalto e altro c. Soc. Imm. La Frasca.
Il principio per cui, essendo il condominio un ente di gestione sfornito di personalit distinta da quella dei suoi
partecipanti, l'esistenza dell'organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a
difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, n quindi del potere d'intervenire nel giudizio in cui tale difesa
sia stata legittimamente assunta dall'amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per
evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti dell'amministratore stesso, che vi abbia
fatto acquiescenza, non trova applicazione con riguardo alle controversie aventi ad oggetto l'impugnazione di
deliberazioni dell'assemblea condominiale che, come quelle relative alla gestione di un servizio comune (nella
specie, l'ascensore), tendono a soddisfare esigenze soltanto collettive della gestione stessa, senza attinenza
diretta all'interesse esclusivo di uno o pi partecipanti, con la conseguenza che, in tali controversie, la
legittimazione ad agire - e, quindi, anche ad impugnare - spetta in via esclusiva all'amministratore, la cui
acquiescenza alla sentenza esclude la possibilit d'impugnazione proposta dal singolo condomino.
Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1994, n. 2450, Rotondano c. Condominio Via Onorio 2 Roma.
Poich l'art. 1136 c.c. non prescrive particolari modalit di notifica ai condomini per l'avviso di convocazione per
la regolarit delle relative assemblee, si deve ritenere che la disposizione di legge sia stata osservata quando
risulta provato, anche a mezzo di presunzioni, che i condomini abbiano, in qualunque modo, avuto notizia della
convocazione.
Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1994, n. 2452, Condominio via Altamura 16 c. Ventrella.
Per il disposto degli artt. 1130 e 1131 c.c. l'amministratore del condominio ha la legittimazione ad agire in
giudizio, nei confronti del condomino moroso per la riscossione dei contributi, senza necessit di autorizzazione
da parte dell'assemblea, rilevando l'esistenza o meno di uno stato di ripartizione delle spese approvato
dall'assemblea soltanto in ordine alla fondatezza della domanda, con riferimento all'onere probatorio a suo
carico.
Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1994, n. 2453, Soc. Impresa Ciceri c. Alberto e altro.
Il termine di giorni 30, previsto dall'art. 1132 c.c., per l'atto di estraniazione dalle liti del condomino dissenziente,

di decadenza, com' fatto palese dalle parole usate e dalla ratio legis correlata all'esigenza di provvedere in
tempi brevi all'amministrazione e di dare certezza ai rapporti condominiali caratterizzati da dinamismo e rapidit:
ne consegue che la decadenza per la relativa inosservanza non pu essere rilevata dal giudice di ufficio.
Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1994, n. 2454, Perale c. Condominio Maurizio 64.
Dalla compropriet delle cose, dei servizi e degli impianti comuni nascono per i condomini delle obbligazioni
propter rem con la conseguenza che, in particolare, la responsabilit per i danni derivanti alle unit immobiliari in
propriet esclusiva dalle cose comuni grava su tutti i condomini, essendo questi tenuti alla manutenzione delle
cose comuni, con l'obbligo di adottare tutte le cautele idonee a scongiurare i pregiudizi, e quindi, responsabili
ove tali pregiudizi si verifichino.
Cass. civ., sez. II, 17 marzo 1994, n. 2546, Panni c. Condominio Residence S. Michele di S. Menaio.
Il regolamento di condominio predisposto dal costruttore-venditore che contenga vincoli afferenti all'intero
edificio - e, quindi, a tutte le unit immobiliari comprese nel fabbricato - quando sia stato da questi trascritto nei
registri immobiliari, opponibile non soltanto a coloro che acquistano le unit immobiliari da proprietari che
abbiano accettato esplicitamente o implicitamente il regolamento stesso, ma anche a coloro che, in epoca
successiva alla trascrizione, per la prima volta acquistino piani dell'edificio o loro porzioni direttamente dal
costruttore, anche in assenza di espressa previsione in tal senso nei singoli atti di acquisto, atteso che tutti
costoro, non avendo partecipato all'approvazione del regolamento o alla stipulazione degli atti, devono
ricomprendersi, prima della conclusione del loro acquisto, come terzi rispetto ai quali opera, ai fini
dell'opponibilit dei vincoli suddetti, siffatta forma di pubblicit.
Cass. civ., sez. II, 19 marzo 1994, n. 2609, Boffoli c. Cond. gen. della Centrale Termica del Complesso ex
Pizzirani.
La disciplina del codice civile nel condominio negli edifici deve essere applicata ad ogni parte, bene e servizio
comune che rientri, per la sua struttura e destinazione, tra quelli indicati dall'art. 1117 c.c., a nulla rilevando che i
piani o porzioni di piano alla cui utilizzazione o migliore utilizzazione le cose servono siano compresi in un
edificio unico o in edifici autonomi per effetto di successiva divisione.
Cass. civ., sez. II, 21 marzo 1994, n. 2683, Idi Srl c. Condominio di Via Frua n. 12 Milano.
Nel caso di violazione del divieto contenuto in un regolamento condominiale contrattuale di destinare i singoli
locali di propriet esclusiva dell'edificio condominiale a determinati usi (nella specie: divieto di esercitare attivit
commerciale) il condominio pu richiedere anche nei diretti confronti del conduttore del locale di propriet
esclusiva la cessazione della destinazione abusiva, con la conseguente esistenza di una situazione di
litisconsorzio necessario con il proprietario del detto locale, che sia stato con esso convenuto in giudizio,
riguardando la validit della clausola del regolamento tanto il proprietario quanto il conduttore. Ne deriva che il
giudice d'appello il quale accerti la nullit di notifica della citazione introduttiva del giudizio nei confronti del primo
di detti soggeti deve rimettere l'intera causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 354 c.p.c., restando
esclusa la possibilit di decisioni separate nei confronti, rispettivamente, del proprietario e del conduttore, in
ordine alla legittimit dell'uso dell'unit immobiliare, attesa anche l'opportunit di evitare giudicati contraddittori.
Cass. civ., sez. II, 24 marzo 1994, n. 2862, Zimbalatti R. c. Zimbalatti A.
Gli artt. 1 e 3 L. 6 maggio 1940 n. 554, dettati con riguardo alla disciplina degli aerei esterni per audizioni
radiofoniche, ma applicabile per analogia anche alle antenne televisive e l'art. 231 del D.P.R. 29 marzo 1973 n.
156, stabilendo che i proprietari dell'edificio non possono opporsi alla installazione esterna di antenne da parte di
abitanti dello stesso stabile per il funzionamento di apparecchi radiofonici o televisivi, attribuiscono al titolare
dell'utenza il diritto all'installazione dell'antenna sulla terrazza dell'edificio, ferma restando la facolt del
proprietario al libero uso di questa secondo la sua destinazione ancorch comporti la rimozione od il diverso
collocamento dell'antenna, che resta a carico del suo utente, all'uopo preavvertito. Ne deriva che il proprietario
della terrazza che vi abbia eseguito dei lavori comportanti la rimozione dell'antenna non pu essere condannato
al ripristino nello stato preesistente, posto che spetta all'utente provvedere a sua cura e spese alla rimozione ed
al diverso collocamento dell'antenna.
Cass. civ., sez. II, 26 marzo 1994, n. 2953, Lauricella c. Gambino e altra.
I muri perimetrali di un edificio condominiale sono destinati al servizio esclusivo dell'edificio stesso di cui
costituiscono parte organica. Per tale loro funzione e destinazione possono essere usati dal singolo condomino
solo per il miglior godimento della parte di edificio di sua propriet esclusiva, ma non possono essere utilizzati,
senza il consenso di tutti i condomini, per l'utilit di altro immobile di sua esclusiva propriet non facente parte
del condominio, in quanto ci implicherebbe la costituzione di una servit in favore di un bene estraneo al
condominio. Ne consegue che il condomino il quale voglia appoggiare al muro condominiale una costruzione
realizzata su suolo contiguo di sua propriet esclusiva non pu farlo senza il consenso degli altri condomini, non
essendo applicabile la disciplina dell'art. 884 c.c. (costruzione in appoggio al muro comune).
Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1994, n. 3542, Monguzzi c. Cond. Villa Keller di Monza.
La deliberazione dell'assemblea condominiale che modifichi a maggioranza una tabella millesimale
contrattualmente approvata ovvero fissi criteri di ripartizione delle spese comuni secondo criteri diversi da quelli
stabiliti dalla legge, inficiata da nullit, per il cui accertamento sono legittimati, dal lato attivo, ciascun
condomino, ivi compreso quello che abbia espresso voto favorevole - non operando al riguardo la regola, propria
della materia processuale (art. 157 c.p.c.), secondo cui la nullit non pu essere fatta valere dalla parte che vi ha
dato causa - e, passivamente, soltanto l'amministratore del condominio, senza necessit di partecipazione al
giudizio dei singoli condomini, i quali, invece, sono parti necessarie esclusivamente rispetto alla diversa azione
diretta ad ottenere modificazioni in sede giudiziale della tabella millesimale.
Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1994, n. 3607, Bocale c. Balistreri.
L'amministrazione del condominio cessato dalla carica non legittimato ad impugnare la sentenza - resa nella
causa cui egli abbia partecipato in rappresentanza del condominio stesso - pronunciata successivamente a tale

cessazione, accompagnata da revoca espressa del precedente mandato.


Cass. civ., sez. II, 18 aprile 1994, n. 3666, Cond. di via Peschiera n. 19 di Genova c. Cattanei.
Alle spese di potatura degli alberi che insistono su suolo oggetto di propriet esclusiva di un solo condomino
sono tenuti a contribuire tutti i condomini allorch si tratti di piante funzionali al decoro dell'intero edificio e la
potatura stessa avvenga per soddisfare le relative esigenze di cura del decoro stesso.
Cass. civ., sez. II, 19 aprile 1994, n. 3714, Elefante c. Elefante.
Allorquando pi soggetti, singolarmente proprietari in via esclusiva di aree tra loro confinanti, si accordino per
realizzare su tali aree accorpate una costruzione, sia pure concepita e progettata in modo unitario, ciascuno di
essi diventa proprietario, parimenti in via esclusiva per il principio dell'accessione (art. 934 c.c.), della parte di
edificio che viene ad insistere in proiezione verticale sull'area a lui appartenente (sempre che non intervengano
delle convenzioni, rivestite della forma scritta ad substantiam a norma dell'art. 1350 c.c., atte a modificare la
situazione giuridica prodottasi per effetto dell'indicato principio), con la conseguenza che anche le opere e
strutture inscindibilmente poste al servizio dell'intero fabbricato (es. scale, androne, impianto di riscaldamento
ecc.) rientrano per accensione, in tutto o in parte a seconda della loro collocazione, nella propriet esclusiva
dell'uno o dell'altro dominus soli, salvo l'instaurarsi sulle medesime, in quanto funzionalmente inscindibili, di una
comunione incidentale di uso e di godimento, che comporta l'obbligo dei singoli proprietari di contribuire alle
relative spese di manutenzione e di esercizio in proporzione dei rispettivi diritti dominicali.
Cass. civ., sez. II, 19 aprile 1994, n. 3717, Soc. Torrevecchia c. Quinto ed altri.
Il singolo condomino da solo ovvero un gruppo di condomini senza necessit di chiamare in giudizio gli altri
condomini o l'amministratore del condominio possono proporre l'azione giudiziaria contro il costruttore-venditore
per rivendicare il diritto reale d'uso sull'area dell'edificio destinata a parcheggio con atto d'obbligo nei confronti
dell'amministrazione comunale, non ricorrendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario.
Cass. civ., sez. II, 20 aprile 1994, n. 3747, Papone c. Cond. Via Pirinoli.
L'approvazione da parte dell'assemblea dei condomini del rendiconto di un determinato esercizio non
presuppone che la contabilit sia redatta dall'amministratore con forme rigorose, analoghe a quelle prescritte per
i bilanci delle societ, ma sufficiente che la contabilit sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di
entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione.
Cass. civ., sez. II, 20 aprile 1994, n. 3747, Papone c. Cond. Via Pirinoli.
Per il disposto degli artt. 1135 e 1137 c.c. la deliberazione dell'assemblea condominiale che approva il
rendiconto annuale dell'amministratore pu essere impugnata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine
stabilito dall'art. 1137, terzo comma, c.c. non per ragioni di merito, ma solo per ragioni di mera legittimit,
restando esclusa una diversa forma di invalidazione ex art. 1418 c.c., non essendo consentito al singolo
condomino rimettere in discussione i provvedimenti adottati dalla maggioranza se non nella forma
dell'impugnazione della delibera.
Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1992, n. 1195, Canora c. Cond. di via Paolo Veronese, n. 13, di Palermo.
Regolamento di condominio - Limitazioni dei diritti di propriet esclusiva.
I limiti di destinazione e di uso imposti da un regolamento di condominio ad una unit immobiliare di propriet
esclusiva sono opponibili, pur in difetto della trascrizione del relativo atto, al terzo acquirente, nel caso in cui lo
stesso nel contratto di compravendita abbia espressamente dichiarato di conoscere il regolamento di
condominio e di accettarlo in ogni sua parte (nella specie il regolamento condominiale conteneva una clausola
che vietava ladibizione degli appartamenti ad attivit rumorose, insalubri, ed emananti esalazioni nocive o
sgradevoli).
Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1994, n. 3832, Fiorillo c. Aliboni.
In tema di edifici in condominio, affinch una terrazza a livello, che esplichi anche funzioni di copertura dei piani
sottostanti, possa ritenersi di propriet esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui si accede alla terrazza
stessa, ove tale appartenenza non risulti dal titolo, necessario che essa faccia parte integrante da un punto di
vista strutturale e funzionale del piano cui annessa, di guisa che la funzione di copertura dei piani sottostanti si
profili come meramente sussidiaria.
Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1994, n. 3938, Arcadi e altra c. Cond. di via Dei Marsi n. 42 di Roma.
Sulle delibere delle assemblee di condominio degli edifici il sindacato dell'autorit giudiziaria non pu estendersi
alla valutazione del merito ed al controllo della discrezionalit di cui dispone l'assemblea quale organo sovrano
della volont dei condomini, ma deve limitarsi al riscontro della legittimit che, oltre ad avere riguardo alle norme
di legge o del regolamento condominiale, si estende anche all'eccesso di potere, ravvisabile quando la causa
della deliberazione sia falsamente deviata dal suo modo di essere, in quanto anche in tal caso il giudice non
controlla l'opportunit o convenienza della soluzione adottata dall'impugnata delibera, ma deve solo stabilire se
la delibera sia o meno il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell'assemblea. (Nella specie, in
applicazione del principio surriportato, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano
respinto un'impugnativa con la quale si contestava l'opportunit della scelta operata dall'assemblea
condominiale per aver approvato un preventivo di spesa per lavori straordinari in luogo di altro preventivo
asseritamente pi vantaggioso).
Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1994, n. 3946, Condominio di via Isimbardi n. 2 di Bresso c. Lamanna.
affetta da nullit - e quindi sottratta al termine di impugnazione previsto dall'art. 1137 c.c. - la deliberazione
dell'assemblea condominiale che incida sui diritti individuali di un condomino, come quella che ponga a suo
totale carico le spese del legale del condominio per una procedura iniziata contro di lui, in mancanza di una
sentenza che ne sancisca la soccombenza, e detta nullit, a norma dell'art. 1421 c.c., pu essere fatta valere
dallo stesso condomino che abbia partecipato all'assemblea ancorch abbia espresso voto favorevole alla
deliberazione, ove con tale voto non si esprima l'assunzione o il riconoscimento di una sua obbligazione.
Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1994, n. 3952, Safier c. Cond. di via Livorno n. 85 di Roma.

Per le deliberazioni dell'assemblea in seconda convocazione concernenti le materie indicate dall'art. 1136,
quarto comma, c.c., tra le quali la nomina dell'amministratore, il richiamo alle maggioranze stabilite dall'art. 1136,
secondo comma, c.c., non vale ad estendere il quorum costitutivo dell'assemblea in prima convocazione, ma
importa che per la costituzione dell'assemblea, come per l'approvazione di esse, richiesta una maggioranza
che rappresenti almeno la met del valore dell'edificio e che sia costituita dalla maggioranza degli intervenuti e
da almeno un terzo dei partecipanti al condominio.
Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1994, n. 3952, Safier c. Cond. di via Livorno n. 85 di Roma.
In difetto di norme particolari, i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino
rappresentato sono disciplinati dalle regole sul mandato con la conseguenza che solo il condomino delegante
legittimato a far valere gli eventuali vizi della delega.
Cass. civ., sez. II, 18 maggio 1994, n. 4831, Condominio di Via Campania nn. 15 e 17 di Taranto c. Masella.
Nel condominio degli edifici anche le spese di manutenzione ordinaria e quelle fisse relative ai servizi comuni
essenziali richiedono la preventiva approvazione dell'assemblea dei condomini essendo questa espressamente
richiesta dall'art. 1135, n. 2, c.c. per tutte le spese occorrenti durante l'anno e non solo per le spese di
straordinaria manutenzione alle quali si riferisce il citato art. 1135, n. 5. pertanto annullabile la delibera
dell'assemblea che autorizza l'amministratore ad aumentare i contributi previsti dal preventivo di spese
approvato.
Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1994, n. 4996, Borgato c. Cond. Il Casone di Cernobbio.
Il comproprietario di un cortile destinato al parcheggio degli autoveicoli dei condomini non pu utilizzarne una
parte per la costruzione di una autorimessa per la propria auto, comportando questa una alterazione sia della
consistenza strutturale della cosa comune che della destinazione funzionale della stessa, cos utilizzata, oltre
che per la sosta della autovettura, per il deposito dei relativi accessori e di altri beni.
Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1994, n. 4996, Borgato c. Cond. Il Casone di Cernobbio.
Il condomino pu aprire nel muro comune dell'edificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti solo se
queste opere, di per s non incidenti sulla destinazione della cosa, non pregiudichino il decoro architettonico
dell'edificio.
Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1994, n. 5083, Cond. di via Assarotti, n. 44, di Genova c. Galli.
La nomina di un nuovo amministratore di condominio in sostituzione del precedente dimissionario, per spiegare
efficacia nei confronti dei terzi deve avvenire con una deliberazione dell'assemblea nelle forme di cui all'art. 1129
c.c..
Cass. civ., sez. I, 3 giugno 1994, n. 5374, Farano c. Cascella.
In tema di separazione personale, qualora il giudice attribuisca ad uno dei coniugi la casa familiare di propriet
dell'altro coniuge, la gratuit di tale assegnazione si riferisce solo all'uso dell'abitazione (per il quale non deve
versarsi corrispettivo), ma non si estende alle spese correlate a tale uso, quali quelle condominiali, che
riguardano la manutenzione delle cose comuni - poste a servizio anche della casa familiare - e vanno
legittimamente poste a carico del coniuge assegnatario.
Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1992, n. 2084, Rotondano c. Cond. V. Onofrio RM.
L'assemblea di un condominio edilizio pu validamente deliberare con la maggioranza di cui allart. 1136 comma
secondo c.c. la specifica destinazione di un locale di propriet comune a garage in relazione alle caratteristiche
obiettive del locale medesimo (nella specie: locale situato al piano terra dell'edificio con accesso alla via
pubblica mediante una rampa carrabile) non importando una sostanziale modifica della cosa comune bens
trattandosi di un atto di amministrazione diretto ad assicurare a tutti i condomini il miglior godimento e la migliore
utilizzazione della cosa comune, senza che ne derivi una violazione del principio del godimento paritario per
l'impossibilit di assicurare a ciascun condomino un posto macchina, in quanto il pari uso della cosa comune
non postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i compartecipi della comunione,
che resta affidato alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza.
Cass. civ., sez. II, 9 giugno 1994, n. 5608, Fedrizzi e altri c. Soc. Piemme.
La nomina di un nuovo amministratore del condominio di edificio non richiede la previa formale revoca
dell'amministratore in carica, atteso che dando luogo ad un rapporto di mandato, comporta, ai sensi dell'art.
1724 c.c., la revoca di quello precedente.
Cass. civ., sez. II, 9 giugno 1994, n. 5608, Fedrizzi e altri c. Soc. Piemme.
L'amministratore del condominio negli edifici non pu essere una persona giuridica sia perch il rapporto di
mandato essenzialmente caratterizzato dalla fiducia sia perch le norme del codice civile sull'amministrazione
dei condomini presuppongono che l'amministratore sia una persona fisica, ed in tal senso ne disciplinano il
controllo giudiziario dei relativi atti.
Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1994, n. 6119, Penna c. Condominio Orchidea.
Poich il diritto di ciascun condomino investe la cosa comune nella sua interezza sia pure con il limite del
concorrente diritto degli altri condomini, anche un solo condomino pu promuovere le azioni reali a difesa della
propriet comune senza che sia necessario integrare il contradditorio nei confronti di tutti i partecipanti alla
comunione. Pertanto tali azioni possono essere deliberate anche a maggioranza dall'assemblea dei condomini
la quale pu conferire all'amministratore o ad altri il potere di agire nel comune interesse.
Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1994, n. 6119, Penna c. Condominio Orchidea.
Per il disposto degli artt. 1130 e 1131, comma 1, c.c. l'esperimento da parte dell'amministratore del condominio
di un edificio dell'actio confessoria servitutis nei confronti di un singolo condomino e di un terzo richiede
l'autorizzazione dell'assemblea o il mandato espresso dei singoli partecipanti vertendosi in tema di azione reale
con finalit non meramente conservative, la quale esula dai limiti delle normali attribuzioni dell'amministratore.
Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1994, n. 6187, Cancani c. Condominio di Via Segesta 10 e Via Erachia 3 in Roma.
In tema di ripartizione delle spese condominiali, passivamente legittimato, rispetto all'azione giudiziale per il

recupero della quota di competenza, il vero proprietario della porzione immobiliare e non anche chi possa
apparire tale - come uno dei coniugi che curi personalmente ed attivamente la gestione della propriet dell'altro
coniuge - difettando, nei rapporti fra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso le condizioni per l'operativit
del principio dell'apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dei terzi in buona fede.
Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1994, n. 6501, Condominio Via Sette Chiese 290-Roma c. Nuova Lidia Srl.
Le norme dei regolamenti che investono i poteri e le facolt che i singoli condomini hanno, iure domini, sulle loro
parti esclusive, restringendo in tal modo, nell'interesse comune, il contenuto del loro diritto di propriet sulle parti
stesse, debbono assumere carattere convenzionale nel senso che, se precostituite, debbono essere accettate
dai condomini nei contratti di acquisto o, con separati atti esprimenti la loro volont di accettare, se deliberate
dall'assemblea dei condomini.
Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1994, n. 6501, Condominio Via Sette Chiese 290-Roma c. Nuova Lidia Srl.
L'approvazione delle tabelle millesimali, allegate al regolamento di condominio, quale atto di mera natura
valutativa del patrimonio ai limitati effetti della distribuzione del carico delle spese condominiali, nonch della
misura del diritto di partecipazione alla formazione della volont assembleare del condominio, non idoneo a
modificare gli effetti giuridici traslativi derivanti dal contratto di acquisto.
Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1994, n. 6696, Alvaro c. Galvani.
Il regime di cui all'art. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 introdotto dall'art. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765 (cosiddetta legge ponte) e rimasto immutato dopo l'entrata in vigore della legge 28 febbraio
1985, n. 47 il cui art. 26, ultimo comma stabilisce che gli spazi di parcheggio costituiscono pertinenze, non
comporta che tali aree, fermo restando il vincolo di destinazione, rientrino tra le parti comuni dell'edificio a norma
dell'art. 1117 c.c.
Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 1992, n. 2363, Sas Girotondo c. Agosti. Uso della cosa comune - Limiti.
Il potere di ogni condomino di agire per la gestione ordinaria del bene comune, traendo origine dal diritto di
concorrere alla amministrazione di tale bene (art. 1105 c.c.), incontra il suo limite nell'obbligo di rispettare la
volont della maggioranza con la conseguenza che, ove questa non possa essere raggiunta, nessuno dei
condomini pu porre in esecuzione, contro la volont espressa degli altri condomini, il cennato potere di
amministrazione con azioni giudiziarie in relazione alle quali la sua carenza di legittimazione attiva deve essere
rilevata dal giudice anche di ufficio (nella specie, trattavasi di azione per la determinazione del canone locativo
dovuto dal conduttore dell'immobile comune).
Cass. civ., sez. II, 22 agosto 1994, n. 7464, Iorio c. Pavone. con nota di S. MAGLIA.
Dal solaio che divide due unit abitative, l'una all'altra sovrapposta, formando una struttura comune che i
proprietari delle due unit possono modificare solo alla condizione che non venga alterata la destinazione della
cosa e che non sia impedito all'altro di farne parimenti uso secondo il suo diritto, deve essere distinta la
copertura (o pavimento) del solaio, che appartiene esclusivamente al proprietario dell'abitazione sovrastante e
che pu essere, quindi, da questo liberamente rimossa o sostituita secondo la sua utilit e convenienza.
Cass. civ., sez. II, 29 agosto 1994, n. 7569, Andreucci c. Condominio Viale Quattro Venti n. 231/233 di Roma.
Non esiste un obiettivo rapporto di pregiudizialit comportante la necessit della sospensione del processo a
norma dell'art. 295 c.p.c. tra il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso ai sensi dell'art. 63 att. c.c.
sulla base di una deliberazione dell'assemblea condominiale che approva la ripartizione delle spese tra i
condomini ed il giudizio di impugnazione della deliberazione ex art. 1137 c.c., giacch la condanna al
pagamento condizionata non alla validit della delibera assembleare, ma soltanto al perdurare della sua
efficacia sicch il giudice dell'opposizione deve limitarsi a prender atto che la sospensione dell'esecuzione della
deliberazione non sia stata ordinata dal giudice investito dell'impugnazione ai sensi dell'art. 1137 cit..
Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1994, n. 7652, Pezzi c. Bertagnolli.
L'art. 1102 c.c. intende assicurare al singolo partecipante, per quel che concerne l'esercizio del suo diritto, la
maggior possibilit di godimento della cosa comune, nel senso che, purch non resti alterata la destinazione del
bene comune e non venga impedito agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa, egli deve ritenersi
libero di servirsi della cosa stessa anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilit, senza
che possano costituire vincolo per lui forme pi limitate di godimento attuate in passato dagli altri partecipanti, e
pu scegliere, tra i vari possibili usi quello pi confacente ai suoi personali interessi. (Nella specie si escluso
che esorbiti dal corretto uso della cosa comune la transennatura e l'occupazione periodica di un portico con
legna da parte di un condomino, in assenza di prova del carattere stabile dell'occupazione e di un apprezzabile
pregiudizio per gli altri condomini).
L'omessa indicazione negli atti d'acquisto delle singole porzioni immobiliari, facenti parte dello stabile ed a suo
tempo pervenute ai membri del condominio della stessa societ originaria unica proprietaria dell' intera area,
dell' esistenza di una servit a favore di altro stabile condominiale non impedisce l'opponibilit della servit
stessa ai membri della collettivit convenuta.
Considerato, infatti, il carattere reale del diritto costituito a favore dei membri della collettivit attrice deve
considerarsi irrilevante la mancata menzione dello stesso nei successivi atti d'acquisto dei condomini
dell'immobile convenuto, i quali da tale mancata menzione potranno far discendere iniziative ex art. 1489 cod.
civ. nei confronti del loro dante causa, ma non certo affermare l'inopponibilit a s medesimi del diritto reale gi
gravante sulla parte comune dell'immobile loro trasferito.
Tribunale di Milano , sez. VIII, 26 novembre 2003, n. 16418
Se il palazzo stato ultimato dall'1 settembre 1967 al 6 aprile 1989, cambia tutto. La legge urbanistica ha infatti
stabilito che per ogni edificio che risale a quel periodo dovesse esistere almeno un metro
quadrato destinato a parcheggio per ogni 20 metri cubi di costruzione. Fatte grossomodo le proporzioni, a un
alloggio di 100 metri quadrati, corrisponde uno spazio-auto di 16 metri quadrati. Questi parcheggi sono per

posti a servizio dell'edificio nella sua globalit, e non di un singolo appartamento.


Se non ci sono posti auto esterni, box sotterranei o al piano terra, superfici simili possono esistere solo in cortile.
Un articolo del regolamento condominiale che ne vieti l'utilizzo quindi illegittimo. Non
solo: se una parte di questo spazio stato venduto od affittato ad altri, la relativa clausola del rogito nulla
(sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, del 18 luglio 1989).
Se l'edificio risale a dopo il 6 aprile 1989 valgono le stesse regole spiegate nel paragrafo precedente, con una
variante: lo standard di aree a parcheggio salito a un metro quadrato ogni 10 metri cubi di costruzione (un box
auto doppio per ogni appartamento di 120 metri quadrati.
BOX IN CONDOMINIO: QUALI VICOLI DI LEGGE
Tipi di box Liberi o vincolati? Limitazioni Box in edifici costruiti con licenza o concessione.
rilasciate prima dell'1 settembre 1967 Liberi Destinabili a chiunque, in uso, vendita o locazione
rilasciate dal settembre 1967 al 6 aprile 1989 Vincolati, nei limiti di 1 m2 ogni 20 m3 di costruzione Da destinare
in uso al condominio o ai condomini
Liberi oltre tale limite Destinabili a chiunque, in uso, vendita o locazione rilasciate dal 7 aprile 1989 in poi
Vincolati, nei limiti di 1 m2 ogni 10 m3 di costruzione Da destinare in uso al condominio o ai condomini
Liberi oltre tale limite Destinabili a chiunque, in uso, vendita o locazione Box realizzati ai sensi della legge
Tognoli in edifici esistenti Nel sottosuolo o al piano terra degli edifici esistenti Vincolati Invendibili separatamente
all'unit immobiliare di cui sono
pertinenza All'esterno dell'edificio Vincolati
All'esterno dell'edificio, in aree comunali Vincolati. Diritto di superficie max 90 anni
Fonte: Ufficio Studi Confappi
Spesso, impossibile vendere il posto auto
La cronica carenza di posti auto, nonostante l'incremento della circolazione dei veicoli, ha fatto s che le leggi
intervenissero pesantemente sulla realizzazione dei parcheggi, regolamentando i loro uso da parte dei cittadini,
per motivi di pubblica utilit.
Proprio per questo, per tracciare un identikit del parcheggi situati in condominio, occorre saper distinguere tra tre
diverse categorie: quelli
con vincolo condominiale, quelli con vincolo al singolo appartamento e, infine, quelli liberi da limitazioni.
Parcheggi con vincolo condominiale
Sono quelli esistenti in edifici costruiti con licenza o concessione rilasciate dopo il 1 settembre 1967 cio in
palazzi nuovi o recenti. Talora debbono essere costruiti anche in conseguenza ad addizioni e
sopralzi che aumentano la volumetria abitabile dei vecchi palazzi. Nelle nuove edificazioni una certa area (non
importa se coperta o scoperta) deve essere destinata a parcheggio. Si tratta di un metro
quadrato ogni venti metri cubi di costruzione (per concessioni rilasciate dal settembre 1967 al 6 aprile 1989) o
del doppio, e cio un metro quadrato ogni dieci metri cubi di costruzione, per concessioni successive al 7 aprile
1989. Grossomodo, quest'ultima misura corrisponde a un box doppio per ogni appartamento di 100 metri
quadrati.
La legge non si preoccupa di chi sia propriet, purch l'uso sia dei condomini. In altre parole box o posti auto
scoperti possono essere condominiali, oppure di propriet singola, o infine addirittura di
propriet di terzi, purch affittati o dati in uso gratuito ai condomini del palazzo. In altre parole se il costruttore del
palazzo, o i singoli condomini, vendono questi posti auto a terzi estranei al condominio, non tanto messa in
dubbio la nuova propriet, quanto il diritto a destinare il posto auto a persone che non vivono nel palazzo.
Viceversa, vendite e scambi tra condomini non sono ostacolate. Almeno, questa l'interpretazione scaturita da
alcune, fondamentali, sentenze della
Cassazione (tra quelle di "avanguardia", le n. 2129/1988, n. 3363/1989 e, tra le pi recenti, n. 973/1999, n.
341/2001, n. 4530/2001 e n.
13857/2001). Parcheggi legati al singolo appartamento.
Sono quelli costruiti, in edifici gi esistenti, con le facilitazioni urbanistiche previste dell'articolo 9 della legge n.
122/1989 (legge Tognoli), che sono legati a un particolare vincolo pertinenziale con le singole unit abitative in
condominio e non possono essere venduti separatamente da esse. Ne esistono di tre tipi:
a) Quelli ricavati al pian terreno o nel sottosuolo dell'edificio. La loro realizzazione deve essere decisa
dall'assemblea dei condomini con la maggioranza degli intervenuti e con perlomeno 500 millesimi. A ogni unit
immobiliare del condominio deve corrispondere almeno un posto auto, non importa se di propriet singola o
comune.
b) quelli realizzati grazie alle integrazioni alla legge Tognoli portate dalla legge n. 127/1997. Possono essere
costruiti anche solo da una parte dei condomini, in aree esterne al condominio stesso, e divengono pertinenziali
ai loro appartamenti e, in questo caso, non occorre l'assenso dell'assemblea condominiale. Hanno comunque lo
stesso vincolo di
inalienabilit.
c) quelli edificati esternamente al condominio, sempre con le facilitazioni urbanistiche previste dall'articolo 9
della legge 122/89, su aree comunali o nel loro sottosuolo, si iniziativa di privati o cooperative edili. Le aree sono
attribuite dai comuni con un'apposita convenzione in diritto di superficie, della durata massima di novant'anni.
Bench la vendita separatamente dall'appartamento sia vietata, non sembra che si possa dire lo stesso per
l'affitto. Perlomeno la legge non fa alcun cenno a proposito.
Parcheggi, liberi

Sono, innanzitutto, quelli esistenti in edifici costruiti con licenza o concessione rilasciate prima dell'1 settembre
1967. Vanno per aggiunti quelli realizzati in edifici costruiti con licenza o concessione
successiva all'1 settembre 1967, ma non ai sensi della legge Tognoli, e che sono in sovrappi rispetto ai limiti di
un metro quadrato ogni venti metri cubi (fino al 6/4/89) o dieci metri cubi (dopo questa data). Sono in tutti i casi
posti auto e box commerciabili o locabili senza alcuna restrizione.
Box e recupero dei sottotetti
La materia, gi complessa, dei vincoli ai parcheggi, che vede in sostanza ben otto categorie diverse di posti auto
a confronto, resa ancor pi intricata dalle norme regionali. Come abbiamo premesso,
infatti, il vincolo di aree a parcheggio non vale solo per le nuove edificazioni, ma anche per le addizioni e i
sopralzi. In sostanza chi volesse incrementare di un piano un palazzo esistente, anche se di antica
costruzione, o semplicemente rendere abitabile un sottotetto, dovrebbe, almeno per norme nazionali, rendere
disponibili nuove aree a parcheggio.
Tuttavia eccezioni alla regola sono create da alcune norme regionali, tra cui quelle che facilitano il recupero dei
sottotetti nei palazzi esistenti. In caso contrario sarebbe ben difficile, in caso di soffitte
rese abitabili, trovare spazio per le auto. Per esempio in Piemonte e in Emilia si pu evitare di reperire aree a
parcheggio dietro il pagamento di
una somma. Stesso discorso in Liguria e Basilicata. La prima regione, per, impone l'area a parcheggio solo in
caso di unit abitativa autonoma nel sottotetto, la seconda d la stessa prescrizione, ma in pi aggiunge che
perch i parcheggi siano necessari deve esserci un aumento oltre il
15% del volume dell'edificio. Le leggi sui sottotetti di Lombardia, Campania e Veneto ignorano il
problema. Volutamente, almeno nel caso della Lombardia. perch, come afferma la circolare dell'Urbanistica 13
gennaio '97, gli spazi a
parcheggio sono previsti per legge per le nuove costruzioni, mentre l'incremento volumetrico dei sottotetti , per
legge regionale, classificato come "ristrutturazione edilizia".
Cortili e parcheggi
Vi un diritto di parcheggio delle auto in cortile, oppure no? Per rispondere , occorre premettere che la funzione
dei cortili, per l'articolo 1117 del codice civile, quella di dare luce, aria ed accesso
all'edificio condominiale, e non quello di alloggiare i posti auto. Quindi, in linea di principio, la sosta in cortile
concessa solo qualora sia prevista dal regolamento condominiale. In tal caso, se non esistono spazi sufficienti,
si dovr fare a turno, secondo regole approvate in assemblea o, meglio, nel regolamento stesso. Purtroppo il
cosiddetto "uso
turnario" difficilmente funziona, perch non raro che qualcuno si dimentichi di spostare l'auto, causando cos
continui litigi. Infine anche possibile che esista un diritto al posto auto (per esempio una servit) a favore solo
di uno o pi condomini.
Il diritto di parcheggio in cortile, se non vietato al regolamento, potrebbe comunque esistere, se si fa appello
all'articolo 1102 del codice, che prevede la possibilit per ciascuno di usare le parti comuni (cortile compreso).
Occorre per non impedire agli altri condomini lo stesso uso e comunque non creare loro danni. Perci solo un
cortile molto ampio potr
alloggiare le macchine di tutti senza intralci per le normali attivit del condominio.
Va infine aggiunto che, nei nuovi palazzi, la destinazione del cortile a posto auto pu essere una necessit,
imposta dalle leggi urbanistiche (vedi articoli sopra).
Spese di manutenzione ordinaria e straordinaria
Box sotto il cortile
A chi toccano le spese di manutenzione dei box singoli e di quelli comuni? La domanda potrebbe parere
retorica, ma non lo . Un primo problema si pone quando a coprire i box singoli (o il garage utilizzato solo da
parte dei condomini) il cortile condominiale. Se occorre ricostruire la pavimentazione, a chi tocca la spesa? A
tutti i
proprietari del palazzo, e quindi del cortile? Solo ai proprietari dei box? A entrambi? E in che misura?
La Cassazione, nel rispondere, si in passato costantemente contraddetta. Quella pi recente (per esempio
Cassazione 10 novembre 1998, n. 11283), ha affermato che spese di ricostruzione del cortile vanno imputate
per 2/3 ai proprietari dei box coperti dal piano e per 1/3 ai proprietari del cortile
(in genere tutti i condomini). Si tratta di un'interpretazione estensiva del criterio, stabilito dall'articolo 1126 del
codice civile, applicato ai lastrici solari ad uso esclusivo. Un criterio rafforzato dalla constatazione che la
copertura ha la funzione prevalente di proteggere i box, piuttosto che quello di consentire il passaggio in cortile.
Tant' vero che le spese per la soletta di protezione sono molto pi elevate di quelle che si affrontano quando
sotto il cortile non esistono vani. Non v per trascurato il fatto che esistono interpretazioni diverse, come quella
che imputa le spese met a proprietari del cortile, e met a quelli dei box, seguendo invece l'articolo 1125 del
codice civile. Un caso particolare quando i lavori di rifacimento del cortile che sovrasta i box impongono il
rifacimento di aiuole o comunque di superfici piantumate con alberi e cespugli. In questo caso ci pare logico che
le spese per rifare il giardino, diversamente da quelle per la soletta sottostante, competano a tutti i condomini
secondo i millesimi di propriet, perch tutti traggono vantaggio dall'abbellimento.
Box esterni
Nei box privati esterni, del tipo a schiera, un tetto unico pu coprire un intera fila di autorimesse. In tal caso
prevarrebbe, secondo la Cassazione (sentenza n. 7651/1997) il principio che il tetto comune ai condomini
proprietari dei box. Quindi le spese di manutenzione andranno ripartite in ragione ai loro millesimi di propriet.
Naturalmente il regolamento condominiale o un titolo di propriet possono stabilire diversamente. Se il tetto a
giardino, invece, vi l'interesse di tutti i condomini (e non solo dei proprietari dei box) a conservarne il decoro.

Quindi, la manutenzione compete a tutto il condominio.


Manutenzione facciata Quando il proprietario di un box o di un garage non abita nel palazzo, sorgono spesso
contestazioni sulla suddivisione delle
spese. Si tratta di liti che difficile risolvere, a meno che il regolamento condominiale contrattuale faccia cenno
alle regole che si applicano ai proprietari dei soli posti auto. Anche la tabella dei
millesimi di propriet pu dettare espressamente dei criteri di calcolo che tengano conto del minore uso delle
parti comuni tipico di chi proprietario solo di un posto in autorimessa.
Se non esistono regole e, per esempio, il box in cortile, il suo padrone contesta spesso la necessit di
partecipare alle spese di rifacimento della facciata condominiale o del tetto comune, che non copre il suo posto
auto.
Tuttavia la facciata svolge una funzione di decoro per l'intero complesso condominiale, anche a favore di chi
proprietario del solo box. Quindi,
in mancanza di indicazioni nel regolamento, anch'egli deve partecipare alla spesa, in proporzione ai suoi
millesimi
Tetto dell'edificio. Pi spinosa la questione del tetto di copertura che non serve il box. Se il condomino, per
accedere con l'auto, costretto a
passare nell'androne del palazzo, coperto dal tetto, non vi sono dubbi che debba contribuire. Stesso discorso se
il fabbricato servito da una portineria, e i locali del portiere sono sovrastati dal tetto in
riparazione: non si pu negare la partecipazione alla spesa, perch il portiere serve a tutti, lui compreso. Negli
altri casi, la questione controversa: la giurisprudenza pi recente propende comunque per escludere dalle
spese chi, di fatto, non trae alcuna utilit dal tetto.
Non vi dubbio, invece, che non toccano al proprietario del box spese del tutto estranee ai suoi interessi
(consumo di carburante, se il box non
riscaldato, riparazione di fognature, antenna centralizzata, autoclave eccetera).
Scale ed ascensori sotterranei
Le spese per scale ed ascensori sono ripartite secondo i criteri del codice civile, per met in ragione dei millesimi
di propriet, e per met
in ragione del piano. Lo stesso criterio vale anche quando la scala o l'ascensore danno accesso a box e garage
sotterranei. Ovviamente, a spendere saranno solo i proprietari dei box (salvo che la scala serva anche le
cantine). Se esistono pi piani sotterranei, pagher di pi chi deve scendere pi in basso per raggiungere l'auto.
L'acquisizione di tutte le unit immobiliari sottostanti al lastrico solare non comunque idonea a determinare lo
scorporo del relativo fabbricato dal contesto condominiale, mancando non solo un atto negoziale o, comunque,
una deliberazione assembleare formalmente idonei a determinare la separazione e, pertanto, il lastrico solare cos come il suolo su cui l'edificio eretto - continua a rimanere di propriet condominiale comune. Corte
d'Appello di Milano 19 dicembre 2003, n 3413
AGEVOLAZIONI COSTRUTTIVE
Cass. civ., sez. III, 2 giugno 1992, n. 6680, Celi ed altri c. Iacp di Roma.
Legge sullequo canone - Ambito di applicazione - Immobile costruito con mutui a tasso di interesse ridotto.
Gli alloggi soggetti alla disciplina dell'edilizia convenzionata, che lart. 26 comma primo, lett. c) della legge 27
luglio 1978, n. 392 sottrae al regime delle locazioni di immobili per uso abitativo dettato dai precedenti articoli,
sono solo quelli realizzati sulla base di convenzioni (tra le quali rientrano quelle tipo previste dagli artt. 7 ed 8 L.
28 gennaio 1977, n. 10) con le quali i comuni o i consorzi di comuni concedono a soggetti pubblici o privati, per
fini edificatori, con diritto di superficie o in propriet, aree ricomprese nei piani approvati ai sensi della L. 18
aprile 1962, n. 167 (cosiddetti piani di zona) gi espropriate dai comuni o dai loro consorzi, determinando non
solo le caratteristiche costruttive e tipologiche ed i termini di inizio ed ultimazione dei lavori di costruzione degli
edifici, ma anche i criteri di determinazione e revisione dei canoni di locazione (art. 35 comma 8 L. n. 167 citata).
Pertanto, non rientra nella predetta categoria, e di conseguenza non si sottrae alle norme dellordinaria
disciplina privatistica n alla legge sullequo canone, la locazione di immobile, costruito con mutui a tasso di
interesse ridotto, dal Governatorato del Comune di Roma ai propri dipendenti, che stipulata, secondo le norme di
diritto privato, tramite listituto per la casa dei dipendenti del Governatorato di Roma nel 1936
successivamente passata in gestione allIacp, che ha incorporato il predetto istituto.
Cass. civ., sez. III, 21 ottobre 1993, n. 10460, Mussi c. Micheletti.
Le disposizioni di legge sull'equo canone che attribuiscono al conduttore di immobile adibito per uso diverso da
quello di abitazione, per il caso di vendita dello stesso (artt. 35-38-69, L. 27 luglio 1978, n. 392), il diritto ad una
indennit per la perdita dell'avviamento commerciale, hanno uno scopo di tutela dell'avviamento inteso come
clientela e si riferiscono, perci, solo agli immobili che, adoperati dal conduttore come luogo aperto alla
frequentazione diretta e strumentalmente negoziale della generalit dei destinatari finali dell'offerta di beni e di
servizi, assumano la funzione di collettore di clientela e fattore locale di avviamento; ne consegue che l'indennit
non spetta in caso di vendita di immobile adibito dal conduttore come locale di esposizione in cui il pubblico non
accede o accede solo se accompagnato, dopo essere in altro modo entrato in contatto con l'organizzazione
commerciale del conduttore, se non risulti anche che in concreto tale locale in grado di esercitare, di per s, un
richiamo sulla clientela.
Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 1993, n. 10152, Iacp di Vicenza c. D'Andrea.
L'omessa verifica, all'atto della riconsegna delle chiavi, delle condizioni dell'appartamento locato e dei danni
arrecativi dal conduttore non , di per s, espressione di una inequivoca volont abdicativa del diritto del
locatore al risarcimento del danno e non implica, quindi, tacita rinuncia a tale diritto.

Sentenza del TAR Campania n. 4235/2004 si espresso in merito ad vicenda strettamente connessa con la
materia condominiale.
Il proprietario di un locale posto al secondo piano di un condominio aveva ottenuto il cambio di destinazione
d'uso degli ambienti per trasformarli in locali per la ristorazione, nonch le relative licenze commerciali.
Il Tar ha stabilito che la trasformazione in pubblico esercizio di unit immobiliare che fino ad allora era sempre
stata utilizzata per civile abitazione, incide "indubitabilmente sui diritti soggettivi (salute, privacy e diritti
patrimoniali sulla propriet) degli altri proprietari del medesimo fabbricato", che pertanto hanno il diritto ad
essere informati dell'avvio dei procedimenti modificativi richiesti.
Il Tar ha individuato nel Comune il soggetto obbligato a darne loro comunicazione onde consentirgli di "bloccare
ogni decisione favorevole a consentire nello stabile le attivit considerate incompatibili con la presenza di
abitazioni".
NIENTE CONDIZIONATORI SULLE FACCIATE CONDOMINIALI
TRIBUNALE DI MILANO
9.1.2004 - est. Ciampi
(Omissis)
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene questo Giudice che l'attorea domanda sia fondata e meriti, pertanto, di essere accolta.
Risulta pacifico in giudizio:
1) che parte convenuta abbia installato un compressore di un proprio condizionatore d'aria sulla facciata
condominiale, in posizione sporgente e perpendicolare sopra uno degli ingressi condominiali;
2) che tale installazione sia avvenuta senza alcun consenso condominiale.
Tale essendo il quadro dei fatti pacifici in giudizio si discute, poi, tra le parti stesse, circa l'assunto di parte
convenuta secondo cui l'installazione di cui si discute sarebbe perfettamente legittima e conforme al disposto
dell'art. 1102 c.c.
Ritiene questo Giudice che un tale assunto sia del tutto infondato:
risulta, infatti, evidente che la collocazione sulla facciata condominiale di un voluminoso corpo sporgente (quale
quello in discussione) alteri la destinazione della facciata stessa (che quella di fornire un aspetto architettonico
regolare e gradevole dell'edificio e non quello di contenere corpi estranei, che turbano l'equilibrio estetico
complessivo dell'edificio medesimo);
inoltre, nel citato contesto, risulta del tutto irrilevante che la facciata in questione non sia esposta al pubblico, ma
solo ai condmini, in quanto la legge tutela proprio il diritto degli stessi a non dover subire (e quindi, essere
soggetti a vedere) alterazioni antiestetiche del proprio bene comune.
Queste considerazioni, nel mentre dimostrano la completa inutilit dei richiesti accertamenti istruttori, hanno
convinto il Tribunale della fondatezza della domanda e ne giustificano l'accoglimento.
La condanna al pagamento delle spese di giudizio segue la soccombenza (art. 91 c.p.c.): si ritiene equo
liquidare tali spese, a favore di parte attrice, in ............................. per esborsi, ....................... per diritti ed
..........................per onorari.
P.Q.M.
Il Tribunale,
definitivamente pronunciando sulla domanda, respinta ogni altra richiesta ed eccezione;
accoglie
la proposta domanda e, per effetto,
condanna
la parte convenuta a rimuovere il compressore suddetto dalla facciata condominiale, nel termine di sei mesi dalla
pubblicazione della presente sentenza, facoltizzando l'attore, successivamente, ad eseguire la rimozione, con
diritto di rivalsa sul convenuto per le sopportate spese;
condanna
la parte convenuta a rimborsare alla parte attrice le spese del presente giudizio complessivamente liquidate in
........................ oltre accessori.
Cass. civ., sez. III, 4 novembre 1993, n. 10884
Il diritto del conduttore ad essere indennizzato per i miglioramenti apportati alla cosa locata a norma dell'art.
1592, comma 1, c.c. postula che detti miglioramenti siano stati effettuati con il consenso del locatore, non
essendo sufficiente a tal fine la sola scienza o la mancata opposizione del locatore medesimo.
Se al momento della riconsegna l'immobile locato presenta danni eccedenti il degrado dovuto al normale uso del
bene locato, il conduttore ha l'obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie
per il pristino, ma anche nel canone dovuto per tutto il periodo necessario per l'esecuzione e il completamento di
tali lavori.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14608 del 30 luglio 2004, precisando che, con
riferimento ai canoni nel periodo necessario per le riparazioni, il locatore non tenuto a provare di aver ricevuto
da parte di terzi richieste per la locazione non soddisfatte a causa dei lavori.
Cassazione Seconda sezione 18 aprile 2003, n. 6323
In tema di spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni, che costituiscono loggetto
di unobbligazione propter rem, in quanto conseguenza della contitolarit del diritto reale su beni e servizi
comuni, lobbligazione di ciascun condomino di contribuire alle spese per la conservazione dei beni comuni
nasce nel momento in cui necessarie eseguire le relative opere, mentre la delibera dellassemblea di
approvazione della spesa, che ha la funzione di autorizzarla, rende liquido il debito di cui in sede di ripartizione
viene determinata la quota a carico di ciascun condomino, sicch, in caso di compravendita di ununit
immobiliare sita in edificio soggetto al regime del condominio, tenuta alla spesa colui che condomino al

momento in cui si rende necessario effettuare la spesa.


Le spese di risarcimento e di giudizio per una causa che ha visto soccombere il condominio spettano a chi era
proprietario al momento in cui la lite era insorta. Cos la Corte (sentenza n. 12013, depositata il 1^ luglio 2004)
ha dato ragione a un condomino, che non era proprietario all'epoca della lite e che si era trovato a rispondere di
una somma vantata da un altro condomino, vincitore della lite. La vicenda era partita dalla mancata esecuzione
di una delibera di rifacimento del sottotetto che aveva provocato danni a un condomino. Il quale aveva ottenuto
la condanna del condominio, oltre che all'esecuzione dei lavori, anche al risarcimento delle spese processuali.
Perci aveva intimato a un altro condomino di pagarle. Quest'ultimo, per, si era rifiutato perch era diventato
proprietario nel 1991, mentre la delibera era del 1986 e la citazione del 1989, e aveva chiesto che fosse
dichiarato il difetto di legittimazione passiva e che la somma venisse addebitata al venditore, condomino
all'epoca. La Cassazione ha cos chiarito che, trattandosi di responsabilit per mancata esecuzione di lavori su
una cosa comune (rifacimento del solaio), alla cui conservazione sono tenuti per legge tutti i condomini, la
sentenza impugnata aveva effetto nei confronti di tutti coloro che erano condomini all'epoca in cui era sorto
l'obbligo di conservazione, cio la data di approvazione della delibera. L'obbligo di provvedere alle spese sorge,
per la Cassazione (che cita anche la propria sentenza 6323/03), <nel momento in cui si rende necessario
eseguire i lavori> e non <quando viene determinato il debito gravante in concreto su ciascun condomino>. Il
medesimo criterio deve essere applicato anche per le spese processuali.
Questo il principio espresso dalla Cassazione perch venga seguito dal giudice a quo, cui la sentenza stata
rinviata: <Poich l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle spese di conservazione delle parti comuni
insorge nel momento in cui si rende necessario provvedere all'esecuzione dei lavori necessari, e non quando il
debito viene determinato in concreto, in caso di sentenza di condanna pronunziata nei confronti del condominio
per inosservanza dell'obbligo di conservazione delle cose comuni, il condomino creditore che intenda agire in
executivis contro il singolo partecipante al condominio per il recupero del proprio credito, deve rivolgere la
propria pretesa, sia per il credito principale, che per credito relativo alle spese processuali, contro chi rivestiva la
qualit di condomino al momento in cui l'obbligo di conservazione insorto, e non contro colui che tale qualit
riveste nel momento in cui il debito viene giudizialmente determinato>.
SAVERIO FOSSATI
Cassazione civile, sez. II, 16-05-2000, n. 6341
"L'appoggio di una canna fumaria (come, del resto, anche l'apertura di piccoli fori nella parete) al muro comune
perimetrale di un edificio condominiale individua una modifica della cosa comune conforme alla destinazione
della stessa, che ciascun condomino - pertanto - pu apportare a sue cure e spese, sempre che non impedisca
l'altrui paritario uso, non rechi pregiudizio alla stabilit ed alla sicurezza dell'edificio, e non ne alteri il decoro
architettonico; fenomeno - quest'ultimo - che si verifica non gi quando si mutano le originali linee
architettoniche, ma quando la nuova opera si rifletta negativamente sull'insieme dell'armonico aspetto dello
stabile
Il processo verbale che ex art. 1136, u.c., c.c., deve essere redatto e trascritto nel registro tenuto
dall'amministratore, ha la funzione di documentare la valida costituzione dell'organo, la formazione e il contenuto
della volont condominiale espressa attraverso le assunte delibere, s che non sussiste alcun obbligo ex lege e,
specularmente, alcun diritto dei condomini a veder riprodotti nel verbale ogni loro osservazione, richiesta o
dichiarazione che esuli dai suddetti contenuti.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 18 settembre 1992, n. 1491, Visotto c. Cond. di via della Torre n. 32 di Milano, in
Arch. loc. e cond. 1993, 543.
Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1993, n. 1781, Fonti e altri c. Colombo e altri.
L'art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con
determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una
spesa da ripartire fra tutti i condomini su base millesimale, mentre qualora non debba farsi luogo ad un riparto di
spesa, per essere stata questa assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la
norma generale di cui all'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, e secondo cui ciascun partecipante
pu servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto e pu apportare a tal fine a proprie spese le modificazioni necessarie
per il miglior godimento della cosa medesima. Ricorrendo le suddette condizioni, pertanto, un condomino ha
facolt di installare nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione
degli altri condomini, e pu far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri
condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera
assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo.
Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1993, n. 1926, Branchesi c. Cond. Savoia.
In tema di condominio di edifici, la delibera di rinuncia all'impianto centralizzato di riscaldamento nella disciplina
previgente alla L. 6 gennaio 1991 n. 10, configurando non una semplice modifica, bens una radicale
trasformazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica, obiettivamente
pregiudizievole per tutte le unit immobiliari gi allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, soggetta
all'art. 1120 secondo comma c.c., che vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni dell'edificio inservibili
all'uso o al godimento anche di un solo condomino dissenziente, senza che in contrario rilevi la disposizione
dell'art. 5 della L. 29 maggio 1982 n. 308 (abrogata dall'art. 23 della citata L. n. 10 del 1991), che si riferisce alla
diversa ipotesi di interventi su parti comuni di edifici volti al contenimento di consumo energetico.
Cass. civ., sez. II, 8 giugno 1993, n. 6403, Ruella c. Cond. Torino.
La deliberazione con cui l'assemblea dei condomini approvi la ripartizione delle spese del servizio di

riscaldamento centralizzato senza avere prima accertato il volume dei singoli cespiti, in violazione della
disposizione del regolamento di condominio che prevede il riparto volumetrico della spesa, non affetta da
nullit bens soltanto annullabile, ove denunciata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine di decadenza
di cui all'art. 1137 c.c., non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 c.c..
Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1993, n. 7001, Iasparra c. Soc. Perretti.
Qualora l'installazione del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio risulti, in relazione alle
caratteristiche ed alla situazione logistica dell'immobile, non gravosa n voluttuaria, tale innovazione, se
approvata nei modi prescritti, vincolante per tutti i condomini, con la conseguenza che, nell'ipotesi di un locale
dato in locazione, come il proprietario-locatore tenuto a sostenere pro quota le spese di impianto, parimenti il
conduttore non pu sottrarsi (trattandosi di innovazione lecita ex art. 1582 c.c.) al pagamento delle spese di
esercizio fin dal momento dell'attuazione del servizio stesso, ancorch questo sia stato introdotto nel corso della
locazione, essendo l'aumento degli oneri accessori conseguente all'applicazione dell'art. 9 L. 27 luglio 1978 n.
392, senza alterazione del rapporto sinallagmatico, posto che a fronte di una maggiore spesa per il conduttore vi
un obiettivo miglioramento delle condizioni di utilizzabilit del bene.
Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1993, n. 12420, Cambia c. Cond. di Via dei Pettinari n. 40 di Roma.
Il singolo condomino non titolare di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica nei confronti del condominio
relativamente all'utilizzazione dei servizi comuni e, pertanto, non pu esimersi dal contribuire alle spese di
gestione del servizio di riscaldamento centralizzato in proporzione ai millesimi, allegando la mancata o
insufficiente erogazione di quel servizio, n pu proporre azione di danno contro il condominio per il mancato
promuovimento dell'azione contrattuale nei confronti dell'impresa installatrice dell'impianto, posto che il
condomino conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei
suoi diritti di comproprietario pro quota delle parti comuni, potendo ricorrere all'autorit giudiziaria nel caso di
inerzia dell'amministrazione del condominio a norma dell'art. 1105 c.c., dettato in materia di comunione, ma
applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio disposto dall'art. 1139 c.c..
Cass. civ., sez. II, 14 maggio 1994, n. 4715, Notarbartolo c. Cond. V. Terrasanta 93, Palermo.
Il giudice del merito che pronunzi la condanna di un condomino al pagamento delle spese relative all'erogazione
del servizio di riscaldamento, per omessa impugnazione della delibera assembleare di approvazione del
rendiconto, ben pu procedere, senza che ci comporti violazione dell'art. 100 c.p.c., all'esame della pretesa
dello stesso condomino di sottrarsi all'adempimento per dedotte inefficienze dell'impianto destinato al servizio
stesso, trattandosi di domanda autonoma, non assorbita dalla precedente decisione.
Cass. civ., sez. II, 18 maggio 1994, n. 4831, Condominio di Via Campania nn. 15 e 17 di Taranto c. Masella.
La sostituzione del bruciatore dell'impianto di riscaldamento di un edificio condominiale, nei casi in cui il
bruciatore sostituito era guasto o obsoleto, deve considerarsi atto di straordinaria manutenzione, in quanto
diretto a ripristinare la funzionalit dell'impianto senza alcuna modifica sostanziale e funzionale dello stesso,
mentre deve essere ricondotta alle modifiche migliorative, e non alle innovazioni, se ha lo scopo di consentire
l'utilizzazione di una fonte di energia pi redditizia, pi economica o meno inquinante. (Nella specie, si trattava
della sostituzione di un bruciatore alimentato da gasolio con un bruciatore alimentato da gas metano).
CORTE DI GIUSTIZIA DELLE COMUNIT EUROPEE Sez. VI, 25 marzo 1999.
La Repubblica italiana, avendo istituito e mantenendo in vigore un regime che, nel caso di nuova installazione o
di ristrutturazione di apparecchi a gas, prescrive l'utilizzazione nei locali abitati di generatori di calore
esclusivamente di tipo "stagno", con ci vietando implicitamente l'installazione di generatori di calore di tipo
diverso conforme alla direttiva del consiglio Cee 29 giugno 1990, n. 396, concernente il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri in materia di apparecchi a gas, venuta meno agli obblighi impostile da tale
direttiva. (T.I. 25 marzo 1957, art. 36; Dir. CEE 29 giugno 1990, n. 396, art. 7; D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412,
art. 5) (1). (Omissis). 1. - Con atto introduttivo depositato nella cancelleria della Corte il 18 marzo 1997, la
commissione delle Comunit europee ha proposto, ai sensi dell'art. 169 del trattato Ce, un ricorso diretto a far
dichiarare che la Repubblica italiana, avendo istituito e mantenendo un regime che prescrive l'installazione nei
locali abitati di generatori di calore esclusivamente di tipo "stagno", con ci implicitamente vietando
l'installazione di generatori di calore di altro tipo conforme alla direttiva del consiglio 29 giugno 1990 n.
90/396/Cee, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di apparecchi a gas
(G.U. L 196, pag. 15; in prosieguo: la "direttiva"), venuta meno agli obblighi impostile dal diritto comunitario.
66. - Sulla scorta delle considerazioni che precedono, si deve dichiarare che la Repubblica italiana, avendo
istituito e mantenendo un regime che, nei casi di nuova installazione o di ristrutturazione di apparecchi a gas,
prescrive l'utilizzo nei locali abitati di generatori di calore esclusivamente di tipo "stagno", con ci vietando
implicitamente l'installazione di generatori di calore di altro tipo conforme alla direttiva, venuta meno agli
obblighi impostile dalla direttiva stessa. (Omissis).
Cass. civ., sez. II, 9 gennaio 1993, n. 146, Marello c. Armenio.
La realizzazione di una terrazza con una mansarda o sottotetto praticabile ad uso esclusivo del proprietario del
piano adiacente in sostituzione del tetto preesistente, rientra tra le facolt previste dall'art. 1127 c.c..
Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172, Bolgianni c. Del Pani.
La cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., pu essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e
diverso dal suo normale uso se ci non alteri l'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli
altri e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari; pertanto,
legittima la costruzione di sporti sul cortile, (sulla strada o sul passaggio comune) se sia realizzata in modo da
non pregiudicare n la normale funzione del cortile, che di regola, quella di fornire aria e luce agli immobili
circostanti (e, per la strada, quella di permettere il transito dei condomini) n le possibilit di utilizzazione
particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini. (Nella specie, trattavasi del telaio e dei battenti degli
infissi, in posizione di completa apertura o di completa chiusura, realizzati, al pianterreno, nel muro prospiciente

il passaggio comune senza ridurne la larghezza utilizzabile, dato che nel tratto precedente il passaggio era
ristretto da un'antica sporgenza).
Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1994, n. 6109, Portiglia Jem c. Facchini.
L'art. 2 L. 9 gennaio 1989 n. 13, recante norme per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere
architettoniche negli edifici privati, che prevede la possibilit per l'assemblea condominiale di approvare le
innovazioni preordinate a tale scopo con le maggioranze indicate nell'art. 1136 comma secondo e terzo c.c. in
deroga all'art. 1120 comma primo, che richiama il comma quinto dell'art. 1136 e, quindi, le pi ampie
maggioranze ivi contemplate, dispone tuttavia che resta fermo il disposto dell'art. 1120 comma secondo, il quale
vieta le innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un
solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell'utilit secondo l'originaria costituzione della
comunione. Ne deriva che a maggior ragione sono nulle le delibere che ancorch adottate a maggioranza al fine
indicato siano lesive dei diritti di altro condomino sulla porzione di sua propriet esclusiva, indipendentemente da
qualsiasi considerazione di eventuali utilit compensative. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione dei
giudici di merito i quali avevano dichiarato la nullit della deliberazione adottata a maggioranza in base all'art. 2
legge n. 13/1989 cit. di installazione di un ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino portatore di
handicap, che comportava peraltro un sensibile deprezzamento dell'unit immobiliare di altro condomino sita a
piano terra).
Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1994, n. 7651, Zucchetti c. Cond. di Via Verdi n. 6 di Cernusco sul Naviglio.
Al tetto posto a copertura delle autorimesse esterne all'edificio condominiale - svolgente, nella sua struttura
unitaria ed omogenea, una funzione di riparo e di protezione delle unit sottostanti, ciascuna delle quali
costituisce pertinenza della propriet esclusiva dei singoli condomini - applicabile la presunzione di comunione
stabilita dall'art. 1117 n. 1 c.c. con la conseguenza che esso costituisce, al pari del tetto dell'edificio
condominiale, oggetto di propriet comune e che l'amministratore del condominio legittimato ad esercitare le
azioni che lo concernono. (Nella specie, condanna del costruttore al rifacimento della impermeabilizzazione o al
rimborso per eseguirla direttamente).
Cass. civ., sez. III, 26 ottobre 1992, n. 11622, Canone - Calamit naturali - Esenzione dal pagamento.
Il locatario di immobile dichiarato inagibile in seguito agli eventi sismici che hanno colpito le regioni della
Campania e della Basilicata nel novembre del 1980 esonerato dal pagamento del canone di locazione sino al
collaudo dei lavori che consentono lagibilit o labitabilit dellimmobile anche se sia rimasto nel godimento
precario del bene, perch lunica condizione obiettiva dellesonero prevista dallart. 5 quater D.L. 26 giugno
1981, n. 333, convertito nella L. 6 agosto 1981, n. 456, quella del dissesto determinante lintervento
autoritativo (opere urgenti di riattazione) sulle condizioni del bene.
Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1992, n. 1195, Regolamento di condominio - Limitazioni dei diritti di propriet
esclusiva.
I limiti di destinazione e di uso imposti da un regolamento di condominio ad una unit immobiliare di propriet
esclusiva sono opponibili, pur in difetto della trascrizione del relativo atto, al terzo acquirente, nel caso in cui lo
stesso nel contratto di compravendita abbia espressamente dichiarato di conoscere il regolamento di
condominio e di accettarlo in ogni sua parte (nella specie il regolamento condominiale conteneva una clausola
che vietava ladibizione degli appartamenti ad attivit rumorose, insalubri, ed emananti esalazioni nocive o
sgradevoli).
Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1992, n. 2084, Assemblea dei condomini - Deliberazioni.
Lassemblea di un condominio edilizio pu validamente deliberare con la maggioranza di cui allart. 1136
comma secondo c.c. la specifica destinazione di un locale di propriet comune a garage in relazione alle
caratteristiche obiettive del locale medesimo (nella specie: locale situato al piano terra delledificio con accesso
alla via pubblica mediante una rampa carrabile) non importando una sostanziale modifica della cosa comune
bens trattandosi di un atto di amministrazione diretto ad assicurare a tutti i condomini il miglior godimento e la
migliore utilizzazione della cosa comune, senza che ne derivi una violazione del principio del godimento paritario
per limpossibilit di assicurare a ciascun condomino un posto macchina, in quanto il pari uso della cosa comune
non postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i compartecipi della comunione,
che resta affidato alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza.
Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 1992, n. 2363, Uso della cosa comune - Limiti.
Il potere di ogni condomino di agire per la gestione ordinaria del bene comune, traendo origine dal diritto di
concorrere alla amministrazione di tale bene (art. 1105 c.c.), incontra il suo limite nellobbligo di rispettare la
volont della maggioranza con la conseguenza che, ove questa non possa essere raggiunta, nessuno dei
condomini pu porre in esecuzione, contro la volont espressa degli altri condomini, il cennato potere di
amministrazione con azioni giudiziarie in relazione alle quali la sua carenza di legittimazione attiva deve essere
rilevata dal giudice anche di ufficio (nella specie, trattavasi di azione per la determinazione del canone locativo
dovuto dal conduttore dellimmobile comune).
Amministratore del condominio - Revoca.
I decreti del giudice ordinario, emessi in sede di reclamo in ordine alla revoca dellamministratore di un edificio in
condominio, ai sensi dellart. 1129 comma terzo c.c., hanno natura di provvedimenti di volontaria giurisdizione,
che non hanno attitudine a produrre effetti di giudicato sul piano processuale e sostanziale, essendo suscettibili
in ogni tempo di revoca o di modificazioni (art. 742 c.p.c.). Conseguentemente, avverso tali provvedimenti non
dato ricorso per cassazione ai sensi dellart. 111 comma secondo della Costituzione.
Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773,
Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2774,
Parti comuni delledificio condominiale - Muri.
I muri perimetrali degli edifici in cemento armato (cosiddetti pannelli di rivestimento o di riempimento) sono
compresi fra i muri maestri definiti comuni dal n. 1 dellart. 1117 c.c., giacch, pur non avendo funzione portante,

la quale negli edifici anzidetti assolta principalmente dai pilastri e dagli architravi, costituiscono parte organica
ed essenziale dellintero immobile che, senza la delimitazione da essi operata sarebbe uno "scheletro vuoto"
privo di qualsiasi utilit.
Cass. civ., sez. II, 10 aprile 1992, n. 4405,
Regolamento di condominio - Determinazione del valore proporzionale delle singole propriet (millesimazione).
La domanda di uno dei condomini per laccertamento della invalidit ed inefficacia della tabella millesimale
deliberata dallassemblea dei condomini senza voto unanime, deve essere necessariamente proposta nei
confronti di tutti i condomini, e non anche del solo amministratore del condominio, la cui rappresentanza
processuale passiva dei condomini limitata, a norma dellart. 1131 c.c. alle parti comuni delledificio, ma che
passivamente legittimato ad causam per la tutela degli interessi comuni, sui quali la domanda di accertamento
della invalidit delle tabelle millesimali destinata a riflettersi.
Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1992, n. 4679, Azioni giudiziarie del condominio - Legittimazione dellamministratore.
La legittimazione dellamministratore, quale prevista dallart. 1130 c.c. per gli atti conservativi dei diritti inerenti
alle parti comuni delledificio, non si estende oltre i limiti delle domande dirette al ripristino delle parti comuni nel
loro normale stato e non comprende, quindi, la domanda di risarcimento dei danni conseguenti al
deprezzamento delle parti comuni dellimmobile che, non essendo diretta alla conservazione dellimmobile,
resta nella esclusiva disponibilit dei singoli condomini.
Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1992, n. 4802, Innovazioni della cosa comune - Nozione.
In materia di condominio non pu qualificarsi innovazione ai sensi dellart. 1120 c.c. la realizzazione di opere
che rendano limpianto di riscaldamento dello stabile conforme alla normativa in materia di prevenzione degli
incendi, non eccedendo i limiti della conservazione e del godimento della cosa comune ed in ogni caso non
alterandone la destinazione originaria, con la conseguenza che per lapprovazione della relativa delibera
sufficiente in seconda convocazione un numero di voti che rappresentanti il terzo dei partecipanti al condominio
ed almeno un terzo del valore delledificio (art. 1136 comma terzo c.c.).
Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1992, n. 5179, Contributi e spese condominiali - Criteri di ripartizione.
In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalit fra spese ed uso di cui al secondo comma dellart.
1123 c.c., secondo cui le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni delledificio sono
ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in proporzione delluso che
ciascuno pu farne, comporta che ove la possibilit delluso sia esclusa, con riguardo alla destinazione delle
quote immobiliari di propriet esclusiva, per ragioni strutturali indipendenti dalla libera scelta del condomino, va
escluso anche lonere del condomino stesso di contribuire alle spese di gestione del relativo servizio. (Nella
specie la C.S. in base allenunciato principio ha confermato la decisione del merito che aveva escluso che i
proprietari di negozi fossero tenuti a concorrere nelle spese relative ai servizi condominiali di giardinaggio,
piscine e portineria cui non avevano accesso).
Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1992, n. 5978, Parti comuni delledificio condominiale - Tubazioni.
La collocazione in un vano (o altro ambiente o spazio) compreso nel perimetro del condominio delle tubazioni (o
parte di esse) dellimpianto termico centralizzato, o di altro servizio comune, non rende di per s quel vano
insuscettibile di autonomo ed esclusivo diritto di propriet, salve le limitazioni di tale diritto - concretanti
corrispondenti servit - correlate allobbligo di consentire e conservare la destinazione di tali tubazioni al servizio
ed a vantaggio dellintero edificio condominiale.
Cass. civ., sez. II, 4 giugno 1992, n. 6892, Regolamento di condominio - Regolamento contrattuale.
Il regolamento condominiale contrattuale - il quale viene ad esistenza nel momento in cui, contestualmente al
primo atto di vendita di una frazione esclusiva delledificio, comportante la nascita del condominio, lacquirente
ne accetta le varie clausole - pu contenere, oltre allindicazione delle parti delledificio di propriet comune ed
alle norme relative allamministrazione e gestione delle cose comuni, la previsione delluso esclusivo di una
parte delledificio definita comune a favore di una frazione di propriet esclusiva. In tal caso il rapporto ha natura
pertinenziale, essendo stato posto in essere dalloriginario unico proprietario delledificio, legittimato
allinstaurazione ed al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli artt. 817, secondo comma e
818 c.c., con lulteriore conseguenza che, attenendo siffatto rapporto alla consistenza della frazione di propriet
esclusiva, il richiamo puro e semplice del regolamento condominiale in un successivo atto di vendita (o
promessa di vendita) da parte del titolare della frazione di propriet esclusiva, a cui favore sia previsto luso
esclusivo di quella parte comune, pu essere considerato sufficiente ai fini dellindicazione della consistenza
della frazione stessa venduta o promessa in vendita.
Cass. civ., sez. II, 16 giugno 1992, n. 7359, Regolamento di condominio - Predisposizione a cura del costruttore.
In tema di condominio di edifici, l'obbligo genericamente assunto nei contratti di vendita delle singole unit
immobiliari di rispettare il regolamento di condominio che contestualmente si incarica il costruttore di
predisporre, come non vale a conferire a quest'ultimo il potere di redigere un qualsiasi regolamento, cos non
pu valere come approvazione di un regolamento allo stato inesistente, in quanto solo il concreto richiamo nei
singoli atti di acquisto ad un determinato regolamento gi esistente che consente di ritenere quest'ultimo facente
parte per relationem di ogni singolo atto.
Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1992, n. 8074, Assemblea dei condomini - Convocazione.
La mancata comunicazione, agli aventi diritto, dell'avviso di convocazione dell'assemblea dei condomini
prescritto dall'art. 1136, sesto comma, c.c., comporta la nullit assoluta ed insanabile della deliberazione,
opponibile anche dai condomini che hanno ricevuto la comunicazione e partecipato all'assemblea
Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1992, n. 9107, Contributi e spese condominiali - Criteri di ripartizione.
In tema di riparto di spese condominiali, qualora non possa farsi riferimento ad una tabella millesimale approvata
da tutti i condomini, il condomino assente o dissenziente non pu sottrarsi al pagamento della quota, spettando
al giudice di stabilire se la pretesa del condominio nei confronti dei singoli condomini sia conforme ai criteri di

ripartizione che con riguardo ai valori delle singole quote di propriet sono stabiliti dalla legge in subiecta
materia, determinando egli stesso in via incidentale, anche in assenza di una specifica richiesta al riguardo, i
valori di piano o di porzioni di piano espressi in millesimi.
Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 1992, n. 10838, Assemblea dei condomini - Attribuzioni dell'assemblea.
In tema di condominio di edifici lapprovazione assembleare delloperato dellamministratore e la mancata
impugnativa delle relative delibere preclude lazione di responsabilit al singolo condomino leso dallattivit e
dalle iniziative arbitrarie dello stesso soltanto per le attivit di gestione dei beni e dei servizi condominiali, per le
quali il potere di approvazione compete esclusivamente allassemblea a norma dellart. 1135 n. 3 c.c. La
delibera assembleare di approvazione non esclude invece lanzidetta responsabilit nel caso di mancata
tempestiva informazione da parte dellamministratore di atti che hanno incidenza diretta sul patrimonio del
singolo condomino, come nel caso di mancato riferimento di perizie relative a controversie con altri soggetti.
Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 1992, n. 10895, Uso della cosa comune - Limiti.
La norma dellart. 1102 c.c., concernente la facolt del condomino di apportare modifiche a sue spese per il
migliore godimento della cosa comune, derogabile per regolamento condominiale avente efficacia contrattuale
in quanto sottoscritto da tutti i condomini, ma tale deroga deve risultare in modo espresso e non pu ritenersi
implicitamente disposta per la previsione nel regolamento dellassoggettamento a delibera assembleare (a
maggioranza qualificata) delle modificazioni alle cose comuni finalizzate al miglior godimento delle cose stesse,
da parte della pluralit condominiale, dato che queste ultime comportano non solo lincidenza della spesa su tutti
i condomini, ma altres la modifica in tutto o in parte nella materia o nella forma ovvero nella destinazione di fatto
o di diritto della cosa comune, a differenza delle modificazioni apportabili dal singolo condomino, che non
possono incidere che sul pari uso (anche potenziale) degli altri condomini.
Cass. civ., sez. II, 18-04-2002, n. 5633
La presunzione legale di condominialit stabilita per i beni elencati nell'art. 1117 cod. civ. non tassativa.
Per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la propriet esclusiva ha l'onere di fornire la prova di
tale diritto; a tal fine, necessario un titolo d'acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in
maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono determinanti le risultanze del regolamento di
condominio, n l'inclusione del bene nelle tabelle millesimali come propriet esclusiva di un singolo condomino.
Cass. civ., sez. II, 14-12-1999, n. 14037
In tema di delibere condominiali, poich, per la formazione delle tabelle millesimali, necessario il consenso di
tutti i condomini, gli assenti ed i dissenzienti possono far valere la nullit relativa dell'atto, ai sensi dell'art. 1421
cod. civ., costituita dalla loro mancata adesione.
Cass. civ., sez. II, 26-10-1996, n. 9366
L'obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera
dell'assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione volta
soltanto a rendere liquido un debito preesistente e che pu anche mancare ove esistano tabelle millesimali
Pertanto, nel caso di alienazione di un appartamento, obbligato al pagamento dei tributi il proprietario nel
momento in cui la spesa viene deliberata.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 29 maggio 1998, n. 6308 (ud. 21 aprile 1998).
Il funzionario statale, titolare di redditi di lavoro dipendente, che svolga continuativamente ed a favore di diversi
condomini attivit di amministratore, non obbligato alla tenuta e conservazione delle scritture contabili
prescritte dall'art. 1, comma 6, della L. n. 516/1982, rientrando, la suddetta attivit, tra i rapporti di collaborazione
coordinata e continuativa previsti dall'art. 49, comma 2, del D.P.R. n. 917/1986, non soggetti all'Iva e, quindi, ai
connessi obblighi formali. (Mass. redaz.) (L. 7 agosto 1982, n. 516, art. 1; D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art.
49).
In conclusione, ritiene questo Collegio nella fattispecie in esame che l'imputato non fosse obbligato alla tenuta e
conservazione delle scritture contabili menzionate dall'art. 1, u.c., L. n. 516/1982, non essendo soggetto
d'imposta in relazione all'Iva. http://www.casaeconsumi.it/bancadati/files/sentenze/sentenze/s8_f8.htm
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 21 aprile 1999, n. 5056 (ud. 10 marzo 1999).
L'amministratore di condominio, quando gestisca abitualmente pi condomini con retribuzione periodica
prestabilita e/o con impiego di mezzi organizzati, obbligato alla tenuta dei registri e delle scritture contabili
prescritti dalla normativa fiscale, e pertanto risponde, in caso di loro mancanza, del reato di cui all'art. 1, comma
sesto, D.L. 10 luglio 1982, n. 429, convertito con modificazioni in L. 7 agosto 1982, n. 516, e successive
modificazioni. (L. 7 agosto 1982, n. 516, art. 1) (1).
http://www.casaeconsumi.it/bancadati/files/sentenze/sentenze/s8_f12.htm
CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 3 giugno 1998, n. 5433.
Le agevolazioni per la "prima casa", previste dall'art. 1, sesto comma, della L. n. 168 del 1982, possono
riguardare anche alloggi risultanti dalla riunione di pi unit immobiliari che siano destinate dagli acquirenti, nel
loro insieme, a costituire un'unica unit abitativa; sicch il contemporaneo acquisto di due appartamenti non di
per s ostativo alla fruizione di tali benefici, purch l'alloggio cos complessivamente realizzato rientri, per la
superficie, per il numero dei vani e per le altre caratteristiche specificate dall'art. 13 della L. n. 408 del 1949,
nella tipologia degli alloggi "non di lusso". (L. 2 luglio 1949, n. 408, art. 13; L. 24 aprile 1982, n. 168, art. 1)
COMMISSIONE TRIBUTARIA CENTRALE Sez. XXV, 16 luglio 1998, n. 4121.
L'art. 52, quarto comma, D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, preclude all'Amministrazione finanziaria la possibilit di
rettifica e quindi di individuazione del valore effettivo dell'immobile, se questo iscritto in catasto con
attribuzione di rendita. Tale preclusione rende irrilevante ai fini tributari, la dichiarazione di valore nell'atto
sottoposto a registrazione, anche in vista della liquidazione dell'Invim, dell'imposta ipotecaria e di quella

catastale. (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52).


CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 12 giugno 1999, n. 5802.
Tributi degli enti pubblici locali - Imposta comunale sugli immobili - Costruzione da parte di una cooperativa
edilizia di alloggi economici e popolari su terreno comunale concesso in superficie - Pagamento dell'imposta Soggetto obbligato.
In tema di imposta comunale sugli immobili ( Ici ), l'azione del contribuente per il rimborso dell'imposta
indebitamente versata non preclusa dalla mancata emanazione del decreto ministeriale previsto dall'art. 18,
terzo e quarto comma, del D.L.vo 30 dicembre 1992 n. 504. Tale disposizione, che demanda al Ministro delle
Finanze il compito di stabilire con decreto termini e modalit per l'effettuazione del rimborso, attiene alla
regolamentazione "interna", ma non riguarda le condizioni per l'insorgenza del diritto al rimborso e per la sua
tutela in sede giurisdizionale, non potendo le norme di legge sulla ripetibilit del versamento indebito e
sull'impugnabilit del silenzio-rifiuto subire limitazione o deroga per effetto dell'inerzia dell'Amministrazione
debitrice nel disciplinare le proprie attivit esecutive. (D.L.vo 30 dicembre 1992, n. 504, art. 18) .
http://www.casaeconsumi.it/bancadati/files/sentenze/sentenze/s8_f11.htm
CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 4 febbraio 1998, n. 127.
In tema di sovraimposta comunale sul reddito dei fabbricati, ogni Comune - prima di imporre nuovi tributi ai
contribuenti - deve verificare se possibile procedere al risanamento delle proprie finanze anche a mezzo di un
uso parziale degli strumenti messi a sua disposizione dal legislatore e, in caso negativo, deve dare adeguata
motivazione dell'istituzione del tributo. (D.L. 28 febbraio 1983, n. 55)
CORTE DI CASSAZIONE Sez. I, 21 dicembre 1998, n. 12737.
In tema di agevolazioni tributarie, i benefici fiscali, previsti dall'art. 1, sesto comma, della legge 22 aprile 1982, n.
168, per l'acquisto della "prima casa", possono essere conservati soltanto se l'acquisto sia seguito dalla effettiva
realizzazione della destinazione dell'immobile acquistato ad abitazione propria. (L. 22 aprile 1982, n. 168, art. 1)
Nel caso di notifiche a un condominio, se la persona indicata come destinatario, quale amministratore, nega
all'ufficiale giudiziario di avere tale qualit e i poteri rappresentativi per resistere in giudizio, la notifica dovr
ritenersi nulla a meno che il condominio non si costituisca in giudizio o la parte attrice non dimostri la
sussistenza dei poteri in capo al soggetto che ha rifiutato l'atto.
Nel caso di assenza di questi poteri, non solo non potr operare la presunzione legale di avvenuta notifica (art.
138 Cpc), ma neppure si potr procedere alla notifica (art. 140): da un lato l'effetto previsto nell'articolo 138 si
verifica solo se il rifiuto viene dal destinatario; d'altro canto, la possibilit di notifica (art. 140) possibile solo se il
rifiuto viene da soggetti che siano, con il destinatario, nelle relazioni previste dall'art. 139.
SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO N 11625 del 25/10/2001
Linstallazione di una antenna parabolica, per la quale sia necessario forare il rivestimento della facciata
delledificio, da considerarsi lesiva (e quindi vietata) del decoro architettonico dello stabile; in quanto produce
disarmonia tra i vari elementi strutturali che compongono la facciata.
SENTENZA DEL TRIBUNALE DI NAPOLI N 9330 del 4/7/2001
Ogni condomino ha diritto di conoscere i documenti contabili sulla base dei quali viene approvato il bilancio da
parte dellassemblea. Lesercizio di tale diritto, che potr avvenire in ogni momento, pienamente lecito quando
non ostacoli lattivit dellamministrazione e non comporti spese per il condominio.
Pertanto, costituisce causa di invalidit della delibera assembleare lapprovazione del consuntivo da parte
dellassemblea, qualora il condomino rilevi la mancanza materiale dei documenti contabili sulla base dei quali
giustificare le spese sostenute
SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO del 28/10/2002
civilmente responsabile, insieme alla ditta appaltatrice dei lavori, lamministratore che, durante i lavori di
ristrutturazione della facciata, con relativa installazione di impalcature e ponteggi, non abbia adottato sistemi di
vigilanza o antifurti per evitare furti.
La Corte, basandosi sul fatto, ormai noto, che le impalcature rappresentano una importante agevolazione per i
ladri per i furti negli appartamenti, ha dichiarato civilmente responsabile lamministratore per omessa vigilanza e
custodia, per non aver adottato tutte le misure necessarie per evitare un furto in un appartamento.
SENTENZA DEL TRIBUNALE DI UDINE N 136 del 10/2/03
Lavviso di convocazione dellassemblea deve contenere tutti gli argomenti posti allordine del giorno da trattare
nella successiva assemblea.
La mancata indicazione nellavviso di convocazione di un tema da trattare, consente al condomino di impugnare
la relativa delibera.
Il Tribunale ha chiarito che il condomino perde tale diritto qualora, senza nulla dire al riguardo, abbia accettato la
discussione su tutte le questioni trattate in assemblea, ed in particolare quelle non inserite nellordine del giorno
indicato nellavviso di convocazione.
SENTENZA DEL TRIBUNALE DI MILANO N 4774 del 2/4/03
La deliberazione condominiale che, in violazione del regolamento dove vietato luso di parcheggio del cortile
comune, nulla se attribuisce a favore di soli alcuni condomini il diritto di parcheggiare, se non stata
sottoscritta da tutti i condomini.
Il Tribunale ha precisato che, al fine di una regolare costituzione del diritto di parcheggiare nel cortile in favore di
condomini, non sufficiente ladozione allunanimit dei presenti allassemblea, n sufficiente la sola
sottoscrizione della stessa da parte del Presidente e del Segretario, ma necessaria la materiale sottoscrizione
da parte di tutti i condomini.
SENTENZA DEl Tribunale di Milano del 28/3/02
La disciplina stabilita dalla L. 447/95 (legge quadro sullinquinamento acustico) si applica esclusivamente ai

rapporti di locazione di natura pubblica; viceversa, tra privati lunica disciplina e criterio applicabili sono quelli
della c.d. normale tollerabilit prevista dal Codice civile, fatte salve le norme regolamentari pi restrittive.
SENTENZA DEL TRIBUNALE DI NAPOLI Sez. X, del 18/12/2000
Qualora una clausola del regolamento condominiale preveda lassegnazione di un posto auto in favore del
proprietario di ogni unit immobiliare, tale diritto deve essere riconosciuto a tutti i condomini a prescindere dal
fatto che abitino in quella unit in modo stabile e continuativo o solo occasionalmente.
SENTENZA DEL TRIBUNALE DI VERONA N 1224 del 4/12/00
Linstallazione di unantenna di telefonia mobile, anche se non contraria alle norme sul decoro architettonico,
sulla stabilit o quelle sulla destinazione duso della parte comune, deve rispettare il diritto alla salute di tutti i
condomini. Occorre, quindi, tutelare il diritto alla salute del condomino dissenziente, laddove sia dimostrato che
dalla installazione di una "stazione base di telefonia mobile" vicina alla sua abitazione, derivi in suo danno (o dei
suoi inquilini) un esposizione a campi elettrici ed elettromagnetici apprezzabilmente superiore a quella cui
esposta la generalit indifferenziata della popolazione.
SENTENZA DEL TRIBUNALE DI NOLA N 60 del 22/01/1997
Se il costruttore - proprietario suddivide larea di parcheggio in posti auto e li mette in vendita a terzi anzich
riservare il diritto duso al condominio, gli atti di vendita devono considerarsi nulli per la violazione della su citata
legge
L. 765 del 06/08/1967 . Art. 41 della L. 1150 del 17/08/1942
La prorogatio non opera quando risulti una volont dei condmini, espressa con delibera dall'assemblea,
contraria alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell'amministratore cessato dall'incarico."
(Cass. 5/02/1993, n. 1445).
Gli interventi di adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento di obiettivi di
sicurezza della vita umana e incolumit delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti e i terzi, non
attengono all'ordinaria manutenzione dello stesso o al suo uso e godimento, bens alla straordinaria
manutenzione, riguardando l'ascensore nella sua unit strutturale. Le relative spese devono quindi essere
sopportate da tutti i condomini, in ragione dei rispettivi millesimi di propriet, compresi i proprietari degli
appartamenti sui al piano terra. Trib. civ., Parma, sez. II, 29 settembre 1994, n. 859, Paini e altra c. Condominio
Elisabetta, in Arch. loc. e cond. 1994, 831.
Cass.13164/01: Affinch possa essere opponibile a tutti i condomini, limitandone anche poteri esclusivi, il
regolamento di condominio contrattuale deve necessariamente essere trasritto nei Pubblici Registri, anche se
non espressamente contenuto nel titolo.
Cass. 4963/01: Qualora un regolamento contrattuale contenga divieti di adibire unit ad attivit rumorose, non si
applica l'art. 844 c.c., ma sufficiente, a fare scattare il divieto, che l'attivit svolta sia potenzialmente idonea ad
integrare attivit rumorosa (nella specie intrattenimento di clienti con musica).
Cass. 11684/00: Il regolamento contrattuale pu imporre pesi su alcune propriet a favore di altre (servit, tra
scrivibili) o prestazioni di condomini a favore di altri (oneri reali) ovvero pu imporre limiti al godimento di unit
immobiliari (obbligazioni propter rem). Tale ultima fattispecie si prescrive come un qualsiasi diritto se non
esercitata.
Cass. 4953/01: Qualora una parte di un edificio sia ricompresa nell'art. 1117 c.c., spetta al condomino che ne
reclami la propriet dimostrarne l'esclusiva titolarit a mezzo valido titolo (nella specie veniva escluso
l'esclusivit dell'ultima parte del vano di accesso alle rampe delle autorimesse che serve solo l'ultimo garage, in
quanto non era dimostrato che al momento della formazione del condominio vi fosse stata attribuzione di
propriet esclusiva).
Cass. 4666/01: Colui che pretende, nei confronti del condominio, la propriet esclusiva di posti auto, tenuto a
convenire in giudizio tutti i condomini singolarmente.
T. BG 3524/02: Lo scioglimento del condominio possibile quando gli edifici presentino autonomia strutturale e
statica, anche se permangono alcuni impianti comuni.
T.FI 1331/01:Anche in presenza di pi edifici attigui, strutturalmente autonomi, alla comunione di beni
(condominio complesso) si applica la normativa condominiale e non quella sulla comunione.
T. PC 448/01: La presunzione di propriet ai sensi dell'art. 1117 c.c. viene meno se le opere, per obiettiva
destinazione, escludano una parte dei condomini; in tali ipotesi di condominio parziale, viene meno il diritto dei
condomini esclusi dal titolo a partecipare alle assemblee.
Cass.8830/03: Nel condominio le parti comuni sono onerate da pesi a favore delle unit immobiliari che,
astrattamente considerate, darebbero luogo a servit; fino a quando, peraltro, le parti comuni vengono utilizzate
secondo la loro normale destinazione non si pu parlare di servit.
Cass.12568/02: Sotto il profilo del rimborso al condomino che l'abbia anticipate, sono equivalenti le spese di
conservazione e quelle necessarie a garantire la continuit nell'erogazione dei servizi.
Cass. 2417/02:Il Giudice decide caso per caso l'incidenza di un'innovazione sul decoro architettonico; la lesione
del decoro consiste in un'alterazione delle linee e e delle strutture fondamentali a cui consegue una diminuzione
di valore dell'intero edificio. Nel decidere, il Giudice deve, caso per caso, adottare criteri di maggiore o minor
rigore a seconda delle caratteristiche del singolo edificio, accertando se esso avesse uniformit di stile e
valutando altres i precedenti interventi che abbiano alterato il decoro.
Cass.15756/01: Qualora il regolamento contrattuale vieti di utilizzare un immobile per determinate attivit, il
condominio ha azione diretta nei confronti del conduttore che abbia inosservato la clausola, il quale avr azione
per risarcimento del danno nei confronti del locatore che abbia accettato tale clausola dopo aver locato
l'immobile per quella destinazione divenuta vietata.
Cass. 855/00: Il possesso dei condomini sulle parti comuni si esercita diversamente a seconda che le cose
siano oggettivamente utili alle singole unit immobiliari o siano utili soggettivamente.

Cass. 5666/00: La cosa comune, ai sensi dellart. 1102 c.c pu essere usata dal condomino anche in modo
particolare, e diverso dal suo normale uso, se ci non alteri lequilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o
potenziali degli altri condomini.
Cass. 8886/00: L'uso della cosa comune, da parte di ciascun partecipante, ai sensi dell'art. 1102 c.c., incontra
due limiti fondamentali nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune, e nel divieto di impedire agli altri
partecipanti di farne parimenti uso.
Cass. 7489/01: IL condominio non tenuto ad intervenire a favore del condomino quando l'insufficiente
riscaldamento dell'appartamento di quest'ultimo non sia dovuto a carenza dell'impianto ma del sistema di
isolamento della sua unit immobiliare.
Cass.5421/01: Costituisce atto emulativo ed perci vietata l'attivit di chi pone un oggetto con le caratteristiche
di una telecamera sul muro comune al fine di fare ritenere al vicino la presenza di una telecamera nascosta
puntata sul suo fondo.
Cass. Penale: 43737/01: Costituisce reato di imbrattamento in quanto in situazione di dolo eventuale, lasciare
animali domestici liberi di circolare nella propriet altrui.
Non costituisce reato di rumori molesti lasciare
alzato il volume del televisore in quanto potenzialmente non arrechi disturbo alla collettivit ma ad un solo
soggetto.
Cass. 16117/00: Il condomino non pu appoggiare al muro condominiale una propria costruzione, atteso che il
suo diritto all'utilizzo ai sensi dell'art. 1102 c.c., si ferma alla sua qualit di condomino e non si estende alla
propriet esclusiva esterna al caseggiato.
T. Vr. 31/10/02: Qualora le tabelle abbiano origine contrattuale, non applicabile l'art. 69 disp. att. c.c., per cui
non sufficiente, per la revisione, l'effettiva divergenza tra quanto risulti ed il valore oggettivo, dovendosi
dimostrare l'errore essenziale nella volont.
Cass. 4421/01: L'errore rilevante al fine della modifica giudiziale delle tabelle millesimali consiste nella
divergenza tra le effettive proporzioni e quanto accertato dalle tabelle contestate.
T. MI 11474/00:In materia condominiale, l'art. 1101 c.c. trova un limite nella normativa sulle distanze; tale
normativa, peraltro, non pu portare a conseguenze irragionevoli qualora si tratti di opere qualificabili come
indispensabili; nella specie si ritenuto ragionevole un minimo pregiudizio del titolare del piano terra per la
minore luminosit del suo immobile in conseguenza dell'installazione dell'ascensore.
T.VR. 1224/00: Il diritto del condomino ad installare una stazione base per telefonia sul tetto un'antenna
telefonica non necessit di approvazione assembleare, atteso che l'assemblea non pu limitare il suo diritto di
cui all'art. 1102; va, comunque, tutelato in via d'urgenza, il diritto alla salute del condomino che viene esposto
all'inquinamento da elettrosmog in misura apprezzabilmente superiore alla generalit della popolazione, e ci
mediante l'ordine di sgombero del manufatto.
T. PC. 1135/00: La sostituzione del tetto in lastrico solare calpestabile, operata dal proprietario dell'ultimo piano,
costituisce innovazione illecita e non rientrante tra i poteri di cui all'art. 1102 c.c.
T. BO. 2695/00: I muri delimitativi del vano scale non sono accessori alle medesime, ma costituiscono strutture
portanti dell'edificio.
T.PC 534/01: La detenzione di animali in un appartamento pu essere vietata solamente da un regolamento di
natura contrattuale e non assembleare.
T. Ud.935/01: E' competente a decidere il Giudice di Pace sulla controversia avente per oggetto l'installazione
pi conveniente, dal punto di vista estetico, e dell'eventuale inquinamento ambientale, l'installazione in facciata
di apparecchiature per il condizionamento dell'aria.
Cass. 13858/01: Qualora funga da copertura, ai fini della ripartizione delle spese, la terrazza a livello sempre
equiparata al lastrico solare.
Cass. 6849/01: La ripartizione delle spese relative alla conservazione del lastrico solare e al risarcimento dei
danni per infiltrazioni, seguono il criterio di cui all'art. 1126 c.c., a meno che non venga provata la responsabilit
di altri condomini, che risponderanno ai sensi dell'art. 2043 c.c.
Cass: 16067/00: La terrazza a livello, essendo destinata a dare un affaccio all'immobile a cui appartiene, pu
essere equiparata al lastrico soltanto quando assolva a funzioni essenziali di copertura dell'edificio.
Cass. 7727/00: Il proprietario della terrazza a livello risponde dei danni provocati al condomino coperto, se
sussiste colpa, essendo inapplicabile l'art. 1126 c.c.
Cass. 15389/00: Le spese relative alla ricostruzione delle terrazze a livello permangono in capo al condominio
con le proporzioni di cui all'art. 1126 c.c.. Il condominio ha pertanto il potere di deliberare sui lavori, mentre sono
a carico del proprietario della terrazza le spese relative al rifacimento dei parapetti e di quegli accessori
necessari alla praticabilit della terrazza stessa.
Cass. 15131/01: Il lastrico solare, anche quando sia di propriet di un solo condomino, svolge funzione di
copertura, per cui il condominio ne custode e le spese di ristrutturazione, come il risarcimento al condomino
danneggiato, vanno ripartiti sulla base del principio di cui all'art. 1126 c.c.
C. App. Taranto: Mentre nelle ipotesi di lastrico solare, in caso di infiltrazioni, la ripartizione della spesa di
risarcimento del danno va eseguita sulla base dell'art. 1126 c.c., nelle ipotesi di terrazza a livello,
necessario verificare il proprietario del bene che ha la custodia del bene, il quale tenuto a vigilare che non
vengano prodotti danni ai sensi dell'art. 2051 c.c.
Trib-Bologna 3343/01: Qualora sia necessaria manutenzione del lastrico solare, l'appartamento che coperto
solo in parte dal tetto contribuisce per l'intera unit immobiliare e non solamente per quella parte coperta, atteso
che il codice attribuisce rilevanza alla porzione di piano solo quale unit immobiliare.
Cass. 13631/01: Il debito dei condomini morosi non pu essere ripartito tra gli altri condomini, ma deve essere

predisposto un fondo per le spese urgenti, al fine di scongiurare conseguenze pi gravi.


Cass.8292/00: Tra le spese condominiali necessario distinguere quelle necessarie per la conservazione, da
quelle soggettive per il godimento effettivo. Riguardo alle prime, la ripartizione andr eseguita in relazione alle
quote, trattandosi di obbligazione propter rem,mentre le seconde dovranno essere ripartite sulla base del
consumo effettivo.
Cass. 6923/01:Il distacco dall'impianto di riscaldamento da parte di un condomino legittimo se questo dimostra
che non cagioni aggravi di spese per coloro che continuano a usufruirne o squilibri termici.
Il regolamento,
anche se contrattuale, non pu esonerare il condomino che si distacchi dalle spese pu legittimanente vietare il
distacco.
Balconi e poggioli
Cass. 637/00: I balconi non rappresentano parti condominiali in quanto non necessari allesistenza delledificio. I
principi di cui allart. 1125 c.c. (volte e solai) sono applicabili ai balconi soltanto nelle ipotesi in cui la soletta
integri la stessa funzione di quella interna; ci non avviene nei balconi aggettanti. Il calpestio, il celino ed il
parapetto hanno titolarit diverse. Il calpestio di titolarit dei piani soprastanti, mentre gli elementi architettonici
presenti nel celino e nel frontalino assumono rilevanza condominiale.
Cass. 7603/99:Il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte e della parte sottostante della soletta del
balcone assolvono funzioni di decoro architettonico, a meno che ledificio non sia totalmente privo di qualsiasi
uniformit architettonica.
Cass. 568/00:Gli elementi decorativi dei balconi , svolgendo una funzione di tipo estetico, costituiscono parti
comuni, con la conseguenza che la spesa relativa al rifacimento va ripartita tra tutti i condomini in misura
proporzionale alla propriet.
T. SA 542/01:I balconi aggettanti non sono condominiali ma privati; sono condominiali solo gli elementi
decorativi e i rivestimenti dei frontalini e dei celini.
Cass. 8924/01: E' legittimo il distacco del condomino dall'impianto centralizzato di riscaldamento senza
corrispondere le spese di consumo; lo stesso dovr, peraltro, contribuire a quelle spese dell'eventuale aggravio
di spese che derivano dal maggior calore che riceve il suo immobile dall'impianto centralizzato.
Cass. 483/01: A differenza di quanto avviene per le spese di ricostruzione e manutenzione delle scale, per le
quali si applica la ripartizione di cui all'art. 1124 c.c., per quelle di illuminazione e pulizia, rilevando l'utilizzo ed il
godimento, vanno ripartite secondo il reale utilizzo, per cui l'assemblea pu ripartire le spese in maniera difforme
da quando contemplato dall'art. 1124 c.c.
T.GE 1512/03: In mancanza di regolamento, le spese di manutenzione dell'ascensore sono dovute anche dai
proprietari di unit poste al piano terra, che non sono invece tenuti alle spese di funzionamento.
T. Busto Arsizio 1075/01: Qualora un condomino venga danneggiato da un ingorgo della fognatura a causa di
un atto colposo di un condomino non individuato, il condominio non responsabile dei fatti e non tenuto al
risarcimento del danno.
T. Na 18/4/01:L'ascensore sicuramente innovazione gravosa e voluttuaria, per cui coloro che vogliono istallarlo
se ne sobbarcheranno le spese; chi vorr collegarsi successivamente ne avr il diritto, ma sar tenuto a
corrispondere la sua quota di spese di installazione, le spese di manutenzione e, in linea di massima, anche la
rivalutazione; si deve, peraltro, tenere conto dell'obsolescenza del bene.
Innovazioni vietate:
12262/02: L'interramento, da parte di un condomino, di una cisterna per il gasolio nel cortile condominiale, non
di per s un'innovazione vietata, essendo necessario verificare se, per le dimensioni del manufatto o altro,
venga impedito agli altri condomini di fare altrettanto.
Cass.12569/02: Non costituisce innovazione vietata la costruzione, da parte di un singolo, di balconi pensili sul
cortile condominiale, se non vengono lese le strutture dell'edificio e non venga impedito agli altri condomini di
fare altrettanto.
Cass. 4190/00:Le norme sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si applicano anche agli edifici in
condominio, in quanto l'art. 1102 non deroga all'art. 907 c.c.
Cass. 9033/01: La limitazione dell'uso delle scale e dell'androne a seguito dell'installazione dell'ascensore, non
costituisce innovazione vietata ove non arrechi alcun reale pregiudizio di utilizzo e ci anche nei confronti di
coloro che non ricevono alcuna utilit dall'innovazione.
Cass. 6921/01: Esula dai diritti del condomino ai sensi dell'art. 1102 ed pertanto illegittima la creazione di un
vano nel sottosuolo condominiale quando tale vano sia ad esclusivo uso del condomino medesimo ed abbia un
estensione ed una consistenza tale da impedire agli altri condomini di fare pari uso del sottosuolo.
Cass. 15390/00: Al fine di verificare la legittimit dell'apertura di una porta finestra da parte di un condomino su
prato comune necessario verificare 1)-se il prato comune accessorio allo stabile, in caso contrario l'apertura
illecita 2)-in caso affermativo, se realizzi una migliore utilizzazione dell'area o invece ne alteri la destinazione a
carico degli altri condomini; nel primo caso il diritto del condomino rientrer nelle previsioni dell'art. 1102, nella
seconda ipotesi si tratter di innovazione vietata.
T. MI 12663/02: Costituisce innovazione vietata l'installazione di stazione base per telefonia mobile sul terrazzo
condominiale senza l'unanimit dei consensi in assemblea.

T. NOC. INF. 961/02: Costituisce innovazione vietata e richiede, pertanto, l'assenso dell'unanimit dei
condomini, la sostituzione della terrazza di copertura con tetto a spiovente atteso che vegono, senza alcun
vantaggio compensativo, eliminate le facolt di calpestio, permanenza e affaccio.
Ente Condominio:
Cass.631/03:L'azione nei confronti del costruttore pu essere sia intentata dall'amministratore che dai singoli
condomini.
Cass. 12588/02:Non costituendo, il condominio, persona giuridica, ciascun condomino pu impugnare
autonomamente la sentenza sfavorevole, anche qualora non lo abbia fatto l'amministratore.
Cass. 11882/02: Non costituendo, il condominio, una persona giuridica, ciascun condomino legittimato ad
impugnare, anche singolarmente, la sentenza sfavorevole nel cui procediemento si sia costituito
l'amministratore; la mancata impugnazione, peraltro, comporta giudicato anche nei confronti dei singoli.
Cass.7891/00: Il condominio non un soggetto giuridico dotato di personalit giuridica, per cui l'Amministratore
ha solo una rappresentanza che non priva i condomini di poter agire personalmente a tutela dei propri diritti,
costituendosi, anche personalmente, e per la prima volta, in appello.
Cass. Ord. 10086/01:Agendo, l'amministratore, in qualit di mandatario di persone fisiche la cui attivit, in
ambito condominiale, estranea all'impresa, si ritiene vessatoria, fino a prova contraria, la clausola contrattuale
di deroga alla competenza contenuta in un contratto per la manutenzione dell'ascensore.
Amministratore:
Cass. 4531/03: L'istituto della prorogatio imperii trova fondamento nell'interesse del condominio alla continuit
dell'amministratore, per cui l'amministratore rimane in carica fino al subentro del nuovo anche nel caso di
annullamento o revoca della delibera che lo ha nominato.
Cass.3596/03:Poich ol mandarto comporta l'esecuzione di tutte quelle attivit necessarie per l'espletamento
dell'incarico, l'amministratore non ha diritto ad un compenso extra per la partecipazione alle assemblee
straordinarie le quali, a differenza che per quanto riguarda le societ, non hanno necessariamente quale oggetto
materie di amministrazione straordinaria.
Cass. Pen. 9027/03: L'amministratore penalmente responsabile in caso di crollo di edificio, avendo il potere di
ordinare lavori urgenti, salva ratifica da parte dell'assemblea.
Cass. Sezioni unite 5035/02: In caso di necessit di recupero giudiziale dei contributi, legittimato passivamente
solo l'effettivo condomino, risultante dai registri pubblici, e non colui che appare tale (condomino apparente).
Cass. 12709/02: La procedura per recupero delle spese condominiali deve essere intrapresa nei confronti
dell'effettivo condomino e non da colui che risulti tale.
Cass. 65/02:L'amministratore l'unico a poter rappresentare il condominio e non possibile tenere conto di altre
risultanze se non il verbale; per questo motivo, non essendo applicabile il principio dell'apparenza, inesistente
la notifica a persona diversa dall'amministratore.
Cass. 10815/00: L'amministratore di condominio configura un rapporto di mandato con rappresentanza, per cui
alla scadenza del rapporto, tenuto a restituire tutte le somme in suo possesso a prescindere dalla gestione cui
le somme si riferiscono.
Cass. Penale 19678/01: Incombe sull'amministratore il dovere di eliminare ogni pericolo di crollo in un edificio
(nella specie un pezzo di cornicione), per cui la responsabilit dei condomini sussiste solo quando
l'amministratore, per un fatto accidentale, non abbia potuto provvedere.
Cass. 15159/01: L'amministratore tenuto, in ogni momento sia richiesto da un condomino,, a fornire copia di
tutta la documentazione condominiale in suo possesso, sempre che l'esercizio di tale potere, da parte del
condomino, non intralci l'attivit amministrativa e non sia contrario a principi di correttezza.
C.App.MI:11/12/02:L'amministratore di un condominio pu essere costituito da una societ di persone.
T.PR 949/01:L'amministratore che abbia anticipato somme, al fine del recupero, pu agire nei confronti del
condominio, rappresentato da nuovo amministratore, ma l'obbligazione non solidale tra tutti i condomini
relativa ai singoli in quanto, al momento dell'anticipazione, ha colmato delle carenze a favore solo dei morosi.
Cass. 4706/01: I procedimenti per la nomina e la revoca di amministratore, essendo ricompresi tra quelli non
contenziosi di volontaria giurisdizione, non sono sottoposti alla disciplina della soccombenza, per cui le spese
legali fanno carico al procedente.
Cass. 8676/01: L'art. 63 disp. att. c.c. si riferisce a tutte le spese condominiali e, pertanto, anche alle
innovazione; per questi motivi l'A. pu chiedere decreto ingiuntivo anche per contributi relativi a queste ultime.
Cass. 6190/01: L'amministratore ha facolt, senza l'autorizzazione dell'assemblea, agire con azione possessoria
nei confronti di chi turba il possesso di parti comuni e ci ai sensi dell'art. 1130 N. 4 c.c.
T.Bo 1471/00: L'effetto purgativo della vendita giudiziaria non si applica in limitazione all'art. 63 disp. att. c.c., in
quanto l'acquirente rimane vincolato alle spese sorte nell'anno in corso e in quello precedente anche se
l'immobile stato acquistato all'asta.
I crediti del condominio necessari per il mantenimento della cosa
comune devono essere assegnati dal Giudice in prededuzione agli altri creditori.
T. GE 1501/01: Qualora il compenso dell'amministratore sia concordato in via forfettaria, non dovuto
compenso straordinario per lavori specifici.
T. GE Decr. 11/7/01: L'amministratore non pu essere costituito da una persona giuridica, per cui in giudizio
deve essere chiamata la persona fisica che la rappresenta.
T. Torino 26/9/01: L' ex amministratore che intenda recuperare anticipazioni nei confronti del condominio pu
rivolgersi all'amministratore, ma non ha azione solidale nei confronti dei condomini, ma questi rispondono pro
quota.
Assemblea:
Cass. 4531/03: L'assemblea pu legittimamente autorizzare l'amministratore a richiedere pagamenti provvisori.

Cass. 1201/02: In caso di contrasto di interessi, per cui un condomino si astenga, la maggioranza dei millesimi
necessaria quella riferita alla totalit, senza esclusione di quelli del condomino astenuto; nel caso in cui non si
possa raggiungere la maggioranza sempre aperto il ricorso al Giudice in sede non contenziosa ai sensi
dell'art. 1105 c.c.
Cass. 697/00: In mancanza di una norma che disponga altrimenti, non esistono limiti di orario alla convocazione
di un'assemblea.
Per cui non vi sono conseguenze sulle decisioni prese in seconda convocazione, se la
prima sia andata deserta a causa dell'orario notturno.
Cass. 126/00: Non rientra tra le competenze dellassemblea modificare i criteri di ripartizione di cui alla legge o
al regolamento contrattuale, per cui la relativa delibera nulla, mentre rientra la concreta ripartizione di una
spesa, anche eseguita su principi illegittimi, per cui la relativa delibera meramente annullabile.
Cass. Pen. 3031/01: Occorre l'unanimit al fine di dare mandato all'amministratore per procedere con querela
nei confronti di chi si macchiato di reati nei confronti del condominio (nella specie sottrazione di energia
elettrica).
Cass. 4721/01: Nei condomini minimi (formati da due soli condomini) non si applicano le maggioranze relative al
condominio (non essendo possibile raggiungere le maggioranze di "teste") per cui si applicano quelle relative
alla comunione (artt. 1105, 1106 c.c.).
T. BZ 14/2/00: In caso di multipropriet di un'unit immobiliare, in assemblea il diritto di voto dato ad un solo
rappresentante deciso dai contitolari e, in caso di mancato accordo, scelto con sorteggio dal presidente
dell'assemblea.
T. CT 821/02: L'assemblea ha il potere, per il migliore godimento di una parte comune, a limitarne l'utilizzo, ma
non di impedirlo totalmente.
Delibere assembleari
Cass. 13350/03: E' annullabile la delibera, in quanto viziata nel procedimento di formazione della volont
assembleare, che decide su argomenti sui quali un condomino non sia stato posto in condizione di verificarne la
documentazione, e ci in quanto non abbia potuto validamente intervenire nella discussione apportando tutte le
informazioni necessarie.
Cass. 4531/03:E' valida la delibera che ha adottato un criterio di voto atipico purch siano rispettate le effettive
maggioranze.
Cass.2387/03:La delibera costituisce titolo di credito nei confronti del condomino, per cui non vi continenza o
pregiudizialit tra la controversia diretta all'annullamento della delibera ed il giudizio di opposizione; per cui il
condomino moroso che oppone il decreto in pendenza di esecutivit di delibera sara socombente nel giudizio di
opposizione.
Cass. 16485/02: Sono nulle le delibere che abbiano oggetto impossibile o illecito, ovvero che violino diritti
individuali che la legge non consente all'assemblea di incidere, mentre sono annullabili tutte quelle contrarie alla
legge o al regolamento.
Cass. 1166/02: Non viziata la delibera di trasformazione dell'impianto centralizzato in unifamiliari a gas ai sensi
della L. 10/91 anche qualora non sia ancora stato redatto il progetto e la relazione tecnica, inerendo la delibera
alla sola fase deliberativa e non esterna ( successiva) nei confronti degli enti pubblici competenti.
Cass. 15010/00: La delibera assembleare non pu approvare in blocco genericamente le spese, ma deve
distinguere analiticamente le spese per l'uso delle parti comuni e le spese di manutenzione (sia ordinaria che
straordinaria).
Cass. 2301/01: Il principio secondo il quale nulla la delibera che modifica i criteri di ripartizione di cui all'art.
1123 ma annullabile quella che, in concreto, ripartisce le spese su criteri sbagliati, non si applica quando
l'assemblea consapevolmente deroghi una tantum i criteri di ripartizione di una spesa nel qual caso la delibera
nulla.
Cass. 13013/01: Come avviene per le societ, sono nulle le delibere che hanno oggetto impossibile o illecito
(norme di ordine pubblico), che esorbitino dalla competenza dell'assemblea, o che violino diritti inviolabili dei
singoli, mentre sono annullabili quelle affette da vizi di convocazione o approvate con una maggioranza
insufficiente.
T. PT: 10/3/02 E' nulla, per indeterminatezza dell'oggetto, la delibera che rimetta alla volont
dell'amministratore la realizzazione di opere.
T. UD.136/03: L'irregolarit del procedimento di convocazione non pu essere censurata, in sede di giudizio di
impugnazione, dal codomino che abbia partecipato alla discussione dell'ordine del giorno senza eccepire nulla.
T. NA 3/1/02:L'assemblea, a maggioranza, pu decidere di adibire il cortile comune a parcheggio per auto,
solamente, peraltro, se non vi sia pregiudizio per le propriet o pertinenze esclusive, anche se non vi sia un
posto per ogni condomino
T.BG 566/00: Una delibera assembleare pu sempre essere revocata, purch la delibera di revoca sia presa
con le maggioranze richieste dalla legge.
T. Nocera Inferiore: L'assemblea ha il potere di ratificare spese non autorizzate effettuate dall'amministratore in
quanto tale potere compreso fra le attribuzioni conferitele.
C. A. Lecce (Taranto) 257/98: L'azione di annullamento non esperibile se la delibera viziata stata sostituita
da una legittima.
T. Busto Arsizio: 1315/00:Il sindacato dell'Autorit Giudiziaria non pu estendersi alla valutazione del merito e

alla discrezionalit dell'assemblea, essendo limitato alla legittimit; la valutazione si estende all'eccesso di
potere, quando la volont dell'assemblea deviata a finalit estranee a quelle collettive.
T. Bs 3066/00: E nulla la delibera che abbia aggiunto dei divieti a quelli gi esistenti nel regolamento di
condominio, atteso che l'assemblea non pu limitare i diritti dei condomini ma solo disciplinarli.
T. Roma 39236/00: Al fine di approvare l'adozione di sistemi di termoregolamentazione e contabilizzazione del
calore e ripartirne i costi sufficiente,ai sensi della legge 10/91 la maggioranza dei soli presenti, senza alcun
riferimento alle loro quote millesimali.
T.NA 28/11/00: il principio secondo il quale solo l'assente o il dissenziente pu impugnare la delibera annullabile,
non si applica se il condomino, presente per delega, ha votato favorevolmente ad un punto che non figurava
all'ordine del giorno, atteso che, in questo caso, il delegato ha votato in difetto di valida procura, ovvero senza
poteri.
T. BO. 639/00: Non costituisce innovazione, da approvarsi con la relativa maggioranza, la installazione di una
recinzione metallica sostitutiva di paletti, atteso che non viene mutata l'entit materiale del bene, attraverso la
sua radicale trasformazione.
Atti dell'amministratore:
Cass.12274/02: Nell'ipotesi di controversia giudiziaria diretta al recupero giudiziale di contributi condominiali,
competente il Giudice del luogo dove si trova l'immobile, agendo l'amministratore quale rappresentate dei
condomini, la controversia si configura come condominiale.
Cass. 7621/02: In caso di violazione del possesso di un condomino da parte dell'amministratore, quest'ultimo
qualificabile come autore materiale dello spoglio (nonostante si sia avvalso di terzi) mentre autore morale deve
essere considerata la comunit condominiale.
Cass. 15283/00:L'amministratore tenuto, secondo l'ordinaria diligenza, al fine di assicurare la corretta
convocazione dell'assemblea, a svolgere le dovute indagini per rintracciare i condomini non pi presenti al
precedente recapito, anche chiedendo notizie agli altri condomini.
Cass. 13611/00: L'Amministratore legittimato, senza autorizzazione dell'assemblea ad agire per la demolizione
di una sopraelevazione che alteri l'estetica della facciata ai sensi dell'art. 1130 c.c. n. 4.
G.d.P. BO 2557/02: Poich non pu essere nominata amministratore di condominio una societ di capitali,
priva di legittimazione attiva al recupero giudiziale dei contributi condominiali, la societ che sia stata nominata
amministratore di condominio.
T. BO 1301/02: Ogni condomino ha il diritto di poter visionare in qualsiasi tempo la documentazione
condominiale e di poterne estrarre copia;
Il rendiconto condominiale non deve rispettare forme rigorose ma devono essere chiaramente descritte le
entrate e le uscite.
Condominio e spese di conservazione: legittimazione passiva dell'ex condomino
( Cassazione , sez.II civile, sentenza 01.07.2004 n 12013 )
Il condomino creditore che intenda agire in executivis contro il singolo partecipante al condominio per il recupero
delle spese di conservazione dell'immobile accertato con sentenza, deve rivolgere la propria pretesa, sia per il
credito principale, che per credito relativo alle spese processuali, contro chi rivestiva la qualit di condomino al
momento in cui l'obbligo di conservazione insorto, e non contro colui che tale qualit riveste nel momento in
cui il debito viene giudizialmente determinato.Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12013
del 1 luglio 2004, ricordando che l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle spese di conservazione delle
parti comuni insorge nel momento in cui si rende necessario provvedere all'esecuzione dei lavori necessari, e
non quando il debito viene determinato in concreto, in caso di sentenza di condanna pronunziata nei confronti
del condominio per inosservanza dell'obbligo di conservazione delle cose comuni.
Preliminare di permuta vincolante anche nel caso di fallimento del costruttore
( Cassazione , SS.UU. civili, sentenza 07.07.2004 n 12505 )
Nell'ipotesi di sopravvenuto fallimento di un costruttore, il curatore non pu sciogliersi, ex art. 72 Legge
Fallimentare, dal contratto preliminare di permuta di unarea edificabile con una palazzina da realizzarsi sulla
stessa area, se la domanda diretta ad ottenere lesecuzione in forma specifica dellobbligo di concludere il
contratto di permuta stata trascritta prima della dichiarazione di fallimento.Lo hanno stabilito le Sezioni Unite
della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12505 del 7 luglio 2004, ricordando che il contratto preliminare e
quello definitivo, pur rimanendo distinti, si configurano quali momenti di una sequenza procedimentale diretta
alla realizzazione di unoperazione unitaria.
Danni alla cosa locata: diritto a percepire i canoni nel periodo delle riparazioni
Cassazione , sez. III, sentenza 30.07.2004 n 14608 )
Se al momento della riconsegna l'immobile locato presenta danni eccedenti il degrado dovuto al normale uso del
bene locato, il conduttore ha l'obbligo di risarcire tali danni, consistenti non solo nel costo delle opere necessarie
per la rimessione in pristino, ma anche nel canone dovuto per tutto il periodo necessario per l'esecuzione e il
completamento di tali lavori. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14608 del 30 luglio 2004,
precisando che, con riferimento ai canoni nel periodo necessario per le riparazioni, il locatore non tenuto a
provare di aver ricevuto da parte di terzi richieste per la locazione non soddisfatte a causa dei lavori. Cfr. Cass.
n. 6417/1998)
Condominio: esercizio del possesso sulle parti comuni da parte del proprietario

( Cassazione , sez. II civile, sentenza 28.04.2004 n 8119 )


In tema di condominio, il possesso delle parti comuni, inteso come esercizio di fatto corrispondente al diritto, si
atteggia diversamente a seconda che le cose, gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unit
immobiliari, cui sono collegati materialmente o per destinazione funzionale (come ad esempio fondazioni, muri
maestri, facciate, tetti, lastrici solari, oggettivamente utili per la statica), oppure siano utili soggettivamente, e
perci la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipende dall'attivit dei
rispettivi proprietari (come ad esempio scale, portoni, anditi, portici, stenditoi, ascensore, impianti centralizzati
per l'acqua calda o per aria condizionata). Infatti, nel primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio
che il piano o la porzione di piano - e soltanto per traslato il proprietario - trae da tali utilit; nel secondo caso il
possesso si esercita tramite l'espletamento della predetta attivit da parte del proprietario. E' questo il principio
stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 8119 depositata il 28 aprile 2004. Nella caso di specie la
Suprema Corte ha ritenuto illegittima l'attivit di un condomino che, nel proprio locale sito al piano terra del
condominio, aveva eseguito lavori, autorizzati dal Comune, di rifacimento del pavimento e abbassamento del
suo livellocon opere di impermeabilizzazione. Tale attivit, infatti, incide sul "suolo" su cui sorge l'edificio che
rientra nella categoria delle cose comuni suscettibili di utilit oggettiva. (Altalex, 30 giugno 2004)
Condominio: s alla tutela possessoria per violazione delle distanze legali
( Cassazione , sez. II civile, sentenza 24.11.2003 n 17868 )
La violazione delle distanze legali nelle costruzioni integra una molestia al possesso del fondo finitimo contro la
quale data l'azione di manutenzione e anche quando tale violazione non ne comprime di fatto l'esercizio del
possesso importa automaticamente una modificazione o restrizione delle relative facolt.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17868 del 24 novembre 2003, precisando con
riferimento al caso di specie che il condominio compossessore, unitamente agli altri condomini delle parti
comuni dell'edificio condominiale e che, pertanto, legittimato a chiedere la tutela possessoria contro gli
attentati all'esercizio di tale possesso.
(Altalex, 14 gennaio 2004. Cfr. Cass. 9 settembre 1989, n. 3911; Cass., 19 marzo 1991, n. 2927; Cass., 23
gennaio 1995, n. 724). http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=1631
Sopraelevazione: al proprietario del lastrico non serve consenso dei condomini
( Consiglio di Stato , sez. V, sentenza 21.11.2003 n 7539 )
Con riferimento ad un condominio edilizio, i proprietari in via esclusiva dei lastrici solari, i quali soli possono
sfruttare le residue capacit costruttive dellimmobile, hanno la facolt di chiedere la concessione edilizia per
realizzare una sopraelevazione che sfrutti nuovi e pi elevati indici di edificabilit, conseguenti alla modificazione
delle prescrizioni urbanistiche relative allarea considerata, indipendentemente dal consenso degli altri
condomini che a tale facolt avevano rinunziato allatto dellacquisto dei singoli appartamenti.
E' questo il principio stabilito dalla Sezione V del Consiglio di Stato nella sentenza n. 7539 depositata il 21
novembre 2003.
I giudici di Palazzo Spada hanno ricordato che la disciplina del diritto di sopraelevazione, di carattere
squisitamente civilistico, si proietta su quella amministrativa contenuta nelle norme che regolano lo sfruttamento
edilizio dei suoli (legge 28 gennaio 1977, n. 10), secondo la quale la concessione edilizia data al proprietario
dell'area o a chi abbia titolo per richiederla (art. 4), nel senso che titolare dello jus aedificandi, nel caso di
sopraelevazione o nuova fabbrica in un edificio di propriet condominiale, sono unicamente i soggetti che hanno
il potere giuridico di realizzare le costruzioni. http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=1739
Condominio - sulla ripartizione delle spese relative ad un lastrico solare
( Cassazione Sez. II, sentenza 25.02.2002 n 2726 )
L'art. 1126 cod.civ., con riferimento al lastrico solare di uso o di propriet esclusiva, individua la misura del
contributo, per le spese di riparazione e ricostruzione, dovuta dall'utente o proprietario esclusivo e dagli altri
condomini indicati dalla norma, sulla base del rapporto (un terzo e due terzi) fra l'utilitas connessa all'uso o alla
propriet esclusiva del lastrico solare, e l'utilitas, ritenuta dalla norma prevalente, connessa alla funzione di
copertura dell'edificio condominiale, funzione alla quale il lastrico solare principalmente adempie a vantaggio di
tutti i condomini.
Sono a completo carico dell'utente o proprietario esclusivo del lastrico solare le spese attinenti a quelle parti del
lastrico solare, del tutto avulse dalla funzione di copertura (ad. le spese attinenti ai parapetti, alle ringhiere ecc.,
collegate alla sicurezza del calpestio); mentre tutte le altre spese, siano esse di natura ordinaria o straordinaria,
purch attinenti alle parti del lastrico solare svolgenti, comunque, funzione di copertura, vanno sempre suddivise
fra l'utente o proprietario esclusivo del lastrico solare ed i condomini proprietari degli appartamenti sottostanti il
lastrico secondo la proporzione indicata nell'art. 1126 c.civ.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=4625
Sopraelevazione: al proprietario del lastrico non serve consenso dei condomini
( Consiglio di Stato , sez. V, sentenza 21.11.2003 n 7539 )
Con riferimento ad un condominio edilizio, i proprietari in via esclusiva dei lastrici solari, i quali soli possono
sfruttare le residue capacit costruttive dellimmobile, hanno la facolt di chiedere la concessione edilizia per
realizzare una sopraelevazione che sfrutti nuovi e pi elevati indici di edificabilit, conseguenti alla modificazione
delle prescrizioni urbanistiche relative allarea considerata, indipendentemente dal consenso degli altri
condomini che a tale facolt avevano rinunziato allatto dellacquisto dei singoli appartamenti.
E' questo il principio stabilito dalla Sezione V del Consiglio di Stato nella sentenza n. 7539 depositata il 21
novembre 2003.

I giudici di Palazzo Spada hanno ricordato che la disciplina del diritto di sopraelevazione, di carattere
squisitamente civilistico, si proietta su quella amministrativa contenuta nelle norme che regolano lo sfruttamento
edilizio dei suoli (legge 28 gennaio 1977, n. 10), secondo la quale la concessione edilizia data al proprietario
dell'area o a chi abbia titolo per richiederla (art. 4), nel senso che titolare dello jus aedificandi, nel caso di
sopraelevazione o nuova fabbrica in un edificio di propriet condominiale, sono unicamente i soggetti che hanno
il potere giuridico di realizzare le costruzioni.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=1739
Condominio: non rimborsabili le spese per il godimento della cosa comune
( Cassazione , sez. II civile, sentenza 01.08.2003 n 11747 )
Soltanto le spese per conservazione, e nel caso di trascuranza degli altri comproprietari, da accertarsi in fatto,
possono essere anticipate da un partecipante al fine di evitare il deterioramento della cosa, cui egli e tutti gli altri
hanno oggettivo interesse, e soltanto delle spese per la conservazione il condomino, che le ha anticipate, pu
chiederne il rimborso. Relativamente alle spese per il godimento, le quali invece debbono essere sostenute
solamente da chi concretamente gode della cosa comune, il rimborso non previsto, in quanto il singolo
condomino le ha anticipate per un godimento soggettivo, che suo personale che non pu riguardare anche gli
altri partecipanti alla comunione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11747 del 1 agosto 2003, precisando che le spese per
la conservazione sono quelle necessarie per custodire, mantenere la cosa comune in modo che duri a lungo,
che non si sciupi, mentre le spese per il godimento riguardano luso effettuato nellesercizio del diritto, per
ricavare dalla cosa le utilit che la stessa pu offrire.
Nel caso di specie la Suprema Corte ha considerato le spese per lacqua occorrente per la irrigazione del
giardino come spese destinate alla conservazione; mentre ha qualificato come spese destinate al godimento
quelle sostenute per il combustibile e per lenergia elettrica necessaria per limpianto di riscaldamento e per
lacqua potabile. http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=6554
Violazione delle distanze e facolt di richiedere la comunione forzosa del muro
( Cassazione , SS.UU., sentenza 01.08.2002 n 11489 )
Perch possa escludersi lapplicabilit della disciplina dettata in tema di distanze tra edifici dallart. 17, comma
1, lett. c), legge n. 765/1967, necessario che lo strumento edilizio locale provveda direttamente sulle distanze
Il principio codicistico della prevenzione in tema di distanze tra edifici non incompatibile con la disciplina sulle
distanze tra fabbricati vicini dettata dallart. 17, comma 1, lett. c) legge n. 765/1967, con la conseguenza che, ai
sensi dellart. 875 cod. proc. civ., il prevenuto, che non voglia arretrare la propria costruzione sino alla prescritta
distanza dal fabbricato del preveniente posto a distanza dal confine inferiore alla met di detta distanza, ha la
facolt di chiedere la comunione forzosa del muro del preveniente al fine di costruirvi contro; allesercizio di tale
facolt non osta la circostanza che sul muro che si vuole rendere comune risultino aperte vedute iure
proprietatis. http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=3872
Condominio: sull'uso illegittimo del sottosuolo da parte di un condomino
( Cassazione sez. II, sentenza 21.05.2001 n 6921 )
Sussiste la legittimazione dellamministratore condominiale a proporre ex art. 1130 n.4 c.c., senza la necessit di
delibera autorizzativa, le domande giudiziali nei confronti di coloro che pretendano di acquistare diritti spettanti ai
condomini o contro il condomino che abusi della cosa comune
Viola la disposizione dellarticolo 1102 c.c., la costruzione nel sottosuolo del fabbricato condominiale di un vano
destinato esclusivamente al soddisfacimento di esigenze personali e familiari di un condominio impedisce agli
altri condomini di fare del sottosuolo e del relativo sedime un pari uso e, soprattutto, in considerazione della
vastit della superficie interessata e della destinazione del vano ad un uso esclusivo (ripostiglio) del tutto
incompatibile con la natura condominiale del bene utilizzato, attesa la destinazione del sedime del fabbricato e
della colonna daria compresa tra il sedime e lappartamento a piano terra del ricorrente, impedisce, al di l
dellattualit di tale compromissione, ogni ulteriore, eventuale utilizzazione di detti beni, nellinteresse comune
della collettivit dei condomini. http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=3688
Sopraelevazione: al proprietario del lastrico non serve consenso dei condomini
( Consiglio di Stato , sez. V, sentenza 21.11.2003 n 7539 )
Con riferimento ad un condominio edilizio, i proprietari in via esclusiva dei lastrici solari, i quali soli possono
sfruttare le residue capacit costruttive dellimmobile, hanno la facolt di chiedere la concessione edilizia per
realizzare una sopraelevazione che sfrutti nuovi e pi elevati indici di edificabilit, conseguenti alla modificazione
delle prescrizioni urbanistiche relative allarea considerata, indipendentemente dal consenso degli altri
condomini che a tale facolt avevano rinunziato allatto dellacquisto dei singoli appartamenti.
E' questo il principio stabilito dalla Sezione V del Consiglio di Stato nella sentenza n. 7539 depositata il 21
novembre 2003.
I giudici di Palazzo Spada hanno ricordato che la disciplina del diritto di sopraelevazione, di carattere
squisitamente civilistico, si proietta su quella amministrativa contenuta nelle norme che regolano lo sfruttamento
edilizio dei suoli (legge 28 gennaio 1977, n. 10), secondo la quale la concessione edilizia data al proprietario
dell'area o a chi abbia titolo per richiederla (art. 4), nel senso che titolare dello jus aedificandi, nel caso di
sopraelevazione o nuova fabbrica in un edificio di propriet condominiale, sono unicamente i soggetti che hanno
il potere giuridico di realizzare le costruzioni. http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=1739

Legittimazione del possessore a chiedere concessione edilizia


Consiglio di Stato , sez. V, decisione 28.05.2001 n 2882
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=2985
Locazione: spese per redigere il contratto gravano su chi ha incaricato il legale
( Cassazione , sez. III civile, sentenza 26.04.2004 n 7926 )
Lobbligo di pagare il compenso allavvocato grava, in linea di principio, sul soggetto che lo ha officiato, sebbene
lopera professionale sia stata richiesta e si sia svolta nellinteresse anche di un terzo.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza 26 aprile 2004 n. 7926, rigettando la pretesa di un
avvocato che chiedeva ad una delle parti il pagamento di un compenso per prestazioni professionali consistenti
nella redazione di un contatto di locazione.
La Suprema Corte inoltre ha sollevato dei dubbi sul fatto che un'opera professionale come quella della
redazione di un contratto di locazione possa essere svolta nel comune interesse del locatore e della conduttrice,
dal momento che gli stessi sono portatori, per definizione, di interessi contrapposti.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=7267
Condominio: criteri per qualificare lo spazio esterno al fabbricato come cortile
( Cassazione , sez. II civile, sentenza 29.10.2003 n 16241 )
Il cortile costituisce uno spazio esterno al fabbricato che, oltre a dare aria e luce agli edifici circostanti, soddisfa
altres l'esigenza dell'accesso alla via pubblica.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza 29 ottobre 2003, escludendo nel caso di specie la natura
di cortile dell'area in questione in quanto la stessa, pur assolvendo alla funzione di dare aria e luce agli edifici
circostanti, non era stata utilizzata dai condomini dell'edificio per accedere ad esso.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=669
Violazione del regolamento condominiale: amministratore pu agire in giudizio
( Cassazione , sez. II civile, sentenza 29.10.2003 n 16240 )
L'amministratore del condominio legittimato ad agire e resistere in giudizio, senza necessit di alcuna
preventiva autorizzazione assembleare, non solo per l'esecuzione delle delibere dell'assemblea, ma anche per
garantire l'osservanza del regolamento condominiale e tutelare conseguentemente la condominialit dagli effetti
lesivi della inosservanza dello stesso.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16240 del 29 ottobre 2003, statuendo nella specie la
legittimit dell'azione promossa dall'amministratore del condominio contro la violazione del divieto di destinare
locali di propriet esclusiva a determinati usi.
(Altalex, 3 febbraio 2004. Cfr. Cass. n. 954/77, n. 14088/99, n. 13504/99).
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=1281
Agevolazioni "prima casa" anche per l'acquisto di immobili in costruzione
( Cassazione , sez. tributaria, sentenza 12.03.2003 n 3604 )
Le agevolazioni fiscali per l'acquisto della "prima casa" spettano anche all'acquirente di immobile "in corso di
costruzione" da destinare ad abitazione "non di lusso".
Lo ha ribadito la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, con la sentenza 12 marzo 2003 n. 3604,
precisando che tali benefici possono essere conservati soltanto se la finalit dichiarata dal contribuente nell'atto
d'acquisto, di destinare l'immobile a propria abitazione, venga da questo realizzata entro il termine di decadenza
del potere di accertamento dell'Ufficio in ordine alla sussistenza dei requisiti per fruire di tali benefici, che, con
riferimento all'imposta di registro, di tre anni dalla registrazione dell'atto.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=6086
Agevolazioni ''prima casa'': sulla decadenza per trasferimento nel quinquennio
( Agenzia Entrate , risoluzione 06.10.2003 n 192 )
Se labitazione acquistata beneficiando delle agevolazioni "prima casa", viene trasferita per atto a titolo oneroso
o gratuito, entro i cinque anni dalla data dellacquisto, il beneficiario pu evitare la decadenza dalle agevolazioni
acquistando - entro un anno dallalienazione dellimmobile agevolato - altro immobile da adibire a propria
abitazione principale.
Lo ha chiarito l'Agenzia delle Entrate, con risoluzione n. 192 del 6 ottobre 2003, precisando tuttavia che per
evitare la decadenza indispensabile che il nuovo immobile acquistato sia destinato ad abitazione principale
dellacquirente entro un termine non eccedente una logica aspettativa di prossimit.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=6750
Nota a cura della redazione. Cfr. Cass. 07.07.2000 n. 9150; Cass. 07.07.2000 n. 9149).
Pericolo di rovina edificio: multa all'amministratore che non ordina lavori urgenti
( Cassazione , sez. I penale, sentenza 25.02.2003 n 9027 )
Negli edifici condominiali lobbligo giuridico di rimuovere il pericolo derivante dalla minacciante rovina di parti
comuni della costruzione incombe sullamministratore, pur potendo esso risorgere in via autonoma a carico dei
singoli condomini qualora, per cause accidentali (ad esempio: indisponibilit dei fondi necessari o rifiuto dei
condomini di contribuire alla costituzione del fondo spese occorrente), lamministratore non possa adoperarsi
allo scopo suindicato con la necessaria urgenza.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9027 del 25 febbraio 2003, precisando che
lamministratore ha lobbligo giuridico di attivarsi senza indugio per la eliminazione delle situazioni

potenzialmente idonee a cagionare la violazione della regola del neminem laedere, informando i condomini nella
prima assemblea.
(Nota a cura della redazione. Cfr. Cass., sez.I, 4 marzo 1997; Cass. 19 giugno 1996; Cass., sez. IV, 6 maggio
1983; Cass., sez. VI, 22 aprile 1980; Cass. 4 maggio 1973; Cass., sez. III, 13 luglio 1962).
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=940
Violazione delle distanze e facolt di richiedere la comunione forzosa del muro
( Cassazione , SS.UU., sentenza 01.08.2002 n 11489 )
Perch possa escludersi lapplicabilit della disciplina dettata in tema di distanze tra edifici dallart. 17, comma
1, lett. c), legge n. 765/1967, necessario che lo strumento edilizio locale provveda direttamente sulle distanze
Il principio codicistico della prevenzione in tema di distanze tra edifici non incompatibile con la disciplina sulle
distanze tra fabbricati vicini dettata dallart. 17, comma 1, lett. c) legge n. 765/1967, con la conseguenza che, ai
sensi dellart. 875 cod. proc. civ., il prevenuto, che non voglia arretrare la propria costruzione sino alla prescritta
distanza dal fabbricato del preveniente posto a distanza dal confine inferiore alla met di detta distanza, ha la
facolt di chiedere la comunione forzosa del muro del preveniente al fine di costruirvi contro; allesercizio di tale
facolt non osta la circostanza che sul muro che si vuole rendere comune risultino aperte vedute iure
proprietatis.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=3872
Condominio e spese di conservazione: legittimazione passiva dell'ex condomino
( Cassazione , sez.II civile, sentenza 01.07.2004 n 12013 )
Il condomino creditore che intenda agire in executivis contro il singolo partecipante al condominio per il recupero
delle spese di conservazione dell'immobile accertato con sentenza, deve rivolgere la propria pretesa, sia per il
credito principale, che per credito relativo alle spese processuali, contro chi rivestiva la qualit di condomino al
momento in cui l'obbligo di conservazione insorto, e non contro colui che tale qualit riveste nel momento in
cui il debito viene giudizialmente determinato.Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12013
del 1 luglio 2004, ricordando che l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle spese di conservazione delle
parti comuni insorge nel momento in cui si rende necessario provvedere all'esecuzione dei lavori necessari, e
non quando il debito viene determinato in concreto, in caso di sentenza di condanna pronunziata nei confronti
del condominio per inosservanza dell'obbligo di conservazione delle cose comuni.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=7713
Condominio: esercizio del possesso sulle parti comuni da parte del proprietario
( Cassazione , sez. II civile, sentenza 28.04.2004 n 8119 )
In tema di condominio, il possesso delle parti comuni, inteso come esercizio di fatto corrispondente al diritto, si
atteggia diversamente a seconda che le cose, gli impianti ed i servizi siano oggettivamente utili alle singole unit
immobiliari, cui sono collegati materialmente o per destinazione funzionale (come ad esempio fondazioni, muri
maestri, facciate, tetti, lastrici solari, oggettivamente utili per la statica), oppure siano utili soggettivamente, e
perci la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipende dall'attivit dei
rispettivi proprietari (come ad esempio scale, portoni, anditi, portici, stenditoi, ascensore, impianti centralizzati
per l'acqua calda o per aria condizionata). Infatti, nel primo caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio
che il piano o la porzione di piano - e soltanto per traslato il proprietario - trae da tali utilit; nel secondo caso il
possesso si esercita tramite l'espletamento della predetta attivit da parte del proprietario. E' questo il principio
stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 8119 depositata il 28 aprile 2004. Nella caso di specie la
Suprema Corte ha ritenuto illegittima l'attivit di un condomino che, nel proprio locale sito al piano terra del
condominio, aveva eseguito lavori, autorizzati dal Comune, di rifacimento del pavimento e abbassamento del
suo livellocon opere di impermeabilizzazione. Tale attivit, infatti, incide sul "suolo" su cui sorge l'edificio che
rientra nella categoria delle cose comuni suscettibili di utilit oggettiva.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=7490
LA SOPPRESSIONE DEL PORTIERATO
Se un servizio condominiale previsto nel regolamento di condominio, la sua soppressione costituisce modifica
del regolamento che deve essere approvata con la maggioranza prevista dall'articolo 1136, 2[b0] comma del
codice civile. Questa norma stabilisce che sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che
rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la met del valore dell'edificio. Questo l'importante
principio stabilito dalla Corte di Cassazione con sentenza numero 3708/1995. Nel caso esaminato dalla
Suprema Corte, veniva prevista la soppressione del servizio di portineria (servizio che risultava incluso nel
regolamento condominiale). Ad avviso del collegio giudicante, il regolamento di condominio contiene le norme
circa l'uso delle "cose comuni" e, quando il codice parla di "cose comuni" intende riferirsi anche ai "servizi
comuni".
Conseguentemente, rientrando il servizio di portierato fra le "cose comuni", la sua soppressione richiede la
maggioranza qualificata indicata in precedenza.
Contratto di mediazione - condizioni per il diritto alla provvigione
( Cassazione 02.08.2001 n 10606 )
Il mediatore ha diritto alla provvigione in quanto la sua attivit svolga un ruolo causale nella conclusione
dell'affare. Invero non necessario che il ruolo sia esclusivo, niente impedendo che abbia pi modesta portata
e, cio, che l'attivit del mediatore si inserisca come semplice concausa nel processo formativo dell'affare (1).
Detta attivit infatti pu intervenire in qualsiasi momento, all'inizio segnalando l'affare - sempre che la
segnalazione costituisca il risultato utile di una ricerca fatta dal mediatore - oppure nel corso delle trattative

senza che sia, quindi, necessario che si protragga dall'inizio fino alla conclusione dell'affare. Quello che
indispensabile che, in qualsiasi momento intervenga o con qualsiasi altro fattore causale concorra, l'attivit del
mediatore costituisca un antecedente necessario della conclusione dell'affare (2).
Ne consegue che non d diritto a provvigione l'attivit di mediazione che, secondo l'apprezzamento del giudice,
non svolga alcun ruolo causale, neppure ridotto.
(1) Cfr. Cass. 16.1.1996, n. 297; Cass. 28.7.1997, n. 7048.
(2) Cfr. Cass. 16.1.1997, n. 392; Cass. 18.8.1997, n. 7554; Cass. 13.12.1978, n. 5929.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=4146
Contratto di mediazione - identit di affare e diritto alla provvigione
( Cassazione sez. III, sentenza 06.09.2001 n 11467 )
Il mediatore ha diritto alla provvigione se la conclusione dell'affare si trova in diretto rapporto causale con la sua
attivit ed un tale rapporto ricorre anche quando il mediatore si limiti a porre in relazione le parti, purch tanto
rappresenti l'antecedente necessario per pervenire alla conclusione dell'affare, sia pure attraverso fasi e vicende
successive (1).
L'accertamento dell'esistenza del nesso di causalit rimesso all'apprezzamento del giudice di merito,
insindacabile in sede di legittimit se informato ad esatti criteri logici e giuridici (2).
L'affare concluso deve essere, almeno parzialmente, identico a quello per il quale il mediatore ha messo in
relazione le parti; l'identit va stabilita alla stregua della nozione di affare come operazione di natura economica
generatrice di obbligazioni, avendo riguardo pi che all'aspetto giuridico formale dell'operazione all'interesse
economico perseguito. L'identit di affare postula la coincidenza delle parti dell'affare con quelle messe in
relazione dal mediatore; tale coincidenza ricorre anche se le parti sostituiscano altri a s nella stipulazione
conclusiva e, pi in generale, quando vi sia continuit tra il soggetto che partecipa alle trattative e quello che ne
prende il posto in sede di stipulazione negoziale (3).
(1) Cass. 20.2.1997 n. 1566.
(2) Cass. 21.4.1999 n. 4043; Cass. 29.3.1982 n. 1934.
(3) Cass. 7.6.1990 n. 5457; Cass. 27.5.1987 n. 4734. http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=4145
Sul valore probatorio della scrittura privata e della copia fotostatica
( Cassazione sez. I civile, sentenza 06.02.2002 n 1591 )
Al fine di evitare che la scrittura privata prodotta in giudizio acquisti efficacia di piena prova necessaria
un'impugnazione specifica e determinata, da compiersi con atto processuale immediatamente successivo alla
produzione in giudizio della scrittura, tale che se ne possa desumere con certezza la negazione dell'autenticit
della scrittura e/o della relativa sottoscrizione (1).
Il disconoscimento della conformit all'originale della copia fotostatica di scrittura - che, se non contestata,
acquista, a sensi dell'art. 2719 c.c., la stessa efficacia probatoria dell'originale - soggetto alle modalit e ai
termini fissati dagli artt. 214 e 215 c.p.c. e, pertanto, deve avvenire nella prima udienza o nella prima risposta
successiva alla produzione, con conseguente impossibilit che venga effettuato per la prima volta in appello ove
il documento sia stato prodotto in primo grado (2).
(1) Cfr. Cass. 5 dicembre 1985, n. 6108; Cass. 8 settembre 1986, n. 5466; Cass. 13 aprile 1987, n. 3655; Cass.
15 dicembre 1988, n. 6823; Cass. 27 agosto 1990, n. 8755; Cass. 19 marzo 1996, n. 2290.
(2) Cfr. Cass. 3 maggio 1988, n. 3294; Cass. 7 luglio 1995, n. 7496; Cass. 15 febbraio 1996, n. 1141; Cass. 13
giugno 1997, n. 5346; Cass. 27 marzo 1998, n. 3275; Cass. 4 dicembre 1998, n. 12290; Cass. 6 aprile 1999, n.
3305; Cass. 29 novembre 1999, n. 13334; Cass. 8 agosto 2000, n. 10423.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=57&idnot=4201
Abbattimento
Labbattimento di muro perimetrale di edificio condominiale in cemento armato ad opera di un condomino ravvisabile anche nel caso in cui venga rimossa la muratura (di tompagnamento) facente parte di detto muro incidendo sulla sostanza essenziale della cosa, non rientra nellambito dellart. 1102 cod. civ., che, nel regolare i
diritti dei partecipanti alla comunione al fine di salvaguardare linteresse comune e quello dei singoli consente
solo modificazioni delle cose comuni nei limiti indicati, bens costituisce innovazione, soggetta, come tale, alle
regole dettate dallart. 1120 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 18 giugno 1982, n. 3741, Di Chiara c. Severino.
La norma contenuta nellart. 1102 c.c., nel sancire il diritto di ogni partecipante alla comunione di servirsi della
cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il
loro diritto, gli attribuisce la facolt di apportarvi, a tal fine, le modificazioni necessarie al suo miglioramento ma
non certamente quella di eliminarla, sia pure per sostituirla poi con altra di diversa consistenza e struttura. Ne
consegue che labbattimento di un muro portante di un edificio in condominio - sia pur sostituito, come nella
specie, da travi in ferro - incidendo sulla struttura essenziale della cosa comune e sulla precipua funzione, non
pu farsi rientrare nellambito delle facolt concesse al singolo partecipante alla comunione dal citato art. 1102
c.c., ma costituisce vera e propria innovazione, soggetta, come tale, alle regole dettate dallart. 1120 c.c.
*Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1994, n. 9497, Martino c. Ghio.
Aperture
In tema di utilizzazione del muro perimetrale delledificio condominiale da parte del singolo condomino,
costituiscono uso indebito della cosa comune, alla stregua dei criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 del cod. civ.,
le aperture praticate dal condomino nel detto muro per mettere in collegamento locali di sua esclusiva propriet,
esistenti nelledificio condominiale, con altro immobile estraneo al condominio, in quanto tali aperture alterano la
destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione, e possono dar luogo allacquisto di una servit
(di passaggio) a carico della propriet condominiale.

* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5780, Parr. SS. Vito M. c. Cond. Via Fratt. Conf., Cass. civ., sez. II, 13
gennaio 1995, n. 360.
Qualora lapertura del muro perimetrale comune di un edificio condominiale sia eseguita dal singolo condomino
per mettere in comunicazione una unit immobiliare di sua esclusiva propriet con unaltra unit compresa in un
diverso fabbricato, luso del muro comune non pu ritenersi consentito a norma dellart. 1102 c.c. in quanto non
si risolve in un semplice maggiore suo godimento, ma integra una anormale e diversa utilizzazione diretta a
sopperire ai bisogni di un bene al quale non legato da alcun rapporto, venendo inoltre il muro e, quindi, le parti
comuni del fabbricato, quali le fondazioni ed il suolo di cui esso fa parte, ad essere gravate da una vera e propria
servit a favore di un bene estraneo al condominio, per la cui legittima costituzione, vertendosi in tema di diritti
reali immobiliari, richiesta a pena di nullit la manifestazione del consenso in forma scritta di tutti i partecipi.
* Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773, Magazzini c. Alessandri.
Costituisce uso indebito della cosa comune, non consentito, quindi, dalla norma dellart. 1102 cod. civ.,
lapertura praticata da un condomino nel muro comune per mettere in collegamento un vano delledificio
condominiale con altro suo immobile estraneo a detto edificio, in quanto tale apertura viene a creare una servit
a carico del condominio, per la cui costituzione richiesto il consenso di tutti i partecipanti alla comunione
risultante da atto scritto a pena di nullit.
* Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867, Cond. V. Teramo c. Soc. Setta.
Lapertura di una porta o di una finestra da parte di un condomino o la trasformazione di una finestra che
prospetta il cortile comune in una porta di accesso al medesimo mediante labbattimento del corrispondente
tratto di muro perimetrale che delimita la propriet del singolo appartamento non costituisce di per s abuso
della cosa comune idoneo a ledere il compossesso del muro comune che fa capo come ius possidendi a tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1988, n. 1112. Castellana c. Marraffa.
Il condomino pu aprire nel muro comune delledificio nuove porte o finestre o ingrandire quelle esistenti solo se
queste opere, di per s non incidenti sulla destinazione della cosa, non pregiudichino il decoro architettonico
delledificio.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1994, n. 4996. Borgato c. Cond. Il Casone di Cernobbio.
Il comproprietario o compossessore non pu servirsi di unarea comune per accedere, attraverso unapertura
appositamente creata in un muro divisorio comune, ad un immobile di sua esclusiva propriet o di suo esclusivo
possesso, diverso dal fondo al cui servizio larea venne originariamente creata, perch ci si risolverebbe nella
costituzione di una vera e propria servit di passaggio su tale area, ovvero in una molestia del compossesso
altrui.
* Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1987, n. 2973, Gianella c. Bickler.
Lapertura di varchi e linstallazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni delledificio
condominiale eseguiti da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso allunit immobiliare di sua propriet
esclusiva, di massima non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini,
non comportando per costoro una qualche impossibilit di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dellart.
1102, primo comma, c.c., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non gi
alla necessit di ovviare ad una interclusione dellunit immobiliare al cui servizio il detto accesso stato creato,
ma allintento di conseguire una pi comoda fruizione di tale unit immobiliare da parte del suo proprietario.
* Cass. civ., sez. II, 29aprile 1994, n. 4155, DUrso c. Di Giacomo.
I muri che delimitano il complesso condominiale, costituendone quindi il perimetro, non tollerano - abbiano essi
natura di muri portanti o meramente divisori - aperture, da parte di un condomino, ove realizzando un passaggio
con un immobile di appartenenza dello stesso condomino ma estraneo al condominio, possano dar luogo,
attraverso il prolungato possesso, ad acquisto di servit a carico dellentit condominiale che circoscrivono.
* Cass. civ., sez. II, 16 novembre 1985, n. 5628, Magnetto c. Fazzini.
Nellapplicazione delle regole di cui allart. 1102 cod. civ. il giudice non pu limitarsi ad esaminare se le
modificazioni apportate dal condominio alla cosa comune per il migliore godimento di questa o della sua
propriet singola siano o meno suscettibili di compromettere la stabilit e lestetica delledificio in base allassetto
attuale; ma deve invece accertare, in base allesame della destinazione attualmente impressa in concreto alla
cosa comune, nonch in base alle ragionevoli prospettive offerte dalloggettiva struttura, ubicazione e
destinazione delle propriet individuali e tenendo conto, altres, delle aspettative desumibili dalluso che ciascun
condomino faccia della sua propriet o da allegati apprezzabili mutamenti, se siano prevedibili modificazioni
uguali o analoghe da parte degli altri condomini e se queste sarebbero pregiudicate dalle modifiche gi attuate o
in via di attuazione. (Nella specie, in applicazione del principio di cui alla massima, stata ritenuta corretta la
decisione di merito che ha ritenuto legittima lapertura nel muro perimetrale comune di un accesso dal cortile
comune alla propriet esclusiva del condomino non risultando impedito luso da parte degli altri condomini n del
muro perimetrale n del cortile).
* Cass. civ., sez. II, 4 marzo 1983, n. 1637, Del Rosso c. Bandini.
Il condomino di un edificio, essendo comproprietario dellintero muro perimetrale comune e non della sola parte
di esso corrispondente alla sua esclusiva propriet, pu apportare a tale muro, senza bisogno del consenso
degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che consentono di trarre dal bene comune una
particolare utilit aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche allapertura
nel muro di un varco di accesso dal cortile condominiale ai locali di propriet esclusiva, purch non impedisca
agli altri condomini di continuare nellesercizio delluso del muro o di ampliarlo in modo e misura analoghi e non
alteri la normale destinazione del muro medesimo.
* Cass. civ., sez. II, 4 marzo 1983, n. 1637, Del Rosso c. Bandini.
In presenza di aperture nel muro comune di un edificio in condominio eseguite da un condomino in

corrispondenza della propria propriet individuale, il terzo estraneo al condominio che da tali aperture subisca
lesione nei propri diritti pu chiederne la modificazione o leliminazione nei confronti del singolo condomino che
lapertura ha eseguito, ma non pu, neppure citando in giudizio lintero condominio, invocare a fondamento del
proprio diritto la violazione del decoro architettonico delledificio condominiale a cui estraneo, in quanto il
decoro architettonico rappresenta solo un limite fissato alla facolt, individuale e collettiva, di apportare
modificazioni alledificio condominiale per il miglioramento, luso pi comodo o il maggior rendimento delle sue
parti, di propriet comune o di propriet singola e che opera nei soli confronti dei partecipanti al condominio e
non opponibile dai terzi.
* Cass. civ.. sez. II, 13 gennaio 1983, n. 255, Lasagni c. Cattini.
Lapertura di nuove finestre o la trasformazione di quelle esistenti nel muro comune verso gli spazi condominiali
(nella specie, un pozzo di luce destinato ad arieggiare e illuminare i locali interni che vi prospettano), in
corrispondenza della propriet del singolo, costituisce esercizio del diritto di propriet e non di quello di servit,
per cui non trovano applicazione le norme che disciplinano le vedute su fondo altrui (artt. 900. 907, cod. civ.),
bens quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa,
senzaltro limite che lobbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilit e il decoro architettonico
delledificio e di non ledere i diritti degli altri condomini (artt. 1102, 1139 cod. civ.).
* Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1982, n. 6929. Pochy Rian c. Giannandrea.
Lapertura di un arco nel muro perimetrale di edificio condominiale, eseguita dal singolo condomino per
accedere in altra sua propriet esclusiva, estranea al condominio, costituisce un indebito uso di tale muro, in
quanto ne altera la destinazione e la funzione di recinzione del fabbricato condominiale, assoggettandolo a quel
passaggio in favore di un bene non compreso in detto fabbricato, suscettibile di tradursi nel corrispondente diritto
reale a carico dellimmobile condominiale.
* Cass. civ.. sez. II, 8 aprile 1982, n. 2175, Grimaldi c. Castiglione.
Il proprietario di un edificio e del pertinente cortile, che sia comproprietario, insieme con il proprietario di un
edificio latistante, del muro di recinzione del cortile del quale occasionalmente beneficia questultimo edificio,
non abbisogna a norma dellart. 1120 cod. civ. del consenso del partecipante alla comunione del muro per aprire
in esso un varco al fine di soddisfare il proprio particolare interesse di accedere dal proprio stabile alla strada,
ricorrendo lapplicazione della norma dellart. 1102 cod. civ. sulluso della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 674, Lunardini c. Collina.
Salva lopposizione, per motivi di sicurezza o di estetica, degli altri partecipanti alla comunione, al condominio
consentito di aprire nel muro comune, sia esso maestro oppure no, luci sulla strada o sul cortile; tuttavia, qualora
il muro comune assolva anche la funzione di isolare e dividere la propriet individuale di un condominio dalla
propriet individuale di altro condominio, ricorrono anche gli estremi per lapplicabilit dellart. 903, secondo
comma, cod. civ., con la conseguenza che, in tal caso, lapertura della luce resta subordinata sia alle condizioni
ed alle limitazioni previste dalle norme in materia di condominio (con riguardo agli interessi riconosciuti a tutti i
partecipanti alla comunione e alle regole stabilite circa luso delle cose comuni da parte dei singoli condomini)
sia, alla stregua del secondo comma del citato art. 903 cod. civ., al consenso del condominio vicino, in
considerazione dellinteresse del medesimo alla riservatezza della sua propriet individuale.
* Cass. civ., sez. II, 12 giugno 1981, n. 3819, Gallo c. Cicatelli.
Lapertura di un vano nel muro perimetrale di edificio condominiale, eseguita dal singolo condomino in
corrispondenza dellandrone comune per accedere in altra sua propriet contigua, estranea al condominio,
costituisce un indebito uso del muro medesimo, in quanto ne altera la destinazione e la funzione di recinzione
del fabbricato condominiale, assoggettandolo a passaggio in favore di bene non compreso in detto fabbricato.
* Cass. civ., sez. II, 21 aprile 1981, n. 2339, Valeriani c. Valeriani.
Lapertura di finestre lucifere da parte del proprietario di un piano o porzione di piano nel muro perimetrale
comune delledificio condominiale non comporta mutamento dellessenza strutturale e funzionale del muro
stesso e deve perci ritenersi operata legittimamente anche senza il consenso degli altri condomini, semprech
non sia vietata da convenzioni speciali o da norme del regolamento di condominio, non pregiudichi il decoro,
lestetica o la stabilit delledificio e non ostacoli lesercizio del concorrente diritto degli altri condomini.
*Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1980, n. 597, Capria c.Laiacona.
Il condomino di un edificio non pu, eseguendo una costruzione in aderenza al muro perimetrale comune,
chiudere unapertura destinata a dare luce ad un vano di propriet di altro condomino, giacch lart. 1102 c.c. gli
vieta di attrarre nella sua sfera esclusiva un elemento comune delledificio, con correlativo impedimento per un
altro condomino di continuare a farne uso in conformit alla sua destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1975, n. 1560.
Nella controversia concernente la legittimit di unapertura praticata nel muro perimetrale di un edificio
condominiale da uno dei condomini, per mettere in comunicazione il proprio appartamento con altro, di sua
propriet, posto in un edificio attiguo, oggetto di diverso condominio, non necessario integrare il contraddittorio
nei confronti di questultimo.
* Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 1974, n. 3274.
Non consentito ad un condomino, senza il consenso degli altri condomini, praticare nel muro perimetrale
unapertura in modo tale da mettere in comunicazione due edifici completamente distinti fra di loro.
* Trib. civ. Piacenza, 3 luglio 1987, n. 314, Marchesi c. Burzi.
Ciascun condomino, purch nel rispetto dei limiti di cui allart. 1102 cod. civ., pu, senza necessit di preventiva
autorizzazione condominiale, aprire una porta nel muro comune.
* Trib. civ. Genova, sez. III, 18 luglio 1990, n. 2263, Mazzei e altra c. Condominio di Via La Spezia 4-6, Genova,
in Arch. loc. e cond. 1990, 744.
Attraversamento di condutture, cavi e tubature

Il comportamento della societ di distribuzione del gas che inserisce arbitrariamente e senza alcuna necessit la
diramazione per la fornitura del gas ad un utente condominiale anzich nella "presa" gi predisposta sulla
montante di distribuzione condominiale, in quella realizzata per lutenza di un singolo condomino, presenta i
caratteri della turbativa e molestia del godimento cui ha diritto questultimo sulla parte dei muri perimetrali
dellimmobile attraversati dalle condutture del gas.
* Pret. civ. Molfetta, 23 luglio 1988, n. 31, Germinano c. Italgas Sud Spa, in Arch. loc. e cond. 1989, 141.
Lesecuzione nei muri comuni di tracce e canali per lincasso degli impianti elettrici dei servizi di interesse
comune configura lipotesi di cui allart. 1102 c.c.
* Trib. civ. Milano, 24 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 592.
Le opere di canalizzazione murata comprendenti gli impianti elettrici, gli impianti del telefono e quelli dellantenna
televisiva non possono considerarsi delle innovazioni.
* Trib. civ. Milano, 17 giugno 1991, in LAmm. 1991, n. 8.
Costituisce uso legittimo della cosa comune, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1102 e 1139 c.c.,
lutilizzazione dei muri comuni da parte del singolo condomino per installarvi tubature per lo scarico di acque o
per il passaggio del gas. nonch sfiatatoi per evitare il ristagno di odori.
* Trib. civ. Trani. 19 gennaio 1991, n. 104, in Arch. loc. e cond. 1991, 120.
Costruzione in appoggio
Lillegittima costruzione in appoggio al muro perimetrale delledificio condominiale, eseguita dal condomino che
sia anche proprietario esclusivo del suolo adiacente a detto muro, pu dar luogo alla costituzione per
usucapione di una servit a favore del fondo di propriet esclusiva ed a carico di quello di propriet
condominiale e, comportando un uso della cosa comune in violazione dellart. 1102 cod. civ., costituisce una
lesione del diritto di propriet degli altri condomini, la quale, salvi gli effetti dellusucapione, perseguibile senza
limiti temporali quanto al diritto di ottenere la rimozione dellopera illegittima, mentre il diritto al risarcimento del
danno, conseguendo ad un illecito permanente, dato dalliniziale comportamento lesivo e dalla successiva
omessa eliminazione della situazione illegittima, soggiace a prescrizione pro rata temporis.
* Cass. civ., sez. II, 13 agosto 1985, n. 4427, Lippi c. Picecco e altro.
Non pu essere ravvisata una costruzione in appoggio, qualora tra i due muri vicini esista unintercapedine di
cinque centimetri, ricoperta con lamiera per evitare le infiltrazioni di acqua piovana, salvo che sia accertata
linterdipendenza delle due strutture murarie per leventuale "ammorsamento" dei solai di copertura ed il ridotto
spessore del nuovo muro in corrispondenza della pi consistente struttura preesistente.
* Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1977, n. 5152.
In tema di appoggio di costruzione al muro comune, lart. 884 c.c. riguarda la comunione del muro che risulti
instaurata ovvero si presuma sussistere tra proprietari, in quanto tali, di fondi finitimi, laddove non rientra nella
sua fattispecie quella particolare forma di comunione costituita dal condominio degli edifici, grazie alla quale si
trovi ad essere compartecipe della propriet del muro maestro di un fabbricato il proprietario esclusivo di un
fondo confinante. Costui, dato che i muri maestri delledificio condominiale sono destinati essenzialmente e
soltanto al servizio delledificio stesso, pu utilizzarli, per il miglior godimento del piano, o della porzione di piano,
a lui appartenente, ma non pu avvalersene, senza il consenso degli altri condomini, per lutilit dellaltro,
distinto immobile di cui egli solo, e non anche gli altri condomini, vanta la propriet; ci comporterebbe, infatti, la
costituzione di una servit a favore di un bene estraneo al condominio, costituzione che non pu legittimamente
avvenire senza il consenso di tutti i comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1977, n. 3378.
Il diritto di compropriet dei condomini sulle parti comuni di un edificio deve ritenersi leso ove uno dei condomini,
in violazione delle regole sui rapporti di vicinato abbia volto lutilit che pu dare la cosa comune a vantaggio di
altra diversa e distinta sua propriet contigua. (Nella specie uno dei condomini aveva costruito in un cortile di
sua esclusiva propriet un manufatto in appoggio al muro perimetrale comune).
* Cass. civ., sez. II, 24agosto 1981, n. 4985, Romanello c. Meloni.
in appoggio la costruzione che scarica sul muro del vicino il peso degli elementi strutturali costitutivi di essa,
mentre in aderenza quella che posta in semplice e totale combaciamento con il muro del vicino, rispetto al
quale ha piena autonomia, strutturale e funzionale, con la conseguenza dellindipendenza del regime giuridico
delle due propriet contigue, si che il perimento o la demolizione delluna possano verificarsi senza che lintegrit
dellaltra ne sia compromessa. Ci premesso, deve ritenersi in appoggio anche la costruzione che gravi col suo
peso sulle fondazioni della fabbrica del vicino.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1974, n. 3177.
Distanze legali
Lart. 884 c.c., una norma speciale di stretta interpretazione, che per la fattispecie da esso disciplinata, deroga
alle norme generali sulla comunione fra cui lart. 1102 c.c., che regola luso della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1970, n. 538.
Nelle zone soggette alla legge 25 novembre 1962 n. 1684 (cosiddetta legge sismica) non possono trovare
applicazione le disposizioni dellart. 884 cod. civ. che consentono al comproprietario del muro comune di
immettervi travi, nonch di attraversare il muro "con chiavi e catene di rinforzo", trattandosi di disciplina
inoperante nelle zone sismiche per la prevalenza della relativa specifica legislazione.
* Cass. civ., sez. II, 13 gennaio 1983, n. 252, Mirabile c. Cutroni.
A norma dell art. 884 c.c. - che va applicato per intero, non per parti separate, in quanto lultimo comma
stabilisce le condizioni di illiceit, richieste, fra laltro, per le aperture di incavi nel muro comune previste nel
primo comma - il comproprietario, senza ladempimento di alcuna preventiva formalit, pu legittimamente
praticare nel muro comune gli incavi che non riescano di danno o di pericolo per essi.
* Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1970, n. 538.

Il comproprietario del muro comune non pu praticare incavi che oltrepassino la met dello spessore del muro.
* Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1970, n. 2362.
La facolt di innalzamento del muro comune, prevista dallart. 885 c.c., non pu essere esercitata in violazione
delle distanze legali stabilite specificamente per le vedute, dallart. 907 dello stesso codice. Pertanto
linnalzamento del muro comune che delimiti un terrazzo o un lastrico solare con opere, quali un parapetto,
destinate permanentemente ed inequivocamente allesercizio della servit di veduta, non pu essere consentito,
risolvendosi in un impedimento allesercizio del corrispondente diritto da parte del proprietario del fondo
dominante.
* Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1990, n. 11125, De Carlo c. Console.
Facciata
La facciata e il relativo decoro architettonico di un edificio costituiscono un modo di essere dellimmobile e cos
un elemento del modo di godimento da parte del suo possessore; di conseguenza la modifica della facciata,
comportando una interferenza nel godimento medesimo, pu integrare una indebita turbativa suscettibile di
tutela possessoria.
* Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7069, DAlessandria c. Michienzi. Conf., Cass. civ., sez. II, 10 luglio
1985, n. 4109, Rossattini c. Meneghini.
La facciata di prospetto di un edificio - abbia o meno valore architettonico o decorativo - rientra nella categoria
dei muri maestri, dei quali cenno espresso nel n. 1 dellart. 1117 c.c., e forma, conseguentemente, oggetto di
propriet comune dei proprietari dei diversi piani o porzione di piani riuniti in condominio; a carico di tutti costoro,
conseguentemente, deve porsi, in proporzione, la spesa di rifacimento dellintonaco.
* Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 1977, n. 298.
Il criterio di ripartizione delle spese di cui allart. 1123 c.c., con riguardo allipotesi di cui al comma secondo, pu
trovare applicazione in concrete circostanze, con riguardo a qualunque parte comune delledificio e quindi anche
alla facciata, in guisa che i condomini siano obbligati a contribuire alle spese di manutenzione e riparazione, non
in base ai valori millesimali, ma in ragione dellutilit che la cosa comune sia obiettivamente destinata ad
arrecare a ciascuna delle propriet esclusive, laddove la spesa potrebbe gravare indistintamente su tutti i
partecipanti alla comunione secondo il criterio generale di cui allart. 1104 c.c. solo se la cosa comune in
relazione alla sua consistenza ed alla sua funzione fosse destinata a servire ugualmente ed indiscriminatamente
i diversi piani o le singole propriet. (Nella specie la S.C. ha ritenuto correttamente applicato il principio
surriportato con riguardo alla ripartizione delle spese di riparazione della pannellatura della facciata di un
edificio, sul rilievo che essa assolve ad una duplice funzione, luna di protezione verso lesterno dei balconi di
propriet esclusiva dei singoli condomini e di riparo dagli agenti atmosferici, laltra di abbellimento della facciata
del fabbricato).
* Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1992, n. 13655, Cond. Via Petraglione c. Tardelli.
La domanda proposta da un condomino nei confronti di altro condomino per ottenere la riduzione in pristino della
facciata delledificio condominiale, ove comporti laccertamento del diritto del condomino convenuto di modificare
sostanzialmente la facciata delledificio in forza del proprio titolo dacquisto, essendo destinata ad incidere sui
diritti su un bene comune degli altri condomini, deve essere decisa nei confronti di tutti, perch investe un
rapporto giuridico unico ed indivisibile, con la conseguenza che deve disporsi lintegrazione del contraddittorio
nei confronti dei condomini pretermessi a norma dellart. 102 c.p.c.
* Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1992, n. 11509, Comparini c. Ponzoni.
Non costituisce innovazione gravosa o voluttuaria, ai sensi dellart. 1121 cod. civ., il rivestimento in travertino
della facciata dello stabile condominiale fino allaltezza di m. 2,65; a maggior ragione non costituisce
innovazione gravosa o voluttuaria il rifacimento del rivestimento in marmo gi esistente.
* Pret. civ. Taranto, 27 maggio 1986, Cond. di via Plateja, 28, Taranto c. Carbone Mongelli, in Arch. loc. e cond.
1986, 500.
Qualora un condominio sia formato da parti edificali distinte, le spese per la imbiancatura delle facciate non
possono essere ripartite fra tutti i condomini in base ai millesimi di propriet.
* Trib. civ. Milano, 21 marzo 1991, in LAmm. 1991, n. 5.
Deve considerarsi valida la delibera assembleare che ha conferito allamministratore lincarico di direttore dei
lavori da eseguirsi sulle facciate condominiali.
* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990, in LAmm. 1990, n. 5.
In materia di condominio i proprietari dei boxes, situati in corpo di fabbrica separato e retrostante, sono tenuti a
contribuire alle spese di conservazione e di manutenzione della facciata, indipendentemente dal fatto che essi
debbano o meno passare allinterno delledificio di cui essa faccia parte.
* Trib. civ. Milano 18 novembre 1991, in Giust. civ. 1992, I, 3181.
In parte propriet comune ed in parte propriet esclusiva
Qualora un muro sia in parte in propriet comune ed in parte in propriet esclusiva, il comproprietario non pu
effettuare opere sulla parte di sua propriet esclusiva, che pregiudichino la stabilit della parte comune.
* Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 1978, n. 4688.
Luci
Ogni trasformazione che rende interna una luce che prima era esterna, ne riduce, di regola, lutilit perch
impedisce di ricevere luce ed aria direttamente dallesterno, sicch, quando la trasformazione riguarda il muro
comune nel quale il condomino ha diritto di mantenere la luce, illecitamente eccede lambito dei poteri di
utilizzazione della cosa comune, che lart. 1102 c.c. riconosce ad ogni condomino solo nei limiti in cui non sia
alterata la destinazione della cosa o impedito agli altri condomini di fare uso di tale cosa secondo il loro diritto.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1993, n. 5223, Calafiore c. Pulitan.
Nellordinamento vigente non esiste il principio della indivisibilit funzionale del muro divisorio: questo si

presume comune ma, per ci stesso, pu anche essere oggetto, per convenzione o altro titolo, di propriet
divisa, in senso verticale od orizzontale.
* Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1977, n. 2590, Godina c. Corvaglia.
La presunzione del muro divisorio tra due edifici non viene meno per la demolizione di uno di essi.
* Cass. civ., sez. II, 8 settembre 1977, n. 3915.
La comunione del muro divisorio non va intesa nel senso che ciascuno dei comproprietari abbia la propriet
assoluta della met del muro (e del suolo) secondo una linea mediana ideale, da considerarsi come linea di
confine delle propriet esclusive da esso delimitate bens nel senso che ciascuno di essi proprietario, sia pure
pro quota, dellintero muro, e del suolo ad esso sottostante, in ogni sua parte (identificandosi la linea di confine
delle propriet esclusive con il muro ed il suolo comune); n la demolizione di uno dei due edifici confinanti fa
venire meno (in assenza di titolo o di giustificazione) la comunione, che pu essere utilmente invocata ad ogni
effetto da ciascuno dei partecipanti, con la conseguenza che il comproprietario del muro comune abbattuto
arbitrariamente dallaltro comproprietario ha diritto alla costruzione del manufatto secondo le primitive sue
caratteristiche, nonch al risarcimento del danno ed alla restituzione della parte di suolo comune indebitamente
attratta nella sfera della signoria esclusiva dellaltro condomino, restando esclusa lapplicabilit dellart. 938 cod.
civ., in tema di accessione invertita, che configurabile in relazione ad una porzione di fondo di propriet
esclusiva.
* Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1988, n. 3393, Nardi c. Mercuri.
La fatiscenza delle strutture interne portanti di un edificio non pu far s che, per ci solo, i muri divisori o di
"tamponatura" sottostanti a dette strutture, per il fatto di assumere una funzione temporanea di sostegno delle
medesime, diventino comuni. Una tale situazione, priva di carattere di definitivit e di pertinenza, e che riproduce
semplicemente uno stato anormale, di usura, o di pericolo nella statica delledificio, impone semplicemente, a
carico dei condomini, lobbligo di riparare le strutture originariamente portanti, e divenute fatiscenti, senza
incidere in assenza di adeguati negozi o atti giuridici sulla condizione originaria dei diritti sulle strutture
stesse o su quelle adiacenti.
* Cass. civ., 20aprile 1971, n. 1135.
I muri divisori tra le unit immobiliari di propriet esclusiva e quelle di propriet comune negli edifici in
condominio non sono equiparabili n specificamente ai muri maestri n genericamente alle parti delledificio
necessarie per luso comune ai sensi dellart. 1117, n. 1, c.c.; i muri divisori suddetti sono soggetti, in
applicazione del criterio analogico, alla disciplina prevista dallart. 880, c.c., secondo cui si presume comune il
muro di separazione tra entit fondiarie finitime. (Nella specie, il condomino proprietario di un locale del piano
cantinato destinato a ripostiglio aveva abbattuto il muro di separazione tra landrone coperto di propriet
condominiale e il detto locale per adibire questultimo a garage. I giudici del merito avevano accolto la domanda
di rimessione in pristino e la Corte di cassazione, rigettando il ricorso, ha enunciato il principio di cui in
massima).
* Cass. civ., 11 marzo 1975, n. 903.
Nozione di muri maestri
In tema di parti comuni delledificio condominiale, nella nozione di muri maestri di cui allart. 1117 c.c. rientrano i
pannelli esterni di riempimento fra pilastri in cemento armato, i quali ancorch la funzione portante sia assolta
principalmente da pilastri ed architravi sono anchessi eretti a difesa degli agenti atmosferici e fanno parte
della struttura e della linea architettonica delledificio. N siffatta condominialit viene esclusa dallessere
addossato ad essi il muro di altro fabbricato costruito in aderenza, restando ciascuno degli edifici delimitato,
difeso e strutturalmente delineato dal proprio muro, con la conseguente autonomia giuridica della disponibilit
che su ciascuno hanno i diversi nuclei di condomini, senza alcun ingerenza dell uno sul muro dellaltro.
* Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1982, n. 776.
Nel caso di costruzione in cemento armato, lespressione muro maestro contenuta nellart. 1117, c.c., non va
riferita solamente allintelaiatura di pilastri e di architravi che costituisce lossatura delledificio, ma anche ai
pannelli in muratura di mattoni o di altro materiale che riempiono allesterno i vani e compongono insieme il
primo edificio, che senza di essi sarebbe un vuoto scheletro privo di funzionalit pratica.
* Cass. civ., 23aprile 1971, n. 1186.
Nozione di muri perimetrali
I muri perimetrali di un edificio condominiale sono destinati al servizio esclusivo delledificio stesso di cui
costituiscono parte organica. Per tale loro funzione e destinazione possono essere usati dal singolo condomino
solo per il miglior godimento della parte di edificio di sua propriet esclusiva, ma non possono essere utilizzati,
senza il consenso di tutti i condomini, per lutilit di altro immobile di sua esclusiva propriet non facente parte
del condominio, in quanto ci implicherebbe la costituzione d una servit in favore di un bene estraneo al
condominio. Ne consegue che il condomino il quale voglia appoggiare al muro condominiale una costruzione
realizzata su suolo contiguo di sua propriet esclusiva non pu farlo senza il consenso degli altri condomini, non
essendo applicabile la disciplina dellart. 884 c.c. (costruzione in appoggio al muro comune).
* Cass. civ. 26 marzo 1994. n. 2953.
I muri perimetrali delledificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri
maestri al fine della presunzione di comunione di cui allart. 1117 cod. civ., in quanto determinano la consistenza
volumetrica delledificio unitariamente considerato proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la
superficie coperta e delineano la sagoma architettonica delledificio stesso. Pertanto, nellambito dei muri comuni
delledificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali
dellimmobile.
* Cass. civ., sez. II, 11 giugno 1986, n. 3867, Cond. V. Teramo c. Soc. Setta.
Poich le moderne tecniche costruttive in cemento armato hanno profondamente modificato la funzione dei muri

perimetrali che non pi quella di assicurare la stabilit delledificio bens soltanto quella di delimitarlo
esternamente, mentre la funzione portante esercitata dai pilastri e dalle architravi in conglomerato cementizio,
labbattimento da parte di un condominio di un tratto del muro perimetrale di tamponamento per sostituirlo con
porte scorrevoli non comporta, di regola, un alterazione della sua normale destinazione, vietata dallart. 1102,
c.c., ma costituisce uso normale lecito della cosa comune e solo in particolari circostanze, da dimostrarsi di volta
in volta pu assumere aspetti lesivi dellintegrit delledificio quando ne comprometta la sicurezza o il decoro o
altri essenziali caratteristiche.
* Cass. civ., sez. II, 25 settembre 1991, n. 10008, Colleschi c. Tiboni.
I muri perimetrali di un edificio, anche se relativi a chiostrine o cortili su cui affaccino solo una parte dei
condomini, sono comuni a tutti i proprietari di unit immobiliari dello stabile, in quanto, costituendo lossatura
della costruzione, svolgono una funzione di utilit comune, anche se, ovviamente, pi intensa per coloro che
hanno appartamenti prospicenti su dette chiostrine o cortili. Pertanto, alle assemblee condominiali che devono
deliberare su argomenti interessanti i muri perimetrali hanno diritto di partecipare tutti i condomini dello stabile e
non solo quelli che, per la particolare posizione delle loro unit immobiliari, traggono da detti muri un vantaggio
particolare rispetto al vantaggio generale e comune derivante dalla naturale funzione degli stessi.
* Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7402, Bruno c. Silvestri.
I muri perimetrali delledificio in condominio i quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri
portanti, delimitano la superficie coperta, determinando la consistenza volumetrica delledificio unitariamente
considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica sono
da considerare comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di propriet
singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro
esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani
attici.
* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1978, n. 839.
I muri perimetrali degli edifici in cemento armato (cosiddetti pannelli di rivestimento o di riempimento) sono
compresi fra i muri maestri definiti comuni dal n. 1 dellart. 1117 c.c., giacch, pur non avendo funzione portante,
la quale negli edifici anzidetti assolta principalmente dai pilastri e dagli architravi, costituiscono parte organica
ed essenziale dellintero immobile che, senza la delimitazione da essi operata sarebbe uno scheletro vuoto
privo di qualsiasi utilit.
* Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2773, Magazzini c. Alessandri.
Parapetti alla sommit delledificio
Rientrano nellambito dei muri condominiali, ex art. 1117 n. 3 cod. civ., anche i parapetti posti alla sommit
delledificio, svolgendo funzione di coronamento dellintero stabile, le cui spese di riparazione debbono essere
ripartite fra i condomini ex art. 1123 cod. civ.; pertanto, la determinazione della maggioranza dei condomini
partecipanti allassemblea di esonerare alcuni condomini dallonere di spesa, con pregiudizio per i proprietari
gravati, costituisce una tipica violazione dei diritti individuali sindacabili sotto il profilo della nullit.
* Corte app. civ. Milano, 15 settembre 1989, Condominio di via Fumagalli n. 10, Milano c. Carulli e altri, in Arch.
loc. e cond. 1990, 282.
Pareti esterne
Se possono presumersi oggetto di propriet comune anche i muri perimetrali di un edificio in condominio, in
quanto essi appaiono necessari allesistenza ed alla statica dellimmobile, sono escluse, invece, da tale
presunzione le pareti esterne, le quali abbiano, non gi la funzione di sorreggere ledificio, ma solamente quella
di chiuderne gli ambienti, rispetto a costruzioni nelle quali lossatura delledificio sia costituita, anzich mediante
muri, mediante altri sistemi costruttivi (intelaiature in cemento armato o in altri materiali, colonnati, pilastri ecc.). I
muri di un edificio in condominio, che non esercitano alcuna funzione statica, ma sono soltanto divisori di
contigui fabbricati, hanno unutilit limitata a determinate parti delledificio e, interessando in sostanza solo i
titolari delle propriet che delimitano, possono bens dare eventualmente luogo ad uno stato di comunione
parziale tra i proprietari degli appartamenti limitrofi, che vengono a trovarsi da essi divisi, ma non possono
essere considerati (salvo che il contrario non risulti dal titolo) oggetto di propriet comune di tutti i proprietari
delle diverse porzioni delledificio.
* Cass. civ., 8 novembre 1958, n. 3654.
Sopraelevazione
I muri perimetrali di un edificio condominiale sono oggetto di propriet comune anche nelle parti in cui delimitano
un piano ottenuto con la sopraelevazione dello stabile, perch anche in quelle parti essi adempiono
strutturalmente a una funzione che interessa tutti i partecipanti al condominio.
* Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1978, n. 2475.
Spese
In tema di condominio di edifici, nel caso in cui un muro portante appartenga in propriet esclusiva ad uno solo
dei partecipanti al condominio, essendo esso comunque indispensabile per lesistenza delledificio, con la
propriet esclusiva del singolo concorre una comunione di godimento in favore di tutti coloro i quali, nelledificio,
sono titolari della propriet solitaria dei piani o delle porzioni di piano, con la conseguenza che tutti i condomini
i quali ricavano una utilit dalla cosa, necessaria per lesistenza e per la protezione dei loro immobili sono
tenuti a contribuire alle spese per la con- con-servazione del muro in questione in proporzione alle rispettive
quote, secondo il principio generale enunciato dallart. 1123 primo comma c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 1996, n. 1154, Condominio di via Conciliazione 26 Putignano c. Vinella
Michelangelo.
Mentre lonere delle spese di riparazione e ricostruzione del muro comune per quelle cause di deterioramento
dipendenti dal suo uso normale , ai sensi dellart. 882 c.c., a carico di tutti i comproprietari, in proporzione del

diritto di ciascuno, e si trasferisce, perci, in capo a chiunque sia proprietario della cosa nel momento in cui si
presenta la necessit della riparazione o della ricostruzione, lonere delle spese provocate dal fatto di uno dei
partecipanti, essendo connesso alla responsabilit personale di questo, grava esclusivamente sul soggetto che
vi ha dato causa e non si trasferisce, quindi, solo a causa del trasferimento del diritto reale, al condomino che gli
succeduto.
* Cass. civ. 30 marzo 1994, n. 3089.
Le spese per il rifacimento o la riparazione dei muri, che delimitino i giardini di singoli condomini con i fondi
confinanti, devono ritenersi a carico proporzionale di tutti i partecipanti, in applicazione dellart. 1123 primo
comma c.c., qualora il regolamento condominiale, di natura contrattuale, consideri detti manufatti di propriet
comune, cos convenzionalmente assimilandoli ai muri di cinta.
* Cass. civ., sez. II, 11 agosto 1990, n. 8198, Esibiti c. Cond. V. Gozzano.
In un edificio in condominio, le scale oggetto di propriet comune a norma dellart. 1117 n. 1 c.c., se il
contrario non risulta dal titolo comprendono lintera relativa cassa, di cui costituiscono componenti
essenziali ed inscindibili le murature che la delimitano, assolvano o meno le stesse, in tutto o in parte, anche la
funzione di pareti delle unit immobiliari di propriet esclusiva cui si accede tramite le scale stesse. Ne consegue
che, anche quando i lavori di manutenzione o ricostruzione delle scale importino il rafforzamento delle murature
svolgenti anche tale ultima funzione, con indiretto vantaggio dei proprietari specificamente interessati, la
ripartizione delle spese deve avvenire in base alla regola posta dallart. 1124, primo comma, c.c., salvo che
(diversamente che nella specie pervenuta al giudizio della S.C.) oggetto dei lavori siano non il vano scale nel
suo complesso ma solo le murature costituenti le pareti perimetrali delle unit immobiliari prospicienti il vano
scale (e questultimo in tutto o parte delimitanti), poich in tale ultimo caso la ripartizione delle spese va
effettuata mediante lapplicazione, opportunamente coordinata, dei criteri fissati dagli artt. 1123, secondo
comma, e 1124, primo comma, c.c.
* Cass. civ.. sez. II, 7 maggio 1997, n. 3968, R. Buffardi e G. Buffardi, in Arch. loc. e cond. 1997, 623.
Utilizzo
Lutilizzazione, da parte del singolo condomino, del muro perimetrale delledificio per le sue particolari esigenze
legittima purch non alteri la natura e la destinazione del bene, non impedisca agli altri condomini di farne uso
analogo e non arrechi danno alle propriet individuali dei medesimi altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 20 marzo 1974, n. 776.
I muri perimetrali di un edificio in condominio sono destinati allesclusivo servizio delledificio condominiale, del
quale costituiscono parte organica, e non possono, per loro natura, essere asserviti, se non nei modi consentiti
dalla legge (atto scritto e consenso di tutti i condomini), ad altro immobile di propriet esclusiva di uno dei
condomini, costituente entit economica distinta rispetto alledificio condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 20 maggio 1978, n. 2504.
Con riguardo al muro perimetrale di un edificio condominiale, il quale oggetto di comunione per tutta la sua
estensione, ivi comprese le parti corrispondenti a piani e ad appartamenti di propriet individuale, lutilizzazione
del singolo partecipante deve ritenersi preclusa non solo quando ne alteri la destinazione od impedisca agli altri
condomini un pari uso (art. 1102 cod. civ.), ma anche quando implichi una lesione del diritto di altro partecipante
sul bene di sua propriet esclusiva (nella specie, trattandosi di una scala esterna che toglieva luce ed aria ad un
sottostante appartamento).
* Cass. civ., sez. II, 4maggio 1982. n. 2751, De Leo c. Mele.
Il principio secondo cui lutilizzazione di parti comuni e anche di muri divisori delledificio condominiale per la
realizzazione di impianti al servizio esclusivo dellappartamento del singolo condomino esige il rispetto sia
dellart. 1102 cod. civ., sia delle norme del codice civile sulle distanze per evitare la violazione dei diritti degli altri
condomini sugli immobili di loro esclusiva propriet, non applicabile nellipotesi di installazione degli impianti
che sono indispensabili per una effettiva abitabilit dellappartamento secondo la evoluzione delle esigenze
generali dei cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene.
* Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 139, Tormen c. Ciampa.
I muri perimetrali di un edificio in condominio costituiscono oggetto di comunione pro indiviso per tutta la loro
estensione. Pertanto, il proprietario di ciascun piano pu utilizzarli anche nella parte corrispondente ai piani o
porzioni di piano di propriet esclusiva di altri condomini, sia pure con il rispetto dei limiti posti dallart. 1102, c.c.
* Cass. civ., 8 luglio 1969, n. 2514.
Negli edifici i cui piani appartengono a proprietari diversi, i muri perimetrali, salvo che il contrario risulti dal titolo,
sono comuni pro indiviso per tutta la loro estensione: n consegue che, ai sensi dellart. 1102 c.c., ciascun
proprietario dei diversi piani pu servirsi, nel suo interesse, del muro comune anche nella parte rispondente al
piano di altro proprietario, purch tale utilizzo, conformemente alla disposizione citata, non sia contrario agli
interessi della comunione e non impedisca lesercizio degli altri partecipanti.
* Corte app. civ. Firenze, 21 novembre 1990, n. 1181, in Arch. loc. e cond. 1991, 103.
In tema di condominio di edifici costituisce innovazione ex art. 1120 c.c., non qualsiasi modificazione della cosa
comune, ma solamente quella che alteri lentit materiale del bene operandone la trasformazione, ovvero
determini la trasformazione della sua destinazione, nel senso che detto bene presenti, a seguito delle opere
eseguite una diversa consistenza materiale ovvero sia utilizzato per fini diversi da quelli precedenti lesecuzione
delle opere. Ove invece, la modificazione della cosa comune non assuma tale rilievo, ma risponda allo scopo di
un uso del bene pi intenso e proficuo, si versa nellambito dellart. 1102 c.c., che pur dettato in materia di
comunione in generale, applicabile in materia di condominio degli edifici per il richiamo contenuto nellart. 1139
c.c. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale aveva affermato che lapertura
di una porta da parte di un condomino nel muro comune dellandito di ingresso delledificio condominiale, non
alterava lentit materiale del bene n modificava la sua destinazione, ma integrava una consentita

modificazione della cosa comune a norma dellart. 1102 c.c.).


*Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1997, n. 240, Botteri ed altro c. Messina ed altro, in Arch. loc. e cond 1997, 433.
Cass. civile, sez. II, 01-12-2000, n. 15394
- Pres. Pontorieri F - Rel. Riggio U - P.M. Velardi M (parz. Diff.) - Bozzato c. Meini
Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Limitazioni legali della propriet nel condominio - Norme
sulle distanze legali - Applicabilit nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino - Condizioni - Contrasto
fra le norme sulle distanze e quelle relative all'uso della cosa comune - Prevalenza di queste ultime Conseguenze.
Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra propriet autonome
e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio
condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative all'uso delle
cose comuni (art. 1102 cod. civ.), cio nel caso in cui l'applicazione di queste ultime non sia in contrasto con le
prime e delle une e delle altre sia possibile un'applicazione complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le
norme relative all'uso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilit di quelle relative alle distanze
legali che, nel condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in
rapporto di subordinazione rispetto alle prime (nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro
condominiale ed in prossimit della finestra di un condomino, della canna fumaria di un locale di altro condomino
adibito ad esercizio di pizzeria).
Acquirente di appartamento in edificio condominiale (Cass. 26 aprile 1978 n 1946)L'acquirente di un
appartamento in un edificio in condominio, mentre pu far valere la sua qualit di condomino e contestare
efficacemente la validit delle deliberazioni dell'assemblea condominiale, prese con l'intervento del venditore,
solo ove abbia provveduto preventivamente alla notificazione o comunicazione al condominio dell'atto del suo
acquisto, per contro non pu pretendere di non rispondere, nella qualit di effettivo condomino, delle
obbligazioni relative alle spese, per aver omesso di comunicare il suo acquisto al condominio, che ne sia
comunque a conoscenza.
Danno cagionato da animali
In tema di responsabilit per danni cagionati da animali, l'art. 2052 cod. civ. stabilisce a carico del proprietario
dell'animale una presunzione di colpa a vincere la quale non sufficiente la prova di avere usato la comune
diligenza nella custodia dell'animale, ma occorre la prova del caso fortuito. In questo riconducibile anche la
colpa del danneggiato, che, per, per avere effetti liberatori, deve consistere in un comportamento cosciente che
assorba l'intero rapporto causale, e cio in una condotta che, esponendo il danneggiato al rischio e rendendo
questo per ci stesso possibile in concreto, si inserisca in detto rapporto con forza determinante.
* Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1983, n. 1400, Parini c. Olivari.
La responsabilit sancita dall'art. 2052 c.c. ricorre tutte le volte che il danno sia stato prodotto, con diretto nesso
causale, dal fatto proprio dell'animale secundum o contra naturam, comprendendosi in tale concetto qualsiasi
atto o moto dell'animale quod sensu caret, che dipenda dalla natura dell'animale medesimo e prescinda
dall'agire dell'uomo.
* Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 1977, n. 261.
La presunzione di responsabilit per danno cagionato da animali, ai sensi dell'art. 2052 cod. civ., pu essere
superata esclusivamente qualora il proprietario o colui che si serve dell'animale provi il caso fortuito e pertanto
non pu attribuirsi identica efficacia liberatoria alla semplice prova dell'uso della normale diligenza nella custodia
dell'animale stesso o della mansuetudine di questo, essendo, pertanto irrilevante che il suo comportamento
dannoso sia stato causato da impulsi interni imprevedibili o inevitabili ed essendo, invece, sufficiente al
permanere della suddetta presunzione che il danno sia stato prodotto con diretto nesso causale, da fatto proprio
dell'animale.
* Cass. civ., sez. III, 6 gennaio 1983, n. 75, Ente Teatr. Op. c. Ricci.
La responsabilit per fatto di animale, di cui all'art. 2052 c.c., riguarda alternativamente il proprietario
dell'animale e chi si serve dell'animale, per tutto il periodo in cui lo ha in uso.
* Pret. civ. Torino, 4 ottobre 1991, in Arch. civ. 1992, n. 3.
Divieto di detenzione
In tema di condominio di edifici il divieto di tenere negli appartamenti comuni animali domestici non pu essere
contenuto negli ordinari regolamenti condominiali, approvati dalla maggioranza dei partecipanti, non potendo
detti regolamenti importare limitazioni delle facolt comprese nel diritto di propriet dei condomini sulle porzioni
del fabbricato appartenenti ad essi individualmente in esclusiva, sicch in difetto di un'approvazione unanime le
disposizioni anzidette sono inefficaci anche con riguardo a quei condomini che abbiano concorso con il loro voto
favorevole alla relativa approvazione, giacch le manifestazioni di voto in esame, non essendo confluite in un
atto collettivo valido ed efficace, costituiscono atti unilaterali atipici, di per s inidonei ai sensi dell'art. 1987 c.c. a
vincolare i loro autori, nella mancanza di una specifica disposizione legislativa che ne preveda l'obbligatoriet.
* Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1993, n. 12028.
La detenzione di animali in un condominio, essendo la suddetta facolt una esplicazione del diritto dominicale,
pu essere vietata solo se il proprietario dell'immobile si sia contrattualmente obbligato a non detenere animali
nel proprio appartamento, non potendo un regolamento condominiale di tipo non contrattuale, quand'anche
approvato a maggioranza, stabilire limiti (oneri reali e servit) ai diritti ed ai poteri dei condomini sulla loro
propriet esclusiva, salvo che l'obbligo o il divieto imposto riguardino l'uso, la manutenzione e la eventuale
modifica delle parti di propriet esclusiva, e siano giustificati dalla necessit di tutelare gli interessi generali del
condominio, come il decoro architettonico dell'edificio.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 10 aprile 1990, n. 231, Copelli c. Cassi e Paganuzzi, in Arch. loc. e cond. 1990, 287.

La detenzione di un animale pu integrare in astratto la fattispecie di cui all'art. 844 cod. civ., in quanto tale
norma, interpretata estensivamente, suscettibile di trovare applicazione in tutte le ipotesi di immissioni che
abbiano carattere materiale, mediato o indiretto e provochino una situazione di intollerabilit attuale; pertanto, in
mancanza di un regolamento condominiale di tipo contrattuale che vieti al singolo condomino di detenere animali
nell'immobile di sua esclusiva propriet, la legittimit di tale detenzione deve essere accertata alla luce dei criteri
che presiedono la valutazione della tollerabilit delle immissioni.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 10 aprile 1990, n. 231, Copelli c. Cassi e Paganuzzi, in Arch. loc. e cond. 1990, 287.
Nel caso in cui un regolamento condominiale di tipo contrattuale vieti di tenere animali che possano recare
disturbo ai condomini, il giudice, accertati tali disturbi, pu ordinare, con provvedimento di urgenza,
l'allontanamento degli animali dagli appartamenti in cui sono tenuti.
* Trib. civ. Napoli, ord. 25 ottobre 1990, Ragosta ed altri c. Miranda e Cario, in Arch. loc. e cond. 1990, 737.
Il giudice pu, con provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c., ordinare l'allontanamento di animali molesti (
nella specie, cane) dal condominio, affidando l'esecuzione ad organi pubblici, con divieto assoluto di ritorno
nell'edificio condominiale.
* Trib. civ. Napoli, ord. 8 marzo 1994, in Arch. loc. e cond. 1994, 337.
Qualora una norma contenuta in un regolamento condominiale vieti la detenzione di animali che possano
turbare la quiete o l'igiene della collettivit, il semplice possesso di cani o di altri animali non sufficiente a far
incorrere i condomini in questo divieto, essendo necessario che si accerti effettivamente il pregiudizio causato
alla collettivit dei condomini sotto il profilo della quiete o dell'igiene.
* Pret. civ. Campobasso, 12 maggio 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 176.
Non pu l'assemblea, con voto di maggioranza, imporre ad un condomino il divieto di detenere cani negli
appartamenti, ma occorre che il divieto sia posto nel regolamento condominiale.
* Trib. civ. Parma, 11 novembre 1968, in Riv. giur. edil. 1971, 446.
L'amministratore del condominio legittimato ad agire giudizialmente per il rispetto del regolamento e per la
cessazione di molestie derivanti dalla detenzione di animali negli appartamenti, e la competenza in ordine a tale
questione spetta al pretore.
* Trib. civ. Parma, 11 novembre 1968, in Riv. giur. edil. 1971, 446.
La delibera assembleare di approvazione del regolamento di condominio presa a maggioranza invalida,
perch limitativa delle propriet individuali, nella parte in cui vieta ai condomini di tenere cani anche nelle logge e
nei terrazzi.
* Trib. civ. Messina, 8 aprile 1981, n. 743, in Riv. giur. dottr. leg. e giur. 1981, 53.
Immissioni
In caso di regolamento condominiale che vieti tassativamente di recare disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi
natura, il continuo abbaiare di tre cani pastori ed il suono di una batteria configurano sia la lesione di tale
norma regolamentare che violazione dell'art. 844 c.c.
* Trib. civ. Milano, 28 maggio 1990, In Arch. loc. e cond. 1991, 792.
Omessa custodia e malgoverno
L'art. 672 c.p. configura tre fattispecie criminose: lasciar liberi, custodire senza le debite cautele, affidare
a persona inesperta animali pericolosi. Consuma la seconda di tali ipotesi colui che, nella sua dimora, tenga un
cane lupo da guardia di grossa taglia, slegato e privo di museruola, quando al medesimo sia possibile portarsi
nell'ingresso, nella portineria e in ogni altro luogo ove siano ammessi i visitatori, per tal modo esposti al rischio di
improvvisi assalti.
* Cass. pen., sez. VI, 17 marzo 1970, n. 684, Fraschini.
L'obbligo di custodire e di governare animali dotati di naturale ed istintiva ferocia o che in determinate
circostanze possano diventare aggressivi incombe sul detentore a qualsiasi titolo. Risponde, quindi, della
contravvenzione di cui all'art. 672 c.p. il custode non proprietario di un cane lupo affidatogli se omette di
osservare le regole di condotta previste dal detto articolo.
* Cass. pen., sez. IV, 29 ottobre 1968, n. 1738, Scali.
Pericolosi per l'altrui incolumit devono ritenersi non soltanto gli animali la cui ferocia caratteristica naturale o
istintiva, ma tutti quelli che, sebbene domestici, possono divenire pericolosi in determinati casi e determinate
circostanze. Dal novero di questi ultimi non si pu escludere il cane normalmente mansueto; per tale categoria di
animali la pericolosit deve essere accertata in concreto considerando la razza di appartenenza ed ogni altro
elemento rilevante.
* Cass. pen., sez. IV, 3 marzo 1970, n. 822, Bonichini.
Ai fini dell'integrazione del reato p.p. dell'art. 672 n. 1 cod. pen. non occorre l'accertamento della pericolosit
dell'animale n l'esposizione e pericolo della pubblica incolumit e non rileva la durata, ancorch breve,
dell'omessa custodia.
* Cass. pen., sez. IV, 26 febbraio 1982, n. 1942, (ud. 27 ottobre 1981), Nolli.
I cani da guardia in genere, e quelli appartenenti anche per somiglianza alla razza dei pastori tedeschi in
particolare, sono da considerarsi pericolosi e, quindi, rientranti nella disciplina di cui all'art. 672 c.p. (omessa
custodia e malgoverno di animali).
* Cass. civ., sez. I, 8 marzo 1990, n. 1840, Vara c. Pref. Caltaniss.
Inquinamento elettromagnetico (telefonia cellulare)
In materia di installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, in presenza di documentazione,
consistente in una relazione clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite da una
persona residente nello stabile e lattivazione degli impianti, deve cautelarmente essere considerato prevalente
linteresse primario alla salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente
sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati urgenti i lavori e le opere concernenti

linstallazione e lattivazione dellimpianto. (Fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia cellulare era
stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale).
* Cons. Stato, sez. VI, ord. 25 marzo 1997, Soc. Omnitel c. Condominio di Corso Vittorio Emanuele II n. 184 in
Roma e Codacons.
Linstallazione di un ripetitore per telefonia cellulare su di un lastrico solare situato in un edificio condominiale
non costituisce violazione dellart. 1122 c.c., in quanto: a) non sussiste alcun riscontro scientifico della
pericolosit di tale impianto per la salute dei condomini; b) la concessionaria del servizio di telefonia presenti
allautorit competente un progetto che attesti come limpianto suddetto non arrechi danni alla statica
delledificio.
* Trib. civ. Piacenza, 13 febbraio 1998, n. 51, Condominio di Via S. Francesco n. 8 in Piacenza c. Soc. Omnitel
Pronto Italia e Cella. [99800841]
In materia di installazione di stazioni radio base per telefonia cellulare, in presenza di documentazione,
consistente in una relazione clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite da una
persona residente nello stabile e lattivazione degli impianti, deve cautelarmente essere considerato prevalente
linteresse primario alla salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con conseguente
sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati urgenti i lavori e le opere concernenti
linstallazione e lattivazione dellimpianto. (Fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia cellulare era
stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale).
* Tar Lazio, sez. I, ord. 18 dicembre 1996, n. 3806, Codacons e Condominio di Corso Vittorio Emanuele II n. 184
in Roma c. Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e Soc. Omnitel.
Installazione
Il diritto allinstallazione di antenne ed accessori - sia esso configurabile come diritto soggettivo autonomo che
come facolt compresa nel diritto primario allinformazione e diretta alla attuazione di questo (art. 21, Cost.) limitato soltanto dal pari diritto di altro condomino, o di altro coabitante nello stabile, e dal divieto di menomare
(in misura apprezzabile) il diritto di propriet di colui che deve consentire linstallazione su parte del proprio
immobile. Pertanto, qualora sul terrazzo di uno stabile condominiale sia installata (per volont della maggioranza
dei condomini) unantenna televisiva centralizzata e un condomino (o un abitante dello stabile) intenda invece
installare unantenna autonoma, lassemblea dei condomini pu vietare tale seconda installazione solo se la
stessa pregiudichi luso del terrazzo da parte degli altri condomini o arrechi comunque un qualsiasi altro
pregiudizio apprezzabile e rilevante ad una delle parti comuni. Al di fuori di tali ipotesi, una delibera che vieti
linstallazione deve essere considerata nulla, con la conseguenza che il condomino leso pu fare accertare il
proprio diritto allinstallazione stessa, anche se abbia agito in giudizio oltre i termini previsti dallart. 1137 cod.
civ. o, essendo stato presente allassemblea, senza esprimere voto favorevole alla delibera, non abbia
manifestato espressamente la propria opposizione alla delibera stessa.
* Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1985, n. 5399, Acinapura c. Cond. via Colli.
Lart. 1 della L. 6 maggio 1940, n. 554, con lo stabilire che i proprietari di uno stabile o di un appartamento non
possono op-porsi allinstallazione nella loro propriet di aerei esterni destinati al funzionamento di apparecchi
radiofonici appartenenti agli abitanti degli stabili e degli appartamenti stessi, non impone una servit, ma si limita
allattribuzione di un diritto, a favore degli abitanti dello stabile e degli appartamenti, allinstallazione, e quindi
anche alla manutenzione degli impianti, pure contro la volont di altri abitanti. Tale diritto non ha contenuto reale,
ma ha natura personale e il titolare di esso, in virt della detta norma, pu esercitarlo indipendentemente dalla
qualit di condomino, per il solo fatto di abitare nello stabile e di essere o diventare utente radio-televisivo.
Conseguentemente, quando il locatario di un appartamento, nellinstallare unantenna televisiva, arrechi danno
al tetto comune delledificio, legittimato allazione di risarcimento del danno proposta dal condominio il solo
locatario e non anche il locatore-proprietario dellappartamento.
* Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 1986, n. 1176, Cond. Pollaiuol. c. Parodi.
Gli artt. 1 e 3 L. 6 maggio 1940 n. 554, dettati con riguardo alla disciplina degli aerei esterni per audizioni
radiofoniche, ma applicabile per analogia anche alle antenne televisive e lart. 231 del d.p.r. 29marzo 1973 n.
156, stabilendo che i proprietari delledificio non possono opporsi alla installazione esterna di antenne da parte di
abitanti dello stesso stabile per il funzionamento di apparecchi radiofonici o televisivi, attribuiscono al titolare
dellutenza il diritto allinstallazione dellantenna sulla terrazza delledificio, ferma restando la facolt del
proprietario al libero uso di questa secondo la sua destinazione ancorch comporti la rimozione od il diverso
collocamento dellantenna, che resta a carico del suo utente, alluopo preavvertito. Ne deriva che il proprietario
della terrazza che vi abbia eseguito dei lavori comportanti la rimozione dellantenna non pu essere condannato
al ripristino nello stato preesistente, posto che spetta allutente provvedere a sua causa e spese alla rimozione
ed al diverso collocamento dellantenna.
* Cass. civ., sez. Il, 24 marzo 1994, n. 2862.
Il diritto riconosciuto dallart. 232, secondo comma, D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 ad ogni occupante,
proprietario od inquilino, di unit immobiliari di appoggiare antenne televisive sui muri e sulle coperture dei
fabbricati, si configura come un diritto soggettivo perfetto ed assoluto di natura personale, avente la sua fonte
nella primaria libert, costituzionalmente garantita, allinformazione e, pertanto, va ritenuto, per sua natura,
insuscettibile di valutazione pecuniaria, con la conseguenza che le azioni ad esso relative rientrano fra quelle da
considerarsi di valore indeterminabile, riservate alla competenza per valore del tribunale, a norma dellart. 9,
secondo comma, c.p.c.
* Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 1993, n. 1139, Carro L. c. Carro A.
In tema di compossesso, ricorre lipotesi dello spoglio quando latto compiuto dal compossessore (preteso
spoliatore) abbia travalicato i limiti del compossesso (impedendo o rendendo pi gravoso luso paritario della res
agli altri compossessori), ovvero abbia comportato lapprensione esclusiva del bene, con mutamento

delloriginario compossesso in possesso esclusivo, ne consegue che, con riguardo allutilizzazione del tetto di un
immobile da parte di uno dei compossessori mediante linstallazione di unantenna ricetrasmittente, la
configurabilit di uno spoglio o di una turbativa del possesso nei confronti degli altri compossessori postula,
necessariamente, laccertamento di un impedimento ad un analogo uso del bene comune da parte di costoro,
conseguente allo specifico comportamento in concreto tenuto dal primo utilizzatore.
* Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1998, n. 5517, Obbialero c. Esposito.
Il diritto di installare lantenna televisiva comprende la facolt di compiere tutte le attivit necessarie per la messa
in opera, ivi compreso il diritto di accedere temporaneamente attraverso la propriet aliena, e tale imposizione
del limite al diritto di propriet da riconoscersi a favore non solo di chi titolare di un diritto di compropriet o di
altri diritti reali sullo stabile, ma anche di chiunque vi abiti a qualunque titolo.
* Pret. civ. Salerno, ord. 24 ottobre 1990.
Il diritto di installazione di antenna non ha natura reale, ov-vero non si configura come una speciale limitazione
del diritto di propriet, inquadrabile in unipotesi di servit coattiva, ma perso-nale, poich la norma che lo
contempla prescinde, nellattribuirlo, dalla titolarit di un diritto di propriet o di un altro diritto reale
sullappartamento ed ha la propria origine in un rapporto obbliga-torio ex lege, onde lo stesso ha diretta rilevanza
nei confronti del proprietario o del condominio e, come tale, da ritenersi azionabile dinanzi al giudice ordinario.
* Pret. civ. Salerno, ord. 24 ottobre 1990.
E' tutelabile ex art. 700 cod. proc. civ. il diritto dei condomini di un edificio di passare attraverso lappartamento
di un altro condomino al fine di poter installare unantenna televisiva sul tetto delledificio, purch non ne risulti
menomato, in modo apprezzabile, il diritto di propriet di questultimo. * Pret. civ. Roma, ord. 16 dicembre 1989,
Marras e altri c. Salata.
Il diritto di installare unantenna TV spetta esclusivamente al condomino e allinquilino dello stabile interessato
allinstallazione, ma non allutente che non abita in tale stabile. Appare quindi manifestamente infondata
leccezione di incostituzionalit dellart. 232 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, nella parte in cui, in violazione
dellart. 21 Cost., non prevede la possibilit di installare antenne TV anche sui terrazzi degli stabili adiacenti a
quello in cui abita lutente ove questi non capti sufficientemente i segnali televisivi con lantenna installata sul
proprio stabile a causa della interclusione di questultimo tra edifici pi alti.
* Corte app. civ. Lecce, 8 febbraio 1994.
Linstallazione su di un lastrico solare di propriet di un condomino di un ripetitore per telefonia cellulare, con
utilizzo delle cose comuni che consista esclusivamente nellancoraggio dellimpianto suddetto ai muri esterni,
non configura alcuna violazione dellart. 1102 cc.
*Trib civ. Piacenza, 13 febbraio 1998, n. 51, Condominio di Via S. Francesco n. 8 in Piacenza c. Soc. Omnitel
Pronto Italia e Cella.
Linquilino di un immobile condominiale ha un diritto personale e non reale, ai sensi dellart. 1 del D.P.R. 6
agosto 1990, n. 233, di installare e mantenere qualsiasi tipo di antenna di ricezione televisiva sul terrazzo di
copertura dello stabile (sia comune che di propriet esclusiva di alcuni condomini) e di compiere tutte le attivit
necessarie alla sua messa in opera ed al suo funzionamento: tale diritto tutelabile in via cautelare col ricorso
ex art. 700 c.p.c. compete, pertanto, in via autonoma ed immediata, anche al detentore qualificato (conduttore
o comodatario) dellalloggio.
* Trib. civ. Palermo, 13 maggio 1991.
Lart. 1 della L. 6 maggio 1940 n. 554 che sancisce il diritto del condomino ad installare unantenna sul
terrazzo comune o di propriet altrui si applica anche allesercizio di attivit radiofonica in una unit
immobiliare sita in un edificio condominiale. Ed infatti siffatta attivit, anche se svolta da privati, non solo
espressione di esercizio di impresa tesa al lucro, ma altres strumento di esternazione del pensiero. Il solo
limite che la installazione non deve in alcun modo impedire il libero uso della propriet secondo la sua
destinazione n arrecare danni alla propriet medesima od a terzi.
* Trib. civ. Latina, 16 novembre 1992.
Manutenzione
Il difetto di manutenzione dellantenna televisiva suscettibile di creare pericolo nella statica dellantenna
medesima, pregiudicando la ricezione e compromettendo il diritto allinformazione televisiva per cui legittima la
richiesta di tutela in via durgenza ex art. 700 cod. proc. civ., da parte del locatore che sia impedito alla
manutenzione predetta dal conduttore.
* Pret. civ. Roma, sez. I, decr. 13 giugno 1983, Durante ed altri c. Gay e altro.
La ristrutturazione dellantenna centralizzata televisiva gi esistente, comportante lo smantellamento delle
strutture preesistenti allo scopo di ampliare la gamma dei programmi da ricevere, non costituisce innovazione.
* Trib. civ. Genova, 18 giugno 1988, n. 1850.
Il passaggio di un radioamatore e del personale tecnico da questi incaricato attraverso labitazione di un
condomino, al fine di eseguire dalle finestre di esso interventi di riparazione o manutenzione di cavi di
collegamento ad una antenna installata sul tetto delledificio condominiale, con sacrificio della libert di domicilio,
non consentito dagli artt. 397 e 232 comma 4, del D.P.R. 29marzo 1973, n. 156, interpretati in modo conforme
alla Costituzione, quando gli interventi stessi siano possibili in altro modo, ancorch pi costoso. *
Corte app. civ. Milano, 30 giugno 1995.
Ponte radio
In materia di radiodiffusione, il reato di cui allart. 195, secondo comma, D.P.R. n. 156/1973, che si riferisce
soltanto allinstallazione o allesercizio senza concessione di un impianto, non configurabile in relazione
allinstallazione di un semplice "ponte radio", che non pu certamente considerarsi autonomo impianto di
radiodiffusione, essendo un semplice "collegamento di telecomunicazione" per migliorare il segnale in un
determinato bacino di utenza. *

Cass. pen., sez. III, 19 maggio 1997, n. 1653 (cc. 10 aprile 1997), Calcante.
Ricetrasmittenti
Il dovere dei comproprietari o coabitanti di un fabbricato di non opporsi a che altro comproprietario o coabitante,
in qualit di radioamatore munito della prescritta autorizzazione amministrativa, installi unantenna
ricetrasmittente su porzione di propriet altrui o condominiale, nei limiti in cui ci non si traduca in
unapprezzabile menomazione dei loro diritti o della loro possibilit di procedere ad analoga installazione, deve
essere riconosciuto, anche in difetto di unespressa regolamentazione delle antenne da radioamatore nella
disciplina della legge 6 maggio 1940 n. 554 e del d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, dettata a proposito delle antenne
per la ricezione radiotelevisiva, tenuto conto che tale dovere, anche per le antenne radiotelevisive, non si
ricollega ad un diritto dellinstallatore costituito dalla citata normativa, ma ad una sua facolt compresa nel diritto
primario alla libera manifestazione del proprio pensiero e ricezione del pensiero altrui, contemplato dallart. 21
della Costituzione, e che, pertanto, un pari dovere ed una pari facolt vanno riconosciuti anche nellanalogo caso
delle antenne da radioamatore.
*Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1983, n. 7418, Rudelli c. Cerina.
Il titolare del diritto di installazione di unantenna ricetrasmittente pu legittimamente rinunciare a determinate
modalit di esercizio di tale diritto. Per essere valida, la suddetta rinuncia deve essere manifestazione di una
libera e cosciente determinazione della volont di disporre del proprio diritto, nonch risultare da espressioni
incontrovertibii rivelatrici di un intento chiaro in tal senso. (Fattispecie in ordine a clausole, contenute in un
contratto di locazione, relative alle modalit di uso di unantenna radioamatoriale installata sul tetto dellimmobile
locato).
* Trib. civ. Milano, 15 dicembre 1997, Sfreddo e. Campeotto. [99800621]
Limpedimento allesercizio del diritto di installazione di antenna ricetrasmittente sul terrazzo condominiale
(manifestatosi attraverso il rifiuto opposto da alcuni condomini di consentire ai tecnici di accedere alla terrazza
per riparare lantenna, nonch attraverso il rifiuto dellamministratore di consegnare le chiavi della porta di
accesso ditale terrazza) non legittima lazione di reintegrazione, in quanto il predetto diritto non ha natura reale,
ma personale, spettando a chiunque abiti nel condominio.
* Pret. civ. Roma, ord. 13 luglio 1987, Ciocca e Soc. Road Runner c. Condominio Via De Saint Bon, 49 di Roma.
Con riguardo ad un edificio in condominio ancorch dotato di antenna televisiva centralizzata, n lassemblea
dei condomini, n il regolamento da questa approvato possono vietare linstallazione di singole antenne
ricetrasmittenti sul tetto comune da parte dei condomini, in quanto in tal modo non vengono disciplinate le
modalit di uso della cosa comune, ma viene ad essere menomato il diritto di ciascun condomino alluso della
copertura comune, incidendo sul diritto di propriet dello stesso.
* Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1990, n. 7825, Del Degan c. Cond. Malbor. Ud.
Ai sensi dellart. 1 lett. g), L. 28 dicembre 1993, n. 561, lesercizio senza autorizzazione di impianto radioelettrico
ricetrasmittente, previsto dallart. 195 D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, non costituisce pi reato ed soggetto
soltanto al pagamento di una sanzione amministrativa. *
Cass. pen., sez. III, 5 aprile 1994, n. 3969 (ud. 16 maggio 1994), Cazzola.
L'indagine sull'uso della cosa comune da parte del condomino, ai fini della valutazione della sussistenza e della
liceit o meno dell'alterazione o del mutamento di destinazione del bene e della salvezza del pari uso da parte
degli altri condomini, va compiuta con riferimento non alla sola parte della cosa comune oggetto diretto della
modificazione, bens alla cosa stessa nella sua interezza. Pertanto, nel caso in cui un condomino abbia
eliminato un tratto dell'aiuola condominiale (antistante un proprio vano) rendendola carrabile, la sussistenza
dell'alterazione o del mutamento di destinazione deve essere accertata con riguardo all'aiuola
complessivamente considerata.
* Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1984, n. 2206, Sansalone c. Cond. Somma Dona.
Nel caso in cui un condomino chieda il risarcimento dei danni ed, innanzitutto, l'eliminazione totale o parziale di
alberi che, piantati a distanza ravvicinata l'uno dall'altro in un'aiuola comune, con le loro chiome a ridosso del
proprio alloggio impediscano l'ingresso a questo dell'aria e della luce, tale questione deve essere risolta non
soltanto alla stregua dell'art. 892 c.c., occorrendo invece indagare se la mancata manutenzione degli alberi,
anche se piantati alla distanza legale, non costituisca un comportamento negligente del condominio, idoneo a
cagionare ingiusto danno ed a violare il principio per il quale l'uso delle parti comuni non deve mai risolversi in
pregiudizio di alcun condomino.
* Cass. civ., sez. I, 24 agosto 1992, n. 9829, Corso ed altri c. Condominio di Via Castellino n.
115 di Napoli.
Nella nozione di superficie condominiale a verde che, ai sensi dell'art. 13, lett. f), della L. 27 luglio 1978, n. 392,
nella misura percentuale del 10 per cento, si traduce in una maggiore superficie convenzionale di un'unit
immobiliare facente parte di un edificio in condominio (in proporzione alla relativa quota millesimale) ai fini della
determinazione del canone di locazione, non rientrano soltanto quelle aree che - arricchite da fiori, piante,
panchine, ecc.- vengono ad impreziosire lo svolgimento della vita dei condomini, perch anche un semplice
prato realizza quel minimo di godimento estetico, di pi serena vivibilit dell'abitazione e di riservatezza che il
legislatore ha inteso valorizzare, con esclusione, invece delle superfici scoperte mantenute allo stato naturale, le
quali sviliscono, pi che esaltare, il conseguimento delle finalit perseguite dal legislatore.
* Cass. civ., 17 aprile 1991, n. 4113.
La copertura a lastrico, sovrastata da terra e da manto erboso, che assolva anche alla funzione di sostenere
un'area verde condominiale, rientra nelle parti necessariamente comuni.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in
Parma e Condominio di via Rav n. 1 in Parma, in Arch. loc. e cond. 1996, 75.
Le spese di manutenzione di una copertura a lastrico con funzione di sostegno di un'area verde condominiale,

vanno ripartite tra i condomini proprietari del lastrico e della sovrastante area verde da una parte e i proprietari
delle sottostanti autorimesse, e devono essere rapportate alla diversa utilit ritratta, che pu equitativamente
fissarsi rispettivamente in 1/3 e 2/3. Gli interventi di manutenzione di tale copertura sono di competenza
dell'amministratore, ed l'assemblea che delibera sulle spese di manutenzione straordinaria.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in
Parma e Condominio di via Rav n. 1 in Parma.
Condominio multiscale
Se in un unico complesso condominiale esiste una pluralit di servizi di cose comuni, ciascuna delle quali serve,
per obiettiva destinazione, in modo esclusivo all'uso e al godimento di una parte soltanto dell'immobile, essa
cosa o servizio deve considerarsi comune non gi alla totalit dei condomini. bens soltanto a quella parte di essi
al cui uso comune funzionalmente e strutturalmente destinata. (Nella specie, in relazione ad un edificio
condominiale fornito di due scale, ciascuna delle quali destinata a servire esclusivamente gli appartamenti cui d
accesso, stato escluso che, deliberata la installazione dell'ascensore in una delle scale, potesse opporvisi un
condomino proprietario di appartamento servito dall'altra scala).
*Cass. civ., 26 gennaio 1971, n. 196.
In un condominio ove siano due scale da applicarsi per il collocamento dell'ascensore il condominio parziale;
inoltre in applicazione dell'art. 2, L. n. 13/89 le maggioranze sono quelle previste dall'art. 1136 secondo e terzo
comma c.c.
*Trib. civ., Milano, 12 aprile 1990, in L'Amministratore 1990, n. 5.
In un condominio multiscale e dovendo occupare gli ascensori parte del cortile comune le decisioni spettano
all'assemblea globale. Per il vantaggio che l'innovazione porta pu essere sacrificato 1'uso degli spazi occupati
dagli impianti degli ascensori stessi.
*Trib. civ., Milano, 21 dicembre 1989, in L'Amministratore 1990, n. 7/8.
Gettoniera
Nei regolamenti condominiali, accettati in seno agli atti di acquisto delle singole unit immobiliari. hanno natura
negoziale solo quelle disposizioni che incidono nella sfera dei diritti soggettivi dei condomini, mentre hanno
natura tipicamente regolamentare quelle che concernono le modalit d 'uso delle cose comuni e, in genere,
lorganizzazione e il funzionamento dei servizi condominiali, e che non riguardano quindi il diritto alloro
godimento, n qualsivoglia altro diritto spettante ai condomini come tali. Le disposizioni oggettivamente
regolamentari, a differenza di quelle a contenuto negoziale, possono essere modificate con deliberazione
assembleare maggioritaria, ai sensi dell'art. 1136 c.c., pur se formalmente inserite in un regolamento a tipo
contrattuale. (Nella specie, la Suprema Corte ha affermato le legittimit della deliberazione assembleare
maggioritaria, che aveva disposto l'installazione di una gettoniera nell'ascensore, in deroga alla disposizione a
contenuto regolamentare, fissata in un regolamento condominiale a tipo contrattuale, prevedente un sistema
diverso di pagamento delle spese relative all'ascensore stesso).
*Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1976. n. 864.
L'installazione della gettoniera al servizio dell'ascensore, comporta una notevole incidenza sull'economia del
servizio in quanto risulta addirittura mutato il sistema di reperimento dei fondi necessari per l'esercizio del
servizio.
*Trib. civ., Roma, 25 marzo 1964, n. 1225.
Impignorabilit
Gli ascensori e gli impianti di riscaldamento, comprese le caldaie ed i bruciatori, sono parti integranti degli edifici
nei quali sono installati, e non semplici pertinenze; essi, infatti, non hanno una funzione propria, ancorch
complementare e subordinata rispetto a quella degli edifici, ma partecipano alla funzione complessiva ed unitaria
degli edifici medesimi, quali elementi essenziali alla loro destinazione, da ci consegue che l'ascensore e
l'impianto di riscaldamento non sono pignorabili, come beni mobili, separatamente dall'edificio in cui sono
installati, e che I' opposizione con la quale il debitore deduca detta impignorabilit, in quanto tendente a
contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente su quei beni, configura, ai sensi dell'art. 615 c.p.c.,
opposizione all'esecuzione, e non opposizione agli atti esecutivi.
*Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1976, n. 654; conf. Cass. 27 febbraio 1976, n. 653.
Installazione
La installazione in un edificio in condominio (o in una parte di esso) di un ascensore di cui prima esso era
sprovvisto costituisce, ai sensi dell'art. 1120. primo comma, c.c., una innovazione, con la conseguenza che la
relativa deliberazione deve essere presa con la maggioranza di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c., secondo
cui l'approvazione deve avvenire "con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al
condominio e i due terzi del valore dell'edificio". L'installazione di un ascensore in un edificio in condominio (o
parte autonoma di esso), che ne sia sprovvisto, pu essere attuata, riflettendo un servizio suscettibile di
separata utilizzazione, anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, purch sia fatto salvo il diritto degli altri
di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione
dell'impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera. Sono innovazioni vietate, che, quindi, debbono essere
approvate dalla unanimit dei condomini, soltanto quelle che, pur essendo volute dalla maggioranza
nell'interesse del condominio, compromettono la facolt di godimento di uno o di alcuni condomini in confronto
degli altri, mentre non lo sono quelle che compromettono qualche facolt di godimento per tutti i condomini. A
meno che il danno che subiscono alcuni condomini non sia compensato dal vantaggio. Pertanto, qualora, al
posto della tromba delle scale e dell'andito corrispondente a pianterreno, si immette un impianto di ascensore, a
cura e spese di alcuni condomini soltanto, il venir meno dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio
nell'identico modo originario non contrasta con la norma del secondo comma dell'art. 1120 c.c. perch, se pur
resta eliminata la possibilit di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne offre uno diverso, ma di contenuto

migliore, onde la posizione dei dissenzienti salvaguardata dalla possibilit di entrare a far parte della
comunione del nuovo impianto.
*Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1975, n. 2696.
L'art. 1120 cc., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con
determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino una
spesa da ripartire fra tutti i condomini su base millesimale, mentre qualora non debba farsi luogo ad un riparto di
spesa, per essere stata questa assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la
norma generale di cui all'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, e secondo cui ciascun partecipante
pu servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto e pu apportare a tal fine a proprie spese le modificazioni necessarie
per il miglior godimento della cosa medesima. Ricorrendo le suddette condizioni, pertanto, un condomino ha
facolt di installare nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione
degli altri condomini, e pu far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri
condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera
assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo.
*Cass. civ., sez. II, 12febbraio 1993, n. 1781, Fonti e altri c. Colombo e altri.
Il pregiudizio, per alcuni condomini, della originaria possibilit di utilizzazione delle scale e dell'andito occupati
dall'impianto di ascensore collocato a cura e spese di altri condomini, non rende l'innovazione lesiva del divieto
posto dall'art. 1120, secondo comma, c.c., ove risulti che alla possibilit dell'originario godimento della cosa
comune offerto un godimento migliore, anche se di diverso contenuto.
*Cass. civ., sez. II, 29 aprile 1994, n. 4152. Bava c. Condominio edificio in C.so Vittorio Emanuele.
L'opera nuova pu dare luogo ad una innovazione anche quando, oltre che la cosa comune o sue singole parti,
interessi beni o parti a questa estranei ma ad essa funzionalmente collegati. Anche in tal caso, quindi, se
l'opera, pur essendo utilizzabile da tutti i condomini, stata costruita esclusivamente a spese di uno solo dei
condomini, questo ne rimane proprietario esclusivo solo fino alla richiesta degli altri di partecipare ai vantaggi
della stessa contribuendo, ai sensi dell'art. 1120 c.c., alle spese per la sua costruzione e manutenzione. (Nella
specie, si trattava di un ascensore per il collegamento dell'androne dell'edificio condominiale con una strada
posta ad un livello notevolmente inferiore, costruito con opere che interessavano, oltre che l'androne ed il
sottosuolo comuni, anche un terreno in propriet esclusiva del condomino che le aveva eseguite).
*Cass. civ., sez. II, 1 aprile 1995, n. 3840, Chiappara c. Villari.
L'installazione di un servizio in precedenza inesistente, suscettibile di uso separato ed a spese del solo
condomino interessato non richiede l'approvazione da parte dell'assemblea con la maggioranza qualificata
richiesta per le innovazioni ex art. 1120 cod. civ., trovando, in questo caso, applicazione l'art. 1102 cod. civ.
(Nella fattispecie. trattavasi dell'installazione di un ascensore da parte di un condomino portatore di handicap, il
quale si era accollato l'intero onere delle Spese).
*Trib. civ., Milano, Il maggio 1989, Soli c. Condominio via Ozanam 10/a, Milano, in Arch. loc. e cond. 1990, 325.
Allorch I' uso della cosa comune, pur comportando innovazione, venga effettuato dal singolo condomino a sue
spese e non risulti alterata la destinazione della cosa n ne sia impedito l'uso agli altri condomini. non
necessaria una preventiva delibera assembleare di approvazione. (Nella specie stata accolta, in base al
suddetto principio, la richiesta di provvedimento d'urgenza avanzata da soggetto affetto da incapacit
deambulatoria che lamentava il rifiuto opposto all'installazione di un impianto di ascensore nel condominio ove
risiedeva).
*Pret. civ., Milano, ord. 19 maggio 1987, Soli e L.E.D.H.A. c. Condominio di via Ozanam 10/A, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1988, 197.
La norma dell'art. 1120 c.c., nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini
con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare l'approvazione di innovazioni che comportino
per tutti i condomini delle spese, ripartite su base millesimale. Ove non si faccia questione di spese, torna
applicabile la norma generale dell'art. 1102 c.c. - che contempla anche le innovazioni - secondo cui ciascun
partecipante pu servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri
partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, ed, a tal fine, pu apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune, come (nel caso di specie) applicare nella
tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione di tutti i condomini.
*Cass. civ., sez. II, 5 aprile 1977, n. 1300.
Sussiste, alla stregua dell'art. 1102 cod. civ., il diritto del condomino di installare, a proprie cure e spese, un
impianto di ascensore nel vano delle scale in cui ubicata la propria unit immobiliare, salva la facolt di ogni
altro condomino interessato di richiedere la partecipazione all'utilizzo dell'opera, previa corresponsione delle
quote di spesa dovute secondo legge.
*Trib. civ., Milano, sez. VIII, 12 ottobre 1989, n. 8434, Quajanni c. Condominio Via Burlamacchi n. 3, Milano, in
Arch. loc. e cond. 1990, 543.
L'installazione dell'ascensore, riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, pu essere attuata
anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai
vantaggi della innovazione contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'opera.
*Pret. civ., Taranto, ord. 5 ottobre 1993, in Arch. loc. e cond. 1994. 383.
In tema di condominio negli edifici, la delibera assembleare, che, pur senza approvare uno specifico progetto e
preventivo di spesa, autorizzi l'installazione di un ascensore ad opera ed a spese di un singolo condomino. ma
con salvezza del diritto degli altri condomini di partecipare in qualunque momento ai vantaggi dell'installazione
medesima, tramite contributo ai costi di esecuzione e manutenzione, configura innovazione diretta al
miglioramento della cosa comune, e come tale, validamente adottata con le maggioranze prescritte dall'art.

1136 quinto comma. c.c..


N sulla legittimit di detta delibera incide l'indicata mancanza di progetto e di preventivo, la quale comporta
soltanto la necessit che la delibera stessa venga integrata da successive decisioni assembleari, per
determinare le modalit di attuazione ed esecuzione dell'innovazione, nel rispetto dei limiti e dei divieti fissati dal
secondo comma dell'art. 1120 c.c..
*Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1977, n. 4921, Molinari c. Cond. V.S. Stefano.
Costituisce innovazione vietata ex art. 1120, secondo comma, c.c., 1'installazione di un impianto di ascensore
che, rispettando le dimensioni minime della cabina previste dalle prescrizioni tecniche sia della legge nazionale
che di quella regionale, comporti una riduzione del piano di calpestio dei vari piani.
*Trib. civ., Milano, 23 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Ciascun condomino pu procedere alla installazione, a proprie cure e spese, di un impianto di ascensore, salva
la facolt degli altri condomini di chiedere la partecipazione all'uso previa corresponsione della quota di spesa, e
semprech non venga alterata la destinazione della cosa comune e non venga impedito agli altri condomini di
farne parimenti uso.
*Pret. civ., Messina, ord. 7 dicembre 1991, in Giur. mer. 1993, 351.
Nel caso in cui i condomini siano gravati, in base ad un atto pubblico di acquisto, dalla servit passiva di
installazione di un ascensore a favore di una singola porzione immobiliare, non occorre una nuova
manifestazione di volont in sede di assemblea condominiale per autorizzare tale installazione e la realizzazione
delle relative opere.
*Pret. civ., Roma, sez. IV, 28 giugno 1994, n.4191, Orsini c. Rossetti, Albertazzi e altri, in Arch. loc. e cond.
1994, 846.
Le norme della L. n. 13/89 che prevedono una deroga alle maggioranze stabilite dal codice civile per le
innovazioni consistenti nella realizzazione di un ascensore in un edificio condominiale al fine dell'eliminazione
delle barriere architettoniche sono applicabili indipendentemente dalla presenza o meno di portatori di handicap
nell'immobile.
*Trib. civ., Milano, 19 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Una modesta compressione del diritto di cui all'art. 1102 c.c. deve ritenersi tollerabile quando sia giustificato
dall'interesse altrui ad un pi proficuo uso della cosa comune e non rechi in concreto alcun serio pregiudizio o
grave sacrificio (Fattispecie in tema di installazione di un ascensore comportante un limitato restringimento dello
spazio di passaggio comune).
*Trib. civ., Milano, 9 settembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 138.
Non sussiste alcun concreto interesse ad impugnare una deliberazione dell'assemblea condominiale che si limiti
a disporre l'installazione di un ascensore rinviando ad una successiva riunione l'approvazione della spesa e la
relativa ripartizione, non potendo affatto escludersi che l'assemblea non approvi la spesa e non potendo in ogni
caso prefigurarsi quale potrebbe essere l'effettivo contenuto di una futura deliberazione sulla materia.
*Trib. civ., Milano. 18 aprile 1991. in Arch. loc. e cond. 1992. 154.
Quando l'installazione di un ascensore consiste in un uso pi intenso della cosa comune, senza alterazione
della sua destinazione e senza sottrazione agli altri condomini del pari uso della cosa, si ha uso della cosa
comune ai sensi dell'art. 1102 e non innovazione ex art. 1120.
*Trib. civ., Foggia 29 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
L'installazione di ascensore nella tromba delle scale, pur comportando la riduzione o il venire meno
dell'utilizzazione di dette parti comuni dell'edificio nel modo originario, non contrasta con la norma dell'art. 1120
comma 2 c.c., in quanto, pur se resta eliminata la possibilit di un certo tipo di godimento, al suo posto se ne
offre uno diverso e di contenuto migliore, anche alla luce della L. n. 13 del 1989, mentre la posizione dei
dissenzienti salvaguardata dalla possibilit di entrare a far parte della comunione del nuovo impianto. Pertanto
non sussiste una vera alterazione della destinazione, n si compromette la facolt di godimento della cosa
comune da parte di tutti i condomini.
*Pret. civ., Catania. ord. 14 maggio 1991, in Giur. mer. 1993, 351.
L 'installazione dell'ascensore costituisce una delle eccezioni alla regola dell'applicabilit delle norme sulle
distanze in campo condominiale in quanto l'ascensore va considerato alla stregua di un impianto indispensabile
ai fini di una civile abitabilit in sintonia con l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini.
*Trib. civ., Napoli, 16 novembre 1991, n.13008. in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
La disciplina in materia di distanze non opera per quegli impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di
una reale abitabilit dell'appartamento e che riflettono l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini. Inoltre,
l'art. 3 comma 2 L. n. 13 del 1989, nel porre l'obbligo dell'osservanza delle distanze di cui all'art. 907 c.c. per la
sola ipotesi in cui "tra le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia interposto alcuno spazio o alcuna area di
propriet o uso comune" implicitamente riconosce che tali distanze, se eventualmente applicabili, non debbano
comunque essere osservate con riferimento alle unit immobiliari comprese nel medesimo edificio condominiale.
*Pret. civ., Catania, ord. 20 marzo 1992, in Giur. mer. 1993, 351.
La nullit di una delibera assembleare che abbia disposto l'installazione di un ascensore in uno stabile
condominiale non impedisce che tale installazione possa essere realizzata autonomamente da uno o pi singoli
condomini.
*Trib. civ., Napoli, 1 ottobre 1991. in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
L'impianto dell'ascensore costituisce uno degli interventi volti ad eliminare una barriera architettonica rendendo
possibile ai soggetti in minorate condizioni fisiche che abitano l'immobile o che possono frequentarlo la vita di
relazione interpersonale.
*Trib. civ., Firenze, 19 maggio 1992, n. 849, in Arch. loc. e cond. 1992, n. 4.
nulla la delibera - adottata secondo la maggioranza prevista dall'art. 2 della L. n. 13/1989 - di installazione di

un ascensore volto a favorire le esigenze di un condomino portatore di handicap, qualora ci comporti un


sensibile deprezzamento dell'unit immobiliare di altro condomino.
*Corte app. civ., Napoli, sez. II, 27 dicembre 1994. n. 3074. Condominio di via Salvator Rosa n. 253 in Napoli c.
Lovallo, in Arch. loc. e cond. 1995, 393.
L'installazione dell'ascensore non pu comportare un pregiudizio intollerabile o un danno apprezzabile ad un
singolo condominio, nel qual caso l'innovazione non pu essere considerata legittima, e ci vale anche se
l'ascensore viene installato a norma dell'art. 3 della L. 9 gennaio 1989, n. 13.
*Trib. civ., Napoli, 16 novembre 1991, n. 13008, in Arch. loc. e cond. 1992, 373.
Ai sensi della L. n. 13/1989 anche se l'ascensore da considerarsi innovazione per la sua approvazione sono
sufficienti le semplici maggioranze del secondo e terzo comma dell'art. 1136 e non quelle del quinto comma del
citato articolo.
*Trib. civ., Milano, 14 novembre 1991, in L'Ammin. 1992, 3, 13.
Limitazioni all'uso
Anche nel condominio degli edifici trova applicazione, relativamente ai beni comuni, il principio, desumibile
dall'art. 1102 cod. civ., che consente al singolo condomino di usare della cosa comune anche per un suo fine
particolare, con conseguente possibilit di ritrarre dal bene una specifica utilit aggiuntiva rispetto a quelle
generali ridondanti a favore degli altri condomini, con il solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto
spettante a questi ultimi. Da tanto consegue che in difetto di specifiche limitazioni stabilite dal regolamento di
condominio, l'uso dell'ascensore per il trasporto di materiale edilizio pu essere legittimamente inibito al singolo
condomino solo qualora venga concretamente e specificatamente accertato che esso risulti dannoso, sia
compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la
tempestiva e conveniente utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alle frequenze
giornaliere, alla durata e all'eventuale orario di esercizio del suddetto uso particolare, alle cautele adoperate per
la custodia delle cose trasportate, tenendo conto di ogni altra circostanza rilevante per accertare le eventuali
conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto, possono derivare dal suddetto uso particolare
dell'ascensore.
*Cass. civ., sez. II, 6 aprile l982, n. 2ll7, Colaci c. Cond. V. Casilina.
Integra una molestia possessoria la regolamentazione dell'uso delle cose comuni da parte dell'amministratore di
un condominio, anche se adottata nel convincimento di agire nel legittimo esercizio delle attribuzioni a lui
devolute dall'art. 1130 n. 2 cod. civ. - in difetto di esplicite limitazioni stabilite nel regolamento di condominio e
sempre che tale regolamentazione non risulti giustificata da particolari ragioni connesse, ad esempio, alla
sicurezza dei condomini o dei terzi o alla salvaguardia della stessa conservazione della cosa comune - che
attenti al contenuto del diritto che su di esse compete a ciascun condomino, in violazione dei principi che
regolano l'uso delle cose comuni da parte dei singoli partecipanti alla comunione. pertanto, illegittimo il divieto
dell'uso del lastrico solare per limitate e temporanee esigenze connesse al trasporto di alcuni mobili da un
appartamento all'altro dello stesso fabbricato, nonch il divieto di usare l'ascensore per il trasporto di materiale
edilizio, ove non si accerti che tale uso risulti concretamente dannoso, sia compromettendo la buona
conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente
utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alla frequenza giornaliera del suddetto uso
particolare e agli inconvenienti che possono derivarne al decoro dell'edificio, tenuto conto delle cautele che
vengono o meno adoperate in ciascun caso concreto per la custodia del materiale trasportato, del numero degli
utenti che normalmente si servono dell'ascensore per accedere alle varie unit immobiliari, nonch di ogni altra
circostanza rilevante per accertare le eventuali conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto,
possono realmente derivare dal su indicato uso particolare dell'ascensore.
*Cass. civ., sez. II, 6 febbraio 1982, n. 686, Colaci c. Cond. Casilina.
Le innovazioni di cui all'art. 1120, primo comma, cod. civ. (nella specie, consistenti nella collocazione di una
porta sulla scala condominiale e nel blocco con chiave della pulsantiera dell'ascensore), realizzate
dall'amministratore del condominio in assenza di preventiva delibera assembleare, in quanto idonee a turbare il
pacifico godimento e l'utilizzazione del singolo condomino su alcune parti comuni dell'edificio, rendono
ammissibile l'azione di manutenzione a tutela del (com)possesso (delle menzionate parti comuni) proposta da
quest'ultimo. Peraltro l'adozione, nel corso del giudizio possessorio, di una delibera condominiale che ratifichi,
con la maggioranza qualificata prevista dall'art. 1136, quinto comma. cod. civ., le spese relative alle eseguite
innovazioni e sostanzialmente autorizzi le innovazioni medesime, legittima, sia pure tardivamente, sotto il profilo
dell'esercizio del possesso, la condotta posta in essere dall'amministratore suddetto, facendo venir meno i
connotati della molestia e turbativa in essa (condotta) originariamente ravvisabili, con conseguente rigetto nel
merito della domanda di manutenzione come sopra proposta.
*Pret. civ., Gallarate, 16 gennaio 1990, Steri c. Galli, in Arch. loc. e cond. 1990, 361.
Locali macchina
La servit di accesso ai locali macchina degli ascensori attraverso il seminterrato di propriet di un condomino,
comprende il diritto del condominio, e per esso dell'amministratore, ad avere copia delle chiavi di accesso a
detto locale.
*Trib. civ., Napoli, sez. III, 30 ottobre 1993, n. 10600, Cond. di via degli Aranci. n. 25 di Sorrento c. Stinga, in
Arch. loc. e cond. 1994, 597.
Manutenzione e conservazione
Presunzione di comunione
L'area di base del vano di corsa dell'ascensore deve considerarsi parte comune dell'edificio, ai sensi dell'art.
1117, n. 3, cc., ed ogni condomino legittimato a far valere il suo diritto reale sulle aree condominiali e far
cessare occupazioni illecite od usi non consentiti.

*Trib. Civ., Napoli, 15 novembre 1989, in Rass. equo canone 1990, 272.
L'ascensore quando non sia installato originariamente nell'edificio all'atto della sua costruzione e vi venga
installato successivamente per iniziativa di tutti o parte dei condomini non costituisce propriet comune di tutti i
condomini, bens appartiene in propriet a quei condomini che l'hanno impiantato a loro spese, salvo la facolt
degli altri condomini. prevista dall'art. 1121 ultimo comma c.c., di partecipare successivamente all'innovazione.
*Cass. civ., 18 novembre 1971, n. 3314.
Proprietari dei locali al piano terreno
Non risultando il contrario dai titoli di acquisto delle singole propriet individuali, l'ascensore deve considerarsi di
propriet comune anche dei condomini proprietari di negozi siti al piano terreno, poich occorre far riferimento
non all'utilizzo in concreto, ma alla potenzialit del medesimo.
*Corte app. civ., Bologna, sez. II, 1 aprile 1989. n. 273, Zerbini e altri c. Condominio di via Marconi 6, Bologna, in
Arch. loc. e cond. 1990, 67.
Il proprietario di unit immobiliari sue al piano terreno o aventi accesso separato mediante scala in propriet
esclusiva, tenuto a concorrere nelle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale o degli ascensori
comuni, limitatamente a quella parte di oneri che viene suddivisa, ai sensi dell 'art. 1124 cod. civ., in ragione del
valore del piano o della porzione di piano: non invece dovuta alcuna quota di quella parte di spese ripartite, in
base alla medesima norma, in misura proporzionale alla distanza dei piani dal suolo.
*Trib. civ., Monza, 12 novembre 1985, Tarasconi c. Condominio Assiria I di Sesto San Giovanni, in Arch. loc. e
cond. 1986, 299.
L'ascensore una parte comune anche per i proprietari delle unit condominiali site al piano terra poich essi
possono trarre utilit dall'impianto, che idoneo a valorizzare l'intero immobile e normalmente permette di
raggiungere pi comodamente parti superiori che sono comuni a tutti.
* Trib. civ., Milano, sez. VIII, 16 marzo 1989, Mazzilli ed altri c. Condominio di via Valassina 45, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1989, 515.
Separato godimento
In caso di installazione da parte di un condomino di un ascensore suscettibile di suo separato godimento, trova
applicazione l'art. 1102 cod. civ. - a mente del quale il singolo condomino pu apportare alla cosa comune le
modificazioni necessarie al migliore godimento - e non l' arti. 1120 cod. civ.. dettato per le ipotesi di innovazione
della cosa comune, per cui non pare necessaria l'approvazione da parte dell'assemblea con la maggioranza
qualificata richiesta per le innovazioni e le spese di installazione sono esclusivamente a carico dell'interessato.
*Trib. civ. Milano, 1 maggio 1989. Sole c. Condominio di via Ozanam,10/A di Milano, in Arch. loc. e cond. 1990,
74.
Nel condominio di edificio, in caso di godimento separato di servizi comuni, ai fini della validit delle deliberazioni
assembleari. configurabile una maggioranza limitata ai soli condomini della parte di edificio alla quale
destinato il servizio in separato godimento. (Nella specie, in un edificio in condominio, provvisto di tre scale,
ciascuna fornita di proprio ascensore, la deliberazione assembleare di sostituzione dell'ascensore di una scala,
vecchio, con un ascensore nuovo, era stata presa con maggioranza limitata ai condomini di quella parte di
edificio servita dall'ascensore da sostituire).
*Cass. civ., sez. II, 4 settembre 1970, n. 1188.
In caso di godimento separato di servizi comuni all'interno di un unico condominio, ai fini della validit delle
delibere assembleari configurabile una maggioranza limitata ai soli condomini della parte di edificio alla quale
destinato il servizio in separato godimento. (Fattispecie in tema di installazione di un ascensore).
*Trib. civ, Milano, 12 aprile 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 336.
Sostituzione
La sostituzione di ascensori usurati e non pi agibili con ascensori nuovi, anche di tipo e marca diversi, conformi
alle nuove tecniche, non costituisce innovazione poich le cose comuni oggetto delle modifiche (strutture del
vano ascensore e locali annessi, cabina) non subiscono alcuna sostanziale trasformazione e conservano la loro
destinazione strumentale al servizio, anche se si realizzano mutamenti alla loro conformazione.
*Corte app. civ., Milano, sez. I, 9 ottobre 1987, n. 1983, Condominio di via Console Marcello 18/2 di Milano c.
Dondoli, in Arch. loc. e cond. 1989, 707.
Spese
In tema di condominio degli edifici, la disciplina di cui agli arti. 1123, 1125 cod. civ. sul riparto delle spese
inerenti ai beni comuni, suscettibile di deroga con patto negoziale, e, quindi, anche con il regolamento
condominiale, ove abbia natura convenzionale, e sia di conseguenza vincolante nei confronti di tutti i
partecipanti. Pertanto, con riguardo alla ripartizione delle spese per la manutenzione degli ascensori, deve
ritenersi valida ed operante la disposizione del suddetto regolamento, che preveda il concorso di tutti i
condomini, inclusi quelli abitanti al piano terreno, in base ai millesimi delle rispettive propriet.
*Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1986, n. 6499, Jannace c. C. V. Petrarca NA.
Gli interventi di adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento di obiettivi di
sicurezza della vita umana e incolumit delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti e i terzi, non
attengono all'ordinaria manutenzione dello stesso o al suo uso e godimento, bens alla straordinaria
manutenzione, riguardando l'ascensore nella sua unit strutturale. Le relative spese devono quindi essere
sopportate da tutti i condomini, in ragione dei rispettivi millesimi di propriet, compresi i proprietari degli
appartamenti sui al piano terra.
*Trib. civ., Parma, sez. II, 29 settembre 1994, n. 859, Paini e altra c. Condominio Elisabetta, in Arch. loc. e cond.
1994, 831.
Atti osceni
Gli atti osceni messi in atto in una autorimessa condominiale si intendono commessi in luogo aperto al pubblico

anche se laccesso consentito ad una determinata categoria di terze persone.


* Cass. pen., sez. IV, 10 ottobre 1989.
Autorimessa sotterranea
In tema di condominio di edifici, costituisce innovazione vietata ai sensi del secondo comma dellart. 1120 cod.
civ. (e, pertanto, deve essere approvata dalla unanimit dei condomini), la costruzione di autorimesse nel
sottosuolo del cortile comune, in quanto comporta il mutamento di destinazione del sottosuolo da sostegno delle
aree transitabili e delle aree verdi a spazio utilizzato per il ricovero di automezzi (con conseguente modifica di
destinazione anche dellarea scoperta soprastante a copertura di locali sotterranei) e determina una situazione
di permanente esclusione di ogni altro condomino dalluso e dal godimento di ciascuna autorimessa sotterranea,
assegnata ai singoli condomini, ancorch rimasta di propriet comune.
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1988, n. 6817, Cond. Collignon c. Cavallini.
Posta la natura comune del cortile sovrastante i box e posto il conseguente godimento del medesimo da parte di
tutti i condomini, ne consegue la necessit di ripartizione delle relative spese di manutenzione tra tutti i
condomini, sia pure con ladozione di criteri correttivi in riferimento allulteriore godimento della cosa comune da
parte dei boxisti, non potendo i condomini non proprietari di box pretendere di essere esclusi da tale ripartizione.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 5aprile 1993, Caruso c. Cond. di Via Ornato di Milano, in Arch. loc. e cond. 1995, n.
2.
La realizzazione, in difetto di concessione edilizia, di box per auto (nella specie, costruiti dopo la demolizione di
locali destinati a magazzini), siti in cortile separato dalledificio principale, configura il reato di cui allart. 17, lett.
b), L. 28 gennaio 1977, n. 10, applicabile pur dopo lentrata in vigore del D.L. 20 novembre 1981, n. 663, in
quanto lart. 7, lett. a) di questo si riferisce solo alle pertinenze di modesta entit, strutturalmente collegate alla
preesistente costruzione principale.
* Pret. pen. Foggia, 1 dicembre 1981, Di Lascia ed altri, motivaz. e nota in Riv. pen. 1982, 515.
Nel caso in cui un box per auto sia locato, ancorch con separato contratto, al conduttore di un appartamento
destinato ad abitazione, sito nello stesso stabile, da parte del proprietario di entrambi i detti immobili, si che
questi risultino destinati ad un uso unitario per un pi completo godimento dellabitazione concessa in locazione,
il rapporto locativo del box, il cui uso si attua in funzione di pertinenza dellabitazione, va assoggettato allo
stesso regime giuridico relativo alla locazione di tale secondo immobile.
* Cass. civ., sez. III, 4settembre 1990, n. 9115, Soc. Alleanza A c. Fava.
Un box auto (o la porzione di autorimessa o lo spazio di parcheggio), gravato da un vincolo pertinenziale e
pubblicistico di destinazione, non pu essere alienato con separato atto - rispetto allappartamento cui
collegato - in quanto il predetto vincolo a finalit pubblicistica si concreta sia nella oggettiva inalterabile
destinazione a parcheggio, che - in primis - nella concreta modalit duso consistente nella reale utilizzazione
come parcheggio da parte di persona materialmente qualificata a quelluso dalla condizione di proprietario dello
stesso o di altro appartamento sito nel medesimo edificio condominiale di ubicazione del boxauto (o posto auto)
gravato dal suddetto vincolo.
* Trib. civ. Roma, sez. II, 11 novembre 1994, Ceci ed altri c. Carpineti, in Arch. loc. e cond. 1995, 137.
Cancelli
Non costituisce innovazione, ma semplice modificazione della cosa comune, la sostituzione dei cancelli di
ingresso e uscita dei box, con sistema di apertura manuale, con altri a movimento automatizzato. Pertanto la
relativa spesa pu essere validamente deliberata dallassemblea dei condomini con le maggioranze previste
dallart. 1136, secondo e terzo comma, cod. civ.
* Trib. civ. Monza 14 dicembre 1984, Garimoldi e altri c. Cond. Sesto Est. 1. Motivaz. e nota in Arch. loc. e cond.
1985, 79.
Controversie
Il soggetto che quale proprietario di un appartamento di un edificio in condominio agisca in giudizio nei confronti
di un terzo, perch gli sia inibita la sosta ed il parcheggio di veicoli effettuata sullarea di propriet condominiale
in violazione delle disposizioni del regolamento del condominio, non esercita unazione possessoria di
manutenzione (rientrante nellesclusiva competenza per materia del pretore) bens unazione petitoria, agendo in
forza ed a tutela dei poteri e delle facolt inerenti alla compropriet del suddetto bene, con la conseguenza che
per la individuazione del giudice per essa competente trovano applicazioni gli ordinari criteri della competenza
per valore.
* Cass. civ.. sez. II, 25 maggio 1992, n. 6225.
La controversia promossa dal proprietario di appartamento in fabbricato condominiale, nei confronti del
costruttore-venditore, per sentire riconoscere la destinazione a parcheggio di veicoli di spazi realizzati nel
fabbricato stesso, in conformit del disposto dellart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150
(introdotto dallart. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765), non investe direttamente atti amministrativi, quali quelli
in base a cui stato costruito e destinato ledificio, ma riguarda esclusivamente posizioni di diritto soggettivo
nellambito di rapporti privatistici, e, pertanto, spetta alla giurisdizione del giudice ordinario.
* Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 1984, n. 6602, Meda c. Oddo.
Lazione diretta ad ottenere laccertamento della destinazione dellautorimessa a servizio dello stabile
condominiale introduce una controversia che concerne lestensione del diritto dei singoli condomini in
dipendenza dei rispettivi acquisti e, pertanto, esula dalla sfera di rappresentanza attribuita dallart. 1131 cod. civ.
allamministratore del condominio, il quale quindi sfornito di legittimatio ad processum.
* Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 1988, n. 2129, Cond. V. Imprunet. c. Soc. Pian. 2 Torri.
Il singolo condomino da solo ovvero un gruppo di condomini senza necessit di chiamare in giudizio gli altri
condomini o lamministratore del condominio possono proporre lazione giudiziaria contro il costruttore-venditore
per rivendicare il diritto reale duso sullarea delledificio destinata a parcheggio con atto dobbligo nei confronti

dellamministrazione comunale, non ricorrendo un ipotesi di litisconsorzio necessario.


* Cass. civ., sez. II, 19 aprile 1994, n. 3717, Torrevecchia 1972 c. Quinto.
La domanda di un condomino di sistemazione in via definitiva dei postimacchina del garage condominiale non
rientra fra le cause relative alla misura o comunque alle modalit d uso dei servizi o dei beni del condominio.
* Pret. civ. Taranto, 22 ottobre 1985, o. 523, Ferramosca c. Cond. di via Lazio, n. 111, Taranto, motivaz. e nota
in Arch. loc. e cond. 1986, 152.
Il fatto di chi parcheggia la propria vettura in uno spazio privato adeguatamente segnalato come interdetto alla
sosta, pu senza dubbio qualificarsi come una molestia al pacifico godimento della strada privata da parte
dellente proprietario e possessore. Ne consegue che la rimozione dellauto parcheggiata contro le disposizioni
date e rese adeguatamente conoscibili integra il lecito esercizio dellautotutela possessoria, che trova il suo
fondamento normativo nellart. 2044 c.c. che esclude lantigiuridicit della reazione ad unazione obiettivamente
ingiusta.
* Giud. conc. Bologna 9 ottobre 1991, in Arch. giur. circ. e sin. 1992, 54.
Destinazione di un locale comune a garage
Lassemblea di un condominio edilizio pu validamente deliberare con la maggioranza di cui allart. 1136,
secondo comma, cc. la specifica destinazione di un locale di propriet comune a garage in relazione alle
caratteristiche obbiettive del locale medesimo (nella specie: locale situato al piano terra delledificio con accesso
alla via pubblica mediante una rampa carrabile) non importando una sostanziale modifica della cosa comune
bens trattandosi di un atto di amministrazione diretto ad assicurare a tutti i condomini il miglior godimento e la
migliore utilizzazione della cosa comune, senza che ne derivi una violazione del principio del godimento paritario
per limpossibilit di assicurare a ciascun condomino un posto macchina, in quanto il pari uso della cosa comune
non postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i compartecipi della comunione,
che resta affidato alla concreta regolamentazione per ragioni di coesistenza.
* Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1992, n. 2084. Rotondano c. Cond. via Onofrio RM.
Difficolt di manovra
illegittima la costruzione di un ripostiglio nel corridoio condominiale, sia pur deliberata a maggioranza
dallassemblea condominiale, che diminuisca in modo apprezzabile il godimento della propriet esclusiva anche
di uno solo dei condomini. (Nel caso di specie originariamente loperazione di fuoriuscita dellautovettura
dallautorimessa del condomino dissenziente era facilmente eseguibile con manovra in due tempi, mentre dopo
la costruzione del ripostiglio, di fronte allautorimessa, tale manovra poteva compiersi soltanto in quattro tempi).
* Pret. civ. Monza, 5 luglio 1982, n. 666, Pellegrini c. Cond. Esedra 1, motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1983,
555.
La deliberazione dellassemblea condominiale, con la quale venga autorizzato luso di un bene comune in modo
incompatibile con lutilizzazione ed il godimento di parti delledificio di propriet di un singolo condomino,
illegittima indipendentemente dalla circostanza che, per ragioni contingenti e transitorie, il bene di propriet
individuale ed esclusiva non sia attualmente utilizzato secondo la sua naturale destinazione. (In base al suddetto
principio la Suprema Corte ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato la
illegittimit di una delibera con la quale era stata decisa lutilizzazione come parcheggio di unarea condominiale
sotto il profilo che detto uso avrebbe ostacolato laccesso ad alcuni locali di propriet individuale destinati ad
essere utilizzati come autorimesse, a nulla rilevando che detto uso non fosse attuale per la necessit di
realizzare alcuni lavori di rifinitura e di adattamento dellimmobile).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1989, n. 3858, Cond. di Via Ronciglione, 20, Roma c. Soc. Gefta.
Diritto di parcheggio nellautorimessa comune
Nel condominio degli edifici la disciplina delle parti comuni, o presuntivamente dichiarate tali dallart. 1117 cod.
civ., informata ai principi dellindivisibilit e della loro inseparabilit, in ragione della loro destinazione al relativo
servizio, da quelle di pertinenza esclusiva dei condomini, sicch, non potendo il singolo condomino, senza il
consenso degli altri condomini, unilateralmente disporre delle parti comuni in modo autonomo ed indipendente
da quelle di sua propriet esclusiva, il cedente di una porzione di piano di sua esclusiva propriet non pu
riservare a s il diritto di compropriet e quindi luso di parti comuni destinate al complesso condominiale (nella
specie, diritto al parcheggio nellautorimessa comune), con la conseguenza che, essendo inopponibile al
condominio lanzidetta riserva di propriet, egli, ormai terzo rispetto al condominio, non pi legittimato a
partecipare alle assemblee n ad impugnarne le deliberazioni.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1990, n. 9, Condominio Via della Farnesina, 347, di Roma c. Necci.
Furto
Il locale autorimessa, anche se situato entro il perimetro delledificio condominiale (nella specie, nel
seminterrato), non pu ritenersi incluso tra le "parti comuni delledificio" indicate dallart. 1117 c.c., neppure sotto
laspetto di "parte delledificio necessaria alluso comune", cos che, da un canto, il condominio non pu giovarsi
della relativa presunzione al fine di pretendere il contributo di ogni condomino alle relative spese di
manutenzione e dallaltro, sul condomino che adduca di non essere tenuto a tale contributo (per non essere
comproprietario del locale) non incombe lonere della relativa prova negativa. Al fine di accertare la esistenza, o
meno, dellobbligo del singolo condomino di sostenere, in misura proporzionale, le spese di manutenzione del
detto locale occorre, pertanto, la prova positiva dellappartenenza di esso in propriet comune, determinante
essendo, al fine anzidetto, lesame dei titoli di acquisto dei singoli comproprietari dellimmobile.
* Cass. civ., sez. II, 22 ottobre 1997, n. 10371, Condominio La Torre in Chiaravalle c. Chiappa, in Arch. loc. e
cond. 1998, 47.
In tema di furto, la circostanza aggravante dellesposizione alla pubblica fede configurabile anche quando la
cosa si trova in luogo privato, ma aperto al pubblico o comunque facilmente accessibile, ovvero in un cortile di
casa di abitazione in diretta comunicazione con una pubblica via ovvero in parcheggio privato non custodito.

* Cass. pen., sez. II, 5 settembre 1991, n. 8798 (ud. 17 gennaio 1991), Crisafulli.
Sussiste laggravante di cui allart. 625, n. 1, c.p., nel caso di furto di due biciclette commesso in unautorimessa
condominiale, comunicante con ledificio soprastante ove erano le abitazioni dei condomini, sebbene la porta di
comunicazione fosse chiusa a chiave al momento del furto.
* Cass. pen., sez. II, 17 gennaio 1981, Pelamatti.
Opere di prevenzione anti incendio
In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalit tra spese ed uso di cui al comma 2 dellart. 1123
c.c., secondo cui (salva contraria convenzione) le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni
delledificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in
proporzione delluso che ciascuno pu farne, esclude che le spese relative alla cosa che in alcun modo, per
ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, pu servire ad uno o pi condomini possano essere poste
anche a carico di questi ultimi. (Nella specie, si trattava delle spese di installazione delle porte tagliafuoco
dellatrio comune nel quale si aprivano le porte di alcune autorimesse in propriet esclusiva di singoli condomini,
secondo le prescrizioni della L. 7 dicembre 1984, n. 818 e del D.M. 16 febbraio 1982).
* Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1995, n. 7077, Condominio di Via Nicolai n. 73 di Roma c. Sciamanna, in Arch.
loc. e cond. 1995, 807.
Le spese per la riparazione delle porte tagliafuoco e limpianto di ventilazione dei box vanno ripartite unicamente
tra i proprietari dei medesimi beni, e non anche tra gli altri condomini che non ne possiedono, non potendo avere
alcuna rilevanza a riguardo la circostanza che tali misure attengono alla sicurezza dellintero edificio.
* Corte app. civ. Roma 24 aprile 1991, in Giur. mer. 1992, 539.
Parcheggio a pagamento
Il potere della maggioranza dei partecipanti alla comunione di disporre le modalit per il miglior godimento della
cosa comune presuppone il rispetto della condizione che il diritto di compropriet debba potersi estrinsecare
liberamente, con lunico limite derivante dal divieto di impedire uguale uso da parte degli altri compartecipanti e
di alterare la destinazione della cosa comune. (Nella specie la Corte di cassazione ha ritenuto corretta
laffermazione dei giudici del merito secondo cui la deliberazione della maggioranza che stabiliva lonere del
pagamento di una somma per il parcheggio di autobus dei comproprietari su di un area comune da essi
utilizzata per il deposito di detti autoveicoli, veniva a limitare illegittimamente il potere di ciascuno di disporre
liberamente del bene comune).
* Cass. civ., sez. II, 24giugno 1974, n. 1905.
Il riconoscimento del diritto di uso di aree destinate a parcheggio comporta per i fruitori lobbligo di integrare il
pagamento (c.d. conguaglio del prezzo).
* Trib. civ. Napoli ord. 24 ottobre 1991, in Nuovo dir. 1992, 454.
legittima la norma del regolamento della comunione che stabilisce che i viali e i marciapiedi comuni, la cui
funzione normale quella del transito pedonale, siano destinati al parcheggio oneroso degli autoveicoli degli
inquilini; siffatta innovazione vincola tutti i partecipanti nel senso che essi devono accollarsi lonere della
manutenzione delle cose per lusura che il transito e la sosta delle vetture comportano.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 29 gennaio 1987, n. 840, Terribile e altri c. Condominio "Parco del Pino" di San
Giorgio a Cremano, Motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1987, 348.
Sosta su spazio destinato al libero accesso del pubblico
Le disposizioni del regolamento condominiale e la relativa delibera assembleare, adottate non allunanimit ma a
maggioranza, le quali pregiudichino i diritti di un condominio risultanti dallatto originario del suo acquisto sono
radicalmente nulle e lazione giudiziaria per far valere tale nullit non soggetta al termine di decadenza di cui
allultimo comma dellart. 1137 cod. civ. (Nella specie, alla stregua del citato principio, la Suprema Corte ha
confermato la pronuncia del giudice del merito di nullit di una delibera dellassemblea dei condomini che a
maggioranza aveva consentito la sosta dei veicoli su uno spazio condominiale destinato, per una clausola del
contratto di acquisto, al libero accesso del pubblico).
* Cass. civ., sez. II, 5 agosto 1988, n. 4851, Coni. Sesto Fio. c. Salvini.
Strisce di vernice
lecita la realizzazione di strisce in vernice tracciate sulla pavimentazione dellaccesso alle autorimesse
condominiali da parte di chi eserciti su di esse una servit di passaggio, a patto che non vengano menomati i
diritti del proprietario del fondo dominante ex art. 1067, secondo comma, c.c.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 7 giugno 1993, Condominio di Via dei Valtorta n. 7 di Milano c. Societ Immobiliare
Giocate, motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1993, 783.
Superficie convenzionale
Allautorimessa concessa dal locatore con separato contratto di locazione allo stesso conduttore
dellappartamento di propriet del medesimo locatore si applicano i criteri di determinazione del canone fissati
dallart. 13, L. n. 392 del 1978 solo se ne sia concretamente provato il rapporto di pertinenza, per essere
lautorimessa destinata in modo durevole ed effettivo al servizio dellabitazione, anche nella sua componente
soggettiva (oltre che oggettiva), la quale implica lesigenza che il detto collegamento funzionale tra i due beni sia
leffetto della volont, anche tacita, del proprietario (o del titolare di un diritto reale sulla cosa) e non solo la
conseguenza delluso a cui stata destinata dal conduttore. (Nella specie in base allenunciato principio la
Suprema Corte ha annullato la decisione del merito che non riguardo ad autorimessa posta nello stesso edificio
in cui si trovava lappartamento, in locazione con distinto contratto e per un canone autonomamente
determinato, aveva ritenuto il vincolo pertinente con lappartamento solo in base "alla situazione di fatto
esistente").
* Cass. civ., sez. III, 27 settembre 1991, n. 10124, Istituto Nazionale delle Assicurazioni c. Serignoli.
In tema di determinazione del canone di locazione di un immobile destinato ad uso di abitazione, lart. 13 della L.

27luglio 1978, n. 392, riferendosi alle autorimesse ed ai posti macchina, stabilisce che essi vanno considerati, ai
fini del calcolo complessivo del canone, quali componenti della superficie convenzionale degli immobili locati; ne
consegue che, qualora unautorimessa ed un appartamento, siti nello stesso immobile, siano stati locati dal
proprietario ad uno stesso conduttore, con pattuizione di due canoni separati, la subordinazione funzionale tra
lautorimessa e lappartamento e cio la utilizzazione della stessa da parte del conduttore per il ricovero della
sua autovettura - il cui accertamento compete al giudice di merito - comporta che, ove con la pattuizione
intervenuta le parti abbiano inteso eludere i criteri imperativi posti dalla legge, la pattuizione stessa incorre nella
sanzione di nullit prevista dallart. 79 della citata legge.
* Cass. civ., sez. III, 16 marzo 1990, n. 2203, Istituto nazionale delle assicurazioni c. Cittadin.
Con riguardo alla locazione di immobili urbani, sussiste la presunzione di un rapporto pertinenziale a norma
dellart. 817 cod. civ. tra lappartamento destinato ad abitazione ed il posto macchina sito nellautorimessa
condominiale, qualora gli immobili appartengano al medesimo proprietario, siano ubicati nel medesimo edificio,
siano concessi in locazione allo stesso conduttore ed il posto macchina risulti destinato a soddisfare le esigenze
abitative della famiglia alloggiata nellappartamento anche se ci avvenga con separati e successivi contratti,
atteso che la volont del locatore in ordine alla destinazione dellautorimessa, pu anche essere desunta da un
successivo negozio con il quale egli, trasferendo il bene considerato accessorio in godimento allo stesso
soggetto che si trova gi nel possesso, in forza di un rapporto di natura personale, della cosa principale,
consente di fatto una miglior utilizzazione di questultima.
* Cass. civ., sez. III, 8 marzo 1990, n. 1857, Ragni c. Istituto nazionale delle assicurazioni.
Ai fini della determinazione dellequo canone, sussiste un vincolo pertinenziale e di accessoriet, derivante da
una relazione di subordinazione funzionale, tra un immobile locato ad uso abitazione ed un altro locato ad uso
autorimessa.
* Pret. civ. Pordenone, 5 marzo 1990, Locuratolo c. Puiatti, in Arch. loc. e cond. 1990, 792.
Tetto a copertura delle autorimesse
Le spese di manutenzione di una copertura a lastrico con funzione di sostegno di unarea verde condominiale,
vanno ripartite tra i condomini proprietari del lastrico e della sovrastante area verde da una parte e i proprietari
delle sottostanti autorimesse, e devono essere rapportate alla diversa utilit ritratta, che pu equitativamente
fissarsi rispettivamente in 1/3 e 2/3. Gli interventi di manutenzione di tale copertura sono di competenza
dellamministratore, ed lassemblea che delibera sulle spese di manutenzione straordinaria.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in Parma e
Condominio di via Rav n. 1 in Parma, in Arch. loc. e cond. 1996, 75.
Al tetto posto a copertura delle autorimesse esterne alledificio condominiale - svolgente, nella sua struttura
unitaria ed omogenea, una funzione di riparo e di protezione delle unit sottostanti, ciascuna delle quali
costituisce pertinenza della propriet esclusiva dei singoli condomini - applicabile la presunzione di comunione
stabilita dallart. 1117 n. 1 c.c. con la conseguenza che esso costituisce, al pari del tetto delledificio
condominiale, oggetto di propriet comune e che lamministratore del condominio legittimato ad esercitare le
azioni che lo concernono. (Nella specie, condanna del costruttore al rifacimento della impermeabilizzazione o al
rimborso per eseguirla direttamente).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1994, n. 7651, Zucchetti c. Cond. di Via Verdi n. 6 di Cernusco sul Naviglio.
Trasformazione dellarea di parcheggio
Lassemblea dei condomini, con deliberazione presa a maggioranza, mentre ha potere di predeterminare, sul
cortile comune, le aree destinate a parcheggio delle automobili e di stabilire, nellinterno di esse, le porzioni
separate di cui ciascun condomino pu disporre, non ha, altres, il potere di disporre la trasformazione dellarea
di parcheggio in una vera e propria area edificabile, destinata alla costruzione di alcune autorimesse (a
beneficio, oltretutto, non della collettivit, bens dei singoli che intendano profittarne).
* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1977, n. 697.
Uso del cortile
In tema di condominio di edifici, poich la naturale e principale funzione dei cortili (cose comuni ex art. 1117 cod.
civ.) quella di dare aria e luce ai locali prospicienti di propriet esclusiva e di consentire il libero transito per
accedere ai medesimi, lassemblea condominiale, con deliberazione presa a maggioranza, ha il potere di
predeterminare, nel cortile comune, le aree destinate a parcheggio delle automobili e di stabilire, al loro interno,
le porzioni separate di cui ciascun condominio pu disporre, ma non quello di deliberare la trasformazione in
unarea edificabile destinata alla installazione, con stabili opere edilizie, di autorimesse, a beneficio di alcuni
soltanto dei condomini, configurandosi una innovazione vietata a norma dellultimo comma dellart. 1120 cod.
civ., in ragione, oltre che del venir meno della stessa funzione della detta area comune, della sua utilizzazione
esclusiva da parte di alcuni dei condomini, con la sottrazione alluso ed al godimento anche di un solo
condomino.
* Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1988, n. 6673, Strazzabosco c. Bovolato.
Il comproprietario di un cortile destinato al parcheggio degli autoveicoli dei condomini non pu utilizzarne una
parte per la costruzione di una autorimessa per la propria auto, comportando questa una alterazione sia della
consistenza strutturale della cosa comune che della destinazione funzionale della stessa, cos utilizzata, oltre
che per la sosta della autovettura, per il deposito dei relativi accessori e di altri beni.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1994, n. 4996, Borgato c. Condominio delledificio Il Casone.
La sussistenza di un divieto assoluto per tutti i condomini di sostare con le auto nel cortile condominiale non
comporta necessariamente che leventuale deroga concessa ad un terzo (nella specie lamministratore) debba
essere adottata con il consenso di tutti i condomini, giacch non sussiste in tale ipotesi violazione di alcun diritto
soggettivo dei singoli condomini.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 17settembre 1987, n. 1349, Faiella c. Condominio di via Teresa degli Scalzi 148,

Napoli, motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1987, 709.


E' illegittima, in quanto lesiva dei diritti dei partecipanti pretermessi, la delibera con la quale, nellipotesi in cui il
cortile comune non sia abbastanza ampio da accogliere le autovetture di tutti i condomini, lassemblea anzich
prevedere un uso turnario dellarea abbia stabilito di concedere in locazione i posti macchina disponibili ad alcuni
soltanto dei condomini stessi.
Trib. civ. Milano, sez. VIII, 12 febbraio 1987, n. 1266, Immobiliare Chicca c. Condominio di Via Monte di Piet n.
19, Milano, motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1988, 159.
Lespressione "sosta di autoveicoli", usata nel regolamento di un condominio, al fine di consentire la medesima
alle autovetture dei condomini nel cortile interno dello stabile, va interpretata alla luce della situazione dei luoghi,
al fine di stabilire se la citata espressione faccia riferimento ad un uso a parcheggio stabile, ovvero ad un uso a
sosta temporanea di automezzi per carico e scarico di merci o per altre necessit eccezionali.
* Trib. civ. Milano 25 maggio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 608.
La deliberazione assembleare che specifica le modalit di utilizzo del cortile come parcheggio, precludendo ai
residenti di posteggiare in aree diverse dalle due fasce laterali libere e mantenendo inalterato il precedente
divieto di lasciare lauto davanti al proprio box o in spazi che impediscono il diritto di tutti allagevole uso del
cortile comune, non pu essere considerata come introduttiva di uninnovazione, ex art. 1120 cod. civ., nel caso
in cui la suddetta deliberazione sia astrattamente e concretamente inidonea a ledere linteresse di uno o pi
condomini in particolare, poich garantisce a tutti, indistintamente, il diritto di parcheggio nelle due aree laterali
individuate. (Nella specie, stata pienamente rispettata la destinazione molteplice che il cortile aveva in
precedenza, in quano area destinata non esclusivamente a parcheggio, bens al transito ed alla sosta di persone
e veicoli, al gioco dei bambini e allaccesso agli stessi edifici).
*Pret. civ. Legnano, 21 novembre 1988, n. 122, Fusetti c. Condominio Monterosa, motivaz. e nota in Arch. loc. e
cond. 1989, 377.
La norma di un regolamento contrattuale di condominio che vieti di parcheggiare e lavare le auto nel cortile
interno non fissa un modo di regolamentare la cosa comune (di tal tipo sarebbe stata invece ad esempio una
clausola che, sul presupposto che fosse consentito il parcheggio e il lavaggio delle auto, regolamentasse tali
diritti fissando gli orari, i giorni e le modalit), bens limita il diritto di godimento dei condomini sulla cosa comune
escludendo che di essa si possa fare un certo uso perch, evidentemente, non ritenuta confacente agli interessi
dei condomini. Trattasi quindi di una norma che fa nascere un vero e proprio diritto soggettivo in capo a tutti i
condomini, e che, in quanto tale, pu essere modificata solo con il consenso unanime di tutti i condomini.
* Trib. civ. Piacenza, sez. II, 29 ottobre 1992, n. 438, Barbieri e altri c. Condominio Belvedere di Castel San
Giovanni, motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1993, 788.
Il fatto di parcheggiare con sistematicit nel cortile comune unautocisterna, ove contrasti con la destinazione
abitativa dellintero complesso immobiliare causando altres un danno di natura estetica allaspetto dei luoghi,
nonch la sostanziale trasformazione del cortile in luogo di deposito, integra quel mutamento di destinazione che
lart. 1102 cod. civ. pone come limite alluso di ogni singolo condomino.
* Pret. civ. Foligno, 12 marzo 1987, n. 16, Tomarelli c. Tomarelli e altro, motivaz. e nota in Arch. loc. e cond.
1987, 379.
In mancanza di un divieto contrattuale lecito realizzare nel cortile comune posti macchine per lassegnazione
ai condomini in uso esclusivo unitamente ad archetti per impedire il parcheggio selvaggio ed ai limitatori di
velocit.
* Trib. civ. Milano 17 giugno 1991, in LAmmin. 1991, n. 9.
da ritenere legittima la delibera assembleare che, disciplinando le modalit duso del cortile condominiale,
abbia previsto la possibilit per i singoli condomini di parcheggiarvi le proprie vetture a condizione che la sosta
degli automezzi avvenga in spazi ben delimitati e non impedisca agli altri condomini le manovre di accesso e di
uscita dai garages ivi esistenti nonch un uso proprio del cortile comune.
* Giud. conc. Lanciano, 14 dicembre 1987, Manzoni c. Condominio Moro Via Del Verde, 45 di Lanciano,
motivaz. e nota in Arch. loc. e cond. 1989, 188.
legittima la delibera dellassemblea dei condomini che attribuisca a tutti i condomini la facolt di occupare il
cortile comune con autovetture proprie, purch senza pregiudizio per il godimento delle propriet o pertinenze
degli altri condomini, anche se lo spazio limitato non consente il parcheggio contemporaneo delle autovetture di
tutti i partecipanti.
* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990, in Arch. /oc. e cond. 1991, 623.
Anche dopo le innovazioni allart. 18 L. n. 765 del 1967 con la L. n. 47 del 1985, il titolare del potere di
disposizione degli spazi per parcheggi ha lobbligo di consentire la concreta utilizzazione degli stessi a favore dei
condomini che ne facciano richiesta.
* Pret. civ. Bari, 4 ottobre 1988, in Giur. merito 1989, 1132.
E' lecito il parcheggio negli spazi comuni condominiali a condizione che sia ben delimitato e non impedisca agli
altri condomini luso dei garages ivi esistenti ed un uso proprio del bene comune.
* Giud. conc. Lanciano, 14 dicembre 1987, in Nuovo dir. 1988, 743.
Vincolo di destinazione
Il vincolo pubblicistico inderogabile riguardante gli spazi adibiti a parcheggio di cui allart. 18 della L. n. 765 del
1967 (che ha trovato conferma nella successiva L. n. 122 del 1982), traducendosi in un rapporto di
pertinenzialit necessaria con diritto reale dei singoli condomini alluso dellautorimessa, non pu riguardare le
costruzioni anteriori allentrata in vigore della detta norma, alle quali sar da ritenersi applicabile la disciplina
ordinaria di cui agli artt. 817 ss. c.c. (secondo la quale, per lesistenza del vincolo pertinenziale tra beni,
richiesta la sussistenza di un elemento oggettivo che, cio, il bene sia destinato al servizio o allornamento di
altro bene e di un elemento soggettivo che, cio, tale destinazione risponda alleffettiva volont dellavente

diritto di creare un vincolo di strumentalit necessaria o complementariet funzionale tra i beni ), con la
conseguenza che, per affermare la esistenza di un vincolo pertinenziale tra una abitazione oggetto di
alienazione e lautorimessa (specie se individuata in distinta particella catastale) sar necessario accertare
lesistenza, oltre che del rapporto funzionale tra la cosa principale e quella accessoria, anche dellelemento
soggettivo della destinazione pertinenziale, consistente nella effettiva volont dei titolari della propriet sui beni
collegati di destinare durevolmente la cosa accessoria al servizio di quella principale.
* Cass. civ., sez. II, 17 giugno 1997, n. 5395, Daidone c. La Ferrara, in Arch. loc. e cond. 1997, 1012.
Lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n. 1150, nel testo introdotto dallart. 18 della L. 6 agosto 1967 n. 765, il
quale prescrive che "nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse debbono
essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri
cubi di costruzione", pone un vincolo pubblicistico di destinazione, che non pu subire deroga negli atti privati di
disposizione degli spazi stessi, le cui clausole difformi sono perci sostituite di diritto dalla norma imperativa.
Tale principio resta immutato anche dopo lentrata in vigore della L. 28 febbraio 1985 n. 47, atteso che lart. 26
ultimo comma di detta legge, nello stabilire che "gli spazi di cui allart. 18 della L. 6 agosto 1967 n. 765
costituiscono pertinenze delle costruzioni ai sensi degli artt. 817, 818 ed 819 cod. civ.", non ha portata
innovativa, ma assolve soltanto alla funzione di esplicitare la regola, gi evincibile nella norma interpretata,
secondo cui i suddetti spazi possono essere oggetto di atti o rapporti separati, fermo per rimanendo quel
vincolo pubblicistico.
* Cass. pen., sez. un., 18 luglio 1989, n. 3363, Baldassarri c. Societ Edilizia Crisa r.l.
Lart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150. introdotto dallart. 18 della legge 6 agosto 1967,
n. 765, il quale dispone che nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse
debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni
venti metri cubi di costruzione, configura norma imperativa ed inderogabile, in correlazione degli interessi
pubblicistici da essa perseguiti, che opera non soltanto nel rapporto fra il costruttore o proprietario di edificio e
lautorit competente in materia urbanistica, ma anche nei rapporti privatistici inerenti a detti spazi, nel senso di
imporre la loro destinazione ad uso diretto delle persone che stabilmente occupano le costruzioni o ad esse
abitualmente accedono. Ci comporta, in ipotesi di fabbricato condominiale, che, qualora il godimento dello
spazio per parcheggio non sia assicurato in favore del proprietario del singolo appartamento in applicazione dei
principi sullutilizzazione delle parti comuni delledificio o delle sue pertinenze, essendovi un titolo contrattuale
che attribuisca ad altri la propriet dello spazio medesimo, deve affermarsi la nullit di tale contratto nella parte
in cui sottrae lo spazio per parcheggio alla suddetta inderogabile destinazione, e conseguentemente deve
ritenersi il contratto stesso integrato "ope legis con il riconoscimento di un diritto reale di uso di quello spazio in
favore di detto condomino (salva restando la possibilit delle parti di ottenere, anche giudizialmente, un
riequilibrio del sinallagma contrattuale. alterato dallindicata integrazione delloggetto di una delle prestazioni).
*Cass. civ., sez. un., 17 dicembre 1984, n. 6600, Ciardi c. Soc. Il Pogg. Can.
Il regime di cui allart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 introdotto dallart. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765 (cosiddetta legge ponte) e rimasto immutato dopo lentrata in vigore della L. 28 febbraio
1985, n. 47 il cui art. 26, ultimo comma, stabilisce che gli spazi di parcheggio costituiscono pertinenze, non
comporta che tali aree, fermo restando il vincolo di destinazione, rientrino tra le parti comuni delledificio a norma
dellart. 1117 cc.
* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1994, n. 6696, Alvaro c. Galvani.
Le aree degli edifici riservate a parcheggio ex art. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dallart.
18 della L. 6 agosto 1967 n. 765, devono presumersi comuni ai sensi dellart. 1117 cod. civ. (la cui elencazione
non tassativa), atteso che sussiste per dette aree, obiettivamente destinate per legge ad uso comune,
lidentica ratio che sta alla base della presunzione di comunione stabilita da detta norma codicistica. Ove, poi,
tale presunzione sia vinta dal titolo, risultando quelle aree di propriet esclusiva di uno o pi condomini, il vincolo
di destinazione comune determina la costituzione ope legis a favore dellintero edificio o delle sue singole parti,
appartenenti a proprietari diversi, di un diritto reale di uso sulle aree medesime.
* Cass. civ., sez. II, 20 luglio 1987, n. 6365, De Santis c. Acconcia.
Lobbligo di riservare a parcheggio, nelle nuove costruzioni ed aree ad esse inerenti, appositi spazi (in misura
non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri di fabbricato), ai sensi e nel vigore dellart. 18 della L. 6
agosto 1967, n. 765 (e quindi prima della L. 28 febbraio 1985, n. 47, il cui art. 26, in via innovativa, qualifica
come pertinenziale il rapporto con i suddetti spazi), si ricollega ad esigenze pubblicistiche e costituisce un
vincolo di destinazione, in favore degli abitanti delle costruzioni medesime, non derogabile, n da parte del
costruttore, n da parte di successivi rapporti privatistici. che restano colpiti da nullit ove si pongano in
contrasto con tale destinazione. Pertanto, in edificio condominiale, e per il caso in cui gli indicati spazi si trovino
in aree incluse fra i beni comuni, la citata norma rende invalida la clausola del regolamento condominiale,
recepita nei contratti di vendita, che introduca divieti di parcheggio, e, quindi, legittima la deliberazione
assembleare che consenta il parcheggio stesso in contrasto con tale regolamento.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1988, n. 3370, Pignone c. Cond. P. S. Ant.
Lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942, n. 1150, cos come modificato dallart. 18, della L. 6 agosto 1967, n.
765, il quale prescrive che nelle nuove costruzioni e anche nelle aree di loro pertinenza debbono essere riservati
appositi spazi per parcheggi, pone un vincolo pubblicistico di destinazione, ed un rapporto di pertinenza
necessario tra gli appartamenti delledificio e gli spazi per parcheggio posti al loro servizio, che non pu essere
spezzato da atti di autonomia privata e che conseguentemente comporta, nel caso di locazione, con separati
contratti, dellappartamento e dellarea di parcheggio o del box al medesimo conduttore, lassoggettamento, ai
sensi dellart. 818 cc., della cosa accessoria (il box o larea di parcheggio) al regime locativo della cosa
principale (lappartamento). Per gli immobili in precedenza costruiti, ai quali la predetta norma, essendo

irretroattiva, non pu essere applicata, lassoggettamento del distinto contratto di locazione del box al regime del
contratto di locazione dellappartamento presuppone, invece, laccertamento, in concreto, sotto il profilo
oggettivo e soggettivo, di un rapporto pertinenziale tra i due beni, secondo gli ordinari criteri fissati dalle
disposizioni del codice civile.
* Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 1992, n. 11731, Centore c. Pinto.
Lart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942 n. 1150, introdotto dallart. 18 L. 6 agosto 1967 n. 765
(cosiddetta legge ponte) prescrivendo che negli edifici di nuova costruzione siano riservati appositi spazi di
parcheggio, pone un vincolo pubblicistico di destinazione non suscettibile di deroga negli atti privati di
disposizione degli spazi ridetti, ma non ne indica la localizzazione in una parte piuttosto che in unaltra del
complesso condominiale, n crea per essi una presunzione di comunione inquadrabile nellart. 1117 c.c.,
implicando soltanto il divieto per il propritario di disporne in modo da sottrarlo a detta destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1993, n. 4934, De Lucia c. Chiaro.
In tema di spazi riservati a parcheggio secondo quanto prescrive, per le nuove costruzioni, lart. 18 della L. 6
agosto 1967 n. 765, il riconoscimento in via giudiziaria del diritto dei proprietari acquirenti degli appartamenti
dellimmobile di usufruire dellarea di parcheggio nonostante la riserva di propriet a favore dellalienante,
originario proprietario delledificio, non presuppone n condizionato al previo accordo sulla misura della
integrazione del corrispettivo della vendita degli appartamenti, n allaccertamento giudiziale di tale integrazione,
che pu essere anche successivo ed indipendente dal predetto riconoscimento.
* Cass. civ., sez. II, 28 maggio 1993, n. 5979, Todaro e altra c. Di Noi.
Anche a norma dellart. 26, ultimo comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47, che non ha modificato il regime
vincolistico imposto dallart. 18 della legge ponte 26 agosto 1967, n. 765 fra unit abitativa e spazi di
parcheggio condominiali, chiarendone solo loriginaria portata, deve ritenersi che i contratti di autonoma
disposizione di detti parcheggi, pur ammissibili, non possono intaccare il diritto reale duso a favore del titolare
dellunit abitativa. pertanto nulla e va sostituita ope legis la clausola contrattuale con la quale il venditore
dellimmobile abbia riservato a s la propriet dellarea di parcheggio, salvo il diritto del venditore e
correlativamente lobbligo dellacquirente dellunit abitativa di integrare il prezzo convenuto per il riequilibrio del
sinallagma del contratto di compravendita.
* Cass. civ., sez. II, 18luglio 1991, n. 7994, Berlino c. Calabr.
Lart. 41 sexies della L. 17agosto l942, n. 1150, nel testo introdotto dallart. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765 (a
norma del quale nelle nuove costruzioni o nelle aree di pertinenza di queste debbono essere riservati appositi
spazi per parcheggio in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione) ed
ulteriormente chiarito dallart. 26 della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (che, conferendo certezza testuale alla regola
gi desumibile dallart. 18 della L. n. 765 del 1967, ha precisato che larea destinata a parcheggio costituisce
pertinenza della costruzione), pone un inderogabile vincolo pubblicistico di destinazione di detta area, che non
impedisce al proprietario delledificio di riservarsi, negli atti di vendita dei singoli appartamenti, la propriet
dellarea stessa destinata a parcheggio o di trasferire ad altri la propriet, atteso che non attribuisce tale
propriet ai condomini per effetto automatico dellacquisto dellappartamento, ma esclude solo la possibilit che
la riserva o il trasferimento a terzi della propriet privi i proprietari degli appartamenti delledificio del diritto reale
di utilizzazione di tale area per il parcheggio dei loro veicoli, sottraendola al vincolo pubblicistico di destinazione.
* Cass. civ., sez. II, 1 giugno 1993, n. 6104, Lisandrelli c. Snc lannozzi.
Con riguardo agli spazi riservati a parcheggio, secondo quanto prescrive per le nuove costruzioni lart. 18 della
L. 6 agosto 1967, n765, deve ritenersi consentita, in applicazione delle regole dettate dal codice civile sulle
pertinenze, ed anche prima dellentrata in vigore dellart. 26, ultimo comma della L. 28 febbraio 1985, n. 47 (che
comunque chiarisce la portata di detto art. 18, inquadrando quelle porzioni nella normativa delle pertinenze), la
riserva di propriet in favore del costruttore, con gli atti di trasferimento delle singole unit condominiali o
dellintero fabbricato, semprech venga rispettato lindicato vincolo di destinazione (come nel caso in cui il
parcheggio resti assicurato ai condomini mediante il pagamento di un canone).
* Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 1988, n. 2129, Cond. V. Imprunet. c. Soc. Pian. 2 Torri.
Costituiscono un valido strumento interpretativo del contratto di vendita di appartamento condominiale, nel
silenzio o nellambiguit della convenzione in ordine al diritto dellacquirente al godimento dellarea di parcheggio
realizzata dal costruttore, le norme disciplinanti le costruzioni tra cui lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942 n.
1150 (introdotto dallart. 18 della L. 6agosto 1967,0.765), statuente che nelle nuove costruzioni debbono essere
riservati appositi spazi per parcheggi e ci per il principio che il bene casa deve essere concepito nella sua
regolare conformazione, delineata dalle norme suindicate, nonch in virt del principio di buona fede, di cui agli
artt. 1366 e 1375 cod. civ., ed in base allart. 1374 dello stesso codice, che obbliga le parti anche a tutte le
conseguenze che ne derivano secondo le leggi, tra le quali vanno incluse quelle regolanti erga omnes, in vista
del pubblico interesse, le caratteristiche del bene oggetto della compravendita.
* Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1981, n. 2452. Cond. Porris. S. c. Marrazzo.
La nullit della clausola del contratto di compravendita di appartamento che esclude il trasferimento della
propriet o del diritto reale di utilizzazione dellarea condominiale da riservare a parcheggio, ai sensi dellart. 41
sexies L. 27 agosto 1942 n. 1150, aggiunto dallart. 18 L. 6 agosto 1967 n. 765, ed il conseguente trasferimento
ex lege del predetto diritto al compratore, comporta il diritto del venditore al corrispettivo di tale trasferimento,
che d luogo ad un credito di valore rivalutabile perch ha la funzione di integrazione non del prezzo, in senso
proprio, ma degli effetti legali della compravendita, con laggiunta di un effetto legale che articolandosi nel
trasferimento della propriet o del diritto reale di godimento dellarea di parcheggio e nella integrazione del
corrispettivo, in egual misura le parti sono tenute a rispettare ed in egual misura deve conseguentemente
incidere sul loro patrimonio, senza alterare lobbligo del venditore di rimborsare lavente diritto dei frutti civili
eventualmente percepiti con lo sfruttamento dellarea dalla data del contratto.

* Cass. civ., sez. II, 20 aprile 1993, n. 4622, Cond. di via G. Pilli 86/b di Camaro Inferiore c. Lascari.
Lart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150 - come introdotto dallart. 18 della L. 6 agosto
1967 n. 765, che dispone lobbligatoria riserva, a servizio delle nuove costruzioni, di spazi per parcheggi ha, per la finalit perseguita (ordinato assetto urbanistico), carattere imperativo ed opera non solo come norma
di azione, nel rapporto pubblicistico tra la pubblica amministrazione e chi domanda la licenza edilizia, bens
anche come norma di relazione, nei rapporti privatistici concernenti detti parcheggi, in quanto pone un limite
allautonomia privata, sanzionando di nullit, ai sensi degli artt. 1418 e 1419 cod. civ., ogni convenzione che, per
privato interesse del costruttore o del rivenditore degli immobili (o anche dei condomini stessi), sottragga gli
spazi suindicati alla funzione loro assegnata dalla legge. Ne deriva che va dichiarata nulla, per contrariet alla
disposizione imperativa in questione, sia la clausola con cui il costruttore od altri nel vendere i singoli
appartamenti, escludano dalla vendita la compropriet dei locali di parcheggio, come parte di natura
condominiale (art. 1117 cod. civ.), o, comunque, il godimento del servizio di parcheggio a titolo di servit, sia
latto con cui lacquirente di un appartamento rinuncia al servizio medesimo, con il conseguente diritto di
questultimo di fruire del servizio e dellalienante di esigere il relativo corrispettivo pecuniario.
* Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 1982, n. 483, Paolillo c. Napoli.
Per sentir dichiarare la destinazione di unarea a parcheggio condominiale, ai sensi dellart. 18 della L. 6 agosto
1967, n. 765, e la nullit dei negozi contrari alla citata norma vincolistica, ove larea stessa sia comune a due
condominii (rendendosi applicabili le norme specifiche della comunione ex art. 1100 e 1105 c.c. e non anche
quelle che regolano il condominio), la legittimazione dei singoli partecipanti, e per essi degli amministratori, ad
agire contro terzi, o contro altri partecipanti, pu sorgere anche da una semplice manifestazione di volont dei
partecipanti.
*Cass. civ., sez. II, 4gennaio 1993, n. 18, Prosperi c. Bucci.
Lart. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765 (introduttivo dellart. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto 1942
n. 1150) disponendo che nelle nuove costruzioni devono essere riservati spazi per parcheggi in misura non
inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione non delinea una servit di uso
pubblico, ma crea una situazione pertinenziale tra la propriet delledificio e larea di parcheggio ad esso
destinata (confermata, per la Regione siciliana, dalla qualifica dellarea di parcheggio come dotazione
delledificio, ex art. 21 della legge regionale 26 maggio 1973 n. 21), la quale, nellipotesi di edificio condominiale,
assume la forma della compropriet, in capo ai condomini, dellarea, come parte necessaria alluso comune (art.
1117 cod. civ.), se larea stessa era di propriet del costruttore, ovvero di un diritto (comune) di servit dei
condomini sullarea, se questa appartiene ad un terzo. La normativa, dato il fine pubblico perseguito, ha natura
cogente e pertanto qualsiasi negoziazione avente ad oggetto unit immobiliari di un edificio dotato dellarea di
parcheggio comporta ipso iure il trasferimento al compratore della proporzionale quota dellarea medesima
(quota di compropriet o di coservit), in virt dellintegrazione ope legis degli effetti del contratto ai sensi dellart.
1374 cod. civ., senza il versamento di un ulteriore corrispettivo, salva, per il venditore, ricorrendo gli estremi
richiesti dallart. 1429 n. 4 cod. civ., lazione di annullamento del contratto, ove lomesso computo nel prezzo del
valore della quota dellarea di parcheggio si ricolleghi ad un errore sulle conseguenze giuridiche del negozio.
* Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1981, n. 6714, Romano c. Trio.
Nella disciplina urbanistica di cui alla L. 6 agosto 1967, n. 765, lobbligo di riservare nelle nuove costruzioni spazi
per parcheggio, ai sensi dellart. 18 della citata legge, pu essere osservato realizzando tali spazi tanto in aree di
pertinenza, quanto in locali facenti parte delle costruzioni stesse (e da trasferire agli acquirenti delle singole unit
immobiliari), come nel caso di boxes o garages ricavati in piani interrati.
*Cass. civ., sez. II, 20 marzo 1989, n. 1390, Calcagna c. Cianfriglia.
La mera circostanza che il costruttore di un fabbricato condominiale, il quale, prima di vendere i singoli alloggi,
nel destinare delle aree a parcheggio ai sensi e nel vigore dellart. 18 della L. 6 agosto 1967. n. 765, se ne sia
riservato la propriet, come il fatto che i successivi atti di vendita non contengano espressa menzione del
trasferimento anche della compropriet delle aree medesime, non sufficiente a superare la presunzione di
inclusione delle dette aree fra i beni comuni, posta dallart. 1117 cot. civ.
* Cass. civ., sez. II, 26 giugno 1990, n. 6472, Di Giuseppe c. Massafra.
La superficie a parcheggio pu essere oggetto di qualunque negozio traslativo utilizzabile nella libera
disponibilit privatistica: pu restare di propriet del costruttore delledificio nellipotesi di vendita separata delle
singole unit immobiliari; pu diventare unentit condominiale; pu essere ceduta a terzi estranei al condominio;
pu essere infine collegata alla propriet esclusiva d un singolo appartamento. Ci che importa che il titolare
di tale bene ne rispetti la destinazione al servizio del fabbricato o del singolo appartamento cui il parcheggio
afferisce. In questultima ipotesi fatto salvo il diritto del proprietario attuale dellalloggio di cui il parcheggio
costituisce pertinenza a reclamare il parcheggio medesimo: in tale momento il proprietario del parcheggio, previo
pagamento di una indennit, dovr metterlo a disposizione del proprietario dellappartamento.
* Trib. civ. Latina. 29 ottobre 1987, n. 830, Giovannelli e altro c. Riccardo, motivaz. e nota in .Arch. loc. e cond.
1988, 438.
In tema di spazi per parcheggi e del relativo vincolo pubblicistico di destinazione di cui allart. 41 sexies della L.
n. 1150/1942, il singolo condomino pu invocare la forzosa costituzione in suo favore del diritto reale duso
nonch la titolarit di uno jus possessionis di analogo contenuto non con riferimento a qualunque area
strutturalmente annessa alledificio ma sottratta dal costruttore al regime condominiale di cui allart. 1117 cc., ma
solo nelle ipotesi nelle quali risulti acclarato il vincolo di destinazione a parcheggio di quellarea siccome
originariamente previsto nellambito del progetto approvato.
*Pret. civ. Trani, 25 marzo 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 343.
Ai sensi dellart. 18 L. 6 agosto 1967, n. 765 gli spazi per parcheggi debbono intendersi coattivamente vincolati
alla destinazione di pertinenza delle singole unit abitative delledificio e le parti non hanno il potere di

concludere contratti contrastanti con la detta destinazione.


* Trib. civ. Napoli, 12 ottobre 1988, in Giur. merito 1990, 44.
Lamministratore di condominio non legittimato a proporre azioni per lacquisizione delle aree destinate a
parcheggio di cui allart. 18 della L. n. 765/1967, nemmeno quando agisca in base a delibera maggioritaria
dellassemblea.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 29 agosto 1994, n. 7225, Condominio Parco Maria di Via Arpino n. 15 bis di Casoria
c. De Falco ed altri. in Arch. loc. e cond. 1995, n.1.
La superficie a parcheggio pu essere oggetto di qualunque negozio traslativo utilizzabile nella libera
disponibilit privatistica: pu restare di propriet del costruttore delledificio nellipotesi di vendita separata delle
singole unit immobiliari; pu diventare unentit condominiale: pu essere ceduta a terzi estranei al condominio;
pu essere, infine, collegata alla propriet esclusiva di un singolo appartamento. Alla legge importa solo che
chiunque risulti poi essere il titolare di tale bene ne rispetti la destinazione al servizio del fabbricato o del singolo
appartamento cui il parcheggio afferisce. In tale ultima ipotesi, invero, tanto il proprietario costruttore che si sia
riservata la propriet dellarea alienando separatamente lalloggio, quanto il terzo acquirente della sola superficie
a parcheggio senza alcun diritto sullalloggio cui essa afferisce, possono liberamente disporre del loro diritto di
propriet fintantoch luso o la propriet del parcheggio non vengano reclamati dal proprietario attuale
dellalloggio di cui esso costituisce pertinenza. In tale momento, previo pagamento di unindennit, il proprietario
del parcheggio dovr metterlo a disposizione del proprietario dellappartamento.
* Trib. civ. Latina. 29 ottobre 1987, in Nuovo dir, 1988, 339.
Il vincolo di dotazione di aree destinate a parcheggio, previsto dallart. 41 sexies della L. n. 1150/1942, ha natura
di diritto reale di uso a favore degli inquilini dello stabile condominiale: pertanto, ove non sia contemplato nel
contratto di vendita. questo si reputa inficiato da nullit nella parte in cui sottrae lo spazio per parcheggio alla
suddetta inderogabile destinazione.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 17 novembre 1993, n. 9856, Pellino ed altri c. Soc. Accardo ed alti, in Arch. loc. e
cond. 1995, n. 1.
Lart. 41 sexies L. n. 1150/1941 non attribuisce alcun diritto soggettivo ai condomini di nuova costruzione,
integrando piuttosto una norma di azione destinata a disciplinare lattivit della P. A. in sede di controllo degli
interventi urbanistici privati sul territorio.
* Trib. civ. Napoli, sez. I, 13 aprile 1994, n. 3447, Soc. Presud c. Cond. Parco La Nuova Residenza di Napoli, in
Arch. loc. e cond. 1995, n. 1.
Nel caso in cui gli acquirenti di appartamenti in condominio agiscono per il riconoscimento del diritto di
parcheggio contro lacquirente dei relativi spazi, questultimo non ha diritto di chiedere il pagamento del valore
dello spazio riconosciuto (cd. conguaglio).
* Trib. civ. Napoli, 7 febbraio 1994, in Giur. merito 1994, 470.
Lart. 41 sexies della L. 17 agosto 1942, n. 1l50 stabilisce solo misure quantitative per la determinazione degli
spazi da destinare a parcheggi, senza statuire alcuna formalit in ordine alla localizzazione delle aree da
asservire a tale scopo, ragion per cui i parcheggi possono essere localizzati sia in luoghi interrati delledificio, sia
al suo piano terreno, sia in aree esterne, anche se non strettamente adiacenti.
* Cons. Stato, sez. IV, 3 febbraio 1992, n. 140, in Giur. it. 1992, III, 1, 560.
Concessione edilizia
I lavori di innalzamento e copertura di una canna fumaria, in quanto completano "funzionalmente" unopera
preesistente, richiedono la concessione edilizia.
* Cass. pen., sez. III, 25 ottobre 1988, n. 10396 (ud. 9 febbraio 1988), Amatori.
Lautorizzazione edilizia per la realizzazione di una canna fumaria in un muro perimetrale di un edificio pu
essere rilasciata al singolo condomino proprietario dellunit immobiliare che la canna fumaria destinata a
servire.
* Cons. Stato, sez. V, 23 giugno 1997, n. 699, Comune di Milano c. Ardizzon, in Arch. loc. e cond. 1997, 1058.
Installazione
Il condomino che inserisce la propria canna fumaria nel lastrico solare comune, incorporandone una porzione,
con opere murarie, al servizio esclusivo del proprio appartamento, pone in essere un atto di utilizzazione
particolare della cosa che non ne compromette necessariamente la destinazione e che deve essere, pertanto,
considerato del tutto legittimo se, trattandosi della occupazione di una zona periferica di una parte del tutto
trascurabile rispetto alla superficie complessiva del lastrico, possa, in concreto, escludersi, che la predetta
utilizzazione, menomi la funzione di copertura e calpestio del lastrico o le possibilit di uso degli altri
comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 7 marzo 1992, n. 2774, Cenci E. c. Cenci G.
Negli edifici in condominio, qualora distinte canne adibite a sfiatatoi, destinate a servire singolarmente diversi
locali o appartamenti, siano incorporate nel muro comune e preesistano al condominio, il servizio pu essere
qualificato comune quanto meno nel suo complesso.
* Cass. civ., 16 luglio 1964, n. 1931.
Linstallazione da parte di un condomino di una canna fumaria in aderenza, appoggio o con incastro nel muro
perimetrale di un edificio, attivit lecita rientrante nelluso della cosa comune, previsto dallart. 1102 c.c. e,
come tale, non richiede n interpello n consenso degli altri condomini.
* Trib. civ. Napoli, sez. IV, 17marzo 1990, n. 3422, in Arch. loc. e cond. 1991, 145.
Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra propriet autonome
e contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio
condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con lapplicazione delle norme particolari relative alluso delle

cose comuni (art. 1102 c.c.), cio nel caso in cui lapplicazione di queste ultime non sia in contrasto con le prime
e delle une e delle altre sia possibile una complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative
alluso delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilit di quelle relative alle distanze legali che, nel
condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in rapporto di
subordinazione rispetto alle prime. (Nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro
condominiale, ed in prossimit della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica
condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 23gennaio 1995, n. 724, Albini c. Cond. "Il Pino" di Como, in Arch. loc. e cond. 1995, 320.
Il singolo condomino non ha diritto alla tutela possessoria nei confronti del condominio con riferimento ai
comportamenti di fatto posti in essere in attuazione di decisioni prese da alcuno dei suoi organi. (Nella
fattispecie, un condomino aveva proposto lazione di manutenzione contro lattuazione della delibera
assembleare riguardante linstallazione delle canne fumarie).
* Trib. civ. Parma, ord. 3 gennaio 1997, Bottini c. Condominio "I Tigli" in Salsomaggiore, in Arch. loc. e cond.
1997,97.
Propriet
La canna fumaria soggetta alla presunzione di comunione di cui allart. 1117 c.c. e deve, quindi, ove il
contrario non risulti dal titolo, ritenersi comune e la circostanza che la canna inizi da un determinato
appartamento irrilevante e non pu giustificare la pretesa del proprietario dellappartamento stesso di un
acquisto per accessione.
* Cass. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.
La canna fumaria destinata a servire un determinato appartamento da ritenersi di propriet esclusiva del
titolare dellappartamento medesimo anche se non sia formata da tubi in cotto o cemento o altro materiale
idoneo, ma risulti, invece, ricavata nel vuoto di un muro perimetrale per tutta laltezza delledificio.
* Cass. civ., 17 maggio 1967, n. 1033.
Il condomino, titolare della servit di tenere canne fumarie e di ventilazione sulla propriet comune, non ha
anche il diritto di passaggio attraverso le parti di propriet esclusiva altrui per procedere alla installazione ed alla
manutenzione delle canne.
* Cass. civ., 2 agosto 1977, n. 3385.
Con riguardo ad edificio in condominio, una canna fumaria, anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, non
necessariamente di propriet comune, ben potendo appartenere ad uno solo dei condomini, se sia destinata a
servire esclusivamente lappartamento cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla
presunzione legale di comunione.
* Cass. civ., sez. II, 29agosto 1991, n. 9231, Battista ed altro c. Signorelli ed altro.
Spese
Lobbligazione di ricostruire una canna fumaria, la cui originaria consistenza sia stata mutata nel tratto che
attraversa un singolo appartamento, a carico del proprietario di questo come obbligazione reale e non gi a
carico comune dei condomini.
* Corte app. civ. Napoli, 14 gennaio 1950.
Le spese per la riparazione di una canna fumaria che serve un appartamento non possono essere messe a
carico della collettivit.
* Trib. civ. Milano, 18 gennaio 1990, in LAmministratore 1990, n. 3.
Sostituzione
consentito sostituire una vecchia canna fumaria in metallo, comune a due edifici in condominio, distinti e
contigui, alla quale erano collegate le caldaie delle lavanderie dei due stabili, con una nuova canna in eternit
collegata allimpianto di riscaldamento di uno soltanto dei suddetti fabbricati, alla condizione, per, che sia
possibile allaltro condominio di servirsi della nuova canna collegandovi il proprio impianto.
*Cass. civ., 21 maggio 1976, n. 1836.
Uso
La riduzione della sezione di una canna fumaria ad opera di uno dei condomini (nella specie mediante
immissione di un tubo in eternit) non consentita qualora di fatto alteri la destinazione della cosa comune ed
impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto.
* Cass. civ., 29 aprile 1966, n. 1092.
Nel caso in cui cessi luso di un impianto di riscaldamento condominiale non viene meno per questa sola ragione
il compossesso dei singoli comproprietari sulla relativa canna fumaria, sia perch riconducibile ai poteri del
titolare di un diritto reale la facolt di mettere o non mettere in attivit un impianto, sia perch la canna fumaria
va considerata come un manufatto autonomo, suscettibile di svariate utilizzazioni.
* Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 1995, n. 1719, Massafra c. Longhini.
Attraversamento di condutture
Ciascun partecipante alla comunione immobiliare non pu, senza il consenso degli altri condomini, servirsi della
cosa comune a vantaggio di altro immobile di sua esclusiva propriet, distinto dai fondi a servizio dei quali la
cosa medesima sia stata originariamente destinata, in quanto tale uso verrebbe a risolversi nell'imposizione di
una servit. Pertanto, con riguardo ad un cortile comune fra i proprietari dei fabbricati circostanti ed adibito al
miglior godimento dei medesimi, deve ritenersi precluso al proprietario del singolo fabbricato, in difetto di
consenso degli altri condomini, di attraversare detto cortile con condutture di gas od acqua, che siano destinate
ad approvvigionare non quel fabbricato, ma un altro distinto immobile di sua propriet, rimanendo irrilevante che
tale ultimo fine sia realizzato, non con condutture autonome, rispetto a quelle adducenti al fabbricato compreso
nell'area condominiale, ma con successive derivazioni da tali condutture.
* Cass. civ., sez. II, 8 aprile 1977, n. 1355.

Chiostrine
In un edificio in condominio le chiostrine, vale a dire i cortili interni destinati a dare aria e luce a determinati piani
o porzioni di piano, attribuite per titolo in propriet esclusiva ai proprietari dei piani superiori, raffigurano beni
giuridici diversi rispetto ai muri maestri (interni) dell'edificio, che le delimitano. Questi muri, in quanto parti
essenziali per l'esistenza del fabbricato, essendo destinati a sorreggere l'edificio, appartengono in propriet
comune a tutti i partecipanti al condominio, con la conseguenza che alle spese per la conservazione dei muri
maestri (che delimitano le chiostrine) devono concorrere tutti i partecipanti, compresi i proprietari dei negozi siti a
piano terra, ancorch essi non siano proprietari delle chiostrine.
* Cass. civ., sez. II, 19 novembre 1993, n. 11435.
Differenze tra cortili e intercapedini
Costituisce cortile lo spazio scoperto circondato dai corpi di fabbrica di uno stesso edificio o da pi fabbricati
contermini, che sia destinato, nell'ambito di un rapporto condominiale o implicante, comunque, una disciplina, a
carattere interno, di interessi comuni od omogenei, a fornire, in via primaria, aria e luce agli edifici che vi si
affacciano ed a servire, in via complementare, da disimpegno per le esigenze degli immobili che lo circondano,
consentendo il traffico delle persone e, in via eventuale, dei veicoli. Costituiscono, invece, intercapedini, le zone
di rispetto fra diversi edifici prescritte al fine di regolare, con una disciplina a carattere esterno, il
contemperamento degli interessi contrapposti di proprietari vicini, nell'ambito del rapporto di vicinato e non di
comunione. Le dette intercapedini, dirette a soddisfare esigenze di igiene e di sicurezza pubblica o privata,
svolgono, diversamente dai cortili, la funzione di assicurare aria e luce, solo in via subordinata e nei limiti
inderogabili del rispetto delle distanze fra costruzioni.
* Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1977, n. 3380.
Di propriet individuale
Allorch si verifica la separazione tra la propriet di un cortile (o di altro bene rientrante in astratto nel novero di
quelli cui si riferisce la presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. civ.) e la propriet delle unit
immobiliari di un edificio, i rapporti tra tali distinte propriet vanno disciplinati non gi secondo l'art. 1102 cod. civ.
sebbene secondo la normativa dei rapporti di vicinato, cio dei rapporti che corrono tra propriet contigue
separate, per cui, tra tali propriet, vanno rispettate le distanze legali, tranne che sussista un titolo che deroghi al
rispetto di tali distanze, con la conseguenza che, mentre il proprietario esclusivo del cortile obbligato a
rispettare le aperture esistenti all'atto della separazione, i proprietari delle singole unit immobiliari non possono
creare nuove vedute sul cortile. (Nella specie trattavasi di un'area di propriet esclusiva, destinata, in
dipendenza della situazione dei luoghi, a cortile).
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4605, Apuzzo O. c. Apuzzo S.
Allorch un cortile gi appartenente ad un condominio diventi propriet individuale, da un lato il proprietario
obbligato a rispettare le aperture esistenti all'atto della separazione e dall'altro i proprietari dell'immobile a cui era
annesso il cortile non possono creare nuove vedute (n altre servit) e debbono da quel momento rispettare le
norme sulle distanze legali tra propriet confinanti.
* Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 1984, n. 101, Apuzzo c. Apuzzo.
Evasione
Ai fini della configurazione del reato di evasione l'ambito di fruibilit dello spazio della persona ristretta agli
arresti domiciliari limitato al luogo in cui questa conduce vita domestica, per definizione strettamente riferibile
allo spazio destinato alle relazioni di vita comunitaria di quanti in esso coabitano, con esclusione quindi del
cortile condominiale.
* Cass. pen., sez. VI, 22 luglio 1995, n. 8248 (ud. 23 marzo 1995), Buffa.
E' configurabile il reato di evasione nel fatto del soggetto agli arresti domiciliari che venga sorpreso dai
carabinieri nel cortile condominiale, a pochi metri dalla sua abitazione.
* Cass. pen., sez. VI, 20 luglio 1995, n. 8150 (ud. 26 aprile 1995), Idotta.
La funzione in relazione alla quale il legislatore ha disposto che, in mancanza di titoli contrari, i cortili debbono
presumersi comuni, quella di dare accesso, aria e luce a edifici che, senza il cortile, resterebbero totalmente o
parzialmente privi di codesti essenziali benefici. Tale funzione, pertanto, non configurabile, e la presunzione
non si applica, in rapporto a edifici che siano separati dal cortile stesso da giardini, terreni o altri spazi liberi gi
di per s idonei a garantire il soddisfacimento delle predette esigenze.
* Cass. civ., 24 maggio 1972, n. 1619.
Modificazione della destinazione
L'accertamento, operato in concreto, circa il contenuto, la qualit e l'ampiezza della destinazione impressa dai
condomini al cortile, nonch la coerenza, con essa, delle modificazioni impressevi dal condomino per una
migliore utilizzazione e la non esorbitanza dai limiti imposti all'esercizio di un tale potere, si risolve in un
apprezzamento di fatto insindacabile in sede di legittimit, ove immune da vizi logico-giuridici.
* Cass. civ., sez. II, 9 settembre 1970, n. 1378.
In tema di condominio di edifici, ciascuno condomino pu servirsi delle parti comuni a condizione che non ne
alteri la naturale destinazione, che non pregiudichi la stabilit, la sicurezza e il decoro architettonico del
fabbricato e che non arrechi danno alle singole propriet esclusive e non impedisca, infine, agli altri partecipanti,
di farne parimenti uso secondo il loro diritto; con la conseguenza che devono ritenersi vietate le innovazioni alla
cosa comune che ne mutino la sostanza e la forma, incidendo sull'entit materiale della cosa, alterandone in
tutto o in parte la consistenza, la conformazione o la destinazione impressavi dalla volont dei compartecipanti
ed espressa dal titolo (regolamento di condominio, deliberazioni assembleari o gradatamente dall'uso o dalla
natura stessa della cosa) o che arrechino limitazioni o danno all'uso degli altri condomini in guisa da turbare
l'equilibrio tra i concorrenti interessi dei medesimi. (In applicazione del principio di cui in massima, stata
ritenuta vietata la costruzione nel cortile comune di uno scivolo per accedere ad un'unit immobiliare sita ad un

livello pi alto, attraverso una finestra trasformata in accesso carrabile, in quanto determinante modificazione
della struttura e della destinazione del cortile, adibito al servizio di passo carrabile e di area di parcheggio del
traffico veicolare a servizio dell'unit immobiliare utilizzata non pi ad uso abitativo, bens commerciale).
* Cass. civ., sez. II, 10 marzo 1983, n. 1789, Gaudioso c. Toscano.
Il notaio, in occasione della stipula del contratto "definitivo", ha l'obbligo, ai sensi dell'artt. 1176 e 1375 c.c., di
informare gli acquirenti - ove questi ultimi non ne siano gi a conoscenza aliunde - della eventuale circostanza
per cui, trattandosi di compravendita di appartamento condominiale, lo stato giuridico di una cosa comune (nella
specie il cortile dell'edificio di cui faccia parte l'appartamento oggetto della compravendita), sia mutato e la cosa in difformit rispetto a quanto originariamente previsto nel contratto "preliminare", ed in deroga rispetto all'art.
1117 c.c. - sia divenuta, in forza di un altro suo rogito, di propriet esclusiva di un singolo soggetto (nella specie,
la societ venditrice). Sotto un tal profilo, i riflessi di responsabilit conseguenti all'inadempimento di un tale
obbligo non vengono superati dalla semplice circostanza per cui, in sede di contratto "definitivo", gli acquirenti
dichiarino di accettare le tabelle millesimali allegate al predetto altro rogito in questione.
* Cass. civ., sez. II, 19 maggio 2000, n. 6514, Chirici c. Franchi.
Nozione
Il cortile, tecnicamente, l'area scoperta compresa tra i corpi di fabbrica di un edificio o di pi edifici, che serve a
dare luce e aria agli ambienti circostanti. Ma avuto riguardo all'ampia portata della parola e, soprattutto alla
funzione di dare aria e luce agli ambienti, che vi prospettano, nel termine cortile possono ritenersi compresi
anche i vari spazi liberi disposti esternamente alle facciate dell'edificio - quali gli spazi verdi, le zone di rispetto,
le intercapedini, i parcheggi - che, sebbene non menzionati espressamente nell'art. 1117 c.c., vanno ritenute
comuni a norma della suddetta disposizione.
* Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2000, n. 7889, Lombardi c. Lonigro ed altra.
Da un punto di vista generale, "cortile" anche lo spazio a disimpiego di uno o pi fabbricati, siano essi di
propriet di uno solo o di pi soggetti, ovvero anche comune a pi immobili che su di esso prospettano.
* Cass. civ., 2 luglio 1969, n. 2431.
L'accertamento in concreto che un determinato spazio adiacente all'edificio in condominio sia o meno pertinenza
dell'entit condominiale e appartenga strutturalmente al condominio, non pu essere fondato semplicemente ed
unicamente sull'interpretazione della fattispecie astratta dell'art. 1117 c.c. ma occorre effettuare, con riferimento
all'epoca di costituzione del condominio, una valutazione dello stato effettivo dei luoghi, dei rapporti, in relazione
alla volont delle parti che possono aver voluto escludere proprio la presunzione di comunione.
* Cass. civ., 11 febbraio 1969, n. 463.
La presunzione di comunione del cortile trae la sua ratio dalla obiettiva destinazione del bene a servizio e utilit
degli edifici circostanti, sicch nella nozione di cortile devono intendersi compresi anche gli spazi esterni che,
oltre a dare aria e luce agli stessi, soddisfano altres l'esigenza dell'accesso alla via pubblica.
* Cass. civ., 23 marzo 1970, n. 783.
Opere vietate
Anche nel caso in cui una parte dell'edificio condominiale necessaria all'uso comune si appartenga in propriet
esclusiva ad uno soltanto dei condomini, questi tenuto, nell'esercizio delle sue facolt di godimento, a
rispettare la destinazione obiettiva della suddetta parte all'utilit generale dell'intero condominio. Per cui, financo
al condomino che sia proprietario esclusivo dell'intero cortile sul quale prospettano gli appartamenti dello stabile,
vietato di eseguirvi costruzioni o manufatti che impediscano o limitino l'esercizio del diritto, spettante ex lege
agli altri condomini, di trarre dallo stesso cortile la luce e l'aria necessarie ai loro rispettivi appartamenti.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1977, n. 78. Conforme, Cass. II, 17 ottobre 1974, n. 2897.
La costruzione di manufatti nel cortile comune di un fabbricato condominiale consentita al singolo condomino
solo se non alteri la normale destinazione di quel bene, non anche, pertanto, quando si traduca in corpi di
fabbrica aggettanti, con incorporazione di una parte della colonna d'aria sovrastante ed utilizzazione della stessa
ai fini esclusivi (nella specie, trattavasi della costruzione di "bovindi").
* Cass. civ., 13 aprile 1991, n. 3942.
L'utilizzazione della cosa comune pu avvenire da parte di uno o pi compartecipi alla comunione anche in
modo particolare e diverso da quello degli altri, senza sconfinare in abuso, sempre che la destinazione della
cosa resti rispettata: a tal fine la legittimit d'un tale uso va verificata, dal giudice del merito, in base al confronto
tra uso diverso e destinazioni possibili della cosa quali stabilite, anche per implicito, dalla volont comune dei
condomini. (In base a tale principio, la corte di cassazione ha confermato la decisione del giudice del merito che
aveva considerato incompatibile con la destinazione a cortile dell'area comune la costruzione su di essa di
gabinetti da parte di alcuni condomini).
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1990, n. 4566, De Falco c. Panno.
L'occupazione da parte di un condomino dello spazio aereo sovrastante una striscia di terreno comune,
destinata a mettere in comunicazione due cortili, per mezzo di una costruzione aggettante che sporge all'altezza
di tre metri dal suolo, costituisce un'illegittima estensione della propriet individuale sulla cosa comune a danno
degli altri proprietari, i quali subiscono una definitiva sottrazione del loro potere dispositivo e di utilizzazione a
seguito di opere che impediscano o diminuiscano sensibilmente il passaggio e l'utilizzazione dell'aria e della
luce.
* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1976, n. 501.
Pavimentazione
La pavimentazione di un cortile condominiale, originariamente in terra, pu essere valutata come ricostruzione o
riparazione straordinaria di notevole entit per la quale sufficiente che la deliberazione venga assunta con
l'approvazione di un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la met del valore
dell'edificio.

* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 8 maggio 1989, Visentin c. Condominio di via Tortona, 31, Milano.
La sostituzione della pavimentazione del cortile condominiale opera di ordinaria manutenzione e non gi
innovazione, essendo quest'ultima costituita dalle modificazioni materiali della cosa comune che ne importino
l'alterazione dell'entit sostanziale o il mutamento della sua originaria destinazione e non da mutamenti delle sue
modalit di utilizzazione o da modificazioni e sostituzioni che non ne alterino la struttura sostanziale da
precedente destinazione.
* Trib. civ. Piacenza, 5 febbraio 1991.
Presunzione di compropriet
In tema di condominio di edifici la presunzione di comunione del cortile trae la sua ratio dalla obiettiva
destinazione del bene a servizio e utilit degli edifici circostanti, sicch nella nozione di cortile devono intendersi
compresi anche gli spazi esterni che oltre a dare aria e luce agli stessi, soddisfano altres l'esigenza dell'accesso
alla via pubblica.
* Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1991, n. 10309, Gallia c. Fontana.
Ai fini della presunzione di compropriet del cortile per le unit immobiliari che vi si affacciano sufficiente che
queste da esso traggano aria e luce, poich la ratio della norma contenuta nell'art. 1117 c.c. si fonda sulla
funzionalit obiettiva dei beni ivi indicati e cio sulla loro attitudine a servire l'immobile condominiale. Pertanto,
una volta accertato insindacabilmente in sede di merito che l'unit immobiliare costituita da un fabbricato con
giardino " servita"dal cortile col quale confina e dal quale riceve aria e luce, ininfluente che il cortile confini
con la parte scoperta, dalla quale separato da un muretto, anzich con la parte coperta dell'unit immobiliare.
* Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1976, n. 2142.
In tema di condominio negli edifici, l'art. 1117 c.c. individua i beni, tra i quali ricomprende i cortili, che sono
oggetto di propriet comune per loro natura o destinazione, salvi la vindicatio ex titulo, ovvero l'accertamento
della destinazione particolare del bene al servizio di una o pi determinate unit immobiliari. Pertanto, non
necessario, ai fini del riconoscimento della propriet collettiva sul cortile, la dimostrazione della utilit specifica
che da esso tragga ciascuna delle unit dell'edificio, dovendo, al contrario, essere dimostrata la destinazione
particolare del bene di cui si tratta al servizio di alcune soltanto delle unit al fine di escludere il diritto di tutti i
proprietari sul bene stesso. N sufficiente, a tale scopo, il rilievo della mancata fruizione, da parte delle unit
immobiliari prive di affaccio sul cortile, delle specifiche utilit di presa d'aria e luce o di accesso, non esaurendo
dette utilit le potenzialit di sfruttamento del cortile, attinenti, tra l'altro, al parcheggio di veicoli o al deposito
temporaneo di materiali durante i lavori di manutenzione delle singole unit.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2000, n. 14128, Acampora c. Apuzzo G. ed altri.
La presunzione di propriet comune di cui all'art. 1117 c.c. si applica per analogia anche ai cortili che si trovano
fra edifici strutturalmente autonomi ed appartenenti a proprietari diversi e sono obiettivamente destinati a dare
aria e luce ai fabbricati che li fronteggiano.
* Cass. civ., sez. II, 10 luglio 1991, n. 7630, Di Scala c. Parisi.
La presunzione di compropriet del cortile, ubicato fra diversi fabbricati, ovvero nell'ambito di un unico edificio
condominiale, trova il suo fondamento nella funzione principale del cortile medesimo, consistente nell'essere
esso destinato a fornire aria e luce alle unit immobiliari circostanti e non gi nella destinazione, puramente
accessoria ed eventuale, consistente nel consentire l'accesso a tali unit. Ne discende che la suddetta
presunzione sussiste anche nel caso in cui l'ubicazione del cortile rispetto alle diverse unit immobiliari sia tale
da consentire l'accesso ad un solo condomino con esclusione degli altri comproprietari i quali, pertanto, usano
dello stesso nella sua interezza, iure proprietatis e non iure servitutis. Per vincere tale presunzione di comunione
occorre un titolo contrario, cui si riferisce l'art. 1117 c.c., il quale pu essere rappresentato solo dal negozio
concluso da colui o da coloro che costituiscono il condomino, in quanto rappresenta la fonte comune dei
rispettivi diritti dei condomini, mentre i successivi negozi che determinano l'acquisto di una parte dell'edificio,
sono rispetto agli altri condomini res inter alios acta e quindi inutilizzabili per la ricerca di una eventuale
disposizione contraria alla presunzione legale.
* Cass. civ., 3 settembre 1976, n. 3085.
In tema di condominio negli edifici, l'art. 1117 c.c. individua i beni, tra i quali ricomprende i cortili, che sono
oggetto di propriet comune per loro natura o destinazione, salvi la vindicatio ex titulo, ovvero l'accertamento
della destinazione particolare del bene al servizio di una o pi determinate unit immobiliari. Pertanto, non
necessario, ai fini del riconoscimento della propriet collettiva sul cortile, la dimostrazione della utilit specifica
che da esso tragga ciascuna delle unit dell'edificio, dovendo, al contrario, essere dimostrata la destinazione
particolare del bene di cui si tratta al servizio di alcune soltanto delle unit al fine di escludere il diritto di tutti i
proprietari sul bene stesso. N sufficiente, a tale scopo, il rilievo della mancata fruizione, da parte delle unit
immobiliari prive di affaccio sul cortile, delle specifiche utilit di presa d'aria e luce o di accesso, non esaurendo
dette utilit le potenzialit di sfruttamento del cortile, attinenti, tra l'altro, al parcheggio di veicoli o al deposito
temporaneo di materiali durante i lavori di manutenzione delle singole unit.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2000, n. 14128, Acampora c. Apuzzo G. ed altri.
I cortili sono previsti espressamente dall'art. 1117 c.c. fra le parti dell'edificio che si presumono comuni, salvo
che il contrario risulti da titolo. Deve considerarsi cortile non soltanto lo spazio esistente nell'interno di un
fabbricato, circoscritto dalla superficie del suolo, ma anche tutta l'area soprastante, limitata ai lati dalle
costruzioni che la fronteggiano, e delle quali esso pu ritenersi un accessorio, destinato a dare aria e luce ai vani
delle costruzioni stesse; per tali sue speciali caratteristiche la legge presume che il cortile rientri nelle cose del
condominio, sicch ne consegue che i proprietari ne usino iure domini e non iure servitutis. La presunzione di
comunione, che dunque fondata su questa attitudine funzionale obiettiva del cortile al servizio e al godimento
collettivo, opera anche se il cortile si trova circondato (ed accessorio) da edifici diversi.
* Trib. civ. Milano, 7 gennaio 1991, inedita.

Tra edifici limitrofi e autonomi


Ove due edifici diversi siano in origine appartenuti ad un solo proprietario, che li trasferiva a persone diverse, il
cortile destinato a servizio comune resta in condominio tra gli acquirenti, mentre ove non risulti l'unica propriet
originaria, non sussiste alcuna ragione di incompatibilit tra la propriet del cortile da parte di uno solo dei
proprietari degli edifici e l'uso comune del cortile, ben potendo tale uso esercitarsi, dai non proprietari, a titolo di
servit.
* Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 1975, n. 3197.
Nel caso in cui un cortile sia racchiuso tra edifici appartenenti a proprietari diversi e, per la sua ubicazione,
appaia destinato all'uso e al godimento di alcuni soltanto degli edifici che lo delimitano, in mancanza di titoli
validi, la presunzione iuris tantum di condominio opera solo ed esclusivamente a favore di questi.
* Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1977, n. 1486.
Il cortile ubicato fra due fabbricati deve ritenersi di propriet comune, ai sensi dell'art. 1117 cod. civ., qualora ne
costituisca accessorio, in quanto stabilmente destinato all'uso ed all'accesso dei medesimi. Ne consegue che la
domanda, con la quale il proprietario di un fabbricato chieda, nei confronti del proprietario dell'altro,
l'accertamento della comunione di tale cortile, al fine di conseguire la rimozione di una costruzione realizzata dal
convenuto su parte del cortile stesso, non soggetta al rigoroso onere probatorio previsto in tema di
rivendicazione, ma trova sufficiente fondamento nella dimostrazione di detta relazione di accessoriet, evincibile
dall'obiettiva situazione dei luoghi, ed anche dagli elementi indiziari forniti dalle risultanze catastali.
* Cass. civ., sez. II, 12 gennaio 1980, n. 286, Barbaro c. Tisiot.
La presunzione di comunione dei cortili prevista dall'art. 1117 cod. civ., e quindi il regime delle parti comuni
dell'edificio, applicabile per analogia anche al cortile compreso tra edifici limitrofi appartenenti a proprietari
diversi, trovando fondamento sull'obiettiva destinazione del cortile al servizio o utilit delle abitazioni dei
proprietari che vi si affacciano o lo circondano, e tale situazione pu verificarsi anche nell'ipotesi della
destinazione del cortile per l'uso ed i bisogni di pi edifici limitrofi.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1980, n. 2984, Soc. ACSA c. Cond. Ariston.
Con riguardo ad un cortile comune a pi fabbricati ma in possesso di un solo condomino, il giudizio contro di
questi promosso da altro condomino per sentirsi riconoscere condomino del cortile stesso per una quota pari alla
met, nel quale sia invocata dal convenuto, in via riconvenzionale, la verificatasi usucapione dell'intero immobile
in suo favore, deve essere svolto nei confronti di tutti i proprietari dei fabbricati circostanti sussistendo una
situazione di litisconsorzio necessario in ragione dell'unit ed inscindibilit del rapporto plurisoggettivo su cui
deve incidere la richiesta pronuncia giudiziale.
* Cass. civ., sez. II, 24 agosto 1991, n. 9092, Raimo c. Spiezia.
Il regime condominiale riguarda non solo le parti comuni di uno stesso edificio diviso per piano o porzioni di
piano tra proprietari diversi, ma anche parti comuni - quale il cortile - di edifici limitrofi ed autonomi, appartenenti
a differenti proprietari, semprech ali parti, anche se fisicamente distaccate, siano destinate al servizio comune
dei proprietari medesimi.
* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1904, Soc. Edifar c. Cond. via Fara.
La presunzione di propriet comune dei cortili, dettata dall'art. 1117 c.c. in materia di condominio, applicabile
anche nel caso in cui un cortile sia circondato da edifici appartenenti a proprietari diversi. A vincere la
presunzione di comunione - la quale trae origine dal silenzio del titolo - necessario che il titolo contrario - vale a
dire l'attribuzione di propriet esclusiva ad una o a pi determinate persone - risulti in modo non equivoco.
* Cass. civ., sez. II, 18 gennaio 1982, n. 318.
La presunzione di comunione di cui all'art. 1117 cod. civ., riguarda gli edifici in condominio per piani orizzontali e
non applicabile al fine di dimostrare la comunione di un cortile esistente fra edifici appartenenti a proprietari
diversi, e destinato all'uso e godimento di uno solo degli edifici quanto all'accesso a questo ed al godimento
anche dell'altro edificio quanto all'aria e alla luce. Pertanto in tale ipotesi, chi invoca la comunione ha l'onere di
provarne i fatti costitutivi.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 647, Lunardini c. Collina.
La presunzione di propriet comune posta dall'art. 1117 c.c. si applica per analogia anche ai cortili che si trovino
fra edifici strutturalmente autonomi ed appartenenti a proprietari diversi e siano obiettivamente destinati a dare
aria e luce ai fabbricati che li fronteggiano. N tale presunzione pu essere vinta, nel silenzio del titolo di
acquisto della porzione immobiliare, dalla mera possibilit di accesso al bene comune in favore di uno solo dei
condomini o proprietari di accesso al bene comune in favore di uno solo dei condomini o proprietari dei singoli
edifici, in quanto l'utilit particolare che da siffatta circostanza deriva non incide sulla destinazione tipica e
normale del bene, che di dare aria e luce ai circostanti edifici.
* Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1984, n. 4625, Acquaviva c. Piric.
Quando un cortile sia comune a due edifici, ciascuno costituente un autonomo condominio, e manchi al suo
riguardo una disciplina contrattuale vincolante per tutti i comproprietari dei due edifici, l'uso del cortile da parte di
questi ultimi non assoggettato sia al regolamento dell'uno che a quello dell'altro condominio, essendo, invece,
applicabili le norme sulla comunione in generale, e, in particolare, l'art. 1102 cod. civ., in base al quale ciascun
partecipante alla comunione pu servirsi della cosa comune, sempre che non ne alteri la sua destinazione e non
impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
* Cass. civ., sez. II, 10 marzo 1986, n. 1598, Pipan c. Cond. V. Cor. App.
Il principio di diritto secondo il quale il regime legale della comunione stabilito dall'art. 1117 c.c., applicabile
anche quando non si tratti di parti comuni di uno stesso edificio diviso per piani bens di parti comuni di edifici
limitrofi ed autonomi, presuppone che le parti siano destinate al servizio comune degli edifici medesimi. Il vincolo
di destinazione di un bene (cortile) che risulti contemporaneamente adiacente a edifici distanti ed autonomi, al
servizio esclusivo di uno di essi soltanto condizione sufficiente per escludere in radice il regime condominiale.

(Nella specie, i magazzini dei contendenti erano originariamente appartenuti ad un unico proprietario e
comunicavano con il cortile in contestazione. Successivamente il proprietario aveva chiuso la comunicazione di
uno dei magazzini con il cortile, comunicazione costituita dal passaggio attraverso una grotta, mediante la
costruzione di un muretto e l'apposizione di una grata di ferro e poi aveva venduto il magazzino a terzi. Attesa
tale situazione, i giudici di merito avevano ritenuto che il cortile non fosse comune anche al magazzino venduto.
Il S.C. ha condiviso tale decisione ed ha enunciato il principio che precede).
* Cass. civ., 28 aprile 1971, n. 1242.
La presunzione di comunione del cortile prevista dall'art. 1117 c.c. per il caso di un tipico edificio in propriet
separata per piani o per porzioni di piani, sussiste analogicamente nel caso in cui trattasi di cortile racchiuso tra
edifici appartenenti a proprietari diversi.
* Cass. civ., 22 febbraio 1964, n. 380.
La norma dettata dall'art. 1117, n. 1, c.c., con riguardo ai cortili negli edifici condominiali, applicabile per
analogia anche ai cortili ed agli spazi permanentemente destinati per l'uso e per l'accesso ad edifici limitrofi,
appartenenti a proprietari diversi, con la conseguenza che quei cortili e quegli spazi si presumono in comunione
fra i predetti proprietari, fino a prova contraria.
* Cass. civ., 13 ottobre 1976, n. 3411.
La presunzione di comunione dei cortili di fabbricati in condominio, prevista dall'art. 1117 c.c., si estende anche
ai cortili compresi tra edifici limitrofi, anche se appartenenti a proprietari diversi, poich tale presunzione si fonda
sulla normale destinazione del cortile al servizio dell'edificio in condominio, e tale situazione pu verificarsi
anche nell'ipotesi di destinazione all'uso ed alle necessit di pi edifici limitrofi. A vincere la presunzione,
necessario che il "titolo contrario"(e cio l'attribuzione in propriet esclusiva) risulti in modo inequivoco,
apprezzabile incensurabilmente dal giudice del merito.
* Cass. civ., 8 ottobre 1975, n. 3197.
Uso
Il comproprietario di un cortile il quale, trasformando vani terranei di propriet esclusiva, costruisca un ampio
androne che consenta il transito nel cortile comune con mezzi pesanti, realizzando un uso che, per qualit ed
intensit, diverso da quello che, per la conformazione dei luoghi, era possibile in precedenza a tutti i
comproprietari, viola il divieto ex art. 1102 cod. civ. di alterare la destinazione della cosa comune e di impedire
agli altri proprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto.
* Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1980, n. 4841, Sorrentino c. Nappi.
Il cortile (sia esso interno al fabbricato condominiale ovvero racchiuso da costruzione di propriet distinta e
destinato a dare ad esse accesso, luce ed aria) rientra fra le cose in comunione ex art. 1117 cod. civ. che i
proprietari pro quota usano iure domini e non iure servitutis, con la conseguenza che il comportamento relativo
del singolo partecipante alla comunione costituisce utilizzazione legittima della cosa comune ex art. 1102 cod.
civ., se mantenuto nei limiti posti dalla norma stessa (nella specie, transito pedonale e veicolare attraverso il
cortile, previa apertura di nuovi accessi ad esso attraverso il muro delimitante fabbricati insistenti sul cortile
stesso).
* Cass. civ., sez. II, 23 novembre 1982, n. 6336, Antonazzo c. Pastore.
In un edificio in condominio la funzione naturale di un cortile, di fornire aria e luce alle unit abitative che vi
prospettano, non incompatibile con l'appartenenza o la destinazione di esso all'uso esclusivo di uno o pi
condomini, n l'obbligo da parte di costoro di rispettare quella funzione comporta il sorgere di diritti particolari in
favore degli altri partecipanti al condominio.
* Cass. civ., sez. II, 20 febbraio 1984, n. 1209, Pitanza c. Fecarotta.
Qualora il cortile di un condominio sia destinato all'esclusivo transito pedonale, l'usufruttuario dei vani terranei
non pu aprire su di esso un accesso per automezzi, atteso che tale modifica esorbita dall'ambito di un uso "pi
intenso ed esteso"dell'area comune, rientrando in quello delle innovazioni vietate ai sensi dell'art. 1102 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 30 agosto 1991, n. 9273, Bucci c. Condominio Via Giovanni XXIII, 47 di Isernia.
Il proprietario di un edificio, legato con rapporto pertinenziale ad un cortile di propriet comune ad altri frontisti,
non pu servirsi della cosa comune per accedere ad altro immobile di sua propriet esclusiva, in quanto tale uso
comporterebbe l'asservimento ad una o pi servit delle quote ideali degli altri partecipanti.
* Cass. civ., 21 ottobre 1972, n. 3187.
In materia di condominio negli edifici, illegittimo l'accordo di destinare la corte comune a spazi di uso esclusivo,
mediante la fruizione esclusiva dei singoli appezzamenti, qualora l'accordo medesimo non risulti comprovato da
alcuna delibera o atto scritto; ne deriva, quindi, la legittimit del provvedimento con il quale il giudice ordina la
rimozione di tutte le recinzioni e dei manufatti abusivi, dovendosi restituire all'uso e al godimento di tutti i
condomini l'intera area verde o corte comune che circonda il fabbricato.
* Corte app. civ. Perugia, 9 febbraio 1988, n. 17, Cardoni e altri c. Miceli, in Arch. loc. e cond. 1988, 585.
In mancanza di vincoli convenzionali l'assemblea condominiale, con deliberazione presa a maggioranza e non
all'unanimit dei partecipanti, ha soltanto il potere di predeterminare le forme di disciplina dell'uso del cortile, ma
non pu disporre la sottrazione all'uso e al godimento anche di uno solo dei condomini.
* Trib. civ. Milano, 29 aprile 1991.
La deliberazione con la quale l'assemblea di un condominio autorizza un condomino ad occupare per il proprio
uso esclusivo una parte del cortile condominiale d luogo in via contrattuale alla costituzione di una servit
soggetta al consenso unanime di tutti i condomini in forma scritta. In difetto di tali requisiti, l'avente causa del
condomino a cui favore l'occupazione era stata prevista non ha titolo per pretendere il rispetto della
deliberazione n per impugnare la successiva delibera con la quale l'assemblea abbia revocato la pregressa

autorizzazione.
* Trib. civ. Monza, 20 maggio 1993, Soc. Irte c. Cond. di via Raiberti n. 14 di Monza.
In tema di condominio, e con riferimento alle parti comuni dell'edificio, il termine "godimento"designa due
differenti realt, quella della utilizzazione obiettiva della res, e quella del suo godimento soggettivo in senso
proprio, con la prima intendendosi l'utilit prodotta (indipendentemente da qualsiasi attivit umana) in favore
delle unit immobiliari dall'unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti, dei servizi
(suolo, fondazioni, muri maestri, tetti, lastrici solari, cortili), la seconda concretantesi, invece, nell'uso delle parti
comuni quale effetto dell'attivit personale dei titolari dei piani o porzioni di piano (utilizzazione di anditi,
stenditoi, ascensori, impianti centralizzati di riscaldamento e condizionamento). Nondimeno, talune delle parti
comuni elencate nell'art. 1117 c.c. (solitamente destinate a fornire utilit oggettiva ai condomini) sono talora,
suscettibili anche di uso soggettivo, uso, pervero, particolare ed anomalo, diverso, cio, da quello connesso con
la funzione peculiare di tali parti ed indipendente dalla relativa funzione strumentale (i muri maestri utilizzati, ad
esempio, per l'applicazione di vetrine o insegne luminose), con la conseguenza che i cortili, funzionalmente
destinati a fornire aria e luce al fabbricato (destinazione "oggettiva") ben possono esser destinati (anche) ad un
uso soggettivo (sistemazione di serbatoi, deposito merci, parcheggio auto), di talch, pur costituendo
"normalmente"oggetto di trasferimento conseguenziale al trasferimento della propriet del piano o porzione di
piano, purtuttavia possono, ex titulo, formare, quanto al relativo godimento soggettvo, oggetto di diversa
pattuizione, quale, come nella specie, l'esclusione del trasferimento della relativa quota di compropriet dell'uso
(soggettivo) come parcheggio auto, specie qualora il cortile stesso non risulti sufficiente ad ospitare le
autovetture di tutti i condomini (s che la clausola di esclusione de qua appare destinata a perseguire interessi
non immeritevoli di tutela). Peraltro, nell'ipotesi di cessione a terzi di un uso siffatto della cosa comune, non al
singolo condomino che spetta la legittimazione alla cessione stessa, essendo, all'uopo, necessario il consenso
di tutti i partecipanti alla comunione, giusta disposto dell'art. 1108, comma 3 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 1 marzo 2000, n. 2255, Lichino ed altro c. Folchi Vici Merighi.
In tema di azione di reintegrazione, la dimostrazione dell'esercizio di fatto del possesso deve essere fornita
dall'attore, ai sensi dell'art. 2697 c.c.; in mancanza di tale prova la domanda va rigettata, poich l'invocata
inversione dell'onere della prova collegabile solo ad eccezionali previsioni di legge (nella specie gli attori,
proprietari e possessori d'un appartamento condominiale, lamentavano la sottrazione di parte del cortile comune
al loro godimento).
* Trib. civ. S. Maria Capua Vetere, 28 giugno 1990.
Utilizzazione del sottosuolo
Con riguardo all'utilizzazione del sottosuolo di un cortile interno in fabbricato condominiale, effettuata dal singolo
condomino per l'installazione di un impianto di riscaldamento destinato alla sua propriet esclusiva, la
configurabilit di uno spoglio o di una turbativa del compossesso di altro condomino (denunciabile con azione di
reintegrazione o manutenzione) postula il riscontro di una situazione di compossesso del cortile medesimo da
parte di questo altro condomino (corrispondente all'esercizio del diritto di propriet e non di un mero diritto di
servit di passaggio), desumibile anche dalla destinazione funzionale del bene al soddisfacimento di esigenze di
accesso, affaccio, luce ed aria dei singoli partecipanti, oltre che, "ad colorandam possessionem", dalla sua
inclusione, in difetto di titolo contrario, fra le parti comuni dell'edificio (art. 1117 cod. civ.), nonch l'accertamento
ulteriore che l'indicata utilizzazione ecceda i limiti segnati dalle concorrenti facolt del compossessore,
traducendosi in un impedimento totale o parziale ad un analogo uso da parte di quest'ultimo.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1985, n. 432, Costa c. Dellerba.
Nel regime giuridico del condominio di edifici, l'uso particolare che il condomino faccia del cortile comune,
interrando nel sottosuolo di esso un serbatoio per gasolio, destinato ad aliminare l'impianto termico del suo
appartamento condominiale, conforme alla destinazione normale del cortile, a condizione che si verifichi in
concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a quelle del sottosuolo, o per altre eventuali ragioni di
fatto, tale uso non alteri l'utilizzazione del cortile praticata dagli altri condomini, n escluda per gli stessi la
possibilit di fare del cortile stesso analogo uso particolare.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1997, n. 4394, Boretti c. Bellini.
Il comproprietario di un cortile pu legittimamente scavare il sottosuolo per installarvi tubi onde allacciare un
bene di sua propriet esclusiva agli impianti idrico-fognario centrali perch da un lato non perci ne viene
alterata la destinazione ad illuminare ed arieggiare le unit immobiliari degli altri condomini; dall'altro rientra nella
funzione sussidiaria del sottosuolo del cortile il passaggio in esso di tubi e condutture.
* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 85, Cond. Stabile Palagiano via Manzoni c. Di Sarno.
Vanelle o cavedi
Il cavedio - talora denominato chiostrina, vanella o pozzo luce - un cortile di piccole dimensioni, circoscritto dai
muri perimetrali e dalle fondamenta dell'edificio comune, destinato prevalentemente a dare aria e luce a locali
secondari (quali ad esempio bagni, disimpegni, servizi), e perci sottoposto al medesimo regime giuridico del
cortile, espressamente contemplato dall'art. 1117, n. 1 c.c. tra i beni comuni, salvo specifico titolo contrario.
* Cass. civ., sez. II, 7 aprile 2000, n. 4350, Maga Moda srl c. Cond. Via Settembrini 36, Milano.
Le vanelle o cavedi, che consistono in un cortile di dimensioni ridotte circondato da tutti i lati, con funzione di
assicurare aria e luce ai singoli appartamenti dell'edificio, sono soggette allo stesso regime del cortile. Tali spazi,
pur potendo essere di propriet esclusiva di taluni condomini, si presumono comuni e costituiscono una
pertinenza dell'edificio condominiale.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 13 novembre 1989.
La vanella un cortile di dimensioni ridotte, circondato da tutti i lati, avente essenzialmente la funzione di
assicurare aria e luce ai singoli appartamenti dell'edificio (pozzo di luce); essa presunta comune anche nel
caso in cui sia delimitata da pi edifici contigui, anzich essere situata entro un unico edificio.

* Trib. civ. Napoli, 25 giugno 1962.


Le cosiddette vanelle, pur potendo essere di esclusiva propriet di taluni condomini, non possono essere
considerati fondi distinti dall'edificio condominiale di cui sono pertinenze.
* Trib. civ. Napoli, 17 settembre 1962.
Conflitto dinteressi e condomino delegato
Importante sentenza della Cassazione (n. 10683/02, inedita) a proposito di condomino in conflitto dinteressi,
portatore per di pi di delega.
In tema di computo delle maggioranze assembleari condominiali ha detto la Suprema Corte l'esistenza di
un conflitto d'interessi reale o potenziale, tra il singolo condomino titolare del diritto di voto e il condominio stesso
comporta la esclusione, dal calcolo dei millesimi, delle relative carature attribuite al condomino confliggente, cos
estensivamente interpretata la norma dettata, in tema di societ per azioni, dallart. 2373 cod. civ. (che inibisce il
diritto di voto al socio in conflitto dinteresse con la societ), ricorrendo in entrambe le fattispecie la medesima
ratio, consistente nellattribuire carattere di priorit allinteresse collettivo rispetto a quello individuale.
Ove, tuttavia, il condomino confliggente prosegue la sentenza della Cassazione sia stato delegato
allespressione del voto da altro condomino, la situazione di conflitto che lo riguarda non estensibile al rappresentato aprioristicamente, ma soltanto allorch si accerti in concreto che il delegante non era a conoscenza di
tale situazione, dovendosi in caso contrario presumere che il delegante abbia, nel conferire il mandato, valutato
anche il proprio interesse non personale, ma in quanto componente della collettivit e labbia ritenuto
conforme a quello portato dal delegato; n applicabile al riguardo ha detto ancora la Cassazione lart.
1394 cod. civ., che prevede la legittimazione del solo rappresentato a dedurre il conflitto, giacch questultimo
non verte, nella specie, tra linteresse personale del rappresentato e quello, pure personale, del rappresentante,
ma tra questultimo e quello della collettivit, onde ogni partecipe di questa legittimato a farlo valere nel
comune interesse.
Allacciamento
Nel condominio di edificio, l'allacciamento di nuovi scarichi, che venga eseguito dal singolo partecipante, nella
colonna condominiale di smaltimento delle acque luride, configura un uso (pi intenso) della cosa comune. Ne
consegue che la legittimit o meno di detto allacciamento deve essere accertata non con riguardo alle
disposizioni dettate dall'art. 1067 c.c., in tema di esercizio delle servit, ma con esclusivo riferimento alle norme
che fissano i limiti del godimento del bene comune da parte dei singoli condomini (artt. 1102, 1118 e segg. c.c.).
* Cass. civ., sez II, 23 aprile 1977, n. 1529.
Va ravvisata alterazione della cosa comune nell'ipotesi in cui un partecipante alla comunione intenda usare un
condotto corrente lungo una parete dell'edificio condominiale e destinato allo scarico di acque piovane per
immettervi il liquame di una costruenda latrina, da scaricare in una fogna sottostante ad un cortile di propriet
altrui.
* Cass. civ., 2 aprile 1969, n. 1086.
L'allacciamento degli scarichi di un fabbricato alle fognature municipali, correnti nel sottosuolo stradale, integra
un uso eccezionale del demanio comunale, e, quindi, si ricollega ad un rapporto di concessione di bene
pubblico. Ne consegue che la controversia che attenga soltanto al canone reclamato dal comune per tale
allacciamento, senza mettere in discussione esistenza, validit ed efficacia di quel rapporto, rientra nella
giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 5 secondo comma della L. 6 dicembre 1971, n. 1034.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 27 maggio 1991, n. 5974, Comune di Verona c. Smanio.
Nel caso in cui il costruttore - venditore di un edificio condominiale abbia assunto - ancorch nei distinti contratti
di vendita dei singoli appartamenti - l'obbligo di provvedere all'allacciamento dell'edificio stesso alla rete idrica e
fognante, il valore della causa nella quale alcuni condomini chiedono la condanna del costruttore-venditore al
rimborso della quota da ciascuno di essi sopportata nella complessiva spesa del condominio, a seguito
dell'inadempimento, da parte del convenuto, alla detta obbligazione, deve essere determinato con riguardo non
alle singole quote rispettivamente dedotte in giudizio, bens all'ammontare dell'intera obbligazione, unitariamente
afferente ad opere inerenti all'edificio nel suo complesso e non riferibili singolarmente ai condomini.
*Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1989, n. 3237, Sanz Merico c. Faenza.
Qualora il canone per l'allacciamento alla fognatura municipale venga determinato dal comune con criterio
proporzionale al numero dei locali, ed il privato insorga contro tale provvedimento, sostenendo che il comune
stesso non ha facolt di imporre contributi per la manutenzione delle opere fognarie, la relativa domanda integra
azione di accertamento negativo di un'obbligazione di natura tributaria, e, pertanto, esula dalle attribuzioni
giurisdizionali del giudice amministrativo, incluse quelle in materia di concessioni di beni o servizi pubblici. (Nella
specie, il Consiglio di Stato con la decisione impugnata aveva negato la propria giurisdizione ed affermata quella
del giudice ordinario).
* Cass. civ., Sezioni Unite, 4 dicembre 1989, n. 5348, Forcuto c. Comune Verona.
Il proprietario di un immobile al cui servizio sia stata installata nel sottosuolo di un cortile, di cui egli
comproprietario con altri, una tubazione fognante, non pu permettere a terzi, senza il consenso degli altri
comproprietari del cortile, di allacciare a detta tubazione i loro scarichi, rappresentando tale allacciamento una
nuova servit che non pu essere costituita senza il consenso di tutti i comproprietari del fondo servente.
* Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1976, n. 3892.
Canale di scarico
L'immissione, da parte del singolo condomino, di acque di rifiuto e di scarico di latrina in un cunicolo
condominiale destinato al solo smaltimento delle acque piovane integra un'alterazione del godimento della cosa
comune, suscettibile di tutela con azione possessoria.
* Cass. civ., 4 gennaio 1977, n. 14.
Un canale di scarico, pur passando nel sottosuolo comune, pu essere di propriet esclusiva, ed in tal caso gli

altri condomini non hanno diritto di usarne, n possono pretendere di usarne contribuendo nelle spese di
manutenzione dell'opera.
* Cass. civ., 26 aprile 1966, n. 1069.
Collocazione di tubi di scarico
Il principio secondo cui l'utilizzazione delle parti comuni dell'edificio condominiale per la realizzazione di impianti
a servizio esclusivo dell'appartamento del singolo condomino esige il rispetto sia delle regole dettate dall'art.
1102 cod. civ., sia delle norme sulle distanze, onde evitare la violazione dei diritti degli altri condomini sulle parti
di immobile di loro esclusiva propriet, non opera nell'ipotesi di installazione di impianti che debbano
considerarsi indispensabili per un'effettiva abitabilit dell'appartamento, al lume dell'evoluzione delle esigenze
generali dei cittadini e delle moderne concezioni in tema di igiene. Tuttavia, anche in tal caso, nel far uso della
cosa comune il condomino deve sempre rispettare la propriet esclusiva degli altri condomini, non potendo
invaderne la sfera di facolt e di diritti inerenti alla piena potest sulla cosa, n gravarla di pesi e limitazioni, ove
non abbia acquisito al riguardo - per legge o per convenzione - il relativo diritto. (Nella specie la Suprema Corte
ha cassato la decisione impugnata affinch i giudici di rinvio accertino se l'installazione di un tubo di fogna lungo
il muro perimetrale dell'edificio condominiale comporti violazione dei diritti del ricorrente, il quale , nel
contempo, condomino e proprietario esclusivo del fondo confinante con l'edificio condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1980, n. 597, Campria c. Laiacona.
Non costituisce innovazione, ma rientra nell'uso legittimo del cortile comune, la costruzione, nel sottosuolo del
cortile stesso, di tubo di scarico tra l'appartamento di un condomino e la fogna comunale, giacch essa, mentre
non altera la destinazione obiettiva del cortile, che quella di dare aria e luce agli appartamenti ed ai piani ed
agli edifici circostanti, costituisce un'utilit accessoria che il suddetto bene comune pu offrire ai condomini,
purch tale uso sia mantenuto nei limiti dell'art. 1102 c.c..
* Cass. civ., sez. II, 7 luglio 1978, n. 3405.
Lo stabilire se un determinato uso della cosa comune (nella specie, collocazione nel muro comune di tubi di
scarico dell'acqua) pregiudichi in concreto i diritti degli altri condomini si risolve in un giudizio di fatto, demandato
al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimit, se adeguatamente motivato.
* Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1980, n. 454, Sebastiani c. Specchio.
Deve ritenersi lecita la posizione di una conduttura di acque luride di scarico alla parete di un pianerottolo, in
modo che essa non sia visibile poich l'uso futuro ed eventuale, che di essa parete vogliano fare gli altri
condomini (a posizione di altri tubi, apertura di porte, ecc.), potr essere determinato secondo il criterio dell'equo
contemperamento dei diversi interessi.
* Cass. civ., 9 giugno 1975, n. 2293.
L'installazione di nuovi tubi, per lo scarico di servizi igienici nelle condutture di edificio condominiale, la quale
venga eseguita all'interno del solaio di separazione fra due piani, configura un uso legittimo della cosa comune
da parte del singolo condomino, ai sensi dell'art. 1102, ove non ne alteri la destinazione e non impedisca agli
altri partecipanti di farne pari uso, e cio non ostacoli l'allocazione di altre analoghe tubazioni, e non soggetta
alle disposizioni che sono dettate dall'art. 889 c.c., in tema di distanze per pozzi, cisterne, fosse e tubi e che
regolano i rapporti di vicinato fra costruzioni e fondi finitimi.
* Cass. civ., 23 aprile 1977, n. 1529.
Non altera la destinazione della cosa comune ai sensi dell'art. 1102 c.c. il comunista che installa un tubo di
scarico di acque luride nel cortile comune interno ad un fabbricato.
* Trib. civ. S. Maria Capua Vetere, 30 ottobre 1985, in Nuovo dir. 1987, 574.
Danni
Qualora a seguito della rottura di una installazione comune dell'edificio condominiale (nella specie, tubo di
scarico del liquame), riconducibile alla colpevole condotta di uno degli utenti del servizio comune, derivino danni
al terzo, al relativo risarcimento - stante il principio, in tema di responsabilit aquiliana, del carattere personale
della colpa - tenuto il condominio, da individuare specificamente, che ha causato l'evento dannoso e non il
gruppo dei condomini interessati al servizio ovvero l'intero condominio.
* Cass. civ., sez. III, 12 maggio 1981, n. 3146, Cond. Isola 98 c. Guerrera.
In caso di allagamento di locali seminterrati a causa esclusivamente del riflusso entro la fogna privata di acque
provenienti da quella comunale, riflusso dovuto unicamente alla mancata e doverosa predisposizione dei
dispositivi antirigurgito, si deve ritenere che responsabile dei danni sia il condominio, ove lo stesso non abbia
adottato le prescritte valvole antirigurgito, e non il Comune proprietario della fognatura.
* Corte app. civ. Roma, sez. I, 15 febbraio 1988, n. 477, Comune di Roma c. Parenza, Cond. via dei Colli
Portuensi, Di Bernardino e Soc. L'Architettonica I e II, in Arch. loc. e cond. 1989,498.
La domanda del condomino di risarcimento dei danni per il cattivo funzionamento di un impianto comune (nella
specie: condotta delle acque luride), derivando dal pregiudizio effettivamente subito per il fatto del terzo (il
condominio rispetto ad esso condomino) e tendendo alla ricostituzione dell'integrit patrimoniale del detto
soggetto leso dal difetto del bene comune, non postula, per la sua procedibilit, la previa richiesta
all'amministratore, n la necessit di istanza o convocazione dell'assemblea condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 19 giugno 1984, n. 3629, Ciaccia c. Migliore.
Il condominio responsabile dei danni causati all'appartamento di un condomino da infiltrazioni derivanti dalla
parte della fognatura condominiale che arriva sino al punto di innesto con la fognatura stradale, mentre non
responsabile dei danni causati alla rete di fognatura esterna al condominio stesso.
* Corte app. civ. Roma, 30 novembre 1964, in Riv. giur. edilizia 1965, I, 1308.
Qualora un pozzetto e tubi di ispezione della fognatura attengano ad un servizio generale dell'edificio esso
sottoposto a custodia condominiale anche se collocato in propriet solitaria. In caso di fuoriuscita per il
condominio perde la responsabilit se esso stato manomesso dall'occupante della propriet privata.

* Trib. civ. Milano, 27 febbraio 1992, in L'Ammin. 1992, n. 4.


Edifici limitrofi
Le spese inerenti alla pulizia della gronda, trattandosi di spesa relativa a cosa comune, devono gravare su tutti i
condomini, difettando qualsiasi prova che l'intasamento della gronda stessa sia dovuto a fatto esclusivo di un
condomino.
*Trib. civ. Milano, 14 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond., 1991, n. 764.
Pozzo nero
La costruzione di un pozzo nero, eseguita nel cortile comune da parte di uno dei condomini dell'edificio, che
ricada, in virt del principio dell'accessione, in comunione pro indiviso, e del quale, pertanto, gli altri condomini
possono fare uso al pari del condominio costruttore, rappresenta un uso consentito della cosa comune, non
dando luogo ad alterazione dell'utilizzazione diretta dell'area sovrastante secondo la sua destinazione naturale e
non impedendo, nel caso in cui non sia sufficiente a soddisfare le esigenze delle varie unit immobiliari, la
possibilit di una pari utilizzazione della parte residua del fondo.
* Cass. civ., sez. II, 29 marzo 1978, n. 1456.
La compropriet di pozzi neri scavati sotto un cortile non comporta necessariamente la compropriet del cortile
soprastante, che pu essere esclusa dal titolo e da una diversa situazione di destinazione.
* Cass. civ., 17 ottobre 1966, n. 2488.
Spese
L'art. 1123, primo cpv., cod. civ., che nell'ipotesi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa
dispone che le relative spese sono ripartite in proporzione dell'uso da ciascuno fattone, non pu subire deroga
per la circostanza che l'unit immobiliare sia compresa nella tabella millesimale generale dell'edificio
condominiale, in quanto tali tabelle, formate in base al solo valore delle singole unit immobiliari, servono solo
per il riparto delle spese generali e di quelle che riguardano le parti dell'edificio comuni a tutti i condomini, ma
non sono utilizzabili per il riparto delle spese che non sono comuni a tutti i condomini in ragione del diverso uso
delle cose condominiali. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha confermato la
pronuncia della corte di merito che aveva ritenuto non dovute dalla parte attrice, la cui propriet era pur inclusa
nelle tabelle millesimali, le spese per la manutenzione delle fognature, in quanto il suo locale al piano interrato
era sfornito di impianti igienici).
* Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1987, n. 8484, Cond. V. Nobili c. Carini.
Con riguardo all'impianto di fognatura di un edificio in condominio l'indagine diretta a stabilire se il condomino
che non utilizzi detto impianto, per essere l'unit abitativa di sua propriet collegata con l'impianto idrico sanitario
di un altro condominio, sia egualmente comproprietario dell'impianto condominiale e quindi, in applicazione
dell'art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere nelle spese inerenti alla sua conservazione, va condotta in base ai
criteri indicati nell'art. 1117 c.c. sull'individuazione delle parti comuni dell'edificio, tenendo conto che la
comunione di detto impianto ove debba essere negata in base alla citata norma pu essere riconosciuta per
effetto di diversa previsione del regolamento condominiale, quando esso abbia natura contrattuale perch
predisposta dall'originario unico proprietario dell'edificio e poi accettato con i singoli atti di acquisto, ovvero
perch adottato con il consenso unanime di tutti i partecipanti, manifestato nelle debite forme.
* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1991, n. 13160, Condominio via L. Nobili n. 46 Roma c. Pierboni.
Le opere destinate a servire una parte dell'intero fabbricato, e i conseguenti danni, sono a carico del gruppo di
condomini che ne trae utilit (nella specie si trattava di interventi condominiali diretti al rifacimento della condotta
fecale).
* Trib. civ. Napoli, sez. III, 27 giugno 1992, n. 8205, Coppeto c. Panaro, in Arch. loc. e cond., 1993, 116.
Le riparazioni alle tubature effettuate nell'interno degli appartamenti sono a carico dei rispettivi proprietari.
* Trib. civ. Milano, 26 giugno 1970, in Riv. giur. edilizia 1972, I, 216.
Le prese per la costruzione di nuovi canali di scarico e di nuova fognatura, necessari per sostituire il preesistente
sistema di scarico, a pozzi perdenti, con altro collegato direttamente alla fogna comunale, vanno ripartite tra i
condomini, non in proporzione all'uso che ciascuno di essi pu farne, secondo la previsione di cui all'art. 1123,
comma 2, c.c., bens in misura proporzionale ai valori di propriet individuale espressi in millesimi, a norma del
comma 1 dello stesso articolo, purch i relativi condotti costituiscano un impianto unico non suscettibile di
frazionamenti, quali parti integranti del medesimo condotto principale nel quale confluiscono senza del quale non
potrebbero funzionare.
* Cass. civ., 12 ottobre 1979, n. 533.
Le cause aventi ad oggetto con la formazione delle tabelle millesimali la ripartizione di spese attinenti all'uso e al
godimento dei servizi condominiali e dei beni comuni (nella specie spese di spurgo della fossa biologica e di
pozzetti) non rientrano tra le controversie relative alle modalit di uso e alla misura dei servizi condominiali
rispettivamente di competenza del conciliatore (art. 7 cpv., c.p.c.) e del pretore (art. 8, n. 4, c.p.c.) - in quanto la
patrimonialit del thema decidendum prevale sull'accertamento della misura e delle modalit dell'uso, che
costituisce soltanto un presupposto necessario per la determinazione delle singole quote di spesa.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6936, Piccirillo c. Cartaro ed altri.
Esalazioni maleodoranti
Per stabilire se la destinazione o la fruibilit di un ambiente comune, in un condominio edilizio, siano state
degradate dalle esalazioni di un gabinetto di decenza costruito da uno dei condomini, il giudice del merito non
pu limitarsi a constatare l'esistenza di un parere positivo dell'autorit sanitaria comune, poich quest'ultima
cura interessi pubblici diversi da quelli privati, tutelati dalle norme del codice civile sul condominio.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1978, n. 4844.
Le esalazioni maleodoranti o comunque sgradevoli non rientrano nella tutela penalmente apprestata dall'art. 674
del codice penale per le emissioni moleste di gas vapori e fumo, ma possono esser fonte di responsabilit civile,

ove eccedano i limiti posti dall'art. 844 c.c.


* Cass. pen., sez. I, 24 aprile 1991, n. 4539 (ud. 29 gennaio 1991), Garzia.
In genere
La disposizione dell'art. 844 c.c., applicabile anche negli edifici in condomino nell'ipotesi in cui un condomino
nel godimento della propria unit immobiliare o delle parti comuni dia luogo ad immissioni moleste o dannose
nella propriet di altri condomini. Nell'applicazione della norma deve aversi riguardo, peraltro, per desumerne il
criterio di valutazione della normale tollerabilit delle immissioni, alla peculiarit dei rapporti condominiali e alla
destinazione assegnata all'edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. In particolare,
nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unit immobiliari siano soggette a
destinazioni differenti, ad un tempo ad abitazione ed ad esercizio commerciale, il criterio dell'utilit sociale, cui
informato l'art. 844 citato, impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed
economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali (v. Cost., artt. 14, 31 e 47) le
esigenze personali di vita connesse all'abitazione, rispetto alle utilit meramente economiche inerenti
all'esercizio di attivit commerciali. (Nella specie la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito la quale
aveva ordinato la rimozione dal muro perimetrale comune di una canna fumaria collocata nella parte terminale a
breve distanza dalle finestre di alcuni condomini, destinata a smaltire le esalazioni di fumo, calore e gli odori
prodotti dal forno di un esercizio commerciale ubicato nel fabbricato condominiale).
* Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1993, n. 3090, Cannata c. Pizzo.
La norma dell'art. 844 applicabile anche ai rapporti tra i condomini di uno stesso edificio, quando uno di essi,
nel godimento della cosa propria od anche comune, dia luogo ad immissioni moleste e dannose nella propriet
dell'altro.
* Cass. civ., 20 febbraio 1969, n. 570.
Ai fini della valutazione della liceit delle immissioni, l'art. 844 cod. civ. enuncia tre diversi criteri, di cui due
obbligatori ed uno facoltativo e sussidiario: i criteri obbligatori sono quelli della normale tollerabilit e del
contemperamento delle ragioni della propriet con le esigenze della produzione, mentre il criterio facoltativo
quello della priorit dell'uso.
* Cass. civ., sez. II, 20 dicembre 1985, n. 6534, Dei A. c. Dei M.
Qualora i condomini, con il regolamento di condominio, abbiano disciplinato i loro rapporti reciproci in materia di
immissioni con norma pi rigorosa di quella dettata dall'art. 844 c.c., che ha carattere dispositivo, della liceit o
meno della concreta immissione si deve giudicare non alla stregua del principio generale posto dalla legge,
bens dal criterio di valutazione fissato nel regolamento (nella specie trattavasi dell'installazione di una tipografia
nonostante che il regolamento facesse divieto di svolgere attivit rumorose od emananti esalazioni nocive).
* Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1992, n. 1195.
La protezione della propriet da immissioni dannose concessa dagli artt. 949 e 844 cod. civ. anche nei rapporti
tra condomini di uno stesso edificio quando uno di essi, nel godimento della cosa propria o comune, dia luogo
ad immissioni moleste e dannose nella propriet di altro condomino, facendo sorgere in colui che subisce
l'immissione dannosa, il diritto al risarcimento del danno e ad una declaratoria giudiziale che sanzioni
l'illegittimit delle immissioni.
* Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 1982, n. 448, Leotta c. Greco.
La possibilit di eliminare o di ridurre la immissione con l'adozione di idonei accorgimenti tecnici pu influire nella
valutazione della tollerabilit delle immissioni stesse, nel senso di far considerare intollerabile ci che pu essere
eliminato senza soverchio sacrificio e con mezzi normali; ma ci non consente di affermare, in via di illazione,
che possano valutarsi con minor rigore quelle immissioni rispetto alle quali ogni rimedio sia stato adottato e si sia
rivelato, o non possa che rivelarsi, inutile, ci perch l'adozione di accorgimenti tecnici non rileva, in relazione al
suo costo, sul piano della valutazione della normale tollerabilit delle immissioni bens, in relazione alla sua
efficienza (o, al pi, in relazione al rapporto tra il suo costo e la sua efficienza, ed impregiudicato restando, il
caso di totale o parziale inefficienza, il rimedio dell'indennizzo) sul piano della decisione circa i rimedi e le misure
da adottare.
* Cass. civ., 10 ottobre 1975, n. 3241.
Sia la norma dell'art. 844 cod. civ. e sia quella dell'art. 890 dello stesso codice sono ispirate all'esigenza di
contemperare le ragioni della propriet con le necessit economico-sociali, con potere del giudice di stabilire i
rispettivi limiti; mentre l'art. 844 tende a tutelare la propriet delle immissioni, il successivo art. 890 ha un pi
vasto campo di applicazione, estendendo la sua previsione a tutti i casi in cui le immissioni sono tali da
provocare anche soltanto il pericolo di pregiudizio alla stabilit di un immobile o alla salubrit del luogo.
* Trib. civ. Napoli, 18 luglio 1983, Longo c. Spa Italsider, in Arch. civ. 1984, 770.
Il problema dell'interpretazione analogica dell'art. 844 c.c. in ipotesi in cui sia stata (esclusivamente) proposta
azione ex art. 2043 c.c. in realt (ai fini di causa) un falso problema, perch quando l'attore si limita ad agire
contro l'autore delle immissioni per la loro eliminazione chiaro che egli svolge solo un'azione personale
inquadrabile nell'azione di risarcimento in forma specifica di cui all'art. 2058 c.c.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. loc. e cond. 1993, 496.
nquinamento atmosferico
La L. 13 luglio 1966, n. 615, la quale, all'art. 20, stabilisce che tutti gli stabilimenti industriali devono possedere
impianti, installazioni o dispositivi tali da contenere entro i pi ristretti limiti che il progresso tecnico consenta, le
emissioni di fumi, gas, polveri o esalazioni ch, oltre a costituire comunque pericolo per la salute pubblica,
possono contribuire all'inquinamento atmosferico, non concerne la materia delle immissioni, cui si riferisce l'art.
844 c.c., n, pi in generale, quella dei rapporti privatistici di vicinato, come risulta dalle finalit di detta
disciplina, quale traspare dal riferimento alla tutela della "salute pubblica" e, in particolare, alla prevenzione

dell'inquinamento atmosferico.
* Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 1975, n. 3241.
In tema di immissioni i limiti di tollerabilit previsti dalla L. 13 luglio 1966 n. 615 non trovano applicazione nei
rapporti privatistici di vicinato, che restano disciplinati dall'art. 844 cod. civ., con la conseguenza che
l'accertamento dell'eventuale intollerabilit delle immissioni comporta l'esistenza del danno in re ipsa e per il
vicino il diritto ad ottenere il risarcimento del danno a norma dell'art. 2043, fintantoch non vengano eliminate le
dette immissioni.
* Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1987, n. 2580, Eridania c. Amoretti.
Le disposizioni della L. 13 luglio 1966 n. 615, contenente provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico,
disciplinano comportamenti che prescindono da qualsiasi collegamento con la propriet fondiaria e che vengono
presi in considerazione in s e per s nell'interesse collettivo alla salvaguardia della salute in generale e non per
stabilire i limiti di equilibrio nella utilizzazione di tale propriet che rimangono affidati alla disciplina delle
immissioni ex art. 844 cod. civ., senza trovare sanzione nella detta legge avente una diversa sfera di operabilit.
Pertanto, in materia di conflitti tra fondi vicini il comportamento dannoso del proprietario di uno di essi, quale
l'emissione di fumo prodotto da combustione dalla finestra di un locale adibito a panificio, pur essendo contraria
alle dette norme contro l'inquinamento atmosferico, non attribuisce ex se al proprietario di un appartamento
nell'edificio in condominio col primo il diritto di chiederne l'eliminazione se non nel caso in cui egli dimostri che
l'immissione di fumo nel suo appartamento supera il limite della normale tollerabilit ai sensi dell'art. 844 cod.
civ.
* Cass. civ., sez. II, 16 marzo 1988, n. 2470, Scannapiero c. Califri.
In caso di effetti pregiudizievoli subiti da immobili siti in prossimit di uno stabilimento a causa delle immissioni di
polveri provenienti da questo, possono essere ritenute intollerabili ai sensi dell'art. 844 c.c. anche le immissioni
che non superino i limiti fissati dalla L. 13 luglio 1966, n. 615, sull'inquinamento atmosferico.
* Corte app. civ. Napoli, sez. I, 14 maggio 1992, n. 1162, Societ Cementir c. Rigillo e altri, in Arch. loc. e cond.
1993, 311.
Limitazioni imposte dal regolamento
Quando l'attivit posta in essere da uno dei condomini di un edificio idonea a determinare il turbamento del
bene della tranquillit degli altri partecipi, tutelato espressamente da disposizioni contrattuali del regolamento
condominiale, non occorre accertare al fine di ritenere l'attivit stessa illegittima, se questa costituisca o non
immissione vietata a norma dell'art. 844 cod. civ., in quanto le norme regolamentari di natura contrattuale
possono sempre imporre limitazioni al godimento della propriet esclusiva anche maggiori di quelle stabilite
dalla indicata norma generale sulla propriet fondiaria.
* Cass. civ., sez. II, 15 luglio 1986, n. 4554, Graziosi c. Fiesoletti.
Normale tollerabilit
La disciplina relativa alle immissioni moleste provenienti dal fondo vicino, dettata dall'art. 844 cod. civ., ed il
limite della tutela inibitoria alle immissioni che superano la normale tollerabilit, trovano applicazione anche nei
rapporti di condominio, tra parte di propriet esclusiva e parte di propriet comune.
* Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1983, n. 2396, Casati c. Cond. Quadrio MI.
L'accertamento della tollerabilit o meno delle immissioni agli effetti previsti dall'art. 844 cod. civ., inerisce non
gi ad un presupposto processuale, ma concerne una condizione dell'azione, verificabile, come tale, tenendo
conto anche dei fatti sopravvenuti nelle more del giudizio. (Nella specie, il Supremo Collegio, enunciando il
surriportato principio, ha cassato la decisione d'appello, confermativa del giudizio di intollerabilit delle
immissioni espresse dal primo giudice, perch emessa senza il previo controllo sull'esistenza in atto di tale
intollerabilit).
* Cass. civ., sez. II, 18 dicembre 1981, n. 6718, Soc. Cartiere R. c. Amadori.
La circostanza che il capoverso dell'art. 844 c.c. dia all'autorit giudiziaria ampi poteri discrezionali nella
valutazione del limite della normale tollerabilit delle immissioni, dovendosi contemperare le esigenze della
produzione con quelle della propriet, tenendo anche conto, se del caso, della priorit dell'uso, non vuol dire che
quel limite possa essere superato, ma soltanto che esso debba essere valutato pi o meno rigorosamente, in
relazione alle indicazioni date dalla norma, e che conferito all'autorit giudiziaria il potere di dare quelle
disposizioni che valgono a ricondurre, quando sia possibile, al limite di tollerabilit le immissioni, nonch di
determinare un equo indennizzo quando quelle, bench tollerabili, producano un certo danno. Da ci deriva che
le immissioni ritenute intollerabili dal giudice del merito costituiscono fatto illecito, possibile causa di danno
risarcibile a norma dell'art. 2043 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1977, n. 740.
In tema di nozione della normale tollerabilit, agli effetti di quanto dispone l'art. 844 cod. civ., opera il criterio
della relativit, essendo affidato al giudice un compito moderatore ed equilibratore da esercitarsi di volta in volta,
con riguardo, oltre alle condizioni di tempo e di luogo nelle quali si verificano le immissioni, anche alla loro
intensit ed idoneit a ripercuotersi sfavorevolmente sui soggetti che le ricevono.
* Pret. civ. Taranto, sede distaccata di Massafra 23 novembre 1977, Iurlano ed altri c. Lombardo e Morelli, in
Arch. civ. 1978, 68.
Il parametro della normale tollerabilit, di cui all'art. 844 cod. civ., in tema di immissioni derivanti dal fondo del
vicino, va accertato in base al criterio della relativit e caso per caso, essendo affidato al giudice un compito
moderatore da esercitarsi in relazione alle singole situazioni e all'entit degli interessi in conflitto e con riguardo,
altres, alle esigenze della convivenza sociale e della funzione sociale della propriet.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 27 gennaio 1978, n. 206, Cooperativa Sportiva Villaggio Brugherio Srl c. Castelli,
in Arch. civ. 1978, 546.
Procedimento (azione inibitoria)

Qualora un gruppo di condomini chieda la cessazione di immissioni moleste provenienti da un locale adibito ad
esercizio commerciale sito nel medesimo edificio in condominio e il giudice disponga l'esecuzione delle opere
necessarie per l'eliminazione delle denunciate immissioni, deve esser disposta l'integrazione del contraddittorio
nei confronti di tutti quei condomini, estranei al giudizio, le cui propriet individuali riceverebbero pregiudizio
dall'esecuzione delle opere stesse. (Nella specie, i giudici di appello avevano disposto l'esecuzione di opere
idonee ad eliminare le immissioni stesse - costruzione di canna fumaria lungo la parete esterna dell'edificio - ma
avevano rigettato l'istanza di integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini rimasti estranei al
giudizio, limitandosi a disporre che le opere venissero eseguite "salva l'opposizione degli altri condomini aventi
diritto").
* Cass. civ., sez. II, 6 marzo 1978, n. 1108.
L'azione diretta ad impedire le immissioni intollerabili provenienti dal fondo del vicino non pu senz'altro essere
considerata azione reale a difesa della propriet o di altro diritto reale, perch ove la violazione materiale della
sfera giuridica altrui non sia accompagnata dalla pretesa di un diritto reale limitato sulla cosa, l'azione ha
carattere essenzialmente personale, a nulla rilevando che il diritto a pretendere l'eliminazione dell'attivit
materiale commessa dal terzo sia sorta a causa della lesione di un diritto reale. In detta ipotesi, la domanda
rivolta ad ottenere la rimozione della situazione lesiva del diritto di propriet esorbita dai limiti della negatoria e
va compresa nell'azione di risarcimento del danno mediante integrazione in forma specifica.
* Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1975, n. 4124.
L'azione concessa al proprietario ex art. 844 c.c., per far dichiarare l'illiceit delle immissioni moleste provenienti
dal fondo altrui e per impedire che l'immobile proprio le subisca, costituisce un'azione di carattere reale, che
rientra nel paradigma delle azioni negatorie predisposte a tutela della propriet, in ordine alle quali il valore della
causa va determinato in base al disposto dell'art. 15 c.p.c. Ne consegue, che, quando agli atti non risulta il
reddito dominicale o la rendita catastale del bene immobile, si ha presunzione di competenza del giudice adito, e
grava sul convenuto, che eccepisce l'incompetenza per valore, l'onere di provare l'ammontare del predetto
reddito o della predetta rendita (o che, non risultando tali elementi di valutazione, la causa deve considerarsi di
valore indeterminabile), senza che i limiti di competenza per valore possano ritenersi superati per effetto di
un'ulteriore richiesta risarcitoria, atteso che la riserva di contenimento della competenza va riferita all'intero.
* Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1995, n. 8602, Barbano c. Ricci, in Arch. loc. e cond. 1996, 50.
In tema di immissioni in alienum la domanda di cessazione della turbativa comprende necessariamente l'istanza
di eliminazione delle molestie e una tale finalit pu essere conseguita sia con la radicale rimozione dell'attivit
svolta dal vicino, sia con l'attuazione degli accorgimenti tecnici idonei ad evitare la denunciata situazione
pregiudizievole, sia, infine, consentendo le immissioni contro pagamento di un'indennit a carico dell'immittente
ed a favore del proprietario del fondo soggetto alle immissioni medesime.
* Cass. civ., 21 novembre 1973, n. 3138.
In caso d'immissioni che eccedano la normale tollerabilit, l'attore pu esperire azione inibitoria ex art. 844 cod.
civ., per far cessare le immissioni ed ottenere il risarcimento del danno subito.
* Trib. civ. Milano, 7 gennaio 1988, Saccone e altra c. Condominio Via Edison 12, Novate Milanese, in Arch. loc.
e cond. 1989, 538.
L'amministratore di condominio legittimato a proporre ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per far cessare
immissioni moleste solo qualora nel ricorso stesso venga prospettata la sussistenza di un pregiudizio
incombente sul condominio in quanto tale, vale a dire sui beni di propriet comune ex art. 1117 c.c.
* Trib. civ. Napoli, ord. 26 ottobre 1993, Condominio di via Terracina n. 81/25 di Napoli c. Miceli e Soc. Toscana,
in Arch. loc. e cond. 1995, 168.
Nell'azione ex art. 844, cod. civ., ove la tutela inibitoria sia richiesta per la tutela del diritto alla salute, lo schema
reale diventa un semplice presupposto formale al quale va ricollegata la legittimazione ad agire.
* Pret. Pietrasanta, ord. 17 marzo 1989, Bolgioni c. Moba, in Arch. civ. 1989, 520.
Responsabilit del conduttore
Nel caso di molestie determinate da attivit svolte in una abitazione data in locazione, il conduttore, che ha il
godimento e l'uso della cosa locata, responsabile, per le immissioni che superino la normale tollerabilit, nei
confronti dei proprietari o degli inquilini degli appartamenti vicini, e tale responsabilit non pu essere limitata al
fatto personale del conduttore medesimo e delle sole persone di cui egli abbia la legale rappresentanza, in
quanto la titolarit del rapporto di locazione implica che egli debba impedire lo svolgimento, nell'abitazione
locatagli, delle predette attivit da parte di tutte le persone appartenenti al suo nucleo familiare. La colposa
violazione di tale obbligo, che trova rispondenza in un principio di responsabilit sociale, fonte di responsabilit
extracontrattuale (ai sensi, peraltro, dell'art. 2043 e non dell'art. 2051 cod. civ.) del soggetto titolare del rapporto
di locazione, che , pertanto, passivamente legittimato in ordine alle azioni inibitoria e risarcitoria proposte, nei
suoi confronti da inquilini o condomini dello stabile.
* Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1981, n. 6356, Aiese c. Colletta.
Rumori
Il bene della salute ha carattere primario ed assoluto, e nello ambito della tutela dei diritti assoluti assicurata
dagli art. 2043 e 2058 cod. civ., deve essere protetto contro qualsiasi attivit che possa menomarlo, ma
l'assolutezza e l'incomprimibilit del diritto non escludono la necessit di accertare quali siano le condizioni
obiettive nel cui contesto il diritto viene esercitato, e se sia razionale il sacrificio totale di ogni altra esigenza in
potenziale conflitto con esso, tenuto anche conto che la ricerca dell'effettiva esistenza della menomazione (ossia
del confine tra un'attivit che reca un semplice fastidio psicofisico ed un'attivit che determina una vera e propria
menomazione di quel bene, nel senso di dar luogo ad oggettivi fenomeni patologici fisici o psichici) non pu
essere compiuta con criteri puramente astratti, che prescindano dal concreto ambiente in cui la persona vive ed
opera. Pertanto, sia al fine di accertare la concreta sussistenza della lesione, sia al fine di stabilire le concrete

modalit della tutela, non pu ritenersi ingiustificato il ricorso all'applicazione analogica delle disposizioni dell'art.
844 cod. civ. in tema di immissioni moleste, laddove fanno riferimento al criterio della tollerabilit della molestia
ed alla possibilit di estendere l'intervento del giudice al di l della barriera dell'inibizione assoluta, in modo da
ricomprendere la determinazione dei mezzi necessari per ricondurre l'attivit aggressiva nei limiti del diritto.
(Nella specie, l'occupante di un appartamento di un edificio in condominio aveva chiesto l'inibizione dell'esercizio
della centrale termica condominiale, ubicata in un locale sottostante allo appartamento, poich la rumorosit
dell'impianto recava nocumento alla sua salute; la Suprema Corte, alla stregua del principio di cui in massima,
ha ritenuto che, una volta accertata la lesione del diritto, non fosse a priori vietato al giudice, ai fini della tutela
dello stesso, di ordinare, anzich l'inibizione dell'uso dello impianto nel luogo in cui si trovava, l'esecuzione di
opere atte ad eliminare i rumori o a ricondurli nei limiti della tollerabilit).
* Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1983, n. 2396, Casati c. Cond. Quadrio MI.
In tema di immissioni (nella specie di rumori), le disposizioni dell'art. 844 cod. civ. trovano applicazione avendo
riguardo alla situazione del fondo che le riceve, con la conseguenza che se questo sito in zona residenziale, la
normale tollerabilit deve essere valutata in base ai criteri vigenti in tale zona, in cui le immissioni stesse si
propagano, a nulla rilevando la loro normalit riferita al luogo di provenienza (nella specie, zona industriale).
* Cass. civ., sez. II, 30 luglio 1984, n. 4523, Sica c. Glielmi.
Dalla mancata emanazione da parte del Comune di una propria regolamentazione limitatrice delle attivit
rumorose, in base all'art. 66 del T.U. delle leggi di P.S., approvato con decreto 18 giugno 1931, n. 773, non si
pu desumere che il Comune stesso abbia ritenuto l'attivit produttiva prevalente sulle esigenze di quiete dei
privati, e che, in conseguenza, ogni imposizione di restrizioni debba considerarsi illegittima e l'art. 844 c.c. non
possa trovare applicazione. Le due norme, infatti, hanno finalit e campo di azione ben distinti: la prima, di
interesse pubblico, mira a tutelare la quiete pubblica, riguarda i rapporti tra l'esercente l'attivit e la collettivit in
cui egli opera, creando obblighi dell'esercente nei confronti degli enti preposti alla vigilanza, ma non diritti perfetti
nei confronti degli abitanti del Comune; la seconda, invece, regolando un rapporto fra fondi, tutela il diritto reale
di propriet.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1974, n. 1452.
La potenzialit diffusiva del rumore nelle abitazioni confinanti con il pubblico esercizio dal quale provengano le
immissioni sonore, e il pregiudizio per la tranquillit esistenziale delle persone presenti in tali abitazioni, possono
essere desunti sulla base di prove documentali e testimoniali, oltre che dall'esame degli imputati, senza la
necessit degli accertamenti fonometrici realizzati sulla base dei metodi di misurazione previsti dal D.P.C.M. 1
marzo 1991.
* Cass. pen., sez. I, 19 settembre 1996, Cantarella.
Il D.P.C.M. 1 marzo 1991 pone un limite di accettabilit dell'inquinamento acustico che deve essere tenuto
presente nella valutazione della tollerabilit delle immissioni sonore ex art. 844 c.c. per cui, oltre alla
determinazione dei limiti massimi assoluti, si deve tener conto anche dei limiti relativi, ossia della differenza
massima da non superare rispetto al livello del rumore ambientale.
* Corte app. civ. Milano, 29 novembre 1991, n. 1987, in Arch. loc. e cond. 1992, 113.
Tutte le immissioni sonore, anche se provengono da un appartamento ubicato nello stesso stabile in cui si trova
quello ove le stesse si propagano, devono essere mantenute entro i limiti di cui al D.P.C.M. 1 marzo 1991.
* Pret. civ. Pescara, ord. 15 marzo 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, n. 3.
Il D.P.C.M. 1 marzo 1991 non ha sostanzialmente modificato il precedente quadro giuridico di tutela
dall'inquinamento acustico (artt. 32 Cost. e 844 c.c.), in quanto i limiti previsti da tale normativa fanno riferimento
solo agli obblighi dei cittadini verso l'autorit, ma non autorizzano il singolo, una volta che egli abbia ottemperato
a tali norme, a violare i diritti specificamente previsti in favore dell'individuo e della propriet
* Trib. civ. Monza, sez. I, 14 agosto 1993, n. 1436, Monti e altro c. La Tessitura F.lli Caimi, in Arch. loc. e cond.
1994, 122.
I limiti di maggior favore previsti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 in materia di inquinamento acustico non hanno
modificato il quadro giuridico di cui agli artt. 844 c.c. e 32 della Costituzione per cui il punto di intollerabilit da
ritenersi ancora raggiunto allorch un determinato rumore superi di tre decibel il rumore di fondo.
* Trib. civ. Monza 4 novembre 1991, n. 1831, in Arch. loc. e cond. 1992, 345.
In materia di inquinamento acustico, i limiti previsti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 non hanno superato i criteri fissati
dall'art. 844 c.c.; pertanto, nel caso di immissioni sonore, deve farsi riferimento alla "rumorosit di fondo" della
zona, cio a quel complesso di suoni, di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici della
zona medesima, sui quali si innestano, di volta in volta, rumori pi intensi (voci, veicoli...); tali elementi devono
essere valutati in modo obiettivo, in relazione alla reattivit dell'uomo medio. In particolare, il principio da seguire
per determinare la tollerabilit del rumore quello del mancato superamento della soglia di 3 decibel oltre il
rumore di fondo, che equivale ad un raddoppio dell'intensit di quest'ultimo.
* Trib. civ. Como, 21 maggio 1996, n. 871, Moretti c. Carenzio e Gentili, in Arch. loc. e cond. 1997, 103.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilit, di cui all'art. 844 c.c., pur in assenza di prova idonea a
dimostrare la configurabilit di un danno biologico specifico, realizzano una lesione del diritto alla salute
genericamente inteso ex art. 32 Cost., che trova il fondamento della sua risarcibilit nell'art. 2043 c.c.
* Corte app. civ. Torino, 4 novembre 1992, in Giur. merito 1993, 949.
Il rumore, in quanto eccedente i valori della normale tollerabilit, di per s nocivo alla salute di chi lo deve
sopportare; per realizzarsi lesione del diritto alla salute non quindi necessaria alcuna ulteriore prova del danno
psicologico subito n del carattere ingiusto del rumore medesimo.
* Corte app. civ. Torino, 4 novembre 1991, n. 1304, in Arch. loc. e cond. 1992, 345.
In caso di immissioni di rumori intollerabili provenienti da parti comuni dell'edificio, il condomino turbato nel
possesso del proprio appartamento pu esperire azione di manutenzione contro il condominio in persona

dell'amministratore.
* Pret. civ. Roma, sez. I, 20 dicembre 1983, n. 9595, Savarese Colosi c. Cond. via Cocco Ortu 120, Roma, in
Arch. loc. e cond. 1985, 362.
Le immissioni sonore prodotte dall'impianto comune di riscaldamento nell'appartamento di un condomino
possono cagionare un danno alla salute del condomino medesimo qualora siano superiori di tre decibel al
normale rumore di fondo.
* Corte app. civ. Milano, 9 maggio 1986, Condominio Stella di Merate ed altro c. Novati, in Arch. loc. e cond.
1987, 334.
Ai fini della determinazione del limite di tollerabilit delle immissioni sonore, deve applicarsi il criterio che assume
come punto di riferimento il rumore di fondo e ritiene intollerabile le immissioni che lo superino di oltre 3dB(A).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 28 febbraio 1995, n. 637, Soc. Tessitura Fratelli Caimi c. Monti ed altri, in Arch.
loc. e cond. 1995, 390.
Ai fini della determinazione del limite di tollerabilit delle immissioni sonore, deve applicarsi il criterio
comparativo, consistente nel confrontare il livello medio dei rumori di fondo, costituiti dalla somma degli effetti
acustici prodotti dalle sorgenti sonore esistenti ed interessanti una determinata zona, con quello del rumore
rilevato nel luogo che subisce le immissioni, e nel ritenere superato il limite di "normale tollerabilit" per quelle
immissioni che abbiano un'intensit superiore di oltre tre decibel al livello sonoro di fondo.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 3 ottobre 1989, Bonza e altra e Calloni e altri c. De Bernardi Granaria Spa, in Arch.
civ. 1990, 1149.
Incorre nel reato di cui all'art. 650 cod. pen. l'amministratore di un condominio che ometta di intervenire per
evitare rumorosit di un impianto di riscaldamento. Tra i suoi compiti rientra infatti anche quello di vigilare sul
migliore uso delle cose comuni.
* Cass. pen., sez. VI, 15 marzo 1980, n. 3726 (ud. 6 dicembre 1980), Montagna.
Il limite di normale tollerabilit ex art. 844 cod. civ, in riferimento alle immissioni rumorose deve essere accertato
con riferimento al criterio relativo-comparativo del rumore di fondo e non al superamento di esso di un certo
livello di decibel in relazione ai diversi periodi della giornata e va tenuta presente, quindi, anche l'intensit in
assoluto del rumore.
* Trib. civ. Vigevano, 25 gennaio 1985, Dondoni c. Riseria F.lli Magni, in Arch. civ. 1985, 1454.
In presenza di immissioni sonore che superino il limite della normale tollerabilit vi lesione del bene salute nel
momento stesso della realizzazione del fatto illecito, con conseguente esonero del danneggiato dalla prova
dell'esistenza di patologie conseguenti alla lesione; pertanto la risarcibilit del danno biologico deve essere
collegata all'esistenza e alla sopportazione di un'esposizione ad intollerabili e fortemente lesive immissioni
acustiche, idonee a compromettere le utilit della vita di relazione non godute.
* Trib. civ. Milano, 25 giugno 1998, n. 7721, Sgalippa ed altri c. Soc. San Giulianese, in Arch. loc. e cond. 1998,
723.
Costituisce immissione acustica eccedente la normale tollerabilit quella che, avuto riguardo alla natura del
rumore immesso e alla durata dell'attivit immissiva, superi di almeno 3 decibel il c.d. rumore di fondo della
zona, inteso come quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e non,
caratteristici del luogo, sui quali si innestano di volta in volta i rumori pi intensi prodotti da voci, veicoli o altro,
considerato come fonte rumorosa che persiste in modo continuo nell'ambiente per almeno il 95% del tempo di
osservazione.
* Pret. civ. Busto Arsizio, sez. dist. Saronno, ord. 5 agosto 1997, Tuniz ed altra c. Bar Sunrise, in Arch. loc. e
cond. 1998, 752.
Ai fini della determinazione del limite di tollerabilit delle immissioni sonore e per valutare la sussistenza del
presupposto oggettivo della illiceit dell'immissione, deve applicarsi il criterio comparativo, consistente nel
confrontare il livello medio dei rumori di fondo costituiti dalla somma degli effetti acustici prodotti dalle sorgenti
sonore esistenti e interessanti una determinata zona, con quello del rumore rilevato sul luogo che subisce le
immissioni, e nel ritenere superato il limite della normale tollerabilit per quelle immissioni che abbiano una
intensit superiore di oltre tre decibel al livello sonoro di fondo; tale disciplina non ha ricevuto deroga dal
D.P.C.M. dell'1 marzo 1991, che stabilisce i limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e
nell'ambiente esterno: infatti, le norme ivi previste, che hanno valore puramente regolamentare, disciplinano
esclusivamente i rapporti fra imprese ed enti locali per la bonifica del territorio dall'inquinamento acustico, senza
incidere sui rapporti di diritto soggettivo intercorrenti fra privati, e senza, quindi, porre eccezioni alle disposizioni
di legge di portata generale in materia di tutela dei diritti patrimoniali e della salute che competono ad ogni
persona.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 10 dicembre 1992, n. 2207,
In tema di immissioni sonore il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 1 marzo 1991 il quale
fissa le modalit di rilevamento dei rumori, al pari dei regolamenti comunali limitativi delle attivit rumorose,
essendo rivolto alla tutela della quiete pubblica, riguarda soltanto i rapporti fra l'esercente una delle suddette
attivit e la collettivit in cui esso opera, creando a carico del primo precisi obblighi verso gli enti preposti alla
vigilanza. Le disposizioni contenute nel sopraindicato decreto non escludono pertanto l'applicabilit dell'art. 844
c.c., che nei rapporti con i proprietari dei fondi vicini, richiede l'accertamento caso per caso della liceit o illiceit
delle immissioni. (Fattispecie in cui stata ordinata, con provvedimento ex art. 700 c.p.c., la sospensione
dell'attivit imprenditoriale dalla quale erano derivate le immissioni sonore moleste).
* Trib. civ. Varese, ord. 3 giugno 1997, Ravasi c. Soc. Sev, in Arch. loc. e cond. 1997, 845.
Il D.P.C.M. dell'1 marzo 1991 pone un limite di "accettabilit" dell'inquinamento acustico che deve
indubbiamente essere tenuto presente nella valutazione della tollerabilit delle immissioni sonore ex art. 844
c.c.; oltre alla determinazione di limiti massimi assoluti (differenziati a secondo della tipologia delle zone e

l'incidenza solo diurna o anche notturna), vengono anche fissati per le zone non esclusivamente industriali, dei
limiti per cos dire relativi, ossia una differenza massima "da non superare" rispetto al livello del "rumore
ambientale", differenza di 3 dB (A) in periodo notturno (ore 22-6) e 5 dB (A) in periodo diurno. * Corte app. civ.
Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in Arch. loc. e cond.
1993, 496.
Poich nel nostro Paese mancano norme di legge circa l'isolamento acustico e i rumori ammissibili nelle
abitazioni, la giurisprudenza, necessitata a supplire alla carenza legislativa, ha elaborato, al fine di stabilire i
livelli di tollerabilit delle immissioni, un criterio comparativo-relativo che "determina" come punto di riferimento il
rumore di fondo e ritiene intollerabili le immissioni che lo superano di oltre 3 dB. Poich il decibel, unit di misura
dell'intensit del suono, ha scala logaritmica, il limite massimo ammissibile di 3 dB sul rumore di fondo comporta
un raddoppio della intensit del rumore e significa che la componente del rumore immesso, considerata da sola,
non pu superare il rumore di fondo. * Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c.
Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in questa Rivista 1993, 496.[99309316]
Il corretto criterio di liquidazione del c.d. danno biologico causato dai rumori prodotti da un'autoclave quello
"equitativo" in funzione della intensit e durata delle immissioni acustiche intollerabili, dell'incidenza di queste
sulla salute e sull'occupazione degli attori e sulla loro vita di relazione. * Trib. civ. Milano, sez. VIII, 18 maggio
1992, Buccella e altri c. Cond. delle Magnolie di Cesano Boscone, in questa Rivista 1993, 121.[99309147]
<201 legittimo il ricorso al provvedimento ex art 700 cod. proc. civ. da parte di alcuni condomini, qualora le
immissioni di rumore negli appartamenti di un edificio, provocate dal funzionamento, soprattutto nelle ore
notturne, delle macchine esistenti nel sottostante panificio, eccedendo la normale tollerabilit, siano idonee a
determinare nei condomini stessi una menomazione della loro integrit psico-fisica e, quindi, l'insorgenza di
danno alla salute, autonomamente risarcibile. * Pret. civ. Molfetta, 27 febbraio 1989, Del Rosso e Bartoli c.
Squeo, in questa Rivista 1989, 351.[99006248]
<201 applicabile il procedimento di cui all'art. 700 c.p.c. nel caso di superamento dei limiti di tollerabilit acustica,
che potrebbe determinare un danno alla salute dei condomini. (Nella specie, i rumori intollerabili risultavano
provenire da una discoteca). * Trib. civ. Milano, 28 ottobre 1993, in questa Rivista 1994, 356.
<201 applicabile il procedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per far cessare reiterati, insistenti ed intollerabili
suoni di pianoforte provenienti da un appartamento anche se prodotti nelle ore consentite dal regolamento
condominiale, in quanto il primario e incomprimibile diritto assoluto alla salute spetta alla persona di per s
considerata e non come collegata ad un certo immobile, non potendo tale diritto soffrire limitazioni di eventuali
atti di disposizione. * Pret. civ. Torino, ord. 27 dicembre 1990, in questa Rivista 1992, 855.
Al fine di valutare il grado di tollerabilit di immissioni acustiche provenienti da un appartamento (nella specie:
attivit pianistica e canora di una cantante lirica) non possibile effettuare un collegamento diretto fra l'art. 844
c.c. ed il D.P.C.M. 1 marzo 1991, in quanto i limiti di tollerabilit di cui alla prima norma sono tutt'affatto diversi
dai limiti di accettabilit di cui al succitato decreto, nel senso che i secondi ben possono esser rispettati pur non
essendolo i primi.* Corte app. civ. Torino, sez. II, 23 marzo 1993, n. 345, Musacchio e altri c. Vignera, in questa
Rivista 1994, 823.[99410252]
E' applicabile il procedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. per far cessare le intollerabili immissioni prodotte da
suoni di pianoforte, in considerazione del grave ed irreparabile pregiudizio arrecato al diritto alla salute dei
condomini, il cui ambito di tutela certamente pi ampio e meno condizionato di quello accordato alle propriet
confinanti in base all'art. 844 c.c. * Pret. civ. Milano, 18 febbraio 1993, in questa Rivista 1994, 391.
Al fine di stabilire la tollerabilit, oppur no, di immissioni sonore pu utilizzarsi il criterio c.d. comparativo, che fa
riferimento alla rumorosit di fondo della zona, tenendo presente che la soglia di pericolosit costituita dallo
scarto di tre decibel tra il livello medio dei rumori di fondo e l'intensit della sorgente sonora generatrice delle
immissioni. * Pret. civ. Taranto, 17 giugno 1988, n. 327, Protopapa c. Conversano, in Arch. civ. 1988,
1210.[98907200]
In caso di immissioni derivanti dal fondo del vicino (nella specie, propagazioni di rumori e calore), deve ritenersi
superato il criterio della normale tollerabilit quando sia accertata una situazione potenzialmente nociva per la
salute dei proprietari che subiscono le immissioni. * Pret. civ. Foligno, 10 giugno 1988, n. 49, Ferrata ed altri c.
Proietti ed altri, in Arch. civ. 1988, 1081.[98907201]
In caso di lamentata immissione di rumori molesti (nella specie: da impianti di riscaldamento ed autoclave), deve
farsi ricorso all'applicazione analogica dell'art. 844 cod. civ. oltre che per stabilire la sussitenza della lesione (o
del pericolo di lesione) del diritto alla salute tramite il concetto di <normale< tollerabilit, anche per determinare
le modalit della tutela da apprestarsi, dovendosi contemperare le esigenze delle parti con la determinazione dei
mezzi pi opportuni a ricondurre nei limiti del diritto un'attivit contra legem. * Pret. civ. Brindisi, ord. 17 marzo
1986, Saponaro c. Condominio G. Puccini, in Arch. civ. 1987, 177.[98808830]
Il proprietario di un immobile sito nelle immediate vicinanze di una discoteca che determini a suo parere un
rumore intollerabile, ha diritto di controllare la regolarit delle autorizzazioni rilasciate dal comune. * Tar
Lombardia, sez. II, 25 ottobre 1993, n. 629, Compagnoni c. Comune di Brezzo di Bedero, in questa Rivista 1994,
153.[99402678]
Degradazione ambientale e rumori, specie in relazione all'attivit serale e notturna di un pubblico esercizio,
costituiscono lesioni di un legittimo interesse dei proprietari e residenti di unit immobiliari ubicate nel medesimo
stabile ove si svolge tale attivit e legittimano gli stessi a ricorrere al giudice amministrativo per chiedere,
denunciando vizi formali del procedimento, l'annullamento della relativa autorizzazione comunale.
* Tar Emilia-Romagna, sez. II, 10 novembre 1992, n. 525, Meschiari e altri c. Comune di Maranello e Societ
Bondi Leontino & C., in Arch. loc. e cond. 1993, 829.
Sussiste l'obbligo del condominio di risarcire sia il danno biologico che il danno morale subito da un condomino
a causa delle immissioni sonore, superiori alla normale tollerabilit, provenienti dalla centrale dell'impianto

comune di riscaldamento. La liquidazione del danno va effettuata con criterio equitativo dal giudice e non pu
consistere in una somma meramente simbolica. * Corte app. civ. Milano, 18 settembre 1990, n. 1803, in Arch.
loc. e cond. 1991, 109.
Ai fini della valutazione dell'intollerabilit delle emissioni sonore, in mancanza del decreto, non ancora emanato,
relativo all'introduzione di livelli di tollerabilit particolari per le aree e le attivit aeroportuali, in attuazione del
d.p.c.m. 1 marzo 1991, che stabilisce i limiti massimi di accettabilit delle emissioni sonore nell'ambiente esterno
e abitativo, il giudice pu ricorrere ai criteri di tempo elaborati tenendo anche conto dei parametri introdotti da
quest'ultimo decreto.
* Pret. civ. Ciri, ord. 25 marzo 1993, in Giur. it. 1994, I, II, 208.
In tema di inquinamento acustico in stabile condominiale, il parametro di confronto del <rumore equivalente<
<F128M-<F255D assunto dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 (Limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti
abitativi e nell'ambiente esterno), anzich quello del <rumore di fondo < <F128M-<F255D non idoneo a fornire
l'effettiva incidenza del rumore sulla salute ed appare quindi di dubbia legittimit al pari del fatto che il cennato
decreto non contiene alcuna specificazione a proposito del caso in cui la sorgente sonora sia interna allo stesso
stabile in cui si trova chi lamenta il superamento della normale tollerabilit dell'emissione rumorosa.
* Pret. civ. Monza, ord. 18 luglio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 578.
Con riferimento alla nozione di immissione eccedente la normale tollerabilit agli effetti dell'azione di cui all'art.
844 c.c., per <rumore< si deve intendere qualunque stimolo sonoro non gradito all'orecchio umano e che, per le
sue caratteristiche di intensit e durata, pu divenire patogeno per l'individuo.
* Trib. civ. Napoli, 17 novembre 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 578.
Va accolta la domanda di risarcimento danni di quanti lamentano una lesione alla salute provocata da immissioni
acustiche, superiori alla normale tollerabilit, effetto dell'esercizio di un'attivit imprenditoriale (nella fattispecie
attivit di falegnameria all'interno di un condominio) caratterizzata da negligenza conseguente alla mancata
adozione delle opportune cautele, nonch dall'inosservanza delle prescrizioni di legge; vanno differenziate, ai
fini esclusivamente del quantum risarcibile, le posizioni di chi dimostri sul piano clinico un'effettiva lesione
dell'integrit psico-fisica, e cos un danno biologico oltre che morale, dovuti alla condotta, dolosa o colposa, del
convenuto (nel caso di specie comprovata da una perizia medico-legale), da chi abbia subito invece un mero
turbamento psicologico (e cos solo un danno morale) conseguente all'altrui comportamento illecito, anche
penalmente in relazione al disposto dell'art. 659 c.p.p. Sono da ritenersi civilmente responsabili in solido con il
conduttore, ex art. 2055 c.c., per il danno biologico e comunque patrimoniale (non cos per quello morale), gli
stessi locatori dell'immobile in cui detta attivit lesiva dei diritti dei terzi era svolta, i quali locatori dovevano (o
avrebbero dovuto) infatti conoscere e impedire l'attivit che il conduttore vi avrebbe esercitato e cos prevenire le
conseguenze lesive da questa prodotte; tale corresponsabilit civile dei locatori, difettando una rilevanza penale
del loro comportamento omissivo, non si estende peraltro al danno meramente morale.
* Trib. civ. Vigevano, 9 agosto 1991, in Giur. it. 1992, I, 2, 118.
Anche il disturbo dell'abbaiare di un cane nel condominio non presunto ma deve essere inquadrato nei limiti
della normale tollerabilit.
* Trib. civ. Milano, 22 marzo 1990, in L'Ammin. 1992, n. 4.
In tema di applicazione dell'art. 844 c.c. al condominio di edificio la integrit della persona del condomino ed il
bene primario della salute, in cui si concreta il danno biologico, non possono essere valutati solo in termini fisici,
materialmente constatabili, ma comprendono anche la sfera emotiva e psichica, le cui sofferenze sono meno
obiettivamente misurabili ma non per questo meno reali, n pu negarsi la sussistenza di una menomazione
dell'integrit psichica derivante dalla spina irritativa costituita dalle continue aggressioni sonore superanti il limite
della tollerabilit, in quanto l'efficacia patogena del rumore disturbante dato acquisito alla scienza medica
attuale, n occorre in concreto verificarla.
* Corte app. civ. Milano, 29 novembre 1991, in Giust. civ. 1992, 1921.
Nel giudizio sulla normale tollerabilit, ex art. 844 c.c., di immissioni acustiche provocate dall'uso di campane a
scopo di culto, va effettuato, in estensione del secondo comma di tale articolo, un equo contemperamento tra le
ragioni della propriet e le esigenze della vita religiosa.
* Pret. civ. Mantova, ord. 16 agosto 1991, in Giur. it. 1993, I, 2, 40.
In caso di inquinamento acustico prodotto nelle abitazioni di uno stabile a causa dell'esercizio di un'attivit
lavorativa, la lesione dell'integrit psico-fisica dell'individuo va collocata nell'ambito dell'illecito extracontrattuale
di cui all'art. 2043 c.c., in relazione all'art. 32 Cost.
* Trib. civ. Vigevano, 9 agosto 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 577.
Nel caso di immissioni moleste eccedenti la normale tollerabilit, di cui all'art. 844 c.c., sorgono a favore del
proprietario del fondo danneggiato due distinte azioni: quella reale che si inquadra nel paradigma dell'azione
negatoria servitutis regolata dall'art. 949 c.c., in quanto rivolta ad eliminare le cause delle dette immissioni e
quella personale, avente natura risarcitoria, volta ad ottenere l'attribuzione di un indennizzo commisurato alla
capitalizzazione del minor reddito del fondo, dipendente dalle immissioni stesse. (Fattispecie in tema di rumori e
vibrazioni cagionate nello svolgimento di un'attivit di carpenteria metallica). * Trib. civ. Milano, 10 gennaio 1991,
in Arch. loc. e cond. 1991, 792.
In caso di regolamento condominiale che vieti tassativamente di recare "disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi
natura", il continuo abbaiare di tre cani pastori ed il suono di una batteria configurano sia la lesione di tale norma
regolamentare che violazione dell'art. 844 c.c.
* Trib. civ. Milano, 28 maggio 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 792.
In caso di violazione del limite della normale tollerabilit, posto dall'art. 844 c.c., in virt di schiamazzi e rumori
provocati dall'attivit di una sala giochi, ed essendo risultato vano ogni possibile accorgimento per ricondurre i
rumori entro il suddetto limite, ricorrono gli estremi per disporre la cessazione dell'attivit contraria al

regolamento svolta dal convenuto.


* Trib. civ. Milano, 21 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 792.
Il reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone reato di pericolo e per la sua sussistenza non
necessaria la prova che il disturbo investa un indeterminato numero di persone, essendo sufficiente una
condotta tale da poter determinare quell'effetto.
* Cass. pen., sez. I, 12 gennaio 1990, n. 133 (ud. 23 giugno 1989), Arbore.
Il disturbo punito con la norma dell'art. 659 cod. pen. concerne non soltanto il riposo, ma altres la quiete, che
bene tutelato ad ogni ora diurna e notturna, a prescindere da orari lavorativi.
* Cass. pen., sez. VI, 22 marzo 1980, n. 4049 (ud. 9 ottobre 1979), Giangrasso.
Per integrare il reato di cui all'art. 659, primo comma, c.p. non necessaria la prova del reale disturbo provocato
al riposo e alle occupazioni delle persone, ma occorre la certezza che schiamazzi e rumori siano obiettivamente
idonei a recare tale disturbo. Occorre cio la prova del superamento dei limiti della normale tollerabilit di
emissioni sonore e della percettibilit delle stesse da parte di un numero illimitato di persone, indipendentemente
dal fatto che in concreto delle persone siano state effettivamente disturbate, trattandosi di un reato di pericolo.
(Nella specie la Corte ha annullato con rinvio l'impugnata sentenza di condanna del titolare di una discoteca, in
quanto il pretore, per stabilire l'idoneit dei rumori provenienti dalla discoteca ad arrecare disturbo alle
occupazioni ed al riposo delle persone, si era basato unicamente sulle dichiarazioni rese da coloro che
dimoravano nelle vicinanze, sostituendo cos un criterio soggettivo al criterio oggettivo, in base al quale deve
essere determinata tale idoneit).
* Cass. pen., sez. I, 27 marzo 1992, n. 3741 (ud. 15 gennaio 1992), Barbera.
Per la configurazione del reato di cui all'art. 659 c.p. sufficiente che la condotta dell'imputato sia tale da poter
disturbare un numero indeterminato di persone, ed irrilevante che nessuno dei vicini se ne sia lamentato e che
i suoni siano stati rilevati soltanto dagli organi di polizia. (Fattispecie in cui, secondo quanto riferito da un agente,
alle ore 2,30 la misura di uno stereo ad alto volume proveniente dall'appartamento dell'imputato, si udiva nella
strada ad una distanza di circa due-trecento metri; la Cassazione ha ritenuto la sussistenza del reato de quo
enunciando il principio di cui in massima).
* Cass. pen., sez. I, 30 settembre 1993, n. 2895 (c.c. 17 giugno 1993), Solari.
Per la configurabilit del reato di cui all'art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone)
necessario che i rumori abbiano una certa attitudine a propagarsi, in modo da essere idonei a disturbare pi
persone. Pertanto, quando si tratta di rumori prodotti in edificio condominiale necessario che essi, tenuto conto
anche dell'ora (notturna o diurna) in cui vengono prodotti, arrechino disturbo ovvero abbiano l'idoneit concreta
di arrecare disturbo ad una parte notevole degli occupanti del medesimo edificio, configurandosi altrimenti
soltanto un illecito civile da inquadrarsi nell'ambito dei rapporti di vicinato. Ne consegue che per affermare la
sussistenza della contravvenzione di cui all'art. 659 c.p. necessario procedere all'accertamento della natura
dei rumori prodotti dal soggetto agente e alla loro diffusivit, che deve essere tale da far risultare gli stessi rumori
idonei ad arrecare disturbo ad un numero rilevante di persone e non soltanto a chi ne lamenta il fastidio.
* Cass. pen., sez. I, 28 marzo 1995, n. 3348 (ud. 16 gennaio 1995), Draicchio.
Per integrare il reato previsto dall'art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone) non
sufficiente che rumori prodotti all'interno di un appartamento si propaghino in quelli vicini, ma necessario che
tali rumori siano di tale intensit da disturbare le occupazioni o il riposo delle persone. (Nella specie, relativa ad
annullamento senza rinvio di sentenza di condanna perch il fatto non sussiste, risultava che dall'appartamento sottostante - <della parte lesa si sentivano rumori di gioco di pallone e di qualche sedia che cadeva davanti ai
bambini.
* Cass. pen., sez. I, 10 febbraio 1994, n. 1700 (ud. 19 ottobre 1993), Pivetti.
In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, i rumori e gli schiamazzi vietati, per essere
penalmente sanzionabile la condotta che li produce, debbono incidere sulla tranquillit pubblica, essendo
l'interesse specificamente tutelato dal legislatore quello della pubblica tranquillit sotto l'aspetto della pubblica
quiete, la quale implica, di per s, l'assenza di cause di disturbo per la generalit dei consociati, di guisa che gli
stessi debbono avere tale potenzialit diffusa che l'evento di disturbo abbia la potenzialit di essere risentito da
un numero indeterminato di persone, pur se, poi, in concreto soltanto alcune persone se ne possano lamentare.
Ne consegue che la contravvenzione in esame non sussiste allorquando i rumori arrechino disturbo ai soli
occupanti di un appartamento, all'interno del quale sono percepiti, e non ad altri soggetti abitanti nel condominio
in cui inserita detta abitazione ovvero nelle zone circostanti: infatti, in tale ipotesi non si produce il disturbo,
effettivo o potenziale, della tranquillit di un numero indeterminato di soggetti, ma soltanto di quella di definite
persone, sicch un fatto del genere pu costituire, se del caso, illecito civile, come tale fonte di risarcimento di
danno, ma giammai assurgere a violazione penalmente sanzionabile.
* Cass. pen., sez. I, 5 febbraio 1998, n 1406 (ud. 12 dicembre 1997), P.C. e Costantini, in Arch. loc. e cond.
1998, 711.
Ai fini della configurabilit del reato di cui all'art. 659 c.p. (disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone)
necessario l'elemento dell'attitudine dei rumori a disturbare una pluralit indeterminata di persone: ne consegue
che, allorquando si tratti di rumori prodotti in un edificio condominiale, ove il disturbo sia arrecato al circoscritto
numero di inquilini di appartamenti sottostanti e soprastanti a quello di provenienza dei rumori stessi, si configura
un illecito civile che resta confinato nell'ambito dei rapporti di vicinato, non essendo ravvisabile alcuna lesione o
messa in pericolo del bene giuridico protetto dal citato art. 659 c.p., costituito dalla "pubblica tranquillit".
* Cass. pen., sez. I, 4 giugno 1996, n. 5578 (ud. 6 novembre 1995), Giuntini.
Servit di immissione
Non concettualmente possibile ipotizzare l'acquisto per usucapione di una servit di immissione. Quando
venga superato il limite della liceit delle immissioni, segnato dall'art. 844 c.c., si in colpa, ancorch si faccia

uso normale della cosa fonte delle immissioni, e se da ci deriva danno ad altri il danno ingiusto, in quanto
ricorrono tutti gli elementi della fattispecie prevista dall'art. 2043 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 1977, n. 740.
Tutela della salute
Ai fini dell'art. 844 cod. civ. l'intollerabilit delle immissioni (nella specie esalazioni provenienti dalla evaporazione
di idrocarburi adoperati per il lavaggio di pezzi meccanici), da valutarsi tenuto conto del contemperamento delle
esigenze della produzione con le ragioni della propriet, sussiste anche quando esse, pur non essendo di
eccessiva entit, risultino nocive, a causa della loro costanza ed ineliminabilit che le rende insopportabili, al
bene primario della salute.
* Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1989, n. 3675, Ferulli c. Gargiulo.
L'amministratore di condominio non legittimato ad intraprendere, in forza di delibera adottata a maggioranza,
un giudizio di natura risarcitoria volto alla tutela del diritto alla salute dei condomini, rientrando tale diritto tra
quelli esclusivi e personali.
* Trib. civ. Napoli, sez. III, ord. 29 giugno 1999, Condominio di via Petrarca n. 37 di Napoli c. Petruccio P. ed
altra, in Arch. loc. e cond. 1999, 832.
Poich l'art. 844 cod. civ. disciplina i rapporti inerenti al diritto di propriet dei beni immobili, dal suo ambito
esulano i diritti personali, tra i quali da annoverare quello alla salute considerato dall'art. 32 Cost., con la
conseguenza che per la tutela di quest'ultimo, in caso di denunziata lesione dipendente da atto o fatto illecito
ancorch concernente immissioni provenienti dal fondo del vicino, venendo in considerazione ed essendo
applicabili, mediante le opportune statuizioni riparatorie, ripristinatorie ed inibitorie, le norme dettate in via
generale dagli artt. 2053 e 2058 cod. civ. la relativa domanda, in quanto autonoma e distinta da quella fondata
sul cit. art. 844 cod. civ., deve essere proposta in modo espresso, senza potersi ritenere compresa in quella di
natura reale intentata per l'inibizione delle immissioni a norma dell'art. 844 cod. civ.
* Cass. civ., sez. II, 11 settembre 1989, n. 3921, Bontempi c. Mastropietro.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilit implicano di per s, anche in mancanza della prova di
una vera e propria menomazione patologica, una lesione del diritto alla salute inteso nel senso pi ampio del
diritto all'equilibrio e al benessere psicofisico.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 17 luglio 1992, n. 1351, Di Corleto c. Rimini e altri e Soc. Negri Immobiliare, in
Arch. loc. e cond. 1993, 496.
Poich il diritto alla salute si configura non solo come diritto alla vita e all'incolumit psicofisica, bens anche alla
salubrit dell'ambiente, ammissibile l'azione inibitoria ex art. 700 c.p.c. delle immissioni di cui all'art. 844 c.c.,
alla sola condizione che superino la normale tollerabilit (fumus boni iuris), dato che l'ulteriore requisito del
periculum in mora, richiesto dal codice di rito per l'esperibilit del rimedio d'urgenza, in re ipsa, comportando
l'immissione nociva sempre l'alterazione dell'equilibrio psicofisico del soggetto, non suscettibile, se non in
minima parte, di essere valutata in termini economici, e quindi di essere riparata ex art. 2043 c.c. all'esito del
giudizio di merito promosso dal danneggiato.
* Pret. civ. Buccino, ord. 18 aprile 1990, in Arch. civ. 1991, fasc. 6.
In tema di applicazione dell'art. 844 c.c. al condominio di edificio la integrit della persona del condominio ed il
bene primario della salute, in cui si concreta il danno biologico, non possono essere valutati solo in termini fisici,
materialmente constatabili, ma comprendono anche la sfera emotiva e psichica, le cui sofferenze sono meno
obiettivamente misurabili ma non per questo meno reali, n pu negarsi la sussistenza di una menomazione
dell'integrit psichica derivante dalla spina irritativa costituita dalle continue aggressioni sonore superanti il limite
della tollerabilit, in quanto l'efficacia patogena del rumore disturbante dato acquisito alla scienza medica
attuale, n occorre in concreto verificarla.
* Corte app. civ. Milano 29 novembre 1991, in Giust. civ. 1992, 1921.
Le immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilit, di cui all'art. 844 c.c., pur in assenza di prova idonea a
dimostrare la configurabilit di un danno biologico specifico, realizzano una lesione del diritto alla salute
genericamente inteso ex art. 32 Cost., che trova il fondamento della sua risarcibilit nell'art. 2043 c.c.
* Corte app. civ. Torino 4 novembre 1992, in Giur. merito 1993, 949.
Vibrazioni prodotte da automezzi
Con riguardo all'azione di nunciazione, proposta dal condominio di un edificio nei confronti del comune, in
relazione al pregiudizio alla stabilit del fabbricato derivante dalle vibrazioni prodotte dagli automezzi di pubblico
trasporto urbano, deve essere affermata la giurisdizione del giudice ordinario, ove si verta in tema non
d'impugnazione di atti o provvedimenti amministrativi, ma di tutela del diritto dominicale, nei rapporti di vicinato,
contro immissioni eccedenti la normale tollerabilit (art. 844 c.c.), mentre non rileva, al fine di detta giurisdizione,
il tipo della pronuncia cautelare richiesta (influente sotto il diverso profilo dei limiti interni delle attribuzioni del
giudice ordinario, ai sensi dell'art. 4 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. E).
* Cass. civ., Sezioni Unite, 24 aprile 1991, n. 4510.
Innovazioni condominiali, attenzione al decoro architettonico
Non sempre si hanno le idee chiare, in materia di innovazioni. Ma una sentenza della Cassazione (n. 5417/02)
ha invece fatto chiarezza, in riferimento ai pregiudizi che possono derivarne ad un edificio in condominio.
Nel condominio degli edifici ha detto la Suprema Corte il giudice, nel decidere dellincidenza di uninnovazione sul decoro architettonico, deve adottare caso per caso criteri di maggiore o minore rigore in
considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata, accertando anche se
esso avesse originariamente ed in quale misura ununitariet di linee e di stile suscettibile di significativa
alterazione in rapporto allinnovazione dedotta in giudizio, nonch se su di essa avessero o meno inciso,
menomandola, precedenti diverse modifiche operate da altri condomini.
In caso di accertato danno estetico di particolare rilevanza ha detto ancora la Cassazione il danno

economico da ritenersi insito, senza necessit di specifica indagine; di relativo accertamento demandarlo alla
discrezionalit del giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimit se congruamente motivato.
Accesso da un solo appartamento
In tema di condominio degli edifici, il pi ampio uso del bene comune, da parte del singolo condomino, non pu
configurare una lesione o menomazione dei diritti degli altri partecipanti, qualora trovi giustificazione nella
conformazione strutturale del fabbricato, come risultante dalla sua originaria costruzione (nella specie,
trattandosi di lastrico solare sopra il quale era possibile accedere, alla stregua di situazione coeva alla nascita
del condominio, da uno solo degli appartamenti di propriet esclusiva).
* Cass. civ., sez. II, 9 giugno 1986, n. 3822, Franzoni c. Buschini.
Difetto di manutenzione
I singoli proprietari delle varie unit immobiliari comprese in un edificio condominiale, sono a norma dell'art. 1117
c.c., (salvo che risulti diversamente dal titolo) comproprietari delle parti comuni, tra le quali il lastrico solare,
assumendone la custodia con il correlativo obbligo di manutenzione, con la conseguenza, nel caso di danni a
terzi per difetto di manutenzione del detto lastrico, della responsabilit solidale di tutti i condomini, a norma degli
artt. 2051 e 2055 c.c. ove non provino, come unica causa di tali danni, il caso fortuito, e ci a prescindere dalla
conoscenza o meno dei danni stessi (salvo regresso del condomino che abbia risarcito l'intero danno verso gli
altri condomini in ragione delle rispettive quote di propriet).
* Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1990, n. 6405, Vasile c. Vasile.
I danni cagionati dalla mancata manutenzione del lastrico solare di un edificio in condominio, al pari delle spese
della sua riparazione o costruzione, non possono porsi interamente a carico del proprietario o usuario del
lastrico stesso, ma debbono essere risarciti con il concorso degli altri condomini nella proporzione stabilita
dall'art. 1126 c.c. Ci non esclude l'eventuale concorso di responsabilit, da accertare in via di rivalsa ove non
sia stata dedotta nello stesso giudizio, del costruttore o dell'amministratore del condominio in proprio per vizi di
costruzione o per negligente omissione delle necessarie riparazione.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4816, Giordani c. Tarquini. Conforme, Cass. civ., sez. III, 7 dicembre
1995, n. 12606.
Differenze
Mentre il lastrico solare, al pari del tetto, assolve essenzialmente la funzione di copertura dell'edificio, di cui
forma parte integrante sia sotto il profilo meramente materiale, sia sotto il profilo giuridico, la terrazza a livello
invece costituita da una superficie scoperta posta al sommo di alcuni vani e nel contempo sullo stesso piano di
altri, dei quali forma parte integrante strutturalmente e funzionalmente, nel senso che per il modo in cui
realizzata, risulta destinata non tanto a coprire le verticali di edifici sottostanti, quanto e soprattutto a dare un
affaccio e ulteriori comodit all'appartamento cui collegata e del quale costituisce una proiezione verso
l'esterno.
* Cass. civ., sez. II, 28 aprile 1986, n. 2924, AA. c. AA.
Le terrazze a livello si differenziano dai lastrici solari non solo perch la loro funzione essenziale non quella di
copertura dell'edificio, ma anche perch sono delimitate da parapetti i quali servono soltanto a rendere
praticabile la terrazza, consentendone ai proprietari l'affaccio ed il pi sicuro passaggio. Ne deriva che le spese
di manutenzione e di riparazione dei parapetti vanno poste a carico dei proprietari esclusivi delle terrazze, unici
beneficiari della loro presenza.
* Trib. civ. Salerno, 10 novembre 1989, in L'Ammin. 1991, n. 8.
A differenza dei lastrici solari, che disimpegnano essenzialmente e principalmente il compito di copertura di un
edificio, a servizio presumibilmente comune dei proprietari dello stesso, le terrazze a livello devono, invece,
considerarsi come facenti parte, strutturalmente e funzionalmente, degli appartamenti da cui vi si accede, ed al
cui uso esclusivo esse sono destinate, quali appartenenze degli stessi, in difetto di contrarie risultanze di un
titolo.
* Cass. civ., 26 febbraio 1959, n. 563.
Diritto di costruire sul lastrico
Il lastrico solare di un edificio condominiale, che sia stato venduto dal costruttore ed originario proprietario
dell'intero edificio come area interamente edificabile, in forza di valido titolo opponibile agli acquirenti delle altre
unit immobiliari, non rientra fra le parti comuni, secondo la previsione dell'art. 1117 c.c. In tale ipotesi, pertanto,
l'assemblea del condominio, ancorch in sede di approvazione del regolamento, non pu disciplinare e limitare il
diritto di costruire sul lastrico, senza il consenso del relativo proprietario.
* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1978, n. 4782.
Funzioni del lastrico solare
Il lastrico solare quale superficie terminale dell'edificio esercita l'indefettibile funzione primaria di protezione
dell'edificio medesimo, pur potendo essere utilizzato in altri usi accessori, come quello del terrazzo. L'anzidetta
funzione accessoria del lastrico solare a terrazza in uso esclusivo di un solo condomino, come non fa venir
meno la sua destinazione primaria all'uso comune, cos in mancanza di un titolo contrario lascia inalterata la
presunzione di propriet comune di cui all'art. 1117 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 1 giugno 1990, n. 5162, Salina c. Pigli.
Il lastrico solare, ai sensi dell'art. 1117 c.c, oggetto di propriet comune dei diversi proprietari dei piani o
porzioni di piano dell'edificio se il contrario non risulta, in modo chiaro ed univoco, dal titolo, per tale
intendendosi gli atti di acquisto dei singoli appartamenti o delle altre unit immobiliari, nonch il regolamento di
condominio accettato dai singoli condomini.
* Cass. civ., sez. II, 7 aprile 1995, n. 4060, Soc. Edilbas c. Della Pittima e altri e Isidori e altri.
Il lastrico solare riveste, nel quadro della sua normale destinazione, una duplice attitudine: quella tipica di
copertura del fabbricato sottostante e quella di superficie praticabile (arg. ex art. 1126 cod. civ.). Il condomino

che, non impedendo un pari uso agli altri partecipanti e lasciando inalterate le possibilit delle concorrenti
utilizzazioni, realizzi ex novo una fruizione del secondo tipo per mezzo di opere che consentono un uso pi
intenso ed agevole di quello precedente (nella specie si tratta di una scala a chiocciola costruita nella propriet
esclusiva del condomino, attraverso la quale il medesimo accede al lastrico solare di propriet comune,
lasciando inalterato il vecchio passaggio, con scala a pioli, in precedenza utilizzato, in comune, dai vari
condomini) non altera per ci stesso la destinazione del bene, trasformandolo in terrazzo, n viene ad integrare
una ipotesi di uso esclusivo ovvero di interferenza sull'equilibrio dei contrapposti interessi condominiali. La sua
azione, al contrario, si mantiene nei limiti di normalit di cui all'art. 1102 cod. civ.
* Pret. civ. Torre Annunziata, 19 marzo 1982, n. 42, Vastola e altri c. Raiola, in Arch. loc. e cond. 1982, 526.
La copertura a lastrico, sovrastata da terra e da manto erboso, che assolva anche alla funzione di sostenere
un'area verde condominiale, rientra sulle parti necessariamente comuni.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in
Parma e Condominio di via Rav n. 1 in Parma, in Arch loc. e cond. 1996, 75.
Giardino pensile
Le norme sul condominio degli edifici, consentendo la divisione della propriet per piani orizzontali, escludono
l'applicazione dell'accessione anche nell'ipotesi di costruzioni, quale un giardino pensile in continuazione di una
terrazza a livello annessa ad un appartamento, facenti corpo con l'edificio condominiale, ma sporgenti dalla sua
linea verticale e gravanti su area appartenente al condominio: in tal caso occorre accertare in base al titolo o, in
mancanza, in base alla presunzione di cui all'art. 1117 cod. civ. se la riconosciuta comunione dell'area di base
su cui la sporgenza sorge comporti o meno la comunione anche del piano (o dei piani) e delle porzioni di piano (
o di piani) sporgenti o comunque sorgenti sopra tale area.
* Cass. civ., sez. II, 15 marzo 1980, n. 1738, Magistri c. Condominio Via S.R. Bellarmino, 13, Roma.
Colui che esercita un diritto - nella specie, di propriet - terrazzando il proprio giardino a livello dell'appartamento
e modificando il flusso delle acque piovane, ha l'obbligo di usare il grado di prudenza e diligenza in concreto
richiesto onde evitare di danneggiare i terzi.
* Cass. civ., sez. III, 22 aprile 1998, n. 4074, Condominio di via Italo Panattoni n. 89 in Roma c. Zingales, in
Arch. loc e cond. 1998, 546.
Infiltrazioni d'acqua
Poich il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del
fabbricato anche se appartiene in propriet superficiaria o se attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso
con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati
all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di
manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempimenti alla funzione di conservazione, secondo le
proporzioni stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in
proporzione dei due terzi, ed il titolare della propriet superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre
utilit, nella misura del terzo residuo.
* Cass. civ., Sezioni Unite, 29 aprile 1997, n. 3672, Norsa c. Condominio di Via Borgognone n. 31 in Milano, in
Arch. Loc. e cond. 1997, 395.
Il proprietario di una terrazza a livello che abbia anche funzione di copertura dell'edificio condominiale liberato
dalla responsabilit per i danni derivati ad appartamenti sottostanti per infiltrazioni di acqua dando la prova del
caso fortuito, della forza maggiore o del fatto del terzo, che pu anche consistere nell'inerzia colpevole del
condominio (o degli organi preposti alla sua amministrazione) che sia stato tempestivamente informato
dell'esistenza di guasti, vizi o difetti della terrazza da cui il danno derivato.
* Cass. civ., sez. III, 30 maggio 1988, n. 3696, Degiacomo c. Cond. V. Giotto 3 Mi.
q L'amministratore del condominio, tenuto ex art. 1126 c.c. alla manutenzione della terrazza a livello di propriet
esclusiva, legittimato passivo quanto alla denuncia di danno temuto proposta dal condomino proprietario della
sottostante unit, il quale lamenti infiltrazioni causate dalle condizioni della terrazza stessa.
* Pret. civ. Catania, ord. 13 dicembre 1993, in Foro it. 1995, I, 416.
Nozione di terrazza a livello
q In mancanza di titolo di propriet esclusiva, terrazza a livello , nel condominio, una superficie scoperta posta
al sommo di alcuni vani e, nel contempo, sullo stesso piano di altri, dei quali costituisce parte integrante
strutturalmente e funzionalmente, nel senso che, per il modo in cui stata realizzata, risulta destinata non tanto
e non solo a coprire le verticali sottostanti - ch in tal caso si tratterrebbe di lastrico solare - quanto, e
soprattutto, a dare un affaccio ed ulteriore comodit all'appartamento cui collegata e del quale costituisce in
definitiva, una proiezione verso l'esterno.
* Cass. civ., 28 marzo 1973, n. 836.
In tema di condominio di edifici la terrazza a livello, ossia quell'area scoperta alla quale si accede da un solo
appartamento e solo con questo in comunicazione, appartiene al proprietario del contiguo appartamento di cui
costituisce la continuazione priva di copertura a meno che non risulti diversamente dal titolo.
* Cass. civ., sez. II, 16 settembre 1991, n. 9629, Roggero c. Facincani.
Per terrazza a livello deve intendersi, in un edificio condominiale, una superficie scoperta posta al sommo di
alcuni vani e, nel contempo, sullo stesso piano di altri, dei quali costituisce parte integrante strutturalmente e
funzionalmente, tale che deve ritenersi, per il modo in cui stata realizzata, che destinata non solo e non tanto
a coprire una parte di fabbricato, ma soprattutto a dare possibilit di espansione e di ulteriore comodit
all'appartamento del quale contigua, costituendo di esso una proiezione all'aperto; quando ricorre tale
situazione dei luoghi, la funzione della terrazza, quale accessorio rispetto all'alloggio posto allo stesso livello,
prevale su quella di copertura dell'appartamento sottostante e, se dal titolo non risulta il contrario, la terrazza

medesima deve ritenersi appartenente al proprietario del contiguo alloggio, di cui strutturalmente e
funzionalmente parte integrante.
* Cass. civ., sez. II, 18 agosto 1990, n. 8394, Fioretto c. Fioretto.
Nella controversia fra due aventi causa dall'unico originario proprietario di fabbricato poi divenuto condominiale,
circa la propriet di terrazza a livello, svolgente funzione di copertura dei sottostanti piani dell'edificio, che sia
contigua a (ed accessibile da) entrambi gli appartamenti, deve darsi prevalenza al titolo di acquisto, ancorch
successivo, nel quale la terrazza formi oggetto di esplicito trasferimento in favore dell'acquirente
dell'appartamento, rispetto al titolo, relativo all'altro immobile, in cui del manufatto non si trovi alcuna menzione.
Infatti l'attribuzione legale della terrazza in propriet condominiale ai proprietari di piano o porzioni di piano, a
norma dell'art. 1117 c.c., quale parte necessaria all'esistenza del fabbricato da essa coperto, derogabile solo
quando in virt del titolo di acquisto dall'unico originario proprietario dell'edificio (o con atto di disposizione dei
condomini titolari del diritto di propriet comune) venga stabilito il diverso regime della propriet superficiaria (o
dell'uso esclusivo) della terrazza, in favore dell'acquirente dell'immobile ad essa contiguo, in mancanza della
quale deroga, il proprietario originario dell'intero fabbricato, rimasto proprietario anche della terrazza, pu
successivamente attribuirne la propriet all'acquirente di altro immobile, mediante espressa pattuizione in tale
senso.
* Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1996, n. 10323, Amodeo c. Preziosi. [RV500730]
Opere abusive
In tema di condominio negli edifici, l'azione contro il singolo partecipante, rivolta a conseguire, in via cautelare o
definitiva, la rimozione di opere abusivamente realizzante sul lastrico solare, di propriet comune, configura atto
di conservazione dei diritti inerenti a detta porzione comune, e, pertanto, pu essere proposta
dall'amministratore senza necessit di autorizzazione assembleare, ai sensi del combinato disposto degli artt.
1130 e 1131 cod. civ., mentre resta a tal fine irrilevante la natura reale o personale dell'azione medesima, cos
come la circostanza che quelle opere abusive ledano anche diritti individuali dei singoli condomini, e che questi
possano a loro volta agire a tutela delle cose di propriet comune od individuale.
* Cass. civ., sez. II, 27 luglio 1983, n. 5160, Puca c. Mele.
L'abolizione di rivendicazione della propriet comune dell'appartamento abusivamente costruito da un
condomino sul lastrico solare comune dell'edificio condominiale, non avendo scopo meramente conservativo,
non rientra tra gli atti che, ai sensi dell'art. 1130 n. 4 c.c., l'amministratore ha il potere di compiere senza
necessit di delega o autorizzazione dell'assemblea dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1993, n. 4530, Condominio Via Montello n. 11 c. Graziani.
Colui che, acquistata dal proprietario dell'appartamento sottostante la propriet di parte della terrazza a livello
del proprio appartamento, ma con funzione di copertura ed illuminazione di quello sottostante, si sia obbligato a
non costruirvi, non pu oscurare con vasi le aperture lucifere, costituite da lastre di vetrocemento. Benvero,
mentre il divieto di costruire ha portata pratica analoga all'imposizione di una servit ne luminibus officiatur a
carico del titolare del diritto di aderenza o di appoggio ex art. 904 c.c., l'oscuramento dell'orditura lucifera
comporta una innovazione non consentita della soletta comune rispetto alla destinazione ad essa
convenzionalmente impressa dai comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1970, n. 63.
Un condomino non pu trasformare un manufatto condominiale, avente la sola funzione di copertura di una
terrazza a livello per il proprio uso esclusivo, atteso che in siffatto modo viene alterata la destinazione della cosa
comune e si attrae, in contrasto con l'art. 1102 c.c. nella propriet esclusiva un bene di uso condominiale, senza
che l'autorizzazione possa trovare un'analogia con l'art. 1127 c.c., che presuppone il pagamento di un'indennit
e la ricostruzione dell'intero tetto, senza pregiudizio per la propriet condominiale.
* Trib. civ. Milano, 13 settembre 1991, inedita.
Parapetti
Le spese inerenti alla riparazione o ricostruzione di un parapetto di un terrazzo di propriet esclusiva (costituito
dalla prosecuzione in altezza del muro perimetrale di un edificio condominiale) che, pur assolvendo
prevalentemente ad un compito di affaccio, di appoggio e di protezione, eserciti altres una funzione legata al
decoro architettonico dell'edificio, sono ripartibili secondo il criterio di cui all'art. 1126 c.c.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 10 febbraio 1992, Zaglia e altra c. Cond. di via Bitti n. 32 di Milano, in Arch. loc. e
cond. 1993, 129.
Le spese di riparazione e di manutenzione dei parapetti delle terrazze a livello, quand'anche queste ultime
disimpegnino pure il compito di parziale copertura dell'edificio, vanno poste a totale carico dei proprietari
esclusivi delle terrazze, unici beneficiari della loro presenza, ai quali, grazie a tali manufatti, consentito
l'affaccio ed il pi sicuro passaggio sulla loro propriet esclusiva.
* Trib. civ. Salerno,10 novembre 1989, Di Stasio ed altri c. Condominio di via Luigi Guercio n.117, Salerno, in
Arch loc. e cond. 1990, 282.
Dovendo i parapetti dei lastrici solari considerarsi accessori e indispensabili completamenti di questi ultimi, le
spese relative debbono seguire il medesimo regime giuridico dei lastrici ai quali sono annessi.
* Trib. civ. Genova, 5 gennaio 1996, n. 55, Gaggero ed altri c. Condominio di Fossato S. Nicol n. 1 in Genova,
in Arch. loc. e cond. 1997, 289.
Proprietario esclusivo
Il proprietario esclusivo del lastrico solare partecipa ai diritti ed agli obblighi della comunione delle cose e dei
servizi dell'edificio, che derivano dalla disciplina del condominio edilizio, quand'anche non sia proprietario di un
piano o di porzione di un piano; pertanto partecipa anche alla comunione di quella parte dell'edificio necessario
alla sua esistenza, vale a dire alla comunione del suolo su cui l'edificio sorge.

* Cass. civ., sez. II,21 maggio 1960,n. 1300.


In tema di edifici in condominio, affinch una terrazza a livello, che esplichi anche funzioni di copertura dei piani
sottostanti, possa ritenersi di propriet esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui si accede alla terrazza
stessa, ove tale appartenenza non risulti dal titolo, necessario che essa faccia parte integrante da un punto di
vista strutturale e funzionale del piano cui annessa, di guisa che la funzione di copertura dei piani sottostanti si
profili come meramente sussidiaria.
* Cass. civ., sez. II, 22 aprile 1994, n. 3832, Fiorillo c. Aliboni.
La presunzione che il diritto di propriet esclusiva su di un piano di un edificio si estenda anche ai terrazzi a
livello del piano stesso comunicanti con il medesimo si applica soltanto a quei terrazzi che dal punto di vista
strutturale e funzionale presentino la natura e le caratteristiche di estensione e di parte integrante del piano cui
siano annessi, sicch la funzione di copertura dei piani sottostanti si profili meramente sussidiaria. La
presunzione anzidetta resta, altres, esclusa quando la costruzione del terrazzo sia stato il frutto di uno specifico
accordo tra le parti; in tal caso, invero, a questo soltanto che si deve far riferimento per stabilire l'appartenenza
della terrazza medesima.
* Cass. civ., 5 febbraio 1968, n. 363.
Il lastrico solare di un edificio condominiale, che sia stato venduto dal costruttore ed originario proprietario
dell'intero edificio come area interamente edificabile, in forza di valido titolo opponibile agli acquirenti delle altre
unit immobiliari, non rientra fra le parti comuni, secondo la previsione dell'art. 1117 cod. civ. In tale ipotesi,
pertanto, l'assemblea del condominio, ancorch in sede di approvazione del regolamento, non pu disciplinare e
limitare il diritto di costruire sul lastrico, senza il consenso del relativo proprietario.
* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1978, n. 4782,
L'incorporazione della terrazza a livello nel piano o nella porzione di piano oggetto di signoria autonoma deve
essere obiettiva, cio risultare dallo stato delle cose, piuttosto che da una destinazione soggettiva, la quale pu
giovarsi dell'interpretazione del titolo -ove esiste e sia di non chiaro significato- oppure, al fine dell'usucapione,
per desumere l'esercizio di un possesso esclusivo, ma non determinante quando la sottrazione al regime della
comunione si faccia derivare da caratteristiche del bene in s, che ne impediscano la configurazione come
lastrico solare. Inoltre gli eventuali dubbi di qualificazione vanno risolti tenendo presente che, per regola
generale, vige il regime di comunione, dato che la superficie di cui si discute serve sempre ed almeno a coprire i
vani sottostanti dell'edificio condominiale; e che, per altro verso, tale regime non escluso dal solo fatto che dal
bene uno o pi comproprietari traggano utilit maggiori rispetto agli altri. Conseguentemente, soltanto se dalla
struttura e dalla funzione obiettiva risulti preponderante la destinazione particolare su quella comune,
consentito ravvisare nella terrazza un oggetto di propriet esclusiva. (Nella specie stato ritenuto
sufficientemente motivato il giudizio del giudice del merito che aveva qualificato lastrico solare e non terrazza a
livello un'area posta a copertura di due vani, costruiti uno sull'altro fra gli edifici di diversi proprietari, dei
corrispondenti piani dei quali ciascuno formava il rispettivo prolungamento orizzontale, caratterizzata da un
piano inclinato recante incavi destinati al convogliamento delle acque piovane verso una cisterna appartenente
ad uno dei condomini e dalla possibilit di comodo accesso solo per l'altro condomino).
* Cass. civ., 28 marzo 1973, n. 856.
Se non risulti diversamente dal titolo, non configurabile la presunzione di parte comune dell'edificio
condominiale in relazione ad un lastrico solare che funga da copertura di uno o pi locali di propriet di un solo
condomino.
* Cass. civ., sez. II, 27 marzo 1996, n. 2707, Diorio c. Soc. Liva, in Arch. loc. e cond. 1996, 503.
q Perch una terrazza a livello, che esplichi anche funzione di copertura dei piani sottostanti, possa ritenersi di
propriet esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui alla terrazza medesima si accede, necessario che
essa faccia parte integrante, da un punto di vista strutturale e funzionale, del piano cui annessa, di talch la
funzione di copertura dei piani sottostanti si profili come meramente sussidiaria.
* Cass. civ., 21 maggio 1974, n. 40.
L'assemblea condominiale pu legittimamente deliberare la riparazione o il rifacimento anche del lastrico solare
di propriet esclusiva, ma tale decisione non pu incidere sulle facolt di godimento del piano di calpestio dello
stesso, di pertinenza del proprietario esclusivo, facolt di godimento che ricomprendono il diritto a che i lavori
non comportino mutamento dell'aspetto estetico del bene.
* Trib. civ. Sanremo, 12 dicembre 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 607.
Sopraelevazione
La terrazza a livello, anche se di propriet esclusiva, equiparata (in relazione alla sua funzione di copertura
della parte sottostante dell'edificio) al lastrico solare in senso stretto e tale considerata anche nel regime della
sopraelevazione.
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1988, n. 5776, Belforti c. Ded.
La terrazza a livello, anche se di propriet esclusiva, equiparata (in relazione alla sua funzione di copertura
dell'edificio) al lastrico solare in senso stretto e tale considerata anche nel regime della sopraelevazione; ne
consegue che il regolamento condominiale pu limitare il diritto di sopraelevazione spettante al proprietario
dell'appartamento a cui la terrazza afferisce soltanto se esso ha natura contrattuale.
* Cass. civ., sez. II, 19 luglio 1999, n. 7678, Ercolino c. Cond. via Doria 40 Roma.
Il giudice che richiesto di ordinare la demolizione di un'opera eseguita da un condomino su una terrazza di
copertura condominiale perch altera il decoro architettonico dell'edificio, e perci costituisce innovazione vietata
ai sensi dell'art. 1120, comma secondo, c.c., accoglie la domanda ai sensi dell'art. 1127, comma terzo, c.c.
perch ravvisa il pregiudizio estetico dell'edificio, e perci l'illegittimit della sopraelevazione, ma accerta,
incidenter tantum, conformemente alle difese del convenuto, la propriet esclusiva della terrazza, non va ultra
petita perch questo un presupposto della causa petendi - alterazione del decoro architettonico - rimasta

identica, come il petitum attribuito - la demolizione - pur se con argomenti diversi da quelli prospettati.
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1998, n. 10334, Meroni e altra c. Bianco.
I condomini possono opporsi alla sopraelevazione eseguita dal condomino dell'ultimo piano sul suo terrazzo a
livello, o lastrico solare, che pregiudica le caratteristiche architettoniche dell'edificio e, se eseguita, ne possono
chiedere la riduzione in pristino e il risarcimento del danno; ma la relativa azione, posta a tutela dei proprietari
esclusivi del piano sottostante, comproprietari delle parti comuni, soggetta a prescrizione ventennale, perch il
diritto soggettivo reale del condomino a far valere la non alterazione del decoro architettonico, disponibile e si
prescrive per mancato esercizio ventennale, s che il condomino che ha sopraelevato in violazione dell'obbligo di
cui al comma terzo dell'art. 1127 c.c. acquista, per usucapione, il diritto a mantenere la costruzione cos come
l'ha realizzata, diversamente dal caso in cui con essa comprometta le condizioni statiche dell'edificio, perch in
questo caso non vi un limite al suo diritto di sopraelevare, ma manca il presupposto stesso della sua
esistenza, e perci la relativa azione di accertamento negativo imprescrittibile.
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1998, n. 10334, Meroni ed altra c. Bianco P. ed altri.
Sostituzione con un tetto a falde
q La sostituzione della copertura di lastrico solare con un tetto a falde richiede l'autorizzazione paesistica, poich
non costituisce opera di manutenzione straordinaria. La L. 8 agosto 1985, n. 431 esclude la configurabilit di tale
ultimo intervento (in ci differenziandosi dalla normativa urbanistica) quando, come nel caso suddetto, si verifichi
una immutazione appariscente e rilevante, dell'aspetto esteriore dell'edificio.
* Cass. pen., sez. III, 21 giugno 1994, n. 1447 (c.c. 6 maggio 1994), Vitolo, in Arch. loc. e cond. 1995, 101.
Spese
Il proprietario esclusivo del lastrico solare partecipa ai diritti e agli obblighi della comunione delle cose e dei
servizi dell'edificio che derivano dalla disciplina del condominio edilizio, anche se non sia proprietario di un piano
o di una porzione di piano; partecipando egli, pertanto, alla comunione del suolo su cui l'edificio insiste, deve
regolarmente operarsi la detrazione dell'importo della quota di compropriet a lui spettante per determinare
l'indennit che egli tenuto a corrispondere, in caso di sopraelevazione, gli altri condomini, a norma dell'art.
1127 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 26 marzo 1976, n. 1084.
Il proprietario esclusivo del lastrico solare tenuto al pagamento, in porzione dei relativi millesimi, delle spese
condominiali comuni anche nel caso in cui vietato sopraedificare dalla normativa edilizia applicabile nella zona
ove esiste l'edificio, perch tale divieto - peraltro non immutabile- non fa venir meno il suo diritto di propriet sul
lastrico solare, n questo utilizzabile soltanto per sopraelevare.
* Cass. civ., sez. II, 29 novembre 1999, n. 13328, Cerruti c. Cond. Via Pareto,6, Noli.
In base al criterio di ripartizione delle spese stabilito dall'art. 1126 c.c. il proprietario esclusivo del lastrico solare
(cui va equiparata la terrazza a livello) deve contribuire nelle spese di riparazione soltanto nella misura di un
terzo, senza dover concorrere nella ripartizione degli altri due terzi della spesa stessa, che restano a carico dei
soli proprietari dei piani sottostanti ai quali il lastrico (o la terrazza) serve da copertura.
* Cass. civ., sez. II, 3 maggio 1993, n. 5125, Marimonti c. Buoncristiano e Condominio di via Cadlolo n. 118/134.
La norma dell'art. 1126 c.c., prevedendo testualmente che la contribuzione per un terzo delle spese di
rifacimento del lastrico solare deve far carico ai condomini <<che ne hanno l'uso esclusivo>> anzich a quelli
che ne <<fanno>> uso esclusivo, attribuisce all'espressione <<uso esclusivo>> il significato di mera potenzialit
o facolt dell'uso, quale che sia il concreto modo, anche di semplice inerzia, del suo estrinsecarsi,
confermandosi dal tenore della stessa norma, come dalla sua ratio, la volont del legislatore di prescindere da
una effettiva utilizzazione del bene ed il riferimento alla utilitas ricavabile all'infuori od in pi di quella insita nella
generale funzione di copertura sui cui soli fruitori non far gravare le relative spese.
* Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1993, n. 2988, Penna, Cerciello c. Condominio alla XI Rampa S. Antonio a
Posillipo 104, Napoli.
La spesa per la riparazione o ricostruzione del lastrico o della terrazza a livello deve essere sostenuta per un
terzo da coloro che ne hanno l'uso esclusivo e per due terzi dai condomini dell'edificio o delle parti di edificio a
cui il lastrico serve come copertura; pertanto, individuati i condomini che hanno l'uso esclusivo del lastrico e
posto a loro carico un terzo delle spese di ricostruzione o riparazione, la rimanente parte di dette spese deve
essere imputata esclusivamente ai proprietari degli appartamenti situati nella zona dell'edificio coperta dal
lastrico.
* Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1994, n. 3542, Monguzzi c. Condominio Villa Keller.
Il criterio di ripartizione fra i condomini di un edificio delle spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare
o della terrazza a livello che serva di copertura ai piani sottostanti, fissato dall'art. 1126 c.c., (un terzo a carico
del condomino che abbia l'uso esclusivo del lastrico o della terrazza; due terzi a carico dei proprietari delle unit
abitative sottostanti) riguarda non solo le spese per il rifacimento o la manutenzione della copertura, e cio del
manto impermeabilizzato, ma altres quelle relative agli interventi che si rendono necessari in via
conseguenziale e strumentale, s da doversi considerare come spese accessorie (nella specie: spese per il
rifacimento della pavimentazione e del parapetto, nonch per il trasporto e la discarica dei detriti).
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1992, n. 11449, Ridella c. Morano.
L'articolo 1126 c.c, nel disciplinare la ripartizione delle spese di riparazione e ricostruzione del lastrico solare per
chi ne ha l'uso esclusivo non specifica la natura reale o personale di esso, che invece determinata dal titolo,
n al fine rileva l'attribuzione millesimale, utilizzata come criterio per contribuire agli oneri condominiali.
* Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1999, n. 8532, Bellerate c. Cond. Tre Pini - Lido di classe - Ravenna.
La disposizione dell'art. 1126 c.c, il quale regola la ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione del
lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle riparazioni dovute a vetust e non a quelle

riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell'opera, indebitamente tollerati dal singolo
proprietario. In tale ultima ipotesi, ove trattasi di difetti suscettibili di recare danno a terzi, la responsabilit
relativa, sia in ordine alla mancata eliminazione delle cause del danno che al risarcimento, fa carico in via
esclusiva al proprietario del lastrico solare, ex. art. 2051 c.c., e non anche -sia pure in via concorrenziale- al
condominio.
* Cass. civ., sez. III, 18 giugno 1998, n. 6060, Tozzi c. Suma ed altro, in Arch. loc. e cond. 1998, 685.
In un condominio, il lastrico di copertura di una parte individuata dell'edificio condominiale che ha la funzione,
oltre che di copertura di tale parte, anche di raccolta delle acque di scolo di altre parti dell'edificio deve ritenersi
destinato a servire anche queste ultime, con la conseguenza che le spese di manutenzione devono essere
ripartite tra tutti i condomini che ne traggono utilit, tenendo conto della diversa utilit che ciascuna parte pu
trarre.
* Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1999, n. 3803
In tema di condominio di edifici la terrazza a livello, anche se di propriet o in godimento esclusivo di un singolo
condomino, assolve alla stessa funzione di copertura del lastrico solare posto alla sommit dell'edificio nei
confronti degli appartamenti sottostanti. Ne consegue che a norma dell'art. 1126 c.c. alla manutenzione della
terrazza a livello sono tenuti, a norma dell'art. 1126 c.c., tutti i condomini cui la terrazza funge da copertura, in
concorso con l'eventuale proprietario superficiario o titolare del diritto di uso esclusivo. Conseguentemente, i
danni cagionati all'appartamento sottostante da infiltrazioni di acqua provenienti dalla terrazza deteriorata per
difetto di manutenzione devono rispondere tutti i condomini tenuti alla sua manutenzione, secondo i criteri di
ripartizione della spesa stabiliti dall'art. 1126 c.c. La domanda di risarcimento dei danni proponibile nei
confronti del condominio in persona dell'amministratore, quale rappresentante di tutti i condomini tenuti ad
effettuare la manutenzione, ivi compreso il proprietario dell'appartamento posto allo stesso livello della terrazza.
* Cass. civ., sez. II, 11 settembre 1998, n. 9009, Cond. Via Gradoli, 65 - Roma c. Gorgerino.
Il condomino di un edificio che, come proprietario del piano attico, ha l'uso esclusivo di terrazze poste a livello
del suo appartamento aventi anche funzione di copertura (lastrico solare) delle sottostanti parti dello stabile,
deve concorrere alla spesa di riparazione o ricostruzione del lastrico solare soltanto nella misura di un terzo,
restando gli altri due terzi della spesa stessa a carico dei proprietari di piani o porzioni di piani sottostanti, ai
quali il lastrico serve da copertura, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno.
* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1976, n. 497.
L'onere del condomino il quale sia stato gravato, ai sensi dell'art. 1126 cod. civ. di un terzo delle spese di
rifacimento del lastrico solare di cui abbia l'uso esclusivo in base ad una clausola del regolamento contrattuale
del condominio, non viene meno ove l'accesso al detto lastrico rimanga assicurato ancorch con manufatti
diversi da quelli all'uopo previsti nella suddetta clausola e non eseguiti dal costruttore dell'edificio.
* Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1988, n. 6681, Balestrero c. Cond. V. Puggia.
Il lastrico solare, anche attribuito in uso esclusivo a uno dei condomini - ovvero in propriet esclusiva dello
stesso - svolge funzione di copertura del fabbricato e perci, ai sensi dell'art. 1126 cod. civ., le spese per la sua
riparazione o ricostruzione sono poste per due terzi a carico del condominio. Di conseguenza, anche i danni
cagionati dalla mancata manutenzione del lastrico o del manto impermeabile che protegge l'ultimo piano
dell'edificio non possono essere messi interamente a carico del proprietario o usuario del lastrico stesso, ma
debbono essere risarciti col concorso del condominio nella proporzione prevista dalla citata norma.
* Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 1987, n. 1618, Miglio c. Mosca.
In tema di ripartizione delle spese condominiali le attribuzioni dell'assemblea ex art. 1135 c.c. sono circoscritte
alla verificazione ed all'applicazione in concreto dei criteri stabiliti dalla legge, che non comprendono il potere di
introdurre deroghe ai criteri medesimi, atteso che tali deroghe venendo ad incidere sul diritto individuale del
singolo condomino di concorrere nelle spese per le cose comuni dell'edificio condominiale in misura non
superiore a quelle dovute per legge, possono conseguire soltanto ad una convenzione cui egli aderisca.
Pertanto nulla e non meramente annullabile, anche se presa all'unanimit, la delibera che modifichi il criterio
legale di ripartizione delle spese di ripartizione del lastrico solare stabilito dall'art. 1126 c.c., senza che i
condomini abbiano manifestato la espressa volont di stipulare un negozio dispositivo dei loro diritti in tal senso,
con la conseguenza che detta nullit pu essere fatta valere, a norma dell'art. 1421 c.c., anche dal condomino
che abbia partecipato all'assemblea esprimendo voto conforme alla deliberazione stessa, purch alleghi e
dimostri di avervi interesse per derivare dalla deliberazione assembleare un apprezzabile suo pregiudizio, non
operando nel campo del diritto sostanziale la regola propria della materia processuale secondo cui chi ha
concorso a dare causa alla nullit non pu farla valere.
* Cass. civ., sez. II, 3 maggio 1993, n. 5125, Marimonti c. Buoncristiano e Condominio di via Cadlolo n. 118/134.
La funzione delle terrazze a livello di copertura dei piani sottostanti non essenziale e preminente come nel
caso dei lastrici solari condominiali, bens meramente sussidiaria rispetto all'altra derivante dalla loro natura e
caratteristica di estensione ed integrazione dell'appartamento cui sono annesse. Conseguentemente, la
ripartizione delle spese di manutenzione o ricostruzione deve effettuarsi tra il proprietario della terrazza e gli altri
condomini in proporzione dei vantaggi da essi rispettivamente ritrattati, soccorrendo all'uopo la disciplina degli
artt. 1123 e 1126 cod. civ., salvo che le spese si siano rese necessarie per fatto imputabile solo a chi ha l'uso
esclusivo del terrazzo.
* Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1986, n. 1029, Tersigni c. Pullini.
La spesa per la riparazione o ricostruzione del lastrico o della terrazza a livello va sopportata per un terzo da
coloro che ne hanno l'uso esclusivo e per due terzi da tutti i condomini dell'edificio o della parte di questo a cui il
lastrico o la terrazza serve, in proporzione del valore del piano di ciascuno. Pertanto, non solo bisogna separare
i condomini che hanno l'uso esclusivo del lastrico e della terrazza, per porre a loro carico un terzo dell'onere

della ricostruzione o riparazione, ma, nell'ambito dei rimanenti condomini, va fatta un'ulteriore distinzione fra
coloro che hanno e coloro che non hanno appartamenti nella zona dell'edificio coperta dal lastrico o dalla
terrazza.
* Cass. civ., sez II, 29 gennaio 1974, n. 244.
L'obbligo dei condomini dell'edificio cui il lastrico solare serve di copertura, di concorrere nelle spese di
ricostruzione e di manutenzione dello stesso - ancorch esso sia in tutto o in parte sottratto all'uso comune trova fondamento non gi nel diritto di propriet sul lastrico medesimo ma nel principio in base al quale i
condomini sono tenuti a contribuire alle spese in ragione dell'utilitas che la cosa da riparare o da ricostruire
destinata a dare ai singoli loro appartamenti. Da tanto consegue che anche i correlativi poteri deliberativi
dell'assemblea restano circoscritti nell'ipotesi anzidetta alle decisioni concernenti la riparazione, ricostruzione e
sostituzione degli elementi strutturali del lastrico solare, inscindibilmente connessi con la sua funzione di
copertura (solaio, guaine impermeabilizzanti etc.) senza che nessuna rilevanza rivesta la natura del diritto di uso
esclusivo, ovverossia il suo carattere reale o personale, spettante a taluni condomini, i quali soltanto, quali
fruitori delle relative utilit debbono sostenere le spese di riparazione e manutenzione e di quegli altri elementi
costruttivi e manufatti (ringhiere e simili ripari) che servono non gi alla copertura dell'edificio ma a soddisfare
altre utilit del lastrico o di quella parte di esso di uso esclusivo.
* Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1990, n. 10602, Pieragnoli c. Cond. V. Coppo.
La disposizione dell'art. 1126 c.c., il quale regola la ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione del
lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle riparazioni dovute a vetust e non a quelle
riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell'opera, indebitamente tollerati dal singolo
proprietario. In tale ultima ipotesi, ove trattasi di difetti suscettibili di recare danno a terzi (nella specie: imperfetta
impermeabilizzazione e difetti nei canali di scarico delle acque piovane che avevano invaso le propriet
sottostanti) la responsabilit relativa, sia in ordine alla mancata eliminazione delle cause del danno che al
risarcimento, fa carico in via esclusiva al proprietario del lastrico solare, ex art. 2051 c.c., e non anche - sia pure
in via concorrenziale - al condominio.
* Cass. civ., sez. II, 24 agosto 1990, n. 8669, Zorzan c. Omodei.
Nel condominio degli edifici, il godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di
tutela possessoria quando uno di essi abbia alterato e violato, senza il consenso ed in pregiudizio degli altri
partecipanti, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o
restringere il godimento spettante a ciascun compossessore pro indiviso sulla cosa medesima. Pertanto, con
riguardo al lastrico solare, cui connaturata la funzione di copertura delle parti sottostanti dell'edificio
condominiale, commette spoglio il condominio che ne immuti lo stato di fatto o ne alteri la destinazione, con
l'effetto di escludere o ridurre apprezzabilmente, anche soltanto sul piano delle possibilit o modalit di esercizio
(accessibilit, ispezionabilit del manufatto), le precedenti facolt di utilizzazione e godimento del lastrico stesso
- riguardo in questa specifica funzione - degli altri condomini, restando irrilevante, in tale ipotesi, che l'eventuale
fine della immutazione sia quella di consentire o rendere pi agevole allo spoliator l'utilizzazione del lastrico
solare come piano di calpestio, non astrattamente incompatibile con la sua funzione di copertura.
* Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1993, n. 2947, Santi c. Addari.
Le spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare di un edificio, cui va assimilata la terrazza a livello,
devono essere sopportate a norma dell'art. 1126 c.c., in ragione di un terzo dal condomino che ne abbia l'uso
esclusivo, restando gli altrui due terzi della spesa stessa a carico dei proprietari dei piani o porzioni di piano
sottostanti ai quali il lastrico o la terrazza serve di copertura. Pertanto il proprietario esclusivo del lastrico o della
terrazza tenuto alla doppia contribuzione soltanto quando sia proprietario anche di una delle unit immobiliari
sottostanti, in proporzione al valore della medesima.
* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1992, n. 11449, Ridella c. Morano.
Il principio della rimborsabilit al condominio - in assenza di autorizzazione dell'organo competente - delle sole
spese da costui sostenute in via d'urgenza deve essere applicato anche alle spese di riparazione e ricostruzione
del lastrico in uso esclusivo del condomino, trattandosi di spese comunque destinate ad essere ripartite tra tutta
la collettivit condominiale (secondo i criteri dell'art. 1126 c.c.) in funzione della comune utilit del bene quale
copertura dell'edificio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 27 maggio 1993, Ceva Valla c. Cond. Di via Roentgen nn. 16/18 di Milano, in Arch.
loc. e cond. 1994, 128.
I proprietari dei lastrici solari rispondono delle spese rese necessarie dal godimento esclusivo delle terrazze,
come nel caso di danni provocati da sovraccarichi o da esondazioni, cos come rispondono delle spese
destinate al ripristino della parte interna dei parapetti.
* Corte app. civ. Milano, 15 settembre 1989, n. 1345, inedita.
E' illegittimo, per contrasto con l'art. 1126 c.c., il criterio di riparto o di spesa che, in relazione ad opere di
riparazione o ricostruzione della copertura di un edificio, oneri i soli condomini utenti in via esclusiva delle spese
di pavimentazione, limitando l'applicazione del diverso criterio di cui all'articolo citato, alle spese di
impermeabilizzazione.
* Trib. civ. Genova, 7 novembre 1990, inedita.
Nel caso in cui un lastrico solare non svolga alcuna funzione di copertura dello stabile condominiale o, se lo
svolga, lo faccia del tutto inutilmente e contro la volont dei condomini, le spese per la sua manutenzione vanno
ripartite ex art. 1123, secondo comma, c.c. e non ex art. 1126 c.c.
* Trib. civ. Roma, sez. V, 18 marzo 1993, n. 4499, Boccardi e altra c. Condominio di via Santuario della Regina
degli Apostoli n. 25 di Roma, in Arch. loc. e cond. 1993, 746.
I condomini di un edificio cui un lastrico solare serva da copertura hanno l'obbligo di concorrere nelle spese di
ricostruzione e di manutenzione, ancorch esso sia in tutto od in parte sottratto all'uso comune, perch tale

obbligo trova fondamento non gi nel diritto di propriet del lastrico, ma nel principio in base al quale i condomini
sono tenuti a contribuire alle spese in ragione della utilit che la cosa da riparare o ricostruire destinata a dare
ai singoli.
* Trib. civ. Milano, 4 luglio 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 633.
Le spese di manutenzione di una copertura a lastrico con funzione di sostegno di un'area verde condominiale,
vanno ripartite tra i condomini proprietari del lastrico e della sovrastante area verde da una parte e i proprietari
delle sottostanti autorimesse, e devono essere rapportate alla diversa utilit ritratta, che pu equitativamente
fissarsi rispettivamente in 1/3 e 2/3. Gli interventi di manutenzione di tale copertura sono di competenza
dell'amministratore, ed l'assemblea che delibera sulle spese di manutenzione straordinaria.
* Trib. civ. Parma, 18 dicembre 1995, n. 940, Del Canale c. Condominio di via Volturno n. 18 in Parma e
Condominio di via Rav n. 1 in Parma, in Arch. loc. e cond. 1996, 75.
Deve porsi a carico dei soggetti interessati alla funzione di copertura della terrazza a livello la quota (dell'importo
pari ai due terzi dell'intera spesa) proporzionale alla parte di edificio condominiale in cui sono contenute le
propriet comuni e quelle esclusive, calcolando opportunamente la misura dell'incidenza di tali parti.
* Trib. civ. Milano, 7 novembre 1994, in Giust. civ. 1995, I, 1371.
Nel caso di rifacimento di una terrazza a livello, attrezzata e corredata da aiuole in muratura, posta al primo
piano e costituente il tetto di un solo locale adibito ad autorimessa, le spese condominiali devono essere ripartite
secondo i criteri indicati dall'art. 1126 c.c.
* Trib. civ. Genova, sez. III, 14 febbraio 1996, n. 417, Accame c. Corsanego, in Arch. loc. e cond. 1996, 400
La disciplina di cui all'art. 1126 non applicabile in ordine alla ripartizione delle spese di riparazione di un
terrazzo che, pur svolgendo funzione di copertura per una limitata colonna di appartamenti, nella libera
disponibilit di tutti i condomini.
* Corte app. civ. Milano, 9 marzo 1990, n. 392, in Arch. loc. e cond. 1991, 325.
Uso esclusivo del lastrico
L'art. 1126 c.c., nel prevedere la possibilit di uso esclusivo del lastrico solare, non specifica la natura giuridica
di tale diritto, il quale pu avere carattere reale o personale ed comunque quello che risulta dal titolo, ma, in
mancanza di titolo, ha vigore la regola generale del regime di comunione, dato che la superficie (della
terrazza-lastrico solare) serve pur sempre a coprire i vani sottostanti dell'edificio condominiale, e che tale regime
non escluso dal solo fatto che dal bene uno o pi comproprietari traggano utilit maggiori rispetto agli altri.
Perch una terrazza a livello, che esplichi anche funzione di copertura dei piani sottostanti, possa ritenersi di
propriet esclusiva del proprietario dell'appartamento da cui alla terrazza medesima si accede, necessario che
essa faccia parte integrante, da un punto di vista strutturale e funzionale, del piano cui annessa, di tal che la
funzione di copertura dei piani sottostanti si profili, come meramente sussidiaria.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1974, n. 1501.
Il condomino che, essendo titolare del diritto di uso esclusivo sul lastrico solare, vi rinunzi esonerato dalla
contribuzione nelle spese di riparazione e ricostruzione del lastrico secondo il criterio dell'art. 1126 c.c., e deve
parteciparvi in base alla quota millesimale di propriet, non potendo estendersi analogicamente alla rinunzia ad
un particolare diritto di uso sulla cosa comune la norma dell'art. 1118, secondo comma, c.c., in base alla quale la
rinunzia al diritto di propriet sulle cose comuni non esonera il rinunziante dalle spese per la loro conservazione,
dal momento che tale norma, oltre a costituire deroga all'opposto principio generale stabilito dal primo comma
dell'art. 1104 c.c., trova la sua ratio nell'inscindibile collegamento tra la fruizione della propriet comune e la
fruizione di quella individuale e nella conseguente esigenza di non consentire e al condomino di sottrarsi alla
contribuzione nelle spese per la conservazione di beni dei quali egli continuerebbe necessariamente a godere
pur dopo avervi rinunziato, che non sussiste invece nel caso di un bene il cui godimento, puramente eventuale,
rimesso alla libera determinazione del suo titolare e con la rinunzia di questi si trasferisce alla collettivit dei
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 10 aprile 1996, n. 3294, Meroli c. Bonfiglio.
Il diritto esclusivo di calpestio del lastrico solare pu essere acquistato per usucapione.
* Cass. civ., 17 aprile 1973, n. 1103.
Il condomino legittimato ad impugnare con l'azione di nullit ex art. 1421 c.c. una deliberazione assembleare
come esorbitante i poteri che competono all'assemblea purch deduca e dimostri di avere interesse
all'accertamento della nullit, e cio che la deliberazione impugnata gli arreca un apprezzabile pregiudizio ( nella
specie di un condomino avente l'uso esclusivo di una parte del lastrico solare aveva fatto valere la nullit della
deliberazione assembleare che aveva deciso il rifacimento della pavimentazione per tutta la superficie del
lastrico medesimo sostituendo altro tipo di mattonato a quello preesistente, senza indicare quale concreto
pregiudizio era a lui derivato dall'anzidetta sostituzione).
* Cass. civ., sez. II, 5 novembre 1990, n. 10602, Pieragnoli c. Cond. V. Coppo.
Vedute
Al fine di configurare una veduta da terrazze, lastrici solari e simili, necessario che queste opere,
oggettivamente considerate, abbiano quale destinazione normale e permanente, anche se non esclusiva, quella
di rendere possibile l'affacciarsi sull'altrui fondo vicino, cos da determinare il permanente assoggettamento al
peso della veduta; e non occorre che tali opere siano sorte per l'esclusivo scopo dell'esercizio della veduta,
essendo sufficiente che esse, per l'ubicazione, la consistenza e la struttura, abbiano oggettivamente la detta
idoneit.
* Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1990, n. 11125, De Carlo c. Console.
Marciapiedi condominiali
In una sua sentenza (20 aprile 1995, n 4461) Ia Cassazione ha chiarito che lapposizione di transenne tubolati ai
marciapiedi comuni, che impediscono a taluni condomini laccesso con i veicoli a detti marciapiedi ai quali in

passato essi avevano acceduto, integra attivit di spoglio e leccezione dellamministratore di averlo compiuto in
esecuzione di una deliberazione condominiale legittima e non impugnata (feci sed jure feci) non idonea ad
escludere lanimus spoliandi, soprattutto se, come nella specie, per lungo tempo dopo 1assunzione della
deliberazione i condomini abbiano continuato ad esercitare il possesso.
E stato altres puntualizzato che il godimento da parte del condomino della cosa comune, ai sensi dellart. 1102
C.C. , incontra il duplice limite del divieto di alterare la destinazione della cosa medesima e del divieto di
precludere agli altri condomini di fame parimenti uso secondo il loro diritto. Pertanto, con riguardo alla
comunione di una strada, lillegittimit dellutilizzazione del marciapiede della strada medesima da parte del
singolo comunista, consistente nellapertura di una botola (nella specie, per laccesso ad impianto di
riscaldamento), non pu essere negata per il solo fatto che gli altri partecipanti possano ugualmente transitare,
ricorrendo alla sede stradale od al marciapiede frontistante, in quanto occorre anche riscontrare che quellopera
non si traduca nella sottrazione di una porzione della cosa comune nella sfera di disponibi1it esclusiva di detto
comunista, sottraendola alla possibilit di sfruttamento collettivo (Cass. 8 maggio 1980, n. 3037).
Collaudo dell'impianto
Fa capo all'amministratore del condominio l'obbligo, sanzionato penalmente, di denunciare al comando
provinciale dei vigili del fuoco l'installazione dell'impianto di riscaldamento al fine di consentire il collaudo
dell'impianto stesso. Il reato di omessa denuncia al comando provinciale dei vigili del fuoco dell'installazione
dell'impianto di riscaldamento di natura omissiva ed a carattere permanente.
* Cass. pen., sez. III, 14 aprile 1976, n. 4676 (ud. 14 marzo 1975).
Combustibili
Le disposizioni in materia di combustibili contenute negli artt. 11, 12. 13 e 14 della L. n. 615/1966, sono
applicabili sia agli impianti termici per uso riscaldamento sia agli impianti termici industriali.
* Cass. pen., sez. III, 5 aprile 1990, n. 5187 (ud. 27 febbraio 1990), Massimilla.
La modifica del tipo di alimentazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato da gasolio a metano non
costituisce un'innovazione ma, se l'impianto preesistente obsoleto o guasto, rappresenta una manutenzione
straordinaria, mentre se il preesistente bruciatore ancora funzionante, la sua sostituzione rientra nelle semplici
modifiche migliorative dell'impianto, ove diretta a utilizzare una fonte di energia pi redditizia e meno inquinante.
A ci consegue che per l'approvazione della relativa delibera non richiesta la maggioranza prevista dall'art.
1136, comma 5, del c.c.
* Corte app. civ. Roma, 7 maggio 1997, n. 1517, Spinazzoli c. Cond. di via Livio Andronico, in Guida al dir. 1997,
24, 57.
Condutture e tubature
Nel caso di attraversamento da parte dei tubi dell'impianto termico condominiale di un vano di propriet
esclusiva non fruente di detto impianto si deve ravvisare l'esistenza di una servit prediale di conduttura di liquidi
a carico di tale vano ed a vantaggio delle altre parti dell'edificio e non la semplice configurazione di opere,
installazioni e manufatti di uso e godimento comune ai sensi dell'art. 1117, n. 3 del codice civile, la quale
presuppone gli estremi del reciproco vantaggio con la conseguenza che per la sua costituzione non sufficiente
il mero consenso verbale del proprietario del vano e la mancata opposizione alle relative delibere condominiali,
essendo richiesto per detto consenso la prescritta forma scritta.
* Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1988, n. 1523, Cond. v. Ledi. Vitt. c. Pipolo.
Nel caso di attraversamento, da parte dei tubi dell'impianto di riscaldamento condominiale, di un vano in
propriet esclusiva sprovvisto di radiatori e quindi non fruente di detto impianto, va ravvisata una servit prediale
di conduttura di liquidi, a carico ditale vano ed a vantaggio delle altre parti dell'edificio, e non la situazione
prevista dall'art. 1117, n. 3, cod. civ.. postulante l'estremo del reciproco vantaggio.
* Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 1982, n. 369, Marangio c. Cond. V. Innocenz.
Per quanto si presumano di propriet esclusiva del condomino le condutture che si addentrano nei singoli
appartamenti, la trasformazione o la modificazione di tali condutture non pu essere liberamente effettuata dal
condomino, quando essa si traduca in un pregiudizio per gli altri partecipanti alla comunione modificandone i
diritti. Pertanto, il condomino non pu variare, aumentandola, la superficie radiante del proprio impianto di
termosifone, collegato con l'impianto centrale.
* Cass. civ., 17 maggio 1960, n. 1216.
In tema di condominio di edifici, i poteri dell'assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135
c.c.), non possono invadere la sfera di propriet dei singoli condomini, sia in ordine alle cose comuni che a
quelle esclusive, tranne che una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di
acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda. Pertanto non consentito alla
maggioranza dei condomini deliberare una diversa collocazione delle tubazioni comuni dell'impianto di
riscaldamento in un locale di propriet esclusiva, con pregiudizio di tale propriet. senza il consenso del
proprietario del locale stesso.
* Cass. civ., sez. II, 27 agosto 1991, n. 9157. Tedesco c. Cond. "Pietro da Breggia".
La collocazione in un vano (o altro ambiente o spazio) compreso nel perimetro del condominio delle tubazioni (o
parte di esse) dell'impianto termico centralizzato, o di altro servizio comune, non rende di per s quel vano
insuscettibile di autonomo ed esclusivo diritto di propriet, salve le limitazioni di tale diritto - contraenti
corrispondenti servit - correlata all'obbligo di consentire e conservare la destinazione di tali tubazioni al servizio
ed a vantaggio dell'intero edificio condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 19 maggio 1992, n. 5978.
Per gli impianti che servono all'uso e al godimento comune, quali quelli per il riscaldamento, la presunzione di
comunione opera soltanto per tutta quella parte dell'impianto che pu ritenersi centrale, e non anche per le
condutture derivanti che, staccandosi dall'impianto centrale, si addentrano nei singoli appartamenti, in ordine alle

quali vale, invece, la presunzione di propriet esclusiva. La trasformazione o la modificazione ditali condutture
pu essere liberamente effettuata dal condomino soltanto se non si traduca in un pregiudizio degli altri
partecipanti alla comunione, il quale pregiudizio ricorre nell'ipotesi in cui uno dei condomini aumenti la superficie
radiante del proprio impianto di termosifone. collegato con l'impianto centrale di riscaldamento, oltre la misura
prevista dal regolamento. In tal caso, trattandosi di un innovazione, che importa una modificazione dei diritti dei
condomini, il consenso alla trasformazione delle condutture non pu essere provato che mediante scrittura.
* Cass. civ., 31luglio 1958, n. 2812.
La semplice esistenza di una servit di conduzione di tubi nelle strutture murarie di appartamento. a favore del
condominio, non costituisce di per s obbligo del singolo condomino di contribuzione alle spese per il
riscaldamento centrale.
* Pret. civ. Firenze, 17 giugno 1986, Sparnacci c. Condominio via Trieste 26, Firenze, in Arch. loc. e cond. 1986,
497.
In conformit al disposto dell'art. 1117. n. 3, cod. civ., la presunzione di compropriet dell'impianto per il
riscaldamento opera soltanto per quella parte che pu ritenersi centrale e non pure per le condutture che,
staccandosi dall'impianto centrale, si addentrano nei singoli appartamenti e soddisfano, quindi, unicamente le
esigenze individuali di ciascun condomino; ne consegue che, per le suddette condutture, vale la presunzione di
propriet esclusiva da parte del condominio medesimo.
* Corte app. civ. Napoli, sez. I, 21 maggio 1986, n. 845. Candido c. Perillo e Amm. del Condominio via Dei Mille
25, Napoli, in Arch. loc. e cond. 1986, 657.
La presunzione di compropriet ex art. 1117 c.c. dell'impianto centrale di riscaldamento fino al punto di
diramazione ai locali di propriet esclusiva dei singoli condomini non pu essere esclusa per il fatto che alcune
unit immobiliari siano sprovviste di diramazioni, giacch ci che rivela al fine di escludere il concorso nelle
spese l'obiettiva configurazione dei luoghi, tale da escludere di per se stessa la potenzialit d'uso della cosa
comune.
* Trib. civ. Milano, 2 marzo 1992. in Arch. loc. e cond. 1992, n. 3.
Posto che un impianto centrale di riscaldamento destinato a riscaldare i vari appartamenti di uno stabile
proporzionato nei suoi organi fondamentali (caldaia, bruciatore e tubazioni) alla quantit di calorie necessarie a
riscaldare l'intero stabile, il distacco di una parte dell'impianto dalla centrale termica, cos come la creazione di
un impianto autonomo di riscaldamento. concretano una alterazione della destinazione della cosa comune e non
gi una delle modifiche consentite dall'art. 1102 c.c., poich in tal caso si altera la destinazione della cosa
comune, snaturandola o impedendone o compromettendone la funzione che le propria.
* Cass. civ., sez. II, 12 marzo 1977, n. 1001.
In tema di condominio degli edifici, il singolo condomino non pu sottrarsi all'obbligo di concorrere, secondo la
ripartizione risultante dalle tabelle millesimali - suscettibili di modificazione anche per fatti concludenti - alle
spese di erogazione del servizio centralizzato di riscaldamento distaccando la propria porzione immobiliare dal
relativo impianto, senza che rilevino in contrario n la L. 29 maggio 1982, n. 308, sul contenimento dei consumi
energetici, n la circostanza che il condominio stesso consti di pi edifici
separati, ma serviti da impianti comuni non frazionati in relazione alle singole unit immobiliari.
* Cass. civ., sez. II, 4 maggio 1994, n. 4278, Cond. 5. Giacomo Primo di Torino c. Soc. Cada Sini.
Il singolo condomino non pu, di regola, mediante unilaterale rinunzia al servizio di riscaldamento, sottrarsi
all'obbligo di contribuire al pagamento delle spese di funzionamento di impianto centralizzato di termosifone, sito
in stabile condominiale: resta salva l'eccezionale ipotesi in cui il condomino rinunziante dimostri che l'esclusione
dal riscaldamento di alcuni locali si risolva in una proporzionale riduzione delle spese generali di esercizio.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 12 giugno 1981, n. 889: La Lombarda s.n.c. c. Condominio viale Piave, angolo
via F.lli Cervi - Limbiate, in Arch. loc. e cond. 1982, 75.
Il condomino non pu distaccarsi dall'impianto di riscaldamento centralizzato senza il consenso di tutti gli altri
condomini, n a seguito di ci esimersi dall'obbligo di contribuire alle spese per la prestazione di tale servizio.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 14 ottobre 1987, n. 10251, Rubino c. Condominio di Via Cupa Angara, n. 5, Napoli, in
Arch. loc. e cond. 1988, 440.
Il distacco delle diramazioni di uno o pi appartamenti dall'impianto di riscaldamento centralizzato, con
conseguente esclusione dalle spese di gestione comuni, necessita del voto favorevole di tutti indistintamente gli
interessati al funzionamento dell'impianto, e quindi non solo dei condomini, ma anche dei conduttori di alloggi siti
nel condominio.
* Trib. civ. Napoli, 24settembre 1987, n. 8791, Novino c. Condominio di via S. Giacomo dei Capri 39/D, Napoli,
in Arch. loc. e cond. 1988, 126.
In caso di illegittimo distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento, il condomino che ha operato il distacco
non tenuto al riallaccio del nuovo impianto a quello centralizzato se il suo comportamento stato causato dalle
omissioni del condominio (nella specie il condominio non aveva provveduto per anni a mettere l'impianto
centralizzato in condizioni di fornire un sufficiente riscaldamento al convenuto).
* Trib. civ. Milano, 23 gennaio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 363.
Il distacco delle diramazioni relative a uno o pi appartamenti dall'impianto centrale generalmente vietato
perch incide negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio
termico che pu essere eliminato solo con aggravio delle spese di esercizio e conservazione per i condomini
che continuassero a servirsi dell'impianto centralizzato; il distacco consentito, quindi, solamente se venga
fornita la prova che dal medesimo non derivino i suddetti inconvenienti.
* Trib. civ. Torino, sez. I bis, 7 settembre 1987, n. 6030, S.S. Bienes Prima c. Olimpic Srl, in Arch. loc. e cond.
1987, 716.

Il distacco delle diramazioni dall'impianto termocentralizzato incide negativamente sulla destinazione obiettiva
della cosa comune, determinando uno squilibrio termico che pu essere eliminato solo con una maggiore spesa
di esercizio e conservazione per i condomini che continuano a usare dell'impianto, per cui da ritenersi
consentito solo quando previsto dal regolamento contrattuale ovvero quando avvenga col voto unanime dei
partecipanti, oppure nel caso in cui l'interessato al distacco dimostri che da questo non possa derivare alcun
inconveniente.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 25 giugno 1986, n. 6703, Rubino c. Cond. via Cupa Angara, 5, Napoli, in Arch. loc. e
cond. 1986, 468.
Il distacco delle diramazioni relative ad uno o pi appartamenti dall'impianto centrale di riscaldamento, qualora
non venga provata l'assenza di inconvenienti per effetto di tale distacco, deve ritenersi vietato in quanto incide
negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio termico che pu
essere eliminato solo con un aggravio delle spese di esercizio e conservazione per i condomini che continuano
a servirsi dell'impianto centralizzato.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 26 ottobre 1996, n. 8837, Longo c. Comunione impianto riscald. viale Tiziano nn. 14 e
22 di Portici e altri, in Arch. loc. e cond. 1996, 933.
In caso di installazione di un impianto autonomo di riscaldamento con distacco da quello centralizzato, la
rinuncia al servizio di riscaldamento e l'esonero dalla relativa spesa non pu essere determinata
autonomamente ed unilateralmente ma, al contrario, deve essere autorizzata dall'assemblea (con il quorum ex
art. 1120 cod. civ.), una volta verificata l'entit della riduzione di spese derivanti dal distacco.
* Trib. civ. Roma, sez. IV, 24 maggio 1985, n. 6623, Lo Cascio c. Cond. di via Arena, 8, Roma, in Arch. loc. e
cond. 1986, 113.
Integra gli estremi dell'atto di molestia e legittima l'esercizio dell'azione di manutenzione, ex art. 1170 cod. civ., il
distacco operato da un condomino dall'impianto centralizzato di riscaldamento, ci costituendo alterazione della
cosa comune, con conseguente pericolo di possibili inconvenienti nella sua utilizzazione.
* Pret. civ. Firenze, 24 gennaio 1989, Compostrini ed altri c. Bordoni, in Arch. loc. e cond. 1989, 780.
Il distacco delle diramazioni relative a uno o pi appartamenti dall'impianto centrale di riscaldamento e
consentito quando il singolo interessato provi che il distacco stesso non incida negativamente sulla destinazione
obiettiva della cosa comune, determinando uno squilibrio termico e, al contrario, possa servire a porre rimedio
ad una situazione di inefficienza dell'impianto comune.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 gennaio 1989, n. 680, Condominio di Via Bertelli 2, Milano c. Migliavacca, in
Arch. loc. e cond. 1990, 94.
Il distacco delle diramazioni relative ad una o pi porzioni immobiliari dall'impianto centrale di riscaldamento
consentito soltanto quando i singoli interessati provino che dal distacco derivi una effettiva proporzionale
riduzione delle spese di esercizio, senza che si verifichi uno squilibrio in pregiudizio del regolare funzionamento
dell'impianto.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 11 ottobre 1993, Soc. Sida c. Cond. di via Popoli Uniti n. 24 di Milano, in Arch. loc. e
cond. 1994, 600.
ammissibile il distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento condominiale allorquando, in
considerazione delle particolari caratteristiche tecniche dell'impianto, comporti un'effettiva proporzionale
riduzione del consumo, con esclusione di aggravi di sorta per gli altri partecipanti al condominio.
* Trib. civ. Milano, 7 ottobre 1991, in Arch. loc. e cond., 1992, 87.
Non censurabile l'installazione di un impianto di riscaldamento autonomo aggiuntivo che non arrechi
pregiudizio a quello condominiale ma, qualora dal distacco derivi anche una minima manomissione dell'impianto
centralizzato, ne consegue la condanna alla riduzione in pristino con collegamento all'impianto centralizzato nel
momento in cui esso venga rimesso in funzione.
* Trib. civ. Roma, 9 luglio 1988, in Foro it. 1989, I, 2964.
Griglia di aerazione
La competenza sulla domanda di sostituzione della griglia di aerazione della centrale comune di riscaldamento,
posta nella soglia di ingresso dell'edificio condominiale, al fine di evitare inconvenienti nel transito, va
determinata in base al valore perch non si configura una controversia sulle modalit di uso del servizio
condominiale (art. 8 n. 4 c.p.c.), n una controversia sulla misura dei servizi del condominio (art. 7 comma
secondo c.p.c.).
* Cass. civ. 11 gennaio 1994, n. 223.
Impignorabilit degli impianti
Gli ascensori e gli impianti di riscaldamento, comprese le caldaie ed i bruciatori, sono parti integranti degli edifici
nei quali sono installati, e non semplici pertinenze; essi, infatti, non hanno una funzione propria, ancorch
complementare e subordinata rispetto a quella degli edifici, ma partecipano alla funzione complessiva ed unitaria
degli edifici medesimi, quali elementi essenziali alla loro destinazione, da ci consegue che l'ascensore e
l'impianto di riscaldamento non sono pignorabili, come beni mobili, separatamente dall'edificio in cui sono
installati, e che l'opposizione con la quale il debitore deduca detta impignorabilit, in quanto tendente a
contestare il diritto del creditore di agire esecutivamente su quei beni, configura, ai sensi dell' art. 615 c.p.c.,
opposizione all'esecuzione, e non opposizione agli atti esecutivi.
* Cass. civ., sez. III, 27 febbraio 1976, n. 654.
Inquinamento atmosferico
La necessit di dare esecuzione ad una legge imperativa che imponga la adozione di cautele o accorgimenti per
evitare l'inquinamento atmosferico (L. 13 luglio 1966 n. 615) non sottrae le relative delibere dell'assemblea
condominiale all'osservanza delle maggioranze previste dall'art. 1136 c.c. qualora, per eseguire in concreto il
comando della legge, si debba far luogo ad innovazioni in senso tecnico, sia a causa delle opere che per diretta

conseguenza dell'applicazione di quelle cautele e di quegli accorgimenti si rendono necessarie, sia a causa
dello stato dei luoghi condominiali, che debbono essere convenientemente modificati per attuare quelle opere.
* Cass. civ., sez. II, 12 aprile 1976, n. 1281.
La carenza, nell'impianto comune di riscaldamento, dei requisiti tecnici prescritti dalla legge per la sicurezza
delle persone e delle cose e per limitare l'inquinamento prodotto dalla combustione non impedisce alla
assemblea di deliberare sulle relative spese di esercizio (art. 1135 c.c.) perch tale deliberazione non attiene
alla attivazione dell'impianto, che rientra tra i compiti propri dell'amministratore (art. 1130 c.c.).
* Cass. civ., sez. II, 27 settembre 1996, n. 8531, Aliotta c. Condominio Due Palme di via Lentini in Siracusa, in
Arch. loc. e cond. 1997, 446.
In forza dell'art. 1131 cc., l'amministratore di un condominio deve osservare ed applicare tutte le disposizioni
legislative e amministrative che possono riguardare il condominio stesso; fra l'altro, egli ha il compito, ai sensi
dell'art. 1130, n. 2 c.c., di disciplinare la prestazione dei servizi di interesse comune, compreso quello del
riscaldamento centrale. Di conseguenza la responsabilit per l'impiego di combustibili proibiti dall'art. 13 L. 13
luglio 1966, n. 615 ricade esclusivamente sull'amministratore e nessun addebito pu venir mosso al singolo
condomino, che pur abbia partecipato ad un'assemblea ove si sia discusso del problema.
* Cass. pen., sez. III, 29 maggio 1972, Dal Vecchio.
Le disposizioni in materia di combustibili contenute negli artt. 11, 12, 13 e 14 della L. n. 615/1966, sono
applicabili sia agli impianti termici per uso riscaldamento sia agli impianti termici industriali.
* Cass. pen., sez. III, 5 aprile 1990, n. 5187 (ud. 27 febbraio 1990), Massimilla.
Le disposizioni di attuazione delle direttive Cee in materia di qualit dell'aria, contenute nel d.p.r. 24 maggio
1988, n. 203, sono esclusivamente rivolte agli impianti industriali, e non ai titolari di impianti termici per il
riscaldamento di ambienti civili.
* Tar Lombardia, 4ottobre 1991, n. 1227, in Giur. it. 1993, III, 1, 418.
Installazione dell'impianto
L'installazione dell'impianto di riscaldamento, avvenuta successivamente alla costituzione del condominio, fa
escludere la presunzione di compropriet dell'impianto stesso, di cui all'art. 1117 cod. civ.
* Pret. civ. Napoli, sez. V, 19 gennaio 1983, D'Alessandro e altro c. Cond. di via Cilea, 26, NA, in Arch. loc. e
cond. 1983, 364.
Lettura del contatore
Il locatore ha diritto di accedere all'interno di un immobile locato per provvedere alla lettura del contatore
dell'acqua al fine di ripartire le spese secondo le diverse unit immobiliari servite.
* Pret. civ. Roma, sez. I, decr. 26 ottobre 1983, Grandi e altro c. D'Agostino, in Arch. loc. e cond. 1984, 327.
Locale sede dell'impianto
La dichiarazione dell'assemblea del condominio con la quale viene dato in locazione ad uno dei condomini il
locale condominiale in cui sistemato l'impianto di riscaldamento ed affidato allo stesso condomino la gestione
del servizio di riscaldamento richiede, ai fini della sua validit, la maggioranza semplice, avendo ad oggetto la
disciplina di un servizio volto al soddisfacimento dell'interesse collettivo dei condomini, e non un'innovazione
diretta all'uso pi comodo o al maggior rendimento di cosa comune.
* Cass. civ.. sez. II, 28 gennaio 1976, n. 270.
Nell'edificio condominiale, l'impianto di riscaldamento centrale ed i locali ad esso destinati costituiscono un
complesso unitario, indivisibile.
* Cass. civ., 26 giugno 1976, n. 2419.
Obblighi dell'amministratore
Soltanto nel caso di installazione di un impianto termico centralizzato posto in edificio amministrato in
condominio l'obbligo di presentare idoneo progetto e di adempiere alle prescrizioni della legge incombe
sull'amministratore (e sar necessario predisporre un progetto unitario riguardante l'intero edificio riscaldato); nel
caso, invece, di installazione di impianti termici individuali tale obbligo grava sul proprietario dell'alloggio e,
quindi, dell'impianto.
* Trib. civ. Torino, sez. I, 19 ottobre 1994. n. 7963, Rosso Brignone c. Condominio di Via Assarotti, n. 1, di
Torino, in Arch. loc. e cond. 1994, 828.
Obblighi del locatore
Qualora l'installazione del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio risulti, in relazione alle
caratteristiche ed alla situazione logistica dell'immobile, non gravosa n voluttuaria, tale innovazione, se
approvata nei modi prescritti, vincolante per tutti i condomini, con la conseguenza che, nell'ipotesi di un locale
dato in locazione, come il proprietario-locatore tenuto a sostenere pro quota le spese di impianto, parimenti il
conduttore non pu sottrarsi (trattandosi di innovazione lecita ex art. 1582 c.c.) al pagamento delle spese di
esercizio fin dal momento dell'attuazione del servizio stesso, ancorch questo sia stato introdotto nel corso della
locazione, essendo l'aumento degli oneri accessori conseguente all'applicazione dell'art. 9 L. 27 luglio 1978 n.
392, senza alterazione del rapporto sinallagmatico, posto che a fronte di una maggiore spesa per il conduttore vi
un obiettivo miglioramento delle condizioni di utilizzabilit del bene.
* Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1993, n. 7001, lasparra c. Soc. Perretti.
La legge n. 392 del 1978 (cosiddetta dell'equo canone) disciplina i rapporti tra locatore e conduttore, senza
innovare in ordine alla normativa generale sul condominio negli edifici, sicch l'amministratore ha diritto - ai
sensi del combinato disposto degli artt. 1123 c.c. e 63 att. stesso codice - di riscuotere i contributi e le spese per
la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell'interesse comune direttamente ed esclusivamente da
ciascun condomino, restando esclusa un'azione diretta nei confronti dei conduttori delle singole unit immobiliari
(contro i quali pu invece agire in risoluzione il locatore ex art. 5 della citata legge n. 392 del 1978, per il
mancato rimborso degli oneri accessori), anche con riguardo alle spese del servizio comune di riscaldamento

ancorch questi ultimi abbiano diritto di voto, in luogo del condomino locatore, nelle delibere assembleari
riguardanti la relativa gestione.
* Cass. civ., sez. III, 3 febbraio 1994, n. 1104, Comune di Torino c. Cond. di via Risorgimento n. 14 di Poirino, in
Arch. loc. e cond. 1994, 559.
Il conduttore di un immobile ad uso ufficio posto al piano terreno di uno stabile, ed insufficientemente riscaldato
nonostante il regolare funzionamento dell'impianto centralizzato condominiale di riscaldamento, non pu
pretendere dal condominio la realizzazione di modifiche all'impianto esistente o di un nuovo impianto idoneo ad
assicurare nei locali occupati temperature adeguate, n pu vantare analogo diritto nei confronti del locatore. ai
sensi dell'art. 1575 cod. civ., qualora la situazione lamentata dipenda dalle stesse caratteristiche originarie
dell'impianto (di tipo a pannelli radianti posati a pavimento), e debba quindi considerarsi alla stregua di un vizio
dell'immobile gi esistente all'inizio della locazione.
* Pret. civ. Milano, ord. 14 giugno 1991, in Arch. loc. e cond. 1992. 421.
ammissibile il provvedimento di urgenza che imponga al locatore di provvedere a proprie spese
all'installazione di un impianto autonomo di riscaldamento se l'originario servizio venuto meno per la decisione
dell'assemblea dei condomini di sopprimere l'impianto centralizzato esistente.
* Pret. civ. Roma, ord. 3 marzo 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 849.
Orario di funzionamento
Ogni condomino ha il diritto di ottenere che l'impianto di riscaldamento sia strutturato in modo da assicurare,
nelle ore di accensione, un uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti e ci attraverso opportuni
accorgimenti tecnici, quali una differenziazione delle superfici radianti, in rapporto alla posizione, struttura,
esposizione e volumetria di ogni appartamento. Se peraltro le caratteristiche di posizione, struttura ed
esposizione di un appartamento (nella specie, attico) siano tali da determinare nelle ore di interruzione del
funzionamento dell'impianto un calo della temperatura pi accentuato che negli altri appartamenti, al di fuori di
qualsiasi deficienza nell'organizzazione e conduzione del servizio, il condominio interessato ha diritto di ottenere
una maggiore fruizione del servizio comune - nei limiti stabiliti dalle norme generali regolanti il funzionamento
degli impianti termici - purch ci sia consentito dalle caratteristiche dell'impianto e possa effettuarsi senza
pregiudizio o disagio per gli altri condomini, restando a carico del richiedente la maggiore spesa derivante dal
protratto o pi intenso funzionamento dell'impianto (anche in relazione all'eventuale deterioramento) e quella che
possa rendersi necessaria per la messa in opera di strumenti o l'adozione di accorgimenti tecnici atti ad evitare
un eccesso di calore negli altri appartamenti.
* Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1981, n. 3775, Condominio di via XX Settembre 150, Perugia c. Briziarelli, in Arch.
loc. e cond. 1981, 397, motiv. e nota.
Qualora l'accensione anche di notte dell'impianto di riscaldamento, in esito a controversia fra il condominio ed il
singolo condomino, venga prevista quale mera modalit tecnica per assicurare a detto condomino un'erogazione
di calore pari a quella goduta dagli altri proprietari, il passaggio in giudicato della relativa sentenza non osta a
che l'assemblea successivamente deliberi di spegnere l'impianto stesso nelle ore notturne, ove i nuovi
accorgimenti di gestione egualmente consentano il raggiungimento dell'indicato obiettivo.
* Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1990, n. 11124, Marini c. Samaritan.
Determinare l'orario di funzionamento del servizio di riscaldamento e stabilire la sua gestione costituiscono
modalit d'uso di un servizio condominiale, dal momento che si tratta di stabilire i criteri per l'erogazione ditale
servizio e per il suo uso. La competenza relativa alle cause riguardanti tale materia spetta quindi al giudice
conciliatore ex art. 1 della L.
n.399 /1984.
* Pret. civ. Treviso, 20 luglio 1985, n. 288, Prioni c. Pavan e altri e Zanatta n.c., in Arch. loc. e cond. 1986, 155.
Atteso che i rumori e le vibrazioni prodotte dalle apparecchiature che alimentano la rete del riscaldamento
condominiale impongono l'adozione di particolari accorgimenti idonei a riportare nei limiti della normale
tollerabilit tali inconvenienti, l'impianto di riscaldamento deve rimanere fermo dalle ore 22 alle ore 7 ed inoltre,
al fine di ridurre la rumorosit per il periodo in cui si faccia uso ditale impianto, devono essere adottati gli
accorgimenti suggeriti dal consulente tecnico.
* Trib. civ. 5. Maria Capua Vetere, 9 giugno 1986, n. 1142, Zacchia e altro c. Cond. Sol-Air di via Tazzoli, 67,
Caserta e altri, in Arch. loc. e cond. 1986, 669.
La domanda diretta ad invalidare una delibera assembleare nella parte riguardante l'orario di funzionamento del
servizio di riscaldamento e la gestione di esso non introduce una controversia sulle modalit d'uso dei servizi
condominiali di cui all'art. 1 della L. n. 399/1984, sibbene sulla misura dei servizi del condominio di case di cui
all'art. 2 della citata legge, ed , pertanto, di competenza del pretore.
* Giud. conc. Treviso, ord. 6 giugno 1986, Prioni e altro c. Pavan e altri, in Arch. loc. e cond. 1986, 521.
- annullabile per eccesso di potere, ai sensi dell'art. 1130 n. 2 cod. civ., la delibera assembleare che abbia
statuito l'accensione dell'impianto centralizzato di riscaldamento dalle ore 16 alle ore 22, con esclusione delle
ore mattutine, in quanto regola generale (anche alla luce della L. n. 645/1983) che il riscaldamento vada
erogato soprattutto nelle ore pi fredde della giornata, che sono quelle di prima mattina e di sera, nelle quali v'
maggior pericolo che le condizioni climatiche possano procurare danni alla salute di coloro che vivono
nell'edificio e quindi all'interesse della comunione.
*Giud. cone. Bari, 10 ottobre 1989, n. 308, Cavone c. Condominio di via Calefati n. 399 di Bari e Loiodice, in
Arch. loc. e cond. 1990, 159.
In materia di servizio di riscaldamento organizzato in un edificio in condominio mediante una centrale termica
comune, l'efficienza e la funzionalit dell'impianto sono direttamente strumentali alla normale abitabilit delle
singole porzioni immobiliari. Ogni condomino, quindi, ha diritto di ottenere che l'impianto di riscaldamento sia
strutturato in modo da assicurare nelle ore di accensione un uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti, e

ci mediante opportuni accorgimenti tecnici, e anche per mezzo di una maggiore fruizione del servizio comune,
nei limiti stabiliti dalle norme generali che regolano il funzionamento degli impianti termici.
* Trib. civ. Milano, 25 maggio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 812.
Pannelli solari
L'installazione da parte di un condomino di pannelli solari su parte comune dell'edificio condominiale (nella
specie, sul lastrico di copertura del vano scale), che non alteri la cosa comune e non impedisca agli altri
comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto, non costituisce innovazione, n a norma dell'art.
1120 cod. civ., n a norma del successivo art. 1121, ma legittimo uso della cosa comune.
* Trib. civ. Salerno, sez. II, 16 marzo 1982, D'Aniello c. Condominio di via A. Capone 9, Salerno, in Arch. loc. e
cond. 1982, 269.
Riattivazione e mantenimento in funzione
In tema di condominio negli edifici, legittimo, da parte dei condomini, il ricorso al procedimento ex art. 700 cod.
proc. civ., nel caso in cui il loro diritto al riscaldamento pu subire un danno grave ed irreparabile, sussistendo
pericolo di un concreto nocumento all'integrit psico-fisica dei medesimi in conseguenza dell'inerzia degli
amministratori relativamente alla riattivazione e al mantenimento in funzione dell'impianto centralizzato di
riscaldamento a gasolio, nonostante la rigida stagione invernale in atto.
* Trib. civ. Molfetta, 31 dicembre 1988, Nappi e altri c. Condominio Via Serao 24, Molfetta, in Arch. loc. e cond.
1989, 368.
Smaltimento delle acque
L'installazione di due pompe per lo smaltimento delle acque dell'impianto di riscaldamento di un condominio
costituisce una modifica migliorativa dell'impianto termico esistente, che non incide sulla cosa comune,
mutandone la funzione o la destinazione: conseguentemente, la relativa deliberazione - come pure la sua
successiva revoca - pu essere adottata dall'assemblea dei condomini senza la maggioranza qualificata
prescritta per le innovazioni.
* Cass. civ., sez. II, 22 maggio 1978, n. 2541.
Sostituzione del bruciatore
La sostituzione del bruciatore dell'impianto di riscaldamento di un edificio condominiale, nei casi in cui il
bruciatore sostituito era guasto o obsoleto, deve considerarsi atto di straordinaria manutenzione, in quanto
diretto a ripristinare la funzionalit dell'impianto senza alcuna modifica sostanziale e funzionale dello stesso,
mentre deve essere ricondotta alle modifiche migliorative, e non alle innovazioni, se ha lo scopo di consentire
l'utilizzazione di una fonte di energia pi redditizia, pi economica o meno inquinante. (Nella specie, si trattava
della sostituzione di un bruciatore alimentato da gasolio con un bruciatore alimentato da metano).
* Cass. civ., sez. II, 18 maggio 1994, n. 4831,
Spese (ripartizione)
In tema di condominio, ai fin della ripartizione delle spese di riscaldamento, l'unico criterio base che sia
conforme al principio generale di cui all'art. 1123, comma 2, c.c. quello della superficie radiante.
* Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1995, n. 946, Giani c. Cond. Viale Meyello 6, Milano.
In tema di ripartizione delle spese del servizio condominiale di riscaldamento, i criteri stabiliti dai commi primo e
secondo dell'art. 1123, cc. possono essere derogati - secondo quanto sancisce la detta norma - soltanto da una
convenzione sottoscritta da tutti i condomini o da una deliberazione presa dagli stessi in sede assembleare con
la unanimit dei consensi dei partecipanti alla comunione; e pertanto non consentito all'assemblea
condominiale, deliberando a maggioranza. di porre in via provvisoria le spese di riparazione degli impianti singoli
a carico indistintamente di tutti i condomini.
* Cass. civ., sez. II, 16 novembre 1991, n. 12307, Varrica c. Milano. Nello stesso senso, v. Cass. 4 giugno 1993.
n. 6231.
Con riguardo all'impianto di riscaldamento installato in un fabbricato condominiale, l'indagine diretta a stabilire se
il singolo partecipante, che non usufruisca del servizio di riscaldamento (nella specie. in quanto proprietario
esclusivo di negozi), sia ugualmente comproprietario di detto impianto, e, quindi, in applicazione dell'art. 1123
cod. civ., sia tenuto a concorrere nelle spese inerenti alla sua conservazione, va condotta in base ai criteri fissati
dall'art. 1117 cod. civ. sull'individuazione delle parti comuni dell'edificio, tenendo conto che la comunione di detto
impianto, ove debba essere negata in base alla citata norma, pu essere riconosciuta, per effetto di diversa
previsione del regolamento condominiale, solo se esso abbia natura contrattuale, perch predisposto
dall'originario unico proprietario e poi accettato con i singoli atti di acquisto. ovvero perch adottato con il
consenso unanime di tutti i partecipanti, manifestato nelle dovute forme.
* Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3966, Cristiani c. Cond. V. Stur. Ge.
L'indagine diretta a stabilire se il singolo partecipante al condominio (nella specie, proprietario di
un'autorimessa), che non usufruisce del servizio di riscaldamento, sia ugualmente proprietario di detto impianto
e, quindi, in applicazione dell'art. 1123 c.c., sia tenuto a concorrere alle spese inerenti alla sua conservazione o
al rifacimento, va condotta in base ai criteri fissati dall'art. 1117 c.c. per l'individuazione delle parti comuni
dell'edificio. Cosicch, limitandosi la propriet comune dell'impianto di riscaldamento al punto di diramazione ai
locali di propriet esclusiva dei singoli condomini, qualora manchi detta diramazione, poich non esiste la
possibilit che i locali medesimi fruiscano del riscaldamento, l'impianto non pu considerarsi destinato alloro
servizio.
* Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1996, n. 4270, Cond. Tre Stelle c. Benardi.
L'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti
comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla
maggioranza trova la sua fonte nella compropriet delle parti comuni dell'edificio (art. 1123, primo comma, c.c.);

con la conseguenza che la semplice circostanza che l'impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi
sufficiente calore non pu giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio
dell'impianto, dato che il condomino non titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura
contrattuale sinallagmatica e, quindi, non pu sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o
insufficiente erogazione del servizio.
* Cass. civ., sez. un., 26 novembre 1996, n. 10492, Rauco c. Condominio di Via Vaccari 38 in Roma, in Arch.
loc. e cond. 1997, 61.
Il singolo condomino non titolare di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica nei confronti del condominio
relativamente all'utilizzazione dei servizi comuni e, pertanto, non pu sottrarsi dal contribuire alle spese di
gestione del servizio di riscaldamento centralizzato in proporzione ai millesimi, allegando la mancata o
insufficiente erogazione di quel servizio, n pu proporre azione di danno contro il condominio per il mancato
promovimento dell'azione contrattuale nei confronti dell'impresa installatrice dell'impianto, posto che il
condomino conserva il potere di agire a difesa non solo dei suoi diritti di proprietario esclusivo, ma anche dei
suoi diritti di comproprietario pro quota delle parti comuni, potendo ricorrere all'autorit giudiziaria nel caso di
inerzia dell'amministrazione del condominio a norma dell'art. 1105 c.c., dettato in materia di comunione, ma
applicabile anche al condominio degli edifici per il rinvio disposto dall'art. 1139 c.c.
* Cass. civ. 15 dicembre 1993, n. 12420.
In tema di condominio degli edifici, qualora il bene comune, come l'impianto di riscaldamento, si trovi in
situazione di inscindibilit materiale o funzionale con i manufatti afferenti alle porzioni di propriet esclusiva dei
singoli condomini (nella specie, trattandosi di impianto realizzato con serpentine inserite nei solai), il potere del
regolamento, e, correlativamente, dell'assemblea dei condomini nel rispetto del regolamento, di provvedere in
ordine alla gestione di detto bene comune (nella specie, ripartendo fra tutti i condomini le spese di riparazione
delle serpentine dei singoli appartamenti) non resta escluso a causa della inevitabile incidenza riflessa di tale
gestione su quelle propriet esclusive.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1983, n. 960, Soc. Ac. Au. c. Condominio A-4.
Qualora un regolamento di condominio - avente natura contrattuale per essere stato richiamato espressamente,
quale parte integrante, negli atti di acquisto delle singole unit immobiliari facenti parte del condominio stabilisca che i condomini sono tenuti a sostenere le spese necessarie per la manutenzione e l'esercizio
dell'impianto di riscaldamento anche nelle diramazioni interne dei singoli appartamenti prevedendo
espressamente anche che tali diramazioni sono di propriet comune, non trova applicazione ai sensi dell'art.
1138 ultimo comma cod. civ. la regola sancita dal secondo comma dell'art. 1123 stesso codice, a norma della
quale le cennate spese vanno commisurate al coefficiente di utilit derivante a ciascuna unit immobiliare dal
servizio di riscaldamento, con la conseguenza che le spese di manutenzione straordinaria e quelle
conseguenziali di restaurazione dell'immobile non possono far carico per intero al condomino proprietario
dell'appartamento nell'ambito del quale stato necessario intervenire, bens per esse si configura l'obbligo di
ripartizione fra tutti i condomini, secondo la regola generale dettata dal primo comma dell'art. 1123 cod. civ. per
le spese di manutenzione delle cose comuni. * Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1980, n. 4717, Cond. V. Cornagg. c.
Soc. Conca MI.
La deliberazione con cui l'assemblea dei condomini approvi la ripartizione delle spese del servizio di
riscaldamento centralizzato senza avere prima accertato il volume dei singoli cespiti, in violazione della
disposizione del regolamento di condominio che pre-vede il riparto volumetrico della spesa, non affetta da
nullit bens soltanto annullabile, ove denunciata dai condomini assenti e dissenzienti nel termine di decadenza
di cui all'art. 1137 c.c., non incidendo sui criteri generali da adottare nel rispetto dell'art. 1123 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 8 giugno 1993, n. 6403, Ruella c. Cond. Torino.
In tema di ripartizione delle spese del servizio di riscaldamento in un edificio in condominio, la qualit dell'uso
che un singolo appartamento pu fare del servizio stesso, a norma dell'art. 1123, secondo comma, c.c., va
calcolata, ai fini della determinazione della spesa, in rapporto alla capacit potenziale di assorbimento, e cio, in
forza del fabbisogno obiettivo dell'appartamento stesso, secondo uno dei tanti criteri possibili (numero dei
radiatori o delle bocchette, massa o superficie irradiante, superficie irradiata, cubatura degli ambienti, contatore,
ecc.) con la conseguenza che procedutosi a tale determinazione del fabbisogno, non pu apportarsi alcuna
diminuzione alla correlativa spesa proporzionale per effetto di ragioni particolari (nella specie: temperatura degli
appartamenti dell'ultimo piano del fabbricato inferiore a quella degli altri che determinano quel fabbisogno o che
lo aumentano rispetto ad appartamenti di eguale estensione od eguale cubatura).
* Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1978, n. 3839.
In tema di ripartizione delle spese condominiali attinenti al servizio centralizzato di riscaldamento di un edificio
adibito ad uso abitativo, che costituito da due appartamenti sia in comunione pro indiviso tra due comproprietari,
trova applicazione la disciplina dettata per la comunione dall'art. 1104 c.c., con la conseguenza che ogni
comproprietario obbligato a sostenere le spese stesse in proporzione al valore della sua quota,
indipendentemente dal concreto vantaggio che tragga dal detto servizio e senza possibilit di sottrarsi a
quest'obbligo rinunciando al servizio medesimo, ove tale rinuncia possa produrre effetti pregiudizievoli per l'altro
comproprietario.
* Cass. civ., sez. II, 16 aprile 1994, n. 3600, Ornamenti c. Anselmi.
Le spese per la conservazione dell'impianto centrale di riscaldamento (nella specie, determinate dalla necessit
di adeguare l'impianto alle nuove prescrizioni tecniche di cui alla L. n. 615 del 1966) sono a carico di tutti i
condomini che possono fruire del relativo servizio, in rapporto al valore della propriet individuale di ciascuno
(art. 1123, primo comma, c.c.). a differenza delle spese di esercizio, che vanno ripartite in proporzione dell'uso e
della utilit che ciascuno pu realizzare dal servizio comune, qualora si tratti di cose destinate a servire i
condomini in misura diversa (art. 1123, secondo comma, c.c.). Ne consegue che anche i condomini, i cui locali

siano privi di radiatori attualmente allacciati all'impianto centrale, sono tenuti a concorrere nelle spese di
manutenzione straordinaria dell'impianto centrale di riscaldamento, secondo la disciplina contenuta nell'art. 1118
c.c.
* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1977, n. 693.
La ripartizione delle spese del riscaldamento centralizzato di un edificio in condominio, deliberata dall'assemblea
o disciplinata dal regolamento condominiale, in contrasto con l'art. 1123, primo capoverso, c.c. - secondo cui,
per le cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese vanno ripartite in proporzione all'uso che
ciascuno pu farne - soltanto se debba essere effettuata in base al valore della propriet delle singole quote,
ovvero in base ad un diverso criterio che appaia inidoneo, per la sua evidente irrazionalit, a fissare un congruo
rapporto fra la spesa e l'uso individuale. Qualora, invece, questo rapporto possa essere attuato con pi sistemi
pratici che, come i tre metodi adottati nella prassi edilizia e rispettivamente fondati sulla estensione della
superficie irradiata o sulla cubatura degli appartamenti o sul numero degli elementi radianti, attuano, in modo pi
o meno soddisfacente riguardo alle circostanze del caso, il precetto di legge, la preferenza accordata, in
concreto, ad uno di essi non viziata da illegittimit e sfugge, pertanto, al controllo del giudice, cui spetta
reprimere una deliberazione illegale, ma non sostituire alla deliberazione legalmente adottata una pi
conveniente. senza invadere la sfera di autonomia degli organi condominiali.
* Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 1974, n. 4166.
All'assemblea dei condomini, nell'ambito delle attribuzioni concernenti la gestione delle cose, degli impianti e dei
servizi comuni previste dall'art. 1135 n. 2 c.c., deve riconoscersi la competenza a modificare, in via provvisoria,
tabelle millesimali concernenti il servizio di riscaldamento e di riscuotere i relativi contributi a titolo di acconto e
salvo conguaglio, qualora, in seguito alle modifiche apportate da un condomino all'impianto di riscaldamento
all'interno del proprio appartamento, le tabelle originarie non corrispondano alla nuova estensione degli elementi
radianti.
* Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1996, n. 8657, Calvigioni c. Condominio di via Fucini n. 284 in Roma, in Arch. loc.
e cond. 1997, 80.
Con riguardo al risarcimento del danno dovuto a norma dell'art. 1494 c.c. il credito dei comproprietari di un bene
unico ed indivisibile (nella specie, impianto di riscaldamento condominiale) per il rimborso delle spese occorrenti
alla sua riparazione, deve considerarsi indivisibile perch, essendo indivisibile, per finalit e funzione, la
prestazione che ne oggetto, indivisibile anche il fatto ed il risultato del ripristino; tale credito pu essere
pertanto fatto valere da ciascuno dei comproprietari per l'intero, ai sensi dell'art. 1319 c.c. (salva la successiva
definizione del rapporto all'interno della contitolarit).
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4804, Loddo c. Condominio di Via Francoforte n. 4 in Cagliari e altri.
Il criterio dell'addebito delle spese di riscaldamento in base alla superficie radiante non l'unico idoneo a
consentire una razionale e giusta ripartizione delle medesime, potendo ben applicarsi qualsiasi criterio che con
soddisfacente approssimazione consenta una effettiva distribuzione delle spese in relazione alle caratteristiche
delle singole unit immobiliari e del beneficio effettivamente goduto.
* Trib. civ. Milano, sez. X, 9 dicembre 1985, n. 10314, Pasi ed altro c. Ditta Alpi, in Arch. loc. e cond. 1986, 297.
La carenza, nell'impianto comune di riscaldamento, dei requisiti tecnici prescritti dalla legge per la sicurezza
delle persone e delle cose e per limitare l'inquinamento prodotto dalla combustione non impedisce alla
assemblea di deliberare sulle relative spese di esercizio (art. 1135 c.c.) perch tale deliberazione non attiene
alla attivazione dell'impianto, che rientra tra i compiti propri dell'amministratore (art. 1130 .c.).
* Cass. civ., sez. Il, 27 settembre 1996, n. 8531, Aliotta e. Condominio Due Palme di via Lentini in Siracusa, in
Arch. loc. e cond. 1997, 446.
Le spese di riscaldamento non sono dal locatore ripetibili se non deliberate o comunque approvate dall'apposita
assemblea dei conduttori.
* Pret. civ. Piacenza, 19 giugno 1980, Ina c. Corvini, in Arch. loc. e cond. 1980, 414.
Il criterio di ripartizione delle spese del riscaldamento centralizzato in un edificio in condominio conforme al
criterio legale , allo stato attuale della tecnica termica ed edilizia, quello che assume come parametro la
superficie radiante. Conseguentemente, la delibera condominiale che adotti un diverso criterio (come quello del
riparto della spesa in proporzione alla cubatura), senza che ci sia reso necessario da peculiari caratteristiche
dell'edificio o dell'impianto, lede il diritto del condomino dissenziente alla intangibilit, senza il suo consenso,
della posizione soggettiva in ordine alle cose e ai servizi comuni, stabilita dalla legge o dalle pattuizioni risultanti
dal titolo di acquisto.
* Cass. civ., sez. II, 8 maggio 1974, n. 1300.
La domanda con la quale il conduttore di un immobile urbano richieda al locatore il rimborso delle spese per
opere di trasformazione del riscaldamento centralizzato in impianto autonomo non rientra tra quelle relative alla
straordinaria manutenzione o alla conservazione dell'immobile che, a norma degli artt. 23-45 della L. 27 luglio
1972, n. 392, spettano alla competenza per materia del pretore, e deve essere, quindi, proposta dinnanzi al
giudice competente secondo il generale criterio del valore della causa.
* Cass. civ., 23 maggio 1991, n. 5841.
Obbligato alla corresponsione delle spese condominiali di riscaldamento il proprietario dell'unit immobiliare, e
non il conduttore, qualora manchi la prova della qualit di condomino apparente di quest'ultimo.
* Pret. civ. Roma, 14 novembre 1994, n. 6303, Soc. La Farmacia c. Condominio di via Baldo degli Ubaldi n. 32 in
Roma, in Arch. loc. e cond. 1995, 438.
Nelle locazioni degli immobili urbani, i premi di assicurazione dello stabile, il compenso dell'amministratore ed il
concorso nelle spese di riparazione dell'impianto di riscaldamento e di revisione dell'impianto antincendio non
sono compresi tra gli oneri accessori che l'art. 9 della legge n. 392 del 1978 pone a carico del conduttore - salvo
patto contrario - da valutarsi alla stregua del divieto di pattuizioni dirette ad attribuire al locatore vantaggi in

contrasto con le disposizioni della predetta legge (art. 79, primo comma). Del pari deve ritenersi escluso dalle
spese a carico del conduttore l'ammortamento degli impianti, quale deposito frazionato nel tempo di somme di
danaro necessarie per l'acquisto di nuovi impianti a seguito della vetust di quelli in uso, trattandosi di una
destinazione patrimoniale nell'esclusivo interesse del locatore, tenuto a mantenere la cosa locata in istato da
servire all'uso convenuto e, quindi, a prestare i relativi servizi.
* Cass. civ., sez. III, 11 novembre 1988, n. 6088, Di Piazza c. Miglio.
- nulla la deliberazione condominiale assunta a maggioranza avente per oggetto la modifica della disposizione
contrattuale del regolamento relativa al criterio di ripartizione delle spese di riscaldamento, in quanto, in tal caso,
la possibilit di una modificazione presuppone il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio.
* Trib. civ. Milano, 15 giugno 1989, inedita.
- nulla la deliberazione condominiale che fissi l'applicazione di un criterio di ripartizione di spese per la
sostituzione della caldaia del riscaldamento centralizzato con riferimento alla tabella delle propriet, diretta a
determinare i valori in millesimi da servire per la ripartizione di tutte le spese relative alle parti comuni, che opera
soltanto una elencazione di stile delle parti comuni dell'edificio e "di quant'altro previsto dall'art. 1117 c.c.",
invece che fare riferimento alla tabella di ripartizione della spesa in base all'uso del riscaldamento da ciascun
condomino effettuato.
* Pret civ. Bari, 17 marzo 1989, in Rass. equo canone 1989, 185.
L'adesione di tutti i condomini all'esonero di quelli autorizzati dall'assemblea condominiale al distacco
dell'impianto di riscaldamento centralizzato dall'obbligo di contribuire comunque alle spese di manutenzione
ordinaria e straordinaria dell'impianto, non richiede l'atto scritto ad substantiam, potendosi realizzare anche per
facta concludentia.
* Tib. civ. Milano 7 ottobre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 832.
In tema di locazione di immobili urbani, appartiene alla competenza per materia del pretore, ai sensi dell'art. 29
della L. 23 maggio 1950, n. 253 e dell'art. 10 della L. 26 novembre 1969, n. 833, la causa, iniziata anteriormente
all'entrata in vigore della L. 27 luglio 1978, n. 392, concernente le domande con le quali il locatore, da un lato,
chieda accertarsi la sussistenza o meno del suo obbligo di contribuire alle spese di riscaldamento in
considerazione del mancato uso del servizio da parte del conduttore e, dall'altro, subordinatamente
all'accertamento di detto obbligo, chieda la condanna del conduttore al pagamento delle dette spese
direttamente all'amministrazione del condominio ovvero alla restituzione di quanto anticipato dallo stesso
locatore.
* Cass. civ., 20 agosto 1990, n. 8498.
Trasferimento della centrale termica
La delibera con la quale l'assemblea dei condomini decide di demolire e asportare l'impianto di riscaldamento e
di ricostruirlo ex novo in luogo diverso e con caratteristiche del tutto differenti, anche se ispirata dalla necessit
di adeguare l'impianto alle prescrizioni della L. 13 luglio 1966 n. 615, recante provvedimenti contro
l'inquinamento atmosferico, deve pur sempre ritenersi relativa a vere e proprie innovazioni e non ad opere di
manutenzione straordinaria. (Nella specie il condomino lamentava che l'installazione della nuova centrale
termica comportava una sensibile menomazione dell'uso del cortile comune, rendendo difficoltosa la manovra di
accesso al garage di propriet esclusivo dell'attore).
* Cass. civ., sez. II, 9 aprile 1980, n. 2288,
In tema di condominio di edifici, la delibera dell'assemblea di eliminazione dell'impianto di riscaldamento
centralizzato per far luogo ad impianti autonomi di riscaldamento richiede il consenso unanime dei condomini,
senza che sia sufficiente la maggioranza di cui al secondo e quarto comma dell'art. 1136 c.c., n quella di cui al
quinto comma dello stesso articolo, configurando non una semplice modifica, ma una radicale alterazione della
cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unit
immobiliari gi allacciate o suscettibile di allacciamento, che urta contro il limite invalicabile di cui all'art. 1120,
secondo comma, c.c., che vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al
godimento anche di un solo condomino dissenziente. In tale ipotesi non pu trovare applicazione l'art. 5, quarto
comma. della L. 29 maggio 1982, n. 308. il quale dispone che, in caso di interventi su punti comuni di edifici volti
al contenimento del consumo energetico termico degli edifici stessi ed all'utilizzazione delle fonti energetiche
rinnovabili, sono valide le relative decisioni prese a maggioranza delle quote millesimali, atteso che presuppone
l'attuazione di un migliore uso o di un maggiore rendimento della cosa comune, ma non il suo mutamento ex art.
1120, secondo comma, c.c. e tantomeno la sua soppressione.
* Cass. civ., 10 giugno 1991, n. 6565.
In tema di condominio di edifici, la delibera di rinuncia all'impianto centralizzato di riscaldamento nella disciplina
previgente alla L. 9 gennaio 1991 n. 10, configurando non una semplice modifica, bens una radicale
trasformazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica, obiettivamente
pregiudizievole per tutte le unit immobiliari gi allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, soggetta
all'art. 1120 secondo comma c.c., che vieta tutte le innovazioni che rendano parti comuni dell'edificio inservibili
all'uso o al godimento anche di un solo condomino dissenziente, senza che in contrario rilevi la disposizione
dell'art. 5 della L. 29 maggio 1982 n. 308 (abrogata dall'art. 23 della citata L. n. 10 del 1991), che si riferisce alla
diversa ipotesi di interventi su parti comuni di edifici volti al contenimento di consumo energetico.
* Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1993, n. 1926, Branchesi c. Cond. Savoia.
L'amministratore del condominio passivamente legittimato in ordine alla domanda giudiziale del condomino
volta all'accertamento della invalidit della delibera assembleare relativa alla trasformazione, secondo le
previsioni della legge 9 gennaio 1991, n. 10, dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti unifamiliari,
trattandosi di controversia riguardante un bene comune; ne deriva che in tale ipotesi non occorre procedere
all'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri condomini, i quali peraltro restano sempre legittimati ad

intervenire in proprio o a proporre impugnazione.


* Cass. civ., sez. II, l luglio 1997, n. 5843, Palmisano c. Pietrella e altri.
- nulla la deliberazione condominiale di trasformazione dell'impianto termocentralizzato in impianti termosingoli
adottata a maggioranza, qualora non sia accompagnata dall'approvazione di un progetto delle opere da
realizzare, redatto a cura del proprietario dell'edificio o di chi ne ha titolo (normalmente l'amministratore del
condominio) e corredato dalla relativa relazione tecnica di conformit, prescritti dalla L. n. 10/1991 in modo "da
consentire ai condomini dissenzienti di verificare che il sacrificio del loro diritto al mantenimento del servizio
comune risponda alle finalit ed alle prescrizioni della legge stessa".
* Trib. civ. Chiavari, 3 maggio 1995, n. 151, Squassi ed altri c. Condominio di Via Arata n. 17 in Chiavari, in Arch.
loc. e cond. 1995, 642.
- nulla la deliberazione condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento adottata a
maggioranza dei millesimi qualora non sia accompagnata dall'approvazione di un progetto e della relativa
relazione tecnica di conformit prescritti dalla L. n. 10/91, in modo da consentire ai condomini dissenzienti di
verificare che il sacrificio del loro diritto al mantenimento del servizio comune risponda alle finalit ed alle
prescrizioni della legge stessa.
* Trib. civ. Roma. sez. III, 3 marzo 1993, n. 3390, Palma e altri c. Cond. di via Valbondione n. 98 di Roma, in
Arch. loc. e cond. 1993, 110.
- nulla la delibera condominiale di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti
termoautonomi adottata con la maggioranza delle quote millesimali senza che ciascun condomino sia stato reso
edotto dell'effettivo contenimento dei consumi energetici tramite la messa a disposizione del progetto e della
relativa relazione tecnica di conformit prescritti dalla L. n. 10/1991.
* Trib. civ. Trani, ord. 6 marzo 1996, Condominio di Via Vittorio Emanuele n. 28 in Molfetta c. De Gennaro, in
Arch. loc. e cond. 1996, 399.
In tema di trasformazione dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti termoautonomi, l'art. 26, n. 2
della L. n. 10/199 1 (disciplina di chiara valenza pubblicistica che, come tale, imperativa e prevalente su quella
privatistica) implicitamente deroga agli artt. 1120 e 1136 c.c., ritenendo sufficiente e valida una delibera votata
dalla sola maggioranza delle quote millesimali, senza che vi sia alcuna necessit della maggioranza personale:
non necessario nemmeno che tale delibera faccia riferimento al progetto esecutivo, alla relazione tecnica e,
pi in generale, al rispetto della normativa UNI e CEI.
* Trib. civ. Torino, sez. I, 19 ottobre 1994, n. 7963, Rosso Brignone c. Condominio di Via Assarotti, n. 1, di
Torino, in Arch. loc. e cond. 1994, 828.
Per poter ritenere legittima ex L. n. 10/1991 la delibera di trasformazione dell'impianto termocentralizzato si
richiede: a) l'acquisizione del relativo progetto a gas per il riscaldamento e l'acqua calda; b) l'identificazione dei
condomini che - ex art. 1121 c.c. - abbiano dichiarato di non voler beneficiare della trasformazione; c) la
definizione precisa della pratica di trasformazione per la concessione del contributo (preferibilmente unitaria); d)
la ripartizione degli oneri inerenti alla trasformazione.
* Trib. civ. Napoli, sez. X, 9 luglio 1993, n. 7244, Graziani e altri c. Condominio di Viale degli Astronauti n. 6 di
Napoli, in Arch. loc. e cond. 1993, 781.
Una delibera assembleare che - in applicazione della L. n. 10/1991 - approvi la trasformazione dell'impianto
centralizzato di riscaldamento in singoli impianti autonomi legittima solo se viene assunta in presenza di un
progetto idoneo a stabilire sia la concreta attuabilit sia l'effettiva convenienza, sotto il profilo del risparmio
energetico, di tale trasformazione.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 2 aprile 1992, Rossari e altra c. Cond. di via Risorgimento n. 11 di Corbetta, in Arch.
loc. e cond. 1993, 573.
Secondo il combinato disposto degli artt. 8, lettera g) e 26 della L. n. 10/1991, per gli interventi in parti comuni
degli edifici e consistenti nella trasformazione di impianti centralizzati di riscaldamento in impianti unifamiliari a
gas metano, sono valide le delibere assembleari prese a maggioranza delle quote millesimali ed ispirate ad una
finalit di risparmio energetico e di riduzione del tasso d'inquinamento, in sintonia ed in conformit con la ratio
della L. n. 10/1991. Tali delibere non sono inficiate da nullit qualora la decisione dell'assemblea sia stata
assunta pur in mancanza di dati tecnici da cui emerga la convenienza della trasformazione sotto il profilo del
risparmio economico, in quanto trattasi di questione attinente al merito della gestione condominiale.
* Trib. civ. Terni, 18 luglio 1996, n. 422, in Arch. loc. e cond. 1996, n. 5.
La delibera dell'assemblea dei condomini costituisce solo il momento iniziale del procedimento di trasformazione
dell'impianto di riscaldamento da centralizzato a unifamiliare a gas. la cui validit non condizionata dal
preventivo approntamento e messa a disposizione dei condomini del progetto e della relazione tecnica.
* Trib. civ. Avellino, 19 dicembre 1996, n. 1246,
In tema di condominio degli edifici, la delibera di rinuncia non al mero servizio, ma all'impianto centralizzato di
riscaldamento, configurando non una semplice modifica bens una radicale alterazione della cosa comune nella
sua destinazione strutturale od economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unit immobiliari gi
allacciate o suscettibili di allacciamento al medesimo, urta contro il limite invalicabile di cui al secondo comma
dell'art. 1120 cod. civ., che vieta tutte "le innovazioni.., che rendano... parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o
al godimento anche di un solo condomino" dissenziente, senza che possa rilevare la mancanza di assoluta
irreversibilit dell'adottata decisione, n la particolare onerosit del mantenimento ed adeguamento degli
impianti.
* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1986, n. 7256, Cond. G. Lido c. Taf.
In tema di condominio la delibera assembleare di eliminazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato per
fare luogo ad impianti autonomi di riscaldamento richiede il consenso unanime dei condomini, senza che sia
sufficiente la maggioranza di cui al secondo e al quarto comma dell'art. 1136 c.c., n quello di cui al quinto

comma dello stesso articolo, configurando non una semplice modifica, ma una radicale alterazione della cosa
comune nella sua destinazione strutturale o economica.
* Trib. civ. Napoli, 26 ottobre 1996, n. 8837. in Rass. Ioc. e cond. 1996, 495.
In tema di condominio degli edifici, la trasformazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in impianti
autonomi, richiede il consenso di tutti i condomini, giacch l'abbandono dell'impianto centralizzato, la rinuncia
alle precedenti modalit di riscaldamento, la destinazione a nuovo impianto di locale idoneo, la necessit di
nuove opere e relativi oneri di spesa, non possono essere imposti al condomino dissenziente, ai sensi dell'art.
1120, secondo comma.
*Cass. civ., 27 aprile 1991, n. 4652.
Il condominio pu deliberare, con la maggioranza qualificata di cui al comma 1 dell'art. 1120 c.c., che il
dismesso impianto centralizzato di riscaldamento sia mantenuto in esercizio solo per il riscaldamento dei locali
condominiali, trattandosi di un'attivit che, senza alterarne la consistenza e la destinazione originaria, attua il
potenziamento ed il migliore godimento della cosa comune.
*Cass. civ., sez. II, 1 marzo 1995, n. 2329, Hansalop Anstalt c. Cond. di via Zandonai n. 86-88, di Roma.
La delibera assembleare costituisce solo il momento iniziale del procedimento di trasformazione dell'impianto di
riscaldamento da centralizzato a unifamiliare a gas, procedimento che prevede anzitutto che, a cura del
proprietario dell'edificio o di chi ne ha titolo, sia redatto un progetto delle opere da realizzare, corredato da una
relazione tecnica, da allegare alla denuncia dell'inizio dei lavori (art. 28), finalizzato al rilascio della certificazione
e collaudo delle opere (art. .29) e alla certificazione energetica dell'edificio (art. 30).
*Trib. civ. Roma, ord. 4 marzo 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 359.
In tema di riscaldamento di condominio degli edifici, la delibera avente ad oggetto la rinuncia all'impianto
centralizzato di riscaldamento e l'installazione di impianti autonomi valida se adottata con la maggioranza
indicata dal quinto comma dell'art. 1136 cod. civ. purch l'installazione degli impianti autonomi non comporti una
spesa eccessivamente onerosa.
*Trib. civ. Roma, ord. 11 novembre 1987, Chiarelli c. Alessandrini e altri, in Arch. loc. e cond. 1988, 400.
La decisione di procedere all'installazione di impianti di riscaldamento autonomo, in sostituzione dell'impianto
centralizzato a carbone non costituisce innovazione vietata ex art. 1120 secondo comma c.c., quando
l'assemblea condominiale abbia inteso uniformarsi, con tale delibera, all'ordinanza del Sindaco che vieta
l'utilizzazione di impianti di riscaldamento a carbone e abbia accertato l'impossibilit di trasformare l'impianto
esistente se non a prezzo di oneri estremamente gravosi.
* Trib. civ. Milano, 18 dicembre 1991. n. 10582, in Giust. a Mil. 1992, n. 2.
In tema di innovazioni ex art. 1120 cod. civ., la trasformazione dell'impianto termico condominiale in impianti
termo singoli, comportando la disattivazione dell'impianto condominiale e la sua inutilizzabilit da parte dei
condomini (ad esempio da parte dei condomini dissenzienti) integra una fattispecie di innovazione vietata poich
eccede i limiti della conservazione, dell'ordinaria amministrazione e del godimento delle cose, ed incide
sull'interesse di tutti i condomini, anche se dettata da motivi tecnici.
* Trib. civ. Firenze, 20 ottobre 1988, n. 1609, Kranjcevic Srl c. Condominio di via R. Giuliani, nn. 137-139, in
Firenze, in Arch. loc. e cond. 1989, 527.
Gli assegnatari di alloggi di edilizia pubblica residenziale possono costituire assemblee gestionali dei servizi
comuni, al fine di regolare le modalit della loro erogazione e del loro uso, nonch della ripartizione delle spese
ma non possono, invece, adottare decisioni destinate ad incidere sulla struttura di un impianto comune,
alterandone l'originaria impostazione e modificandone la consistenza e l'ambito degli effetti che gli sono propri.
(Nella specie, trasformazione del servizio centralizzato di riscaldamento con impianto autonomo).
* Cass. civ., 23 aprile 1991, n. 4425.
La delibera assembleare che, avendo constatato lo stato di usura e la non conformit alle norme di sicurezza
antincendi di un impianto di riscaldamento centralizzato autorizza i singoli condomini a procedere
all'installazione di impianti singoli, non arreca alcun pregiudizio al condomino dissenziente, posto che questi non
potrebbe comunque godere dell'impianto, ma consente soltanto ai condomini di procurarsi l'utilit resa in
precedenza dal bene comune con modalit differenti, pi comode e convenienti.
* Trib. civ. Lecce, 30 aprile 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 508.
E' valida la delibera assembleare che, a maggioranza, disponga la sostituzione dell'impianto centralizzato di
riscaldamento a gasolio con impianti autonomi a metano.
*Pret. civ. Camerino, 5 giugno 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 508.
Costituisce innovazione la disattivazione definitiva dell'impianto centralizzato di riscaldamento ed acqua calda
con conseguente trasformazione in impianti di riscaldamento autonomo, secondo le scelte da operarsi dai singoli
condomini nell'ambito delle rispettive propriet esclusive.
* Corte app. civ. Genova, 19 febbraio 1991, n. 53, in Arch. loc. e cond. 1991, 508.
La trasformazione di un impianto centralizzato di riscaldamento in impianti a gas di propriet singola (avvenuta
in virt di quanto dispone la L. 9 gennaio 1991, n. 10) esclude sia sotto l'aspetto funzionale che sotto quello
giuridico la conservazione attiva del sistema termico trasformato, le cui componenti materiali rimangono solo
come semplici residuati per la opportuna rottamazione, non potendo la minoranza dissenziente pretendere di
lasciare attivo ovvero riattivare e far funzionare a proprie spese l'impianto trasformato, in quanto ci sarebbe
contrario alla ratio legis che chiaramente quella della razionalizzazione dell'energia sotto il triplice profilo
termico, economico ed ecologico.
* Trib. civ. Napoli, 29 novembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 364.
La legge n. 10 del 1991 ritiene meritevole di tutela agli effetti della determinazione della maggioranza dei
consensi solo la delibera di trasformazione dell'impianto, non pure quella che abbia ratificato o autorizzi

comunque distacchi isolati da parte di singoli condomini e che rappresenterebbe certamente un'incoerente
regola-mentazione termoenergetica condominiale lasciando coesistere in maniera disordinata, con dispersioni
calorifiche e sprechi, due sistemi, quello termocentralizzato e quello singolo, con conseguente alterazione e
squilibrio termico del primo non compensato dal secondo.
* Trib. civ. Napoli, 29 novembre 1991, in Arch. loc. e cond. 1992, 364.
La demolizione e asportazione dell'impianto di riscaldamento e la sua ricostruzione con caratteristiche diverse,
anche se determinate dalla necessit di adeguamento dell'impianto alle disposizioni che disciplinano la materia
in relazione alle esigenze di risparmio energetico e di tutela ambientale, costituisce vera e propria innovazione.
La relativa delibera non perci adottabile a maggioranza sia pure qualificata (art. 1120 c.c.) ed quindi
illegittima se non ha ottenuto il consenso di tutti i partecipanti al condominio.
* Trib. civ. Milano, 7 febbraio 1991, n. 970, in Arch. loc. e cond. 1991, 508.
Sussistono entrambi i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora, che ne legittimano la sospensione,
nel caso di delibera di assemblea condominiale che a maggioranza stabilisca la trasformazione dell'impianto
comune di riscaldamento da centralizzato in autonomo (fattispecie in cui la delibera condominiale era stata
impugnata sotto il duplice profilo formale, per violazione del combinato disposto degli artt. 1136, sesto comma,
c.c. e 67, secondo comma, att., e sostanziale, per violazione dell'art. 1120. secondo comma, c.c.).
* Trib. civ. Pescara, ord. 2 dicembre 1991, in P.Q.M. 1991, 3,61.
Le disposizioni di cui agli artt. 8, lettera g) e 26 della L. n. 10/1991, che prevedono che per gli interventi in parti
comuni degli edifici e consistenti nella trasformazione di impianti di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas
siano valide le delibere assembleari prese a maggioranza delle quote millesimali, sono da ritenersi applicabili
anche nel corso del processo iniziato prima dell'entrata in vigore della stessa.
* Trib. civ. Milano, 16 dicembre 1991, n. 10582, in Arch. loc. e cond. 1992, 364.
Tubazioni
La collocazione in un vano (o altro ambiente o spazio) compreso nel perimetro del condominio delle tubazioni (o
parte di esse) dell'impianto termico centralizzato, o di altro servizio comune, non rende di per s quel vano
insuscettibile di autonomo ed esclusivo diritto di propriet, salve le limitazioni di tale diritto - concretanti
corrispondenti servit - correlate all'obbligo di consentire e conservare la destinazione di tali tubazioni al servizio
ed a vantaggio dell'intero edificio condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 19maggio 1992, n. 5978, Cecconi e altri c. Giovagnetti. Appignanesi e altri e Fossi e altri, in
Arch. loc. e cond. 1992, 772.
Il condomino di un edificio non pu operare, ostandovi gli artt. 1102 e 1120 c.c., innovazioni sul tratto di
pertinenza del proprio appartamento dell'impianto comune di riscaldamento (nella specie: interrompendo il
percorso delle tubature) in guisa da impedire l'utilizzazione dell'impianto da parte degli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 2 maggio 1996, n. 4023. Bonutti c. Bonutti.
Ecco cosa dice in proposito la Suprema Corte con sentenza del 19 marzo 1992 n. 5978.
La collocazione in un vano o altro ambiente o spazio compreso nel perimetro del condominio delle tubazioni o
parte di esse dell'impianto termico centralizzato, o di altro servizio comune, non rende di per s quel vano in
suscettibile di autonomo ed esclusivo diritto di propriet, salve le limitazioni di tale diritto concretanti
corrispondenti servit correlate allobbligo di consentire e conservare la destinazione di tali tubazioni al servizio
e a vantaggio dellintero edificio condominiale.
Dunque, se un locale di propriet esclusiva, tale rimane anche se alloggia cose comuni. Semmai, in questo
caso, proprio la propriet esclusiva che soffre di una servit, con tutte le conseguenze relative.
Ma nel caso delle tubazioni del riscaldamento centrale, una piacevole servit, perch riscalda il locale senza
che ci possa essere esborso di denaro per il calore che riceve. Questo vero, ma, al limite i condomini possono
fasciare le tubazioni ed impedire limmissione del calore, senza che il proprietario del fondo vi si possa opporre.
Vigilanza
A norma dell'art. 1130. n. 2 cc., spetta all'amministratore disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei
servizi nell'interesse comune in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini. In tale
incombenza dell'amministratore rientra la vigilanza sulla regolarit dei servizi comuni, anche per quanto attiene
alle interferenze con i singoli appartamenti, e il dovere di eseguire verifiche e di impartire le necessarie
provvidenze intese a mantenere integra la parit del godimento dei beni comuni da parte di tutti i condomini;
pertanto, ben pu essere disposta la sostituzione negli impianti di termosifone centrale, esistenti nei singoli
appartamenti, dei bocchettoni liberamente manovrabili con detentori fissi, quando tale rimedio sia volto a
disciplinare l'uso del servizio da parte dei singoli condomini.
* Cass. civ., 17 maggio 1960, n. 1216.
Poich a norma dell'art. 1122 c.c. il limite alla facolt di ogni condomino di eseguire opere sul proprio piano (o
porzione di piano di sua propriet) si identifica in ogni danno consistente nella diminuzione di valore della cosa
comune riferito alla funzione della cosa, considerata nella sua unit, costituisce danno per le cose comuni anche
il pericolo attuale e non meramente ipotetico connesso con il rischioso funzionamento o con la realizzazione
imperfetta di un impianto autonomo di riscaldamento, quando la tecnica di realizzazione e la complessit delle
operazioni necessarie per l'uso dello stesso comportino la possibilit di recare danno all'impianto di
riscaldamento centrale.
* Cass. civ., sez. Il, 25 gennaio 1995, n. 870, Bilotta c. Condominio di via Gallucci 6 di Catanzaro.
Nel caso in cui l'insufficiente riscaldamento di un appartamento dipenda da una deficienza nell'organizzazione e
conduzione dell'impianto di riscaldamento comune, l'amministrazione condominiale tenuta ad eliminare ogni
vizio o difetto dell'impianto, risarcendo il singolo partecipante danneggiato.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 gennaio 1989, n. 680, Condominio di Via Bertelli 2, Milano c. Migliavacca, in

Arch. loc. e cond. 1990, 94.


Il singolo condomino, in quanto detentore dei radiatori, responsabile del non perfetto funziona-mento
dell'impianto di riscaldamento a causa dell'aria presente nei radiatori medesimi e nei tratti di tubo che dal
pavimento salgono fino alla valvola di sfogo.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 6 aprile 1992, n. 4166, Montano c. Cond. di via Grossich n. 31 di Milano, in Arch.
loc. e cond. 1993, 123.
Sono da ritenere responsabili sia il tecnico installatore che il proprietario dell'immobile locato in caso di decesso
del conduttore dovuto all'imperfetto funzionamento dell'impianto termico.
* Pret. pen. L'Aquila. 5 ottobre 1992, M. e altro, in .Arch. loc. e cond. 1993, 586.
Colui che installa uno scaldaacqua alimentato a gas metano ha il dovere di predisporre tutte le opere e i presidi
suggeriti dalla buona tecnica, dalla prudenza e dall'esperienza, al fine di rendere pienamente efficiente il sistema
di smaltimento dei prodotti della combustione e, in ogni caso, di verificare la funzionalit della canna di
esalazione ditali prodotti. L'osservanza di tale dovere prescinde dall'evenienza che l'impianto di smaltimento sia
realizzato al momento dell'installazione ovvero preesista in quanto, prima di porre in attivit l'apparecchiatura.
deve essere accertata l'idoneit funzionale e l'assenza di condizioni foriere di danno per le persone.
* Cass. pen., sez. IV, 23 febbraio 1993, n. 1762 (ud. 18 dicembre 1992), Bianco.
Colui che provvede alla installazione di un apparecchio pericoloso, quale lo scaldabagno a gas, ha il dovere di
adottare tutte le misure imposte dalla tecnica e dall'esperienza, maturate tra gli esperti o suggerite dalla comune
prudenza, per assicurare il corretto funzionamento dell'apparecchio e prevenire danni alle persone. (Fattispecie
in cui la morte della vittima era stata causata da un'acuta intossicazione da ossido di carbonio prodotto a sua
volta dall'irregolare funzionamento del tubo di scarico dello scaldabagno a gas che era stato installato
dall'imputato, ritenuto responsabile di omicidio colposo).
Aperture
Nel condominio degli edifici il godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di
tutela possessoria quando uno di essi abbia causato agli altri partecipanti alla comunione la privazione o la
turbativa del loro compossesso, e non anche quando il medesimo condomino, nell'esercizio delle facolt
ricomprese nel proprio diritto di compropriet, abbia immutato lo stato della cosa comune ma senza privare o
turbare il compossesso degli altri condomini. (Nella specie, la Suprema Corte, enunciando il surriportato
principio, ha cassato la decisione che aveva condannato un condomino a chiudere la porta dal medesimo aperta
su di una scala da cui in precedenza non si accedeva alla sua unit immobiliare, senza prima accertare se detta
scala costituisse un bene comune di tutti i condomini, ovvero fosse riservata all'uso di alcuni di essi, con
esclusione del condomino che aveva proceduto all'apertura della porta stessa).
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1985, n. 312, Checchia c. Martuscelli.
Qualora risulti accertato dal giudice del merito che l'apertura praticata da un condomino in corrispondenza delle
scale del fabbricato comune non abbia apportato alcun mutamento alla conformazione e allo spazio delle scale,
non abbia limitato il godimento degli altri condomini, non abbia arrecato alcun danno alle parti comuni o
pregiudizio alla stabilit, alla sicurezza e al decoro architettonico del fabbricato, la relativa fattispecie rientra nella
disciplina dell'uso della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 20 giugno 1977, n. 2589.
La manifestazione assembleare di parere favorevole , espresso in via generica, non pu avere valore
autorizzativo dell'attivit che i condomini intendono svolgere su beni di propriet comune (nella specie, apertura
di un nuovo accesso sul pianerottolo).
* Corte app. Napoli, 29 giugno 1991, n. 1601, in Arch. loc. e cond., 1991, 761.
Circolazione dell'aria
La chiusura con finestre a vetri con telaio metallico realizzata su balconi di propriet esclusiva dei singoli
condomini illegittima, allorch, limitando la circolazione dell'aria all'interno delle scale e dei pianerottoli e
determinando conseguenti ristagni di odori, pu creare situazioni di pericolo o danni alle parti comuni
dell'edificio.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 26 giugno 1989, Gallo e altri c. Condominio di via Val Lagarina 67, Milano e Istituto
Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Milano e Pastino e altri, in Arch. loc. e cond., 1990, 321.
Corrimano
La disposizione dell'ultima parte del secondo comma dell'art. 16 del d.p.r. 27 aprile 1955, n. 547, a norma del
quale le rampe delle scale delimitate da due pareti debbono essere munite almeno di un corrimano, non si
applica alle rampe delimitate da una parete e da un parapetto normale che, per quanto privo della funzione di
appiglio, consente, comunque, l'appoggio.
* Cass. civ., sez. III, 18 ottobre 1991, n. 11001, Parodi c. Inail.
Edifici limitrofi
La norma di cui all'art. 1117 c.c., che include le scale tra le cose che si presumono comuni, ove non risulti
espressamente dal titolo, non limitata all'ipotesi di edifici divisi per piano, ma applicabile, per analogia, anche
quando si tratti di edifici limitrofi appartenenti a proprietari diversi, persino se aventi caratteristiche di edifici
autonomi, sempre che le cose di cui si controverte, pur insistenti sull'area di uno solo di essi (o a cavallo del
confine), risultino destinate oggettivamente e stabilmente alla conservazione o all'uso di entrambi gli edifici
medesimi.
* Cass. civ., sez. II, 1 marzo 1995, n. 2324, Rossa c. Zora.
La circostanza che la scala comune di un edificio condominiale sia utilizzata da uno dei condomini anche per
accedere, tramite l'appartamento di sua propriet sito nello stabile condominiale, ad una sua diversa propriet
sita in un edificio autonomo (e dotato di una propria scala), adiacente a quello in condominio e di pi recente

costruzione, non vale a far operare per detta scala, anche con riferimento a quest'ultima propriet, la
presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., il cui presupposto la permanente ed oggettiva destinazione
di determinate cose o parti al servizio e godimento collettivo, cio di tutti i condomini (salva l'eventuale rilevanza
che sotto altri profili possa avere tale situazione di assoggettamento del bene al servizio anche dell'immobile
estraneo al condominio). Ne consegue che il proprietario del bene immobile estraneo al condominio non pu
essere chiamato, in tale veste, a partecipare alle spese di riparazione o ricostruzione delle scale condominiali.
* Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1997, n. 3968, R. Buffardi e G. Buffardi.
Pianerottoli
A norma dell'art. 1102, comma primo, cod. civ., il condomino di un edifico ha il diritto di usare dei vani delle
scale, in genere, e dei pianerottoli, in particolare, collocando davanti alle porte d'ingresso alla sua propriet
esclusiva zerbini, tappeti e piante o altri oggetti ornamentali (ci che normalmente si risolve in un vantaggio
igienico-estetico per le stesse parti comuni dell'edificio), ma tali modalit d'uso della cosa comune trovano un
limite invalicabile nella particolare destinazione del vano delle scale e nella esistenza del rischio generico gi
naturalmente connesso all'uso delle scale stesse, non potendo tale rischio essere legittimamente intensificato
mediante la collocazione di dette suppellettili nelle parti dei pianerottoli pi vicine alle rampe delle scale, in
maniera da costringere gli altri condomini a disagevoli o pericolosi movimenti, con conseguente violazione del
canone secondo cui l'uso della cosa comune, da parte di un comunista, non deve impedire agli altri comunisti un
uso tendenzialmente pari della medesima cosa.
* Cass. civ., sez. II, 6 maggio 1988, n. 3376, Marelli c. Gasparre.
Allorquando una delle cose elencate dalla norma dell'art. 1117 cod. civ. serva per obiettive caratteristiche
strutturali e funzionali al godimento di una parte dell'edificio in condominio la quale formi oggetto di un autonomo
diritto di propriet, viene meno la presunzione legale di comunione della cosa, derivante dalla sua destinazione
all'uso comune, in quanto in tale ipotesi la presunzione vinta dalla particolare destinazione della cosa, cos
come superata dalla presenza di un titolo contrario. (Nella specie, la S.C. in base all'enunciato principio ha
annullato la decisione del merito che aveva attribuito la propriet esclusiva del pianerottolo dell'ultimo piano
dell'edificio condominiale al proprietario dell'unico appartamento, avente accesso da esso, senza la necessaria
indagine sulle caratteristiche strutturali e funzionali del pianerottolo e della correlativa unica scala che serviva
anche gli altri piani e i relativi appartamenti).
* Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1985, n. 2070, Hershmann c. Caiani.
La scala, che serve di accesso a diversi piani o frazioni di piano di un edificio, deve essere considerata, nella
sua struttura unitaria ed in relazione al fine a cui serve, come bene comune indivisibile per presunzione di legge,
salvo che il contrario non risulti dal titolo. Conseguentemente vanno considerati tra le cose comuni anche i
pianerottoli, che costituiscono elementi della scala, della quale rendono possibile la funzione.
* Cass. civ., 17 gennaio 1963, n. 38.
I pianerottoli, quali elementi essenziali della scala di accesso ai diversi piani dell'edificio in condominio, sono per
presunzione di legge, salvo diverso titolo, in compropriet fra tutti i condomini. Pertanto, la loro utilizzazione da
parte dei singoli condomini soggetta alla disciplina propria dell'uso individuale della cosa comune, con la
conseguenza che del tutto legittima la creazione di un secondo ingresso ad un appartamento di propriet
esclusiva, in corrispondenza del pianerottolo antistante, ove non limiti il godimento degli altri condomini e non
arrechi pregiudizio all'edificio ed al suo decoro architettonico.
* Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1981, n. 843, Barbera c. Puglia.
I pianerottoli, quali componenti essenziali delle scale comuni, sono per presunzione di legge - salvo diverso titolo
- comuni tra tutti i condomini. Essi non possono essere, quindi, incorporati nell'appartamento di propriet
esclusiva del singolo condomino, in quanto tale incorporazione costituisce un'alterazione della destinazione della
cosa comune ed un'utilizzazione esclusiva di essa, lesiva del concorrente diritto degli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 1974, n. 4299.
L'atto costitutivo del condominio pu senz'altro sottrarre al regime della condominialit, di cui all'art. 1117 c.c., i
pianerottoli di accesso dalle scale ai singoli appartamenti e riservarli, in tutto o in parte, al dominio personale
esclusivo dei proprietari di questi.
* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1994, n. 1776, Marocco c. Lanzetti.
Titolo idoneo a vincere la presunzione di comunione, di cui all'art. 1117 c.c., non l'atto di acquisto del singolo
appartamento condominiale, bens il negozio posto in essere da colui o da coloro, che hanno costituito il
condominio dell'edificio. Infatti questo negozio, rappresentando la fonte comune dei diritti dei condomini, ne
determina l'estensione e le limitazioni reciproche e pu spiegare efficacia tra le parti.
* Cass. civ., sez. II, 9 maggio 1978, n. 2248. Conforme, Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 1977, n. 297.
In tema di condominio di edifici la presunzione di propriet comune di un bene compreso nell'elenco di cui all'art.
1117 c.c. (nella specie: pianerottolo) pu essere vinta quando vi sia un titolo contrario e si tratti di beni, di fatto,
destinati al servizio esclusivo di una o pi unit immobiliari.
* Cass. civ., sez. II, 12 novembre 1998, n. 11405, Grassi c. Bartholini.
Il diritto di ciascun partecipante di usare la cosa comune, anche pi intensamente degli altri, non si estende fino
al punto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso. La chiusura di una porzione di pianerottolo
comune con una parte accessibile ad un solo condomino muta, invece, il comune possesso della porzione in
possesso esclusivo del condomino e comporta un'estensione del suo diritto sulla cosa comune in danno degli
altri condomini.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 22 luglio 1997, n. 2520, Soc. Ambra Nuova c. Condominio di Via Correggio n. 19
in Milano, in Arch. loc. e cond., 1998, 228.
Nel caso in cui un condomino, munendo di ringhiera la scala ed il pianerottolo di accesso al vano di sua
propriet, abbia trasformato il pianerottolo in terrazzino, si in presenza di un'utilizzazione della cosa comune

ovvero della costituzione di un peso a favore della propriet esclusiva del condominio sulla propriet comune e
non a carico di quella esclusiva di altro condomino, con la conseguenza che non trovano applicazione le norme
che disciplinano le vedute su fondo altrui (art. 907 c.c.), bens quelle in tema di condominio che consentono al
condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior godimento della cosa senz'altro limite che l'obbligo di
rispettare la destinazione e di tutelare la stabilit ed il decoro architettonico dell'immobile e di non ledere i diritti
degli altri condomini. * Cass. civ., sez. II, 1 dicembre 1992, n. 12833, Di Lieto L. c. Di Lieto M..
In tema di condominio negli edifici, i pianerottoli quali componenti essenziali delle scale comuni e cos avendo
funzionale destinazione al migliore godimento dell'immobile da parte di tutti i condomini, non possono essere
trasformati, dal proprietario dell'appartamento che su di essi si affacci, in modo da impedire l'uso comune,
mediante l'incorporazione nell'appartamento, comportando una alterazione della destinazione della cosa
comune ed una utilizzazione esclusiva di essa, lesiva del concorrente diritto degli altri condomini nonch - in
sede possessoria - lesiva del compossesso degli stessi.
* Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1990, n. 7704, Paolini c. Imperoli.
Non lesiva degli interessi dei condomini la costruzione di un manufatto murario (realizzato in modo da
escludere la lesione al decoro architettonico dello stabile) eretto a chiusura di un pianerottolo di esclusiva
spettanza del proprietario degli appartamenti prospicienti sullo stesso, in quanto trattasi dell'esercizio di un diritto
spettante in virt del titolo dominicale sul bene.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 3 luglio 1989, Condominio di via Scialoia n. 6, Milano e altri c. Grasso e altra e
Russo e Tincati L. e R. e Bressi e altri.
La presunzione di cui all'art. 1117 c.c. pu essere superata anche in mancanza di un'espressa previsione del
titolo quando si accerti che una determinata parte dell'edificio (nella specie: corridoio antistante a due
appartamenti) sia destinata in modo permanente a servizio o ornamento di una porzione immobiliare di propriet
esclusiva di un condomino o al servizio di alcune porzioni soltanto, non risultando di alcuna utilit concreta per
l'uso comune.
* Trib. civ. Milano, 17 dicembre 1990, in Arch.loc.e cond., 1991, 800.
Il pianerottolo delle scale di un fabbricato in condominio costituisce luogo aperto al pubblico in quanto consente
l'accesso ad una indistinta categoria di persone e non soltanto ai condomini.
* Cass. pen., sez. I, 3 febbraio 1983, Chiappero
Poich ai sensi dell'art. 1117 c.c. n. 1 le scale, con gli annessi pianerottoli, essenziali alla funzionalit del
fabbricato, sono presuntivamente di propriet condominiale, pur se alcune rampe sono poste in concreto al
servizio di singole propriet, per dimostrarne l'appartenenza esclusiva al titolare di queste, necessario un titolo
contrario, contenuto non gi nella compravendita delle singole unit immobiliari, bens nell'atto costitutivo del
condominio.
* Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1998, n. 1498, Proiezione delle scale
In un edificio condominiale, l'area costituita dalla proiezione delle scale, sulle verticali in alto e in basso, si
presume comune, a norma dell'art. 1117 c.c., e tale presunzione pu essere vinta soltanto da un titolo contrario,
il quale non ravvisabile nella generica riserva dell'originario proprietario di apportare al fabbricato le modifiche
murarie che avesse ritenuto opportune, contenuta nel regolamento condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 4 agosto 1977, n. 3486.
In un edificio in condominio, le scale - oggetto di propriet comune a norma dell'art. 1117 n. 1 c.c., se il contrario
non risulta dal titolo - comprendono l'intera relativa cassa, di cui costituiscono componenti essenziali ed
inscindibili le murature che la delimitano, assolvano o meno le stesse, in tutto o in parte, anche la funzione di
pareti delle unit immobiliari di propriet esclusiva cui si accede tramite le scale stesse. Ne consegue che,
anche quando i lavori di manutenzione o ricostruzione delle scale importino il rafforzamento delle murature
svolgenti anche tale ultima funzione, con indiretto vantaggio dei proprietari specificamente interessati, la
ripartizione delle spese deve avvenire in base alla regola posta dall'art. 1124, primo comma c.c., salvo che
(diversamente che nella specie pervenuta al giudizio della Suprema Corte) oggetto dei lavori siano non il vano
scale nel suo complesso ma solo le murature costituenti le pareti perimetrali delle unit immobiliari prospicienti il
vano scale (e quest'ultimo in tutto o parte delimitanti), poich in tale ultimo caso la ripartizione delle spese va
effettuata mediante l'applicazione, opportunamente coordinata, dei criteri fissati dagli artt. 1123, secondo comma
e 1124, primo comma, c.c.
* Cass. civ., sez. II, 7 maggio 1997, n. 3968, Buffardi c. Beffardi.
In un edificio in condominio, l'area costituita dalla proiezione delle scale si presume comune a norma dell'art.
1117 c.c., e tale presunzione di comunione pu essere vinta solo da un titolo contrario e non da un'altra
presunzione, quale pu essere quella derivante dalla propriet della soprastante soffitta.
* Cass. civ., 18 maggio 1967, n. 1055.
L'area soprastante alla gabbia di una scala comune deve ritenersi comune, ed a ci non di ostacolo l'esistenza
d'una copertura a terrazza adiacente all'appartamento d'uno dei condomini, perch in mancanza di titolo che ne
attribuisce la piena ed assoluta propriet, deve ritenersi che il condomino abbia il diritto soltanto di esercitarvi il
calpestio.
* Cass. civ., 23 novembre 1962, n. 3173.
La propriet condominiale di tutto il volume lasciato libero dalle scale (vano scala) e delimitato da queste non
sembra rientrare tra le parti comuni di cui all'art. 1117 c.c., onde non pare al riguardo invocabile la relativa
presunzione, al pari di qualsiasi opera che si trova eretta su parti comuni.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 8 giugno 1992, Novati e altri c. Societ Ila,in Arch. loc. e cond., 1993, 330.
Proprietari dei locali terreni
L'androne e le scale di un edificio sono oggetto di propriet comune ai sensi dell'art. 1117 cod. civ. anche dei

proprietari dei locali terranei che abbiano accesso direttamente dalla strada, in quanto costituiscono elementi
necessari per la configurabilit stessa di un fabbricato diviso in piani e porzioni di piano di propriet individuale e
rappresentano inoltre tramite indispensabile per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura;
pertanto, tali proprietari rientrano fra gli obbligati al contributo per la sistemazione dell'androne.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 9 ottobre 1987, n. 1983, Condominio di via Console Marcello 18/2 di Milano c.
Dondoli, in Arch. loc. e cond.,1989, 707.
Pulizia
In tema di condominio di edifici, la disposizione dell'art. 1124 c.c. concernente la ripartizione fra i condomini delle
spese di manutenzione delle scale, come la norma di regolamento condominiale che vi si conformi, riguarda le
spese relative alla conservazione della cosa comune che si rendono necessarie a causa della naturale
deteriorabilit della stessa per consentirne l'uso ed il godimento e che attengono a lavori periodici indispensabili
per mantenere la cosa in efficienza. La disposizione non riguarda, pertanto, le spese di pulizia delle scale, alle
quali i condomini sono tenuti a contribuire in ragione dell'utilit che la cosa comune destinata a dare a
ciascuno e che l'assemblea pu legittimamente ripartire in virt delle attribuzioni riconosciutele dall'art. 1135 c.c.,
anche modificando i precedenti criteri con la maggioranza prescritta dall'art. 1136 c.c. trattandosi di criteri aventi
natura solo regolamentare.
* Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1993, n. 2018, Caneva c. Condominio di Via Kennedy n. 7 di Cologno Monzese.
In tema di ripartizione di oneri condominiali, le spese per l'illuminazione e la pulizia delle scale non configurano
spese per la conservazione delle parti comuni, tendenti cio a preservare l'integrit e a mantenere il valore
capitale delle cose (artt. 1123, comma primo e 1124, comma primo, c.c.), bens spese utili a permettere ai
condomini un pi confortevole uso o godimento delle cose comuni e di quelle proprie; con la conseguenza che
ad esse i condomini sono tenuti a contribuire, non gi in base ai valori millesimali di compropriet, ma in base
all'uso che ciascuno di essi pu fare delle parti comuni (scale) in questione, secondo il criterio fissato dall'art.
1123, comma secondo, c.c.
* Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1996, n. 8657, Calvigioni c. Condominio di via Fucini n. 284 in Roma, in Arch. loc.
e cond., 1997, 80.
E' illegittima la delibera di un'assemblea condominiale che decida a maggioranza di applicare una quota
suppletiva del 60% relativamente alla voce pulizia scale nei confronti di un condomino proprietario di un ufficio
professionale privato.
* Trib. civ. Genova, sez. III, 8 maggio 1992, n. 1548, Soc. Dino c. Cond. di via Granello n. 3 di Genova, in Arch.
loc. e cond., 1993, 122.
I criteri di ripartizione delle spese stabiliti dal regolamento contrattuale non possono essere modificati
dall'assemblea condominiale per facta concludentia, essendo invece necessario il consenso di tutti i condomini.
(Fattispecie in tema di ripartizione delle spese di pulizia e di manutenzione delle scale).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 6 aprile 1993, n. 606, in Arch. loc. e cond., 1994, 334.
In difetto di titolo contrario, ove un'area dell'edificio condominiale debba presumersi di propriet comune, per
effetto della utilit che i condomini ne traggono, la medesima presunzione deve valere anche per la scala
(dell'edificio stesso) che ad essa d accesso.
* Cass. civ., sez. II, 14 marzo 1977, n. 1027.
Sottoscala
Nella ipotesi in cui un condomino risulti proprietario esclusivo della rampa di scale accedente al suo
appartamento, la parte di area sottostante le scale non pu ritenersi idonea a costituire, con esse, una entit
unica ed inseparabile (cos da rendere non predicabile la ipotesi che il dante causa del detto condomino,
nell'alienare la propriet delle scale, abbia potuto escludere dalla vendita la superficie sottostante), postulando il
concetto di incorporazione, al pari di quello di accessione, una unione fisica e materiale del manufatto rispetto
suolo (o, in ogni caso, l'impossibilit di utilizzare il suolo stesso come entit autonoma rispetto al manufatto), ci
che non lecito affermare con riguardo ad una superficie (libera) sormontata da una rampa di scale.
* Cass. civ., sez. II, 8 settembre 1997, n. 8717, Soracco c. Morando.
L'autorizzazione di un'assemblea con voto di maggioranza a chiudere un sottoscala non pu essere considerata
altro che una precariet e non pu avere effetto traslativo.
* Trib. civ. Milano, 7 novembre 1991, in L'Ammin. 1991, n. 10.
Spese
Non pu invocarsi la disciplina legislativa di cui all'art. 1124 cod. civ. in merito all'onere delle spese di
ricostruzione delle scale comuni e, in via analogica, degli ascensori, quando sul punto vi una disciplina
convenzionale fra i condomini, contenuta nel regolamento condominiale, avente carattere contrattuale.
* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1981, n. 4646, Luini c. Cond. XX Aprile.
A norma dell'art. 1117, n. 1, c.c., le scale di un edificio condominiale, anche se pi di una e poste concretamente
al servizio di parti diverse dell'edificio stesso, vanno sempre considerate, in assenza di un contrario titolo
negoziale, di propriet comune di tutti i condomini, senza che a ci sia di ostacolo il disposto dell'art. 1123,
ultimo comma, c.c., il quale, proprio sul presupposto di tale comunione, disciplina soltanto la ripartizione delle
spese per la conservazione ed il godimento di esse, ispirandosi al criterio della utilit che ciascun condomino o
gruppo di condomini ne trae.
* Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 1996, n. 1357, Stramaglia c. De Benedictis, in Arch. loc. e cond., 1996, 509.
Ove nell'edificio condominiale siano compresi locali forniti di un accesso diverso dall'androne e dal vano scale,
anche i proprietari di detti locali sono tenuti - in difetto di difformi clausole del regolamento di condominio - a
concorrere alle spese di manutenzione (ed, eventualmente, di ricostruzione) dell'androne e delle scale, in
rapporto e proporzione all'utilit che anche essi possono, in ipotesi, trarne quali condomini, e ci sia avuto
riguardo all'uso, ancorch ridotto, che possono fare dell'androne e delle scale per accedere, come loro diritto,

nei locali della portineria e al tetto o lastrico solare, sia avuto riguardo all'obbligo e alle connesse responsabilit
che anch'essi hanno, quali condomini, di prevenire e rimuovere ogni possibile situazione di pericolo che possa
derivare alla incolumit degli utenti dall'inefficiente manutenzione dei suddetti beni comuni. In particolare, per le
ragioni esposte, alle spese di illuminazione dell'androne e delle scale devono concorrere, ancorch in misura
ridotta, pure i condomini, quali i proprietari di autorimesse e di botteghe, che non ne usufruiscono per accedere
alle loro propriet esclusive.
* Cass. civ., sez. II, 6 giugno 1977, n. 2328.
Uso esclusivo
L'uso esclusivo di una scala in campo condominiale non significa propriet della stessa e meno ancora la
propriet del sottoscala, con tutte le conseguenze di legge.
* Trib. civ. Milano, 7 novembre 1991, in L'Ammin. 1992, n. 2.
Soffitti
Nell'ipotesi in cui, a causa del suo deterioramento e per ragioni d'ordine tecnico, il soffitto a volta esistente fra
due piani sovrapposti di un edificio in condominio debba essere sostituito da un diverso tipo di soffitto di minor
spessore, il proprietario del piano sottostante, che da tale sostituzione ha conseguito un ampliamento ed una
migliore utilizzazione dei suoi locali, non tenuto a versare alcun compenso al proprietario del piano
sovrastante, sempre che non venga menomato il suo godimento sul soffitto comune o danneggiata la sua
propriet esclusiva. Ben vero, anzitutto, il vantaggio realizzato dal proprietario del piano inferiore non costituisce
un arricchimento indebito, essendo l'effetto di un'opera eseguita nell'interesse comune di ambedue i condomini,
Inoltre da escludere che la cennata sostituzione abbia comportato la lesione del diritto di compropriet sul
soffitto spettante al proprietario del piano superiore. Di vero, ai sensi dell'art. 1125 c.c., il diritto di comunione dei
proprietari di piani sovrapposti ha per oggetto il soffitto, la volta, ed il solaio intermedi, considerati in se stessi, e
non gi lo spazio pieno e vuoto da essi occupato; onde tale diritto resta inalterato nel suo oggetto, nonostante la
sostituzione, imposta dall'interesse comune, di un tipo di soffitto meno voluminoso a quello preesistente.
* Cass. civ., sez. II, 8 giugno 1966, n. 1512.
In mancanza di titolo, la natura del diritto su di un manufatto dipende dalla struttura o destinazione all'uso o al
servizio dei piani o delle porzioni di piano del fabbricato condominiale; pertanto se un cortile d aria e luce a
questo ed ha la funzione di consentirne l'accesso, ancorch costituisca copertura di un sottostante locale
costruito fuori della proiezione verticale dei piani sopraelevati, ha natura condominiale e perci l'assemblea dei
condomini, con la partecipazione del proprietario del locale in proporzione ai corrispondenti millesimi,
legittimata a deliberare i lavori di manutenzione necessari per la conservazione del piano di calpestio, fungente
altres da soffitto del predetto locale, mentre la ripartizione delle conseguenti spese va effettuata secondo
l'omologo criterio stabilito per la terrazza a livello dall'art. 1126 c.c., s che il proprietario di questo deve
contribuire per due terzi e i condomini per un terzo.
* Cass. civ., sez. II, 10 novembre 1998, n. 11283, Cond. V. Cilea 57 Napoli c. Autostar Snc.
La facolt di apertura e mantenimento di luci in un solaio frapposto tra due unit immobiliari l'una soprastante
l'altra e comprese in uno stabile condominiale resta subordinata, a mente dell'art. 903 comma secondo c.c.
(norma dettata in tema di muro divisorio ed applicabile nella specie attesa l'analogia tra le funzioni del muro
stesso e del solaio) al consenso di tutti i comproprietari, con la conseguenza che il diritto a mantenere le luci
stesse pu essere aliunde acquisito soltanto iure servitutis.
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2000, n. 738, Santoro c. Aric.
Solai
Negli edifici in condominio, a differenze del solaio divisorio tra due piani dell'edificio, in propriet comune ai due
rispettivi proprietari, il solaio del piano terreno sottostante al relativo pavimento, costruito a livello della superficie
di campagna, in quanto parte integrante del solo piano terreno, appartiene in propriet esclusiva al proprietario
del piano, alla stessa stregua del pavimento. Ne consegue che in caso di vizio costruttivo del solaio, rivelatosi
inidoneo a svolgere autonomamente la funzione di sostenere l'unit immobiliare, la responsabilit per i danni
che ne siano derivati alle singole propriet individuali deve ascriversi al proprietario del piano, con esclusione di
ogni responsabilit del condominio.
* Cass. civ., sez. II, 26 marzo 1993, n. 3642, Signorile c. Cond. di via Matteotti n. 6 di Bari e Mincuzzi.
Qualora il proprietario di un appartamento, nel ripristinare il solaio divisorio con l'immobile sottostante, lo
posizioni pi in basso, una lesione del diritto altrui, nell'ambito del rapporto di vicinato, non pu essere esclusa
alla stregua dell'opportunit di detta scelta per una migliore conservazione del fabbricato, e quindi invocando la
funzione sociale della propriet privata, tenuto conto che tale funzione ne pu giustificare un sacrificio per
esigenze della collettivit, non per interessi di natura individuale.
* Cass. civ., sez. II, 11 aprile 1987, n. 3615, Iannaccio c. Iannaccio.
Dal solaio che divide due unit abitative, l'una all'altra sovrapposta, formando una struttura comune che i
proprietari delle due unit possono modificare solo alla condizione che non venga alterata la destinazione della
cosa e che non sia impedito all'altro di farne parimenti uso secondo il suo diritto, deve essere distinta la
copertura (o pavimento) del solaio, che appartiene esclusivamente al proprietario dell'abitazione sovrastante e
che pu essere, quindi, da questo liberamente rimossa o sostituita secondo la sua utilit e convenienza.
*Cass. civ., sez. II, 22 agosto 1984, n. 7464, Iorio c. Pavone.
Il solaio che divide due unit abitative l'una all'altra sovrastante, ed appartenenti a diversi proprietari deve
ritenersi, salva prova contraria, di propriet comune, costituendo l'inscindibile struttura divisoria tra le due
strutture immobiliari, con utilit ed uso eguale ed inseparabile per le medesime, s che la manutenzione e
ricostruzione di tutte le sue parti - e, quindi, anche delle travi che ne costituiscono la struttura portante, e non
siano meramente decorative del soffitto dell'appartamento sottostante - compete in parti eguali ai due proprietari.
* Cass. civ., sez. II, 12 ottobre 2000, n. 13606, Bettino c. Cambiaso.

Qualora il solaio fra due appartamenti venga abbassato, con una riduzione della consistenza materiale
dell'appartamento sottostante, in occasione di opere di consolidamento che il proprietario dell'appartamento
sovrastante abbia effettuato per realizzare una nuova costruzione a sbalzo, deve riconoscersi al proprietario di
detto immobile sottostante la possibilit di ottenere la riduzione in pristino, mediante abbattimento della nuova
opera, vertendosi in tema di fatto lesivo del diritto dominicale, non riconducibile nella previsione dell'art. 884 cod.
civ. (sulla facolt del comproprietario del muro comune di appoggiarvi costruzioni ed immettervi travi).
* Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 1985, n. 36, Staunovo c. Staunovo.
Il solaio che divide due unit abitative, l'una all'altra sovrapposta, costituisce una struttura comune ai proprietari
di dette unit, i quali, pertanto, ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., possono apportarvi modifiche, alla condizione che
non venga alterata la destinazione della cosa comune e che non sia impedito all'altro soggetto di farne parimenti
uso, secondo il suo diritto.
* Cass. civ., sez. II, 9 marzo 1987, n. 2440, Malandrini c. Bergamaschi.
La sostituzione del solaio esistente fra due piani sovrapposti di un edificio deve realizzarsi, trattandosi di bene in
compropriet, senza menomazioni del godimento di entrambi i proprietari sulla cosa o sulla propriet esclusiva
di ciascuno di essi, senza che rilevi il vantaggio che ne sia derivato alle propriet. Il diritto in questione ha infatti
per oggetto ai sensi dell'art. 1125 c.c. il solaio in se stesso considerato e non anche lo spazio pieno o vuoto che
esso occupa e rimane inalterato nel suo oggetto, nonostante la sostituzione di un solaio meno voluminoso di
quello preesistente.
* Cass.. civ., sez. II, 23 marzo 1995, n. 3386, Bruno c. Garnero.
La manutenzione e la riparazione del solaio di copertura di un locale interrato costituendone parte integrante
compete unicamente, salvo diversa pattuizione, al suo proprietario, anche se l'area sovrastante appartenente ad
altro soggetto riceva da tale copertura un qualche vantaggio o utilit.
* Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 1999, n. 1477,
Il condomino del piano sottostante che agisce nei confronti del condomino del piano di sopra per il risarcimento
dei danni al suo solaio deve dimostrare, ai sensi dell'art. 2043 c.c., che essi dipendono da fatti imputabili a
quest'ultimo, altrimenti dovendosi ripartire in parti uguali le spese per la riparazione di esso, ai sensi dell'art.
1125 c.c., per la presunzione assoluta di comunione tra loro del solaio, da cui deriva altres l'inapplicabilit
dell'art. 2051 c.c. diretta a tutelare i terzi danneggiati dalle cose che altri hanno in custodia, non i comunisti tra
loro.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1999, n. 6398, Pepe c. Carotenuto.
La facolt di apertura e mantenimento di luci in un solaio frapposto tra due unit immobiliari l'una soprastante
l'altra e comprese in uno stabile condominiale resta subordinata, a mente dell'art. 903 comma secondo c.c.
(norma dettata in tema di muro divisorio ed applicabile nella specie attesa l'analogia tra le funzioni del muro
stesso e del solaio) al consenso di tutti i comproprietari, con la conseguenza che il diritto a mantenere le luci
stesse pu essere aliunde acquisito soltanto iure servitutis.
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2000, n. 738, Santoro c. Aric, in Arch. loc. e cond. 2000, 747. [RV533081].
Nell'ipotesi in cui, a causa del suo deterioramento e per ragioni d'ordine tecnico, il solaio esistente fra due piani
sovrapposti di un edificio sia sostituito da un diverso tipo di solaio di minor spessore, il proprietario del piano
sottostante, che ne ha conseguito un ampliamento per maggior altezza ed una migliore utilizzazione dei suoi
locali, non tenuto a versare alcun compenso al proprietario del piano sovrastante, sempre che non venga
menomato il suo godimento sul solaio comune o danneggiata la sua propriet esclusiva (nella specie con il
mantenimento del pavimento del piano superiore allo stesso precedente livello). Infatti, il vantaggio conseguito
dal proprietario del piano inferiore non costituisce arricchimento indebito, essendo l'effetto di un'opera eseguita
nell'interesse comune, mentre tale sostituzione non comporta lesione del diritto di compropriet spettante al
proprietario del piano superiore, che ha per oggetto il solaio considerato in s stesso e non gi lo spazio pieno o
vuoto da esso occupato.
* Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 1982, n. 929, Schivo c. Bogliolo.
Il solaio esistente fra i piani sovrapposti di un edificio oggetto di comunione fra i rispettivi proprietari per la
parte strutturale che, incorporata ai muri perimetrali, assolve alla duplice funzione di sostegno del piano
superiore e di copertura di quello inferiore, mentre gli spazi pieni o vuoti che accedano al soffitto od al
pavimento, e non siano essenziali all'indicata struttura (nella specie, conglomerato cementizio per sottofondo di
pavimentazione e protezione termica), rimangono esclusi dalla comunione e sono utilizzabili rispettivamente da
ciascun proprietario nell'esercizio del suo pieno ed esclusivo diritto dominicale (nella specie, per la collocazione
di tubi di raccordo di servizi).
* Cass., sez. II, 7 giugno 1978, n. 2868.
Il solaio che divide due piani di un edificio va considerato comune ai proprietari di tali piani, in quanto svolge allo
stesso tempo la duplice funzione di sostegno del piano superiore e di copertura del piano inferiore, costituendo
un corpo unico formato da elementi strutturali fusi, stabilmente fra loro e incorporati in altre strutture comuni, cio
nei muri maestri. Ci esclude che tra il soffitto del piano inferiore e il pavimento del piano superiore possano
esistere altre opere le quali non facciano parte del solaio e delle quali occorra quindi accertare di volta in volta la
destinazione, al fine di stabilire a chi appartengano. (Nella specie la Suprema Corte ha enunciato la massima
che precede per escludere che potesse ritenersi bene in propriet comune una intercapedine costruita per
creare un locale dell'appartamento sottostante e nascondere un tubo di scarico passante sotto il pavimento
dell'appartamento sovrastante).
* Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1976, n. 3715.
La presunzione di comunione dei solai divisori tra i piani fondata non sulla loro necessit di limite delle
rispettive propriet ma sulla loro necessit (nei confronti delle distinte propriet) per il sostegno
dell'appartamento sovrastante e per la copertura di quello sottostante.

* Cass., sez. II, 3 febbraio 1975.


Con riguardo ai danni derivanti dal crollo di un solaio divisorio fra due appartamenti, l'applicabilit degli artt. 2051
e 2053 cod. civ., con conseguente presunzione di corresponsabilit sia del proprietario dell'immobile sovrastante
sia di quello dell'immobile sottostante, non introduce deroghe ai principi generali in tema di nesso di causalit e
di concorso di cause, sicch la responsabilit dell'uno deve essere esclusa quando egli fornisca la prova che il
danno sia stato determinato, con autonoma efficienza causale, dal fatto imputabile all'altro (nella specie, il
proprietario dell'appartamento sovrastante, essendo il solaio caduto per infiltrazioni di acqua provenienti dagli
scarichi del suo immobile).
* Cass. civ., sez. II, 30 marzo 1985, n. 2234, Cardillo c. Anglesio.
In tema di pertinenze, ben possibile limitare contrattualmente la destinazione e l'uso di un bene, assegnato in
modo durevole a servizio o ornamento di un'altra cosa, purch rimanga salva la funzione e la natura
pertinenziale del bene. (Nella specie stata confermata la sentenza di merito che, in applicazione del divieto di
modifica di destinazione imposto dal regolamento condominiale contrattuale, aveva dichiarato il condomino
obbligato al rispetto della destinazione originaria a deposito del solaio, pur se pertinenza dell'appartamento di
sua esclusiva propriet, adibito ad abitazione).
* Cass. civ., sez. II, 12 luglio 2000, n. 9234, Dagnoni c. Condominio via Pitteri 111, Milano, in Arch. loc. e cond.
2000, 707.
Il solaio che separa il piano sottostante da quello sovrastante di un edificio appartenenti a diversi proprietari
deve ritenersi, salvo prova del contrario, di propriet comune dei proprietari dei due piani costituendo
l'inscindibile struttura divisoria tra le due propriet con utilit ed uso uguale e inseparabile per le medesime e
correlativa inutilit per gli altri condomini. Ne consegue che il confine tra le due propriet esclusive sovrapposte
costituito non dalla linea mediana del solaio ma dall'intera struttura di cui esso consta. Pertanto la sostituzione
del solaio non pu essere effettuata in modo da restringere o limitare i beni immobili sovrapposti di propriet
esclusiva ove non sia indispensabile o manchi il consenso di entrambi i detti proprietari, derivandone, anche nel
caso di sussistenza di esigenze tecniche, il diritto del risarcimento del danno che uno di essi abbia a subire per il
conseguente restringimento della cubatura dell'appartamento di propriet esclusiva.
* Cass. civ., 23 marzo 1991, n. 3178.
Il solaio divisorio tra un piano e quello sottostante di un edificio da ritenere di propriet comune fra i proprietari
dei due piani. Tale presunzione, di carattere assoluto, vale tuttavia per le strutture che hanno una funzione di
sostegno e di copertura, contribuendo a costituire il solaio; non pure per quelle parti come le coperture applicate
al di sotto del soffitto che adempiono a funzioni meramente estetiche e indipendenti dalle dette strutture,
dovendosi esse ritenere appartenenti esclusivamente al proprietario del piano sottostante.
* Cass. civ., 20 luglio 1967, n. 1868.
La soletta divisoria che separa e divide il piano sovrastante da quello sottostante, piani appartenenti a diversi
proprietari, deve considerarsi di propriet comune tra i proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastante,
costituendo l'inscindibile struttura divisoria tra le due propriet, con utilit ed uso uguale ed inseparabile per le
medesime. Quando il soffitto formato, oltre che dalla soletta, da travi che sporgono nella parte sottostante,
queste devono anch'esse considerarsi di propriet comune, se fanno parte integrante della soletta e del soffitto
ed hanno la medesima funzione degli stessi, di costruire inscindibilmente le strutture divisorie dei due
appartamenti: si pu parlare di propriet esclusiva delle travi da parte del proprietario del piano sottostante, solo
se esse costituiscono un'infrastruttura non necessariamente connessa alla struttura principale divisoria e quindi
esclusivamente una mera decorazione del soffitto, utile solo per il piano sottostante.
* Cass. civ., 28 maggio 1963, n. 1406.
Non nella possibilit dell'assemblea condominiale chiudere l'accesso ai solai, lasciando la chiave presso la
portineria unicamente per i casi di emergenza.
* Trib. Civ. Milano, 6 luglio 1992, in L'Ammin. 1993, 10,12.
Spese
L'art. 1125 cod. civ., secondo il quale, negli edifici condominiali, le spese per la manutenzione e ricostruzione dei
soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti,
costituisce norma derogabile dall'autonomia privata, sicch i condomini interessati ben possono addivenire ad
un accordo sul loro rispettivo diritto e determinare convenzionalmente, oltre ai lavori da eseguire, chi debba
sostenerne la spesa. Conseguentemente, solo in caso di mancanza di tale accordo trova applicazione il criterio
ripartitivo ex art. 1125 cod. civ., restando d'altro canto, il diritto di rimborso del condomino, che abbia provveduto
a tali opere, subordinato, oltre alla richiesta in tal senso, anche alla duplice condizione della necessit della
spesa e della sua urgenza, cio dell'indifferibilit, secondo il criterio del buon padre di famiglia, per evitare un
possibile nocumento.
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4601, Gravina c. Trillo.
In tema di condominio di edifici, la ripartizione delle spese per la manutenzione, ricostruzione dei soffitti, delle
volte e dei solai secondo i criteri dell'art. 1125 c.c., riguarda le ipotesi in cui la necessit delle riparazioni non sia
da attribuirsi ad alcuno dei condomini, mentre quando il danno sia ascrivibile a singoli condomini trova
applicazione il principio generale secondo cui il risarcimento dei danni a carico di colui che li ha cagionati.
* Cass. civ., sez. II, 12 aprile 1999, n. 3568, Musillo c. Musillo. [RV525224].
Le spese per la manutenzione e la ricostruzione dei solai, inerenti ad interventi che concernano il corpo di
fabbrica interessato nelle sue strutture comuni, non si ripartiscono in parti uguali fra i proprietari dei due piani
l'uno all'altro sovrastanti.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 13 dicembre 1988, n. 457, Condominio di via Settembrini 41, Milano c. Barabino,
in Arch. loc. e cond. 1989,495.

Nel giudizio instaurato per la divisione delle spese di manutenzione o ricostruzione del solaio divisorio comune ai
sensi dell'art. 1125 cod. civ. dal proprietario del piano sovrastante nei confronti del proprietario di quello inferiore,
non sussiste la necessit di integrare il contraddittorio, ex art. 102 cod. proc. civ., nei riguardi dell'eventuale
usufruttuario di alcuno dei piani stessi, essendo il rapporto dedotto in lite e da regolare con la pronuncia
giudiziale afferente solo alla titolarit del diritto di propriet dei piani divisi dal solaio.
* Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 1986, n. 7397, De Morelli c. Cassa Risp. Cal..
L'art. 1125 c.c., nel disporre che restano a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento
(mattonelle e impiantito) ed a carico del proprietario del piano inferiore l'intonaco, la tinta e la decorazione del
soffitto, ha inteso comprendere nella nozione di volte, solai e soffitti tutto il complesso di opere stabilmente unite
che servono a dividere orizzontalmente le due propriet.
* Cass. civ., sez. II, 23 aprile 1969, n. 1319.
Sottotetto solai
Il sottotetto di un edificio in condominio, non essendo incluso tra le parti comuni indicate nell'art. 1117 c.c., non
costituisce - in difetto di elementi contrari desumibili dal titolo - oggetto di comunione e, poich esso. di regola,
assolve una funzione isolante e protettiva (dal caldo e dal freddo) del piano pi elevato, di questo costituisce
normalmente una pertinenza. qualora non ne sia dimostrata una destinazione diversa.
* Cass. civ., 23 maggio 1991, n. 5854.
Il "sottotetto" di edificio condominiale. sia che assolva esclusivamente una funzione isolante a protezione
dell'ultimo piano, costituendo pertinenza e, quindi, parte integrante dello stesso, sia che assolva anche altre
funzioni ovvero abbia dimensioni e caratteristiche tali da consentire l'utilizzazione come vano autonomo - la cui
appartenenza va determinata solo in base ad un titolo - pu considerarsi di propriet comune se, per
caratteristiche strutturali e funzionali, risulti, sia pure in via potenziale, oggettivamente destinato all'uso comune
o all'esercizio di un servizio di interesse comune.
* Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1987, n. 2722, Catalani c. Cond. V. Malakoff.
L'ambiente ricavato sotto il tetto dell'edificio in condominio, in modo da formare una camera d'aria limitata, in
alto, dalla struttura del tetto ed, in basso, dal solaio che copre i vani dell'ultimo piano (cosiddetto sottotetto),
assolve, di regola, ad una funzione isolante e protettiva di questi vani e, quando non risulti una diversa
destinazione o non sia diversamente disposto dal titolo, non , quindi, oggetto di comunione ma costituisce
pertinenza dell'appartamento dell'ultimo piano.
* Cass. civ., sez. Il, 15 giugno 1993, n. 6640. Giussani c. Albanese e altra.
Il sottotetto di un edificio, quando assolve l'esclusiva funzione di isolare i vani dell'alloggio ad esso sottostanti si
pone in rapporto di dipendenza con i vani stessi cui serve da protezione e non pu essere, pertanto, da questi
ultimi separato senza che si verifichi l'alterazione del rapporto di complementariet dell'insieme.
Conseguentemente, non essendo in tale ipotesi il sottotetto idoneo a essere utilizzato separatamente
dall'alloggio sottostante cui accede, non configurabile il possesso ad usucapionem dello stesso da parte del
proprietario di altra unit immobiliare.
* Cass. civ., sez. Il, 8 agosto 1986, n. 4970, Colarossi c. Corsetti.
Il criterio giurisprudenziale, secondo cui il sottotetto di un edificio in condominio appartiene di regola al
proprietario dell'ultimo piano, applicabile nei casi in cui il contrario non risulti dal titolo.
* Cass. civ., 13 ottobre 1971, n. 2886.
I sottotetti, le soffitte, le cantine, i solai vuoti e gli analoghi spazi non praticabili destinati ad isolare il corpo di
fabbrica dalla sua copertura costituiscono una pertinenza dell'intero edificio condominiale (o del suo ultimo
livello) ove appartengano in via esclusiva al proprietario di questo e non danno luogo a loro volta ad un piano a
s stante, essendo destinati ad una funzione accessoria, quali depositi, stenditoi e camere d'aria a protezione
degli alloggi sottostanti dal caldo, dal freddo e dall'umidit. La ristrutturazione di locali del genere non comporta
sopraelevazione, ai sensi dell'art. 1127 c.c., nei soli casi di modificazioni soltanto interne, contenute negli
originari limiti dell'edificio senza alcun aumento della sua altezza.
* Cass. civ., sez. II, 10 giugno 1997, n. 5164, Canu Salvatore c. Canu Francesca.
Il sottotetto di un edificio condominiale pu essere ritenuto pertinenza dell'appartamento sito all'ultimo piano
soltanto se assolve, mediante la creazione di una camera d'aria, all'esclusiva funzione di isolamento e di
protezione dell'appartamento stesso dal caldo, dal freddo o dall'umidit e non anche nella diversa ipotesi che
esso abbia dimensioni e caratteristiche strutturali tali da permettere l'utilizzazione come vano autonomo. In
quest'ultima ipotesi, l'appartenenza deve essere stabilita in forza di idoneo titolo e, in mancanza di questo, sulla
base della presunzione di comunione di cui all'art. 1117 c.c., pur non comprendendo questa norma
esplicitamente il sottotetto nell'elencazione delle cose comuni dell'edificio, allorquando esso risulti
oggettivamente destinato, anche soltanto in via potenziale, all'uso comune.
* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1997, n. 9788, Casalgrandi c. Bellei, in Arch. loc. e cond. 1997, 973.
Il sottotetto di un edificio, non compreso tra le parti comuni indicate dall'art. 1117 c.c., costituisce una pertinenza
dell'appartamento sito all'ultimo piano quando assolva alla funzione esclusiva di isolarlo e proteggerlo dal caldo,
dal freddo e dall'umidit, formando una camera d'aria a sua difesa. Esso, tuttavia, realizza una funzione diversa
dalla mera camera d'aria quando sia destinato all'uso comune di tutti i condomini, come nel caso in cui sia
dotato di una comunicazione diretta con il vano scale comune e di un lucernario per l'accesso al tetto comune;
destinazione che costituisce il fatto noto ex art. 2727 c.c. posto dalla legge a base della presunzione di
comunione ex art. 1117 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 maggio 1996, n. 4509, Ferigo c. Mengoli.
I sottotetti di un edificio in condominio, non essendo inclusi tra le "parti comuni" specialmente contemplate
dall'art. 1117 c.c., non costituiscono sempre ed incondizionatamente oggetto di comunione, ancorch manchi un
titolo che disponga ex professo altrimenti: invero, per ritenerli comuni altres necessario - in aderenza al criterio

generale enunciato nella parte finale del n. 1 della detta norma, e ribadito anche nei numeri successivi - che, per
le loro peculiari caratteristiche strutturali e funzionali, essi risultino oggettivamente destinati, sia pure in via
potenziale, all 'uso comune o ad un servizio d'interesse comune, o comunque annessi alle parti comuni, s da
costituire elementi integranti di esse.
* Cass. civ., 22 giugno 1961, n. 1493.
Mentre il tetto, ove non risulti il contrario dal titolo, si presume comune a tutti i condomini dell'edificio, il sottotetto,
di regola, cio ove il contrario non risulti dal titolo ed ove non sia dimostrata, per le sue caratteristiche strutturali
e funzionali, la sua destinazione ad un servizio comune o la sua annessione alle parti comuni, s da costituire
elemento integrante di esse, appartiene al proprietario dell'ultimo piano del quale una pertinenza in quanto
assolve, rispetto ad esso, una funzione isolante e protettiva. Se invece il sottotetto assolve esclusivamente alla
funzione di copertura dell'edificio, rientra nella nozione di tetto e, quindi, nella presunzione di comunione di cui
all' art. 1117 c.c..
* Trib. civ. Avellino, 5 giugno 1995, n. 420, Andrita c. Siniscalchi, in Arch. loc. e cond. 1995, 866.
Poich il sottotetto non incluso tra le parti comuni indicate dall'art. 1117 c.c., al fine di stabilire se esso sia di
propriet esclusiva o comune necessario tenere conto di quanto stabilito dal titolo di acquisto; in difetto di
una clausola espressa, si deve fare riferimento alla destinazione funzionale ed obiettiva del sottotetto nel singolo
edificio.
* Trib. civ. Milano, 28 maggio 1992, in Arch. loc. e cond. 1992, 810.
Il concetto di struttura organica di un edificio comprende sia la conformazione esterna che quella interna dello
stesso. Rientra pertanto nel divieto di apportare qualunque variante alla struttura organica dell'edificio la
limitazione posta ai singoli condomini di non realizzare modifiche nell'interno della propriet esclusiva, mutando
la destinazione dei locali posti nel sottotetto.
* Corte app. civ. Milano, sez. II, 19 settembre 1995, n. 2597, Piazza e. Condominio di via Palazzi n.6 in Milano e
Arosio, in Arch. loc. e cond. 1996, 71.
Poich la presunzione legale di comunione di alcune parti dell'edificio condominiale, stabilita dall'art. 1117 cod.
civ. si fonda sulla destinazione all'uso e al godimento comune, risultante da elementi obiettivi, cio dall'attitudine
funzionale della parte di cui trattasi al servizio o al godimento collettivo, deve ritenersi che al sottotetto il quale,
per sue obiettive caratteristiche strutturali, serve in modo esclusivo al godimento di un'unit immobiliare oggetto
di un singolo diritto di propriet, non si estende la presunzione legale di cui al citato art. 1117 cod. civ., in quanto
la destinazione legale vince la presunzione legale di comunione.
* Corte app. civ. Milano, sez. IV, 9 gennaio 1980, n. 613, Condominio di Via Farneti 10, Milano c. Bonomi, in
Arch. loc. e cond. 1980, 377.
da ritenere illegittima l'effettuazione nel sottotetto, senza alcuna autorizzazione del condominio e delle
competenti autorit, di lavori che comportino la modifica del solaio (con lesione del vaso di espansione) nonch
di parti comuni dello stabile (con lesione della servit di accesso per l'ispezione del tetto e danno estetico).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 25 settembre 1992, n. 1561, De Vilas c. Cond. di Via Ingegnoli n. 18 di Milano, in
Arch. loc. e cond. 1993, 541.
Il sottotetto, pur non costituendo una parte comune c.d. necessaria dell'edificio condominiale, deve essere
considerato di propriet comune quando sia strutturalmente destinato, anche potenzialmente, ad un servizio o
ad un uso comune.
* Trib. civ. Milano, 23 aprile 1990.
Quando il balcone diventa veranda
Non c' dubbio che quando viene alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli appartamenti, a norma
dellart. 69 della Disp. Att. c.c., il valore di propriet generale dei comproprietari alla cosa comune deve essere
rivalutato.
E un balcone che si trasforma in veranda altera il rapporto di valore che in origine avevano lo unit immobiliari
fra loro.
Il valore millesimale potremmo definirlo la chiave di volta per la vita del condominio, perch rappresenta il diritto
e quindi il dovere che ciascuno condomino ha sulle cose comuni.
Un potere e un dovere sulla cosa comune, proporzionale alla propriet singola.
Se nella propriet singola viene aumentato il volume, il valore millesimale deve giocoforza essere aumentato.
Non vogliamo qui attardarci a spiegare la meccanica della strutturazione del valore millesimale, anche perch
pu essere consultata nel volume Tabelle valori millesimali di Renata Giuliana Balzani, Buffetti Editore, ma
desideriamo accennare che i balconi attendono ad una misurazione o le verande su balcone, a delle altre.
Ai primi saranno applicati dei coefficienti e alle verande dei coefficienti diversi, per cui chi avr posto mano a
questa trasformazione dovr anche conoscere che i valori millesimali dovranno essere rivalutati e che le spese
che si rendono necessarie per il nuovo elaborato dovranno giocoforza far capo a lui.
Parapetti dei balconi e delle terrazze
Difficilmente i parapetti dei balconi costituiscono elementi decorativi della facciata, semmai una facciata viene
definita artistica dagli uffici Belle Arti e allora vengono da questi veti e controlli.
I parapetti dei balconi, siano essi in ferro, in cemento, a pilastrini od altro materiale, non costituiscono bene
comune, ci dice la Suprema Corte con sentenza n. 2651, pronunciata il 13 novembre 1961, ma individuale,
perch essi servono alla praticabilit della terrazza.
Per cui le spese che eventualmente si rendono necessarie per la loro manutenzione sono tutte a carico di chi ha
il diritto esclusivo del balcone o della terrazza.
E un'altra recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 4860 dei 30 luglio 1981, dice: In un immobile retto
a condominio l'aggetto di un balcone appartiene esclusivamente al proprietario dell'unit immobiliare al quale
esso serve

Per cui logica affermare che le spese per riparazioni di tutte le parti che costituiscono il balcone debbono fare
giocoforza ai singoli proprietari del balcone.
Non c dubbio che i balconi essendo, s, privati, ma in aggetto alla facciata dello stabile che propriet comune
ad essa devono essere legati nelle opere di manutenzione, perch la loro possibile fatiscenza o pericolosit, non
solo danneggerebbe tutti comproprietari economicamente, ma li investirebbe in una responsabilit per danni alle
cose e alle persone.
Uso della cosa comune condominiale
Abuso
L'amministratore del condominio, che responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza. dal cattivo uso
dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari. non pu essere ritenuto
responsabile, ancorch sia tenuto a far osservare il regolamento condominiale, dei danni cagionati dall'abuso
dei condomini nell'uso della cosa comune, non essendo dotato di poteri coercitivi e disciplinari nei confronti dei
singoli condomini - salvo che il regolamento di condominio, ai sensi dell'art. 70 att. c.c., preveda la possibilit di
applicazione di sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme da esso stabilite sull'uso delle cose
comuni - n obbligato a promuovere azione giudiziaria contro i detti condomini in mancanza di una espressa
disposizione condominiale o di una delibera assembleare.
* Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1993, n. 8804, Ersoni c. Cond. Abruzzo I di Pineto.
Accessione
Ove una fattispecie trovi specifica disciplina nell'art. 1102, che regola l'uso della cosa comune da parte dei
partecipanti alla comunione, preclusa l' applicazione alla stessa, in via analogica, dell'art. 936 c.c. in materia di
accessione. non essendo consentito il ricorso alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe (c.c.
analogia legis) in assenza di una qualsivoglia lacuna dell'ordinamento.
* Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 1994, n. 10699, Parrocchia della Cattedrale di Avellino c. Camera commercio di
Avellino.
La disciplina dell'accessione contenuta nell'art. 934 c.c. si riferisce solo alle costruzioni (o piantagioni) su terreno
altrui e non anche alle costruzioni eseguite da uno dei comproprietari sul terreno comune, per le quali debbono
ritenersi, invece, applicabili le norme sul condominio ed, in particolare, la disposizione dell'art. 1120 c.c., che
vieta, tra l'altro, le innovazioni che rendano alcune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento di
altri condomini, a meno che non vi sia il consenso di questi, nella forma scritta richiesta, a pena di nullit, per la
costituzione di diritti reali su beni immobili.
* Cass. civ., sez. II, 18 aprile 1996, n. 3657, Perolio c. Peroglio.
La norma dell'art. 938 c.c., che disciplina la cosiddetta accessione invertita, ha carattere eccezionale - in quanto
derogativa sia del principio dell'accessione ("quod inaedificatur solo cedit"), sia di quello secondo cui il
proprietario ha diritto di disporre della propria cosa in maniera piena ed esclusiva - e come tale non pu trovare
applicazione nell'ipotesi di costruzione eseguita in tutto o in parte su un suolo di propriet comune del costruttore
e di terzi, nella quale si applicano le norme sulla comunione, senza che sia eccepibile una disparit di
trattamento tra comunista e terzo, rientrando nella discrezionalit del legislatore la delimitazione del campo di
operativit dell'accessione invertita. (Fattispecie relativa alla costruzione eseguita su un cortile destinato all'uso
comune degli edifici che lo circondano).
* Cass. civ., sez. II, 14 novembre 1996, n. 9982, Tossi ed altro c. Condominio di Via Var nn. 7/9 in Milano ed
altro, in Arch. loc. e cond. 1997, 438.
Alterazione della destinazione
L'art. 1102 cod. civ., nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione, prescrive che in ogni caso non pu
essere alterata la destinazione della cosa comune, sicch solo le modificazioni di questa, in quanto consentano
il pari uso secondo il diritto di ciascuno, rientrano nella previsione legale, mentre vietata ogni diversa attivit
innovatrice. (Nella specie, alla stregua del principio enunciato, stata giudicata corretta la decisione che ha
ritenuta vietata la costruzione di un terrazzo pensile soprastante un cortile comune, con la costruzione, inoltre di
gradini e di un'aiuola sul cortile stesso).
* Cass. civ., sez. II, 26luglio 1983, n. 5132, Bono c. D'Accordo.
La destinazione della cosa comune - che, a norma dell'ari. 1102 c.c., ciascun partecipante alla comunione non
pu alterare - dev'essere determinata attraverso elementi economici, quali gli interessi collettivi appagabili con
l'uso della cosa, giuridici, quali le norme tutelanti quegli interessi, e di fatto, quali le caratteristiche della cosa; e
dev'essere cassata con rinvio la sentenza del merito che esclude essere stata alterata la destinazione di un
pozzo comune dalla costruzione di un impianto di adduzione dell'acqua ad una casa di propriet singola, senza
accertare se ci abbia implicato limitazioni allo sfruttamento da parte degli altri partecipanti.
* Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1976, n. 4397.
Aree destinate a giochi
L'utilizzazione per il gioco dei bambini di una parte assai limitata dell'area verde consortile non contrasta con la
destinazione a giardino prevista, per quella stessa area, dal Regolamento consortile, ma ne costituisce
unicamente un migliore e pi intenso godimento per soddisfare esigenze che pure appaiono insopprimibili e,
comunque, senz'altro meritevoli di tutela nella vita di un condominio.
* Trib. civ. Milano, 3 ottobre 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 767.
La norma di un regolamento condominiale che disciplina il criterio di ripartizione delle spese di manutenzione
relative al campo da tennis condominiale non pregiudica il godimento del campo anche a favore dei figli dei
proprietari degli appartamenti non residenti nel condominio, godimento configurabile quale uso indiretto della
cosa comune.
* Trib. civ. Milano, 28 febbraio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 603.

Autorizzazione assembleare
La deliberazione dell'assemblea condominiale. con la quale venga autorizzato l'uso di un bene comune in modo
incompatibile con l'utilizzazione ed il godimento di parti dell'edificio di propriet di un singolo condomino,
illegittima indipendentemente dalla circostanza che, per ragioni contingenti e transitorie, il bene di propriet
individuale ed esclusiva non sia attualmente utilizzato secondo la sua naturale destinazione (In base al suddetto
principio la S.C. ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che aveva dichiarato la illegittimit di una
delibera con la quale era stata decisa l'utilizzazione come parcheggio di un'area condominiale sotto il profilo che
detto uso avrebbe ostacolato l'accesso ad alcuni locali di propriet individuale destinati ad essere utilizzati come
autorimesse, a nulla rilevando che detto uso non fosse attuale per la necessit di realizzare alcuni lavori di
rifinitura e di adattamento dell'immobile).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1989, n. 3858, Cond. Via Ronci e. Soc. Getfa.
Nel condominio di edifici allorquando una deliberazione dell'assemblea condominiale, la quale sancisce un
determinato uso della cosa comune, venga adottata con il voto unanime dei partecipanti al condominio, l'atto
conserva la sua validit anche se abbia, in ipotesi, a limitare il godimento di alcuno dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1987, n. 5709, Cond. Roma MN c. Lasagna.
Concessioni amministrative
In tema di condominio negli edifici, qualora uno dei condomini, senza violare i limiti di cui all'art. 1102 c.c., faccia
uso della cosa comune (nella specie mediante la costruzione di un comignolo sul tetto dell'edificio), la mera
mancanza delle concessioni o autorizzazioni amministrative non pu essere invocata dal condominio quale fonte
di risarcimento del danno, riflettendosi esclusivamente nei rapporti tra il privato e la pubblica amministrazione.
* Cass. civ., 8 agosto 1990, n. 8040.
Controversie
Quando tra alcuni comunisti insorga controversia sulle modalit di uso della cosa comune, ancorch riguardanti
una modificazione che, non incidendo sull'estensione dei diritti degli altri partecipanti (art. 1102, comma
secondo, cod. civ.) n eccedendo l'ordinaria amministrazione (ari. 1108 cod. civ.), tende al suo migliore
godimento, nel giudizio instaurato fra i comunisti in disaccordo, non v' litisconsorzio necessario di tutti gli altri
partecipanti alla comunione.
* Cass. civ., sez. II, 27 gennaio 1988, n. 734, Zammataro c. Pitonio.
Il condomino, il quale denunci la violazione dei limiti che debbono osservarsi dai singoli condomini nell'uso della
cosa comune, assumendo che taluno di quelli abbia destinato parte della cosa stessa al servizio della sua
propriet esclusiva e, cos, impedito l'esercizio sulla medesima del concorrente diritto di tutti gli altri condomini,
propone un'azione reale che va ricondotta nel paradigma delle azioni negatorie, il cui valore deve essere
determinato a norma dell'art. 15 cod. proc. civ. e, in particolare, in base al criterio sussidiario previsto dall'ultimo
comma essendo venuto meno - a seguito della abolizione delle imposte reali e la loro sostituzione con l'imposta
sul reddito delle persone fisiche (art. 82 del d.p.r. 29 settembre 1973 n. 597) - il criterio del riferimento al tributo
diretto verso lo Stato.
* Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3964. Cond. Napoli c. Comotti.
Lo stabilire se un determinato uso della cosa comune da parte del singolo condomino (nella specie: posa di
tubazioni) rientri o meno tra quelli consentiti compito del giudice del merito la cui valutazione incensurabile in
sede di legittimit, se adeguatamente motivata.
* Cass. civ., sez. II, 13 marzo 1982, n. 1624, Di Russo c. Melloni.
Nella controversia concernente l'inosservanza delle norme condominiali riguardanti la condotta dei condomini
nell'uso o godimento delle cose comuni, sono legittimati passivi, in assenza di dolo o colpa da parte
dell'amministratore, solo coloro che in effetti abbiano compiuto le trasgressioni e cio i singoli condomini, tenuti
ad osservare le regole di condotta dettate dal regolamento.
*Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1974, n. 397.
Disposizione della quota
A norma dell'art. 1103 cod. civ., la vendita di quota di bene indiviso ammissibile e valida, senza che gli altri
comproprietari abbiano diritto di opporsi, e, pertanto, se in un contratto di vendita indicato che il bene
appartiene a pi persone e solo alcune di esse lo sottoscrivono, non pu negarsi a priori la validit della vendita
delle singole quote, a meno che non ricorra l'inscindibilit della prestazione, da dedursi e verificarsi nel giudizio
di merito.
* Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 1982. n. 5647, Ferrari c. Oneta.
Qualora il compartecipe alieni la sua quota della propriet indivisa, l'acquirente subentra nella comunione al
posto dell'alienante, ma se l'alienazione riguarda non la quota ma la parte determinata corrispondente alla quota
e vi sia l'assenso di tutti gli altri compartecipi, si ha una vera e propria divisione o atto equiparato alla divisione,
perch si realizza il risultato tipico della divisione. Pertanto, se chi chiede la divisione non contesta l'avvenuto
scioglimento nei modi predetti, l'oggetto della pretesa si riduce ad un mero accertamento, ma se lo contesta e
non risultano provati nelle forme idonee la divisione o i suoi surrogati, va disposta la divisione, ma il fatto storico
rimane, con la conseguenza che ognuno deve imputare alla sua quota ci che ha ricevuto, con le rivalutazioni
del caso e con le responsabilit conseguenti, giacch la stima per la divisione coeva alla sua attuazione.
* Cass. civ., sez. II, 8 febbraio 1982, n. 753, Mazzafoglia c. Mazzafoglia.
In tema di comunione, il diritto di ciascun partecipante di cedere ad altri il godimento della cosa, nei limiti della
sua quota (art. 1103 cod. civ.), implica che al partecipante medesimo deve riconoscersi anche la facolt di
costituire, sempre nei limiti della sua quota. un diritto reale di uso a favore di un terzo.
* Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1980, n. 4706, Cattaneo c. Albini.
La rinunzia abdicativa del partecipante ad una comunione, in quanto determina l'accrescimento della quota
rinunciata a favore degli altri partecipanti, ha una funzione satisfattiva-liberatoria; ne consegue che il rinunziante,

con la dismissione del proprio diritto (reale) si libera delle obbligazioni (propter rem) a quel diritto collegate, e
queste vanno a carico dei rimanenti partecipanti.
* Cass. civ., sez. II, 23 agosto 1978, n. 3931.
Il trasferimento della propriet esclusiva di una porzione di piano di un edificio in condominio comporta altres il
trasferimento delle parti oggetto di propriet comune, salvo che il trasferimento di queste ultime non risulti
espressamente escluso dal titolo.
* Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1978, n. 3719.
Forno
L'art. 1117 n. 3, c.c., elenca, in via del tutto esemplificativa, le opere, le installazioni e i manufatti di qualunque
genere che servono all'uso comune e che il legislatore ha voluto comuni ai proprietari dei diversi piani o porzioni
di piano di un edificio, facendo salva la diversa volont di detti proprietari o del loro autore; conseguentemente,
un forno sistemato su un pianerottolo comune, in difetto di un titolo che ne attribuisca la propriet esclusiva ad
uno dei proprietari, ben pu ritenersi destinato all'uso e al godimento comune, come accessorio di parti od opere
comuni, da presumersi del pari comune.
* Cass. civ., sez. II, 14 marzo 1977, n. 1030.
Godimento separato
L'atto scritto, che necessario per lo scioglimento della comunione e la divisione della propriet immobiliare, ai
sensi dell'art. 1350 n. 11 cod. civ., non occorre invece per la semplice attribuzione, ferma rimanendo la
compropriet, fra gli aventi diritto, di un godimento separato del bene comune che pu essere validamente
attuata anche con convenzione verbale.
* Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 1984, n. 1428, Calabrese c. Calabrese.
Limiti
L'art. 1102, primo comma, cod. civ. assoggetta l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino al
duplice limite di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso
secondo il loro diritto; e tale principio vale, ovviamente, anche per le modificazioni che il condomino, ai sensi
della stessa norma, voglia apportare a proprie spese per il miglior godimento della cosa comune.
* Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1987, n. 2722, Catalani c. Cond. V. Malakoff.
L'art. 1102 c.c. intende assicurare al singolo partecipante, per quel che concerne l'esercizio del suo diritto, la
maggior possibilit di godimento della cosa comune, nel senso che, purch non resti alterata la destinazione del
bene comune e non venga impedito agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa, egli deve ritenersi
libero di servirsi della cosa stessa anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilit, senza
che possano costituire vincolo per lui forme pi limitate di godimento attuate in passato dagli altri partecipanti, e
pu scegliere, tra i vari possibili usi quello pi confacente ai suoi personali interessi. (Nella specie si escluso
che esorbiti dal corretto uso della cosa comune la transennatura e l'occupazione periodica di un portico con
legna da parte di un condomino, in assenza di prova del carattere stabile dell'occupazione e di un apprezzabile
pregiudizio per gli altri condomini).
* Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1994, n. 7652, Pezzi c. Bertagnolli.
La norma dell'ari. 1102 c.c., concernente la facolt del condomino di apportare modifiche a sue spese per il
migliore godimento della cosa comune, derogabile per regolamento condominiale avente efficacia contrattuale
in quanto sottoscritto da tutti i condomini, ma tale deroga deve risultare in modo espresso e non pu ritenersi
implicitamente disposta per la previsione nel regolamento dell'assoggettamento a delibera assembleare (a
maggioranza qualificata) delle modificazioni alle cose comuni finalizzate al miglior godimento delle cose stesse,
da parte della pluralit condominiale, dato che queste ultime comportano non solo l'incidenza della spesa su tutti
i condomini, ma altres la modifica in tutto o in parte nella materia o nella forma ovvero nella destinazione di fatto
o di dritto della cosa comune, a differenza delle modificazioni apportabili dal singolo condomino, che non
possono incidere che sul pari uso (anche potenziale) degli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 1992, n. 10895, Valletta c. Condominio di Via Zamenhof 7/9 di Bologna.
L'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante sottoposto dall'art. 1102 c.c. a due limiti
fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire agli
altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Pertanto, a rendere illecito l'uso basta il mancato
rispetto dell'una o dell'altra delle due condizioni, sicch anche l'alterazione della destinazione della cosa comune
determinato non soltanto dal mutamento della funzione, ma anche dal suo scadimento in uno stato deteriore,
ricade sotto il divieto stabilito dall'art. 1102 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 luglio 1995, n. 7752, Pinelli c. Muccilli.
Le due condizioni d'uso della cosa comune, consistenti, a norma dell'art. 1102 c.c., nella non alterazione della
cosa stessa e nel non impedimento agli altri comproprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto, debbono
necessariamente coesistere, onde a rendere illecito l'uso sufficiente la sola alterazione della cosa, determinata
non solo dal mutamento della sua funzione ma anche dal suo scadimento a deteriore condizione.
* Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1976, n. 247.
L'uso da parte di ciascun condomino - nonch del locatario che da quest'ultimo ha causa - della cosa comune e
delle parti comuni di una cosa sottoposto, ai sensi dell'art. 1102 cod. civ., al divieto di alterare la destinazione
della cosa comune, nonch a quello di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro
diritto, con preminenza dell'osservanza del primo divieto potendosi avere salvaguardia degli interessi dei
condomini solo col rispetto della destinazione attualmente impressa alla cosa comune. L'accertare se gli atti e le
opere dei singoli condomini, miranti ad una intensificazione del proprio godimento della cosa comune, siano
conformi o meno alla destinazione della cosa comune, compito del giudice del merito, incensurabile in sede di
legittimit se congruamente motivato. (In applicazione del principio di cui alla massima, stata ritenuta corretta
la decisione del giudice del merito che, sulla base di una norma del regolamento di condominio che prevedeva

una espressa autorizzazione condominiale, ha affermato che l'apposizione di cartelloni pubblicitari sulla facciata
non pu essere considerata esplicazione del normale uso di godimento della cosa).
* Cass. civ., sez. II, 18 luglio 1984, n. 4195, Soc. Supermoda c. Lucarini.
Il limite al diritto di godimento spettante a ciascun condomino iure proprietatis sulle parti comuni - nella specie
divieto di sosta, anche per il carico e discarico di masserizie, in tutti gli spazi comuni dell'edificio - disposto dal
regolamento condominiale nell'interesse comune e accettato nei singoli atti d'acquisto, ha natura negoziale e
perci pu essere modificato soltanto per iscritto e con il consenso unanime dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1997, n. 854, Pascale ed altri c. Cond. V. Petrarca 175 Napoli.
Il condomino non ha il dovere di limitare l'uso della cosa comune ai soli casi in cui il suo interesse non possa
essere altrimenti soddisfatto con il medesimo costo, perch il solo limite che l'art. 1102 c.c. pone al potere di
utilizzazione della cosa comune da parte di ciascun condomino quello del divieto di alterarne la destinazione e
di impedire che altri ne faccia parimenti uso secondo il suo diritto.
* Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172, Bolgianni c. Del Pani.
La coesistenza di una comunione d'uso e di separate propriet esclusive in relazione ad un determinato bene,
possibile quando proprietari di esso siano dei privati, in quanto compatibile con il godimento o uso comune del
bene, la propriet esclusiva di sue parti separate, intesa come residua facolt di disposizione di esse, va esclusa
quando invece i proprietari siano due enti pubblici territoriali ed il bene sia un bene demaniale (nella specie, una
strada), poich la demanialit esclude la facolt di disposizione e l'unico modo di esercizio della facolt di
godimento da parte dei suddetti enti pubblici, in relazione alla natura del bene, quello della destinazione al
pubblico transito, coincidente con la sua comunione d'uso.
* Cass. civ., sez. I, 11 maggio 1983, n. 3246, Soc. Lloyd. Adr. c. Com. Cervignano.
L'uso della cosa comune da parte del condomino, oltre ad essere soggetta ai limiti interni posti dalla legge nei
rapporti tra condomini (art. 1102 cod. civ.), incontra anzitutto un limite esterno, in relazione all'ambito stesso
delle parti di propriet condominiale, al di fuori del quale non pu parlarsi di uso o miglior uso della cosa
comune, poich il rispetto della propriet esclusiva dei singoli condomini esige che gli altri non possano
invaderne la sfera, n gravarla di pesi o limitazioni, ove non abbiano al riguardo un particolare diritto. (Nella
specie, enunciando il surriportato principio, il S.C. ha confermato la decisione del giudice del merito di condanna
di un condomino alla rimozione di tubazioni con cui aveva invaso una cantina di propriet esclusiva di altro
condomino).
* Cass. civ., sez. II, 13 marzo 1982, n. 1624, Di Russo c. Melloni.
Poich l'art. 1102 cod. civ. vieta le utilizzazioni della cosa comune che impediscono agli altri condomini di
continuare a farne uso in conformit alla sua destinazione, il condomino di un edificio non pu, eseguendo una
costruzione in appoggio al muro perimetrale comune (nella specie: tettoia), chiudere le aperture del medesimo
destinate a dare luce ad un vano di propriet di altro condomino, sicch tale opera che sia stata eseguita
lecitamente al momento della sua realizzazione, non pu essere frustrata da una siffatta utilizzazione successiva
della cosa comune pretesa dall'altro condomino.
* Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1981, n. 1941, Resegna C. c. Ascione A.
Il divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilit di sfruttamento da parte di tutti i partecipanti
alla comunione secondo l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni del bene
comune delle quali i comproprietari si siano convenzionalmente attribuiti il godimento separato, in quanto anche
in tal caso, non venendo meno la contitolarit dell'intero bene, la facolt di utilizzazione della cosa attribuita a
ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed analoga facolt degli altri, con la conseguenza che
sono consentite solo le opere necessarie al miglior godimento, dovendo per contro ravvisarsi una lesione del
diritto di compropriet degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e quindi
concretamente sottratta alla possibilit dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o originariamente
praticati.
* Cass. civ., sez. II, 4 maggio 1993, n. 5161, Inno c. Inno, in Arch. loc. e cond. 1993, 744.
Nel condominio di edificio, al fine di determinare la portata del godimento spettante a ciascun partecipante sui
beni comuni, occorre fare riferimento al momento in cui l'unico dominio esclusivo si fraziona in pi propriet
individuali. Pertanto, tale godimento non pu estendersi a vantaggio di costruzioni realizzate da un condomino
nell'ambito della sua propriet individuale successivamente alla costituzione del condominio, in ampliamento
oppure a completamento dell'edificio condominiale, anche se in attuazione degli intendimenti dell'originario
costruttore ed unico proprietario.
* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1980, n. 5719, Turturno c. Martino.
Il principio di cui all'art. 1102 cod. civ., sull'uso della cosa comune consentito al partecipante, non applicabile ai
rapporti tra propriet individuali (e loro accessori) e beni condominiali finitimi, che sono disciplinati dalle norme
attinenti alle distanze legali ed alle servit prediali, ossia da quelle che regolano i rapporti tra propriet contigue
od asservite e che non contraddicono alla particolare normativa della comunione.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1980, n. 221, Galeano c. Grasso.
L'esercizio della facolt di ogni condomino di servirsi della cosa comune, nei limiti indicati dall'ari. 1102 c.c., deve
esaurirsi nella sfera giuridica e patrimoniale del diritto di compropriet sulla cosa medesima e non pu essere
esteso, quindi, per il vantaggio di altre e diverse propriet del medesimo condomino perch in tal caso si
verrebbe ad imporre una servit sulla cosa comune per la cui costituzione necessario il consenso di tutti i
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1994, n. 11138, Societ Albergo Saturnia Internazionale c. Piamonte.
L'assemblea del condominio di un edificio ha il potere di disciplinare, e, eventualmente, nel concorso di
giustificate ragioni ed interessi comuni, di ridurre l'uso della cosa comune da parte dei singoli partecipanti, ma
non anche quello di sopprimere totalmente l'uso medesimo, ancorch limitatamente a determinati periodi di

tempo. (Nella specie, premesso il principio di cui sopra, la S.C. ha ritenuto correttamente affermata dai giudici
del merito la nullit, e, quindi, l'impugnabilit oltre il termine stabilito dall' art. 1137 terzo comma c.c., della
delibera con la quale era stata decisa l'assoluta chiusura di un cancello di accesso al cortile, in determinate ore
del giorno).
* Cass. civ., sez. II, 9 maggio 1977, n. 1791.
A norma dell' art. 1138 c.c., l'assemblea dei condomini pu, in sede di formazione o di modifica del regolamento
condominiale, regolare, a maggioranza, le modalit di godimento delle cose e dei servizi comuni (istituendo, se
del caso, l'uso turnario degli stessi), ma non anche disciplinare la misura e l'intensit di esso quale risulta dal
titolo di acquisto o dalla legge ed, in particolare dall'art. 1102 c.c., limitando tale godimento ad una soltanto delle
forme di uso di cui la cosa comune sia suscettibile secondo la sua destinazione. Le norme del regolamento
condominiale che introducano tali limitazioni specialmente nel caso in cui queste possono incidere
sull'utilizzabilit e sulla destinazione delle parti dell'edificio di propriet esclusiva, hanno carattere convenzionale,
nel senso che, se predisposte dall'originario proprietario dello stabile, debbono essere accettate dai condomini
nei rispettivi atti di acquisto, ovvero con atti separati e, se, invece, deliberate dall'assemblea condominiale,
debbono essere approvate all'unanimit. Inoltre, i vincoli da esse costituiti, avendo natura di oneri reali, per poter
essere opposti ai terzi acquirenti a titolo particolare, debbono essere trascritti nei pubblici registri, ovvero
accettati nei singoli negozi di acquisto.
* Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 1977, n. 621.
L'art. 1102 c.c., non pone una norma inderogabile i cui limiti non possano essere resi pi severi da un
predisposto regolamento condominiale, successivamente recepito nel contratto d'acquisto di beni compresi nel
complesso condominiale.
* Cass. civ., sez. II, 24 aprile 1975, n. 1600.
La sfera dei diritti dei singoli condomini sulla cosa comune pu essere suscettibile di restrizioni purch abbiano
natura contrattuale e siano trascritte per la loro ulteriore validit anche nei confronti dei successivi acquirenti (la
fattispecie esaminata riguarda una veranda appoggiata ed ancorata al muro della facciata dell'edificio).
* Tnib. civ. Napoli, 30 novembre 1991, n. 13613, in Arch. loc. e cond. 1992, 129.
L'annessione effettuata da un singolo condomino di una porzione della cosa comune a locale di sua propriet
esclusiva e la correlativa sottrazione ditale porzione al pari diritto degli altri condomini, configurano violazione del
disposto dell'art. 1102 cod. civ., il quale, nel permettere a ciascun condomino di servirsi della cosa comune e di
apportarvi le modifiche necessarie per il migliore godimento, pone come condizione limitativa il divieto di alterare
la destinazione e quello di impedire agli altri partecipanti di fanne parimenti uso, secondo il loro diritto.
* Corte app. civ. Napoli, sez. II, 30 marzo 1987, n. 574, Paolucci c. Manco e Condominio di via M. Ruta, in Arch.
loc. e cond. 1987, 323.
In un condominio composto da meno di dieci condomini, sebbene non sussista l'obbligo giuridico di formare un
apposito regolamento che disciplini l'uso della cosa comune, tuttavia il potere della maggioranza dei condomini
di disporre o meno le modalit per il migliori godimento della cosa comune trova il suo limite nel rispetto della
condizione che il diritto di compropriet possa estrinsecarsi liberamente e, in ogni caso, non pu menomare le
facolt attribuite dalla legge all'amministratore.
* Giud. conc. Roma, 20 novembre 1986, Battista c. Condominio di via dei Tecii n. 14, Roma, in Arch. loc. e cond.
1987, 579.
L'assemblea condominiale pu, in sede di approvazione del regolamento, e con le maggioranze previste dall'art.
1136 cod. civ., imporre ai singoli condomini limitazioni all'uso e alla destinazione dei loro appartamenti, quando
tali destinazioni, per loro natura, necessariamente implichino un uso eccessivo o sproporzionato delle cose
comuni ovvero ne alterino la destinazione. Di conseguenza, spetta al condominio dissenziente provare
l'esistenza di un regolamento contrattuale che, accettato dai singoli compratori, abbia fissato una determinata
destinazione dell'edificio.
* Trib. civ. Agrigento, sez. I, 4 luglio 1977, Miceli c. Condominio Sud, in Arch. loc. e cond. 1980, 85.
Modificazioni
In caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di
taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso diluiti i condomini,
legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal
che possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione
senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una sua autonomia rispetto
all'edificio), quando risulti quello di una o pi delle porzioni immobiliari in cui l'edificio stesso si articoli.
* Cass. civ., sez. II, 13luglio 1993, n. 7691, Muraro c. Zuccato, in Arch. loc. e cond. 1993, 706.
Le modificazioni della cosa comune o di sue parti (muri perimetrali, cortili ecc.), eseguite dal singolo condomino
ai fini di un suo uso particolare, diretto ad un migliore e pi intenso godimento della cosa medesima,
costituiscono una consentita esplicazione del diritto di compropriet ex art. 1102 cod. civ., ove non implicano
alterazioni della consistenza e della destinazione del bene e non pregiudichino i diritti di uso e di godimento degli
altri condomini. Diversamente, si risolvono in una innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120 stesso codice, e nel
caso di costruzione, nel cortile comune, di una autoclave per il servizio di una singola unit abitativa - seppure
consentita con deliberazione della assemblea dei condomini a norma del quinto comma dell'art. 1136 - comporta
sottrazione di una parte del suolo comune alla sua naturale destinazione ed all'uso e godimento degli altri
condomini.
* Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1987, n. 1911, Nilo c. Centonze.
Il divieto di modificare la cosa comune, sottraendola alla possibilit di sfruttamento da parte di tutti i partecipanti
alla comunione secondo l'originaria funzione della cosa stessa, opera anche in relazione alle porzioni del bene
comune delle quali i comproprietari si siano concordemente attribuito il godimento separato, in quanto anche in

tal caso, non venendo meno la contitolarit dell'intero bene, la facolt di utilizzazione della cosa attribuita a
ciascuno dei comproprietari trova limite nella concorrente ed analoga facolt degli altri, con la conseguenza che
sono consentite solo le opere necessarie al miglior godimento, e dovendo per contro ravvisarsi una lesione del
diritto di compropriet degli altri condomini quando la cosa comune sia stata alterata, in tutto od in parte, e quindi
concretamente sottratta alla possibilit dell'attuale sfruttamento collettivo nei termini funzionali o originariamente
praticati.
* Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 1986, n. 421, Fusco c. Di Resta.
Costituiscono esplicazione del diritto di compropriet ex art. 1102 cod. civ., e in quanto tali non richiedono la
preventiva autorizzazione dell'assemblea condominiale, le modificazioni della cosa comune eseguite dal singolo
condomino ai fini di un suo uso particolare diretto al miglior godimento della medesima (e, quindi, anche in
assenza di una necessit in senso assoluto), che non implichino alterazioni della consistenza e della
destinazione della cosa stessa e non pregiudichino i diritti di uso e di godimento degli altri condomini. Sono,
invece, innovazioni le modificazioni che importino alterazioni della consistenza della cosa comune o ne mutino la
destinazione e che, ai sensi dell'art. 1120, primo comma, cod. civ., richiedono, perch possano essere disposte,
la maggioranza assembleare di cui al quinto comma del successivo art. 1136.
* Cass. civ., sez. II, 4 dicembre 1982, n. 6608, Zecca c.Rossi.
L'art. 1102 cod. civ., nel regolare i diritti dei partecipanti alla comunione al fine di salvaguardare l'interesse
comune e quello dei singoli, consente solo di apportare modificazioni alla cosa comune purch non ne sia
alterata la destinazione e non vengano pregiudicati i concorrenti diritti di uso degli altri comproprietari, onde ogni
attivit costituente non modificazione, ma innovazione (nella specie: costruzione eseguita su suolo comune),
vietata dalla norma citata.
* Cass. civ., sez. II, 8 febbraio 1982, n. 734, Maini c. Dav.
- validamente dato in forma verbale, da un comproprietario all'altro, l'assenso per semplici modificazioni della
cosa comune nel quadro di un accordo sul contemperamento concreto dei rispettivi singoli usi concorrenti della
cosa stessa.
* Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 1977, n. 398.
A norma dell'art. 1102 c.c. ciascun condomino pu servirsi della cosa comune apportandovi le modificazioni che
egli ritenga utili per il miglior godimento di essa, fino a sostituirla con altra che offra maggiore funzionalit. Tali
facolt, peraltro, sono legittime solo se si esplicano nei limiti dettati dalla legge, e cio con l'astensione da ogni
alterazione del bene comune e conservando la possibilit dell'uso di esso da parte di ogni altro condomino
nell'ambito del suo diritto. I limiti ora indicati non vengono superati dal solo fatto dell'uso pi intenso da parte di
uno o pi condomini, purch attraverso lo stesso non si giunga al turbamento dell'equilibrio con tutti i diritti di
costoro o a un cambiamento della destinazione del bene comune, non soltanto in vista dell'uso attuale, ma
anche di quello potenziale secondo la natura della cosa e il fine al quale essa venne predisposta, sicch resta
del tutto indifferente - salvo che in relazione alla costituzione di diritti esclusivi a favore di alcuno dei condomini o
di terzi - che da tempo pi o meno lungo uno o pi degli interessati non si siano serviti del bene in questione.
* Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1976, n. 1836.
In caso di condominio negli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di
taluno dei condomini, sottraendo la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini,
legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione con riduzione della cosa stessa al pristino stato, tal
ch possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita anteriormente alla contestata modificazione
senza che sia necessaria specifica prova del possesso di detta parte (che non abbia una sua autonomia rispetto
all'edificio), quando risulti quello di una o pi delle porzioni immobiliari in cui l'edificio stesso si articoli.
* Cass. civ., sez. II, 13 luglio 1993, n. 7691, Muraro e Zuccato.
Ostacoli al diretto godimento
L'ostacolo al diretto godimento della cosa comune da parte di uno dei comproprietari frapposto dagli altri non
richiede di necessit un formale rifiuto in risposta ad una identica richiesta bens pu risultare, oltre che da
espresse manifestazioni di volont, anche da comportamenti al fine equivalenti da apprezzare in relazione alle
condizioni oggettive del bene comune ed ai rapporti personali tra i diversi comproprietari. Tale ostacolo fa
sorgere, a carico di chi lo ponga in essere, l'obbligo di prestazione risarcitoria sostitutiva del godimento non
fruito.
* Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1983, n. 176, Benedetti c. Aspesi.
In applicazione dell'art. 1102 c.c., qualora il partecipante alla comunione, con l'esecuzione di nuove opere, renda
impossibile o menomi l'esercizio del diritto degli altri partecipanti, frapponendovi un qualche ostacolo, che si
traduca in un pregiudizio giuridicamente rilevante ed apprezzabile, ciascuno degli altri condomini pu chiedere la
rimozione dell'opera che altera e sconvolge il rapporto di equilibrio della comunione.
* Cass. civ., sez. II, 14 marzo 1974, n. 716.
Pari uso
La parit dell'uso assicurata dall'art. 1102 c.c. ad ogni condomino, intesa a consentire qualsiasi altro miglior
uso e non anche quel particolare, specifico ed identico uso realizzato con la modificazione in atto. Il concorso di
diritti al miglior godimento della cosa comune si risolve non col criterio della priorit (presupposizione), bens con
quello dell'equo contemperamento dei contrapposti interessi.
* Cass. civ., sez. II, 9 settembre 1970, n. 1378.
La nozione di pari uso della cosa comune che ogni compartecipe, utilizzando la medesima, deve consentire agli
altri a norma dell'art. 1102 cod. civ., non da intendere nel senso di uso identico, giacch l'identit nello spazio,
o addirittura nel tempo, potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso
particolare o addirittura un uso a proprio esclusivo vantaggio, soprattutto nel caso di modificazioni apportate alla
cosa. (Nella specie, in cui i giudici del merito avevano ritenuto uso legittimo della cosa comune ai sensi dell'art.

1102 cod. civ. l'appoggio, da parte di un condomino, di una trave del solaio di separazione tra due piani alla
"cassa" delle scale comuni, il S.C. alla stregua del principio che precede, ha considerato corretta la decisione).
* Cass. civ., sez. II, 14 luglio 1981, n. 4601, Gravina c. Trillo.
Per pari uso della cosa comune deve intendersi non un uso identico nello spazio o addirittura nel tempo, a quello
attuato dal comproprietario-condomino modificatore, ma quel qualsiasi altro miglior uso che gli altri condomini
possano convenientemente fare in altra parte della cosa comune.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 19 settembre 1988, Deccesari c. Condominio di Via Archimede 16, Milano, in Arch.
loc. e cond. 1989, 740.
L'unit sistematica tra la disposizione dell'art. 1118 comma 1 c.c., a norma del quale il diritto di ciascun
condomino sulle parti comuni dell'edificio proporzionato al valore del piano o porzione di piano che gli
appartiene, e la disposizione del comma 1 dell'art. 1123 c.c., per il quale le spese necessarie per la
conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse
comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale
al valore della propriet di ciascuno, non impedisce, trattandosi di norme derogabili, che siano
convenzionalmente previste discipline diverse e differenziale tra loro dei diritti di ciascun condomino sulle parti
comuni (che possono essere attribuiti in proporzione diversa - maggiore o minore - rispetto a quella della sua
quota individuale di piano o porzione di piano) e degli oneri di gestione del condominio, che possono farsi
gravare sui singoli condomini indipendentemente dalla rispettiva quota di propriet delle cose comuni o dall'uso.
(Nella specie, stata riconosciuta la validit dell'accordo che attribuiva ai condomini, proprietari di unit abitative
di diverso valore, un uguale diritto dominicale sulle parti comuni prevedendo la formazione di tabelle millesimali
solo ai fini della ripartizione delle spese di manutenzione e pulizia delle stesse).
* Cass. civ.. sez. II, 8 luglio 1995, n. 7546, Bernardini c. Masieri e altri.
Piscina
Il diritto di invitare ospiti nella piscina condominiale costituisce un modo di fruizione del bene comune e come
tale ai sensi degli arti. 1118 e 1123 cod. civ. deve essere proporzionato alla propriet.
* Pret. civ. Roma, 13luglio 1989, Vianelli e altra c. Condominio "Le quattro rose" sito in Ardea, via Latina localit nuova Florida, in Arch. loc. e cond. 1989, 757.
Rilascio di nulla-osta
Il diritto del condomino di usare le parti comuni dell'edificio, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca
agli altri condomini di farne parimenti uso (arti. 1102 e 1139 c.c.), implica per questi ultimi l'obbligo di
comportarsi in modo da non rendere impossibile, e ingiustificatamente pi gravoso, l'uso del singolo e cos il
dovere di quell'attiva cooperazione necessaria per l'uso del condomino. Pertanto, qualora un terzo estraneo alla
comunione, ma di cui il condomino debba necessariamente avvalersi per la sua posizione di monopolio o
supremazia, contesti il diritto del condomino di fare un certo uso legittimo della cosa comune senza il preventivo
nulla-osta degli altri condomini, costoro non possono rifiutarne il rilascio, semprech il rifiuto non risulti in
concreto giustificato da un ragionevole motivo. (Nella specie l'Acea e la Soc. Romana Gas, richiesti da un
condomino dell'installazione dei servizi di acqua e gas, avevano preteso il preventivo nulla-osta del condominio).
* Cass. civ., sez. II, 5 giugno 1978, n. 2816.
Targhe e insegne (apposizione)
Ciascuno dei condomini pu servirsi dei muri perimetrali dell'edificio condominiale per quelle utilit accessorie
che ineriscono al godimento della sua propriet esclusiva, qual l'utilit del risalto pubblicitario dell'attivit
professionale o commerciale svolta, che si realizza normalmente mediante l'apposizione di insegne, targhe,
cartelli e simili. Consegue che - poich la utilizzazione del muro perimetrale comune mediante tale apposizione
non ne altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio con-dominiale - l'utilizzazione stessa,
ove non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare eguale uso del muro,
costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune.
* Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1986, n. 6229, Ruggeri c. Grassitelli.
n tema di condominio di edifici, i partecipanti con voto unanime possono sottoporre a limitazioni, nell'ambito
dell'autonomia negoziale, l'esercizio dei poteri e delle facolt che normalmente caratterizzano il contenuto del
diritto di propriet sulle cose comuni, venendosi in materia disponibile, con la conseguenza che con regolamento
contrattuale possono vietare l'apposizione di insegne, targhe e simili sui muri perimetrali comuni, ovvero
subordinarla al consenso dell'amministrazione.
* Cass. civ., sez. II, 3 settembre 1993, n. 9311, Cond. di Piazza di Spagna, n. 20, di Roma c. Credito Italiano.
Il conduttore, cui consentito trarne dalla cosa locata tutte le utilit inerenti al suo normale godimento, escluse
solamente quelle espressamente vietate dal contratto o confliggenti con il diritto del locatore o di terzi, pu
utilizzare le parti comuni dell'edificio condominiale, ove sito l'immobile locatogli, con eguale contenuto ed
eguali modalit del potere di utilizzazione spettante al proprietario. Consegue che, ove non sia stato escluso dal
contratto, il conduttore pu apporne sul muro perimetrale dell'edificio condominiale targhe od insegne atte a
pubblicitarie la sua attivit commerciale svolta nel locale locatogli.
* Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1986, n. 6229, Ruggeri c. Grassitelli.
L'utilizzazione del muro perimetrale comune da parte del singolo condomino mediante l'apposizione di insegne,
targhe, cartelli e simili non ne altera la naturale e precipua destinazione di sostegno dell'edificio condominiale e,
ove non impedisca l'esercizio concorrente del diritto degli altri partecipanti di fare uguale uso del muro,
costituisce normale esercizio del diritto di usare la cosa comune.
* Pret. civ. Trani, 25 luglio 1989, Guastadisegno ed altra c. De Gennaro, in Arch. loc. e cond. 1989, 751.
- illegittima la collocazione, da parte di un condomino, di insegne luminose, targhe e cartelli pubblicitari sul
portone di ingresso, sul muro e nel corridoio dell'atrio condominiale, in quanto tale utilizzazione, non concessa
dal condominio, comunque in contrasto con la funzione o la destinazione tipica ditali parti comuni.

* Trib. civ. Brescia, 26 aprile 1994, n. 1100, Bonfiglio c. Soc. Ocean Viaggi, in Arch. loc. e cond. 1995, 161.
La norma di un regolamento condominiale che vieti la collocazione di targhe, insegne o tende di qualsiasi
genere senza il permesso scritto dell'assemblea, non applicabile nel caso in cui un condominio collochi, sulla
parte di pianerottolo strettamente al servizio dell'ingresso al proprio alloggio, alcune piastrelle in ceramica di
notevole pregio artistico e non recanti alcuna scritta.
* Pret. civ. Ravenna, 24 marzo 1992, n. 29, in Arch. loc. e cond. 1992, 641.
* Cass. civ., sez. II, 28 novembre 1984, n. 6192, inzerilli c. Mustica.
La cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., pu essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e
diverso dal suo normale uso se ci non alteri l'equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli
altri e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari pertanto,
legittima la costruzione di sporti sul cortile, (sulla strada o sul passaggio comune) se sia realizzata in modo da
non pregiudicane n la normale funzione del cortile, che di regola, quella di fornire aria e luce agli immobili
circostanti (e, per la strada, quella di permettere il transito dei condomini) n le possibilit di utilizzazione
particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini. (Nella specie, trattavasi del telaio e dei battenti degli
infissi, in posizione di completa apertura o di completa chiusura, realizzati, al pianterreno, nel muro prospiciente
il passaggio comune senza ridurne la larghezza utilizzabile, dato che nel tratto precedente il passaggio era
ristretto da un 'antica sporgenza).
* Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172, Bolgianni c. Del Pani.
L'utilizzazione della cosa comune da parte del condominio pu aver luogo anche in modo particolare e diverso
da quello praticato dagli altri compartecipanti, sempre che l'utilizzazione particolare rientri tra le destinazioni
normali della cosa e non alteri l'utilizzazione praticata dagli altri, ossia il rapporto di equilibrio fra le utilizzazioni
concorrenti - attual-mente ed anche potenzialmente - di tutti i comproprietari. Tale alterazione sussiste qualora il
godimento particolare ed inconsueto del singolo condomino determini pregiudizievoli invadenze nell'ambito dei
coesistenti diritti altrui, quali asservimenti, immissioni e molestie.
* Cass. civ., sez. II, 10 novembre 1981, n. 5954. Pirolozzi c. Pinolozzi.
L'utilizzazione della cosa comune ad opera del condomino pu aver luogo non soltanto secondo la destinazione
usuale, ma anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri partecipanti, sempre che
l'utilizzazione particolare non impedisca l'utilizzazione degli altri e non alteri il rapporto di equilibrio tra le facolt
di utilizzazione, attualmente o potenzialmente concorrenti, dei comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 24aprile 1981, n. 2451, Ferrara c. Carosello.
Una volta che sia stato convenuto l'uso frazionato e precario di una cosa comune, l'utilizzazione della cosa
anche in modo particolare e diverso da quello praticato dagli altri compartecipanti non viola la norma di cui
all'art. 1102 cod. civ., sempre che tale utilizzazione rientri fra le destinazioni normali della cosa comune e non
alteri o ostacoli l'utilizzazione praticata dagli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 1979, n. 6338. Borra c. Galli.
Nel condominio di edificio, al fine di determinare la portata e l'estensione del godimento spettante a ciascun
partecipante sui beni comuni, nonch di accertare l'eventuale esistenza, in favore del singolo condomino, di
particolari diritti di utilizzazione, contrastanti con la destinazione normale dei beni medesimi, occorre tener
presente la situazione al momento della nascita del condominio, in relazione alle disposizioni del suo atto
costitutivo e del regolamento, rimanendo irrilevante l'eventuale diversit della situazione medesima in epoca
anteriore.
* Cass. civ., sez. II, 15 aprile 1976. n. 1348.
Uso esclusivo
Il regolamento condominiale contrattuale - il quale viene ad esistenza nel momento in cui, contestualmente al
primo atto di vendita di una frazione esclusiva dell'edificio. comportante la nascita del condominio, l'acquirente
ne accetta le varie clausole - pu contenere, oltre all'indicazione delle parti dell'edificio di propriet comune ed
alle norme relative all'amministrazione e gestione delle cose comuni, la previsione dell'uso esclusivo di una parte
dell'edificio definita comune a favore di una frazione di propriet esclusiva. In tal caso il rapporto ha natura
pertinenziale, essendo stato posto in essere dall'originario unico proprietario dell'edificio, legittimato
all'instaurazione ed al successivo trasferimento del rapporto stesso ai sensi degli arti. 817 e 818, secondo
comma, c.c., con l'ulteriore conseguenza che, attenendo siffatto rapporto alla consistenza della frazione di
propriet esclusiva, il richiamo puro e semplice del regolamento condominiale in un successivo atto di vendita (o
promessa di vendita) da parte del titolare della frazione di propriet esclusiva, a cui favore sia previsto l'uso
esclusivo di quella parte comune, pu essere considerato sufficiente ai fini dell'indicazione della consistenza
della frazione stessa venduta o promessa in vendita.
* Cass. civ., sez. II, 4 giugno 1992. n. 6892.
A norma dell' art. 1102 cod. civ. l'utilizzazione della cosa comune da parte di uno dei partecipanti alla
comunione, anche se pi intensa o diversa da quella degli altri, non vale di per s sola a mutare il titolo del
possesso, e, quindi, ad attrarre la cosa comune o parte di essa nella sfera della disponibilit esclusiva del
singolo comunista, il quale, ove intenda espandere il suo possesso in via esclusiva sul bene, pur non dovendo
necessariamente compiere gli atti di "interversio possessionis", previsti dagli art. 1141 e 1164 cod. civ.,
rispettivamente per il mutamento della detenzione in possesso, e del possesso di un diritto reale su cosa altrui,
in possesso corrispondente all'esercizio della propriet, deve tuttavia concretarsi in atti integranti un
comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini sulla cosa, incompatibile
con il permanere del compossesso altrui.
* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1985, n. 319, Alberio c. Incorvaia.
Il condomino che, col consenso degli altri comproprietari, usa in modo esclusivo una cosa comune, non estende
il suo dominio su di essa neppure sotto il profilo di maggiori poteri, in quanto sarebbe all'uopo necessario il

compimento ad opera del medesimo, di atti idonei a mutare il titolo del possesso.
* Cass. civ., sez. III, 22 giugno 1978, n. 3091.
L'originario proprietario diluito l'edificio divenuto poi condominiale ovvero tutti i condomini possono conferire ad
un singolo condomino sulla cosa comune un particolare diritto, il quale alteri la destinazione funzionale della
cosa comune; e questo particolare diritto secondo la volont delle parti interessate pu avere contenuto
meramente obbligatorio con effetti limitati alle parti contraenti, ovvero il contenuto reale di una servit.
* Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1975, n. 899.
Il diritto di compropriet dei condomini sulle parti comuni di un edificio deve ritenersi leso ogni qualvolta uno dei
condomini abbia attratto la cosa comune in tutto od in parte nella propria disponibilit esclusiva, sottraendola alla
possibilit di sfruttamento collettivo. (Nella specie, il proprietario di alcuni scantinati confinanti con il terrapieno
sottostante all'androne dell'edificio in condominio, aveva messo in comunicazione detti scantinati aprendo i muri
delimitanti il terrapieno, procedendo allo sbancamento di questo e provvedendo alla costruzione di una soletta in
cemento armato di sostegno del soprastante androne).
* Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 1973, n. 2759.
Uso frazionato
Allorquando sia possibile l'uso frazionato della cosa comune in considerazione della sua natura e destinazione, i
partecipanti alla comunione (ovvero il giudice in caso di controversia sulle modalit d'uso) possono accordarsi
circa l'utilizzazione di parte di questa da uno dei comproprietari purch. a norma dell'art. 1102 cod. civ., tale
utilizzazione rientri tra quelle cui destinata la cosa comune e non alteri od ostacoli il godimento degli altri
comproprietari.
* Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 1985, n. 434, Michelon c. Stocchero.
Uso pi intenso
Al singolo condomino consentita l'esecuzione di un'opera implicante un maggiore suo godimento della cosa
comune soltanto se la realizzazione di essa non impedisca agli altri condomini il compimento di opere, gi
previste o ragionevolmente prevedibili in base alla destinazione attuale della cosa comune ed alle prospettive
offerte dalla sua natura, le quali permettano ai medesimi lo stesso od altro miglior uso di tale cosa, a vantaggio
delle loro propriet esclusive. (Nella specie, il S.C., enunciando il surriportato principio, ha cassato la decisione
di merito che aveva riconosciuto legittima la costruzione, da parte di un condomino, di un pensile sovrastante il
cortile comune, senza accertare se questo manufatto costituisse o non impedimento alla costruzione di ulteriori
pensili ed alla esecuzione di opere simili o anche diverse [balconi, finestre, ecc.] che, secondo una ragionevole
previsione, gli altri condomini potessero realizzare in futuro al servizio delle unit immobiliari di loro propriet
esclusiva).
* Cass. civ., sez. Il, 5 aprile 1982, n. 2087, Deidda c. Lama.
La nozione di pari uso della cosa comune che ogni compartecipe nell'utilizzare la cosa medesima deve
consentire agli altri, a norma dell'art. 1102 c.c., non va intesa nel senso di uso identico perch l'identit .nello
spazio o addirittura nel tempo potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso
particolare o a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che per stabilire se l'uso pi intenso da parte di un
condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio fra i partecipanti al condominio - e perci da ritenersi non
consentito a norma dell'art. 1102 - non deve aversi riguardo all'uso fatto in concreto di detta cosa da altri
condomini in un determinato momento, ma di quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno.
* Cass. civ., sez. II, 23 manzo 1995, n. 3368, Pipan c. Cond. via C. D'Appello.
Il giudice del merito, per accertare se l'uso pi intenso della cosa comune da parte di un condomino venga ad
alienare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti al condominio e debba perci ritenersi non consentito ex art.
1102 c.c., non deve tener presente l'uso fatto in concreto di detta cosa dagli altri condomini in un determinato
momento, ma quello potenziale in relazione ai diritti di ciascuno. (Nella specie in base al principio surriportato,
stata ritenuta corretta la decisione di merito, la quale aveva affermato che la collocazione da parte di un
condomino sul muro perimetrale comune di tre bacheche, fornite di impianto di illuminazione, per l'esposizione di
quadri in vendita, era illegittima, perch tale da impedire agli altri condomini ogni eventuale uso che in avvenire
essi avrebbero voluto fare di detto muro, per collocarvi targhe professionali o commerciali).
* Cass. civ., sez. II, 11 dicembre 1992, n. 13107, Franco c. Del Buono.
L'esecuzione, da parte del comproprietario, di una modificazione alla cosa comune, al fine di farne un uso pi
intenso (nella specie, l'apertura di un nuovo accesso su cortile fra fabbricati) non illegittima per il solo fatto che
determini un'alterazione dell'equilibrio fino allora esistito fra gli usi esercitati dai comunisti; tale illegittimit
sussiste solo ove si accerti che l'incremento dell'uso del singolo partecipante pregiudichi la possibilit degli altri
di continuare nell'esercizio del loro uso, e di ampliare eventualmente il medesimo in modo e misura analoghe.
* Cass. civ., sez. II, 11luglio 1975, n. 2746.
L'art. 1102 c.c. consente al condomino di usare della cosa comune per un suo fine particolare, ove egli, in tal
modo, ritragga dal bene una specifica utilit aggiuntiva, rispetto alle utilit generali ridondanti a vantaggio dei
condomini tutti, ma gli vieta in modo assoluto di alterare la destinazione della cosa stessa, snaturandola,
impedendone o compromettendone la funzione che le propria.
* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1976, n. 579.
Uso turnario
L'assemblea condominiale pu legittimamente regolamentare l'uso dei beni comuni limitando il godimento dei
condomini, nell'interesse comune, senza incorrere in causa di nullit assoluta, salvo escludere il godimento
diretto dei condomini o di alcuno di essi; sicch, in caso d'incapienza dei beni, il godimento turnario offre l'unico
strumento idoneo a consentire il godimento diretto di tutti i condomini, e nessuna norma inderogabile impone di
ragguagliare la durata dei periodi di godimento all'entit delle quote di compropriet dei turnisti.
* Trib. civ. Genova, sez. III, 10 ottobre 1992, n. 2927, Barabino c. Cond. di viale Pio VII n. 38-40 di Genova, in

Arch. loc. e cond. 1993, 113.


Uso vietato
L'accordo di tutti i condomini che, anche imponendo divieti (nella specie proibizione di occupare
temporaneamente le parti comuni dell'edificio), tenda ad assicurare ai condomini stessi un migliore e pi
funzionale godimento delle cose e dei servizi comuni attenendo alla disciplina delle modalit di uso di questi,
sempre modificabile con una deliberazione assembleare, senza necessit di un successivo consenso diluiti i
condomini che l'hanno in precedenza stipulata.
* Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1977, n. 1898.
La deliberazione con la quale l'assemblea di un condominio di edificio, alla stregua del regolamento
condominiale, accerti eccesso od abnormit nell'uso dei beni comuni da parte di un singolo condomino (nella
specie, per deposito di materiali nel cortile e nell'androne), ed applichi, nei confronti di quest'ultimo, la sanzione
pecuniaria prevista, non comporta una lesione dei diritti del condomino medesimo sulle cose e servizi comuni,
ma attiene esclusivamente alla disciplina dell'uso di quelle cose e servizi: detta delibera, pertanto, non affetta
da nullit, deducibile in ogni momento con azione di accertamento, ma solo impugnabile ai sensi e nei termini
perentori di cui all'art. 1137 c.c.
* Cass. civ., sez. II, 15 gennaio 1976, n. 132.
Il provvedimento del giudice che interdisce l'uso non consentito della cosa comune, reso possibile dalle
modifiche avvenute nella propriet esclusiva di uno dei comproprietari, non pu limitarsi a vietare l'uso non
consentito, ma deve contenere disposizioni che rendano materialmente impossibile il perpetuarsi dell'uso
illegittimo.
* Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1980, n. 4841, Sorrentino c. Nappi.
Rientra nei poteri dell'assemblea del condominio regolare l'uso delle cose comuni, ma non escludere uno o pi
condomini dall'uso delle cose comuni, se ad esso abbiano diritto in base al titolo o alla legge (nella fattispecie
l'assemblea, decidendo di escludere i proprietari soltanto di boxes e non anche di appartamenti nel condominio,
dall'uso degli ascensori anche ai soli fini del raggiungimento dei boxes, aveva deliberato in materia sicuramente
esulante dal campo delle sue attribuzioni, e, stando alla prospettazione aveva sacrificato il diritto degli stessi
sulle cose comuni).
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 21 giugno 1991, medita.
- invalida la delibera assembleare che faccia divieto di accedere alla terrazza comune - destinata
esclusivamente per copertura - per stendere i panni e battere i tappeti in quanto tale diritto si fonda sul principio
di cui all'art. 1102 c.c., in virt del quale ognuno pu servirsi della cosa comune purch non ne alteri la
destinazione.
* Trib. civ. Milano, 14 gennaio 1991, in Arch. loc. e cond. 1991, 799.
Usucapione
Il partecipante alla comunione pu usucapire l'altrui quota indivisa del bene comune senza necessit di
interversio possessionis, ma attraverso l'estensione del possesso medesimo in termini di esclusivit. A tal fine si
richiede, tuttavia, che tale mutamento del titolo (art. 1102, secondo comma, c.c.) si concreti in atti integranti un
comportamento durevole, tali da evidenziare un possesso esclusivo ed animo domini della cosa, incompatibili
con il permanere del compossesso altrui sulla stessa e non soltanto in atti di gestione della cosa comune
consentiti al singolo compartecipante o anche atti familiarmente tollerati dagli altri (art. 1141 c.c.) o ancora atti
che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazioni di spese per il miglior godimento della cosa
comune, non possono dar luogo a un'estensione del potere di fatto sulla cosa nella sfera di altro
compossessore.
* Cass. civ., sez. II, 23 ottobre 1990, n. 10294.
La disposizione dell'art. 1102, comma 2 c.c., secondo la quale il partecipante alla comunione non pu estendere
il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso
impedisce al compossessore che abbia utilizzato la cosa comune oltre i limiti della propria quota non solo
l'usucapione ma anche la tutela possessorie del potere di fatto esercitato fino a quando questo non si riveli
incompatibile con l'altrui possesso.
* Cass. civ., sez. II, 25 novembre 1995, n. 12231, Polito c. Condominio via E. Nicolardi n. 56.
Il condomino, per usucapire la cosa di propriet comune, non deve dimostrare l'interversione del possesso, ma
deve fornire la prova di avere sottratto la cosa all'uso comune per il periodo utile all'usucapione e, cio, di una
condotta univocamente diretta a rivelare che nel condominio si verificato un mutamento di fatto nel titolo del
possesso, e non la prova del mero non uso della cosa da parte degli altri condomini.
* Cass. civ., sez. II, 26 aprile 1984, n. 2622, Spinelli c. Riccio.
Il godimento del bene comune pu essere invocato dal comproprietario al fine dell'usucapione della propriet
dello stesso solo quando si traduca in un suo possesso di tipo esclusivo, con riguardo sia al corpus sia
all'animus, incompatibile con la possibilit degli altri condomini di uso del bene medesimo.
*Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1983, n. 4908. Coppola c. Codella.
L'uso della cosa comune da parte del singolo condomino non pu estendersi alla occupazione permanente di
una parte del bene comune, tale che, nel concorso degli altri requisiti di legge, possa portare alla usucapione
della parte occupata.
* Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1982, n. 663, Di Scala c. Trani. Conf., Cass. civ., 14 dicembre 1994, n. 10699.
Il partecipante alla comunione di un bene non pu estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri
partecipanti se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso; ai fini dell'usucapione della cosa
comune sufficiente che il condomino, per tutto il tempo necessario ad usucapire, possieda l'intera cosa in
modo esclusivo ed inconciliabile con il godimento comune della cosa stessa.
* Cass. civ., sez. II, 27 giugno 1974, n. 1923.

Il condomino pu usucapire la cosa di propriet comune e senza necessit di una interversione del possesso ai
sensi dell'ari. 1164 c.c. soltanto attraverso una estensione del possesso medesimo, in termini per di esclusivit.
A questo fine, tuttavia, non sufficiente che gli altri partecipanti si siano astenuti dall'uso della cosa, ma occorre
che quel condomino abbia goduto in modo oggettivamente incompatibile con la possibilit di godimento altrui,
che risulti in radice eliminata, non bastando a surrogare siffatta connotazione di esclusivit ed incompatibilit
(con il compossesso degli altri soggetti) la mera utilizzazione del bene in maniera pi intensa, ed ancor meno la
sola prova del mero non uso della cosa da parte degli altri condomini.
* Corte app. civ. Milano, sez. III, 12 novembre 1993, n. 2261, inedita.
Gli accordi tra i condomini per lapprovazione delle tabelle millesimali non richiedono la forma scritta ad
substantiam. Conseguentemente, se tali accordi siano stati conclusi da rappresentante senza poteri di un
condomino, essi possono essere ratificati tacitamente dal rappresentato mediante la loro esecuzione, poich, a
norma dellart. 1399 cod. civ., la ratifica pu rivestire la stessa forma dellatto da ratificare.
* Pret. civ. Taranto, 8 maggio 1979, Santagata c. Condominio Viale Virgilio n. 117, Taranto, in questa Rivista
1979, 187.
La validit delle deliberazioni dellassemblea condominiale non condizionata ad una preventiva costituzione
legale del condominio, ovvero alla preventiva approvazione del regolamento condominiale e delle tabelle
millesimali. Invero, il condominio sorge pleno jure con la costruzione su suolo comune, ovvero con il
frazionamento, da parte dellunico proprietario o di pi comproprietari pro indivisa, di un edificio, i cui piani o
porzioni di piano vengano attribuiti a due o pi soggetti in propriet esclusiva; la formazione del regolamento
condominiale si inserisce, a sua volta, senza alcun carattere di preliminarit nel novero delle attribuzioni
demandate al potere deliberante dellassemblea; del pari non preliminare lapprovazione delle tabelle
millesimali, poich il criterio di identificazione della quota di partecipazione del condomino al condominio esiste
indipendentemente dalla formazione di tali tabelle e consente di valutare anche a posteriori, se i quorum richiesti
per la validit dellassemblea e delle relative deliberazioni, siano stati, o meno, raggiunti.
* Cass. civ., sez. II, 3 gennaio 1977, n. 1.
Lapprovazione delle tabelle millesimali, allegate al regolamento di condominio, quale atto di mera natura
valutativa del patrimonio ai limitati effetti della distribuzione del carico delle spese condominiali, nonch della
misura del diritto di partecipazione alla formazione della volont assembleare del condominio, non idoneo a
modificare gli effetti giuridici traslativi derivanti dal contratto di acquisto.
* Cass. civ., sez. II, 25 luglio 1978, n. 3719.
La deliberazione assembleare adottata a maggioranza, che approvi le tabelle millesirnali o il regolamento non
contrattuale relativi alla ripartizione delle spese, inefficace nei confronti del condomino assente o dissenziente
per nullit radicale deducibile senza limitazione di tempo e non meramente annullabile su impugnazione da
proporsi entro trenta giorni, a norma deliart. 1137 c.c.. atteso che le attribuzioni dellassemblea, ai sensi dellart.
1135 c.c., sono circoscritte allamministrazione dei beni comuni nel rispetto dei criteri fissati dalla legge o dalla
volont unanime dei condomini.
* Cass. civ., sez. II, 9 agosto 1996, n. 7359,
Le cause aventi ad oggetto con la formazione delle tabelle millesimali la ripartizione di spese attinenti alluso e al
godimento. dei servizi condominiali e dei beni comuni (nella specie spese di spurgo della fossa biologica e di
pozzetti) non rientrano tra le controversie relative alle modalit di uso e alla misura dei servizi condominiali
rispettivamente di competenza del conciliatore (art. 7, capoverso, c.p.c.) e del pretore (art. 8, n. 4, c.p.c.) in
quanto la patrimonialit del thema decidendum prevale sullaccertamento della misura e delle modalit delluso,
che costituisce soltanto un presupposto necessario per la determinazione delle singole quote di spesa.
* Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1993, n. 6936, Piccirillo c. Cartamo ed altri.
Domanda giudiziale
Lamministratore del condominio legittimato passivamente in ordine alla domanda diretta a far dichiarare la
nullit della deliberazione dellassemblea con la quale sono state modificate a maggioranza, e non con
lunanimit dei consensi dei condomini, le tabelle millesimali.
* Trib. civ. Milano, 12 gennaio 1989. (Cc., art. 1131), in Vita Notar. 1989, 156.
La domanda di uno dei condomini per laccertamento della invalidit ed inefficacia della tabella millesimale
deliberata dallassemblea dei condomini senza voto unanime, deve essere necessariamente proposta nei
confronti di tutti i condomini, e non anche del solo amministratore del condominio, la cui rappresentanza
processuale passiva dei condomini limitata, a norma dellart. 1131 c.c. alle parti comuni delledificio, ma che
passivamente legittimato ad causam per la tutela degli interessi comuni, sui quali la domanda di accertamento
della invalidit delle tabelle millesimali destinata a riflettersi.
* Cass. civ., sez. II, 10 maggio 1992, n. 4405, Tiziani c. Condominio di Via Marsala 20, Bologna.
Nel caso di impugnazione di una delibera assembleare concernente la modificazione delle tabelle millesimali,
lamministratore del condominio privo di legittimazione passiva, dovendo una siffatta domanda siccome
diretta a modificare la situazione soggettiva di ogni singolo condominio essere proposta nei confronti di tutti i
partecipanti al condominio.
* Trib. civ. Milano, 15 ottobre 1990, inedita.
Per la formazione delle tabelle millesimali si deve escludere la necessit delladozione della forma scritta, non
trattandosi di atto idoneo a modificare gli effetti traslativi derivanti dal contratto di acquisto e non potendo lo
stesso incidere sulla consistenza dei diritti reali spettanti ai singoli condomini.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 23 giugno 1986, n. 5515, Fraschim c. Cond. di viale Liguria 46/48, Milano, in questa
Rivista 1986, 470.
In tema di condominio di edifici, il consenso in ordine alla formazione di tabelle millesimali oppure alla loro
modifica, non richiedendo la forma scritta ab substantiam, pu ben manifestarsi per facta concludentia, come la

concreta applicazione delle stesse tabelle per pi anni.


* Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1988, n. 5686,
La formazione delle tabelle millesimali non richiede la forma scritta ad substantiam, con la conseguenza che, nel
caso in cui la formazione o la modifica di dette tabelle avvenga in assemblea allunanimit dei presenti, ma
senza la partecipazione di tutti i con-domini, il consenso unanime di questi ultimi in ordine alle tabelle formate o
rettificate pu manifestarsi anche per facta concludentia. Tale consenso non pu, invece, dedursi dal
comportamento tenuto da quei condomini che abbiano gi espresso nellassemblea il loro dissenso
allapprovazione delle tabelle millesimali, poich in presenza della loro esplicita volont non lecito ricercare
una volont contraria, tacita o presunta, che sulla prima dovrebbe prevalere.
* Trib. civ. Torino, sez. III, 3 giugno 1987, n. 3576, Del Fabbro c. Condominio di via Drovetti n. 26, Torino, in
questa Rivista 1987, 721.
Per la formazione e la revisione delle tabelle millesimali indispensabile il consenso di tutti i partecipanti al
condominio. In difetto ditale unanime consenso, ciascun condomino (non gi il condominio) pu richiedere
giudizialmente, nella ricorrenza dei presupposti di legge, che siano formate o revisionate le dette tabelle
convenendo in giudizio tutti gli altri condomini, litisconsorti necessari.
* Trib. civ. Roma, 4 marzo 1997, n. 4800, Genovesi c. Condominio di Via Segesta n. 10 in Roma, in questa
Rivista 1997, 451.
Il consenso in ordine alla formazione delle tabelle millesimali o alla loro modificazione, non richiedendo la forma
scritta ad substantiam, pu manifestarsi anche per facta concludentia, come la concreta applicazione delle
stesse tabelle per pi anni.
* Trib. civ. Milano, 7 giugno 1990, in Arch. loc. e cond. 1991, 135.
In genere
In tema di condominio degli edifici, la validit dellapprovazione da parte dellassemblea dei condomini del
rendiconto di un determinato esercizio e del bilancio preventivo dellesercizio successivo non postula che la
relativa contabilit sia tenuta dallamministratore con rigorose forme analoghe a quelle previste per il bilancia
delle societ, essendo invece sufficiente che essa sia idonea a rendere intellegibile ai condomini le voci di
entrata e di uscita, con le quote di ripartizione; n si richiede che queste voci siano trascritte nel verbale
assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione
giustificativa, in quanto rientra nei poteri dellorgano deliberativo la facolt di procedere sinteticamente
allapprovazione stessa, prestando fede ai dati forniti dallamministratore. Sono, pertanto, valide le deliberazioni
assembleari con le quali si stabilisce che il bilancia preventivo per il nuovo esercizio sia conforme al preventivo o
al consuntivo dellesercizio precedente, eventualmente aumentato di una certa percentuale, in tal modo
risultando determinate, per riferimento alle spese dellanno precedente, sia la somma complessivamente
stanziata, sia quella destinata alle singole voci, mentre la ripartizione fra i singoli condomini deriva
automaticamente dallapplicazione delle tabelle millesimali.
* Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1984, n. 3231, Colaci e altro c. Cond. via Casilina 387, Roma, in questa Rivista
1984, 410.
Lart. 1123, primo comma, cod. civ., che nellipotesi di cose destinate a servire i condomini in misura diversa
dispone che le relative spese sono ripartite in proporzione delluso da ciascuno fattane, non pu subire deroga
per la circostanza che lunit immobiliare sia compresa nella tabella millesimale generale delledificio
condominiale, in quanto tali tabelle, formate in base al solo valore delle singole unit immobiliari, servono solo
per il riparto delle spese generali e di quelle che riguardano le parti delledificio comuni a tutti i condomini, ma
non sono utilizzabili per il riparto delle spese che non sono comuni a tutti i condomini in ragione del diverso uso
delle cose condominiali. (Nella specie, in applicazione ditale principio, la Suprema Corte ha confermato la
pronuncia della corte di merito che aveva ritenuto non dovute dalla parte attrice, la cui propriet era pur inclusa
nelle tabelle millesimali, le spese per la manutenzione delle fognature, in quanto il suo locale al piano interrato
era sfornito di impianti igienici).
* Cass. civ., sez. II, 18 novembre 1987, n. 8484,
La disciplina della ripartizione delle spese condominiali contenuta in un regolamento di natura contrattuale, pu
essere innovata, in base al principio dellautonomia contrattuale enunciato dallart, 1322 c.c., da una nuova
convenzione, la quale, non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta ai sensi dellart. 1350 c.c., ma
richiede il consenso di tutti i condomini, che pu essere espresso anche per facta concludentia dovendo, per, in
ogni caso la manifestazione tacita di volont rapportarsi ad un comportamento univoco e concludente dal quale
possa desumersi, per il comune modo di intendere, un determinato volere con un preciso contenuto sostanziale.
(Nella specie la C.S. in base allenunciato principio ha confermato la decisione dei giudici del merito che aveva
escluso la formazione di un nuovo accordo negoziale per facta concludentia con riguardo ad un applicazione di
diversi criteri di ripartizione delle spese condominiali, ancorch avutasi per diversi anni, ma senza la
consapevolezza della diversit di quei criteri e delle tabelle millesimali relative).
* Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1991, n. 7884. Sabbadini e altro c. Cond. di via Piero della Francesca di Milano, in
questa Rivista 1992, 68.
Laccettazione delle tabelle millesimali desumibile anche da fatti concludenti, come il costante pagamento delle
quote condominiali in base ad esse dovuto non ne esclude limpugnabilit, ex art. 69, 1, att. c.c., per obiettiva
divergenza del valore considerato rispetto a quello reale, sempre che questa discenda da errori di fatto, attinenti
alle caratteristiche degli elementi necessari, ex art. 68 att. c.c., per la valutazione o di diritto, in ordine alla
identificazione degli elementi stessi, restando, di conseguenza, esclusa la rilevanza di apprezzamenti soggettivi
nella stima commerciale di questi ultimi, con la conseguenza che non costituisce errore idoneo a fondare la
suddetta impugnativa lattribuzione alle unit immobiliari del piano terreno obbiettivamente destinate per
conformazione strutturale ad attivit commerciali di un valore pi elevato rispetto a quello derivante dal mero

calcolo della superficie e della cubatura.


* Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1994, n. 1367, Cond. Palazzo Capodicasa di Corso Gelone n. 52 di Siracusa c.
Conigliaro, in questa Rivista 1994, 557.
La partecipazione con voto favorevole alle reiterate delibere adottate dallassemblea dei condomini di un edificio
per ripartire le spese straordinarie secondo un valore delle quote dei singoli condomini diverso da quello
espresso nelle tabelle millesimali, o lacquiescenza alla concreta applicazione di queste delibere, pu assumere
il valore di unico comportamento rivelatore della volont di parziale modifica delle tabelle millesimali da parte dei
condomini che hanno partecipato alle votazioni o che hanno aderito o accettato la differente suddivisione e pu
dar luogo, quindi, per facta concludentia, ad una convenzione modificatrice della disciplina sulla ripartizione delle
spese condominiali che, avendo natura contrattuale e non incidendo su diritti reali, non richiede la forma scritta
ma solo il consenso, anche tacito o per facta concludentia, purch inequivoco, di tutti i condomini.
* Cass. civ., sez. II, 17 maggio 1994, n. 4814,
In tema di condominio degli edifici, il singolo condomino non pu sottrarsi allobbligo di concorrere, secondo la
ripartizione risultante dalle tabelle millesimali suscettibili di modificazione anche per fatti concludenti alle
spese di erogazione del servizio centralizzato di riscaldamento distaccando la propria porzione immobiliare dal
relativo impianto, senza che rilevino in contrario n la L. 29 maggio 1982, n. 308, sul contenimento dei consumi
energetici, n la circostanza che il condominio stesso consti di pi edifici separati, ma serviti da impianti comuni
non frazionati in relazione alle singole unit immobiliari.
* Cass. civ., sez. II, 4 maggio 1994, n. 4278,
Il provvedimento camerale con il quale la corte dappello, in sede di reclamo contro il decreto del tribunale, in
totale riforma ai questo, dichiari improponibile listanza proposta dai condomini, in sede di volontaria
giurisdizione, a norma dellart. 1105, ultimo comma, c.c., in quanto non attinente allamministrazione della cosa
comune, bens rivolta ad ottenere lapprovazione e la declaratoria di validit di un regolamento condominiale con
le relative tabelle millesimali, proponibile solo in sede contenziosa. non presenta i requisiti della difinitivit e della
decisoriet, non essendo in nessun modo idoneo ad incidere in via definitiva su posizioni di diritto soggettivo in
conflitto; e di conseguenza non impugnabile con il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.
* Cass. civ., sez. II, 28 aprile 1994, n. 4038, Baldieri c. Condominio "Gradoni Paiazzina" di Ussita.
Le spese di riscaldamento devono essere ripartite tra i condomini sulla base di tabelle millesimalf approvate in
via definitiva e con lunanimit dei consensi. (Fattispecie di delibera assembleare con la quale lamministratore di
condominio veniva incaricato di applicare, ai tini di una nuova ripartizione delle spese di riscaldamento tra i
condomini, una tabella millesimnale provvisoria, in attesa dellapprovazione di quella definitiva).
* Corte app. civ. Roma, 24 settembre 1997, n. 2807, Condominio di Via Segesta n. 10 in Roma c. Genovesi, in
questa Rivista 1998, 81.
In tema di riparto di spese condominiali. i condomini, oltre a poter derogare convenzionalmente al criterio di cui
allart. 1123 cod. civ., possono altres adottare, anche a maggioranza, un criterio di ripartizione provvisorio e
temporaneo che consenta di far fronte alle spese annuali di manutenzione e gestione dei servizi comuni, i cui
versamenti devono allora essere considerati a titolo di acconto e salvo il conguaglio da operare
successivamente, anche in caso di non ancora avvenuta approvazione definitiva delle tabelle millesimali.
* Trib. civ. Roma, sez. V. 24 marzo 1988, c. 4563.
Revisione e modifica
In tema di condominio di edifici, lerrore che ai sensi dellart. 69 disp. att. cod civ. determina la revisione delle
tabelle millesimali consiste non nellerrore che con riguardo allatto di approvazione delle tabelle stesse vizia il
consenso del condominio, come disciplinato dagli artt. 1428 e seguenti cod. civ., ma nella obiettiva divergenza
tra il valore effettivo delle singole unit immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle,
atteso che nellart. 69 citato lerrore non viene riferito al consenso del condominio allapprovazione delle tabelle
bens obbiettivamente ai valori in essa contenuti, comportandone la revisione e non lannullamento dellatto di
approvazione.
* Class. civ., sez. II, 21 luglio 1988, n. 4734,
La richiesta di revisione delle tabelle miliesimali condominiali deve essere proposta in contradittorio di tutti i
condomini e non contro il condominio cumulativamente rappresentato dallo amministratore, in quanto loggetto
della controversia esorbita dallambito delle cose o interessi comuni ed incide su diritti esclusivi dei singoli
condomini, sicch la rappresentanza dellamministratore ne resta esclusa anche dal lato passivo.
* Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n. 3967, Piantoni A. c. Cond. V. Montello.
In tema di condominio nodi edifici la deliberazione assembleare, adottata a maggioranza, che modifichi le tabelle
millesimali relative alla ripartizione delle spese inefficace nei confronti del condomino assente o dissenziente
per nullit radicale deducibile senza limitazione di tempo, e non quindi soggetta al termine di impugnazione di
tremila giorni previsto per le deliberazioni annullabili: allo stesso modo sono nulle e quindi impugnabili senza
limitazione di tempo le delibere con le quali, successivamente, sulla base delle tabelle illegittimamente
modificate, siano determinati i contributi da corrispondere da parte dei singoli condomini, per il principio che latto
nullo non produce alcun effetto e non pu essere convalidato dal decorso del tempo
* Cass. civ., sez. II, 11 settembre 1989, n. 3920, Cristiano c. Cond. di Via Pompeo Magno, 9 di Napoli, in questa
Rivista 1990, 259.
Lerrore che consente la revisione delle tabelle millesimali ai sensi dellart. 69 att. c.c. lerrore vizio di cui allart.
1428 c.c.
*Trib. civ. Torino, 20 maggio 1989, in Vita Notar, 1989, 160.
In materia di condominio negli edifici, la sussistenza di una sopraelevazione no implica necessariamente la
revisione delle tabelle millesimali, le quali ex art. 69, n. 2 delle disposizioni att. e trans. c.c., possono essere
rivedute e modificate (anche nellinteresse di un solo condomino) sono se notevolmente alterato il rapporto

originario dei valori dei singoli piani o porzioni di piano.


* Cass. civ., sez. II, 13 settembre 1991, n. 9579, Cerroni c. Papalia e Zammitti, in Arch. civ. 1992, 275.
La richiesta di revisione delle tabelle millesimali deve essere proposta in contraddittorio di tutti i condomini
singolarmente, e non contro il condominio cumulativamente rappresentato dallamministratore, in quanto
loggetto della controversia esula dallambito delle cose o interessi comuni, ed incide sui diritti esclusivi dei
singoli condomini, sicch la rappresentanza dellamministratore ne resta esclusa anche dal lato passivo.
* Trib. civ. Milano, sez. VIII, 21 dicembre 1992,
Allassemblea dei condomini, nellambito delle attribuzioni concernenti la gestione delle cose, degli impianti e dei
servizi comuni previste dallart. 1135 n. 2 c.c., deve riconoscersi la competenza a modificare, in via provvisoria,
tabelle millesimali concernenti il servizio di riscaldamento e di riscuotere i relativi contributi a titolo di acconto e
salvo conguaglio, qualora, in seguito alle modifiche apportate da un condomino allimpianto di riscaldamento
allinterno del proprio appartamento, le tabelle originarie non corrispondano alla nuova estensione degli elementi
radianti.
* Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1996, n. 8657,
In tema di condominio di edifici, lerrore il quale, ai sensi dellart. 69 att. c.c. giustifica la revisione delle tabelle
millesimali non coincide con lerrore vizio del consenso, disciplinato dagli articoli 1428 e seguenti c.c., ma
consiste nella obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unit immobiliari e il valore proporzionale ad
esse attribuito nelle tabelle, senza che in proposito rilevi il carattere negoziale della formazione delle stesse.
* Cass. civ., sez. un., 9 luglio 1997, n. 6222,
Sia per revisionare o modificare le tabelle millesimali di alcune unit immobiliari, sia per la prima caratura di
esse, il giudice deve verificare i valori di tutte le porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi quali la
superficie, laltezza di piano, la luminosit, lesposizione incidenti sul valore effettivo di esse, e quindi
adeguarvi le tabelle, eliminando gli errori riscontrati.
* Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1998, n. 5942,
La revisione delle tabelle millesimali possibile anche se lerrore nella valutazione delle unit immobiliari stato
determinato dallapplicazione dei criteri stabiliti dal R.D. 15gennaio 1934 n. 56, richiamati nel regolamento
condominiale, perch lultrattivit pattizia in quanto in esso recepita di tale normativa, non esclude lerrore,
rilevabile in base alla successiva normativa del nuovo codice civile che lha abrogata e non gi al momento
della sua commissione.
* Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1998, n. 5942,
Valore proporzionale degli immobili
Poich la determinazione dei valori proporzionali avviene tenendo conto delle caratteristiche proprie degli
immobili, e non anche della eventuale possibile destinazione cui sono adibiti in concreto che determinata,
soprattutto, da valutazioni puramente soggettive, e cio dalle personali necessit e dalla convenienza
economica consegue che, ove le caratteristiche obiettive dellimmobile, prese in esame nel determinare gli
elementi necessari per il calcolo dei valori proporzionali delle singole unit immobiliari, rimangano immutate, e
cambi soltanto la situazione esterna, che non comporta dirette conseguenze sulle caratteristiche proprie
dellimmobile, ma soltanto sulla sua maggiore o minore valorizzazione economica non sussistono n gli estremi
dellerrore, n delle mutate condizioni delledificio per disporre la revisione delle tabelle millesimali.
* Trib. civ. Parma, 14 gennaio 1998,
In tema di condominio di edifici la regola posta all'art. 1124 c.c. relativa alla ripartizione delle spese di
manutenzione delle scale (per met in ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano, per l'altra met in
misura proporzionale alla altezza di ciascun piano dal suolo) applicabile per analogia, ricorrendo l'identica
"ratio", alle spese relative alla manutenzione e ricostruzione dell'ascensore gi esistente.
Nell'ipotesi invece, d'installazione "ex novo" dell'impianto dell'ascensore trova applicazione la disciplina dell'art
1123 c.c. relativa alla ripartizione delle spese per le innovazioni deliberate dalla maggioranza (proporzionalit al
valore della propriet di ciascun condomino).
L'assemblea dei condomini non competente a deliberare in materia di spese concernenti le imposte relative
all'acquisto di un bene destinato all'uso comune.Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9463
del 19 maggio 2004, ricordando che i poteri all'assemblea dei condomini sono conferiti specificamente dalla
legge e che tra questi non previsto quello di decidere sulle spese fiscali riguardanti parti comuni dell'edificio.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=7749
Cassazione sentenza 11703/02 ha dichiarato che la clausola contenuta in un contratto di locazione con la quale
si stabilisca la ritinteggiatura dellimmobile a carico del conduttore prima della riconsegna, introduce un illecito
onere economico a carico di quest'ultimo, sanzionato dallart. 79 della legge n. 392/78. Una simile clausola,
infatti, impone di fatto al conduttore lobbligo di eliminare le conseguenze del deterioramento subito dalla cosa
locata per il suo normale uso."
(Cass. 17.10.92, n. 11401 e Cass. 9.10.96, n. 8819),
http://www.avvocatisandona.com/modules.php?name=News&file=article&sid=87
Suprema Corte n. 2160, pronunciata l'8 luglio 1971:"Il diritto di applicare antenne non costituisce servit e
conseguentemente il titolare pu esercitare il diritto posto dalla legge all'installazione delle antenne tv
indipendentemente dalla sua qualit di condominio o meno, ma per il solo fatto di abitare nello stabile e di
essere o diventare utente radiotelevisivo".
Il Giudice di Pace di Bologna, con sentenza n. 1312 del 6/4/04 ha stabilito il principio sopra riportato. La tesi
seguita evidenzia che la legge (art. 1914 c.c.) impone allassicurato il cosiddetto "obbligo di salvataggio", cio di
fare tutto il possibile per arrestare gli effetti del sinistro ed evitare che arrivi a conseguenze pi gravi. Tale
previsione posta come inderogabile dall art. 1932 c.c. Pertanto, nel momento in cui l assicurato scopre l

evento dannoso e si appresta a sostenere spese per ricercarne l origine, adempie allobbligo di salvataggio. Se
non ricercasse l origine del guasto, non salverebbe nulla in quanto riparerebbe gli effetti del sinistro (trattandosi
di una perdita di acqua in un muro, si limiterebbe a verniciare il muro), ma non impedirebbe che lo stesso si
rigenerasse (ovviamente, le infiltrazioni interne continuerebbero a manifestarsi). La clausola quindi stata
dichiarata nulla e, in base allart. 1419 c.c. destinata ad essere sostituita dalla previsione di cui all art. 1914
c.c. Rispetto alla diffusione di tale modello di polizza assicurativa, presente nella totalit delle offerte delle
Imprese, ci si deve chiedere se sia pi rispondente alla causa del contratto un obbligo da parte
dellassicurazione di indennizzare una verniciatura ogni settimana, ovvero il sostenimento delle spese di ricerca
ed eliminazione del guasto all origine, diligentemente sostenute dallassicurato. Il Giudice ha condiviso tale tesi
affermando che "la Compagnia convenuta non pu utilizzare la clausola numero X del contratto al fine di non
pagare rimborsi che invero dovrebbe corrispondere per legge, in questo modo aggirando quando disposto da
norme imperative (artt. 1914, 1915,1932, 1939, 1419 c.c.)". http://www.altalex.com/index.php?idnot=7920
I principi e le disposizioni dettate dal codice civile in tema di condominio di edifici si applicano, in virt di
interpretazione estensiva ovvero in forza di integrazione analogica, si applicano anche al supercondominio, che
si verifica quando talune cose, impianti e servizi comuni sono legati contestualmente, dalla relazione di
accessorio a principale, con pi condominii (es. per il viale di ingresso, per la guardiola del portiere oppure per il
servizio di portierato).
E quanto stabilito dalla Seconda Sezione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 9096 depositata in data 7
luglio 2000.
ANTENNE CONDOMINIALI
INQUINAMENTO ELETTROMAGNETICO (TELEFONIA CELLULARE)
In materia di installazione di stazioni radio base per telefonia
cellulare, in presenza di documentazione, consistente in una relazione
clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite
da una persona residente nello stabile e lattivazione degli impianti,
deve cautelarmente essere considerato prevalente linteresse primario alla
salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con
conseguente sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati
urgenti i lavori e le opere concernenti linstallazione e lattivazione
dellimpianto. (Fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia
cellulare era stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale).
Cons. Stato, sez. VI, ord. 25 marzo 1997
Linstallazione di un ripetitore per telefonia cellulare su di un lastrico
solare situato in un edificio condominiale non costituisce violazione
dellart. 1122 c.c., in quanto: a) non sussiste alcun riscontro
scientifico della pericolosit di tale impianto per la salute dei
condomini; b) la concessionaria del servizio di telefonia presenti
allautorit competente un progetto che attesti come limpianto suddetto
non arrechi danni alla statica delledificio. Trib. civ. Piacenza, 13
febbraio 1998, n. 51
In materia di installazione di stazioni radio base per telefonia
cellulare, in presenza di documentazione, consistente in una relazione
clinica, attestante possibili relazioni tra manifestazioni morbose subite
da una persona residente nello stabile e lattivazione degli impianti,
deve cautelarmente essere considerato prevalente linteresse primario alla
salute rispetto ad ogni altro interesse giuridicamente protetto, con
conseguente sospensione del provvedimento con il quale vengono dichiarati
urgenti i lavori e le opere concernenti linstallazione e lattivazione
dellimpianto. (Fattispecie in cui una stazione radio base per telefonia
cellulare era stata installata sul terrazzo di uno stabile condominiale).
Tar Lazio, sez. I, ord. 18 dicembre 1996, n. 3806
INSTALLAZIONE
Il diritto allinstallazione di antenne ed accessori - sia esso
configurabile come diritto soggettivo autonomo che come facolt compresa
nel diritto primario allinformazione e diretta alla attuazione di questo
(art. 21, Cost.) - limitato soltanto dal pari diritto di altro condomino,
o di altro coabitante nello stabile, e dal divieto di menomare (in misura
apprezzabile) il diritto di propriet di colui che deve consentire
linstallazione su parte del proprio immobile. Pertanto, qualora sul
terrazzo di uno stabile condominiale sia installata (per volont della
maggioranza dei condomini) unantenna televisiva centralizzata e un
condomino (o un abitante dello stabile) intenda invece installare
unantenna autonoma, lassemblea dei condomini pu vietare tale seconda

installazione solo se la stessa pregiudichi luso del terrazzo da parte


degli altri condomini o arrechi comunque un qualsiasi altro pregiudizio
apprezzabile e rilevante ad una delle parti comuni. Al di fuori di tali
ipotesi, una delibera che vieti linstallazione deve essere considerata
nulla, con la conseguenza che il condomino leso pu fare accertare il
proprio diritto allinstallazione stessa, anche se abbia agito in giudizio
oltre i termini previsti dallart. 1137 cod. civ. o, essendo stato
presente allassemblea, senza esprimere voto favorevole alla delibera, non
abbia manifestato espressamente la propria opposizione alla delibera
stessa. Cass. civ., sez. II, 6 novembre 1985, n. 5399
Lart. 1 della L. 6 maggio 1940, n. 554, con lo stabilire che i
proprietari di uno stabile o di un appartamento non possono op-porsi
allinstallazione nella loro propriet di aerei esterni destinati al
funzionamento di apparecchi radiofonici appartenenti agli abitanti degli
stabili e degli appartamenti stessi, non impone una servit, ma si limita
allattribuzione di un diritto, a favore degli abitanti dello stabile e
degli appartamenti, allinstallazione, e quindi anche alla manutenzione
degli impianti, pure contro la volont di altri abitanti. Tale diritto non
ha contenuto reale, ma ha natura personale e il titolare di esso, in virt
della detta norma, pu esercitarlo indipendentemente dalla qualit di
condomino, per il solo fatto di abitare nello stabile e di essere o
diventare utente radio-televisivo. Conseguentemente, quando il locatario
di un appartamento, nellinstallare unantenna televisiva, arrechi danno
al tetto comune delledificio, legittimato allazione di risarcimento del
danno proposta dal condominio il solo locatario e non anche il
locatore-proprietario dellappartamento.
Cass. civ., sez. II, 25 febbraio 1986, n. 1176
Gli artt. 1 e 3 L. 6 maggio 1940 n. 554, dettati con riguardo alla
disciplina degli aerei esterni per audizioni radiofoniche, ma applicabile
per analogia anche alle antenne televisive e lart. 231 del d.p.r. 29marzo
1973 n. 156, stabilendo che i proprietari delledificio non possono
opporsi alla installazione esterna di antenne da parte di abitanti dello
stesso stabile per il funzionamento di apparecchi radiofonici o
televisivi, attribuiscono al titolare dellutenza il diritto
allinstallazione dellantenna sulla terrazza delledificio, ferma
restando la facolt del proprietario al libero uso di questa secondo la
sua destinazione ancorch comporti la rimozione od il diverso collocamento
dellantenna, che resta a carico del suo utente, alluopo preavvertito. Ne
deriva che il proprietario della terrazza che vi abbia eseguito dei lavori
comportanti la rimozione dellantenna non pu essere condannato al
ripristino nello stato preesistente, posto che spetta allutente
provvedere a sua causa e spese alla rimozione ed al diverso collocamento
dellantenna. Cass. civ., sez. Il, 24 marzo 1994, n. 2862
Il diritto riconosciuto dallart. 232, secondo comma, D.P.R. 29 marzo
1973, n. 156 ad ogni occupante, proprietario od inquilino, di unit
immobiliari di appoggiare antenne televisive sui muri e sulle coperture
dei fabbricati, si configura come un diritto soggettivo perfetto ed
assoluto di natura personale, avente la sua fonte nella primaria libert,
costituzionalmente garantita, allinformazione e, pertanto, va ritenuto,
per sua natura, insuscettibile di valutazione pecuniaria, con la
conseguenza che le azioni ad esso relative rientrano fra quelle da
considerarsi di valore indeterminabile, riservate alla competenza per
valore del tribunale, a norma dellart. 9, secondo comma, c.p.c.
Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 1993, n. 1139
In tema di compossesso, ricorre lipotesi dello spoglio quando latto
compiuto dal compossessore (preteso spoliatore) abbia travalicato i limiti
del compossesso (impedendo o rendendo pi gravoso luso paritario della
res agli altri compossessori), ovvero abbia comportato lapprensione
esclusiva del bene, con mutamento delloriginario compossesso in possesso
esclusivo, ne consegue che, con riguardo allutilizzazione del tetto di un
immobile da parte di uno dei compossessori mediante linstallazione di
unantenna ricetrasmittente, la configurabilit di uno spoglio o di una
turbativa del possesso nei confronti degli altri compossessori postula,
necessariamente, laccertamento di un impedimento ad un analogo uso del

bene comune da parte di costoro, conseguente allo specifico comportamento


in concreto tenuto dal primo utilizzatore. Cass. civ., sez. II, 5 giugno
1998, n. 5517
Il diritto di installare lantenna televisiva comprende la facolt di
compiere tutte le attivit necessarie per la messa in opera, ivi compreso
il diritto di accedere temporaneamente attraverso la propriet aliena, e
tale imposizione del limite al diritto di propriet da riconoscersi a
favore non solo di chi titolare di un diritto di compropriet o di altri
diritti reali sullo stabile, ma anche di chiunque vi abiti a qualunque
titolo. Pret. civ. Salerno, ord. 24 ottobre 1990
Il diritto di installazione di antenna non ha natura reale, ov-vero non si
configura come una speciale limitazione del diritto di propriet,
inquadrabile in unipotesi di servit coattiva, ma perso-nale, poich la
norma che lo contempla prescinde, nellattribuirlo, dalla titolarit di un
diritto di propriet o di un altro diritto reale sullappartamento ed ha
la propria origine in un rapporto obbliga-torio ex lege, onde lo stesso ha
diretta rilevanza nei confronti del proprietario o del condominio e, come
tale, da ritenersi azionabile dinanzi al giudice ordinario. Pret. civ.
Salerno, ord. 24 ottobre 1990
E' tutelabile ex art. 700 cod. proc. civ. il diritto dei condomini di un
edificio di passare attraverso lappartamento di un altro condomino al
fine di poter installare unantenna televisiva sul tetto delledificio,
purch non ne risulti menomato, in modo apprezzabile, il diritto di
propriet di questultimo. Pret. civ. Roma, ord. 16 dicembre 1989
Il diritto di installare unantenna TV spetta esclusivamente al condomino
e allinquilino dello stabile interessato allinstallazione, ma non
allutente che non abita in tale stabile. Appare quindi manifestamente
infondata leccezione di incostituzionalit dellart. 232 D.P.R. 29 marzo
1973, n. 156, nella parte in cui, in violazione dellart. 21 Cost., non
prevede la possibilit di installare antenne TV anche sui terrazzi degli
stabili adiacenti a quello in cui abita lutente ove questi non capti
sufficientemente i segnali televisivi con lantenna installata sul proprio
stabile a causa della interclusione di questultimo tra edifici pi alti.
Corte app. civ. Lecce, 8 febbraio 1994
Linstallazione su di un lastrico solare di propriet di un condomino di
un ripetitore per telefonia cellulare, con utilizzo delle cose comuni che
consista esclusivamente nellancoraggio dellimpianto suddetto ai muri
esterni, non configura alcuna violazione dellart. 1102 cc.
Trib civ. Piacenza, 13 febbraio 1998, n. 51
Linquilino di un immobile condominiale ha un diritto personale e non
reale, ai sensi dellart. 1 del D.P.R. 6 agosto 1990, n. 233, di
installare e mantenere qualsiasi tipo di antenna di ricezione televisiva
sul terrazzo di copertura dello stabile (sia comune che di propriet
esclusiva di alcuni condomini) e di compiere tutte le attivit necessarie
alla sua messa in opera ed al suo funzionamento: tale diritto tutelabile
in via cautelare col ricorso ex art. 700 c.p.c. compete, pertanto, in via
autonoma ed immediata, anche al detentore qualificato (conduttore o
comodatario) dellalloggio. Trib. civ. Palermo, 13 maggio 1991
Lart. 1 della L. 6 maggio 1940 n. 554 che sancisce il diritto del
condomino ad installare unantenna sul terrazzo comune o di propriet
altrui si applica anche allesercizio di attivit radiofonica in una
unit immobiliare sita in un edificio condominiale. Ed infatti siffatta
attivit, anche se svolta da privati, non solo espressione di esercizio
di impresa tesa al lucro, ma altres strumento di esternazione del
pensiero. Il solo limite che la installazione non deve in alcun modo
impedire il libero uso della propriet secondo la sua destinazione n
arrecare danni alla propriet medesima od a terzi. Trib. civ. Latina, 16
novembre 1992
MANUTENZIONE

Il difetto di manutenzione dellantenna televisiva suscettibile di


creare pericolo nella statica dellantenna medesima, pregiudicando la
ricezione e compromettendo il diritto allinformazione televisiva per cui
legittima la richiesta di tutela in via durgenza ex art. 700 cod. proc.
civ., da parte del locatore che sia impedito alla manutenzione predetta
dal conduttore.
Pret. civ. Roma, sez. I, decr. 13 giugno 1983
La ristrutturazione dellantenna centralizzata televisiva gi esistente,
comportante lo smantellamento delle strutture preesistenti allo scopo di
ampliare la gamma dei programmi da ricevere, non costituisce innovazione.
Trib. civ. Genova, 18 giugno 1988, n. 1850
Il passaggio di un radioamatore e del personale tecnico da questi
incaricato attraverso labitazione di un condomino, al fine di eseguire
dalle finestre di esso interventi di riparazione o manutenzione di cavi di
collegamento ad una antenna installata sul tetto delledificio
condominiale, con sacrificio della libert di domicilio, non consentito
dagli artt. 397 e 232 comma 4, del D.P.R. 29marzo 1973, n. 156,
interpretati in modo conforme alla Costituzione, quando gli interventi
stessi siano possibili in altro modo, ancorch pi costoso.
Corte app. civ. Milano, 30 giugno 1995
PONTE RADIO
In materia di radiodiffusione, il reato di cui allart. 195, secondo
comma, D.P.R. n. 156/1973, che si riferisce soltanto allinstallazione o
allesercizio senza concessione di un impianto, non configurabile in
relazione allinstallazione di un semplice "ponte radio", che non pu
certamente considerarsi autonomo impianto di radiodiffusione, essendo un
semplice "collegamento di telecomunicazione" per migliorare il segnale in
un determinato bacino di utenza. Cass. pen., sez. III, 19 maggio 1997, n.
1653
RICETRASMITTENTI
Il dovere dei comproprietari o coabitanti di un fabbricato di non opporsi
a che altro comproprietario o coabitante, in qualit di radioamatore
munito della prescritta autorizzazione amministrativa, installi unantenna
ricetrasmittente su porzione di propriet altrui o condominiale, nei
limiti in cui ci non si traduca in unapprezzabile menomazione dei loro
diritti o della loro possibilit di procedere ad analoga installazione,
deve essere riconosciuto, anche in difetto di unespressa regolamentazione
delle antenne da radioamatore nella disciplina della legge 6 maggio 1940
n. 554 e del d.p.r. 29 marzo 1973 n. 156, dettata a proposito delle
antenne per la ricezione radiotelevisiva, tenuto conto che tale dovere,
anche per le antenne radiotelevisive, non si ricollega ad un diritto
dellinstallatore costituito dalla citata normativa, ma ad una sua facolt
compresa nel diritto primario alla libera manifestazione del proprio
pensiero e ricezione del pensiero altrui, contemplato dallart. 21 della
Costituzione, e che, pertanto, un pari dovere ed una pari facolt vanno
riconosciuti anche nellanalogo caso delle antenne da radioamatore. Cass.
civ., sez. II, 16 dicembre 1983, n. 7418
Il titolare del diritto di installazione di unantenna ricetrasmittente
pu legittimamente rinunciare a determinate modalit di esercizio di tale
diritto. Per essere valida, la suddetta rinuncia deve essere
manifestazione di una libera e cosciente determinazione della volont di
disporre del proprio diritto, nonch risultare da espressioni
incontrovertibii rivelatrici di un intento chiaro in tal senso.
(Fattispecie in ordine a clausole, contenute in un contratto di locazione,
relative alle modalit di uso di unantenna radioamatoriale installata sul
tetto dellimmobile locato). Trib. civ. Milano, 15 dicembre 1997
Limpedimento allesercizio del diritto di installazione di antenna
ricetrasmittente sul terrazzo condominiale (manifestatosi attraverso il
rifiuto opposto da alcuni condomini di consentire ai tecnici di accedere
alla terrazza per riparare lantenna, nonch attraverso il rifiuto
dellamministratore di consegnare le chiavi della porta di accesso ditale
terrazza) non legittima lazione di reintegrazione, in quanto il predetto
diritto non ha natura reale, ma personale, spettando a chiunque abiti nel
condominio. Pret. civ. Roma, ord. 13 luglio 1987

Con riguardo ad un edificio in condominio ancorch dotato di antenna


televisiva centralizzata, n lassemblea dei condomini, n il regolamento
da questa approvato possono vietare linstallazione di singole antenne
ricetrasmittenti sul tetto comune da parte dei condomini, in quanto in tal
modo non vengono disciplinate le modalit di uso della cosa comune, ma
viene ad essere menomato il diritto di ciascun condomino alluso della
copertura comune, incidendo sul diritto di propriet dello stesso.
Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1990, n. 7825
Cass. pen., sez. III, 5 aprile 1994, n. 3969
ANTENNE SUL BALCONE
E' da ritenersi lecita linstallazione sul balcone di un appartamento
condominiale di una antenna televisiva trasmittente non diversa dalle
comuni antenne riceventi, non potendo essere qualificati innovazioni gli
atti di maggior utilizzazione della cosa comune che non importino
alterazione o modificazione e non precludano agli altri condomini un
uguale maggior uso. Trib. civ. Roma, 27 ottobre 1980
Sezione II, 13 settembre 2004, n. 18358
Negli edifici in condominio, le scale, con i relativi pianerottoli, costituiscono strutture funzionalmente essenziali
del fabbricato e rientrano, per questo motivo, fra le parti di quest'ultimo che, in assenza di titolo contrario,
devono presumersi comuni, nella loro interezza.
Questo vale anche se le parti in questione sono poste concretamente al servizio soltanto di talune porzioni dello
stabile.
Appartengono perci a tutti i partecipanti alla collettivit condominiale alla luce del dettato dell'articolo 1117 n. 1
del Codice civile.
Il soggetto passivo dellICI il possessore dellimmobile. CASSAZIONE CIVILE, Sezione V, Sentenza n..18294
del 10/09/2004
Il possesso di un immobile per civile abitazione, su un suolo comunale sul quale e concesso il diritto di
superficie a favore di una cooperativa, comporta, per il futuro proprietario dellimmobile ancora in costruzione, il
pagamento dellICI, indipendentemente dalla stipula del rogito notarile; trova applicazione infattilart 1 del d.lgs
504/1992, che stabilisce Presupposto dellimposta e il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni
agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione
o scambio e diretta lattivita dellimpresa.
Nel caso di coesistenza del processo esecutivo promosso sulla base di un decreto ingiuntivo provvisoriamente
esecutivo, del giudizio d'opposizione a decreto ingiuntivo e del giudizio d'opposizione all'esecuzione, nel
momento in cui il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo ha sospeso la provvisoria esecuzione del decreto
si concretizza l'ipotesi della sospensione dell'esecuzione disposta dal giudice dinanzi al quale e' impugnato il
titolo esecutivo, a norma dell'art. 623, c.p.c., seconda ipotesi, con conseguente impedimento della prosecuzione
del processo esecutivo, che non puo' essere riattivato fino a che, in dipendenza del giudizio d'opposizione a
decreto ingiuntivo, il titolo non abbia riacquistato con il rigetto dell'opposizione la sua efficacia esecutiva a norma
dell'art. 653 c.p.c.
E' questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 8217 depositata il 29 aprile
2004. http://www.altalex.com/index.php?idnot=7933
Qualora una clausola del regolamento condominiale preveda lassegnazione di un posto auto in favore del
proprietario di ogni unit immobiliare, tale diritto deve essere riconosciuto a tutti i condomini a prescindere dal
fatto che abitino in quella unit in modo stabile e continuativo o solo occasionalmente. SENTENZA DEL
TRIBUNALE DI NAPOLI Sez. X, del 18/12/2000
Di fronte alla violazione di norme pubblicistiche incidenti sul regime della propriet privata, la posizione del
privato che subisca un danno pur sempre posizione di diritto soggettivo, onde il danno segue al mancato
godimento del bene, oggetto del diritto riconosciuto. (Fattispecie in tema dalienazione degli appartamenti di un
immobile, con elusione del vincolo di destinazione dellarea di parcheggio edificata ai sensi dellart.41 sexies
della legge 17 agosto 1942, n.1150, aggiunto dallart.18 della legge "ponte"). Cass. civ. sez.II, 5 aprile 2000,
n.4197
La norma di cui all'art. 18 della legge 6 agosto 1967 n. 765 - la quale
stabilisce che nelle nuove costruzioni ed anche nelle opere di pertinenza
delle costruzioni stesse debbono essere riservati appositi spazi per
parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti
metri cubi di costruzione - pone un vincolo pubblicistico di destinazione
degli spazi in questione al servizio delle unit abitative dei condomini,
ma tale regime, rimasto immutato anche dopo l'entrata in vigore della
legge 28 febbraio 1985 n. 47 (il cui art. 26, ultimo comma, stabilisce che
gli spazi anzidetti costituiscono pertinenze delle costruzioni, ai sensi e
per gli effetti degli artt. 817, 818 e 819 c.c.), non comporta affatto che
le aree di parcheggio, fermo il vincolo di destinazione, rientrino tra le
parti comuni dell'edificio a norma dell'art. 1117 c.c. e tanto meno che il

loro godimento da parte dei proprietari delle unit abitative debba essere
gratuito ove esse siano rimaste di propriet del costruttore o di un
terzo. Cass. 29 novembre 1994 - n. 10217
L'obbligo di contribuire alle spese comuni sussiste anche nel caso di carente prestazione del servizio comune
(Cassazione, Sezioni Unite)
L'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti
comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla
maggioranza trova la sua fonte nella compropriet delle parti comuni dell'edificio (art. 1123 comma 1 c.c.); con la
conseguenza che la semplice circostanza che l'impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente
calore non pu giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio dell'impianto, dato
che il condomino non titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica e,
quindi, non pu sottrarsi dal contribuire alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio.
(Cass. Sezioni Unite n. 10492 / 96)
Condominio. Condominio parziale. A norma dell'articolo 1123 c.c. debbono essere suddivise unicamente fra
coloro che traggono utilit della cosa (e quindi con esclusione di coloro che non partecipano alla possibilit di
uso) non solo le spese che conseguono al godimento del bene, ma anche quelle che attengono alla sua
conservazione e manutenzione.
In tema di oneri condominiali, la funzione ed il fondamento delle spese occorrenti per la conservazione
dell'immobile si distinguono dalle esigenze che presiedono alle spese per il godimento dello stesso, come dato
evincere, in via di principio generale, dal disposto dell'art. 1104 cod. civ. dettato in tema di comunione -, e, "sub
specie" dei rapporti di condominio, dalla norma di cui all'art. 1123 stesso codice, a mente della quale i contributi
per la conservazione del bene sono dovuti in ragione della appartenenza e si dividono in proporzione alle quote
(indipendentemente dal vantaggio soggettivo espresso dalla destinazione delle parti comuni a servire in misura
diversa i singoli piani o porzioni di piano), mentre le spese d'uso (che traggono origine dal godimento soggettivo
e personale) si suddividono in proporzione alla concreta misura di esso, indipendentemente dalla misura
proporzionale dell'appartenenza (e possono, conseguentemente, mutare, del tutto legittimamente, in modo
affatto autonomo rispetto al valore della quota). Ne consegue, con particolare riguardo alla norma di cui all'art.
1123 comma terzo cod. civ., che il criterio di ripartizione di spese ivi disciplinato (a differenza di quanto previsto,
in linea generale, nel precedente comma secondo del medesimo articolo) deve ritenersi applicabile alle ipotesi di
condominio cosiddetto parziale (risultando, in caso contrario, la norma in parola una inutile ripetizione di quella
che la precede), cos che, qualora le cose, gli impianti ed i servizi comuni siano destinati a servire una parte
soltanto del fabbricato, l'art. 1123 comma terzo, nell'ambito della pi vasta compartecipazione, identifica
precipuamente i soggetti obbligati a concorrere alle spese di conservazione, individuandoli nei condomini cui il
condominio attribuito per legge ai sensi dell'art. 1117 cod. civ. (salva diversa attribuzione per titolo). (Cass. N
8292 del 19 giugno 2000)
Condominio. Rappresentanza dell'amministratore. L'amministratore ha la rappresentanza dell'intero condominio,
anche quando si tratti di cose destinate a servire solo un gruppo dei condomini. Nel caso di condominio parziale,
quindi, la legittimazione passiva spetta comunque all'amministratore. Peraltro, nell'ambito dei soli rapporti interni
ai condomini, la sentenza restringe i suoi effetti ai soli interessati( la sentenza viene pronunciata nei confronti del
solo condominio, ma le condanne verranno poi materialmente a gravare solo sul gruppo dei condomini che usa
la parte comune)
In tema di condominio negli edifici, con riguardo alle controversie attinenti a cose, impianti o servizi appartenenti,
per legge o per titolo, soltanto ad alcuni dei proprietari dei piani o degli appartamenti siti nell'edificio (cosiddetto
"condominio parziale" ), non sussiste difetto di legittimazione passiva in capo all'amministratore dell'intero
condominio, quale unico soggetto fornito, ai sensi dell'art. 1131 cod. civ., di rappresentanza processuale in
ordine a qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio (salva, eventualmente, la restrizione degli
effetti della sentenza, nell'ambito dei rapporti interni, ai soli condomini interessati). (Sentenza 651/2000 del 21
gennaio 2000)
L'obbligo di contribuire nelle spese per la conservazione di un impianto non si collega direttamente alla effettiva
fruizione del servizio.
Qualora alcuni condomini decidano, unilateralmente, di distaccare le proprie unit immobiliari dall'impianto
centralizzato di riscaldamento, i medesimi non possono sottrarsi al contributo per le spese di conservazione del
predetto impianto, non essendo configurabile una rinuncia alla compropriet dello stesso, ma, ove i loro
appartamenti non siano pi riscaldati, non sono tenuti a sostenere le spese per l'uso (nella specie, quelle per
l'acquisto del gasolio), in quanto il contributo per queste ultime adeguato al godimento che i condomini
possono ricavare dalla cosa comune. (Cass. n. 10214/96).
Condominio- solaio interpiano. Nel caso del crollo del solaio, il proprietario dell'appartamento sottostante non
pu invocare, a carico dell'altro proprietario, la presunzione di responsabilit di cui all'articolo 2051 c.c.. Tale
presunzione di colpa, infatti, deve essere applicata solo nei rapporti fra il terzo e il titolare del bene o il custode di
esso. Nei confronti dell'altro contitolare del solaio, occorre invece dimostrare la sussistenza di precise colpe.
Il condomino del piano sottostante che agisce nei confronti del condomino del piano di sopra per il risarcimento
dei danni al suo solaio deve dimostrare, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., che essi dipendono da fatti imputabili a
quest'ultimo, altrimenti dovendosi ripartire in parti uguali le spese per la riparazione di esso, ai sensi dell'arte.
1125 cod. ci., per la presunzione assoluta di comunione tra loro del solaio, da cui deriva altre s l' inapplicabilit
dell'art. 2051 cod. civ. diretta a tutelare i terzi danneggiati dalle cose che altri hanno in custodia, non i comunisti
tra loro. ( Cass. N 6398 del 23 giugno 1999)
Nel caso di manutenzione del lastrico solare di uso esclusivo, chi goda di tale dirtto concorre nelle spese nella
misura di un terzo. Gli altri due terzi debbono essere ripartiti unicamente fra i proprietari delle unit immobiliari

sottostanti al lastrico
In base al criterio di ripartizione delle spese stabilito dall'art. 1126 c.c. il proprietario esclusivo del lastrico solare
(cui va equiparata la terrazza a livello) deve contribuire nelle spese di riparazione soltanto nella misura di un
terzo, senza dover concorrere nella ripartizione degli altri due terzi della spesa che restano a carico dei soli
proprietari dei piani sottostanti ai quali il lastrico (o la terrazza) serve da copertura. (Cass. n. 5125/93).
Anche nel caso di danni derivanti da carente manutenzione del lastrico solare di uso esclusivo trova
applicazione il criterio di ripartizione fissato dall'art.1126 c.c (un terzo a carico di chi goda dell'uso esclusivo e
due terzi a carico dei condomini che utilizzino il lastrico quale copertura).
Poich il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del
fabbricato anche se appartiene in propriet superficiaria o se attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso
con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati
all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di
manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni
stabilite dal cit. art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due
terzi, ed il titolare della propriet superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre utilit, nella misura del
terzo residuo. (Cass.SEZIONI UNITE n. 3672/97).
Cita l'art. 1138, che il regolamento va trascritto in apposito registro: Il regolamento deve essere approvato
dall'assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell'articolo 1136 e trascritto nel registro
indicato dall'ultimo comma dell'articolo 1129.
Si precisa l'art. 71 delle dd.aa.cc. che detto registro tenuto presso l'associazione professionale dei proprietari
di fabbricati: detta trascrizione, avrebbe il fine di porre tutti i condomini e loro eventuali aventi causa, nella
condizione di poter giungere a conoscenza con la massima facilit delle disposizioni contenute nel regolamento.
Praticamente, detto registro, pur previsto dalla legge, non mai stato istituito; il regolamento viene di norma
trascritto sullo stesso registro dei verbali di assemblea.
Si ripete tuttavia, che qualora il regolamento dovesse contenere disposizioni inerenti alla costituzione di servit
reciproche, fra i singoli proprietari o servit sulle parti comuni a favore delle parti in propriet esclusiva di un
condomino, tale trascrizione non sufficiente ed pertanto necessaria anche l'altra trascrizione nei pubblici
registri immobiliari (art. 2643 c.c.).
Nel caso di violazione di disposizioni legittimamente contenute nel regolamento condominiale che stabiliscano il
divieto di destinare singoli locali dell'edificio a determinati usi, il condominio pu chiedere nei diretti confronti del
conduttore di un appartamento sito nel fabbricato condominiale, la cessazione della destinazione abusiva e
losservanza in forma specifica delle istituite limitazioni, in quanto il conduttore non pu trovarsi, rispetto al
condominio, in posizione diversa da quella del condomino suo locatore.
In tali circostanze, qualora il conduttore sia chiamato in giudizio perch cessi il comportamento abusivo, dovr
essere chiamato anche il proprietario dellimmobile. In tali ipotesi. (litisconsorzio necessario).
La Suprema Corte ha affermato [ sentenza n. 8239 del 29 agosto 1997] che il condomino-locatore, in quanto
principale destinatario delle norme regolamentari, si pone nei confronti della collettivit condominiale non solo
come responsabile delle dirette violazioni di quelle norme da parte sua, ma anche come responsabile delle
violazione delle stesse norme da parte del conduttore del suo bene, essendo tenuto non solo ad imporre
contrattualmente al conduttore il rispetto degli obblighi e dei divieti previsti dal regolamento, ma altres a
prevenire le violazioni ed a sanzionarle anche mediante la cessazione del rapporto di locazione.
Il proprietario di casa che intende sfrattare linquilino non dovr pi dimostrare di essere in regola con il fisco. e
quanto ha stabilito la corte costituzionale con la sentenza n. 333 del 5 ottobre 2001( presidente ruperti ,relatore
marini),dichiarando l'illegittimit costituzionale dellart.7 della legge 199, n. 431,che condiziona la messa in
esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili locati ad uso abitativo alla dimostrazione di avere
adempiuto agli obblighi fiscali relativo all'irpef,ici, e imposte di registro).
Gli impedimenti di carattere giurisdizionale dei diritti, quando non siano connessi alle esigenze del processo
,violano lart. 24 della costituzione sulla libert di agire in giudizio. Il quotidiano Italia Oggi pubblica, in un articolo
di Giuseppe Bordilli, una importante sentenza del TAR Campania n. 4235/2004 che si espresso in merito ad
vicenda strettamente connessa con la materia condominiale.
Il proprietario di un locale posto al secondo piano di un condominio aveva ottenuto il cambio di destinazione
d'uso degli ambienti per trasformarli in locali per la ristorazione, nonch le relative licenze commerciali.
Il Tar ha stabilito che la trasformazione in pubblico esercizio di unit immobiliare che fino ad allora era sempre
stata utilizzata per civile abitazione, incide "indubitabilmente sui diritti soggettivi (salute, privacy e diritti
patrimoniali sulla propriet) degli altri proprietari del medesimo fabbricato", che pertanto hanno il diritto ad
essere informati dell'avvio dei procedimenti modificativi richiesti.
Il Tar ha idividuato nel Comune il soggetto obbligato a darne loro comunicazione onde consentirgli di "bloccare
ogni decisione favorevole a consentire nello stabile le attivit considerate incompatibili con la presenza di
abitazioni".
Molte persone hanno l'abitudine di convivere con un animale domestico nella propria casa. La presenza di
questi animali, di solito non comporta nessun inconveniente ma quando, invece, i proprietari degli animali non si
preoccupano o non riescono ad impedire i fastidi creati, utilizzando ad esempio il balcome come lettiera, esplode
spesso una reazione di questi ultimi, provocando litigi ed incomprensione che spesso diventano insanabili ed
irrimediabili.

Qualora il regolamento del condominio non disponga nulla in proposito dubbio se il potere-dovere attribuito
allamministratore dallart. 1130, n 1, c.c., di curare losservanza del regolamento, concerna solo le cosiddette
norme regolamentari vere e proprie o se viceversa si estenda anche ai divieti di destinazione della propriet
esclusiva e ad altre limitazioni di uso della propriet esclusiva.
Sul punto la Corte di Cassazione ha affermato con sentenza n. 1131 del 11 febbraio 1985[33] che le norme del
regolamento di condominio edilizio che impongono divieti di destinazione ed altre limitazioni similari all'uso delle
unita' immobiliari di proprieta' esclusiva concorrono ad integrare la disciplina delle cose comuni dell'edificio in
quanto dirette ad impedire un uso abnorme delle stesse in conseguenza di situazioni e comportamenti che non
si esauriscano nello stretto ambito delle propriet esclusive.
Ne consegue, quindi, che anche in caso di violazione di tali prescrizioni l'amministratore del condominio,
indipendentemente dal conferimento di uno specifico incarico con deliberazione della assemblea dei condomini
(la quale pu spiegare rilevanza come mera sollecitazione), ha, a norma dell'art. 1130 c.c., il potere di farne
cessare il relativo abuso e, quindi, la relativa legittimazione processuale, senza che possa trovare limiti in
autonome iniziative giudiziarie dei singoli condomini.
Sezione II, 30 agosto 2004 n. 17397
Per stabilire se esiste un titolo contrario alla presunzione di propriet comune, bisogna fare riferimento all'atto
costitutivo del condominio, cio al primo atto di trasferimento di un'unit immobiliare dall'originario unico
proprietario a un altro soggetto.
Se in tale atto un bene, rientrante per legge fra quelli di propriet comune, viene attribuito con univoca e chiara
manifestazione di volont a uno dei contraenti, la presunzione di comunione viene definitivamente meno.
Invece, quando il bene nasce da propriet comune non pu pi venir meno, per effetto del negozio con cui uno
dei condomini intenda attribuire la propriet a un terzo, salvo che con una delibera di natura contrattuale, con il
consenso scritto di ciascun condomino, attribuisca il bene comune in propriet esclusiva a uno di essi oppure a
un terzo.
L'androne e le scale di un edificio sono oggetto di propriet comune ai sensi dell'art. 1117 cod. civ. anche dei
proprietari dei locali terranei che abbiano accesso direttamente dalla strada, in quanto costituiscono elementi
necessari per la configurabilit stessa di un fabbricato diviso in piani e porzioni di piano di propriet individuale e
rappresentano inoltre tramite indispensabile per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura;
pertanto, tali proprietari rientrano fra gli obbligati al contributo per la sistemazione dell'androne.
* Corte app. civ. Milano, sez. I, 9 ottobre 1987, n. 1983, Condominio di via Console Marcello 18/2 di Milano c.
Dondoli, in Arch. loc. e cond.,1989, 707
Corte di Cassazione, sez. II, 30 luglio 2004, n. 14560
In tema di delibere dell'assemblea condominiale, ai fini della validit dell'ordine del giorno, necessario che
esso elenchi specificamente, sia pure in modo non analitico e minuzioso, tutti gli argomenti da trattare, s da
consentire a ciascun condomino di comprenderne esattamente il tenore e l'importanza, e di poter
ponderatamente valutare l'atteggiamento da tenere, in relazione sia allopportunit o meno di partecipare, sia
alle eventuali obiezioni o suggerimenti da sottoporre ai partecipanti.
In una recente sentenza la Corte di Cassazione (n.3640/2004) intervenuta a decidere in merito allutilizzo dei
servizi comuni nel Condominio, con particolare riferimento al parcheggio delle autovetture nel cortile
condominiale, non destinato ad area di parcheggio.
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La Suprema Corte nella sentenza citata, ritiene infatti che ..la condotta del condomino, consistente nella stabile
occupazione, mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura - di una porzione del
cortile comune, configuri un abuso, poich impedisce agli altri condomini di partecipare allutilizzo dello spazio
comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento.
Nel caso specifico, il comportamento posto in essere dal condomino, non pu ricomprendersi nelle facolt
concesse al comproprietario ai sensi dellart. 1102 c.c.. Infatti la Corte di Cassazione nella predetta sentenza,
qualifica la condotta del condomino, quale alterazione della destinazione del bene in comunione, in quanto tale
illecita.
Verificandosi quindi il predetto abuso, ogni partecipante al Condominio ha il diritto di agire anche individualmente
a difesa dei diritti comuni inerenti al fabbricato condominiale, nonch al fine di richiedere il risarcimento del
danno, consistente proprio nel mancato godimento della cosa comune.
E comunque onere dellamministratore del condominio ai sensi dellart. 1130 c.c., disciplinare luso delle cose
comuni, esercitando tutte le azioni, comprese quelle possessorie e cautelari, da proporsi nei confronti del
condomino che abusi del bene comune.
Rimane salvo il potere dellassemblea dei condomini, con deliberazione presa a maggioranza, di
predeterminare, nel cortile comune, le aree destinate a parcheggio delle automobili e di stabilire, nellinterno di

esse, le porzioni separate di cui ciascun condomino pu disporre.


Nella giurisprudenza di legittimit, non si rinvengono in materia di parcheggi, precedenti in termini, ma occorre
rilevare, che gi il Giudice Conciliatore di Lanciano con sentenza del 14.12.1987 (v. in Arch. loc. e cond. 1989,
188) dichiarava ..lecito il parcheggio negli spazi comuni condominiali, a condizione che sia ben delimitato e non
impedisca agli altri condomini luso dei garage ivi esistenti ed un uso proprio del bene comune.
La competenza a decidere le controversie nelle quali si discuta della legittimit o meno delle forme di
utilizzazione dei parcheggi, rimane dellAutorit Giudiziaria ordinaria, la quale dovr quindi sopperire alle inerzie
dellassemblea, al fine di assicurare ad ogni singolo condomino il pieno esercizio dei suoi diritti.
Legge 24 marzo 1989, n. 122
Art.9 I proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al pino terreno
dei fabbricati, parcheggi da destinare a pertinenze delle singole unit immobiliari , anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti. Restano in ogni caso fermi i vincoli previsti dalla legislazione in
materia paesaggistica ed ambientale ed i poteri attribuiti dalla medesima legislazione alle Regioni ed ai Ministeri
dell'ambiente e per i beni culturali ed ambientali da esercitare motivatamente nel termine di 90 giorni.
L'esecuzione delle opere e degli interventi sopra previsti sono soggetti ad autorizzazione edilizia gratuita.
In aree soggette a vicoli, qualora si tratti di interventi conformi agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi
vigenti l'istanza per l'autorizzazione del sindaco ad eseguire i lavori si intende accolta qualora il sindaco stesso
non si pronunci nel termine di 60 giorni dalla data della richiesta. In tal caso il richiedente pu dare corso ai lavori
dandone la comunicazione al sindaco del loro inizio.
Le deliberazioni condominiali che hanno per oggetto le opere e gli interventi sopradescritti dovranno essere
approvate con maggioranza prevista dall'art.1136 secondo comma del Codice Civile il quale recita che
l'assemblea risulta validamente costituita con l'intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del
valore dell'edificio ed i due terzi dei partecipanti al condominio. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120
,secondo comma, e 1121 terzo comma del codice civile.
La Corte di Cassazione con la sentenza 28/01/2004 n. 1544, II Sezione, ha affrontato una specifica tematica in
materia condominiale, confermando gli orientamenti espressi dalla precedenza giurisprudenza di legittimit in
tema di diritti del condomino di acquisizione di copia della documentazione contabile relativa al condominio.
In particolare, la Corte ha statuito che la contabilit di un condominio deve essere improntata a semplicit di
forme senza il rispetto delle formalit prescritte dal codice per i bilanci societari, assumendo rilievo solo
lesattezza delle poste attive e passive iscritte nel rendiconto. Lomissione o la mancata precisazione del
documento di bilancio dei nomi dei singoli condomini morosi, da considerarsi del tutto ininfluente sulla
legittimit della delibera di approvazione dello stesso, non potendosi individuare una irregolarit neppure formale
del bilancio in relazione alla denunciata omissione.
Particolarmente rilevante il punto della sentenza concernente l'affermazione del diritto del singolo condomino
alla visione e all'acquisizione di copia della documentazione contabile e relativa al condominio in generale.
L'orientamento giurisprudenziale dominante in passato reputava che il singolo condomino potesse prendere
visione della documentazione condominiale solo nei giorni precedenti o addirittura nel corso dellassemblea
ordinaria, durante la quale i condomini sono chiamati ad esprimersi sul bilancio e sul riparto consuntivo.
Si riteneva che, una volta che fossero stati approvati il bilancio e il riparto consuntivo, i singoli condomini non
avessero pi il diritto di compiere controlli sulla gestione amministrativa.
evidente che tale tendenza giurisprudenziale circoscriveva entro rigorosi limiti l'esercizio del diritto spettante a
ogni singolo condomino di prendere visione della documentazione condominiale e, di conseguenza, di effettuare
un controllo sulla gestione del condominio.
La Suprema Corte, con la sentenza del n.15159 del 29 novembre 2001, aveva poi affermato l'opposto principio
secondo cui ciascun condomino titolare del diritto di ottenere dallamministratore lesibizione dei documenti
contabili, non solo in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dellassemblea, ma
anche al di fuori di tale sede, senza necessit di specificare la ragione per la quale egli intende prenderne
visione o estrarre copia dei documenti medesimi "sempre che lesercizio di tale potere non intralci lattivit
amministrativa e non sia contrario ai principi di correttezza ed i relativi costi siano assunti dai condomini istanti".
Con la sentenza del febbraio 2004, il medesimo principio stato ribadito, individuando due tipologie di limiti
all'esercizio del diritto spettante a ogni singolo condomino di esaminare la documentazione contabile e
amministrativa del condominio.
Il primo di tali limiti risponde chiaramente a esigenze di carattere funzionale ed rappresentato dall'intralcio
all'attivit amministrativa che pu derivare dal soddisfacimento della richiesta di esame della documentazione
contabile proveniente dal condomino.
Un'ulteriore limitazione costituita dai principi di buona fede e correttezza, principi cui devono essere improntati
i rapporti interpersonali (ai sensi degli artt. 1175 e seguenti del codice civile). La Corte di Cassazione ha, inoltre,
puntualizzato che non e' necessario, perci, che i condomini specifichino il motivo, per cui vogliono prendere
visione o estrarre copia dei documenti.
Va tenuto presente, infatti, che spetta piuttosto all'amministratore dedurre e dimostrare l'insussistenza di
qualsivoglia interesse effettivo in capo ai condomini istanti, perch i documenti personalmente non li riguardano,
ovvero l'esistenza di motivi futili o inconsistenti e comunque contrari alla correttezza.
La ratio di tale determinazione della Suprema Corte da rinvenirsi nella natura di mandato con rappresentanza
cui stato assimilato il rapporto intercorrente tra amministratore e condomini; la Corte di Cassazione ha, infatti,

ritenuto che il rapporto intercorrente tra condomini e amministratore sia da ricondurre nella relativa disciplina
dettata dal codice civile.
La conseguenza che ne discende che ai condomini stessi competono i poteri di vigilanza e controllo della
gestione dell'amministratore in ogni tempo, riconosciuti per legge ai mandanti. Tali poteri, eventualmente in
funzione della proposizione del ricorso all'assemblea contro i provvedimenti posti in essere dall'amministratore o
della richiesta di revoca, non sono inconciliabili con il rapporto di amministrazione (configurato, appunto, come
mandato con rappresentanza), laddove si consideri che l'amministratore, per ragioni d'ufficio, detiene i registri ed
i documenti contabili aderenti alla gestione e riguardanti gli stessi condomini, ai quali in definitiva appartengono
in propriet comune.
Il principio espresso dalla Suprema Corte aveva gi trovato conferma anche in alcune sentenze della
giurisprudenza di merito, secondo la quale diritto di esaminare la documentazione contabile ed amministrativa
del condominio doveva essere riconosciuto al condomino in misura e con larghezza tale da consentirgli un
controllo effettivo sull'operato dell'amministratore. In tale prospettiva, si era, quindi, affermato il diritto spettante a
ogni singolo condomino di estrarre, a proprie spese, copia di tutta la documentazione relativa alla gestione da
approvarsi in sede di assemblea, prima della riunione, e comunque in tempo utile a consentirgli un esame
approfondito dei documenti ed un riscontro effettivo della gestione (cfr. sentenza del Tribunale di Genova del 21
ottobre 1998).
Corte di Cassazione sentenza n. 8119 depositata il 28 aprile 2004.
Nella caso di specie la Suprema Corte ha ritenuto illegittima l'attivit di un condomino che, nel proprio locale sito
al piano terra del condominio, aveva eseguito lavori, autorizzati dal Comune, di rifacimento del pavimento e
abbassamento del suo livello con opere di impermeabilizzazione. Tale attivit, infatti, incide sul "suolo" su cui
sorge l'edificio che rientra nella categoria delle cose comuni suscettibili di utilit oggettiva.
Cassazione consentenza n. 12013, - 1/07/2004
Le spese di risarcimento e di giudizio per una causa che ha visto soccombere il condominio spettano a chi era
proprietario al momento in cui la lite era insorta.
Poich l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle spese di conservazione delle parti comuni insorge nel
momento in cui si rende necessario provvedere all'esecuzione dei lavori necessari, e non quando il debito viene
determinato in concreto, in caso di sentenza di condanna pronunziata nei confronti del condominio per
inosservanza dell'obbligo di conservazione delle cose comuni, il condomino creditore che intenda agire in
executivis contro il singolo partecipante al condominio per il recupero del proprio credito, deve rivolgere la
propria pretesa, sia per il credito principale, che per credito relativo alle spese processuali, contro chi rivestiva la
qualit di condomino al momento in cui l'obbligo di conservazione insorto, e non contro colui che tale qualit
riveste nel momento in cui il debito viene giudizialmente determinato.
Cassazione tributaria Sentenza 01/10/2004, n. 19689
La Corte di Cassazione ha affrontato un caso di accesso fiscale illegittimo, nel quale ha sottolineato che, anche
se la via di casa e quella dell'azienda coincidono, per l'accesso fiscale nel domicilio dell'imprenditore non basta
un'autorizzazione semplice: in linea con il principio costituzionale di inviolabilit del domicilio, per l'accesso ai
locali adibiti esclusivamente ad abitazione necessaria, oltre all'autorizzazione del Procuratore, anche una
motivazione costituita da gravi indizi di violazione delle norme fiscali.
Lamministratore di un condominio non ha il potere di frazionare la spesa straordinaria deliberata ed il relativo
credito non liquido n esigibile. Inoltre, in mancanza della prova scritta dellavvenuta approvazione del criterio
di ripartizione, il Giudice non dovrebbe neanche concedere il decreto ingiuntivo, per carenza dei presupposti. Lo
ha stabilito il Giudice di Pace di Castellammare di Stabia, con la sentenza n.3266 del 19 luglio 2004, precisando
che l'opposto, nonostante la sua posizione formale di convenuto, sostanzialmente attore nel procedimento e
come tale non pu proporre domande riconvenzionali, se non sotto forma di reconventio reconventionis, ma in
questo caso occorre che lopponente abbia proposto una domanda riconvenzionale e che la reconventio
reconventionis sia strutturalmente legata alla riconvenzionale. Il Giudice inoltre ha statuito la rilevabilit dufficio
dellinammissibilit della riconvenzionale, conformandosi allorientamento maggioritario della Suprema Corte.
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Corte di Cassazione, sez. III, 24/05/2004 n. 9981
Una delibera di assemblea condominiale, anche se adottata nell'interesse comune o per adempiere ad un
obbligo di legge, nulla se, per perseguire l'interesse dello stesso condominio, prevede la violazione dei diritti di
propriet esclusiva di un condomino, ed in tal caso la sua impugnazione non soggetta ai termini di decadenza
sanciti dall' art. 1137 cod. civ., rimanendo irrilevante che all' adozione della delibera stessa abbia partecipato
anche il condomino leso senza sollevare alcuna obiezione in merito.
Innovazione: Per innovazione si intende, ha affermato la giurisprudenza, tutte le opere nuove, che implichino
notevoli modifiche, in tutto o in parte nella destinazione di fatto o di diritto, con leffetto di migliorarne o
peggiorarne il godimento, o comunque alterarne la destinazione originaria.
Il codice civile indica due articoli molto importanti sul tema delle innovazioni.
In base allart. 1120, c. 2, c.c. sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilit o alla
sicurezza del fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni delledificio
inservibili alluso o al godimento anche di un solo condomino.
In base allart. 1121, c. 1, c.c., qualora linnovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere
voluttuario rispetto alle particolari condizioni e allimportanza delledificio e consiste in opere, impianti o manufatti
suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi
contributo nella spesa.
Le innovazioni vietate possono egualmente essere apportate alla cosa comune, a condizione che siano

approvate allunanimit da tutti i condomini, non essendo sufficiente la maggioranza dei voti (vedi Cass. 9 luglio
1975 sentenza n. 2696).
Deve dunque ritenersi vietata ogni innovazione che si traduce in un accrescimento di diritto o di utilit a favore di
un condomino e in pregiudizio di altri.
Al fine di stabilire se le opere modificatrici della cosa comune abbiano pregiudicato il decoro architettonico di un
fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui questultimo si trovava prima
dellesecuzione delle opere stesse, con la conseguenza che una modifica non pu essere ritenuta
pregiudizievole per il decoro architettonico se apportata ad un edificio la cui estetica era stata gi menomata a
seguito di precedenti lavori ovvero che sia di mediocre livello architettonico.
Quindi neanche con la maggioranza dei 2/3 i condomini possono deliberare innovazioni che possono
potenzialmente creare problemi alla stabilit o alla sicurezza del fabbricato, al suo decoro architettonico o che
rendano alcune parti delledificio inservibili alluso e al godimento anche di un solo condomino.
Tra le ipotesi di innovazioni prese in esame dalla giurisprudenza sono state considerate vietate:
-la costruzione di unautorimessa condominiale nei casi in cui alteri la naturale funzione del cortile (consistente
nel dare arie e luce ai locali di propriet esclusiva che vi si affacciano e di consentire il libero transito per
accedere ai locali stessi;
-la soppressione dellimpianto centralizzato dellacqua calda compreso tra le parti comuni delledificio (vedi art.
117 n. 2 e 3 c.c.);
-la costruzione che occupi unarea destinata a rimanere libera in relazione alla sua destinazione ad area verde;
-le innovazioni che coinvolgono parti di propriet esclusiva;
-la collocazione di una rampa di accesso al portone di ingresso, richiesta da un portatore di handicap, tale da
richiedere opere di carattere murario allingresso ed interventi nel giardino comune tali da modificare lestetica
delledificio ed sottrarre superficie alla cosa comune;
-linnovazione consistente nella concessione in locazione di una parte dellandrone per la costruzione di in box
da adibire allo svolgimento di attivit commerciale;
Non sono considerate vietate, quelle che compromettono qualche facolt di godimento per tutti i condomini, a
meno che il danno che subiscano alcuni condomini non sia compensato dal vantaggio.(ad es. linstallazione di
pannelli solari, la modifica e lautomatizzazione dei cancelli di ingresso, linstallazione del impianto di citofono.)
La mancanza di provvedimenti della assemblea comporta la prorogatio dei poteri dell'amministratore
L'amministratore di un condominio, anche dopo la cessazione dalla carica per scadenza del termine di cui all'art.
1129 c. c., conserva ad interim i poteri conferitegli dalla legge, dall'assemblea o dal regolamento, e pu
continuare pertanto ad esercitarli, fino a che non sia sostituito con altro amministratore.(Cass. civ., 6 dicembre
1986, n. 7256)
La mancanza di nomina di un nuovo amministratore comporta la automatica prorogatio dei poteri
Qualora l'amministratore del condominio, dopo la scadenza del mandato annuale, non sia stato sostituito o
espressamente confermato con nuova deliberazione dei condomini, si verifica la proroga automatica dei suoi
poteri, senza che possa profilarsi la necessit di una sua apposita riconferma giudiziale, ai sensi dell'art. 1129 c.
c.(Trib. Monza, 21 marzo 1989)
Nomina: occorre sempre la maggioranza qualificata
La disposizione dell'art. 1136 comma 4 c.c. la quale richiede per la deliberazione dell'assemblea del condominio
di edifici riguardante la nomina o la revoca dell'amministratore la maggioranza qualificata di cui al comma 2
applicabile anche per la deliberazione di conferma dell'amministratore dopo la scadenza del mandato. ( Cass.
civ., sez. II, 4 maggio 1994, n. 4269, conforme Trib. Milano, 17 giugno 1991)
Revoca:irregolarit ravvisabile nella mancata apertura del conto condominiale
Non legittimo il comportamento dell'amministratore che, facendo affluire i versamenti delle quote condominiali
e dei fondi di riserva sul suo conto personale e non su un conto del condominio, generi una confusione del suo
patrimonio con quello di un condominio o di pi condominii e renda, peraltro, impossibile ogni controllo da parte
dei condomini che hanno il diritto soggettivo di fruire di una corretta gestione dei beni e dei servizi comuni. Tale
comportamento, indipendentemente dal consenso della maggioranza e pur trattandosi di un mandato collettivo,
rappresenta una irregolarit gestionale di gravit tale da portare da sola alla revoca dell'amministratore.(Trib.
Milano, 29 settembre 1993)
Revoca da parte dell'assemblea, non richiede giusta causa
La revoca dell'amministratore di un condominio, che pu avvenire in qualsiasi tempo, non richiede la
sussistenza di una giusta causa, in considerazione della natura fiduciaria del rapporto fra amministratore e
condominio, con la conseguenza che a seguito dell'adozione della delibera di revoca l'amministratore tenuto,
tra l'altro, a restituire ogni cosa di pertinenza del condominio, senza che per l'inottemperanza a tale obbligo si
debba fare ricorso al tribunale a norma dell'ultimo comma, art. 1105 c. c., potendosi legittimamente richiedere
l'adozione di un provvedimento di urgenza a norma dell'art. 700 c. p. c.( Cass. civ. , sez. I, 28 ottobre 1991, n.
11472)
Condominio Amministratore: Anagrafe Condominiale L'amministratore non ha l'obbligo di verificare i Registri
Immobiliari allo scopo di accertare se vi siano nuovi condomini,i quali non gli abbiano comunicato il proprio
acquisto.
"Tutti i condomini hanno diritto di esser convocati per partecipare alle delibere dell' assemblea, pur se, in
mancanza di attribuzioni di quote millesimali alle unita' immobiliari di cui sono titolari, non sussiste il loro obbligo
nella ripartizione delle spese per la conservazione e il godimento di beni comuni, ma onere dell' acquirente
dell' unit assumere iniziative, magari anche con l' alienante, per far conoscere all' amministratore di essere il

nuovo proprietario, non avendo questi l' obbligo di verificare i registri immobiliari. (Cass.985 del 4 febbraio 1999)"
Condominio. Poteri di rappresentanza dell'amministratore. A norma dell'articolo 1129 c.c. l'amministratore
rappresenta i condomini nelle liti, sia pure entro i limiti sanciti da tale norma e conseguenti alla natura del
condominio che mero ente di gestione, limitatamente alla amministrazione ed al buon uso delle cosa comune.
Il singolo condomino, per, mantiene la facolt di non farsi rappresentare nelle liti e di intervenire direttamente
nel giudizio, in ogni stato e grado e quindi anche in appello, anche se non abbia personalmente partecipate alle
fasi o ai gradi precedenti.
Il condominio non un soggetto giuridico dotato di propria personalit distinta da quella di coloro che ne fanno
parte, bens un semplice ente di gestione, il quale opera in rappresentanza e nell'interesse comune dei
partecipanti, limitatamente all'amministrazione e al buon uso della cosa comune, senza interferire nei diritti
autonomi di ciascun condomino. Ne deriva che l'amministratore per effetto della nomina ex art. 1129 cod. civ. ha
soltanto una rappresentanza "ex mandato" dei vari condomini e che la sua presenza non priva questi ultimi del
potere di agire personalmente a difesa dei propri diritti, sia esclusivi che comuni, costituendosi personalmente
anche in grado di appello per la prima volta, senza che spieghi influenza, in contrario, la circostanza della
mancata partecipazione al giudizio di primo grado instaurato dall'amministratore. ( Cass. N 7891 del 9 giugno
2000)
Condominio. Attribuzioni dell'amministratore. Ai sensi dell'articolo 1131 c.c. l'amministratore rappresenta i
condomini in tutte le liti passive che concernano le parti comuni e quindi il potere di rappresentanza si configura
senza che sia necessaria apposita delibera assembleare.
In tema di condominio di edifici, l'amministratore pu essere convenuto in giudizio per qualunque azione
concernente le parti comuni (art. 1131 comma secondo, cod. civ.) ed legittimato a resistere, analogamente e
correlativamente, in rappresentanza del condominio ed a proporre tutte le azioni che si rendessero necessarie
senza alcuna autorizzazione dell'assemblea. (Cass. n 6407 del 17 maggio 2000)
Condominio. Rappresentanza dell'amministratore. L'amministratore ha la rappresentanza dell'intero condominio,
anche quando si tratti di cose destinate a servire solo un gruppo dei condomini. Nel caso di condominio parziale,
quindi, la legittimazione passiva spetta comunque all'amministratore. Peraltro, nell'ambito dei soli rapporti interni
ai condomini, la sentenza restringe i suoi effetti ai soli interessati( la sentenza viene pronunciata nei confronti del
solo condominio, ma le condanne verranno poi materialmente a gravare solo sul gruppo dei condomini che usa
la parte comune)
In tema di condominio negli edifici, con riguardo alle controversie attinenti a cose, impianti o servizi appartenenti,
per legge o per titolo, soltanto ad alcuni dei proprietari dei piani o degli appartamenti siti nell'edificio (cosiddetto
"condominio parziale" ), non sussiste difetto di legittimazione passiva in capo all'amministratore dell'intero
condominio, quale unico soggetto fornito, ai sensi dell'art. 1131 cod. civ., di rappresentanza processuale in
ordine a qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio (salva, eventualmente, la restrizione degli
effetti della sentenza, nell'ambito dei rapporti interni, ai soli condomini interessati). (sentenza 651/2000 del 21
gennaio 2000 )
Condominio Amministratore, rappresentanza. L'amministratore, anche senza autorizzazione assembleare, non
solo pu chiedere la ingiunzione di pagamento nei confronti del condomino moroso, ma anche pu proporre
appello avverso la sentenza che abbia definito sfavorevolmente il giudizio di opposizione.
La riscossione dei contributi condominiali in base ad una deliberazione dell'assemblea di approvazione del
relativo stato di ripartizione rientra tra le attribuzioni dell'amministratore (artt. 1130 e 1131 cod. civ. ) il quale per
ottenerne il pagamento pu avvalersi del decreto ingiuntivo nell'interesse comune senza necessit di una
preventiva autorizzazione dell'assemblea, ed "a fortiori" pu impugnare la sentenza che sia stata emessa nel
giudizio nel quale abbia rivestito la qualit di parte. ( sentenza 29/2000 del 5 gennaio 2000 )
Amministratore, rappresentanza. L'amministratore pu agire in giudizio nell'abito delle sue attribuzioni, senza
che occorra alcuna autorizzazione assembleare
L'amministratore del condominio legittimato senza la necessit di una specifica deliberazione assembleare, ad
agire in giudizio nei confronti dei singoli condomini e dei terzi al fine di: a) eseguire le deliberazioni
dell'assemblea dei condomini; b) disciplinare l'uso delle cose comuni cos da assicurare il godimento a tutti i
partecipanti al condominio; c) riscuotere dai condomini i contributi in base allo stato di ripartizione approvato
dall'assemblea; d) compiere gli atti conservati dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio. (sentenza n 14088
del 15/12/1999)
In tema di quantificazione del danno subito dal locatore per il periodo intercorrente tra la data della sentenza di
rilascio dell'immobile e quella dell'effettiva riappropriazione occorre osservare i seguenti principi:
1) il conduttore tenuto a corrispondere al locatore, ai sensi dell'art. 1591 cod. civ., la somma determinata con
la prevista maggiorazione del canone nella misura del quinto oltre aggiornamenti ed oneri accessori;
2) detto importo dovuto per tutto il periodo di sospensione delle esecuzioni e sino all'effettivo rilascio;
3) per il periodo sino al termine della sospensione ope legis delle esecuzioni (o per quello giudizialmente fissato
per il rilascio, ex art. 56 della legge n. 392 del 1978) la corresponsione dell'ultimo canone cos maggiorato esime
il conduttore dall'obbligo di risarcire il maggior danno ex art. 1591, seconda parte, cod. civ., pur in costanza di
prova dell'esistenza di un pi grave pregiudizio fornita dal locatore;
4) per il periodo intercorrente tra la scadenza della sospensione ope legis e la data dell'effettivo rilascio, il
locatore, in virt della sentenza della Corte costituzionale n. 482 del 2000, ove ne abbia offerto la prova, pu
pretendere il risarcimento del maggior danno subito, rispetto a quello quantificato ex lege dall'art. 1 bis della
legge n. 61 del 1989.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 14624 depositata il 30 luglio 2004.


http://www.altalex.com/index.php?idnot=1434
Cassazione , sez. III civile, sentenza 08.01.2004 n 83
Qualora nel corso della costruzione di un fabbricato limprenditore tralasci di compiere le opere necessarie per
evitare il sinistro e le compia dopo che il sinistro si verificato per evitare o diminuire il danno, le spese relative
rimangono a suo carico e non si trasferiscono allassicuratore della responsabilit civile connessa alla
costruzione del fabbricato.
Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza n. 83 dell'8 gennaio 2004, limitando l'ambito di operativit dell'art.
1914 cod. civ. e sottolineando che non possibile comprendere nel rischio assicurato opere che costituivano ab
origine un costo necessario dellimpresa.
La Suprema Corte ha precisato che nella specie se le opere fossero state compiute al tempo dovuto, si sarebbe
evitato il sinistro e nessuna opera sarebbe stata necessaria per evitare o ridurre il danno.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=911
Cassazione n. 7772 - 2004
In tema di locazione al conduttore non consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo
unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ci anche
quando si assuma che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore.
Nella specie, mancato mantenimento della cosa locata in condizioni da servire all'uso convenuto. La
sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore , difatti, legittima soltanto
qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore.
Cassazione , SS.UU. civili, sentenza 29.10.2004 n 20957
on ricorribile per cassazione il decreto della Corte d'appello di cui all'art. 1129 c.c., che decide, in sede di
reclamo, sulla revoca dell'amministratore di condominio. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione,
con la sentenza n. 20957 del 29 ottobre 2004, precisando che il decreto in questione ha natura di provvedimento
sostanzialmente amministrativo che, pur se incidentalmente statuisce su posizioni giuridiche soggettive nascenti
dal rapporto di mandato costituitosi tra condominio ed amministratore, privo del carattere della decisoriet,
perch diretto a tutelare solo l'interesse obiettivo dell'amministrazione della cosa comune, nonch di quello della
definitivit, in quanto, ai sensi dell'art. 742 c.p.c., modificabile o revocabile in ogni tempo, non solo con effetto ex
nunc, in virt di nuovi elementi sopravvenuti, bens anche ex tunc per un riesame di merito e di legittimit delle
originarie risultanze. http://www.altalex.com/index.php?idnot=1707
Verifica degli impianti elettrici nei luoghi di lavoro
A norma del DPR 22 ottobre 2001, n. 462, nei locali di lavoro, la messa in esercizio degli impianti elettrici di
messa a terra e dei dispostivi di protezione contro le scariche atmosferiche non pu essere effettuata prima della
verifica eseguita dallinstallatore che rilascia la dichiarazione di conformit. La dichiarazione di conformit
equivale a tutti gli effetti ad omologazione dellimpianto (art. 1).Successivamente, oltre ad altri adempimenti, il
datore di lavoro tenuto ad effettuare regolari manutenzioni degli impianti, nonch a far sottoporre gli stessi a
verifica periodica ogni cinque anni (art. 4). Anche gli amministratori e i proprietari, quando sono tenuti ad
adeguarsi alla normativa.
Cass.civ., sez.II, 14 luglio 2000, n.9355,
Linterpretazione di un regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice di merito insindacabile in
sede di legittimit, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici per mancanza,
insufficienza o contraddittoriet della motivazione.
Trib. di Napoli, sez. X, 24 -01-2004, n. 955/04
L'installazione di una radio base di telefonia cellulare per la sua nature deputata al servizio di utenze esterne al
condominio, essendo destinata al funzionamento di un indistinto numero di persone che solo accidentalmente
potrebbe, in parte coincidere con i condomini dell' edificio stesso.
Conseguentemente il contratto (della durata di nove anni) con il quale si concede in locazione parte del terrazzo
condominiale, viene di fatto, ad imporre sul fabbricato un peso di natura reale consistente nel passaggio,
attraverso parti comuni dell'edificio (di cavi di collegamento), che determinano una situazione di fatto
corrispondente ad una "servit di passaggio di condurre di cavo (telefonico)", suscettibile di far maturare, con il
tempo l'usucapione di tale diritto.
N tale circostanza viene a perdere la sua natura di "peso di natura reale" per il solo fatto che il passaggio dei
cavi viene concesso con un contratto di locazione che costituisce un rapporto obbligazionario che escluderebbe
la natura "reale" del peso, che, pertanto, lesivo del diritto di propriet.
La delibera assembleare che autorizzI la installazione della stazione radio per la telefonia mobile cellulare, con
l'occupazione permanente di una parte del lastrico di propriet condominiale, deve perci essere adottata, a
pena di nullit radicale, con il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio.
Corte di Cassazione n21203 - 2004
Gli amministratori di condominio che svolgono la propria attivit senza organizzazione possono chiedere il
rimborso dell'Irap versata negli ultimi quattro anni.
Ci, in seguito alla sentenza della Corte di Cassazione 21203/04 che ha confermato le sentenze delle
Commissioni provinciale e regionale che avevano affermato che l'Irap non dovuta in caso di inesistenza di una
struttura stabile.
CANNE FUMARIE

Trib. di Napoli 17-03-1990 Muri perimetrali - Canna fumaria.


L'installazione di una canna fumaria in aderenza, appoggio o con incastro nel muro perimetrale di un edificio, da
parte di un condomino e' attivit lecita rientrante nell'uso della cosa comune, previsto dall'art. 1102, Codice civile
e come tale, non richiede ne' interpello ne' consenso degli altri condomini. La facolt incontra soltanto i limiti
costituiti dai diritti esclusivi altrui (ad esempio distanze dalle vedute, immissioni, etc.) e dal divieto di alterare il
decoro architettonico dell'edificio.
Trib. di Milano, sez. VIII, 26-03-1992 Muri perimetrali - Installazione di una canna fumaria - Ammissibilita' Condizioni.
L'uso ex art. 1102, Codice civile, della cosa comune da parte del comproprietario-condomino e' lecito quando: a)
non ne altera la naturale destinazione; b) non impedisce agli altri comproprietari di farne parimenti uso secondo
il loro diritto; c) non pregiudica la stabilit ed il decoro architettonico dell'edificio; d) non arreca danno alle singole
propriet esclusive. Applicando questi principi al caso concreto in esame, il Collegio ritiene che l'uso del muro
comune (che d sul retro dell'edificio) per appoggiarvi un'autonoma canna fumaria non ne altera la naturale
destinazione, non pregiudica la stabilit dell'edificio e forse non impedisce agli altri comproprietari di utilizzarlo
secondo il loro diritto. Ma non pu seriamente negarsi che l'installazione di due separate canne fumarie nel tratto
di facciata compreso tra i balconi e le finestre di ben cinque piani: 1) violi le norme sulle distanze legali (che non
puo' essere inferiore a 75 cm dai pi vicini sporti dei balconi delle propriet individuali); 2) riduca in modo
apprezzabile la visuale laterale che si gode soprattutto dalle finestre lungo le quali dovrebbe correre il manufatto;
3) ma soprattutto alteri il decoro architettonico della facciata intera dello stabile che ha una sua euritmia e dignit
che meritano di essere preservate nel preminente interesse della collettivit condominiale.
App. di Milano, sez. I, 21-06-1991 Uso della cosa comune - Muro perimetrale - Canna fumaria ad uso esclusivo
del singolo condomino - Limiti.
L'apposizione, da parte di un condomino e per propria esclusiva utilita', di una canna fumaria lungo il muro
perimetrale di un edificio, non integra una modificazione della cosa comune necessaria al suo miglior godimento,
da parte di tutti i condomini, ma costituisce innovazione soggetta alla disciplina dell'art. 1120, Codice civile. Deve
per questo ritenersi vietata, in primo luogo, quando costituisce un'evidente alterazione del decoro architettonico
dello stabile e, in secondo luogo, quando le caratteristiche del manufatto sono tali da sottrarre una parte del
muro condominiale all'uso degli altri condomini, i quali evidentemente non possono utilizzare la stessa porzione
di muro per appoggiarvi propri tubi o manufatti. Il consenso di tutti i condomini richiesto per gli atti direttamente
costitutivi di diritti reali sul fondo comune, non e' necessario per deliberare l'apposizione di una canna fumaria ad
uso esclusivo di un singolo condomino, nonostante che l'imposizione abusiva di questa possa condurre alla
costituzione di un diritto di servit per usucapione. L'unanimita' dei consensi prevista dall'art. 1108, Codice civile,
non e', infatti, richiesta per gli atti che possono determinare la costituzione di diritti reali solo con il concorso
dell'ulteriore ipotetico requisito dell'avvenuta maturazione del possesso ad usucapionem.
Cass. civile, sez. II del 29-08-1991, n. 9231.
Con riguardo ad edificio in condominio, una canna fumaria, anche se ricavata nel vuoto di un muro comune, non
necessariamente di propriet comune, ben potendo appartenere ad un solo dei condomini, se sia destinata a
servire esclusivamente l'appartamento cui afferisce, costituendo detta destinazione titolo contrario alla
presunzione legale di comunione.
Cass. civile, sez. II del 17-02-1995, n. 1719.
Nel caso in cui cessi l'uso di un impianto di riscaldamento condominiale non viene meno per questa sola ragione
il compossesso dei singoli comproprietari sulla relativa canna fumaria, sia perch riconducibile ai poteri del
titolare di un diritto reale la facolt di mettere o non mettere in attivit un impianto, sia perch la canna fumaria
va considerata come un manufatto autonomo, suscettibile di svariate utilizzazioni.
Cass. civile, sez. II del 08-04-1977, n. 1345.
In applicazione dell'art. 906 Cod. civ., la distanza legale per la collocazione di una canna fumaria sul muro
perimetrale comune, ad opera di uno dei condomini, non pu essere inferiore a 75 centimetri dai pi vicini sporti
dei balconi di propriet esclusiva degli altri condomini. Non , per, consentito al condomino installare sul muro
predetto - pur con l'osservanza delle distanze legali - canne fumarie che, per la loro dimensione o per la loro
ubicazione riducono in modo apprezzabile la visuale di cui altri condomini usufruiscono dalle vedute situate nello
stesso muro perch, diversamente, l'installazione costituirebbe innovazione eccedente i limiti segnati dall'art.
1102 Cod. civ., in relazione sia alla struttura del muro sia alla volont dei condomini ed all'uso della cosa
comune in concreto fatto da costoro.
Cass. penale, sez. III del 25-10-1988 n. 10396.
I lavori di innalzamento e copertura di una canna fumaria, in quanto completano "funzionalmente" un'opera
preesistente, richiedono la concessione edilizia.

Antenne cellulari
Il problema dell'installazione sulle terrazze condominiali di antenne cellulari sempre pi discusso: da un lato la
richiesta di spazi comuni per l'installazione di telefonia cellulare sempre pi vasta, dall'altro c' una diffidenza
da parte di molti condomini all'installazione di queste antenne in quanto molti credono che possano essere
dannose.
Dal punto di vista condominiale, il problema v visto in sede di legittimit di delibera che concede in locazione un
bene comune (quale pu essere un terrazzo) all'azienda di telefonia mobile. Come verr utilizzata la terrazza
non connesso alla problematica condominiale, ma privata, in quanto i singoli condomini potrebbero ricorrere a
vie legali per un "danno temuto" una volta che la delibera sia stata regolarmente effettuata. Questa delibera v
approvata con la maggioranza dei due terzi dei partecipanti al condominio.
In questo settore ci sono ancora pochissimi precedenti: uno quello del Tribunale di Piacenza, che in un caso
simile ha cos risolto il problema: (sentenza del 13/2/1998, n. 51): ''L'installazione di un ripetitore per telefonia
cellulare su di un lastrico solare situato in un edificio condominiale non costituisce violazione dell'art. 1122 c.c. in
quanto:
a) non sussiste alcun riscontro scientifico della pericolosit di tale impianto per la salute dei condomini;
b) la concessionaria del servizio di telefonia presenti all'autorit competente un progetto che attesti come
l'impianto suddetto non arrechi danni alla statica dell'edificio''
La Comunit Europea ha portato la tolleranza alle emissioni a 42V/m; l'Italia ha dimezzato i limiti previsti dalla
U.E. portandoli a 20V/m con l'obbligo di emissioni pari a non oltre 6 V/m in casi particolari, quali quelli di antenne
poste nelle vicinanze di immobili che vedano una permanenza continuativa superiore alle 4 ore.
Con il Progetto Cassiopea, Omnitel in collaborazione con il Comune di Catania ha voluto fare di pi e di meglio:
le quindici centraline dislocate nei punti di maggiore attenzione della citt di Catania, ovvero presso scuole,
ospedali, giardini pubblici, misurano costantemente i livelli di emissioni presenti in quella data area e li
trasmettono in tempo reale al data base del Comune che provvede a divulgarli ai cittadini tramite il sito internet
ed altri media. E' Importante sottolineare che il sistema e' stato donato da Omnitel al Comune ed i soli operatori
comunali ne hanno le chiavi di accesso.
Ogni cittadino dunque, pu collegarsi con il sito del Comune per sapere i livelli di campo elettromagnetico
presenti in una delle aree cittadine controllate dalle centraline , oppure pu telefonare alla Direzione Tutela
Ambiente dell' Amministrazione comunale per avere i dati richiesti.
Vietato appropriarsi delle parti condivise
Sezione II, sentenza 19 novembre 2004, n. 21901
Nell'ipotesi di costruzioni eseguite da un condomino sul suolo comune non trovano applicazione, in presenza
della disciplina speciale dettata in tema di comunione, le norme relative all'accessione, costituendo innovazione
della cosa comune una modificazione della forma o della sostanza del bene che abbia l'effetto di alterarne in
maniera determinante la consistenza materiale e la destinazione originariamente prevista.
Fornitori condominiali: attenti allo statale
Le disposizioni previste dai commi 9 e II dell' art. 53 del Decreto Legislativo n. 165 del 20 marzo 2001,
prevedono il divieto di conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la preventiva autorizzazione
dell'amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi.
L'amministratore obbligato a richedere al fornitore una preventiva autocertificazione dalla quale si possa
rilevare eventualmente l'amministrazione pubblica d'appartenenza.
Con l'autocertificazione possibile ugualmente affidare l'incarico condominiale, ma la norma prevede l'obbligo di
comunicare entro il 30 aprile i compensi erogati nell'anno precedente.
In caso contrario il nucleo ispettivo della Guardia di Finanza, incaricato dell'accertamento delle violazioni, applica
la sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti ai sensi della legge 24/11/1981, n. 689.
Sentenza Corte di Cassazione (sez. 1 penale) n. 1109 del 9 dicembre 1999
La Corte di Cassazione (sezione 1 penale) con sentenza n. 1109 del 9/12/1999, che fa giurisprudenza e pu
essere citata come precedente, ha annullato una sentenza con la quale la Corte dAppello di Bologna
determinava in 300mila lire di ammenda a tre milioni di lire di risarcimento danni la pena ad un signore perch
non impedendo gli strepiti e labbaiare di un cane detenuto presso la propria abitazione, disturbava il riposo e le
occupazioni delle persone dimoranti nei pressi.
La Corte di Cassazione ha stabilito che necessario per la configurabilit della contravvenzione di cui
allarticolo 659 I comma del Codice Penale (disturbo alla quiete pubblica n.d.r.) che i lamentati rumori abbiano
attitudine a propagarsi ed a costituire quindi disturbo per una potenziale pluralit di persone, ancorch nono
siano state poi disturbate () necessario che i rumori siano obbiettivamente idonei ad incidere negativamente
sulla tranquillit di un numero indeterminato di persone() tale situazione non ricorre nel caso di specie poich
labbaiare del cane dellimputato ha recato disturbo soltanto ai vicini di casa, n altrimenti poteva essere,
trattandosi di abitazione, secondo le testimonianze assunte ( il comportamento omissivo dellimputato che non
prontamente intervenuto per far cessare i continui latrati n.d.r.) integra tuttal pi un semplice illecito civile ()
annulla quindi senza rinvio la sentenza impugnata perch il fatto non sussiste.
Professionisti di impianti in campo edilizio: istituito l'albo
Decreto Ministero Attivit Produttive 24.11.2004
I professionisti chiamati a realizzare impianti in campo edilizio dovranno essere iscritti ad un apposito Albo
tenuto dalla Camera di commercio, industria e artigianato. E' quanto prevede il Decreto 24 novembre 2004 del
Ministro delle Attivit Produttive pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 9 dicembre 2004. Rientrano nella
normativa una serie di impianti, tra cui:

gli impianti di produzione, di trasporto, di distribuzione e di utilizzazione dell'energia elettrica all'interno degli
edifici a partire dal punto di consegna dell'energia fornita dall'ente distributore;
gli impianti radiotelevisivi ed elettronici in genere, le antenne e gli impianti di protezione da scariche
atmosferiche;
gli impianti di riscaldamento e di climatizzazione azionati da fluido liquido, aeriforme, gassoso e di qualsiasi
natura o specie;
gli impianti di sollevamento di persone o di cose per mezzo di ascensori, di montacarichi, di scale mobili e simili;
gli impianti di protezione antincendio. http://www.altalex.com/index.php?idnot=2454
Con la sentenza n. 10683 del 22 luglio 2002 la Corte di Cassazione ha statuito che: "Ai fini del computo delle
maggioranze dellassemblea condominiale, non si deve tener conto del voto del condomino titolare, in relazione
alloggetto della deliberazione da adottare, di un interesse particolare contrastante, ancorch solo virtualmente,
con quello del condominio"
Sulla stessa lunghezza donda era stata Cass. n. 1201 del 30.1.2002 che per altro verso si discosta dal
precedente orientamento (cfr. Cass. n. 7226 del 6.8.1997) laddove afferma che della quota del condomino in
conflitto debba tenersi conto per il diverso fine del calcolo sia del quorum necessario alla valida costituzione
dellassemblea sia di quello utile per le deliberazioni ex art. 1136 c.c.
Tribunale Nola, sez. II, sentenza 15.09.2004
Il promittente acquirente non tenuto ad osservare i termini di decadenza di cui all'art. 1495 cc per la denuncia
dei vizi della cosa venduta. Lo ha stabilito il Tribunale di Nola, con la sentenza del 15 settembre 2004,
ricordando che vertendosi in ipotesi di contratto preliminare di vendita caratterizzato dalla mancanza dell'effetto
traslativo non trovano applicazione le norme sulla garanzia della cosa venduta, che hanno come presupposto
l'avvenuto trasferimento della propriet del bene. Il giudice ha precisato inoltre che l'inadempimento grave
sussiste nel caso in cui i vizi dell'immobile siano tali da rendere il bene offerto del tutto difforme rispetto a quello
promesso in vendita ed inidoneo ad essere utilizzato come abitazione.
Dalla consulenza emerso che : le pareti ed i soffitti di tutti gli ambienti dellappartamento sono interessati da
zone ammalorate tipiche da fenomeni di condensa, con muffe localizzate in prossimit del cemento (
precisamente agli angoli soffitto-parete e parete-parete) dove la superficie presenta una temperatura inferiore
rispetto alle zone con laterizi; vi una localizzata infiltrazione ed i materiali usati, tenuto conto anche del tipo di
fabbricato ( costruzione da speculazione edilizia ), appaiono di qualit mediocre; le cause delle infiltrazioni vanno
individuate nella mancanza di una idonea coibentazione termica delle pareti esterne e del terrazzo di copertura
unitamente ad una sfavorevole esposizione dellimmobile e non sono neanche in minima parte riconducibili alle
opere realizzate dallattrice (cfr. pag. 4 e 5 della ctu). Le condizioni dellimmobile di cui si controverte risultano
comprovate anche dal sopralluogo effettuato in data 4.2.1998 dal Servizio Ecologia Igiene e Profilassi dellASL
NA 4, versato in atti, dal quale si evince che : le pareti perimetrali della stanza da letto, i soffitti e le pareti dei
servizi igienici e la stanza dei bambini si presentano invase da muffe ed evidenti macchie di umidit; tutto ci
pu comportare grave pericolo per la salute delle persone che vi abitano.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=2507
Le spese per i balconi aggettanti
Cassazione civile, sez. II, 30 luglio 2004, n. 14576
Con la sentenza numero 14576 del 30 luglio 2004 , la Corte di Cassazione ha preso in esame la ripartizione
delle spese dovute per quanto riguarda i balconi aggettanti affermando che essi costituiscono un
"prolungamento" della corrispondente unit immobiliare e, quindi, appartengono in via esclusiva al proprietario di
questa; soltanto i rivestimenti ed elementi decorativi della parte frontale e di quella inferiore, quando si
inseriscono nel prospetto dell'edificio e contribuiscono a renderlo esteticamente gradevole, si debbono
considerare beni comuni a tutti.
Con la conseguenza che anche nei rapporti con il proprietario di analogo manufatto che sia posto al piano
sottostante sulla stessa verticale, nell'ipotesi di strutture completamente aggettanti - in cui si pu riconoscere alla
soletta del balcone funzione di copertura rispetto al balcone sottostante e, trattandosi di sostegno, non
indispensabile per l'esistenza dei piani sovrastanti - non si pu parlare di elemento a servizio di entrambi gli
immobili posti su piani sovrastanti, n quindi di presunzione di propriet comune del balcone aggettante riferita
ai proprietari dei singoli piani.
Le regole per cambiare le tabelle millesimali
Sezione II, sentenza 28 giugno 2004 n. 11960
La Cassazione ha ricordato che le tabelle allegate al regolamento condominiale possono essere di natura
convenzionale (negoziale, contrattuale), quando sono state predisposte dal costruttore o dall'unico proprietario
iniziale del palazzo, accettate dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e trascritte regolarmente, ovvero quando
sono il frutto di specifico accordo fra tutti i condomini.
Per questo tipo di tabelle millesimali l'unica possibilit di modifica una deliberazione unanime di tutti gli
interessati oppure occorre un atto dell'autorit giudiziaria.
La delibera che modifichi le tabelle o i criteri di ripartizione delle spese comuni nulla se assunta dall'assemblea
senza che siano stati convocati tutti i condomini o senza il loro consenso unanime.
Nel caso invece che si tratti di tabelle millesimali approvate da una normale assemblea condominiale,la modifica
possibile a maggioranza con nuova delibera assembleare.
Ci in quanto in tal caso vige il principio di maggioranza che vincola anche gli eventuali dissenzienti e, quindi,
non necessaria la delibera all'unanimit come per le tabelle di origine contrattuale.

Cass. sentenza n. 1004/2004 Costituisce innovazione, vietata ai sensi dell'art. 1120 secondo comma, cod. civ.
e, come tale, affetta da nullit, l'assegnazione nominativa da parte del Condominio a favore di singoli condomini
di posti fissi nel cortile comune per il parcheggio della seconda autovettura, in quanto tale delibera, da un lato,
sottrae l'utilizzazione del bene
comune a coloro che non posseggono la seconda autovettura e,
dall'altro, crea i presupposti per l'acquisto da parte del condomino, che usi la cosa comune con animo domini,
della relativa propriet a titolo di usucapione, non essendo a tal fine necessaria l'interversione del possesso da
parte del compossessore il quale, attraverso l'occupazione della relativa area, eserciti un possesso esclusivo,
impedendo automaticamente agli altri condomini di utilizzarla allo
stesso modo.
Muro comune e canna fumaria
Cass. n. 8852 - 2004
L'uso particolare o pi intenso del bene comune ai sensi dell'art. 1102 cod. civ. presuppone, perch non si
configuri come illegittimo, che non ne risulti impedito l'altrui paritario uso n modificata la destinazione n
arrecato pregiudizio alla stabilit, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.
Ne consegue che l'inserimento di una canna fumaria all'interno del muro comune ad esclusivo servizio del
proprio immobile, non pu considerarsi utilizzazione in termini di mero "appoggio" della stessa al muro comune,
secondo quello che, a determinate condizioni, pu costituire uso consentito del bene comune ai sensi della
norma in questione, stante il suo peculiare carattere di invasivit della propriet altrui, anche sotto i meri profili
delle immissioni di calore e della limitazione rispetto ad altre possibili e diverse utilizzazioni della cosa che ne
derivano.
Cassazione civile, sez. II, 27 gennaio 2003, n. 1151 Non applicabile la l. 26 ottobre 1995 n. 477, sull'
inquinamento acustico, alla disciplina delle immissioni sonore o da vibrazioni o scuotimenti atte a turbare il bene
della tranquillit nel godimento degli immobili adibiti ad abitazione poich tale normativa, come quella contenuta
nei regolamenti locali, persegue interessi pubblici, disciplinando, in via generale ed assoluta, e nei rapporti cd.
verticali fra privati e la p.a., i livelli di accettabilit delle immissioni sonore al fine di assicurare alla collettivit il
rispetto di livelli minimi di quiete. Proprio nell'art. 844 c.c., va rinvenuta la disciplina delle immissioni moleste in
alienum nei rapporti fra privati alla stregua delle cui disposizioni, quand'anche dette immissioni non superino i
limiti fissati dalle norme di interesse generale, il giudizio in ordine alla loro normale tollerabilit va compiuto
secondo il prudente apprezzamento del giudice che tenga conto delle particolarit della situazione concreta".
Obbligo del locatore di versare gli interessi legali
Cass. Sez. III, N 12117 del 19/8/2003
L'obbligo del locatore di versare al conduttore gli interessi legali sul deposito cauzionale inderogabile.
Tale norma impedisce che vengano attribuite al locatore somme non dovute, e che comunque rappresentino un
incremento del canone di locazione, e inoltre posta a tutela del contraente debole (inquilino).
Quindi, sono colpite da nullit quelle clausole contrattuali che non prevedano la produzione di interessi legali sul
deposito cauzionale o il loro pagamento a favore del conduttore.
Obbligatoria la comunicazione per chi affida lavori a imprese edili
La normativa in materia di lavoro, approvata con decreto legislativo 276 del 2003, prevede che nel settore
dell'edilizia privata il committente dei lavori deve richiedere all'impresa esecutrice il certificato di iscrizione alla
Camera di commercio, la dichiarazione sull'organico medio annuo e sul tipo di contrattoapplicato alla
manodopera e, infine, il certificato di regolarit contributiva (DURC) rilasciato da INAIL, INPS o Casse edili.
Tutta la documentazione di cui sopra deve essere trasmessa al comune, indicando l'impresa esecutrice dei
lavori. La mancanza del DURC comporta la sospensione della efficacia delle autorizzazioni comunali anche nel
caso in cui nella esecuzione dei lavori subentri una nuova impresa a quelle inizialmente in attivit.
"l'invio, unitamente all'avviso di convocazione, dell'invito ai condomini a partecipare all'assemblea di seconda
convocazione fa si che essa diventi automaticamente di prima convocazione (...)" (Sentenza Trib. di Milano del
15/04/76).
"L'invito dell'Amm.re ai condomini a presentarsi solamente all'assemblea di seconda convocazione, trasforma
quest'ultima in assemblea di prima convocazione con tutte le conseguenze inerenti" (Sentenza Trib. di Milano
del 21/04/1977).
Analogamente afferma la sentenza nr. 1639 del 13/10/1978 della Corte di Appello di Milano da cui discende che
l'assemblea quindi da considerarsi di prima convocazione e che per la sua validit occorre il quorum del I
comma dell'art. 1136 C.C. e qualora non si raggiunga, l'assemblea colpita da nullit. Rifacendoci alla
sentenza 1639 della Corte di Appello di Milano del 13/10/1978 si afferma "I quorum richiesti dall'art. 1136 C.C.
sono un elemento costitutivo dell'assemblea: la loro mancanza RENDE NULLE le riunioni assembleari E TALE
NULLITA' PUO' ESSERE FATTA VALERE OLTRE I TERMINI DI DECADENZA di cui all'art. 1137 C.C. ed
anche se il condomino impugnante in assemblea nulla ha eccepito."
Di conseguenza: "poich la nullit non pu essere sanata essa potr sempre essere invocata da chicchesia
anche da chi ha dato concorso o da chi non l'ha fatta rilevare" (Sentenza 3060/69 del Giudice di Legittimit)
come nella fattispecie.
Risoluzione Agenzia delle Entrate n. 130/E del 20 ottobre 2004 - Aliquota agevolata per attivit di spurgo pozzi
neri. L'Agenzia delle Entrate con la risoluzione di cui all'oggetto ha messo un punto fermo su quello che il

trattamento fiscale da seguire ai fini Iva per le attivit di spurgo di pozzi neri che con si esauriscano in "un mero
scarico diretto nel corpo idrico ricettore ma vengano trasportati verso un sito esterno di trattamento e
smaltimento". Infatti si afferma che in questo caso, ribadisco quando ci sia lo smaltimento presso una discarica
dei liquami, l'iva che la Societ di spurgo deve applicare quella del 10% e non del 20%.
Una nota importante che la Risoluzione evidenzia che questa agevolazione era prevista nel cd. Decreto
Ronchi e andava, va, applicata autonomamente dalle Societ di spurgo, trattasi di una espressa previsione
normativa, senza che il Condominio o l'Amministratore per esso, ne chiedesse l'applicazione.
In base a detta Risoluzione sorgono i presupposti affinch il Condominio possa richiedere alla Societ che ha
effettuato il servizio di spurgo liva versata in pi (il 10%).
Sezione II, ordinanza 16 novembre 2004, n. 21703
In tema di contestazione sull'invalidit della risoluzione assembleare, sollevata da un condomino nei confronti
del proprio condominio, per appurare l'inesistenza dell'obbligo di pagare la propria quota della spesa deliberata
in via congiunta, la controversia deve intendersi imprescindibilmente estesa alla nullit dell'intero rapporto. Il
valore complessivo del rapporto quello rilevante ai fini della determinazione della competenza, interessando la
questione da decidere non il solo obbligo del singolo, ma l'intera spesa oggetto della deliberazione, la cui validit
non pu formare oggetto di riscontro in via semplicemente incidentale.
Niente prelazione a contratto scaduto
Il diritto di prelazione o di riscatto previsto dagli artt. 38 e 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392, a favore del
conduttore di immobile non abitativo, presuppone che la locazione sia in corso de iure al momento in cui il
locatore aliena l'immobile locato, atteso che la sussistenza del rapporto costituisce l'elemento essenziale per la
destinazione dell'immobile all'attivit imprenditoriale alla cui conservazione finalizzata la prelazione stessa,
restando pertanto esclusa la permanenza di detto diritto nei periodi di dilazione dell'esecuzione del
provvedimento di rilascio o di ritardo nella restituzione dell'immobile.
Rientra tra gli obblighi del notaio, che sia richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita
immobiliare, lo svolgimento delle attivit accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato
voluto dalle parti e, in particolare, il compimento delle visure catastali e ipotecarie allo scopo dindividuare
esattamente il bene e verificarne la libert, salvo espresso esonero da tale attivit per concorde volont delle
parti, essendo comunque il notaio tenuto allesecuzione del contratto di prestazione dopera professionale
secondo i canoni della diligenza qualificata di cui allart. 1176, comma 2, del Cc e della buona fede (Cass. Sez.
II, 9-9-2004 n. 18147)
In caso di morte dellassegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, si determina la cessazione
dellassegnazione-locazione e il ritorno dellalloggio nella disponibilit dellaente, il quale pu procedere,
nellesercizio del suo potere discrezionale, a una nuova assegnazione eventualmente a favore dei soggetti
indicati nellart. 12 del Dpr n. 1035 del 1972 che, in qualit di conviventi e in presenza ovviamente delle altre
condizioni generali previste dalla normativa, hanno un titolo preferenziale per lassegnazione, laddove da
escludere che possa configurarsi un diritto al subentro automatico in base ad una interpretazione dei principi
generali in materia di edilizia residenziale pubblica, atteso che lunico titolo che abilita alla locazione
lassegnazione, competendo ogni controversia al riguardo al giudice amministrativo (Cass. Sez. I, n.
18738/2004).
Il sottotetto pu consederarsi pertinenza dellultimo piano delledificio quando assolva allesclusiva funzione di
isolare e proteggere quellappartamento dal caldo, dal freddo e dallumidit, tramite la creazione di una camera
daria, non anche quando abbia dimensioni e caratteristiche strutturali che ne consentano lutilizzazione come
vano autonomo. In tale ultima ipotesi, infatti, lappartenenza del bene si determina in base al titolo, in mancanza
o nel silenzio del quale, non essendo il sottotetto compreso nel novero delle parti comuni delledificio, essenziali
per la sua esistenza o necessarie alluso comune, la presunzione di comunione ex art. 1117 del c.c.
applicabile solo nel caso in cui il vano, per sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente
destinato alluso comune oppure allesercizio di un servizio di interesse condominiale (Cass. n. 18131/2004).
il debitore che sostituisca il mezzo di pagamento pattuito costituito dallassegno circolare con un versamento
tramite bonifico bancario compie un inesatto adempimento privo, ai sensi dellart. 1197 c.c., di effetto liberatorio
in quanto non solo effettua il pagamento con un mezzo non equivalente al denaro contante ma lo effettua in un
luogo diverso da quello pattuito (Cass. 17961/2004).
Lart. 1120 del codice civile, nel richiedere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini
con determinate maggioranze, mira essenzialmente a disciplinare lapprovazione di innovazioni che comportino
una spesa da ripartire tra tutti i condomini su base millesimale; tuttavia, qualora non debba farsi luogo a un
riparto di spesa per essere stata questa assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova
applicazione la norma generale di cui allart. 1102 del c.c. che contempla anche le innovazioni, e secondo cui
ciascun partecipante pu servirsi della cosa comune purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli
altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine il condomino interessato pu apportare a
proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa medesima. Ricorrendo tali
condizioni un condomino, pertanto, ha facolt di installare nella tromba delle scale delledificio condominiale un
ascensore, ponendolo a disposizione degli altri condomini e pu far valere il relativo diritto con azione di
accertamento in contraddittorio degli altri condomini che contestano il diritto stesso, indipendentemente dalla
mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo (Cass. Sez. II
Civ. 23-9-1998, n. 3508).
Condomino deve contestare l'intera spesa non limitandosi alla propria quota
Cassazione , sez. II civile, ordinanza 16.11.2004 n 21703
Nella controversia promossa da un condomino nei confronti del condominio al fine di sentir dichiarare

l'inesistenza dell'obbligo di pagare la propria quota di spesa deliberata in via generale per tutti i condomini
sull'assunto dell'invalidit della deliberazione assembleare, la contestazione deve intendersi necessariamente
estesa all'invalidit dell'intero rapporto, il cui complessivo valore quello rilevante ai fini della determinazione
della competenza, atteso che il thema decidendum finisce per riguardare non il solo obbligo del singolo, ma
l'intera spesa oggetto della deliberazione, la cui validit non pu formare oggetto di riscontro in via meramente
incidentale.E' questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione nell'ordinanza 21703 depositata il 16
novembre 2004. (In tal senso anche Cass. 8447/2000) http://www.altalex.com/index.php?idnot=3045
Mancata comunicazione di convocazione assemblea Cass. 5 maggio 2004, n. 8493
La mancata comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale ad un condomino, in
quanto vizio del procedimento collegiale, comporta non gi la nullit, ma l'annullabilit della delibera che, ove
non impugnata nel termine di trenta giorni , valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio.
22/11/2004 IL SOLE 24 ORE
La destinazione tipica del cortile comune quelle di dare aria e luce ai locali che vi si affacciano. Il cortile serve
anche, in generale, per il passaggio di cose e di persone, per il gioco dei bimbi oppure per consentire ai
condomini di accedere nell'area condominiale per il carico e scarico di merce.
La necessit di reperire spazi per parcheggiare autoveicoli impone all'assemblea, ormai con sempre maggior
frequenza, di adattare la destinazione delle cose comuni alle mutate esigenze della vita. Il cortile, se il
regolamento non lo vieta, pu essere adibito a parcheggio delle auto, assicurando in tal modo il migliore
godimento del bene comune a tutti i partecipanti al condominio.
Pi in generale, l'assemblea pu deliberare a maggioranza di destinare aree condominiali scoperte a parcheggio
per i condomini, senza la necessit del consenso unanime di tutti i condomini. Non pu per decidere di
posizionare nel cortile singole autorimesse a beneficio, anche se a pagamento, soltanto di alcuni condomini;
tanto meno pu disporre l'assegnazione nominativa di posti fissi del cortile comune in favore di singoli condomini
in quanto, cos decidendo, andrebbe a escludere il diritto degli altri condomini di fare pari uso del bene comune.
Neppure pu prevedere il parcheggio solo in favore dei condomini proprietari di una determinata quota
millesimale, vietandone invece l'uso ai titolari di quote minori. Nel caso in cui il cortile non sia sufficiente a
contenere le auto di tutti i condomini, l'assemblea deve deliberarne l'uso turnario: tale criterio infatti ritenuto
l'unico idoneo a garantire il pari diritto di godimento del bene da parte di ogni condomino qualora la cosa
comune non sia in grado di garantire un contemporaneo suo uso da parte di tutti. Periodicamente si dovr quindi
provvedere ad assegnare i posti auto in modo da garantirne la disponibilit a coloro rimasti esclusi dalla prima
assegnazione.
valida infine la delibera che pone a carico di colui che parcheggia l'onere di versare un periodico compenso
nei limiti di un maggior contributo per l'usura che il transito e la sosta comportano del bene comune.
In caso di mora nel pagamento dei contributi condominiali protratta per oltre sei mesi, l'amministratore, laddove il
regolamento vigente lo autorizzi espressamente, puo' sospendere al condomino l'utilizzazione dei servizi comuni
(ad esempio il riscaldamento, l'acqua calda, i citofoni, ) suscettibili di godimento separato, attraverso le
necessarie operazioni sugli impianti, anche da eseguirsi all'interno della propriet esclusiva del condomino
moroso, obbligato a tollerare tali attivit sia in forza dello stesso accertamento della facolt ex art. 63 disp. att.
c.c. in capo alla collettivit, sia in forza della specifica disposizione regolamentare.
(sentenza del Tribunale Milano, 19 ottobre 1998)
Cass. civ., sez. II, 18-05-2001, n. 6853
L'ordinamento giuscivilistico, pur riconoscendo al condominio una sia pur limitata personalit giuridica,
attribuisce pur tuttavia ad esso potest e poteri di carattere sostanziale e processuale, cos che deve ritenersi
applicabile, quanto al computo della maggioranza della relativa assemblea, la norma dettata in materia di
societ , per il conflitto di interessi, con conseguente esclusione dal diritto di voto di tutti quei condomini che ,
rispetto ad una deliberazione assembleare, si pongano come portatori di interessi propri, in potenziale conflitto
con quello del condominio.
Ai fini della invalidit della delibera assembleare, peraltro, tale conflitto non configurabile qualora non sia
possibile identificare, in concreto, una sicura divergenza tra ragioni personali che potrebbero concorrere a
determinare la volont dei soci di maggioranza ed interesse istituzionale del condominio
Sentenza n. 10683 del 22 luglio 2002, della Corte di Cassazione : "Ai fini del computo delle maggioranze
dellassemblea condominiale, non si deve tener conto del voto del condmino titolare, in relazione alloggetto
della deliberazione da adottare, di un interesse particolare contrastante, ancorch solo virtualmente, con quello
del condominio", con la conseguenza che se secondo quanto nel caso in cui, per la consistenza della quota del
condomino in conflitto, lassemblea risultasse priva della maggioranza utile per potere validamente deliberare, la
paralisi sarebbe superabile con il ricorso al giudice ex art. 1105, 4 comma, c.
Quanto all'analogia con la norma di diritto societario, la Corte, mutando il precedente orientamento, non ha
condiviso in parte lapplicazione dellart. 2373 c.c. alla materia condominiale affermando che se vero che: "...al
condominio, in virt della ratio consimile, possibile estendere il divieto di esercitare il diritto di voto per il
condomino in potenziale conflitto dinteressi" poi "al contrario, in presenza di una disciplina peculiare delle
maggioranze assembleari, configurata dalla inderogabilit in meno anche per contratto, avuto riguardo alla
funzione strumentale del principio maggioritario, in ragione della tutela dei diritti dei singoli sulle parti comuni e
della garanzia del godimento delle unit immobiliari in propriet solitaria, non sembra corretto applicare il
discusso principio elaborato in tema di societ di capitali e calcolare le quote dei partecipanti in potenziale
conflitto dinteressi ai fini del conteggio del quorum costitutivo e di escluderle, invece, dal computo del quorum
deliberativo"

E' legittima l'approvazione, con la maggioranza semplice dell'assemblea, del piano di riparto spesa riparazione
antenna TV comune in parti uguali fra i condomini, anzich in proporzione al valore millesimale delle singole
propriet, trattandosi di spesa destinata a servire in parti uguali i condomini"
(Cass. n. 2916 del 2 agosto 1969)
Ricorso al procedimento ingiuntivo nei confronti del condomino moroso
Cass. II Sez. Civ. n. 10826 del 8 giugno 2004
Il ricorso da parte dell'amministratore del condominio al procedimento ingiuntivo ai sensi dell'art. 63 delle
disposizioni di attuazione del c.c., nei confronti del condomino moroso in base al preventivo delle spese
confermato dall'assemblea richiede la ricorrenza dell'approvazione del bilancio ( consuntivo o preventivo) da
parte dell'assemblea.
Disdetta intimata dal locatore al conduttore alla prima scadenza
Cass. III Sez. Civ. n. 11232 del 14 giugno 2004
In tema di locazioni di immobili non abitativi la disdetta intimata dal locatore al conduttore alla prima scadenza,
anche se fuori tempo e non motivata (art. 29 della legge n. 392 del 1978) e, perci, non idonea di per s sola a
produrre gli effetti suoi propri, determina, tuttavia, in caso di adesione del conduttore, la fine del rapporto locativo
alla data bilateralmente concordata.
Ascensore. L'articolo 1124 c,c, con disposizione affatto univoca, obbliga sempre e comunque a seguire lo
speciale criterio piano/millesimi, vuoi per la manutenzione ordinaria, vuoi per le manutenzione straordinaria,
vuoi, addirittura per la integrale ricostruzione. Unica possibile eccezione la installazione di un impianto del tutto
nuovo.
Le spese in argomento devono essere suddivise secondo i criteri dettati dallarticolo 1124 c.c e, quindi, secondo
le tabelle eventualmente redatte in applicazione di tale norma di legge.
Cos si espressa la Cassazione con le sentenze n. 2833/99,n. 8657/96 e n. 5479/91, e il Tribunale di Genova,
in data 27 marzo 1998.
Ascensore. In tema di condominio di edifici la regola posta dall'art. 1124 c. c. relativa alla ripartizione delle spese
di manutenzione a ricostruzione delle scale (per met in ragione del valore dei singoli piani o porzione di piano,
per l'altra met in misura proporzionale alla altezza di ciascun piano dal suolo) applicabile per analogia,
ricorrendo l'identica ratio, alle spese relative alla manutenzione e ricostruzione dell'ascensore gi esistente;
nell'ipotesi, invece, d'installazione ex novo dell'impianto dell'ascensore trova applicazione la disciplina dell'art.
1123 c. c. relativa alla ripartizione delle spese per le innovazioni deliberate dalla maggioranza (proporzionalit al
valore della propriet di ciascun condomino). Cass. civ., Sez.II, 16/05/1991, n.5479)"
Solo le spese per la realizzazione ex novo dell'impianto prima non esistente vanno suddivise in ragione dei
millesimi di propriet.
Per ogni altro intervento si dovr applicare il criterio di cui all'articolo 1124 c.c" (tratto da ASCENSORI:
INSTALLAZIONE EX NOVO, MANUTENZIONI E ADEGUAMENTI - Editoriale dell'avv. EUGENIO ANTONIO
CORREALE dalla Rivista "L'Amministratore " dell'aprile 2002)
"La sostituzione di ascensori usurati e non pi agibili con ascensori nuovi, anche di tipo e marca diversi,
conformi alle nuove tecniche, non costituisce innovazione poich le cose comuni oggetto delle modifiche
(strutture del vano ascensore e locali annessi, cabina) non subiscono alcuna sostanziale trasformazione e
conservano la loro destinazione strumentale al servizio, anche se si realizzano mutamenti alla loro
conformazione."
Corte app. civ. Milano, sez. I, 9 ottobre 1987, n. 1983.
Ai condomini non inibito di derogare ai criteri legali sulla ripartizione delle spese, possono farlo con apposita
convenzione (cio con un contratto e non con una delibera assembleare adottata a maggioranza), "stante
quanto disposto dall'inciso finale del comma 1 dell'articolo 1123 del Codice civile (si veda, al riguardo,
Cassazione 16 febbraio 2001, n. 2301; Cassazione 29 gennaio 2000, n. 1033 e Cassazione 25 marzo 1999, n.
2833). Ne consegue che le delibere assembleari aventi a oggetto la ripartizione delle spese comuni, con le quali
si "deroga" ai criteri legali di ripartizione delle spese medesime, devono essere adottate con il consenso
unanime dei partecipanti al condominio, in quanto incidono sui diritti individuali dei singoli condomini. In caso
contrario sono affette da nullit radicale (in questo senso si veda: Cassazione 16 febbraio 2001, n. 2301,
Cassazione 5 gennaio 2000, n. 31 e Cassazione 2 ottobre 2000, n. 3013; ove stato precisato che la modifica
del criterio di riparto delle spese comporta nullit, e non annullabilit, della relativa delibera assembleare per
impossibilit dell'oggetto, trattandosi di decisione rispetto alla quale l'assemblea non ha poteri). L'azione di
nullit potr essere proposta senza limitazioni di tempo, non essendo essa soggetta n al termine di decadenza
di trenta giorni previsto per le
delibere annullabili n tanto meno a prescrizione.
Realizzazione di un vano scale nel cortile comune
Cass. II Sez. Civ. sent. n.13600 del 21luglio 2004
E' illegittima la realizzazione, nel cortile comune, di un vano scale allo scopo di consentire un nuovo accesso al
seminterrato di propriet di un singolo condomino semmai si accerti che tale struttura, per le sue dimensioni e
caratteristiche strutturali, compromette l'uso e il godimento del cortile comune come esercitati in precedenza da
parte degli altri condomini.

Il distacco dall'impianto centrale di riscaldamento pu essere autorizzato dall'assemblea


Sezione III, sentenza 14 gennaio 2005, n. 680
I proprietari delle unita abitative che richiedono il distacco dall'impianto centrale di riscaldamento non devono
ritenersi pi tenuti a contribuire alle spese se l'assemblea condominiale ritiene che lo stesso determina una
effettiva riduzione delle spese di esercizio evitando, naturalmente, uno squilibrio del regolare funzionamento
dell'impianto.
Spese condominiali: solo il vero proprietario legittimato passivo
Cassazione , sez. II civile, sentenza 27.12.2004 n 23994
In tema di ripartizione delle spese condominiali passivamente legittimato rispetto all'azione giudiziaria per il
recupero della quota di competenza colui che sia effettivamente individuato come proprietario esclusivo
dell'unit immobiliare. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23994 del 27 dicembre 2004,
precisando che l'azione in esame non pu essere proposta contro colui il quale, con le sue dichiarazioni e
comportamenti, anche univoci, abbia ingenerato nell'amministratore il ragionevole convincimento che si tratti
dell'effettivo condomino, in quanto in materia condominiale non pu trovare applicazione il principio
dell'apparenza del diritto, mancando una relazione di terziet tra il condomino e il condominio, che non ha una
soggettivit giuridica diversa da quella dei semplici condomini. http://www.altalex.com/index.php?idnot=4716
Immissioni sonore: superamento della normale tollerabilit e diritto alla salute
Tribunale Venezia, sez. Dolo, ordinanza 04.10.2004 (Domenico Chinello)
Le immissioni sonore che superano di almeno tre decibel il livello del rumore di fondo in una determinata zona
ed eccedono, quindi, la normale tollerabilit, sono idonee a ledere, di per s, il diritto alla salute, potendo
determinare delle limitazioni funzionali pur anche soltanto temporanee dellintegrit psicofisica degli esseri
umani, a prescindere dalla dimostrazione concreta di una vera e propria invalidit permanente. Lo ha stabilito il
Tribunale di Venezia, sez. di Dolo, con l'ordinanza 4 ottobre 2004, disponendo nella specie, in via cautelare,
leliminazione della fonte delle immissioni acustiche potenzialmente nocive, ordinando limmediata cessazione
del transito notturno di treni merci alla societ che gestisce la linea ferroviaria, al fine di evitare che i tempi
dellordinario giudizio di merito potessero comportare un danno irreparabile per gli aventi diritto.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=7345
Il principio della rappresentanza reciproca e della legittimazione sostitutiva dei condomini
Cass. III Sez. Civ. n. 13332 del 19 luglio 2004
Ciascun condomino pu agire o essere convenuto nella sua qualit di comproprietario e titolare dei diritti e degli
obblighi concernenti la cosa comune, senza che sia necessario integrare il contraddittorio nei confronti degli altri
partecipanti alla comunione o dell'ente di gestione condominiale nel suo complesso in persona
dell'amministratore.
Il fatto, poi, che il singolo condomino, rispondendo per il tutto in virt del principio di solidariet passiva, abbia
diritto al rimborso delle somme eccedenti la sua quota di partecipazione alla cosa comune, non concreta
un'ipotesi di causa inscindibile nei confronti degli altri condomini, i quali, quindi, non debbono necessariamente
partecipare al giudizio, ma possono eventualmente intervenirvi volontariamente.
Concessione edilizia: diniego per motivi estetici solo in applicazione di norme
TAR Veneto, sentenza 11.01.2005 n 64
Il diniego di concessione edilizia per motivi estetici o l'imposizione di prescrizioni di natura estetica, non possono
discendere dall'astratta valutazione circa il valore estetico dell'opera, ma debbono pur sempre essere ricondotti
all'applicazione di norme e/o di criteri contenuti negli strumenti urbanistici o introdotti nel regolamento edilizio, ai
sensi dell'art. 33 n. 8 della legge n. 1150/1942. Lo ha stabilito il T.A.R. Veneto, con la sentenza n. 64 dell'11
gennaio 2005, precisando che l'attivit dell'amministrazione vincolata dalle norme che disciplinano l'attivit
edificatoria all'interno del Comune, questo deve limitarsi ad accertare la perfetta corrispondenza di tutti gli
elementi progettuali con le anzidette prescrizioni, senza alcuna possibilit di imporre prescrizioni o limitazioni
diverse. http://www.altalex.com/index.php?idnot=7714
Rischia l'arresto chi lancia oggetti dal balcone
(Cassazione 23182/2004)
Il condomino che lancia oggetti dal balcone o dalla finestra della propria abitazione rischia una condanna penale.
Lo ha stabilito la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando la condanna inflitta ad una
ragazza che aveva lanciato dal proprio balcone un vaso sulla strada. La ragazza si era difesa sostenendo che i
giudici di merito avevano solamente presunto il pericolo per l'incolumit pubblica. La Suprema Corte ha invece
affermato che per far scattare la condanna prevista dal codice penale non richiesta la prova di un concreto
pericolo per l'incolumit delle persone, ma sufficiente "l'attitudine delle cose, gettate in un luogo di pubblico
transito, ad offendere, imbrattare o molestare le persone", indipendentemente dal verificarsi di un danno
concreto.
Distacco riscaldamento: non basta per evitare le rate anche nel caso in cui l'appartamento affittato sia ad uso
ufficio.
Cassazione Sezione III, con sentenza 14 gennaio 2005, n. 680
Il distacco dall'impianto centrale del riscaldamento - ha specificato la Cassazione Sezione III, con sentenza 14
gennaio 2005, n. 680) - non d automaticamente il diritto al condomino di non pagare la rata per il
riscaldamento, anche nel caso in cui l'appartamento affittato sia ad uso ufficio.

Secondo la Suprema Corte la rata deve essere pagata, anche da chi ha in affitto un locale ad uso non abitativo,
qualora la consulenza tecnica dimostri che "nonostante la mancanza dei radiatori, tuttavia l'immobile locato
benefici in una certa misura dell'esistenza dell'impianto di riscaldamento esistente nel fabbricato, poich,
essendo tutti i piani riscaldati, riceve calore per la presenza nei muri delle tubazioni del riscaldamento".
Per questo motivo, invano stato il ricorso del titolare di uno studio di architettura, posto al pianterreno di una
palazzina e privo di termosifoni, in Cassazione facendo presente che si era distaccato dall'impianto centrale, ma
come gi stabilito dalla Corte di Appello di Torino, la Suprema Corte ha chiarito che in simili casi fa fede il
risultato della consulenza tecnica nonostante i contratti di locazione uso ufficio (diversamente da quelli uso
abitativo) non prevedano "alcun corrispettivo" se non avviene la "fornitura di un servizio".
Infatti, tramite consulenza tecnica era risultato una quantit di calore, trasmessa dai tubi murari, pari al 30% di
quella che arrivava agli appartamenti collegati ai termosifoni e, di conseguenza, la rata da pagare stata
calcolata con riferimento a tale percentuale.
Per quanto, invece, riguarda la posizione di chi ha in affitto un appartamento a uso abitativo,Vi invitiamo a
leggere questa massima:
http://www.condominioweb.com/condominio/sentenza603.ashx
Testo Sentenza in versione PDF
http://www.condominioweb.com/pdf/Cass_680_2005_.pdf
Condominio amministrato da societ di capitali
Tribunale di Milano 18/11/2004 - n 13198
In assenza di un preciso dato normativo comportante divieto espressamente formulato ed in presenza di un
sistema che contempla la possibilit di conferimento di un incarico fiduciario a soggetti rivestenti la qualit di
persone giuridiche nella proiezione di una lettura dinamica della societ e delle attivit economiche e
professionali, deve ritenersi che la carica di amministratore di condominio ben possa essere affidata ad una
societ - sia essa di persone che di capitale - senza che ci possa considerarsi in contrasto con la vigente
normativa.
A condizione che il suo regolamento condominiale non disponga altrimenti, per la ripartizione delle spese di
tinteggiatura si deve seguire la norma dell'art. 1124 Codice Civile, la spesa va cio ripartita per met seguendo i
millesimi (la tabella dovrebbe essere la prima, della propriet, essendo spese ordinarie di manutenzione non di
conservazione) e per l'altra met in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano. Cosa diversa per
l'androne, qui si segue la norma dell'art. 1123 e la spesa si ripartisce facendo riferimento soltanto alla misura
proporzionale al valore dei piani (quindi ai millesimi)- per tutto Cass. 6499/6/11/86Buon lavoro! Dott.ssa Elena Spina
Vendita separata dal costruttore di singole unit immobiliari di un fabbricato e delle relative aree accessorie
Cass. 23 marzo 2004, n. 5755
In tema di urbanistica, qualora il costruttore di un edificio proceda alla vendita separata delle singole unit
abitative rispetto alle relative alle aree accessorie, la violazione o l'elusione del vincolo pubblicistico di
destinazione a parcheggio delle aree predette - imposto dall'art. 18 della legge 765/67 - determina la nullit delle
relative clausole contrattuali, contenute negli atti di vendita degli alloggi, la loro sostituzione con la disciplina
legale, il conseguente riconoscimento di un diritto reale d'uso a vantaggio dei proprietari delle singole unit
abitative (hanno detto i giudici dalla S.C. con riferimento ad una fattispecie in cui il costruttore-venditore, nella
ripartizione separata dell'area accessoria del fabbricato tra i proprietari delle singole unit immobiliari, aveva
attribuito ad alcuni di questi un numero di box doppio rispetto ad altri che non ne avevano potuto acquistare
nessuno).
Autoriduzione del canone da parte dell'inquilino
Cassazione sentenza n. 14234/2004
In tema di locazione di immobile urbano ad uso abitativo la cosiddetta autoriduzione del canone costituisce fatto
arbitrario del conduttore, illegittimo e contrario al principio dell'esecuzione del contratto secondo buona fede, che
provoca il venir meno dell'equilibrio sinallagmatico del negozio, essendo, poi, devoluta ai poteri del giudice, ai
fini dell'accertamento della gravit dell'inadempimento cos realizzatosi, la valutazione dell'importanza dello
squilibrio tra le prestazioni con riguardo all'interesse del locatore in relazione al suo diritto di ricevere il canone in
misura legale.
Non possono essere considerati condomini coloro che occupano le propriet esclusive in forza di una semplice
promessa di vendita stipulata con il proprietario dell'appartamento o pi comunemente negli edifici di nuova
costruzione con il costruttore venditore sino a quando non sia stipulato l'atto di compravendita, come da
sentenza di Cassazione n. 3420 del 3.9.1957.
A condizione che il regolamento condominiale non disponga altrimenti, per la ripartizione delle spese di
tinteggiatura si deve seguire la norma dell'art. 1124 Codice Civile, la spesa va cio ripartita per met seguendo i
millesimi (la tabella dovrebbe essere la prima, della propriet, essendo spese ordinarie di manutenzione non di
conservazione) e per l'altra met in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano. Cosa diversa per
l'androne, qui si segue la norma dell'art. 1123 e la spesa si ripartisce facendo riferimento soltanto alla misura
proporzionale al valore dei piani (quindi ai millesimi)- per tutto Cass. 6499/6/11/86Buon lavoro! Dott. ssa Elena Spina
Il voto segreto contrasta con la necessaria trasparenza che l'espressione della volont di ciascun componente

dell'assemblea deve avere e rende impossibile stabilire se la volont collettiva sia espressione di singole volont
validamente manifestatesi. Se fosse consentito ricorrere al voto segreto, di fatto risulterebbe inattuabile la tutela
del diritto dell'assente e del dissenziente e, in genere, delle minoranze, di inpugnare le delibere su cui non
concordino, tutela che rappresenta l'indispensabile correttivo del principio maggioritario su cui si fonda il sistema
assembleare stesso.
(Trib. Milano, 9 novembre 1992)
Sopraelevazione: nozione giuridica e rispetto delle distanze legali
Cassazione , sez. II civile, sentenza 07.12.2004 n 22895
La nozione giuridica di sopraelevazione - ai fini del rispetto delle distanze legali - coincide del tutto con la
accezione normale del termine, ed indica qualsiasi costruzione che si eleva al di sopra della linea di gronda di un
preesistente fabbricato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22895 del 7 dicembre 2004,
precisando che la sopraelevazione, per quanto di dimensioni ridotte, comporta sempre un aumento della
volumetria e va, pertanto, considerata a tutti gli effetti - e quindi anche ai fini delle distanze - come "costruzione".
http://www.altalex.com/index.php?idnot=8072
Niente prelazione a contratto scaduto
Cassazione sentenza n. 12291/2004
Il diritto di prelazione o di riscatto previsto dagli art. 38 e 39 della legge 27 luglio 1978, n. 392, a favore del
conduttore di immobile non abitativo, presuppone che la locazione sia in corso de iure al momento in cui il
locatore aliena l'immobile locato, atteso che la sussistenza del rapporto costituisce l'elemento essenziale per la
destinazione dell'immobile all'attivit imprenditoriale alla cui conservazione finalizzata la prelazione stessa,
restando pertanto esclusa la permanenza di detto diritto nei periodi di dilazione dell'esecuzione del
provvedimento di rilascio o di ritardo nella restituzione dell'immobile.
Il Ministero delle Comunicazioni tenta di contrastare il fenomeno delle antiestetiche antenne singole.
Comunicato Ministero comunicazione 04/03/2005, G.U. 04/03/2005, n. 52
IL Ministero delle Comunicazioni ha ufficialmente avviato la fase di consultazione pubblica concernente lo
schema di decreto del Ministro delle comunicazioni "antenne radiotelevisive centralizzate condominiali"
Tutti i soggetti interessati a formulare osservazioni di carattere tecnico, giuridico ed economico al riguardo, sono
invitati a presentare le osservazioni medesime entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di
pubblicazione dell'avviso della procedura di consultazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana,
utilizzando il modello di cui all'allegato 2, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno o con consegna a mano,
indirizzata a: Ministero delle comunicazioni, Direttore tecnico sviluppo e qualit Mauro Bergamini, Viale America
nr. 201 - 00144 Roma, responsabile del procedimento.
Il decreto ha come scopo tra l'altro quello di consentire una maggiore sicurezza degli edifici e dei cittadini per la
presenza di un minor numero di impianti e prescrivendone la realizzazione a regola d'arte.
E' stato formulato in modo da non ostacolare la ricezione di nessuna emittente; di consentire alla singola unit
abitativa, collegata all'antenna condominiale, almeno le stesse prestazioni di una antenna singola; e da
consentire la massima flessibilit nella ricezione anche con tecnologie del futuro.
Resta comunque ferma la libert di installazione di antenne individuali per la ricezione di programmi televisivi,
prevista da norme legislative tuttora in vigore: la diffusione delle previste antenne centralizzate garantendo a
ciascuna unit abitativa le stesse prestazioni della antenna singola, renderebbe antieconomico e poco
funzionale il mantenimento delle antenne singole.
schema di decreto - modello di consultazione - esposizione del provvedimento
Deliberazioni condominiali - installazione dell'ascensore
Cass. II Sez. Civ. n. 14384 del 29/7/2004
In tema di deliberazioni condominiali, l'installazione dell'ascensore, rientrando fra le opere dirette ad eliminare le
barriere architettoniche di cui all'art. 27 primo comma della legge 118/1971 e all'art. 1 primo comma del d.P.R.
384/1978, costituisce innovazione che, ai sensi dell'art. 2 legge 13/89, approvata dall'assemblea con la
maggioranza prescritta rispettivamente dall'art. 1136 secondo e terzo comma cod. civ.; tutto ci ferma
rimanendo la previsione del terzo comma del citato art. 2 legge 13/1989, che fa salvo il disposto degli artt. 1120
secondo comma e 1121 terzo comma cod. civ.
Niente apparenza fra condomino e condominio. Gli oneri li paga solo il vero proprietario
Cassazione , sez. II civile, sentenza 27.12.2004 n 23994
In tema di ripartizione delle spese condominiali passivamente legittimato rispetto all'azione giudiziaria per il
recupero della quota di competenza colui che sia effettivamente individuato come proprietario esclusivo
dell'unit immobiliare, non potendo l'azione stessa essere proposta contro colui il quale, con le sue dichiarazioni
e comportamenti, anche univoci, abbia ingenerato nell'amministratore il ragionevole convincimento che si tratti
dell'effettivo condomino.
In materia condominiale, infatti, non puo' trovare applicazione il principio dell'apparenza del diritto, mancando
una relazione di terziet tra il condomino e il condominio, che non ha una soggettivit giuridica diversa da quella
dei semplici condomini
Responsabilit solidale dei condomini nei confronti del terzo
Cass. II Sez. Civ. n. 14593 del 30/7/2004
In relazione ai debiti contratti dal condominio per il godimento di servizi comuni e beni, concernenti prestazioni

normalmente non divisibili, rispetto alle quali ciascun condomino ha interesse per l'intero, si applica il principio di
cui all'art. 1294 cod. civ., dal quale deriva una presunzione di solidariet a carico di tutti i condomini.
Delibera condominiale annullabile per mancata convocazione di condomino
Cassazione , SS.UU. Civili, sentenza 07.03.2005 n 4806
Devono qualificarsi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, le delibere con oggetto impossibile o illecito
(contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella
competenza dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla
propriet esclusiva di ognuno dei condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto. Devono,
invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle
adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette
da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di
convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarit nel procedimento di
convocazione, quelle che violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all'oggetto.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la pronuncia 4806/2005, risolvendo un precedente
contrasto esistente in dottrina e giurisprudenza, chiarendo, pertanto, che la mancata comunicazione, a taluno
dei condomini, dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale comporta non la nullit, ma
l'annullabilit della delibera condominiale, che se non viene impugnata nel termine di trenta giorni previsto
dall'art. 1137, 3 comma, c.c. - decorrente per i condomini assenti dalla comunicazione e per i condomini
dissenzienti dalla sua approvazione - valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=9390
Sopraelevazione, nozione giuridica e rispetto delle distanze legali
Corte di Cassazione, con sentenza n. 22895 del 7 dicembre 2004
La nozione giuridica di sopraelevazione - ai fini del rispetto delle distanze legali - coincide del tutto con la
accezione normale del termine, ed indica qualsiasi costruzione che si eleva al di sopra della linea di gronda di un
preesistente fabbricato.
La sopraelevazione, per quanto di dimensioni ridotte, comporta sempre un aumento della volumetria e va,
pertanto, considerata a tutti gli effetti - e quindi anche ai fini delle distanze - come "costruzione".
Trattamento illecito dei dati personali via internet
Cassazione , sez. III penale, sentenza 17.11.2004 n 5728
Inoltre, continua la Suprema Corte, il consenso dellinteressato non richiesto quando il trattamento (e quindi la
comunicazione) riguarda dati provenienti da pubblici registri, elenchi, atti o documenti conoscibili da chiunque
(articoli 24, comma 1, lettera a) legge 675/96) e recita la sentenza, nella specie, la condotta contestata
allimputato era quella di aver comunicato ad alcuni provider senza consenso la generalit, lindirizzo, il numero
telefonico, lindirizzo di posta elettronica ed il codice fiscale della ZF., e cio quella di aver comunicato dati che
sono comunque reperibili da chiunque in pubblici registri, pubblici elenchi e siti internet, non essendo stato
neanche contestato che alcuni di questi dati, come il numero telefonico, fossero riservati. In conclusione, la
Suprema Corte afferma linesistenza del reato di illecito trattamento di dati personali vista linapplicabilit della
Legge 675/96, ora, Codice e in ogni caso afferma anche la mancanza della violazione di cui allart. 35, ora 167,
in considerazione del fatto che la condotta in questione gode della deroga del consenso per il trattamento di dati
provenienti da fonti cosiddette pubbliche. http://www.altalex.com/index.php?idnot=29220
E' legittima l'installazione da parte del condomino di una controporta
Cass. II Sez. Civ. n. 1076 del 19 gennaio 2005
E' legittima l'installazione di una controporta, collocata a filo del muro di separazione tra l'appartamento e il
ballatoio condominiale delle scale, quando tale contraporta, pur aprendosi verso il ballatoio comune, non ne
riduce in modo apprezzabile la fruibilit da parte degli altri condomini.
Assemblea dei condomini: conflitto d'interessi tra il singolo condomino e il condominio
Cass. II Sez. Civ. n. 22234 del 25/11/2004
In caso di conflitto di interessi fra un condomino e il condominio, qualora il condomino confliggente sia stato
delegato da altro condomino ad esprimere il voto in assemblea, la situazione di conflitto che lo riguarda non
estensibile aprioristicamente al rappresentato, ma soltanto allorch si accerti in concreto che il delegante non
era a conoscenza di tale situazione, dovendosi, in caso contrario, presumere che il delegante, nel conferire il
mandato, abbia valutato anche il proprio interesse - non personale ma quale componente della collettivit - e
l'abbia ritenuto conforme a quello portato dal delegato.
Il pagamento dovuto da chi sia distaccato ma usufruisca del calore dai tubi murati
Riscaldamento da pagare anche senza termosifoni (Cassazione 680/2005)
Essersi distaccati dall'impianto centralizzato di riscaldamento di un condominio non esonera automaticamente il
condomino dal pagare le rate se usufruisce comunque del calore. quanto ha stabilito la Terza Sezione Civile
della Corte di Cassazione, che ha specificato al riguardo che il riscaldamento deve essere pagato anche da chi
abbia in affitto un locale ad uso non abitativo, qualora sia dimostrato che, nonostante la mancanza dei radiatori,
tuttavia l'immobile "benefici in una certa misura dell'esistenza dell'impianto di riscaldamento esistente nel
fabbricato", in quanto, essendo tutti i piani riscaldati, l'appartamento "riceve calore per la presenza nei muri delle
tubazioni del riscaldamento". (08 marzo 2005)
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=27688&idCat=45

Amministratore - Cessazione dell'incarico - Obbligo di restituire al condominio il rendiconto della gestione


Sentenza Corte di Cassazione del 3 dicembre 1999 n 13504
L'amministratore di un condominio, alla cessazione del suo mandato, ha l'obbligo di restituire ai condomini
quanto ricevuto a causa dello svolgimento dell'incarico, tra cui i documenti concernenti la gestione, n pu
trattenerli finch non rimborsato delle somme anticipate per conto del condominio, avvalendosi del principio
inadempienti non est adimplendum, non essendovi corrispettivit ne interdipendenza tra dette prestazioni,
originate da titoli diversi.
Parcheggio su aree comuni del condominio.
Sezione Seconda Civile , Sentenza n. 24146 del 29 dicembre 2004
La regolamentazione dell'uso delle aree scoperte comuni come parcheggio e come parco giochi non richiede la
unanimit dei consensi, ma unicamente una deliberazione dell'assemblea dei condomini adottata con la
maggioranza qualificata di cui al quinto comma dell'art. 1136 c.c.
L'assemblea condominiale non pu fare tutto
Cassazione con sentenza n. 13780/2004
I poteri dell'assemblea di condominio, fissati tassativamente dal Codice non possono invadere la sfera di
propriet dei singoli condmini, sia in ordine alle cose comuni sia a quelle esclusive, tranne che una siffatta
invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti, o mediante approvazione del regolamento
di condominio che la preveda.
App. Milano, senI. n. 2 14, 23.7.1996, Sez. I, Preso Vitale, ReI. Ceccarelli Motivi della decisione
Il Tribunale ha richiamato il contenuto di un'altra sua decisione (tuttora oggetto di esame, in sede di rinvio dalla
Cassazione, da parte di altra sezione di questa Corte) che aveva riconosciuto il diritto dei condomini all'installazione di un ascensore secondo un progetto, purch venisse garantito l'uso di un locale nel seminterrato
(destinato al riscaldamento di alcuni condomini) e considerato che, dal progetto di quella sede prodotto e
dall'ispezione dell'immobile, risultava che l'ascensore non avrebbe limitato l'uso dei pianerottoli e non avrebbe
irrimediabilmente compromesso l'illuminazione della scala.
Malgrado tale precedente, ha ritenuto che la delibera impugnata fosse invalida poich l'installazione di un
ascensore avente le dimensioni minime richieste dalla normativa vigente avrebbe impedito ai condomini l'uso
della cosa comune, comportando una riduzione del piano di calpestio dei pianerottoli e in particolare rendendo
sicuramente insufficiente alla condomina V. lo spazio comune di accesso al suo appartamento.
Ha ritenuto quindi che si trattasse di un'innovazione vietata perch tale da rendere talune parti comuni inservibili
anche a uno solo dei condomini (art. 1129 ultimo comma cod. civ.).
Gli appellanti lamentano, in primo luogo, che la decisione del Tribunale precluda il doveroso adeguamento
dell'edificio condominiale alla legge 13/1989 che prevede l'abolizione delle barriere architettoniche.
Sostengono inoltre che, come riconosciuto dal medesimo Tribunale in altre pronunce, il mancato rispetto delle
dimensioni minime dell'ascensore, peraltro derogabili, non rileva ai fini della invalidit della delibera
assembleare, ma potrebbe semmai soltanto comportare il diniego delle prescritte autorizzazioni da parte delle
competenti autorit amministrative.
Affermano in conclusione che la delibera impugnata non compromette i rapporti condominiali poich
l'installando ascensore dovr comunque avere dimensioni e caratteristiche tali da non pregiudicare gli interessi
dei condomini.
La Corte ritiene che l'appello sia fondato e meriti accoglimento.
La delibera impugnata, assunta dall'assemblea condominiale del 22 marzo 1989 con il voto di 9 condomini per
578,5 millesimi, ha deciso l'installazione di un ascensore nel vano scala, in seguito all'entrata in vigore della
legge 13 del 9 gennaio 1989, disposizioni per favorire il superamento e l'eliminazione delle barriere
architettoniche negli edifici.
Non stata invece assunta alcuna delibera in ordine alle dimensioni dell'impianto; neppure stato esaminato o
approvato alcun progetto per la sua realizzazione.
Pertanto non vi stata alcuna decisione da cui potesse in concreto derivare una illegittima limitazione dell'uso
di parti comuni in violazione dell'art. 1102 cod. civ.
N pu essere condivisa la tesi del Tribunale secondo cui la realizzazione dell'impianto comporterebbe
inevitabilmente una violazione del detto diritto spettante a tutti i condomini.
Infatti la normativa vigente, finalizzata a garantire l'accessibilit degli edifici e a eliminare le barriere
architettoniche, consente deroghe alle dimensioni minime dell'ascensore allorch si tratti di immobili esistenti e
di vecchia costruzione (cfr. art. 7.5 del D.M. 236 del 14 giugno 1989 e l'art. 20 della legge regione Lombardia 6
del 20 febbraio 1989).
In ogni caso la fattibilit dell'impianto, sotto il profilo dell' osservanza delle prescrizioni tecniche, irrilevante
nella valutazione della legittimit della delibera, che riguarda soltanto l'installazione di un ascensore non meglio
precisato e che dovr essere, in ogni caso, tale da non precludere l'uso normale dei pianerottoli e da non privare
la scala della luce proveniente dal lucernario.
D'altronde, come dichiarato dalla difesa degli appellanti e ammesso da parte avversa, in questo senso si
nuovamente espressa la maggioranza dei condomini, questa volta con il voto favorevole anche di alcuni dei
condomini che avevano impugnato la precedente delibera e che sono ora appellati: infatti l'assemblea condominiale del 5 dicembre 1995 ha nuovamente deliberato l'installazione di un ascensore che dovr essere in
cristallo e dovr lasciare uno spazio di almeno m 1,30 dalla porta di ingresso all'appartamento di propriet V.
L'accoglimento dell'appello comporta la condanna degli appellati alle spese del giudizio di appello che,
considerato il valore della causa e l'entit delle questioni trattate, si liquidano in lire 4 milioni di cui lire 400 mila

per esborsi e lire 2.600.000 per onorari.


Per quanto riguarda le spese di primo grado, trattandosi di questione nuova e controversa, la Corte ritiene che
ricorrano giusti motivi per confermare la parziale compensazione operata dal Tribunale.
P.Q.M.la Corte, definitivamente pronunciando, in accoglimento dell'appello proposto da B.G. ... contro la
sentenza del Tribunale di Milano n. 7154/91, e in parziale riforma della medesima, respinge la domanda
proposta dagli attori in primo grado e attuali appellati ... e li condanna a rifondere agli appellanti le spese del
giudizio di appello, liquidate in motivazione.
Conferma per il resto l'impugnata sentenza.
Locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso da quello di abitazione
Sezione Terza Civile, Sentenza n. 675 del 14 gennaio 2005
Non affetta da nullit la transazione cui addivengono le parti di un contratto di locazione di immobile urbano
adibito ad uso diverso da quello di abitazione al momento dello scioglimento del contratto, con cui si preveda la
rinuncia del conduttore alla corresponsione dell'indennit di avviamento commerciale e ad avvalersi della facolt
di impedire che l'esecuzione si compia in caso di mancata corresponsione di detta indennit.
Furto in appartamento ricorrendo ai ponteggi
Sezione Terza Civile, sentenza n. 2844 dell'11 febbraio 2005
In caso di furto consumato da persone introdottesi in un appartamento avvalendosi dei ponteggi eretti per la
ristrutturazione dello stabile condominiale, civilmente responsabile l'impresa se non ha adottato le cautele
idonee ad impedire l'uso anomalo delle impalcature, creando colposamente un agevole accesso per i ladri e
ponendo in essere le condizioni per il verificarsi del danno.
Territorio di competenza per le cause condominiali
Corte di Cassazione, Sezione Seconda Civile, Sentenza del 5 novembre 2004 n. 21172
In materia di cause condominiali, il foro speciale esclusivo di cui all'art. 23 c.p.c., che prevede la competenza per
territorio del giudice del luogo in cui si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi, trova applicazione anche
per le liti fra il condominio ed il singolo condomino.
Quale tutela per il condominio nella morosit
Tutti gli Amministratori Condominiali sanno che, qualora un condomino non paghi le spese di amministrazione,
sono tenuti ad adire l'Autorit Giudiziaria al fine di ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo,
molti di loro hanno anche maturato l'esperienza di cosa accada dopo la notifica del decreto in quei casi, sempre
pi frequenti, in cui la morosit non sia conseguenza di contestazioni o di periodi transitori di difficolt, ma sia
sintomo di effettivo dissesto economico del condomino e quando, fatto ancora pi grave, la morosit nella
contribuzione condominiale coincida con la morosit nella corresponsione delle rate del mutuo all'istituto
bancario erogatore.
In questa ipotesi, infatti, il condominio si inserisce in un procedura esecutiva che impiega anni a definirsi e che,
alla fine, riesce a malapena a soddisfare il creditore ipotecario (la banca mutuante) ed i professionisti impiegati
(avvocati del procedente in via principale, consulenti tecnici, notaio ecc..) frustrando le legittime aspettative dei
condmini.
Il condominio , nella quasi totalit dei casi costretto a dare la precedenza all'istituto di credito.
Ma questo orientamento dei Tribunali legittimo? Solo una minoranza di pronunzie vanno nel senso che le
spese di manutenzione del caseggiato, in caso di vendita dell'immobile all'asta, prevalgono quali spese
conservative sui crediti privilegiati da ipoteca ( Trib. Bologna 1471/2000) mentre la maggioranza dei Giudici
ritiene il contrario.
Oggi un istituto di credito pu accendere un mutuo su un immobile disastrato, con la coscienza che i lavori
necessari e le relative spese renderanno impossibile per il nuovo proprietario mutuato adempiere quindi, in caso
di mancato pagamento, procedere alla vendita all'asta, incamerando tutto il ricavato e, soprattutto, beneficiando
delle opere che i condomini avranno eseguito contribuendo in luogo del moroso.
Invero detto orientamento non convince dal punto di vista costituzionale.
L' ipoteca un diritto reale, sia pure di credito, e ci postula che il titolare si sobbarchi anche gli oneri correlati al
diritto stesso.
La S.C. uniformemente orientata nel ritenere i contributi di manutenzione condominiali di manutenzione
obbligatoria propter rem ovvero legate alla titolarit del bene, per cui tenuto alla contribuzione il proprietario o
l'usufruttuario a seconda della tipologia delle opere. Anche l'ipoteca un diritto reale ma, quale diritto reale di
credito, i suoi effetti si concretizzano soltanto al momento della realizzazione economica data dalla vendita
forzosa del bene, che ne determina, con effetto purgativo, l'estinzione del diritto.
A questo punto, legittimo che il proprietario debba contribuire alla manutenzione al fine di ricavarne un effetto
economico (dato dall'incremento del valore del bene) ed il creditore ipotecario ricavi il beneficio dall'intervento
dagli altri condomini senza alcun onere?
Le norme relative all'esecuzione immobiliare e l'art. 2770 c.c., cos interpretate, danno luogo ad una disparit di
trattamento illogica tra titolari di diritti reali atteso che, nel momento della realizzazione economica del bene, uno
dei due acquisisce un vantaggio ulteriore all'altro.
Il proprietario infatti, nel momento della realizzazione economica data dalla libera vendita dell'immobile,
beneficia anche delle opere che ha contribuito a fare eseguire a proprie spese, il creditore ipotecario, al
momento della realizzazione economica del bene, che si verifica con l'effetto purgativo dato dall'estinzione
dell'ipoteca a seguito della vendita giudiziaria, incamera un utile dato anche dai lavori eseguiti a cura e spese
degli altri condomini; l'obbligazione propter rem non tocca il titolare di ipoteca, nonostante questa sia annoverata
come la propriet, tra i diritti reali.

Le realizzazioni economiche date dalla cessione dei diritti reali sono analoghe, ma trattate in maniera totalmente
diversa atteso che il titolare di ipoteca si arricchisce indebitamente sulle spalle del condominio.
Tra i suggerimenti inviati al Senato nella riforma del condominio inserita la previsione espressa che i crediti del
condominio derivanti da opere di manutenzione siano privilegiati, nelle procedure esecutive, ai sensi dell'art. 277
c.c.; nel frattempo la questione potr essere inviata alla Consulta.
Avv. Paolo Gatto Consulente Legale A.P.P.C.

Cos gli affitti entrano nella morsa del 10% Nessun automatismo negli accertamenti, ma denunciare
meno del minino espone a forti rischi. E con lincrocio tra i dati fiscali e quelli delle utenze...
P roprietari immobiliari di nuovo nel mirino del Fisco. Soprattutto se hanno comprato un appartamento e
lhanno poi affittato per ricavarne cos un reddito periodico. La Finanziaria 2005, per contrastare con
maggior efficacia il brutto vizio di molti proprietari di non registrare i contratti di locazione e di dichiarare
un canone inferiore al reale, o addirittura di non dichiararlo del tutto, evadendo cos le tasse, ha
rafforzato i poteri di accertamento dellamministrazione finanziaria. Una manovra ad ampio raggio che
ha il dichiarato scopo di far emergere gli affitti in nero.
LA SOGLIA - La Finanziaria 2005 prevede che il Fisco non pu pi procedere ad accertamento quando
la base imponibile, dichiarata ai fini dell'imposta di registro e dell'Ire, lex Irpef, risulta superiore a
determinate soglie. In particolare:
per l'imposta di registro il canone che risulta dal contratto non deve essere inferiore al 10% del valore
catastale dell'immobile;
per le imposte sui redditi non si procede ad accertamento a condizione che sia dichiarato l'importo pi
alto tra il canone di locazione risultante dal contratto (ridotto del 15%) e il 10% del valore catastale
dell'immobile. In pratica l'85% del canone contrattuale deve essere almeno pari al 10% della valutazione
che il Fisco d all'immobile.
Ma qual la base imponibile a cui applicare questo coefficiente del 10%? LAgenzia delle Entrate ha
precisato che valgono le norme in vigore, ai fini dellimposta di registro, per le compravendite di immobili
diversi dalla prima casa. Questo significa che si deve prendere la rendita catastale, maggiorarla del 5%,
e poi moltiplicare il risultato ottenuto per 120. Per un calcolo pi veloce basta moltiplicare la rendita
originaria per 126. In pratica va usato il valore massimo ottenibile con il meccanismo della valutazione
automatica, anche se quella affittata la prima casa dellinquilino.
Ad esempio con una rendita di 1.000 euro il valore catastale di 126.000 euro. E, quindi, il minimo da
dichiarare di 12.600 euro. Allinizio molti interpreti, noi compresi, avevamo sostenuto che in caso di
affitto di una prima casa andasse utilizzato il moltiplicatore 110, invece di 120, cio quello in vigore per il
calcolo delle imposte sullacquisto delle abitazioni principali.
Secondo l'Agenzia delle Entrate il concetto di prima casa, invece, si riferisce solo alle imposte sui
trasferimenti e non a quelle dovute sulle locazioni. E quindi va sempre usato il valore massimo.
Un'interpretazione eccessivamente severa e che fa schizzare all'ins il valore minimo da dichiarare per
poter dormire sonni tranquilli.
La regola del 10% si applica esclusivamente ai contratti stipulati dal primo gennaio 2005 in poi da
persone fisiche che non esercitano attivit di impresa. I redditi di locazione percepiti da imprese
commerciali individuali o societarie non devono perci fare i conti con questa innovazione. La nuova
norma, invece, efficace, ma solo ai fini del registro, per la locazione di immobili ad uso abitativo
effettuate nell'ambito di attivit d'impresa.
Esclusi dalla regola del 10% i contratti di locazione concordati o convenzionati, cio quelli previsti dalla
legge n 431 del 1998 e gli immobili ceduti in comodato gratuito a un familiare. Nel caso di affitto
stagionale il valore catastale deve essere ragguagliato alla durata del periodo di locazione.
LESEMPIO - Ipotizziamo un immobile con rendita catastale, non aggiornata, di 1.500 euro. Per essere
in regola il proprietario immobiliare deve dichiarare:
ai fini dellimposta di registro un valore non inferiore a 18.900 euro, vale a dire il 10% di 189.000.
Importo che si ottiene moltiplicando 1.500 per 126;
ai fini Ire o Irpef nel modello Unico o nel 730 va inserito un reddito da locazione non inferiore a 18.900
euro (il 10% di 189.000). Dato, per, che il canone da dichiarare pari all85% di quello pattuito, vuole
dire che nel contratto deve risultare un importo almeno pari a 22.235 euro (l85% di 22.235 d appunto
18.900).
I RISCHI - Con questa modifica il legislatore ha, in pratica, catastalizzato gli affitti. Nel senso che la
rendita catastale diventa anche la misura della redditivit di un immobile oltre che il parametro sul quale
calcolare le imposte sui trasferimenti. Se il proprietario dichiara, al momento della registrazione, un
canone annuo di locazione almeno pari al 10% del valore catastale dell'immobile, pu dormire sonni
tranquilli. E se limporto risulta inferiore? In questo caso l'ufficio fiscale potr (e probabilmente lo far)

verificare, magari con una lettera all'inquilino, con un esame degli estratti conti bancari del proprietario o
con qualsiasi strumento che riterr idoneo, se le parti hanno davvero pattuito un affitto inferiore alle
soglie previste. O se non si siano accordati sottobanco per un canone superiore (per pagare meno tasse
sia per l'imposta di registro, che di regola divisa al 50% tra proprietario e inquilino, sia soprattutto per
le imposte sul reddito a carico del proprietario).
La dichiarazione di imponibili inferiori alla soglia critica non fa, quindi, scattare inesorabilmente gli
accertamenti. Non c', insomma, alcun automatismo come avveniva invece con la minimum tax di
artigiani e commercianti. Indubbiamente, per, la regola del 10% avr un effetto psicologico, spingendo
allins i canoni contrattuali.
NULLIT - La legge ha inoltre previsto che sono nulli (ovvero inesistenti ai fini di legge) i contratti di
affitto la cui registrazione sia stata omessa. Le conseguenze di questa norma, che pare poco fondata
dal punto di vista giuridico, non sono ancora chiare.
IN NERO - Se l'amministrazione scova contratti non registrati, ora il proprietario rischia grosso. La
Finanziaria 2005 ha, infatti, introdotto una regola assolutamente nuova, e molto fastidiosa.
In caso di omessa registrazione del contratto di affitto, si presume che il canone non dichiarato ai fini
Irpef sia pari almeno al 10% del valore dell'immobile. In pratica il Fisco legittimato a chiedere le
maggiori imposte dovute su questo 10%, oltre alle sanzioni e agli interessi. E non solo sullanno di
accertamento, ma anche sui quattro precedenti. In questa circostanza onere del contribuente
dimostrare che l'appartamento era inutilizzabile o non abitato.
Gli strumenti di difesa possono essere diversi: ad esempio l'assenza di contratti di somministrazione di
acqua, luce e gas; lesistenza di opere di ristrutturazione come da concessione edilizia o dichiarazione di
inizio attivit. Pu accadere che l'immobile sia abitato da un familiare o un parente senza incasso di un
corrispettivo. Anche in questo caso l'onere della prova ricade sul contribuente, che potr produrre
all'Ufficio un contratto di comodato (uso gratuito), oppure dimostrare che il familiare risiede nellimmobile
come da iscrizione anagrafica (certificato di residenza). Oppure esibire i contratti o le bollette delle
utenze luce, acqua e gas intestate al familiare.
BANCA DATI - Gi oggi i fornitori di energia elettrica sono obbligati a richiedere, alla stipula del
contratto, il codice fiscale dell'utente. Da quest'anno lobbligo stato esteso anche alle aziende che
forniscono gas e acqua. Dal 2005, inoltre, le aziende che erogano servizi sono obbligate ad inviare
allAgenzia delle entrate i dati dei clienti in via telematica, con ovvie e conseguenti velocizzazioni nei
tempi di controllo tra inquilini dichiarati al momento della registrazione dei contratti e utenti dei servizi
essenziali. Insomma nasce il Grande Fratello degli affitti. (Associazione dottori commercialisti Milano)
http://www.corriere.it/edicola/economia.jsp?path=TUTTI_GLI_ARTICOLI&doc=FISCO
PASSAGGIO CONSEGNE AMMINISTRATORE
E intuitivo infatti che nel corso di successione da un amministratore ad un altro, il primo non pu non
svolgere una certa attivit, eccedente comunque le sue normali incombenze, per mettere il subentrante
nelle migliori condizioni di svolgere il suo mandato. Quanto sostenuto al riguardo dal convenuto appare
del tutto plausibile, n rilevano le osservazioni dellattore in merito alla forma che si sarebbe dovuta
usare per addebitare la spesa al condominio, trattandosi in ogni caso di un importo relativo ad attivit
svolta dallamministratore uscente in aggiunta a quella normalmente svolta, e come tale non soggetto
alla preventiva approvazione dellassemblea ai sensi della norma citata.
http://www.pisagiustizia.it/giudpace/duca23.htm
Assemblea condominiale: chi deve essere convocato?
Sezione Seconda Civile, Sentenza n. 2616 del 9 febbraio 2005
Nelle assemblee condominiali devono essere convocati solo i condomini, cio i veri proprietari e non
coloro che si comportano come tali senza esserlo.
Nei rapporti tra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso, infatti, mancano le condizioni per
l'operativit del principio dell'apparenza del diritto volto, essenzialmente, alla tutela dei terzi di buona
fede; e terzi, rispetto al condominio non possono essere ritenuti i condomini.
Non contrasta con tale principio giurisprudenziale, ed, anzi, l'asseconda, la norma regolamentare che
impone ai condomini di comunicare all'amministratore i trasferimenti degli immobili di propriet
esclusiva, il cui scopo , verosimilmente, volto a consentire la corretta convocazione dei soggetti
legittimati a partecipare all'assemblea
Decreto ingiuntivo - sospensione necessaria del processo
Sezione Seconda Civile, Sentenza n. 2759 dell'11 febbraio 2005
In altri termini, il fatto che la sospensione del giudizio di opposizione non comporterebbe anche la
sospensione esecutoriet della delibera impugnata e della esecuzione della provvisoria esecuzione del
decreto ngiuntivo emesso in base ad essa (dal momento che l'art. 298, primo comma, cod. proc. civ..,
dispone soltanto che durante la sospensione non possono essere compiuti atti del procedimento) non fa

venire meno, da un lato, l'obbligo del giudice di accertare il rapporto di pregiudizalit e l'interesse della
parte alla conseguente sospensione, in quanto a seguito dell'accoglimento della domanda proposta nel
giudizio di impugnazione della delibera verrebbe evitato un possibile conflitto di giudicati e per effetto
della caducazione del titolo in base al quale stato emesso il decreto ingiuntivo il condomino avrebbe
diritto alla restituzione d quanto eventualmente pagato in sede di esecuzione dello stesso.
L'utilizzzo del lastrico solare
Sezione Seconda Civile, Sentenza n. 3102 del 16 febbraio 2005
L'utilizzazione del lastrico solare di propriet comune come terrazza adibita al godimento esclusivo di
uno solo dei condomini lascia inalterata la presunzione di propriet comune di cui all'art. 1117 Cod. Civ.,
e non costituisce violazione dell'art. 1102 c.c., in quanto tale funzione accessoria non impedisce che il
lastrico svolga nel contempo la sua primaria funzione di protezione dello stabile condominiale.

Veranda nel condominio: casi in cui soggetta a denuncia di inizio di attivit


TAR Lazio, sez. II ter, sentenza 09.05.2002 n 9570
Le installazione di elementi compatibili con le esigenze dellordinario uso delledificio, nel rispetto degli elementi
tipologici formali e strutturali e della sua destinazione edilizio-urbanistica, sono sottratti al regime della
concessione edilizia, essendo viceversa assoggettati al regime della semplice denuncia di inizio di attivit.
Lo ha precisato il Tar Lazio, con la sentenza 5 novembre 2003 n. 9570, interpretando lart. 4 del D.L. 5.10.1993
n. 338 convertito con modifiche nella legge 4.12.1993 n. 493 e poi sostituito dallart. 2 comma 60 della legge
23.12.1996 n. 662.
Nel caso di specie il giudice ha ritenuto che la veranda apposta dal ricorrente sul terrazzino del proprio
appartamento, confinante con quello condominiale, non avesse una finalit meramente di riparo compatibile con
luso ordinario dellabitazione, in quanto con la costruzione si era creato un nuovo spazio interamente chiuso
utilizzabile come nuovo minuscolo locale che, anche nelle sue dimensioni ridotte, arrecava una visibile
alterazione allo stesso terrazzo condominiale. http://www.altalex.com/index.php?idstr=60&idnot=4568
Lingiunzione a demolire di cui allart. 7 l. 28 febbraio 1985 n. 47, si configura come atto dovuto per il quale non
esiste uno specifico obbligo di motivazione oltre la descrizione dellabuso commesso e la sua identificazione
oggettiva, salvi i casi eccezionali di lunghissimo lasso di tempo trascorso tra la realizzazione dellopera abusiva
e lirrogazione dellordine demolitorio (Consiglio di Stato, sez II, 12 maggio 1999, n. 729).
Presupposto per lemanazione dellordinanza di demolizione di opere edilizie abusive soltanto la constatata
esecuzione di queste ultime in assenza o in totale difformit del titolo concessorio, per cui lordinanza stessa
atto dovuto ed sufficientemente motivata con laccertamento dellabuso, essendo in re ipsa linteresse pubblico
alla rimozione di esso e sussistendo leventuale obbligo di motivazione al riguardo solo se lordinanza medesima
intervenga a distanza di lungo tempo dallultimizzazione dellopera (perch tale inerzia della p.a. ha creato un
qualche affidamento nel privato) (Consiglio di Stato, sez. V, 11 febbraio 1999, n. 143).
Labuso edilizio ha natura dillecito permanente e si pone in perdurante contrasto con le leggi amministrative sino
a quando non viene ripristinato lo stato dei luoghi [] ( T.A.R. Veneto, sez. II, 21 dicembre 2001, n. 3052).
Il potere sanzionatorio amministrativo in materia edilizio-urbanistico e di tutela del paesaggio non sottoposto a
prescrizione o decadenza: pertanto, laccertamento dellillecito amministrativo e dellapplicazione della relativa
sanzione pu intervenire anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dellabuso, senza che il ritardo
nelladozione della sanzione comporti sanatoria o il sorgere di affidamenti o situazioni consolidate (Consiglio di
Stato sez. VI, 2 giugno 2000, n. 3184).
Lesistenza di un abuso edilizio legittima di per se ladozione di misure repressive da parte dellautorit
competente anche a notevole distanza di tempo dalla commissione dellabuso, non incontrando la relativa
potest punitiva e ripristinatoria alcun termine di decadenza o di prescrizione, a meno che il legislatore, con
espressa previsione, non abbia disposto il contrario a tutela di particolari interessi (T.A.R. Lazio sez. latina, 8
giugno 1999, n. 497).
Box condominiali: recintare gli spazi destinati a parcheggio
Cassazione civile Sentenza 14/03/2005, n. 5542
La facolt del proprietario di recintare la sua propriet non incontra limiti se non in servit dei vicini, salvo
ovviamente il divieto di atti emulativi. Tale principio si applica anche nel caso di porzioni immobiliari di propriet
esclusiva site in un edificio condominiale, ed in particolare degli spazi destinati a parcheggio appartenenti in
modo esclusivo ai singoli condomini.
Inoltre la Corte ha precisato che questi ultimi hanno la facolt di recintarli a norma dell'art. 841 cod. civ. anche
con la struttura di cd. Box, salvi i divieti previsti dal titolo l'acquisto o dal regolamento condominiale contrattuale e
sempre che da tale recinzione non derivi un danno alle parti comuni dell'edificio o una limitazione al godimento
delle parti comuni dell'autorimessa.
Criterio delle ripartizione spese ascensore installato dopo la costruzione dell'edificio

Sezione Seconda Civile, Sentenza n. 3264 del 17 febbraio 2005


Il criterio di ripartizione delle spese di cui all'art. 1124 C. Civ., applicabile solo nell'ipotesi in cui l'ascensore sia
stato installato originariamente con la costruzione dell'edificio, e non, invece, quando, sia stato installato in un
secondo tempo.
Nella sentenza si evince che l'installazione dell'ascensore, fu s successiva alla costruzione dell'edifico, ma
avvenne con il consenso di tutti i condomini.
Ci comporta: la propriet comune condominiale dell'impianto, gi considerato tale ai sensi dell'art. 1117 N 3
Cod. Civ., in mancanza di titolo contrario; nonch, ai sensi dell'art. 1118 C. Civ., il diritto di ciascun condominio
sullo stesso, proporzionato al valore del piano o porzione di piano di propriet esclusiva.
Ne consegue, con riferimento alla ripartizione delle spese, l'applicabilit alla fattispecie dei criteri previsti dall'art.
1123 C. Civ., dei quali la disciplina stabilita dall'art. 1124 c.c., una specifica applicazione.
E' errato, pertanto, ritenere applicabile l'art. 1101 2 c. Cod. Civ., dal momento che, essendo stato l'ascensore
installato con il consenso e la spesa di tutti i condomini, la compropriet sullo stesso comune a tutti i
condomini.
Responsabilit per danni cagionati da cose comuni La Corte di cassazione con la sentenza n. 5326/2005 si
pronunciata sulla responsabilit del condominio per i pregiudizi arrecati dallimpianto delle scarico
condominiale al proprietario di un negozio situato nel medesimo edificio e sul relativo risarcimento del danno. La
S.C. ha affermato che il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, obbligato ad
adottare tutte le misure necessarie affinch le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, e risponde in
base dallart. 2051 cod. civ. dei danni da questi cagionati alla propriet esclusiva di uno dei condomini, ancorch
i danni siano imputabili a vizi edificatori dello stabile, comportanti la concorrente responsabilit del
costruttore-venditore ai sensi dellart. 1669 cod. civ. Sulla base di tale principio la Cassazione ha cassato la
sentenza del giudice di merito che aveva fondato le proprie conclusioni sullapplicazione al caso concreto
dellart. 2043 cod. civ.
(Cassazione civile Sentenza 10/03/2005, n. 5326)
Obbligo installazione contatori acqua di ripartizione in ogni appartamentoD.P.C.M. 4 marzo 1996 - Disposizioni
in materia di risorse idriche (In GU 14 marzo 1996, n. 62, S.O.)
8.2.8. Misurazione
La misurazione dei volumi consegnati all'utente si effettua, di regola, al punto di
consegna, mediante contatori, rispondenti ai requisiti fissati dal Decreto del Presidente della Repubblica 23
agosto 1982, n. 854, recepente la Direttiva Comunitaria n. 75/33. L dove esistono consegne a bocca tarata o
contatori non rispondenti, deve essere programmata l'installazione di contatori a norma. In relazione a quanto
disposto dall'articolo 5, comma 1, lettera c), della legge 5 gennaio 1994, n. 36, dove attualmente la consegna e
la misurazione sono effettuate per utenze raggruppate, la ripartizione interna dei consumi deve essere
organizzata, a cura e spese dell'utente, tramite l'installazione di singoli contatori per ciascuna unit abitativa.
fatto obbligo al gestore di offrire agli utenti l'opportunit di fare eseguire a sua cura, dietro compenso e senza
diritto di esclusivit, le letture parziali e il riparto fra le sottoutenze e comunque proporre procedure
standardizzate per il riparto stesso. La disciplina degli eventi contenziosi deve essere prevista nel Regolamento
di utenza.
Danno al locatore per il periodo tra la data di rilascio dell'immobile e quella dell'effettiva riappropriazione
Sentenza Cass. Civ. 30-07-2004, n. 14624, Sez. III
In tema di quantificazione del danno al locatore per il periodo tra la data sentenza di rilascio dell'immobile e
quella dell'effettiva riappropriazione del bene occorre osservare i seguenti principi:
1) il conduttore tenuto a corrispondere al locatore, ai sensi dell'art. 1591 cod. civ., la somma determinata con
la prevista maggiorazione del canone nella misura del quinto oltre aggiornamenti ed oneri accessori;
2) detto importo dovuto per tutto il periodo di sospensione delle esecuzioni e sino all'effettivo rilascio;
3) per il periodo sino al termine della sospensione ope legis delle esecuzioni (o per quello giudizialmente fissato
per il rilascio, ex art. 56 della legge n. 392 del 1978) la corresponsione dell'ultimo canone cos maggiorato esime
il conduttore dall'obbligo di risarcire il maggior danno ex art. 1591, seconda parte, cod. civ., pur in costanza di
prova dell'esistenza di un pi grave pregiudizio fornita dal locatore;
4) per il periodo intercorrente tra la scadenza della sospensione ope legis e la data dell'effettivo rilascio, il
locatore, in virt della sentenza della Corte costituzionale n. 482 del 2000, ove ne abbia offerto la prova, pu
pretendere il risarcimento del maggior danno subito, rispetto a quello quantificato ex lege dall'art. 1 bis della
legge n. 61 del 1989.
E' illegittima una delibera assembleare che approvi il criterio di ripartizione delle spese di acqua potabile in base
a tabella millesimale e ci indipendentemente dalla circostanza che le propriet esclusive siano o non siano
munite di contatore , perch la ripartizione delle spese per l'acqua potabile deve avvenire in base ai consumi e
non per millesimi. App. Roma sent., n. 2116 del 2.5.1959
Ai fini della redazione delle tabelle millesimali di un condominio, per determinare il valore di ogni piano o
porzione di piano occorre prendere in considerazione sia gli elementi intrinseci dei singoli immobili oggetto di
propriet esclusiva (quali l'estensione) che elementi estrinseci, (quali l'esposizione), nonch le eventuali
pertinenze delle propriet esclusive, tra le quali possono essere considerati i giardini in propriet esclusiva di
singoli condomini, in quanto consentono un migliore godimento dei singoli appartamenti al cui servizio ed

ornamento sono destinati in modo durevole, determinando un accrescimento del valore patrimoniale
dell'immobile. Cass. civ., sez. II, 1 luglio 2004, n. 12018
Alle spese di potatura degli alberi, che insistono su suolo oggetto di propriet esclusiva di un solo condomino
sono tenuti, tuttavia, a contribuire tutti i condomini allorch si tratti di piante funzionali al decoro dell'intero edificio
e la potatura stessa avvenga per soddisfare le relative esigenze di cura del decoro stesso" Cassazione, sent. N.
3666 18/04/1994
L'uso del bene comune, da parte dei condomini, deve essere circoscritto
Cass. Civ. del 19-11-2004, num. 21902 sez. II
L'uso del bene comune, da parte di uno dei condomini, non pu essere effettuato in modo particolare e intenso
tale da impedire agli altri partecipanti di utilizzarlo nello stesso modo, come loro diritto.
Perci, a detta dell'art. 1102 del Codice civile, escluso che l'utilizzo da parte del singolo comproprietario possa
comprimere l'esercizio sia qualitativo che quantitativo degli altri comproprietari.
Delibere affette da vizi formali: rimedi
Tribunale di Napoli, sez. XI, 7 ottobre 2003, n. 10067
Sono soltanto annullabili le delibere affette da vizi formali, cio adottate in violazione di prescrizioni legali,
convenzionali o di regolamento, che attengano al procedimento di convocazione o di informazione
dell'assemblea. Esse, conseguentemente, vanno impugnate entro il termine dei trenta giorni sancito dal comma
terzo dell'art. 1137 cod. civ.
L'impugnativa pu essere proposta sia con ricorso, sia con citazione. In quest'ultimo caso, al fine di verificare la
tempestivit dell'impugnativa, bisogna avere riguardo esclusivamente alla data di notifica della citazione, che
deve avvenire nel termine dei trenta giorni dalla adozione della delibera impugnata ovvero dalla comunicazione
della stessa, a nulla rilevando la data della iscrizione a ruolo della causa.
La proposizione dell'impugnativa puo' essere introdotta con atto di citazione o con ricorso, senza che tale
scelta comporti alcuna conseguenza in ordine alla validit dell'impugnazione, purch, ove ci risulti
necessario in considerazione dei motivi del rimedio azionato, la notifica dell'atto introduttivo della lite
avvenga nel termine di trenta giorni previsto dall'art.1137 c.c. Con riferimento alla redazione di un valido
bilancio, viene specificato nella materia de qua, che sufficiente che la redazione avvenga in maniera chiara e
intelligibile, attraverso i noti documenti giustificativi che diano conto delle somme incassate e delle spese
sostenute. Non si puo' pretendere in questo tipo di bilancio l'applicazione di ben piu' rigidi e complessi criteri che
caratterizzano altre realta' associative, a loro volta piu' complesse della realta' condominiale. Tribunale Nola
sentenza del 09/05/2005 http://www.overlex.com/leggisentenza.asp?id=440

Il sistema di ripartizione delle spese come previsto dal secondo comma dell'articolo 1123 c.c., sarebbe
derogabile esclusivamente attraverso una convenzione sottoscritta da tutti i condomini o da una deliberazione
presa dagli stessi in sede assembleare con l'unanimit dei consensi dei partecipanti al condominio (in tal senso
Cass. Civ. n. 6231 del 04.06.1993). Una delibera derogante alle disposizioni di cui al secondo comma
dell'articolo 1123 c.c., adottata non con decisione unanime dei condomini, venendo direttamente ad incidere sui
diritti individuali del singolo condomino, sarebbe inefficace nei confronti del condomino dissenziente o assente,
per nullit radicale deducibile senza limitazioni di tempo e non meramente annullabile su impugnazione da
proporsi entro 30 giorni, ai sensi dell'articolo 1137 codice civile. Infatti in materia di delibere relative alla
ripartizione di spese tra condomini, le attribuzioni dell'assemblea, ai sensi dell'articolo 1135 comma secondo del
codice civile, sono circoscritte alla verificazione ed applicazione in concreto dei criteri fissati dalla legge e non
comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri medesimi (Cass. Civ. n. 12375 del 19.11.1992).
Giudice di Pace: In tema di impugnazioni di delibere dell'assemblea condominiale, mentre la relativa
annullabilita' puo' essere fatta valere dal solo condomino assente o dissenziente, la nullit di esse (nella specie,
delibera di modifica a maggioranza di una tabella millesimale contrattualmente approvata) puo' legittimamente
essere fatta valere, nei confronti dell'amministratore di condominio, unico legittimato passivo, anche dal
condomino che abbia espresso voto favorevole (Cass.14-12-1999 n.14037).
Tale valutazione impone quindi di ritenere unico legittimato passivo della domanda proposta dal condmino il
condominio cui fa parte la stessa, legittimamente rappresentato dall'amministratore pro-tempore, e ci proprio in
ragione della particolare natura del procedimento di impugnazione delle delibere assembleari avente natura
sostanzialmente rescindente ed oggetto quindi limitato all'accertamento delle condizioni di legittimit dell'atto
promulgato dall'assemblea.
Al proposito ancor pi recentemente la Suprema Corte ha ribadito che:" In tema di condominio, la legittimazione
ad impugnare una deliberazione assembleare compete individualmente Sul punto, oltre la giurisprudenza gi
citata, pu ancora farsi riferimento alla decisione assunta dalla Suprema Corte in data 9-8-1996 n.7359 secondo
cui:" La deliberazione assembleare adottata a maggioranza, che approvi le tabelle millesimali o il regolamento
non contrattuale relativi alla ripartizione delle spese, e' inefficace nei confronti del condomino assente o
dissenziente per nullit radicale deducibile senza limitazione di tempo e non meramente annullabile su
impugnazione da proporsi entro trenta giorni, a norma dell'art. 1137 cod. civ., atteso che le attribuzioni
dell'assemblea, ai sensi dell'art. 1135 cod. civ., sono circoscritte all'amministrazione dei beni comuni nel rispetto

de criteri fissati dalla legge o dalla volont unanime dei condomini".


Nel merito poi la domanda fondata e deve pertanto essere accolta.
Al proposito, infatti, va innanzi tutto premesso come la modifica o l'adozione delle tabelle millesimali possa
essere deliberata dall'assemblea condominiale solo ove sussista il consenso di tutti i condomini, altrimenti
dovendo essere effettuata attraverso il ricorso alla procedura di cui all'art.69 disp.att. del codice civile (vedi
Cass. 1999/14037, 1999/5399 ed altre gi riportate), sicch in assenza di detto presupposto l'eventuale delibera
di modifica adottata dall'assemblea condominiale a semplice maggioranza deve ritenersi nulla. te e
separatamente agli assenti e ai dissenzienti (nonch ai presenti e consenzienti, senza limiti di tempo, quando si
verte in tema di nullit) e ognuno puo' esercitare l'azione verso il condominio rappresentato dall'amministratore,
senza necessit di chiamare in causa gli altri" (Cass.27-8-2002 n.12564).
AMMINISTRATORE
Azioni giudiziarie; rappresentanza giudiziale del condominio; legittimazione dellAmministratore; azione
di reintegrazione; proposizione; legittimazione; sussistenza; autorizzazione dellAssemblea; necessit;
esclusione.
Cass. Civ., sent. n. 7063, 15.5.2002, Sez. II
LAmministratore di un condominio legittimato, anche in assenza di qualsivoglia autorizzazione
dellAssemblea, a proporre lazione di reintegrazione relativa a parti comuni delledificio, azione che, rientrando
nel novero degli atti conservativi, non necessita, giusta disposto dallart. 1131 n. 4, della detta autorizzazione (la
Suprema Corte ha, cos, confermato la sentenza di merito che aveva, oltretutto, rilevato, nella specie,
lesistenza, nei confronti dellamministratore, della autorizzazione de qua).
Difesa dei diritti inerenti ledificio condominiale; inerzia dellAmministratore, facolt dei singoli
condomini di agire personalmente; sussistenza.
Cass. Civ., sent. n. 11882, 7.8.2002, Sez. II
Configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalit giuridica distinta da quella dei
singoli condomini, lesistenza di un organo rappresentativo unitario, quale lamministratore, non priva i singoli
partecipanti della facolt di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti alledificio condominiale. Ne
consegue che ciascun condominio legittimato a impugnare personalmente, anche per la cassazione, la
sentenza sfavorevole emessa nei confronti della collettivit condominiale ove (come nella specie) non vi
provveda lamministratore.
ASSEMBLEA
Deliberazioni; conflitto di interessi tra singolo condomino e condominio; configurabilit; condizioni.
Cass. Civ., sent. n. 3944, 18.3.2002, Sez. II
In materia di condominio, ai fini dellinvalidit della delibera assembleare, non configurabile un conflitto di
interessi tra il singolo condomino e il condominio qualora venga dedotta una mera ipotesi astratta e non sia
possibile identificare, in concreto, una sicura divergenza tra le ragioni personali del condomino e linteresse
istituzionale comune (nella specie la Suprema Corte ha escluso che potesse in concreto configurarsi un conflitto
tra un singolo condomino e linteresse collettivo degli altri per il solo fatto che il predetto condomino godeva di
una disciplina di ripartizione delle spese comuni in misura diversa a quella proporzionale alla sua propriet
individuale).
Impugnazione delle delibere; azione di nullit; legittimazione di qualunque interessato.
Cass. Civ., sent. n. 5626, 18.4.2002, Sez. II
La nullit di una delibera condominiale disciplinata dallart. 1421 cod. civ., a norma del quale chiunque vi ha
interesse pu farla valere e quindi anche il condomino che abbia partecipato, con il suo voto favorevole, alla
formazione di detta delibera, salvo che con tale voto egli si sia assunto o abbia riconosciuto una sua personale
obbligazione.
CONTROVERSIE
Azione proposta da un terzo contro il condominio; onere di chiamare in giudizio il rappresentante ai
sensi della delibera dellassemblea; principio dellapparenza; inapplicabilit; conseguenze per quanto
riguarda la notifica di un atto.
Cass. Civ., sent. n. 65, 4.1.2002, Sez. II
Ai sensi dellart. 1131 cod. civ. il terzo che vuole fare valere in giudizio un diritto nei confronti del condominio ha
lonere di chiamare in giudizio colui che ne ha la rappresentanza sostanziale secondo la delibera dellassemblea

dei condomini, e pertanto non pu tenere conto di risultanze derivanti da documenti diversi dal relativo verbale:
ci in quanto il principio dellapparenza del diritto inapplicabile alla rappresentanza nel processo, essendo in
questultimo escluso sia il mandato tacito, sia lutile gestione. Ne deriva che la notifica di un atto processuale ad
un soggetto che non sia stato nominato amministratore del condominio, giuridicamente inesistente, mancando
il presupposto della sua legittimazione processuale.
Impugnazione della delibera; opposizione al decreto ingiuntivo; continenza e pregiudizialit; esclusione.
Cass. Civ., sent. n. 7261, 17.5.2002, Sez. II
Non sussiste ne continenza (art. 39, comma 2, cod. proc. civ.) ne pregiudizialit necessaria (art. 295 cod. proc.
civ.) tra la causa di opposizione a decreto ingiuntivo, ottenuto ai sensi dellart. 63 disp. att. cod. civ., e quella
preventivamente instaurata innanzi ad altro giudice impugnando la relativa delibera condominiale; presupposto
del provvedimento monitorio , infatti, lefficacia esecutiva della delibera condominale e oggetto del giudizio
innanzi al giudice dellopposizione il pagamento delle spese dovute da ciascun condomino sulla base della
ripartizione approvata con la medesima, obbligatoria ed esecutiva finch non sospesa dal giudice
dellimpugnazione, mentre oggetto del giudizio di impugnazione la validit di detta delibera.
Rappresentanza giudiziale del condominio; legittimazione processuale; condomini rappresentati
dallamministratore del condominio nel giudizio di primo grado; mancata impugnazione della sentenza
da parte del medesimo; impugnazione da parte del singolo condominio; ammissibilit.
Cass. Civ., sent. n. 12588, 28.8.2002, Sez. II
Configurandosi il condominio come un ente di gestione sfornito di personalit giuridica distinta da quella dei
singoli condomini; lesistenza di un organo rappresentativo unitario, quale lamministratore, non priva i singoli
partecipanti della facolt di agire a difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti alledificio condominiale; non
sussistono impedimenti, pertanto, a che i singoli condomini, non solo intervengano nel giudizio in cui tale difesa
sia stata assunta dallamministratore, ma anche si avvalgano, in via autonoma, dei mezzi di impugnazione per
evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio rappresentato
dallamministratore, non spiegando influenza alcuna, in contrario, la circostanza della mancata impugnazione di
tale sentenza da parte dellamministratore.
PARTI COMUNI
Presunzione di comunione; titolo contrario; accertamento; criteri.
Cass. Civ., sent. n. 6359, 3.5.2002, Sez. II
Al fine di stabilire se sussista un titolo contrario alla presunzione di comunione di cui allart. 1117 cod. civ.
occorre fare riferimento allatto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di trasferimento di una unit
immobiliare dalloriginario unico proprietario ad altro soggetto. Pertanto, se in occasione della prima vendita la
propriet di un bene potenzialmente rientrante nellambito dei beni comuni attribuita al condominio, deve
escludersi che un singolo condominio abbia potuto acquisirne con atto successivo la propriet esclusiva
dalloriginario unico proprietario, seppure il bene, per la conformazione dei luoghi, sia di fatto goduto ed utilizzato
pi proficuamente e frequentemente da tale condomino piuttosto che dagli altri.
Presunzione di comunione; titolo contrario; tubazione di scarico che serve solo alcune delle unit
immobiliari delledificio; operativit della presunzione di comunione; esclusione.
Cass. Civ., sent. n. 11391, 1.8.2002, Sez. II
In tema di condominio negli edifici, lindividuazione delle parti comuni risultante dallart. 1117 del cod. civ. pu
essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo e non opera con riguardo a cose che,
per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o pi unit
immobiliari (nella specie, tubazione di scarico servente solo alcune delle unit immobiliari delledificio).
Presunzione di comunione; titolo contrario; prova contraria; contenuto; onere relativo.
Cass. Civ., sent. n. 5633, 18.4.2002, Sez. II
La presunzione legale di condominialit stabilita per i beni elencati nellart. 1117 cod. civ., la cui elencazione non
tassativa, deriva sia dallattitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di
esso al servizio comune, con la conseguenza che, per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la
propriet esclusiva ha lonere di fornire la prova di tale diritto; a tal fine necessario un titolo dacquisto dal quale
si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre non sono
determinanti le risultanze del regolamento di condominio, n linclusione del bene nelle tabelle millesimali come
propriet esclusiva di un singolo condomino.
REGOLAMENTO Contrattuale; modifica; requisiti; approvazione allunanimit e forma scritta; necessit.
Cass. Civ., sent. n. 5626, 18.4.2002, Sez. II

Le clausole dei regolamenti che limitano i diritti dei condomini sulle propriet esclusive o comuni e quelle che
attribuiscono ad alcuni di loro maggiori diritti rispetto agli altri hanno natura contrattuale e sono modificabili
soltanto con il consenso unanime dei partecipanti alla comunione, che deve essere manifestato in forma scritta,
essendo esse costitutive di oneri reali o di servit prediali da trascrivere nei registri immobiliari della
conservatoria per lopponibilit ai terzi acquirenti di appartamenti o di altre porzioni immobiliari delledificio
condominiale: mentre per la variazione di clausole che disciplinano luso delle parti comuni sufficiente la
deliberazione assembleare adottata con la maggioranza prescritta dallart. 1136 comma 2 cod. civ. (nella specie
al S.C. sulla base di tali principi, ha confermato la sentenza di merito cha aveva dichiarato la nullit della
deliberazione assembleare con la quale era stata modificata la clausola del regolamento di condominio relativa
al divieto della sosta dei veicoli nel cortile comune)
RIPARTIZIONE SPESE Parti comuni; spese generali e di manutenzione; criterio delle misura
proporzionale al valore della propriet di ciascun condomino; derogabilit; condizioni. Cass. Civ., sent.
n. 3944, 18.3.2002, Sez. II In materia di condominio, valida la disposizione del regolamento condominiale, di
natura contrattuale, secondo cui le spese generali e di manutenzione delle parti comuni delledificio vanno
ripartite in quote uguali tra i condomini, giacch il diverso e legale criterio di ripartizione di dette spese in misura
proporzionale al valore della propriet di ciascun condominio (art. 1123 cod. civ.) liberamente derogabile per
convenzione (quale appunto il regolamento contrattuale di condominio), n siffatta deroga pu avere alcuna
effettiva incidenza sulla disposizione inderogabile dellart. 1136 cod. civ. ovvero su quella dellart. 69 disp. att.
cod. civ., in quanto, seppure con riguardo alla stessa materia del condominio negli edifici, queste ultime
disciplinano segnatamente i diversi temi della costituzione dellassemblea, della validit delle deliberazioni e
delle tabelle millesimali.
RISCALDAMENTO CENTRALE Insufficiente erogazione del servizio; diritto del condomino allesonero
dalla contribuzione nelle spese di esercizio; esclusione; danni subiti dal condomino per la carente
erogazione del riscaldamento; accertamento giudiziale e liquidazione; criterio. Cass. Civ., sent. n. 12596,
28.8.2002, Sez. II Lobbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al
godimento del servizio centralizzato del riscaldamento (come di ogni altra parte comune) non viene meno per la
semplice circostanza che limpianto non eroghi sufficiente calore n, questultima circostanza, pu giustificare un
esonero dal contributo. Tuttavia, in caso di insufficiente erogazione della giusta quantit di calore, il condomino
pu far valere la lesione al suo diritto ad una adeguata erogazione di calore, previo accertamento giudiziale del
danno subito e della sua liquidazione, riferibile, da un lato, ai contributi pagati a questo scopo al condominio
e, da un altro lato alle spese affrontate per supplire con mezzi propri alla carente erogazione del servizio
centralizzato.
RISCOSSIONE CONTRIBUTI Azioni giudiziarie esercitate dallamministratore contro il condomino
inadempiente; competenza per territorio; giudice del luogo in cui sito limmobile condominiale Cass.
Civ., sent. n. 12274, 20.8.2002, Sez. II Lamministratore di condominio, nellesercizio dellattivit di riscossione
dei contributi dovuti da ciascun condomino per lutilizzazione delle cose comuni, agisce in rappresentanza degli
altri condomini, cos che le controversie che insorgano in ordine a tale riscossione integrano gli estremi della lite
tra condomini soggetta, quanto alla competenza per territorio, ai criteri di cui allart. 23 cod. proc civ. (cognizione
del giudice del luogo in cui sito limmobile condominiale).
Condanna al pagamento contro il condominio
Cassazione seconda civile, sentenza n. 20304 del 14 ottobre 2004
Il creditore che ha gi ottenuto sentenza definitiva di condanna al pagamento di una somma di denaro nei
confronti del condominio carente di interesse ad agire contro il singolo condomino per il pagamento pro-quota
della medesima somma.
Ascensore condominiale: i criteri per la ripartizione delle spese
Cassazione , sez. II civile, sentenza 17.02.2005 n 3264 E' legittimo il criterio di ripartizione delle spese di
conservazione e manutenzione dell'ascensore condominiale in conformit a quanto stabilito dall'art. 1124 Cod.
Civ. con riferimento alle scale condominiali, secondo cui le spese sono ripartite fra i condomini, per met in
ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per laltra met in misura proporzionale allaltezza di
ciascun piano dal suolo. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3264 del 17 febbraio
2005, ribadendo l'applicazione della suddetta norma in via analogica, in virt della medesima ratio, alla
fattispecie avente ad oggetto l'ascensore, per la cui disciplina manca una specifica disciplina.
L'amministratore di condominio non legittimato a resistere in giudizio
Cass. seconda civile, sentenza n. 22294 del 26 novembre 2004
La Corte di cassazione ha statuito che l'amministratore di condominio non legittimato a resistere in giudizio per
il condominio senza autorizzazione dell'assemblea nelle controversie non rientranti tra quelle che egli pu
autonomamente proporre (ai sensi del primo comma dell'art. 1131 cod. civ.). L'autorizzazione dell'assemblea,
inoltre, vale soltanto per il grado di giudizio in relazione al quale viene rilasciata.
E' ammissibile una distinzione tra propriet del lastrico solare e propriet della sovrastante "colonna
d'aria"?
Cass. seconda civile, sentenza n. 22032 del 22 novembre 2004
La colonna d'aria - ossia lo spazio sovrastante il lastrico solare - non costituisce oggetto di diritti, quindi, non

costituisce oggetto di propriet autonoma rispetto alla propriet del lastrico, la propriet della colonna d'aria va
intesa come diritto in capo al proprietario di utilizzare senza limitazione alcuna lo spazio sovrastante mediante la
soprelevazione.
Ma la statuizione non comporta l'esonero per il proprietario dallobbligo di corrispondere l'indennit agli altri
condomini, salvo che non sia accompagnata dalla accettazione e dalla susseguente rinunzia da parte di tutti i
proprietari dei piani sottostanti.
I locali per la portineria e per l'alloggio del portiere sono suscettibili di utilizzazione individuale
Cassazione civile Sentenza 25/03/2005, n. 6474
In tema di parti dell'edificio condominiale, adibite ai sensi dell?art. 1117, n. 2, c.c., ad alloggio del portiere, deve
accertarsi se l'atto, che nel caso concreto li sottrae alla presunzione di propriet comune, contenga anche la
risoluzione o il mantenimento del vincolo di destinazione derivante dalla loro natura, configurandosi, nel secondo
caso, l'estensione di un vincolo obbligatorio propter rem fondato su una limitazione del diritto del proprietario,
che suscettibile di trasmissione in favore dei successivi acquirenti dei singoli appartamenti anche in mancanza
di trascrizione.
Cause relative alle modalit di uso dei servizi di condominio di case e competenza giudice di pace Cass.
seconda civile, sentenza n. 4030 del 25 febbraio 2005
Per "cause relative alle modalit di uso dei servizi di condominio di case" (gi di competenza del conciliatore)
devono intendersi quelle concernenti i limiti qualitativi di esercizio di facolt contenute nel diritto di comunione,
nelle quali, cio, si controverte sul modo pi conveniente ed opportuno in cui tali facolt devono essere
esercitate, mentre le cause relative alla misura di detti servizi (gi di competenza del pretore) si identificano con
quelle riguardanti una limitazione o riduzione quantitativa del diritto dei singoli condomini.
Da queste cause, ora attribuite entrambe alla competenza per materia del giudice di pace a norma dell'art. 7
cod. proc. civ., come sostituito dall'art. 17 della legge 21 novembre 1991 n. 374, vanno tenute distinte, per, le
controversie che vedono messo in discussione il diritto stesso del condomino ad un determinato uso della cosa
comune e che, quindi, rimangono soggette agli ordinari criteri della competenza per valore.
In applicazione del suindicato principio la S.C. ha rigettato il ricorso con cui l'impugnante si doleva che l'adito
tribunale avesse - asseritamente "in modo tautologico, richiamando la norma e la correlativa esegesi
giurisprudenziale"- dichiarato la propria incompetenza in favore del giudice di pace a conoscere
dell'impugnazione della delibera di condominio nella parte in cui stabiliva di mantenere il distacco dell'apertura
della porta d'ingresso dello stabile dai singoli citofoni anche durante le ore di chiusura del portierato, deducendo
che solo apparentemente tale delibera concerneva le modalit e la misura d'uso dei beni comuni, di fatto
viceversa risolvendosi in una limitazione delle dotazioni dei singoli appartamenti privati e ai diritti del singolo
condomino, rimanedole a tale stregua impedita ogni possibilit di scendere ad aprire a qualsiasi invitato o
fornitore, nonch di ricevere soccorso in caso di impedimento a scendere le scale.
Spese processuali: per la compensazione non richiesta alcuna motivazione
Cassazione , sez. I civile, sentenza 22.04.2005 n 8540 In materia di spese processuali il giudice pu disporre
la compensazione anche senza fornire, al riguardo, alcuna motivazione, e senza che - per questo - la statuizione
diventi sindacabile in sede di impugnazione e di legittimit, atteso che la valutazione dell'opportunit della
compensazione, totale o parziale, delle stesse, rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, sia
nell'ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella della ricorrenza di giusti motivi. Lo ha ribadito la Corte di
Cassazione, con la sentenza n. 8540 del 22 aprile 2005, precisando che in tema di regolamento delle spese
processuali, il sindacato della Corte di cassazione limitato ad accertare che non risulti violato il principio
secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa o che siano
addotte ragioni palesemente o macroscopicamente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza o
evidente erroneit, lo stesso processo formativo della volont decisionale.
"Ho acquistato un garage sito in un edificio condominiale, che dotato di piscina. Posso usare anch'io la piscina,
pur non essendo proprietario anche di appartamenti in quel condominio?" La piscina considerata pertinenza
degli appartamenti, cos come i garage sono considerati pertinenza degli appartamenti perch destinati
funzionalmente a servire questi ultimi. Pertanto, poich lei ha acquistato una pertinenza, il garage, di cui
consentita la vendita separatamente dalla cosa principale, che l'appartamento, non pu usufruire della
piscina.

Cass.civ., sez.II,3 dicembre 1999, n.13504, Lamministratore di un condominio, alla cessazione del suo
mandato, ha lobbligo di restituire ai condomini quanto ricevuto a causa dello svolgimento dell incarico, tra cui i
documenti concernenti la gestione, n pu trattenerli finch non rimborsato delle somme anticipate per conto del
condominio, avvalendosi del principio iademplenti non est ad mplendum ,non essendovi corrispettivit n
interdipendenza tra dette prestazioni,originate da titoli diversi.
Competenza delle spese giud. di revoca dell'amministratore.
Il procedimento di nomina o di revoca dell'Amministratore di condominio, anche quando si inserisce in una
situazione di conflitto tra i condomini o tra alcuni condomini e l'Amministratore, ha natura di procedimento di
volontaria giurisdizione e, pertanto, si sottrae all'applicabilit delle regole dettate dagli Artt. 91 e segg. C.P.C. in
materia di spese processuali, le quali postulano l'identificabilit di una parte vittoriosa e di una parte

soccombente in esito alla definizione di un conflitto di tipo contenzioso. Ne consegue che le spese relative al
procedimento in oggetto devono rimanere a carico del soggetto che le abbia anticipate assumendo l'iniziativa
giudiziaria e interloquendo nel procedimento. Suprema Corte sez.II sentenza 20/03/2001 n. 3706
nomina giudiziale dellamministratore e ripartizione delle spese legali.
Le spese legali necessarie per la nomina giudiziale dell'amministratore, sostenute dal singolo condomino,
vanno poste a carico del Condominio e ripartite in capo a tutti i condomini, in base ai principi generali
cristallizzati negli articoli 1104 e 1123 del codice civile. Inoltre, al singolo condomino, che ha anticipato detto
importo, vanno riconosciuti oltre agli interessi legali, anche la rivalutazione monetaria, dall'anticipo di tale importo
al saldo, vertendosi in tema di debito di valuta relativamente al quale il maggior danno ex art. 1124 del codice
civile va risarcito quanto meno nella misura presuntivamente spettante ad ogni consumatore con riferimento agli
indici ISTAT (v. da ultimo Cass. 6224/2002, 2508/2002 e 10569/2001)Tribunale di Milano, n. 838/03 - Sezione VIII Civile
Decreto ingiuntivo e provvisoria esecuzione: fax e email quali prove scritte ostative
Tribunale Ancona, ordinanza 09.04.2005 La prova scritta ostativa alla concessione della provvisoria
esecuzione di un provvedimento monitorio richiesta nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo,
ex art. 648, c.p.c., pu ravvisarsi anche nellintercorsa corrispondenza, trasmessa via fax ed e-mail a sostegno
della domanda riconvenzionale spiegata dallopponente per il riconoscimento della pretesa di credito vantata nei
confronti dellopposto. http://www.altalex.com/index.php?idnot=9588
Come si costituisce il condominio Cass. n 18226/2004 Il condominio si costituisce ex se ed ope iuris, senza
che sia necessaria deliberazione alcuna, nel momento in cui pi soggetti costruiscano su un suolo comune,
ovvero quando l'unico proprietario di un edificio ne ceda a terzi piani o porzioni di piano in propriet esclusiva,
realizzando l'oggettiva condizione del frazionamento che ad esso d origine
Comodato - casa - usucapione - trasformazione della detenzione in possesso Cass. Sez. II civile, sentenza
n. 5551 del 15 marzo 2005
La presunzione di possesso utile "ad usucapionem" di cui all'art. 1141 cod. civ. non opera quando la relazione
con la cosa consegua non ad un atto volontario di apprensione, ma ad un atto o ad un fatto del
proprietario-possessore, poich l'attivit del soggetto che dispone della cosa ( non corrisponde all'esercizio di un
diritto reale, non essendo svolta in opposizione al proprietario. In tal caso la detenzione non qualificata di un
bene immobile pu mutare in possesso solamente all'esito di un atto di interversione idoneo ad escludere che il
persistente godimento sia fondato sul consenso, sia pure implicito, del proprietario concedente. Ne consegue
che se il godimento dellimmobile iniziato in base a comodato precario per ragioni di servizio non sufficiente
a farne desumere la trasformazione in possesso utile per lusucapione la mera mancata restituzione delle chiavi,
unitamente al ricovero nell'immobile di animali per un tempo limitato, e alla presenza "in loco" di un cane alla
corda.
Tutelabilit e concetto del decoro architettonico di un edificio condominiale.
Cassazione - sentenza n. 17398/2004
In tema di condominio degli edifici il decoro architettonico - allorch possa individuarsi nel fabbricato una linea
armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia - un bene comune il cui
mantenimento tutelato a prescindere dalla validit estetica assoluta delle modifiche che si intendono
apportare. Pertanto, una volta accertato che le modifiche non hanno una valenza ripristinatoria o migliorativa
dell'originaria fisionomia, ma alterano quest'ultima sensibilmente, non ha alcuna rilevanza l'accertamento - del
tutto opinabile - del risultato estetico della modifica, che deve ritenersi non consentita quand'anche nel suo
complesso possa apparire a taluno gradevole.
Condominio e spese di conservazione: legittimazione passiva dell'ex condomino
Cassazione , sez.II civile, sentenza 01.07.2004 n 12013 Il condomino creditore che intenda agire in
executivis contro il singolo partecipante al condominio per il recupero delle spese di conservazione dell'immobile
accertato con sentenza, deve rivolgere la propria pretesa, sia per il credito principale, che per credito relativo alle
spese processuali, contro chi rivestiva la qualit di condomino al momento in cui l'obbligo di conservazione
insorto, e non contro colui che tale qualit riveste nel momento in cui il debito viene giudizialmente determinato.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12013 del 1 luglio 2004, ricordando che l'obbligo di
ciascun condomino di contribuire alle spese di conservazione delle parti comuni insorge nel momento in cui si
rende necessario provvedere all'esecuzione dei lavori necessari, e non quando il debito viene determinato in
concreto, in caso di sentenza di condanna pronunziata nei confronti del condominio per inosservanza
dell'obbligo di conservazione delle cose comuni.
Privacy. Condominio, art.700 c.p.c. - Esposizione in bacheca condominiale di denuncia
Tribunale di Napoli, Sez. dist. Afragola, ordinanza del 27.04.2005
Il trattamento dei dati deve essere improntato, anche in ambito condominiale, al rispetto dei principi di pertinenza
e non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi vengono raccolti.
L'esposizione in bacheca della denuncia (nella quale vengono riportati dati personali ed identificativi di un
soggetto) concreta una diffusione di dati inosservante dei principi normativi:
a) perch idonea a rendere edotti dei dati anche soggetti estranei;

b) perch concernente una vicenda privata e personale del singolo condomino;


La ricezione della busta raccomandata non ne costituisce prova del contenuto
Cassazione , sez. III civile, sentenza 12.05.2005 n 10021 La sola ricezione della busta raccomandata da
parte del destinatario non costituisce prova del contenuto di essa. E' questo il principio di diritto enunciato dalla
Corte di Cassazione nella sentenza n. 10021 depositata il 12 maggio 2005. Nel caso di specie, vertente la
cessione di credito fra societ, i giudici hanno ritenuto che la sola dimostrazione della consegna della lettera
raccomandata non vale ad invertire lonere della prova circa lavvenuta comunicazione della cessione del
credito. Preso atto dell'orientamento rigoroso della Suprema Corte occorre chiederci se in futuro occorrer
richiedere la prova testimoniale per confermare il contenuto della raccomandata al momento della spedizione.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=9624
Condominio. Assemblea. Condominio parziale. Se un argomento interessa una delle cose di cui al
terzo comma dell'art. 1123 c. c. ( cose destinate a servire unicamente un gruppo di condomini), non
solo alle votazioni ma anche alla semplice discussione debbono concorrere i soli proprietari ai quali
il bene serve.
Nella ipotesi di convocazione di un'unica assemblea condominiale allo scopo di decidere su di una serie di
questioni, alcune delle quali riguardanti solo singoli condomini - convocazione sicuramente valida, in quanto
non vietata da alcuna norma - , i condomini eventualmente non legittimati a votare su di un determinato
argomento che non li riguardi non possono, attraverso la partecipazione alla discussione che precede quella
votazione, influire sull'esito della stessa. (sentenza 697/2000 del 22 gennaio 2000 )
LA MANCATA CONVOCAZIONE IN ASSEMBLEA del nuovo condomino che non si sia appalesato
all'amministratore non inficia la riunione
L'acquirente di un appartamento di un edificio in condominio non puo' dolersi di non essere stato invitato a
partecipare all'assemblea che ha deliberato in merito alle spese condominiali, finche' non abbia notificato o
almeno comunicato, essendo il relativo onere a suo carico, l'avvenuto passaggio si propriet.(Cass.5307/98)
Condominio. Delibere valide. La assemblea pu provvedere alla ripartizione di una spesa, anche se
manchi la particolare tabella millesimale. In difetto della tabella la assemblea tenuta a rispettare per il
riparto i criteri determinati dal codice e spetta al singolo condomino che intenda contestare la
corrispondenza con i detti criteri di indicare specificatamente le ragioni della denunciata illegittimit.
La ripartizione di una spesa condominiale pu essere, del tutto legittimamente, deliberata anche in assenza di
appropriata tabella millesimale, purch risulti in concreto rispettata la proporzione tra la quota di spesa posta a
carico di ciascun condomino e la quota di propriet esclusiva a questi appartenente, essendo il criterio di
determinazione delle singole quote preesistente ed indipendente dalla formazione della predetta tabella. Ne
consegue che il condomino il quale ritenga che la ripartizione della spesa contrasti con tale criterio ha l'onere di
impugnare la delibera, indicando in quali esatti termini si sia consumata la violazione in suo danno, e quale
pregiudizio concreto ed attuale gliene sia derivato. (sentenza n13505 del 03/12/1999 )
Condominio delibere valide. Le pronunce della assemblea su argomenti che rientrano nelle ordinarie
attribuzioni dell'amministratore non implicano sempre la sussistenza di vera e propria deliberazione e
pertanto la loro efficacia non subordinata alla verifica del conseguimento di una particolare
maggioranza. Ci accade in particolare per la conferma della decisione dell'amministratore di agire in
giudizio nell'ambito delle attribuzioni riconosciutegli dall'art. 1131 1 comma c. c. Conseguentemente, in
tali situazioni, la efficacia della procura conferita al difensore del condominio non condizionata dal
raggiungimento dei quorum.
L'amministratore di un condominio, per conferire la procura al difensore al fine di agire poi in giudizio nell'ambito
delle attribuzioni previste dall' art. 1130 cod. civ., non ha bisogno dell'autorizzazione dell'assemblea dei
condomini con la conseguenza che una eventuale delibera sul punto, avendo il significato di mero assenso alla
scelta effettuata dall'amministratore, non necessita, per la validit della procura stessa, che sia adottata dalla
maggioranza dei condomini. (sentenza n13504 del 03/12/1999 )
Condominio. Delibere annullabili. La mancata comunicazione dell'avviso di convocazione ad un
condomino comporta la semplice annullabilit e non la nullit radicale della assemblea. (La Corte di
Cassazione apre la strada ad una lettura delle regole sulla impugnabilit della assemblea ai sensi
dell'articolo 1137 c. c. , diversa da quella tradizionale ma pi aderente al testo della norma. Vi da
attendersi che in futuro solo le deliberazioni che abbiano oggetto illecito o impossibile vengano
ritenute passibili di impugnativa senza limiti di tempo e quindi anche oltre il termine di trenta giorni)
La mancata comunicazione dell'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale ad un condomino, in
quanto vizio del procedimento collegiale, comporta non gi la nullit, ma l'annullabilit della delibera che, ove
non impugnata nel termine di trenta giorni (dalla comunicazione per i condomini assenti e dalla approvazione
per quelli dissenzienti), e' valida ed efficace nei confronti di tutti i partecipanti al condominio. ( Cassazione
sentenza N 1292 del 5 febbraio 2000)
Condominio. Trasformazione dell'impianto termico in impianti unifamiliari. La delibera che determina
la trasformazione dell'impianto termico centralizzato in impianti autonomi e lascia ogni condomino
libero di installare l'impianto che ritiene pi opportuno richiede la approvazione unanime dei

partecipanti al condominio.
E' illegittima la deliberazione dell'assemblea del condominio di un edificio adottata a maggioranza delle quote
millesimali (anzich con il consenso unanime di tutti i condomini richiesto dall'art. 1120, secondo comma cod.
civ.) con la quale si prevede la trasformazione dell'impianto di riscaldamento centralizzato in impianti
unifamiliari e si autorizza ogni condomino a provvedere autonomamente ad installare l'impianto che ritiene
pi opportuno, senza alcun riferimento al rispetto delle prescrizioni della legge n. 10 del 1991 per la riduzione
dei consumi energetici. ( Cass. 5117 del 26 maggio 1999 )
Condominio. Convocazione dell'assemblea, ordine del giorno. La conoscenza della convocazione
della assemblea e la congruit dell'ordine del giorno e la sua idoneit a consentire la preventiva
informazione dei condomini non richiedono l'uso di formalit sacramentali e possono i ritenersi
avvenuti quando comunque risulti raggiunto lo scopo perseguito dal legislatore, il quale richiede che
i partecipanti al condomini siano messi al corrente della convocazione e degli argomenti che si
discuteranno: avuto riguardo alla necessit: che tutti possano intervenire; che tutti possano
prepararsi alla discussione.
Affinch uno dei comproprietari "pro indiviso" di un piano o porzione di piano possa ritenersi ritualmente
convocato a partecipare all'assemblea condominiale, nonch validamente rappresentato nella medesima da
altro comproprietario della stessa unita' immobiliare, non si richiedono particolari formalit, essendo
sufficiente che risulti provato - nella ricorrenza di circostanze presuntive affidate alla valutazione del giudice
del merito che, dato l'avviso ad uno dei comproprietari, quest'ultimo abbia reso edotti gli altri della
convocazione. In particolare, l'esigenza che tutti i comproprietari siano preventivamente informati della
convocazione dell'assemblea condominiale puo' ritenersi soddisfatta quando risulti, secondo l'incensurabile
accertamento del giudice del merito, che in qualunque modo i detti comproprietari ne abbiano avuto notizia. (
Cass. Sent.N 1830 del 18 febbraio 2000)
Condominio. Delibere nulle. Sono soggette ad impugnazione anche le delibere negative e cio quelle
con le quali abbia respinto la proposta di adottare una misura che deve invece reputarsi obbligatoria
perch necessaria per tutelare i diritti anche di un partecipante al condominio.
"Le deliberazioni di un'assemblea condominiale aventi contenuto negativo sono legittimamente impugnabili
dinanzi all'autorit giudiziaria al pari di tutte le altre, limitandosi l'art. 1137 cod. civ. a stabilire la possibilit del
ricorso all'autorit giudiziaria contro le delibere contrarie alla legge o al regolamento di condominio, senza
operare nessuna distinzione tra quelle che abbiano approvato proposte o richieste e quelle che le abbiano,
invece, respinte (fattispecie in tema di delibera condominiale con cui era stata respinta la proposta di
ripristino degli ascensori di servizio). (Cass.313 del 14 gennaio 1999 )"
Condominio - Assemblea. E' annullabile la deliberazione assembleare se nel verbale non sono
specificatamente elencati i nomi dei partecipanti e dei favorevoli, quando tali indicazioni siano
necessarie per verificare il raggiungimento dei quorum costitutivi e deliberativi.
"E' annullabile entro trenta giorni, su impugnazione dei condomini dissenzienti, la delibera il cui verbale d
atto del risultato della votazione in base al numero dei votanti senza indicare analiticamente i nomi dei
partecipanti e il valore della loro propriet in millesimi, specificazione necessaria onde verificare la validit
della costituzione dell'assemblea ai sensi dell'art. 1136 cod. civ., nonch il nome e il valore della quota
proporzionale dei condomini assenzienti e dissenzienti, necessaria onde verificare la validit della delibera
adottata sia in relazione ai "quorum", se le quote sono disuguali, sia in relazione ad un eventuale conflitto di
interessi tra condomino e condominio.( Cass. N10329 del 19 ottobre 1998 )"
Assemblea. Delibere nulle. I criteri di ripartizione delle spese possono essere modificati solo con il
consenso di tutti i condomini. Sono quindi radicalmente nulle le deliberazioni approvate a
maggioranza,con le quali si modifichino le tabelle millesimali in via generale e con effetto per il
futuro.
"Le delibere dell'assemblea di condominio aventi a oggetto la ripartizione delle spese condominiali con le
quali vengono adottati, in via generale, criteri di suddivisione delle spese medesime diversi da quelli previsti
dalla legge o convenzionalmente fissati in precedenza, richiedono, a pena di radicale invalidit, il consenso e
il voto unanime di tutti i condomini e perci non possono essere approvate a maggioranza. (Cass.N
1511/97)"
Assemblea. Delibere nulle. Se la deliberazione assembleare radicalmente nulla,anche il condomino
che abbia votato a favore della decisione pu proporre la impugnativa.
"Ai sensi dell'articolo 1421 del Cc, la nullit delle delibere assembleari pu essere fatta valere da qualunque
condomino interessato, ancorch abbia partecipato all'assemblea e abbia espresso voto favorevole ai
provvedimenti contestati, ove al suo voto non possa essere attribuito significato di atto negoziale implicante
assunzione di una propria personale obbligazione. ( Cass.N 1511/97 )"
Assemblea. Delibere Nulle. Sono radicalmente nulle le delibere che pongono a carico di un
condomino spese per la manutenzione di un bene alla titolarit del quale egli non partecipa.
"La deliberazione dell'assemblea condominiale, ponendo a carico di un condomino le spese di manutenzione
relative a parte dell'edificio non appartenente in propriet comune al predetto, incide sui diritti individuali dello
stesso condomino ed quindi affetta da nullit, con la conseguenza che l'impugnazione non soggetta al
termine di decadenza di cui al comma 2 dell'articolo 1137 del Cc, ma, essendo imprescrittibile, puo' essere

fatta valere in ogni tempo. (Cass N 10371/97) "


Gli effetti di una violazione di un'obbligazione reale in condominio
Cass, con sentenza n. 15763/2004
In tema di condominio degli edifici l'obbligo assunto dai singoli condmini in sede di approvazione del
regolamento contrattuale, di non eseguire sul piano o sulla porzione di piano di propriet esclusiva attivit
che rechino danno alle parti comuni, ha natura di obbligazione propter rem, la cui violazione, pur se protratta
oltre venti anni, non determina l'estinzione del rapporto obbligatorio e dell'impegno a tenere un
comportamento conforme a quello imposto dal regolamento onde sempre deducibile, stante il carattere
permanente della violazione, il diritto degli altri condmini di esigere l'osservanza di detto comportamento,
potendosi prescrivere soltanto il diritto al risarcimento del danno derivante dalla violazione dell'obbligo in
questione.
Comodato: sul mutamento della detenzione in possesso ai fini dellusucapione
Cassazione , sez. II civile, sentenza 15.03.2005 n 5551 La presunzione del possesso in colui che esercita un
potere di fatto non opera, a norma dellart. 1141c.c., quando la relazione con il bene non consegua ad un atto
volontario di apprensione, ma derivi da un iniziale atto o fatto del proprietario-possessore. Inoltre, quando la
disponibilit della cosa persiste in assenza di contraria volont del proprietario, la posizione del detentore
qualificabile come detenzione semplice o precaria, determinandosi una situazione di tolleranza da parte del
proprietario-possessore che non d luogo alla trasformazione della detenzione in possesso. Analogamente pu
dirsi riguardo allattivit di colui il quale, dopo il venir meno del rapporto che giustificava lanteriore disponibilit,
continua a disporre della cosa. Occorre, quindi, per la trasformazione della detenzione in possesso, un
mutamento del titolo che non pu aver luogo mediante un mero atto di volizione interna, ma deve risultare dal
compimento di idonee attivit materiali di specifica opposizione al proprietario-possessore, quale, ad esempio,
larbitrario rifiuto alla restituzione del bene. Non sono pertanto sufficienti atti corrispondenti allesercizio del
possesso, che di per s denunciano unicamente un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla
materiale disponibilit del bene. Ancora, costituisce onere di chi vuol far valere gli effetti della possessio ad
usucapiendum dimostrare linterversione della detenzione in possesso, essendo alluopo necessario che il
detentore compia degli atti che manifestino inequivocamente al possessore il mutamento del suo animus, non
essendo pertanto sufficiente la mera prova delluso che egli faccia della cosa.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=3433
Restituzione delle somme per le spese di manutenzione del giardino non di propriet del condominio
Cassazione civile Sentenza 22/04/2005, n. 8490
Nel caso di specie un condominio agisce in giudizio per la restituzione delle somme per le spese di
manutenzione del giardino non di propriet del condominio. Il giudice di primo grado gli riconosce il diritto alla
restituzione delle somme, ma solo a partire dal periodo in cui egli si era dissociato dalla spese; le spese invece
sostenute nel periodo precedente devono considerarsi contributi volontari e quindi non ripetibili.
Il condominio ricorre in cassazione ma la S.C. dichiara infondato il ricorso e afferma :
L?obbligo di pagare i contributi condominiali trova il suo fondamento nell?essere il condominio comproprietario
dei beni alla cui conservazione e manutenzione deve contribuire, con conseguente invalidit di qualsiasi norma
del regolamento condominiale, non contrattuale, che, al di l dell?unanime consenso di tutti i condomini, ponga
a carico del condominio, con il meccanismo della delibera assembleare, oneri non previsti dalla legge.
Se si cade dalle scale condominiali mentre si va al lavoro, non viene considerato a infortunio in itinere
quanto deciso dal Tar del Lazio ? Sezione II bis - con sentenza n. 2695 del 13.4.2005 Invero, esse rientrano
nella nozione unitaria di propriet immobiliare, atteso che, mentre la casa vera e propria appartiene soltanto al
suo titolare ovvero e nella sua disponibilit in via esclusiva, le scale dello stabile, essendo riconducibili al
condominio a titolo di comune (e forzosa) propriet privata, sono destinate ad essere necessariamente riferite
pro-quota ai singoli appartamenti, configurandosi esse alla stregua di beni di uso o godimento collettivo, peraltro,
inscindibili dalle singole propriet individuali. Conseguentemente, laccezione di abitazione, da cui prende avvio
il percorso o il tragitto che il dipendente deve necessariamente seguire, per recarsi dalla propria casa allufficio,
non puo che comprendere anche le scale condominiali. E, per converso, affinch possa gravare sulla comunit
il rischio generico della strada nellinfortunio in itinere, la distanza che il dipendente e tenuto a coprire per
raggiungere il luogo di lavoro, non puo che essere il percorso stradale, vale a dire quello delle ordinarie vie di
comunicazione che si dipartono dalledificio di cui fa parte la casa di abitazione. Tale convincimento si rivela,
invero, vieppi rispondente alla ratio dellistituto, che e quella di indennizzare il lavoratore degli effetti nocivi di
un accadimento, che abbia a verificarsi, senza alcuna sua rilevante e diretta responsabilit, in un ambito esterno
alla sua sfera di privata autonomia. Correttamente, dunque, il Comune resistente ha ritenuto non configurabile la
fattispecie dellinfortunio in itinere nella vicenda occorsa allattuale ricorrente. Va, invero, esclusa
lindennizzabilit dellevento dannoso, non soltanto quando linfortunio si verifichi nellabitazione ovvero nel
domicilio o dimora del lavoratore, ma anche nellipotesi di infortunio occorso al medesimo nelle scale
condominiali od in altri luoghi di comune propriet privata (cfr. Cass. civ., sez. lav., 9 giugno 2003, n. 9211).
A meno che non risulti diversamente dal titolo, lintercapedine creata dal costruttore tra il muro di
contenimento del terreno che circonda i piani interrati o seminterrati delledificio ed il muro che delimita questi
piani deve considerarsi comune ai proprietari delle unit immobiliari dellintero edificio quando sia in concreto
accertato che destinata a fare circolare laria e ad evitare umidit ed infiltrazioni dacqua sia a vantaggio dei
piani interrati o seminterrati sia a vantaggio delle fondamenta e dei pilastri, che sono parti necessarie per

lesistenza di tutto il fabbricato. Cass. civ., sez. II, 10 maggio 1996, n. 4391, Ascanio c. Soc. Finpas.
Il pagamento dovuto da chi sia distaccato ma usufruisca del calore dai tubi murati Riscaldamento da pagare
anche senza termosifoni (Cassazione 680/2005) Essersi distaccati dall'impianto centralizzato di riscaldamento
di un condominio non esonera automaticamente il condomino dal pagare le rate se usufruisce comunque del
calore. quanto ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, che ha specificato al riguardo
che il riscaldamento deve essere pagato anche da chi abbia in affitto un locale ad uso non abitativo, qualora sia
dimostrato che, nonostante la mancanza dei radiatori, tuttavia l'immobile "benefici in una certa misura
dell'esistenza dell'impianto di riscaldamento esistente nel fabbricato", in quanto, essendo tutti i piani riscaldati,
l'appartamento "riceve calore per la presenza nei muri delle tubazioni del riscaldamento".
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=27688&idCat=45
E' irragionevole riferirsi a impostazioni giuridiche superate Alloggi, l'equo canone proprio morto (Corte
costituzionale 339/2004) La decadenza dall'assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica non pu
essere pronunciata a seguito dell'accertamento della disponibilit di altro alloggio valutato in base "al canone di
locazione determinato ai sensi della legge n. 392 del 1978". La Corte Costituzionale torna su una questione gi
dibattuta in altre sentenze, con specifico riguardo alla Toscana, per ribadire il principio che rileva la
"irragionevolezza" di quelle norme che facciano riferimento a impostazioni giuridiche ormai superate, come nel
caso della "legge sull'equo canone", vanificata dall'introduzione della legge 9 dicembre 1998, n.431. A farne le
spese, sono alcune disposizioni della legislazione toscana (artt. 5, comma 1, lettera D, e 38, comma 1, lettera D,
della Legge Regionale 4 maggio 1989, n. 25, recante "Disciplina per l'assegnazione degli alloggi di edilizia
residenziale pubblica e per la determinazione del canone sociale"), che sono state impugnate dinanzi ai Giudici
della Consulta, per essere sopravvissute ai successivi adeguamenti della regolamentazione. In buona sostanza,
la Corte stata chiamata a "ripulire" l'ordinamento della Regione Toscana da certe scorie normative, residuate
dall'intervento di una novella statale e dal recepimento di tale novella dall'amministrazione locale. Questo ha
portato alla sentenza che qui di seguito si riporta e alla pronuncia d'illegittimit, resa necessaria dal fatto che le
precedenti sentenze d'incostituzionalit non si sono potute estendere "analogicamente" alle disposizioni di cui si
tratta, n era possibile disfarsene altrimenti da parte degli operatori del diritto.
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=912&idCat=45
Possibile anche l'installazione di paletti per delimitare i parcheggi Per le aiuole non serve la concessione (Tar
Lazio 6767/2001) Il condominio pu disporre l'infissione di paletti in ferro sul suolo pubblico per delimitare i
parcheggi e pu realizzare anche delle aiuole: per compiere questi lavori, infatti, non necessaria alcuna
concessione edilizia. Pertanto, da considerarsi nulla l'ordinanza del Sindaco che dispone la sospensione dei
lavori e la contestuale demolizione delle opere gi realizzate. Cos ha deciso il Tar del Lazio, con una recente
sentenza depositata in cancelleria il 20 luglio 2001. La questione era stata sollevata da un condominio romano,
che aveva ricevuto un'ordinanza del Sindaco, che imponeva la demolizione di una serie di cavalletti, infissi per
delimitare le zone adibite a posteggio, unitamente ad alcune aiuole realizzate nelle immediate adiacenze del
condominio. I giudici amministrativi hanno argomentato la pronuncia facendo rilevare che l' installazione di
paletti, atti a delimitare parti di aree destinate a parcheggio, non arreca una rilevante trasformazione o
alterazione al territorio, sotto il profilo edilizio o urbanistico. Di conseguenza, per effettuare questo tipo di lavori
non necessario il preventivo rilascio di concessione edilizia. La stessa cosa vale, inoltre, per la realizzazione di
aiuole in prossimit del condominio. Questo tipo di intervento, infatti, non pu ritenersi in nessun caso come
richiedente la concessione edilizia, dal momento che le stesse aiuole non determinano alcun rilevante ingombro
o impatto edilizio con lassetto circostante.
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=955&idCat=50
In materia di condominio negli edifici, le innovazioni per le quali consentito al singolo condomino, ai sensi
dell'art. 1121 cod. civ., di sottrarsi alla spesa relativa, per la quota che gli compete, sono quelle che riguardano
impianti suscettibili di utilizzazione separata e che hanno natura voluttuaria, cio sono prive di utilit, ovvero
risultano molto gravose, ossia sono caratterizzate da una notevole onerosit, da intendere in senso oggettivo,
dato il testuale riferimento della norma citata alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio. L'onere della
prova di tali estremi grava sul condomino interessato, vertendosi in tema di deroga alla disciplina generale della
ripartizione delle spese condominiali. Cass. civ., sez. II, 23 aprile 1981, n. 2408,
Cass. civ., 27 novembre 1990, n. 11423 In tema di condominio negli edifici le parti dell'edificio - muri e tetti
(art. 1117 n. 1 c. c.) - ovvero le opere ed i manufatti - fognature, canali di scarico e simili (art. 1117 n. 3 c. c.) deputati a preservare l'edificio condominiale dagli agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d'acqua, piovana o
sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le spese per la cui conservazione sono
assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole propriet esclusive ai sensi
della prima parte dell'art. 1123 c. c., e non rientrano, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al
servizio dei condomini in misura diversa ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri (art. 1123, 2 e 3
comma, c. c.).
Possibilit per l'originario unico proprietario, una volta sorto il condominio, di concedere o di creare
servit Cass. II Sez. Civ. n. 19829 del 04/10/2004
Il condominio di edifici sorge "ipso iure et facto", senza bisogno di apposite manifestazioni di volont o altre
esternazioni, nel momento in cui l'originario costruttore di un edificio diviso per piani o porzioni di piano aliena a
terzi la prima unit immobiliare suscettibile di utilizzazione autonoma e separata, cos perdendo, in quello stesso
momento, la qualit di proprietario esclusivo delle pertinenze e delle cose e dei servizi comuni dell'edificio, tra i

quali rientra, in mancanza di titolo diverso, il cortile; ne consegue che, una volta costituito il condominio,
l'originario costruttore non pu disporre come proprietario unico di detti beni, divenuti comuni, ne' concedere o
creare su di essi diritti reali limitati come le servit, neppure per destinazione del padre di famiglia ai sensi
dell'art. 1062 cod. civ., stante la carenza, all'atto della divisione del fondo (preteso) dominante da quello
(preteso) servente, della appartenenza di essi allo stesso soggetto.
Ripartizione delle spese condominiali per la conservazione ed il godimento delle parti comuni Cass. II
Sez.Civ. n.. 20318 del 15/10/2004 La disciplina legale in materia di ripartizione delle spese per la conservazione
e per il godimento delle parti comuni di un edificio e quella, eventualmente, stabilita con deliberazione
condominiale adottata all'unanimit, derogabile, ai sensi dell'art. 1123, primo comma, cod. civ., in virt di
"diversa convenzione", che non assoggettata ad oneri di forma e pu risultare anche da comportamenti
univocamente concludenti, protrattisi nel tempo, dai quali sia possibile ricavare l'accettazione da parte di tutti i
condomini di differenti criteri di riparto delle spese.
Regolamento di condominio - formazione - modificazione per comportamenti concludenti - forma scritta
Cass. II Sez. Civ. n.. 18665 del 16/09/2004 La formazione del regolamento condominiale soggetta al requisito
della forma scritta "ad substantiam", desumendosi la prescrizione di tale requisito formale, sia dalla circostanza
che l'art. 1138 ultimo comma cod. civ. prevedeva la trascrizione del regolamento nel registro gi prescritto
dall'art. 71 delle disp. di att. al cod. civ., sia dalla circostanza che, quanto alle clausole del regolamento che
abbiano natura soltanto regolamentare (e siano perci adottabili a maggioranza), trova applicazione il settimo
comma dell'art. 1136 cod. civ., che prescrive la trascrizione delle deliberazioni in apposito registro tenuto
dall'amministratore (onde anche la deliberazione di approvazione di tale regolamento per poter essere trascritta
deve essere redatta per iscritto), mentre, quanto alle clausole del regolamento che abbiano natura contrattuale,
l'esigenza della forma scritta imposta dalla circostanza che esse incidono, costituendo oneri reali o servit, sui
diritti immobiliari dei condomini sulle loro propriet esclusive o sulle parti comuni oppure attribuiscono a taluni
condomini diritti di quella natura maggiori di quelli degli altri condomini. Ne discende che il requisito della forma
scritta "ad substantiam" (che non pu intendersi, d'altro canto, stabilito "ad probationem", poich quando sia
necessaria la forma scritta, la scrittura costituisce elemento essenziale per la validit dell'atto, in difetto di
disposizione che ne preveda la rilevanza solo sul piano probatorio) deve reputarsi necessario anche per le
modificazioni del regolamento di condominio, perch esse, in quanto sostitutive delle clausole originarie del
regolamento, non possono non avere i medesimi requisiti delle clausole sostituite, dovendosi,
conseguentemente, escludere la possibilit di una modifica per il tramite di comportamenti concludenti dei
condomini.
L'amministratore di condominio non pu impugnare la concessione edilizia
TAR Lombardia - Brescia - 6 maggio 2005, n. 410
Secondo il TAR della Lombardia, le azioni che possono essere intraprese dall'amministratore del condominio senza la preventiva autorizzazione da parte dell'assemblea - possono limitarsi a fattispecie ben precise:
1) eseguire deliberazioni dell'assemblea condominiale;
2) disciplinare l'uso delle cose comuni, cos da assicurarne il godimento a tutti i condomini;
3) riscuotere dai condomini inadempienti il pagamento della contribuzione nella misura determinata in base allo
stato di ripartizione approvato dall'assemblea;
4) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio (C. Cass. civ., sez. II - 24/9/1997
n. 9378).
L'amministratore, per converso, non legittimato a proporre azioni relative al rilascio di titoli abilitativi dei lavori
da parte di terzi n, tantomeno, al rispetto delle distanze tra costruzioni. L'esercizio di tali azioni, infatti,
presuppone la tutela del diritto di propriet dei singoli condomini e non del condominio.
Responsabilit del conduttore e del locatore, nel caso di incendio dell'immobile locato Cassazione con
sentenza n. 20335/2004 In caso di danni derivati dall'incendio sviluppatosi in un immobile condotto in locazione,
il conduttore risponde quale custode ex art. 2051 c.c. e si libera da tale responsabilit dando la prova del caso
fortuito, che pu anche consistere nella dimostrazione che il fattore determinante l'insorgere dell'incendio ha
avuto origine in parti, strutture o apparati dell'immobile non rientranti nella sua disponibilit ed estranei, quindi,
alla sfera dei suoi poteri e doveri di vigilanza, mentre il locatore, per i danni da incendio dell'immobile di sua
propriet, si sottrae alla responsabilit presunta, stabilita dalla citata norma, quando prova che l'incendio ha
avuto origine in parti dell'immobile delle quali il conduttore ha la custodia in virt del suo diritto di utilizzare il
bene concessogli in godimento. Ne consegue - ha detto ancora la Cassazione - che la responsabilit per
custodia, prevista dall'art. 2051 c.c. e superabile solo con la prova del caso fortuito, continua a configurarsi a
carico sia del proprietario che del conduttore, allorch nessuno dei due sia stato in grado di dimostrare che la
causa autonoma del danno del terzo da ravvisare nella violazione, da parte dell'altro, dello specifico dovere di
vigilanza, diretto ad evitare lo sviluppo nell'immobile del suddetto agente dannoso
Stazioni radio-base - Installazione su tetto condominiale - Possibile offesa del diritto di propriet
Tribunale di Bologna, Sezione II - provvedimento 8 marzo 2005, n. 1886 Il Tribunale di Bologna, con
provvedimento n1886/2005 ha statuito, in sede di sommaria cognizione (denuncia di nuova opera o di danno
temuto ex art. 688 c.p.c.), che l'installazione sul tetto del condominio di una stazione radio-base pu comportare
una lesione del diritto di propriet sulle singole unit immobiliari dello stabile, cagionando sia un deprezzamento
del valore commerciale dei singoli appartamenti (in conseguenza della percezione "comune" di tali impianti, visti
come forieri di influssi anche gravi sulla salute) sia un pregiudizio al godimento dell'appartamento (il relazione al

timore di un rischio alla salute connesso al suo godimento).


Notifica al portiere nulla se l'ufficiale giudiziario non d atto delle vane ricerche
Cassazione , SS.UU. civili, sentenza 20.04.2005 n 8214 E' nulla la notificazione nelle mani del portiere
quando la relazione dell'ufficiale giudiziario non contenga l'attestazione del mancato rinvenimento delle persone
indicate in ordine di preferenza tra loro e rispetto al portiere, dall'art. 139 c.p.c. E' questo il principio di diritto
ribadito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nell'ordinanza n. 8214 depositata il 20 aprile 2005.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=1470
Le spese per la conservazione di un edificio che delimitano le chiostrine, vale a dire i cortili interni, devono
essere ripartite tra tutti i partecipanti al condominio, compresi i proprietari degli immobili siti a piano terra,
ancorch essi non siano proprietari delle chiostrine.
(Cass. 27/12/1999, n. 14598)
Responsabilit dell'amministratore del condominio
CORTE DAPPELLO DI MILANO Sezione I Sentenza 1270/2000 Mazzucchelli c. Crosta
Lamministratore condominiale giustamente si trattiene dalliniziare unazione giudiziaria per violazione del
regolamento di Condominio, se lassemblea condominiale, investita dal problema, non lautorizza.
Praticamente un condomino aveva convenuto in giudizio lamministratore condominiale, onde far dichiarare la
sua responsabilit omissiva, per non essere intervenuto contro un altro condomino responsabile di violazione del
regolamento condominiale e chiedendo altres il risarcimento dei danni.
Lamministratore era intervenuto verbalmente e per iscritto, ma non si era sentito di iniziare unazione giudiziaria,
senza il consenso dellassemblea condominiale, la quale aveva sempre negato soprattutto perch la presunta
violazione era molto discutibile.
Laccanimento del condominio era stato notevole, portando avanti il problema per due gradi del giudizio. Appare
come spesso, una delle liti condominiali di modeste condizioni che per affollano i Tribunali Italiani: soprattutto si
rileva che il singolo condomino, invece di prendersela con il singolo amministratore, poteva direttamente
rivolgersi al condomino violatore de regolamento, in quanto il responsabile questultimo.
Sentenze elenco: http://www.casaeconsumi.it/bancadati/files/sentenze/condominio.html
http://www.casaeconsumi.it/bancadati/files/sentenze/sentenze/
http://www.casaeconsumi.it/bancadati/files/sentenze/
Quietanza "a saldo" e rinuncia ad altre somme dovute a titolo diverso
Tribunale Nola, sentenza 28.04.2005 La quietanza costituisce atto unilaterale recettizio che contiene il
riconoscimento del creditore di quanto pagato dal debitore, sicch dalla stessa non pu desumersi l'esistenza di
volont transattiva o di rinunzia ad altre pretese da parte del creditore, a meno che ci non emerga da specifici
elementi di fatto e dal complessivo contenuto del documento. Lo ha ribadito il Tribunale di Nola, con la sentenza
del 28 aprile 2005, precisando che la dicitura "a saldo" sulla quietanza non pu essere intesa come rinuncia ad
altre somme dovute a titolo diverso. Il giudice ha inoltre statuito che gli interessi, avendo natura di prestazione
autonoma, necessitano, per essere riconosciuti, di un'apposita domanda.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=1466
Lagibilit presuppone lesame della conformit urbanistica dellopera
TAR Lazio, sez. II bis, sentenza 25.05.2005 n 4129 Il rilascio dellagibilit subordinato al rispetto della
normativa urbanistica. Secondo il TAR del Lazio (Roma, Sez. II Bis, 25 maggio 2005, n. 4129) per lottenimento
dellagibilit occorre il contemporaneo rispetto di due condizioni riguardanti la normativa urbanistica e quella
igienico-sanitaria. Labitabilit, quindi, attesterebbe non solo la salubrit degli ambienti ma anche la conformit
dell'opera realizzata rispetto al progetto approvato. Sul tema occorre rilevare che, in origine, si parlava di
abitabilit (in relazione alle unit residenziali) o usabilit (per gli immobili a destinazione diversa dallabitazione).
Lart. 25 del DPR 380/2001, invece, parla esclusivamente di agibilit ed impone di proporre la relativa istanza
entro 15 giorni dallultimazione dei lavori di finitura dellintervento. Il richiedente tenuto ad esibire, in allegato
allistanza: a) richiesta di accatastamento delledificio;
b) certificato di conformit dellopera rispetto al progetto approvato, nonch in ordine alla avvenuta prosciugatura
dei muri e della salubrit degli ambienti; c) dichiarazione di conformit degli impianti. Il rilascio del certificato di
agibilit, peraltro, prevede lesame da parte dei competenti organi comunali (ovvero dello Sportello Unico
delledilizia) di ulteriori elementi; in questo contesto, lesame riguarder: a) il collaudo statico delle strutture; b)
il rispetto (se necessario) delle prescrizioni dettate per la realizzazione di opere in zona sismica; c) il rispetto
della normativa in materia di accessibilit e superamento delle barriere architettoniche. Alla luce di tali elementi,
quindi, potremmo affermare che lottenimento dellagibilit sia subordinato alla contemporanea presenza
quantomeno di tre elementi: fiscale, igienico-sanitario e costruttivo. Labitabilit, quindi, subordinata in primo
luogo ad adempimenti di ordine fiscale: lavvenuta denuncia al catasto del fabbricato ha esclusivamente lo scopo
di censire il fabbricato per sottoporre la relativa rendita ai tributi (a cominciare dallI.C.I.). Sotto laspetto
igienico-sanitario, lorgano tecnico valuter la salubrit degli ambienti ed il rispetto della normativa in tema di
accessibilit e vivibilit (anche in relazione alla normativa vigente a tutela dei soggetti diversamente abili).
Laspetto squisitamente costruttivo coinvolger una serie di valutazioni su elementi realizzativi quali
ladeguatezza degli impianti e la conformit dellopera realizzata rispetto al progetto approvato. Appare quindi
evidente che il rilascio dellagibilit un procedimento complesso che non si ferma allesame degli aspetti
igienico-sanitari, ma coinvolge anche gli elementi realizzativi dellopera e la sua conformit al progetto

approvato. http://www.altalex.com/index.php?idnot=2159
Consorzi costituiti tra proprietari di immobili per la gestione di parti e servizi comuni. Cass. 29 gennaio
2003, n. 1277 Le disposizioni in materia di condominio possono legittimamente ritenersi applicabili al consorzio
costituito tra proprietari di immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale, pur
appartenendo indiscutibilmente il consorzio alla categoria delle associazioni, non esistendo schemi obbligati per
la costituzione di tali enti, ed assumendo, per leffetto, rilievo decisivo la volont manifestata dagli stessi
consorziati con la regolamentazione contenuta nelle norme statutarie. Salvo che la legge o lo statuto richiedano
la forma espressa o addirittura quella scritta, la volont di partecipare alla costituzione del consorzio o di aderire
al consorzio gi costituito pu essere manifestata anche tacitamente e desumersi da presunzioni o fatti
concludenti, quali la consapevolezza di acquistare un immobile compreso in un consorzio oppure lutilizzazione
in concreto dei servizi posti a disposizione dei consorziati. Solo la partecipazione al consorzio pu determinare
lobbligazione di versare la quota stabilita dagli organi statutariamente competenti, legittimando la pretesa di
pagamento.
Cessione del contratto di locazione Cassazione civile, sez III, 1 giugno 2004, n. 10485
Poich, secondo i principi generali, il cessionario subentra in tutti i diritti ed obblighi del cedente che non siano
stati estinti prima della cessione, in caso di cessione del contratto di locazione ex art. 36 l. 392/78, il conduttore
cessionario, salva diversa volont delle parti, risponde solidalmente nei confronti del locatore ceduto delle
obbligazioni non adempiute dal cedente cos come, a propria volta, il cedente risponde solidalmente nei
confronti del locatore ceduto delle obbligazioni scadute successivamente alla cessione. Ci vale anche
nellipotesi di cessioni intermedie, per cui tutti i conduttori cedenti e cessionari sono solidalmente obbligati nei
confronti del locatore ceduto per le obbligazioni discendenti dal contratto di locazione oggetto di cessione.
La moglie del portiere non pu ritirare la posta dei condomini Cassazione 9511/2005 Lo ha stabilito la
Corte di Cassazione, che ha accolto il ricorso di un cittadino dello Stato del Vaticano che aveva protestato
perch il verbale con il quale gli era stata contestata un'infrazione del Codice della Strada era stato ritirato dalla
moglie del portiere, nell' assenza temporanea del marito dalla portineria. Mentre il giudice di pace, che aveva
emesso la sentenza di primo grado, non aveva avuto nulla da eccepire facendo riferimento alla legge 890 del
1982 secondo la quale la moglie del portiere fa le sue veci nonch alla vecchia usanza di portineria, la Suprema
Corte ha ritenuto che la moglie del portiere non autorizzata a ritirare la posta dei condomini. Nel caso, e' come
se comunicazioni, bollette, e tutto il resto della corrispondenza non fossero mai arrivate.
Vietati i condizionatori sulle facciate condominiali Tribunale di Milano, provvedimento n. 179 del 9 Gennaio
2004 La collocazione sulla facciata condominiale di un voluminoso corpo sporgente (un compressore per
condizionatore d'aria), costituisce un inequivocabile alterazione della destinazione della facciata stessa, che
quella di fornire un aspetto architettonico regolare gradevole dell'edificio e non quella di contenere corpi estranei
che turbano l'equilibrio estetico complessivo dell'edifico medesimo. Nel caso in questione, un condomino
milanese aveva citato il vicino perch aveva proceduto a posizionare un compressore sotto una propria finestra
senza avvertire lamministratore del condominio. Da notare che linstallazione era stata effettuata in un cortile
interno, non visibile da estranei, ma il Tribunale ha ritenuto il fatto non rilevante ai fini della tutela del diritto dei
condomini a non dover subire alterazioni antiestetiche del proprio bene comune.
Per trasformare il balcone in veranda occorre il permesso di costruire
Sez. III Penale, 28 ottobre 2004, n. 45588
Secondo la Corte di Cassazione l'attivit di trasformazione di un balcone in veranda rappresenta un intervento di
nuova costruzione ai sensi dell'art. 3, comma primo, lett. e1) d.P.R. n. 380 del 2001, in quanto tali lavori
ampliano il fabbricato al di fuori della sagoma esistente, che costituita dalla conformazione planovolumetrica
della costruzione e dal suo perimetro, inteso sia in senso verticale che orizzontale, ed incidono in tal modo sui
parametri previsti dagli strumenti urbanistici. Ne consegue che la realizzazione di essi in assenza di concessione
edilizia integra il reato di cui all'art. 44 lett. b) del citato d.P.R. Sul punto si segnala anche un pi recente
intervento del TAR Piemonte sez. I - 26 aprile 2005, n. 1136
La veranda chiusa con superfici trasparenti costituisce una trasformazione edilizia duratura che
necessita di concessione edilizia sentenza 26 aprile 2005 n. 1136 Il TAR Piemonte ha affermato che ci che
rileva al fine della qualificazione di unopera edilizia come precaria - tale da ritenerla esentata dallottenimento
della concessione edilizia, non tanto la sua maggiore o minore facilit di rimozione - ovvero la struttura del
manufatto, la sua tipologia o i materiali utilizzati, quanto invece la funzione cui essa obiettivamente
finalizzata, di modo che solo le costruzioni destinate ab origine al soddisfacimento di esigenze contingenti e
circoscritte nel tempo sono da ritenere esenti dallobbligo della concessione, mentre vi sono assoggettate le
opere destinate ad una utilizzazione perdurante nel tempo.
Secondo il TAR pertanto legittima lordinanza adottata da un ente locale con cui si dispone la demolizione di
un manufatto edilizio (nella fattispecie, di una struttura porta zanzariera e veranda, ancorati al parapetto di un
balcone di un alloggio) realizzato - sui presupposti della relativa natura precaria e dellagevole rimovibilit senza titolo abilitativo, nel caso in cui sia stato accertato, al contrario, che detto manufatto sia stato costruito
allevidente scopo di migliorare la fruizione dellalloggio, offrendo una protezione dagli agenti atmosferici e
ampliando gli spazi utilizzabili e, quindi, sia finalizzato a soddisfare esigenze non gi temporanee, mediante una
utilizzazione circoscritta nel tempo, bens ad un utilizzo tendenzialmente durevole, con obiettivi caratteri di

stabilit.
Condominio, solo l'unanimit pu abbattere le barriere architettoniche
Cassazione civile Sentenza 13/06/2005, n. 12705 La menomazione nel godimento di una cosa materiale prevale
sull'handicap fisico. Nel caso di specie, una barriera architettonica condominiale - ad esempio la mancanza
dell'ascensore che rende pi difficile la vita ad un disabile - resta tale se la sua eliminazione determina
impossibilit di uso di un bene comune da parte anche di un solo condomino. La Corte di cassazione ha
confermato la decisone del Tribunale di Agrigento, che aveva ordinato ad un condominio, padre di due figli
portatori di handicap, di demolire l'ascensore installato all'esterno dell'edificio per rendere meno gravoso lo
spostamento dei due figli.
Ad averla vinta stata invece una coppia di inquilini dello stesso stabile, che aveva sostenuto che l'ascensore
aveva impedito loro di utilizzare una parte non trascurabile del terreno condominiale.
La Corte ha ribadito che pur quanto l'assemblea condominiale abbia autorizzato le innovazioni da attuare negli
edifici privati dirette ad eliminare le barriere architettoniche resta fermo quanto disposto dagli artt. 1220, comma
2 e 1121 comma 3 c.c., per cui sono vietate le innovazioni che rendono talune parti comuni dell'edificio inservibili
all'uso o al godimento anche di un solo condomino. Di fronte alla quale nulla pu fare la legge 13/1989, che ha
introdotto la normativa sulla eliminazione delle barriere architettoniche.
Condominio: prolungamento della corsa dell'ascensore Cassazione , sentenza n 24006/2004
La norma di cui all'art. 1120 c.c., nel prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai
condmini con determinate maggioranze, tende a disciplinare l'approvazione di quelle innovazioni che
comportano oneri di spesa per tutti i condmini; ma, ove non debba procedersi a tale ripartizione per essere
stata la spesa relativa alle innovazioni di cui si tratta assunta interamente a proprio carico da un condomino,
trova applicazione la norma generale di cui all'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni, ed in forza
della quale ciascun partecipante pu servirsi della cosa comune, a condizione che non ne alteri la destinazione
e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto e, pertanto, pu apportare a
proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune.
Installazione di impianti di telefonia mobile - Individuazione unico sito TAR CAMPANIA NAPOLI Sez. VII,
08 Giugno 2005, ORDINANZA n. 1775 In tema d'installazione di impianti di telefonia mobile, incombe sul
ricorrente l'onere di dimostrare l'illogicit o la irragionevolezza della scelta compiuta dal Comune in sede di
approvazione del regolamento comunale attraverso il quale venga individuato un unico sito per l'installazione
degli impianti.
Vietato installare elettrodomestici sul balcone privato se ci non permesso dal regolamento
Cassazione , sez. II civile, sentenza 20.04.2005 n 8216 Il regolamento di condominio c.d. contrattuale pu
contenere anche solo disposizioni di natura regolamentare (disciplinanti cio l'uso delle parti comuni dell'edificio
condominiale), dall'assemblea modificabili con la maggioranza dei consensi prescritta dall'art. 1136 cod. civ.
Laddove peraltro il regolamento contempli (anche) clausole di natura contrattuale (che pongano cio
nell'interesse comune limitazioni ai diritti dei condomini, sia relativamente alle parti comuni sia riguardo al
contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva propriet), queste sono modificabili soltanto con il
consenso unanime dei partecipanti alla comunione. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza n.
8216 del 20 aprile 2005, confermando nella specie l'impugnata sentenza di annullamento della deliberazione
assembleare che autorizzava uno dei condomini a collocare sul balcone del suo appartamento una caldaia per il
riscaldamento autonomo, atteso il divieto di utilizzazione dei balconi per collocarvi elettrodomestici - tale anche
la caldaia in questione dovendo considerarsi - prescritto da una clausola, di natura sicuramente contrattuale, del
regolamento condominiale.
Porta su ballatoio: azione di manutenzione - uso della cosa comune
Tribunale di Napoli Sez. distaccata di Afragola, ordinanza del 06/12/2004
La realizzazione di una porta sul ballatoio comune, onde permettere un pi agevole ingresso nella propria unit
immobiliare, ancorch determini una variazione dell'aspetto esteriore dell'edificio, non incide in senso
modificativo sulla normale destinazione del ballatoio o passetto stesso, n reca un effettivo pregiudizio al jus
possidenti dei condomini. Non riveste alcuna valenza l'eventuale abusivit dell'opera realizzata dal resistente, in
quanto sprovvista del provvedimento amministrativo abilitativo.
La rinuncia unilaterale all'impianto di riscaldamento condominiale, in particolare, il distacco
dall'impianto centralizzato, operato al fine di installare un impianto autonomo. Dott. Francesco Petrarca
Sulla possibilit del singolo condomino di potersi distaccare dall'impianto centralizzato di riscaldamento, al fine di
installare, nella propria abitazione, un impianto autonomo. E' intenzione dell'autore evidenziare, in particolare, le
conseguenze legate alla fattispecie in esame, ivi compresa, la problematica inerente alle spese che dovranno
essere sopportate dal condomino che ha operato il distacco. La rinuncia unilaterale all'impianto di riscaldamento
condominiale, in particolare, il distacco dall'impianto centralizzato, operato al fine di installare un impianto
autonomo. Qualora un singolo condomino volesse, unilateralmente, rinunciare al riscaldamento condominiale,
nello specifico, distaccando il proprio impianto, da quello centralizzato, al fine di installare nella propria
abitazione un impianto autonomo, potr, certamente, farlo, bench, con le imprescindibili conseguenze del caso
e le dovute considerazioni, che di seguito saranno meglio evidenziate. Occorre, a tal proposito, innanzitutto,
evidenziare, come, la problematica in esame, nel corso degli ultimi anni, abbia subito una notevole evoluzione,

fino ad arrivare, ad un ormai, consolidato orientamento giurisprudenziale, in base al quale, stato posto in
risalto che, la rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale operata da parte del singolo condomino
mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell' impianto centralizzato, da ritenersi pienamente
legittima, purch l' interessato dimostri che, dal suo operato, non derivino n aggravi di spese per coloro che
continuano a fruire dell' impianto, n tanto meno, squilibri termici pregiudizievoli della regolare erogazione del
servizio (Cass. Civ. Sez. II n. 6923 del 21/05/2001 - Cass. Civ. n. 5974/2004). Ci posto, evidente, pertanto,
che, il singolo condomino che intende distaccarsi dall'impianto centralizzato potr senz'altro farlo, supportando,
a tal fine, il proprio operato, con una perizia tecnica, dalla quale dovr, chiaramente, emergere, in primo luogo,
che dal distacco stesso, conseguir, in favore degli altri condomini, una proporzionale, riduzione degli oneri di
esercizio, derivante dall'utilizzo di una quantit minore di combustibile da impiegare. Ci premesso,
altrettanto importante sottolineare, inoltre, che, sempre tramite consulenza tecnica, dovr, inoltre, essere
accertato che, a seguito del distacco unilaterale dall'impianto centralizzato, non si verificher uno squilibrio
termico in pregiudizio del regolare funzionamento dell'impianto, ovverosia, che non si verificheranno
malfunzionamenti dell'impianto centralizzato; circostanza quest'ultima, di non trascurabile rilevanza. Il
condominio, in tal caso, non potr che prendere atto, della sussistenza delle condizioni e/o dei requisiti che
consentono, al singolo condomino, il legittimo distacco. Alla luce delle considerazioni sopra esposte,
evidente, pertanto, come risulti, al fine di procedere al distacco unilaterale dall'impianto centralizzato di
riscaldamento, estremamente importante verificare, preliminarmente (tramite consulenza tecnica), la concreta
fattibilit del distacco di che trattasi oltre che, la sua economicit, dal momento infatti che, se a seguito del
distacco, operato dal singolo condomino, per gli altri condomini le spese di esercizio subiranno rilevanti aumenti,
detti aumenti, dovranno essere sostenuti, integralmente, dal condomino che si avvale e beneficia del
riscaldamento autonomo. Detto ci, e per quanto attiene, in particolare, la problematica relativa alle spese che
dovranno essere imputate al condomino che abbia, unilateralmente, rinunciato all'impianto centralizzato, si
tenga presente che, il singolo condomino che ha operato il distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento,
sar tenuto, in ogni caso, stante, il disposto, peraltro inderogabile, di cui all'art. 1118 c.c. 2 comma, al
pagamento delle spese per la conservazione e la manutenzione dell'impianto comune di riscaldamento. Vero
infatti che, le spese relative alla conservazione e alla manutenzione dei beni comuni, costituiscono delle
obbligazioni "propter rem", per cui il condomino, non pu sottrarsi, ai sensi dell'art. 1118 c.c., all'obbligo del loro
pagamento, mentre, invece, il condomino che ha operato il distacco, risulter, senza dubbio, esonerato, in
applicazione al principio di cui all'art. 1123 c.c. 2 comma, dal dover sostenere le spese relative all'uso del
servizio centralizzato, nello specifico, dal dover sostenere, le spese relative al carburante utilizzato per il servizio
centralizzato. Quanto sopra, senza, peraltro, trascurare l'eccezione anzi riportata, in ordine al fatto che, lo si
ripete, qualora, a seguito del distacco unilaterale, dovesse, verificarsi un aggravio, vale a dire, un aumento delle
spese di gestione di tale servizio, il pagamento delle stesse, dovr essere sopportato da parte del singolo
condomino distaccatosi dall'impianto di riscaldamento centralizzato. In altri termini e come chiarito anche dalla
giurisprudenza, l'esonero dalle spese per l'uso del servizio centralizzato, da parte del condomino distaccatosi,
esonero, quest'ultimo, conseguente all'applicazione dell'art. 1123 2 comma c.c., non deve andare a discapito
degli altri condomini. Tale esenzione dalle predette spese potr, pertanto, concretizzarsi, esclusivamente, nel
caso in cui, a seguito del distacco, si sia verificata una, proporzionale, riduzione dei costi di esercizio
dell'impianto comune, cosicch, in caso contrario, l'eventuale aumento delle spese di gestione, conseguenti al
distacco unilaterale, dovranno essere, necessariamente, sopportate dagli utenti distaccatisi (Cass. Civ. n.
10214/96 - Cass. Civ. n. 8924/2001). In relazione a tale aspetto e cio, qualora dovesse verificarsi, a seguito
del distacco unilaterale, un aumento delle spese di esercizio, necessario, ad ogni modo, chiarire che, nessuna
norma indica la misura percentuale di tali oneri che dovranno essere sopportati dal condomino distaccatosi, i
quali oneri, potranno, invece, essere calcolati, da un tecnico, all'uopo, incaricato. Ferme restando tutte le
considerazioni sopra esposte, oltremodo, importante, infine, sottolineare, per opportuni motivi di completezza,
che, la legittima rinuncia al riscaldamento centralizzato, non sar, invece, possibile in presenza di un
regolamento di condominio, avente natura contrattuale. In tal caso, infatti, per operare il distacco, sar sempre
necessario, il consenso unanime dei condomini, non potendo, infatti, lo stesso regolamento di condominio
contrattuale, derogare, le disposizioni in materia d'uso della cosa comune, di cui all'art. 1102 c.c.
http://www.filodiritto.com/diritto/privato/civile/impiantoautonomoriscaldamentopetrarca.htm
Nullo l'atto di esecuzione effettuato dall'Ufficiale Giudiziario B3 (ex assistente)
Tribunale Milano, sentenza 16.05.2005 n 3875 Il compimento di atti di esecuzione da parte di un ufficiale
giudiziario B3 determina un vizio di competenza funzionale del soggetto nell'espletamento dell'atto esecutivo,
che deve ritenersi perci nullo. E' quanto stabilito il Tribunale di Milano con la sentenza n. 3875 depositata il 16
maggio 2005. Secondo il Giudice il nuovo inquadramento economico degli ufficiali giudiziari e l'introduzione della
figura di Ufficiali Giudiziari B3, C1 e C2 non ha determinato una nuova disciplina delle funzioni, per cui il punto di
riferimento per la valutazione della competenza funzionale dell'ufficiale giudiziario a svolgere attivit di
esecuzione resta il D.P.R. 1229/59. In tale ottica, considerato che l'ufficiale giudiziario B3 aveva prima la
qualifica funzionale di "assistente unep" (cos contratto collettivo prodotto) e prima ancora quella di "aiutante
ufficiale giudiziario", deve ritenersi che le funzioni, intese nel senso pubblicistico del termine, attribuite
all'aiutante ufficiale giudiziario corrispondono a quelle dell'ufficiale giudiziario B3, con possibilit di compiere tutti
gli atti tranne quelli di esecuzione.
Spese condominiali, linquilino moroso ha 2 mesi per pagarle
Corte di Cassazione, con sentenza n. 2664 del 2004
Entro 2 mesi dalla richiesta - l'inquilino deve pagare le spese condominiali di sua pertinenza. Da questo

principio, gi previsto dalla legge n. 392 del 1978 (articolo 9, comma 3), la Cassazione fa derivare anche che
entro lo stesso termine di 60 giorni l'inquilino pu esercitare il suo diritto di chiedere l'indicazione specifica delle
spese e dei criteri di ripartizione e di prendere visione dei documenti giustificativi. Decorso per tale termine,
l'inquilino deve ritenersi automaticamente in mora e non pu ritardare, sospendere o ridurre il versamento
eccependo che la richiesta di pagamento non era accompagnata dalle indicazioni di dettaglio delle spese.
Secondo la legge, infatti, in mancanza di richiesta dell'inquilino, non vi nessun onere legale del proprietario di
dare informazioni sulle spese da pagare.
Compravendita, il compromesso si scioglie solo con atto scritto
Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9341 del 2004
Per risolvere consensualmente un contratto preliminare di trasferimento di un immobile occorre la forma scritta.
Il motivo giustificativo di questa previsione che la particolare rilevanza degli atti che trasferiscono diritti reali,
anche se in via preliminare e obbligatoria come appunto i compromessi, deve essere avvalorata dalla forma
scritta.
Le stesse ragioni valgono anche se si deve risolvere un contratto preliminare gi sottoscritto.
Se il costruttore dell' immobile eccede con i parcheggi pu anche venderli
Cassazione civile Sentenza, Sez. SS.UU. , 15/06/2005, n. 12793
Nelle nuove costruzioni i parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo standard minimo previsto dalla legge
sono liberamente cedibili a terzi, poich non sono soggetti ad alcun diritto da parte degli acquirenti delle singole
unit abitative.
Occorre evidenziare, per chiarezza espositiva, che gli spazi destinati a parcheggio privato possono distinguersi
in tre tipologie essenziali, ciascuna caratterizzata da una disciplina specifica:
- a utilizzazione e circolazione libera non soggetti ad alcun vincolo di destinazione e liberamente cedibili a terzi
soggetti.
- a utilizzazione vincolata realizzati in base alla legge 122/1989 (legge Tognoli) inscindibili dall'unit immobiliare,
i quali non possono essere venduti separatamente.
- disciplinati dalla legge 765/1967 (legge Ponte), che presentano particolari peculiarit, in relazione alla
qualificazione pertinenziale, sulla base di un determinato rapporto proporzionale alla volumetria dell'edificio in
condominio.
All'attenzione dei Supremi Giudici si era posto il problema se lobbligo sottoscritto ai fini dellottenimento della
concessione edilizia estendesse il vincolo pertinenziale in favore delle unit immobiliari delledificio anche alla
superficie che eccede larea minima prevista dallart. 18 della legge 765/1967, oppure no.
Sono emersi due differenti teorie: una soggettiva e l'altra oggettiva. Secondo la prima, gli spazi di parcheggio
sono gravati da un vincolo inderogabile di destinazione di "tipo soggettivo", per cui tali spazi devono essere
necessariamente utilizzati dai proprietari e/o utilizzatori delle unit immobiliari facenti parte l'edificio in
condominio.
Mentre secondo la teoria oggettiva, la disposizione d rilevanza unicamente al rapporto fra costruttore e
pubblica amministrazione non vincolando in questo modo la societ immobiliare costruttrice a destinare l'area
oltre lo standard ai condomini, in quanto gli spazi non sono gravati da alcun vincolo di tipo soggettivo, che ne
prescriva l'utilizzazione da parte dei soli proprietari delle unit immobiliari situate nel condominio, cui tali
parcheggi accedono.
Le Sezioni Unite hanno aderito a quest'ultima esposta teoria di stampo oggettivo, al fine di seguire una linea
interpretativa dell'art. 18 della legge ponte n. 765/67 e successive modifiche, la quale impone, nei casi di
fabbricati di nuova costruzione e nelle aree di pertinenza degli stessi, che debbano essere ricavati da parte del
costruttore posti auto ovvero aree destinate a parcheggio, in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni
venti metri cubi di costruzione.
Di conseguenza, la Corte conclude che il vincolo si limita allo standard minimo di legge, mentre i posti auto
eccedenti possono essere liberamente ceduti a terze persone.
Condominio c.d. minimo norme applicabili
Cass. Civile Sez. II, sentenza n. 13371 del 22/06/2005
In base all'art. 1139 cod. civ. la disciplina del condominio (artt. 1117-1138 c.c.) applicabile ad ogni tipo di
condominio, anche a quelli c.d. "condomini minimi", composti cio da due soli partecipanti, ad esclusione
solamente delle norme procedimentali sul funzionamento dellassemblea condominiale, che resta pertanto
regolato dagli artt. 1104, 1105, 1106 cod. civ.
Ripartizione tra i condomini solventi del debito delle quote condominiali dei condomini morosi
Corte di cassazione, sez. II, 5 novembre 2001, n. 13631.
In mancanza di diversa convenzione adottata allunanimit, espressione dellautonomia contrattuale, la
ripartizione delle spese condominiali deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalit, fissati
nellart. 1123 c.c., e, pertanto, non consentito allassemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di
ripartire tra i condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi; invece, nellipotesi di
effettiva, improrogabile urgenza di trarre alcune somme come nel caso di aggressione in executivis da parte di
creditore del condominio, in danno di parti comuni delledificio pu ritenersi consentita una deliberazione
assembleare, la quale tenda a sopperire allinadempimento del condomino moroso con la costituzione di un
fondo-cassa ad hoc, tendente ad evitare danni ben pi gravi nei confronti dei condomini tutti, esposti dal vincolo
di solidariet passiva; conseguentemente sorge in capo al condomino e non ai singoli condomini morosi

lobbligazione di restituire ai condomini solventi e recuperato dagli stessi quanto dovuto per le quote insolute e
per i maggiori oneri. (C.c., art. 1123, c.c. art. 1135) (1).
durante il temporaneo impedimento al godimento dell'immobile
Cassazione civile Sentenza, Sez. III, 10/06/2005, n. 12319
Il conduttore, ancorch privato del godimento dell'immobile locato nel periodo in cui il proprietario debba
eseguire della riparazioni, non perde, sino a quando non sia stata pronunciata la risoluzione del contratto di
locazione, la detenzione dell'immobile, n in difetto di disdetta si produce l'inoperativit dell'istituto della
rinnovazione tacita del rapporto, dal momento che dalla sospensione del diritto di godimento non risultano
modificate la altre cause pattizie o legali del contratto.
Senza tutela linfortunio nelle aree condominiali.
Cass. civ., 9 giugno 2003, n. 9211
La Cassazione afferma che l'infortunio "in itinere", come tale indennizzabile nell'ambito della tutela del lavoratore
contro il rischio di infortuni sul lavoro, non configurabile - oltre che nell'ipotesi di infortunio subito dal lavoratore
nella propria abitazione (o nel proprio domicilio o dimora) - anche in quella di infortunio verificatosi nelle aree
condominiali riservate alluso esclusivo (pianerottoli, scale, cortili) dei proprietari privati.
Viene ritenuto, invece, indennizzabile (come risulta chiaramente anche dalle nuove disposizioni di cui all'art. 12
del D.Lgs. n. 38 del 2000) linfortunio occorso nelle strade condominiali che presenta condizioni di rischio e
pericolo del tutto analoghe a quelle caratterizzanti le strade pubbliche.
Condominio, disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone: devono incidere sulla tranquillit
pubblica, per essere penalmente rilevanti, il rumore e gli schiamazzi vietati.
Tribunale di Caltagirone Sezione Penale - Sentenza n. 641/02 R.S.del 13/12/2002
In tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, il rumore e gli schiamazzi vietati, per essere
penalmente rilevanti, debbono incidere sulla tranquillit pubblica essendo linteresse specificatamente tutelato
dal legislatore quello della pubblica tranquillit sotto laspetto della pubblica quiete di guisa che gli stessi
debbono avere la potenzialit di essere percepiti da un numero indeterminato di persone, pur se, in concreto,
soltanto alcune se ne possono lamentare.
Ne consegue che la contravvenzione in esame non sussiste allorquando i rumori arrechino disturbo ai soli
occupanti di un appartamento, allinterno del quale sono percepiti, e non ad altri soggetti abitanti nel condominio
in cui inserita detta abitazione ovvero nelle zone circostanti; infatti, in tale ipotesi non si produce disturbo della
tranquillit di un numero indeterminato di soggetti, sicch un fatto del genere pu costituire, se del caso, illecito
civile, come tale fonte di risarcimento di danno, ma giammai assurge a violazione penalmente sanzionabile (cfr.
cassazione 12 dicembre 1997 n. 1406).
Volantini pubblicitari inseriti nelle cassette postali del condominio
Giudice di Pace di Bari del 22 dicembre 2003
Il Giudice di Pace di Bari ha condannato due note societ a risarcire il danno esistenziale patito da quel
condomino che ha vista sistematicamente riempire di volantini pubblicitari la sua cassetta delle lettere, tutto ci
nonostante lespresso invito affisso sulla cassetta stessa, a non depositare materiale pubblicitario. In
motivazione, il Giudice tiene s in considerazione il disposto dellart. 41 Cost. sulla libert di iniziativa economica,
ma ritiene che nel caso di specie tal liberta si sia presentata in forma talmente aggressiva ed invadente da
ledere la personalit dellindividuo. In sintesi il giudice ha ritenuto che il fastidio provocato dalla costrizione allo
svuotamento giornaliero della cassetta postale, nonch la violazione della riservatezza, costituiscano interessi la
cui lesione fonte di un danno non patrimoniale risarcibile.
Distinzione tra semplice ristrutturazione e ricostruzione dellimmobile
Cassazione n. 20820/04
La distinzione della semplice ristrutturazione ricorre allorquando al termine degli interventi edilizi sullimmobile, le
componenti essenziali di questo siano rimaste inalterate (esempi di componenti essenziali: muri perimetrali,
strutture orizzontali, la copertura). In sostanza le modificazione devono essere solo interne. Si ha invece
ricostruzione, allorquando inseguito a demolizione (volontaria o per causa naturali) dellimmobile o parte di esso,
venga rimesso in pristino nello stesso stato di ingombro e volumetria in cui era antecedentemente alla
demolizione.
Gli alberi condominiali sono un bene di tutti i cittadini
Cass. sentenza n24396
Gli inquilini di un palazzo ne avevano deciso labbattimento per realizzare il garage. I giudici salvano gli alberi
diffidati Non possono far posto a un box Per la Suprema Corte non si pu cancellare il verde, se non c
unanimit tra tutti i condomini.
Gli alberi dei giardini condominiali sono un bene di tutti i cittadini: per abbatterli e costruire un garage non basta
la decisione della maggioranza dei padroni di casa, ma conta anche il parere negativo dei condomini in
minoranza.
A stabilirlo la sentenza n. 24396 della Cassazione, che ha confermato il sequestro di un giardino condominiale,
a Milano, dove 17 alberi ad alto fusto rischiavano di essere abbattuti per far posto a un buon numero di box
sotterranei.
Lamministratore condominiale, forte del parere positivo della maggioranza dei residenti, aveva dato l'incarico a

una ditta anche dopo la denuncia di alcuni proprietari dissenzienti e contrari all'abbattimento delle piante. Tra
delibere e controdelibere, la contesa tra chi voleva il garage e chi gli alberi andata avanti, fino a quando il pm
che si occupato del caso non ha messo i sigilli al giardino, proprio per evitare che labbattimento fosse fatto
comunque.
Inutilmente stata la decisione dell'amministratore di ricorrere in Cassazione. La Suprema Corte ha convalidato
il sequestro, sottolineando che altrimenti i danni sarebbero stati irreversibili non solo per i condomini ma, pi in
generale, per i cittadini.
Albo professionale per gli impiantisti
Dal mese di luglio le imprese interessate a svolgere attivit di installazione, trasformazione, ampliamento e
manutenzione degli impianti devono iscriversi all'albo gestito dalle Camere di commercio. A stabilirlo la
Circolare 3584/C emessa dal Ministero delle Attivit produttive. Inoltre dal 19 luglio 2005 progettisti ed installatori
che si occupano di realizzazione di impianti termici alimentati da combustibili liquidi devono seguire nuove
misure di prevenzione incendi. Entra infatti in vigore il decreto 28 aprile 2005, che sostituisce la circolare 73 del
29 luglio 1971.
Come difendersi dal ripetitore installato sul tetto del vicino Domanda Un condominio sta installando
sul tetto vari ripetitori per telefonia mobile. C da dire che il nostro condominio ha rifiutato le laute offerte degli
operatori pur di limitare il bombardamento delle onde elettromagnetiche per noi e per gli altri. Ora la scelta dei
dirimpettai suona quasi come una beffa. Come ci si pu tutelare?
D.S. POTENZA Risposta
Lordinamento offre una serie di strumenti per tutelare il cittadino leso, o che
si presuma leso, da onde elettromagnetiche con livelli superiori ai limiti di legge. Innanzitutto bene premettere
come i campi elettromagnetici da sorgenti fisse con frequenza compresa tra 100 kHz e 300 GHz siano, oggi,
soggetti ai valori limite di esposizione (il valore di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, considerato
come valore di immissione, definito ai fini della tutela della salute da effetti acuti, che non deve essere superato
in alcuna condizione di esposizione della popolazione e dei lavoratori articolo 3, comma 1, lettera b, legge
36/2001) e ai valori di attenzione (il valore di campo elettrico, magnetico ed elettromagnetico, considerato
come valore di immissione, che non deve essere superato negli ambienti abitativi, scolastici e nei luoghi adibiti a
permanenze prolungate articolo 3, comma 1, lettera c, legge 36) per la prevenzione degli effetti a breve e a
lungo termine previsti dal Dpcm 8 luglio 2003, attuativo sul punto della disciplina prevista dalla legge quadro
sulla protezione delle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici 36/2001. Si tratta di una legge
di ampia portata, finalizzata ad assicurare la tutela della salute della popolazione dagli effetti dellesposizione a
determinati livelli di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici ai sensi e nel rispetto dellarticolo 32 della
Costituzione (diritto alla salute), promovendo, altres, la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo
termine (se del caso previa attivazione nelle more di misure di cautela in forza del principio di precauzione
ex articolo 174, paragrafo 2 del Trattato istitutivo dellUnione europea), e assicurando la tutela dellambiente e
del paesaggio nonch la promozione dellinnovazione tecnologica e delle azioni di risanamento volte a
minimizzare lintensit e gli effetti dei campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici secondo le migliori tecnologie
disponibili (articolo 1, legge 36/2001). La legge quadro sullelettromagnetismo si applica, in particolare, agli
impianti, ai sistemi e alle apparecchiature per usi civili, militari e delle forze di polizia, che "possano" comportare
lesposizione dei lavoratori, delle lavoratrici e della popolazione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici
con frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz, con riferimento particolare agli elettrodotti e agli impianti
radioelettrici compresi gli impianti per telefonia mobile, i radar e gli impianti per radiodiffusione. Restano sottratte
al campo applicativo della legge le esposizioni intenzionali per scopi diagnostici o terapeutici e, se del caso, il
settore delle Forze armate e di polizia (articolo 2, legge 36/2001).
In prima approssimazione sarebbe, quindi, opportuno effettuare dei rilievi sullintensit delle onde
elettromagnetiche al fine di verificare il rispetto o meno dei limiti di legge. Ci preferibilmente attraverso lArpa
(Agenzia regionale per la protezione ambientale) territorialmente competente, alla quale andrebbe indirizzata
una richiesta scritta in tal senso. Dal quesito del lettore si capisce, tuttavia, come la stazione radio base o il
ripetitore siano ancora in via di installazione. Al riguardo potrebbe, quindi, esperirsi unazione inibitoria di
denunzia di nuova opera o di danno temuto, a norma degli articoli 1171 e 1172 del Codice civile, utilizzabili
allorch il proprietario, titolare di altro diritto reale di godimento o semplice possessore (per esempio, il
conduttore di un immobile) abbia ragione di temere che da una nuova opera intrapresa da altri sul proprio o altrui
fondo, possa derivarne un danno alla cosa che forma oggetto del proprio diritto per esempio il deprezzamento
dellimmobile (articolo 1171 Codice civile - Denunzia di nuova opera) ovvero, allorch il soggetto in questione
tema che dallimpianto in via di realizzazione o gi realizzato ne derivi, parimenti, un danno "grave e prossimo"
alla cosa (bene) oggetto del proprio diritto (articolo 1172 Codice civile - Denunzia di danno temuto). Si badi
come nel primo caso, la denunzia di nuova opera debba, ontologicamente, esperirsi in corso dopera, prima del
suo completamento e purch non sia decorso un anno dal suo inizio. Lautorit giudiziaria potr in questo caso
vietare la continuazione dellopera, ovvero permetterla, ordinando le opportune cautele. Le azioni sinteticamente
descritte ben si sposano, inoltre, con lazione durgenza per eccellenza prevista dallarticolo 700 del Codice di
procedura civile, ai sensi del quale colui che abbia fondato motivo di temere che durante il tempo occorrente per
far valere il proprio diritto in via ordinaria, questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile,
potr chiedere al giudice i provvedimenti durgenza meglio idonei, secondo le circostanze, ad assicurare
provvisoriamente gli effetti di una decisione sul merito. Riguardo questultimo aspetto le azioni ordinarie,
civilistiche, sul merito potranno spaziare da unazione di risarcimento danni, a condizione che le emissioni
elettromagnetiche superino i limiti di legge e da ci il lettore patisca un danno casualmente connesso in tal
senso (per esempio, deprezzamento dellimmobile), a unazione di ripristino dello stato dei luoghi nella

condizione originaria (abbattimento del ripetitore). Si consideri, infine, come il superamento dei limiti di legge
potrebbe anche accedere a un procedimento penale per Getto pericoloso di cose ex articolo 674 del Codice
penale. Sul punto, infatti, dopo uniniziale ambivalenza della giurisprudenza (fondata pi sullassenza di certezze
scientifiche circa la nocivit dei campi elettromagnetici che sulla concreta applicabilit dellarticolo 674, Codice
penale in tal senso si espressa, ad esempio, la Cassazione penale, sezione I, 11 novembre 1999, n. 5592)
si segnala la riconducibilit anche delle onde elettromagnetiche alle cose mobili oggetto della citata disposizione
penale. La Corte di cassazione penale si , infatti, pronunciata a pi riprese circa lapplicabilit astratta
dellarticolo 674 del Codice penale al fenomeno dellelettromagnetismo, rilevando, tra le altre, la sentenza
5626/99 emessa dalla I sezione della Suprema Corte e la sentenza 23066/2002 della medesima sezione. Vero
che in tutte le sentenze citate, anche favorevoli allapplicabilit astratta dellarticolo 674 del Codice penale
allelettromagnetismo, i giudici hanno poi dovuto sempre prendere atto dellassenza di certezze scientifiche circa
la nocivit delle onde elettromagnetiche e, pertanto, nellassenza delloffensivit, la non applicabilit pratica di
questa disposizione. Rileva, peraltro, come, in ipotesi di superamento dei limiti di legge, sia stata ritenuta, altres,
applicabile la misura cautelare penale del sequestro preventivo dellimpianto (Tribunale Penale di Roma,
provvedimento 1657 del 16 gennaio 2001).
A CURA DI MARCO FABRIZIO
I riferimenti normativi
Legge 22 febbraio 2001, n. 36
D.P.C.M. 8 luglio 2003 in G.U. del 28 agosto 2003
D.P.C.M. 8 luglio 2003 in G.U. del 29 agosto 2003
D.lgs. 1 agosto 2003, n. 259 artt. da 86 a 95
Il punto
Regolamenti comunali a portata ridotta
I regolamenti comunali di localizzazione degli impianti (articolo 8, comma 6, legge 36/2001), non potranno
contenere limiti generalizzati di esposizione, diversi da quelli altrimenti fissati a livello nazionale, n, tantomento,
fissare regole generali dissuasive per linsediamento delle stazioni radio-base (in tal senso Tar Puglia, sezione di
Bari, sentenza 1192/2004). Per il rilascio del provvedimento amministrativo necessario alla realizzazione
dellinfrastruttura generante campi elettromagnetici, rileva, invero, una disciplina agevolata valida per tutte le
infrastrutture per impianti radioelettrici e per la modifica delle caratteristiche di emissione di questi ultimi e, in
specie, per linstallazione di torri, tralicci, impianti radio-trasmittenti, ripetitori di servizi di comunicazione
elettronica, stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili Gsm-Umts, per reti di diffusione,
distribuzione e contribuzione dedicate alla televisione digitale terrestre, per reti a radiofrequenza dedicate alle
emergenze sanitarie e alla protezione civile, nonch per reti radio a larga banda punto-multipunto nelle bande di
frequenza alluopo assegnate. Pur riconoscendosi, infatti, come lautorizzazione alla realizzazione
dellinstallazione debba essere rilasciata dallente locale interessato, il legislatore con il Codice delle
comunicazioni elettroniche (Dlgs 1 agosto 2003, n. 259), ha, infatti, alluopo previsto come questo
provvedimento abilitativo potr essere conseguito attraverso un meccanismo basato sul silenzio-assenzo,
configurabile al decorso di 90 giorni dallinvio al comune dellistanza di autorizzazione, corredata del relativo
progetto e completa di tutti i requisiti di legge. Le opere, invero, dovranno essere realizzate, a pena di
decadenza, nel termine perentorio di dodici mesi dalla ricezione del provvedimento autorizzatorio espresso,
ovvero dalla formazione del silenzio-assenso (articolo 87, Dlgs 259/2003).
Casa d'appuntamenti: non punibile il locatore ignaro
Corte di Cassazione terza sezione penale n 19957
Venire a conoscenza solo in un secondo momento che l'appartamento che si dato in locazione usato come
casa d'appuntamenti pu solo costituire connivenza non punibile rispetto ad un'attivit di per s lecita in cui non
aveva affatto concorso, senza alcun dolo.
Trattandosi di un delitto deve sussistere il dolo o quantomeno la consapevolezza di compiere un'attivit che pu
favorire l'altrui prostituzione.
Pertanto la successiva conoscenza dell'attivit di prostituzione non spiega come possa integrare il reato di
favoreggiamento, n come sia possibile facilitare lo svolgimento dell'attivit di prostituzione.
Vietato pagare il canone di locazione prima della consegna
Cassazione n 23638/2004
In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, pur nel regime di libera determinazione
del canone da parte dei contraenti, deve ritenersi nulla, ex art. 79 della legge 392/1978, la pattuizione con cui le
parti convengano, a carico del conduttore, l'obbligo di corresponsione del canone per un periodo antecedente
alla consegna dell'immobile, poich l'attribuzione al locatore delle relative somme non trova giustificazione
alcuna in seno al sinallagma contrattuale.
Difetti di costruzione
Corte di cassazione, sezione II civile, sentenza n n. 8577 del 26 aprile 2005

In materia di appalto avente ad oggetto la costruzione di edifici o di altre cose immobili destinate per loro natura
a lunga durata, rientra nei compiti propri del giudice del merito, coinvolgendo l'accertamento e la valutazione
degli elementi di fatto del caso concreto, l'indagine volta a stabilire se i difetti costruttivi ricadano nella disciplina
dell'art. 1669 cod. civ., che comporta la responsabilita' extracontrattuale dell'appaltatore, ovvero in quella posta
dagli artt. 1667 e 1668 cod. civ. in tema di garanzia per le difformita' e i vizi dell'opera.
Al giudice di merito spetta altresi' stabilire se le acquisizioni processuali sono sufficienti a formulare
compiutamente il giudizio finale sulle caratteristiche dei difetti, dovendo al riguardo non limitarsi alla mera verifica
della sussistenza del pericolo di crollo ovvero alla valutazione dell'incidenza dei medesimi sulle parti essenziali e
strutturali dell'immobile, bensi' accertare anche se essi, pur afferendo ad elementi secondari ed accessori, siano
tali da incidere negativamente, pregiudicandoli in modo considerevole nel tempo, sulla funzionalita' e sul
godimento dell'immobile.
Licenza di abitabilit: risoluzione del contratto di locazione
Cass., sentenza n. 23695/2004
Il mancato rilascio di autorizzazioni, concessioni o licenze amministrative relative alla destinazione d'uso dei beni
immobili non di ostacolo alla valida costituzione di un rapporto locatizio, sempre che vi sia stata, da parte del
conduttore, concreta utilizzazione del bene.
Invece nell'ipotesi in cui il provvedimento amministrativo necessario per la destinazione d'uso convenuta sia
stato definitivamente negato al conduttore riconosciuta la facolt di chiedere la risoluzione del contratto.
La legittimazione ad agire dei condomini.
Cass.Civ. 29.10.2003 n.16244
L'esistenza di un organo rappresentativo unitario del condominio, quale l'amministratore, non priva i singoli
partecipanti della facolt di agire in giudizio a difesa dei diritti comuni inerenti l'edificio condominiale.
Cass. civ., sez. II, 28 agosto 1997, n. 8167
Appartiene al potere discrezionale dell'assemblea e non pregiudica n l'interesse dei condomini alla corretta
gestione del condominio, n il loro diritto patrimoniale all'accredito della proporzionale somma - perch
compensata dal corrispondente minor addebito, in anticipo o a conguaglio - l'istituzione di un fondo-cassa per le
spese di ordinaria manutenzione e conservazione dei beni comuni, e la relativa delibera formalmente regolare,
anche se tale istituzione non indicata tra gli argomenti da trattare, se desumibile dal rendiconto - depositato
prima dell'assemblea convocata per la sua approvazione - in cui l'accantonamento di un'entrata
condominiale (nella specie canone dell'appartamento dell'ex portiere) destinato alle spese di ordinaria
manutenzione.
Condominio: nozione pu riguardare anche costruzioni adiacenti orizzontalmente
Cassazione , sez. II, sentenza 18.04.2005 n 8066 La configurabilit della nozione di condominio in senso
proprio non riguarda solamente agli edifici che si estendono in senso verticale, ma si pu applicare anche ai
corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente (come in particolare proprio le case "a schiera"), che possono
essere dotati di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come quelli che sono elencati nell'art. 1117
cod. civ., peraltro esemplificativamente e con la riserva "se il contrario non risulta dal titolo". Lo ha stabilito la
Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8066 del 18 aprile 2005, precisando che anche in edifici in cui manchi
uno stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, l'ipotesi della "condominialita" non puo essere senz'altro
esclusa, neppure per un insieme di edifici "indipendenti". Tale conclusione si ricava dagli art. 61 e 62 disp. att.
cod. civ., che consentono lo scioglimento del condominio nel caso in cui "un gruppo di edifici...si possa dividere
in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi", pur quando "restano in comune con gli originare
partecipanti alcune delle cose indicate dell'articolo 1117 del codice": dal che si desume che e permessa la
costituzione ab origine di un condominio di fabbricati a se stanti, aventi in comune Solo alcuni elementi, o locali,
o servizi, o impianti "condominiali". Per la Suprema Corte quindi in caso di complessi immobiliari che
comprendono pi edifici, anche se "autonomi", rimesso all'autonomia privata se dare luogo alla formazione di
un unico condominio, oppure di distinti condomini per ogni edificio, cui si affianca in tal caso un
"supercondominio". http://www.altalex.com/index.php?idnot=9837
Richiesta pagamento della fattura per la fornitura di gasolio da riscaldamento
Sezione Terza Civile, Sentenza n. 7525 del 12 aprile 2005
Ove non abbia stipulato il contratto di somministrazione di gasolio da riscaldamento (non soggetto a vincoli di
forma e che puo' essere provato con qualsiasi mezzo, non escluse le presunzioni, ma non anche a mezzo di
fattura, mero atto di parte idoneo a fornire soltanto elementi indiziari liberamente valutabili dal giudice, che risulti
contestata), nei confronti del condominio (o della comunione) che abbia beneficiato della fornitura puo' essere
dal somministrante promossa azione di indebito arricchimento, fermo il diritto di tale ente salvo patto contrario
alla ripetizione nei confronti di eventuali conduttori.
(Nella specie, caso la societa fornitrice aveva richiesto il pagamento della fattura del gasolio utilizzato per il
funzionamento dellimpianto di riscaldamento ad una delle comproprietarie del fabbricato, che aveva eccepito il
proprio difetto di legittimazione passiva per essere stata lobbligazione assunta da altra persona, su incarico
dellassemblea degli utenti. Nel rigettare il ricorso dalla fornitrice proposto avverso la sentenza della corte
di merito che ne aveva rigettatato la domanda, la S.C. ha enunciato il principio di cui in massima,
precisando ulteriormente che, in presenza di conduttori, rimane nella detta ipotesi fermo nei confronti
dei medesimi il diritto dellente condominio o comunione alla ripetizione di quanto a tale titolo pagato,
salvo patto contrario).

Proprieta' - inviduazione del confine - muro di contenimento


Sezione Seconda Civile, Sentenza n. 8496 del 22 aprile 2005
La realizzazione di comune accordo di un muro destinato al contenimento del dislivello posto tra due fondi non
implica necessariamente un accordo tra i relativi proprietari anche sulla determinazione del confine, per cui, in
presenza di contestazione, la mera esistenza del manufatto sul terreno non puo' pertanto costituire prova certa
ed indiscutibile del confine, ma tutt'al pi un indizio da apprezzare nel quadro delle altre risultanze probatorie,
fermo restando il ricorso, in caso di perdurante incertezza, ai sussidiari dati catastali.
Indennit supplementare prevista dal Contratto nazionale di lavoro per i portieri
Trib. civ. Napoli, 24 maggio 1997, n. 4722
L'indennit supplementare prevista dal Contratto nazionale di lavoro per i portieri non posta a carico di tutti gli
appartamenti destinati ad uso ufficio, ma soltanto a carico di quelli che rispondano ai seguenti requisiti: 1) che
siano destinati esclusivamente ad uso di uffici; 2) che aggravino notevolmente il lavoro del portiere. (Nella
specie, stato ritenuto che l'attivit di commercialista non sia tale da comportare quell'aggravio di notevole
entit per il portiere di uno stabile condominiale, in termini di clienti ovvero di inoltro di corrispondenza, che
giustifica la corresponsione dell'indennit supplementare).
Azioni giudiziarie del condominio - Legittimazione del singolo condomino
Cass. civ., sez. V, 7 dicembre 2004, n. 22942
L'esistenza di un organo rappresentativo unitario, come l'amministratore, non priva i singoli partecipanti della
facolt di agire a difesa degli interessi, esclusivi e comuni, inerenti all'edificio condominiale. Ciascun condomino
legittimato a proporre autonomamente ricorso per cassazione avverso la sentenza d'appello emessa nei
confronti della collettivit condominiale, senza che assuma rilevanza, in contrario, l'eventuale proposizione del
ricorso anche da parte dell'amministratore condominiale.
Azione contro il conduttore in caso di turbative, molestie o immissioni intollerabili Sentenza n. 8999 del
29/04/2005
In caso di turbative, molestie o immissioni eccedenti la normale tollerabilit ex art. 844 cod. civ., l'azione
tendente a farle cessare pu essere proposta anche nei confronti dell'autore materiale, che non sia proprietario
dell'immobile da cui derivano e, quindi, anche nei confronti del conduttore quando gli debba essere imposto un
"facere" o un "non facere" suscettibile di esecuzione forzata. Lo stesso dicasi per quanto riguarda la
destinazione ad uso vietato dal regolamento condominiale, potendo anche in questo caso ottenersi la
cessazione della destinazione abusiva nei diretti confronti del conduttore.
L'amministratore non pu essere revocato per la mancata apertura del conto corrente condominiale
Tribunale di Cosenza, con decreto del 8/11/2000
La mancata adozione di un conto corrente separato non integra gli estremi di una gestione irregolare non
esistendo in merito alcun obbligo di legge.
L'amministratore da solo non pu tutelare le parti comuni
Cass. sentenza n. 1553/2005
L'esperimento da parte dell'amministratore di condominio, di azioni reali a tutela delle parti comuni dell'edificio,
legittimamente autorizzabile da parte dell'assemblea dei condmini, ma non pu essere esercitata
autonomamente da parte dello stesso amministratore.
Obbligazioni del locatore Consegna e mantenimento della cosa in buono stato locativo
Cass. Terza Civile, sentenza n. 14094 del 1 luglio 2005
Il locatore tenuto a consegnare e mantenere la cosa in buono stato locativo al fine di servire all'uso convenuto
non gi fornita di dotazioni al riguardo necessarie od utili in astratto, bens in base alle pattuizioni in concreto
intercorse tra le parti, conseguentemente rispondendo solo ove la cosa al momento della consegna o
successivamente risulti affetta da vizi occulti, tali da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la
pattuita destinazione contrattuale.
Cani in condominio: abbaiano troppo forte? Si paga anche se disturbano un solo vicino Cassazione
Sezione prima penale (up) sentenza 8 luglio-13 settembre 2004, n. 36241
Non ha importanza se a
lamentarsi per i latrati dei cani e' un solo vicino. A fare scattare la responsabilita' del proprietario
dell'animale, infatti, non e' ''l'effettivo raggiungimento di plurime persone'', ma la ''potenzialita' diffusiva''
dell'abbaiare dell'animale.
Contravvenzione allarticolo 659 Cp - Latrato dei cani, che di giorno e di notte rendevano impossibile il riposo e
la quiete delle persone (Cassazione Sezione prima penale (up) sentenza 8 luglio-13 settembre 2004, n.
36241)Cassazione Sezione prima penale (up) sentenza 8 luglio-13 settembre 2004, n. 36241 Osserva Con
la sentenza di cui in epigrafe, il Tribunale dichiarava il Cxxxxxx colpevole di contravvenzione allarticolo 659 Cp,
condannandolo alla pena di 170 euro di ammenda, oltre alle pronunce accessorie, dichiarava invece
limprocedibilit dellazione penale nei suoi confronti quanto al reato di minacce lievi, per mancanza di querela.
Osservava il primo giudice che sia il denunciante Santarnecchi, sia il teste Licciardi, avevano confermato che il
Cxxxxxx non aveva impedito il latrato dei propri cani, che di giorno e di notte rendevano impossibile il riposo e la
quiete delle persone; si trattava di un fatto diffusivo al di l del concreto numero delle persone raggiunte dai
rumori molesti che quindi integrava la contravvenzione contestata. Avverso tale pronuncia ricorreva per

cassazione il Cxxxxxx, che denunciava violazione di legge e vizio della motivazione. Il reato in addebito sussiste
solo quando la fonte sonora denunciata attinga un numero indeterminato di persone di media sensibilit; nella
specie, i latrati disturbavano il solo Santarnecchi e non altri, come il confinante, che aveva deposto in proposito.
Il luogo del reato era in campagna, lontano da altre abitazioni ed edifici, con la conseguente inidoneit della
lamentata turbativa ad integrare una ipotesi penalmente rilevante.
Doveva altres rilevarsi che, per quanto il capo dimputazione contenesse una specifica data di accertamento,
nessuna indagine era stata fatta in proposito, facendo la sentenza impugnata generico riferimento al fatto
contestato, senza alcuna localizzazione cronologica. Il ricorso infondato. Contrariamente a quanto ritiene il
ricorrente, la contravvenzione addebitatagli non si realizza per leffettivo raggiungimento di plurime persone, da
parte della fonte rumorosa, idonea a realizzare la turbativa lamentata in concreto dal denunciante; ci che rileva
penalmente la potenzialit diffusiva della fonte stessa, che deve essere oggettivamente idonea al di l delle
caratteristiche soggettive della fattispecie a disturbare le occupazioni o il riposo delle persone, ovvero della
generalit di soggetti che fossero attinti dai rumori (nella specie, dai latrati); infatti, il reato in questione colpisce
il bene giuridico dellordine e della tranquillit pubblici. Nel caso in esame, la sentenza impugnata motiva
senza incorrere in vizi logico-giuridici e alla stregua del compendio testimoniale esaminato su tale potenzialit;
n a questa Corte dato procedere ad una rivisitazione del quadro probatorio, che indagine fattuale
istituzionalmente interdetta al giudice della legittimit. Quanto alla collocazione nel tempo nellipotesi
contravvenzionale in questione, la censura di un difetto di indagine sul giorno del contestato accertamento
speciosa, giacch quella data segna la denuncia del fatto lesivo, poi retrospettivamente accertato a mezzo
appunto dellindagine dibattimentale, cui la decisione gravata di ricorso fa richiamo. Il ricorso stesso deve
dunque essere rigettato, colle ulteriori statuizioni indicate nel dispositivo. PQM Rigetta il ricorso e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel
presente giudizio, che liquida in complessivi euro 1600 di cui euro 1200 per onorari.
Obbligo del nuovo proprietario al pagamento dei contributi condominiali precedenti Cassazione civile
Sentenza 18/08/2005, n. 16975)
Lart. 63, co. 2, disp. att. cod. civ., che limita al biennio precedente allacquisto lobbligo del successore nei diritti
di un condomino di versare, in solido con il dante causa, i contributi da costui dovuti al condominio, una norma
speciale rispetto a quella posta, in tema di comunione in generale, dallart. 1104, ultimo comma, cod. civ., che
rende il cessionario obbligato, senza alcun limite di tempo, in solido con il cedente, a pagare i contributi dovuti
dal cedente e non versati.
Pertanto, in tema di contributi condominiali va fatta applicazione dellart. 63, co. 2, disp. Att. cod. civ. poich il
rinvio operato dallart. 1139 cod. civ. alle norme sulla comunione in generale vale, per espressa previsione dello
stesso articolo, solo per quanto non sia espressametne previsto dalle norme sul condominio.
Antenne e parabole. Se in un condominio gi installata un'antenna condominiale, l'assemblea pu vietare a
un abitante di installarne un'altra solo nel caso che questa pregiudichi l'uso del terrazzo comune da parte degli
altri aventi diritto; altrimenti, non ricorrendo questa ipotesi, una delibera in questo senso da ritenersi nulla e il
condomino potr fare accertare dall'autorit giudiziaria il proprio diritto (in tal senso Corte di cassazione 3 agosto
1990 n. 7825 e 6 novembre 1985 n. 5399).
Parcheggi in eccedenza rispetto allo spazio minimo richiesto dalla legge
Cassazione , SS.UU. civili, sentenza 15.06.2005 n 12793 I parcheggi realizzati in eccedenza rispetto allo
spazio minimo richiesto dalla legge (art. 18 della legge 6 agosto 1967, n. 765) non sono soggetti a vincolo
pertinenziale a favore delle unit immobiliari del fabbricato; conseguentemente, loriginario
proprietario-costruttore del fabbricato pu legittimamente riservarsi, o cedere a terzi, la propriet di tali
parcheggi, nel rispetto del vincolo di destinazione nascente da atto dobbligo. Lo hanno chiarito le Sezioni Unite
della Cassazione con la sentenza n. 12793 depositata il 15 giugno 2005.
Il lastrico solare quale superficie terminale dell'edificio esercita l'indefettibile funzione primaria di protezione
dell'edificio medesimo, pur potendo essere utilizzato in altri usi accessori, come quello del terrazzo. L'anzidetta
funzione accessoria del lastrico solare a terrazza in uso esclusivo di un solo condomino, come non fa venir
meno la sua destinazione primaria all'uso comune, cos in mancanza di un titolo contrario lascia inalterata la
presunzione di propriet comune di cui all'art. 1117 c.c. (Cass. civ., sez. II, 1 giugno 1990, n. 5162, Salina c.
Pigli).
Il lastrico solare, ai sensi dell'art. 1117 c.c, oggetto di propriet comune dei diversi proprietari dei piani o
porzioni di piano dell'edificio se il contrario non risulta, in modo chiaro ed univoco, dal titolo, per tale
intendendosi gli atti di acquisto dei singoli appartamenti o delle altre unit immobiliari, nonch il regolamento di
condominio accettato dai singoli condomini ( Cass. civ., sez. II, 7 aprile 1995, n. 4060, Soc. Edilbas c. Della
Pittima e altri e Isidori e altri).
Trasformazione del sottotetto: indennit di sopraelevazione
Cassazione civile Ordinanza 07/06/2005, n. 11857
La Cassazione con lordinanza n. 11857/2005 del 7 giugno 2005 ha rimesso alle Sezioni Unite la questione di
stabilire in quale ipotesi la trasformazione del sottotetto in locali abitabili determini lobbligo di corrispondere
lindennit di sopraelevazione.
La giurisprudenza di legittimit si generalmente orientata nel senso che, opere siffatte, vanno considerate
come nuovi piani o nuove fabbriche ai sensi dellart. 1127 c.c. Da tale indirizzo si per ultimamente

discostata la S.C. con la sentenza n. 6643/2000 secondo la quale linnalzamento di un preesistente sottotetto,
contenuto nei limiti del suo perimetro, non comporta lobbligo di pagamento dellindennit, in quanto lart. 1127
c.c. non si riferisce ad ogni caso di sopraelevazione, intesa come pura e semplice costruzione oltre laltezza
precedente del fabbricato, bens solo al caso di costruzione di uno o pi piani sopra lultimo piano delledificio,
quale che sia il rapporto con laltezza precedente.
Sottotetto negli edifici condominiali e permesso di costruire
Consiglio di Stato , sez. IV, decisione 14.09.2005 n 4744
Al sottetto di un edificio condominiale, in assenza di titolo idoneo, si applica la presunzione di comunione ex art.
1117, n. 1, c.c. qualora il vano, per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato,
sia pure in via potenziale, alluso comune oppure allesercizio di un servizio di interesse comune. Lo ha stabilito
dal Consiglio di Stato, con la decisione n. 4744 del 14 settembre 2005, richiamando il costante orientamento
giurisprudenziale della Corte di Cassazione. Nel caso di specie il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza
di primo grado che, accertata la comunione del sottotetto, aveva annullato il permesso di costruire per
ristrutturare e sopraelevare lunit rilasciato ai condomini dell'ultimo piano senza il necessario consenso degli
altri condomini. http://www.altalex.com/index.php?idnot=838
Coniuge separato a cui viene assegnata la casa paga le spese condominiali ma non l'ici
I sezione civile Corte di Cassazione con sentenza 18476/2005
Il coniuge, assegnatario della casa familiare dopo la separazione, ha l'onere di pagare le spese condominiali,
mentre l'imposta comunale sugli immobili rimane a carico del coniuge proprietario dell'immobile.
In tema di separazione personale, l'assegnazione della casa coniugale esonera il coniuge assegnatario
esclusivamente dal pagamento del canone per l'uso dell'abitazione, ma non si estende alle spese correlate
all'uso, che quindi sono a suo carico.
Congiunzione e incorparazione tra cose comuni e piani o porzioni di piano
Cassazione civile Sentenza 18/01/2005, n. 962
La Corte di Cassazione - con la sentenza n. 962 del 18 gennaio 2005 - ha affermato che tra le cose comuni ed i
piani o le porzioni di piano pu sussistere un legame materiale di incorporazione che rende le prime
indissolubilmente legate alle secondo ed essenziali per la stessa esistenza o per luso di queste, dalle quali i
beni comuni (muri, pilastri, travi portanti, tetti, fondazioni, ecc.) non possono essere separati; pu ravvisarsi, poi,
una congiunzione tra cose che possono essere fisicamente separate senza pregiudizio reciproco, che data
dalla destinazione, la quale, a sua volta, importa un legame di diversa resistenza a seconda che le parti comuni
siano essenziali per lesistenza ed il godimento delle unit singole, nel qual caso il vincolo di destinazione
caratterizzato dalla indivisibilit, ovvero che siano semplicemente funzionali alluso e al godimento delle stesse,
nel qual caso la cessione in propriet esclusiva pu essere separata dal diritto di condominio sui beni comuni
sicch la presunzione di cui allart. 1117 cod. civ. risulta superata dal titolo stesso.
Le regole per cambiare le tabelle millesimali
Sezione II, sentenza 28 giugno 2004 n. 11960
La Cassazione ha ricordato che le tabelle allegate al regolamento condominiale possono essere di natura
convenzionale (negoziale, contrattuale), quando sono state predisposte dal costruttore o dall'unico proprietario
iniziale del palazzo, accettate dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e trascritte regolarmente, ovvero quando
sono il frutto di specifico accordo fra tutti i condomini.
Per questo tipo di tabelle millesimali l'unica possibilit di modifica una deliberazione unanime di tutti gli
interessati oppure occorre un atto dell'autorit giudiziaria.
La delibera che modifichi le tabelle o i criteri di ripartizione delle spese comuni nulla se assunta dall'assemblea
senza che siano stati convocati tutti i condomini o senza il loro consenso unanime.
Nel caso invece che si tratti di tabelle millesimali approvate da una normale assemblea condominiale,la modifica
possibile a maggioranza con nuova delibera assembleare.
Ci in quanto in tal caso vige il principio di maggioranza che vincola anche gli eventuali dissenzienti e, quindi,
non necessaria la delibera all'unanimit come per le tabelle di origine contrattuale.
Condominio: Riduzione della penale anche d'ufficio
Cass. civile, Sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128
Il potere del giudice di ridurre la penale pu essere esercitato d'ufficio, e ci sia con riferimento alla clausola
penale manifestamente eccessiva, sia con riferimento all'ipotesi in cui la riduzione avvenga perch l'obbligazione
principale stata in parte eseguita, giacch in quest'ultimo caso, la mancata previsione da parte dei contraenti di
una riduzione della penale in caso di adempimento di parte dell'obbligazione, si traduce comunque in una
eccessivit della penale se rapportata alla sola parte rimasta inadempiuta.
Non costituisce pertinenza dell'abitazione sottostante il sottotetto che pu essere utilizzato come vano
autonomo
Consiglio di Stato Sentenza, Sez. IV, 14/09/2005, n. 4744
Secondo il costante insegnamento della Suprema Corte al sottetto di un edificio condominiale, in mancanza di
titolo idoneo (pu considerarsi pertinenza dellappartamento sottostante solo quando assolva alla esclusiva
funzione di isolare e proteggere lappartamento medesimo dal caldo, dal freddo e dallumidit, tramite la
creazione di una camera daria), si applica la presunzione di comunione ex art. 1117, n. 1, c.c. qualora il vano,

per le sue caratteristiche strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato, sia pure in via potenziale,
alluso comune oppure allesercizio di un servizio di interesse comune.
Nel caso di specie il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di primo grado che, accertata la comunione
del sottotetto, aveva annullato il permesso di costruire per ristrutturare e sopraelevare lunit rilasciato ai
condomini dell'ultimo piano senza il necessario consenso degli altri condomini.
Si pu parcheggiare a turno nel cortile condominiale
Corte di Cassazione con sentenza n. 12873 del 2005
La Corte di Cassazione riconferma limportante principio secondo il quale la parit nelluso delle cose comuni
non esige necessariamente il contemporaneo godimento da parte di tutti i partecipanti alla comunione, il cui
esercizio affidato alla concreta regolamentazione condominiale.
Di conseguenza, la delibera condominiale che assegna a rotazione il parcheggio dei posti macchina
condominiali, lungi dal comportare lesclusione del condomino dalluso del bene comune, da ritenersi
pienamente legittima per disciplinare luso del bene in modo da assicurarne a ciascun condomino il massimo
godimento possibile nelluniformit di trattamento e secondo le circostanze.
Guidare ubriachi nel cortile condominiale non reato
Cass. Sez. IV, 3 febbraio 2003, n 4844
Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 4844, depositata il 3 febbraio 2003 ritenendo
inapplicabile a questa fattispecie le norme del Codice della strada. Ci perch larticolo 186, comma 2 del Cds
(D.Lgs 285/92), che prevede il reato di guida in stato di ebbrezza si applica, come tutte le disposizioni del
Codice, esclusivamente alle aree ad uso pubblico di destinazione alla circolazione.
Secondo i supremi giudici, invece, non risponde del reato di guida in stato di ebbrezza il condomino ubriaco
colto nell'atto di spostare l'auto all'interno di un'area recintata, pur con acesso privo di chiusura, di pertinenza
esclusiva dello stabile condominiale, senza circolare sulla strada.
Illegittima la costituzione regionale di un registro per gli amministratori di condominio
Corte Costituzionale Sentenza 30/09/2005 n. 355
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 355 del 30 settembre 2005, ha dichiarato lillegittimit costituzionale
legge della Regione Abruzzo 19 novembre 2003, n. 17 istituitiva del registro regionale degli amministratori di
condominio.
Esula, pertanto, dai limiti della competenza legislativa concorrente delle regioni in materia di professioni
listituzione di nuovi e diversi albi (rispetto a quelli istituiti dalle leggi statali) per lesercizio di attivit professionali,
avendo tali albi una funzione individuatrice delle professioni preclusa in quanto tale alla competenza regionale.
Opere edilizie realizzate in assenza della concessione
Cass. Sezione Quarta Penale, Sentenza n. 12577 del 12 gennaio 2005 - depositata il 5 aprile 2005
Le opere edilizie realizzate in assenza della concessione e in area assoggettata a vincolo paesistico non
possono ottenere la sanatoria ai sensi dell'art. 32 d.l. 30 settembre 2003, n. 269 (conv. in l. 24 novembre 2003,
n. 326) e pertanto non consentito disporre la sospensione del procedimento penale ex art. 44 l. 28 febbraio
1985, n. 47
Sulle distanze tra le costruzioni decide lo Stato (Corte costituzionale 232/2005) Un chiarimento in merito
alla disciplina delle distanze fra costruzioni ci pervenuto dalla Corte Costituzionale, la quale si trovata a
decidere sulla legittimit di una Legge della Regione Veneto in tema di "governo del territorio". La controversia
veniva sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, a proposito di un paio di articoli (40 e 50) della
Legge 23 aprile 2004, n. 11, ma si concentrava subito intorno alla questione (rappresentata dal contenuto
dell'art. 50, comma 8, lettera C) se potesse derogarsi, o meno, la disposizione collocata ("anzitutto") nella
sezione VI del Capo II del Titolo II del Libro III del Codice Civile. Mentre quest'ultima normativa attiene per
l'appunto la fissazione di una distanza minima tra edifici (e altres, di "piantagioni e scavi, .. muri, fossi e siepi
interposti tra fondi") e ha ovviamente valore generale, in quanto materia dell'ordinamento civile, "di competenza
legislativa esclusiva dello Stato", la Legge Regionale potr esercitare in sede urbanistica una competenza
soltanto concorrente. Questo significa che in sede locale, e "nei limiti della ragionevolezza", possono consentirsi
delle deroghe, purch ci si avvalga di "strumenti urbanistici funzionali ad un assetto complessivo ed unitario di
determinate zone del territorio", al cui interno dette deroghe devono contenersi. Invece, la norma censurata non
ha soddisfatto i requisiti richiesti dai Giudici della Consulta, ed stata colpita da incostituzionalit. N valso a
giustificarla la rivendicata "transitoriet" della disposizione - come reclamava l'Amministrazione Regionale - ch
anzi, tale circostanza, ha ulteriormente dimostrato la sua totale estraneit a qualsiasi programma di
pianificazione del territorio, da farsi valere a sua scusante. (05 agosto 2005)
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=29677&idCat=45
CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 30 gennaio 2002, n. 1201.
In tema di condominio, le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle
previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dellintero edificio, sia ai fini del conteggio del
quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto di interesse con il
condominio, i quali possono (non debbono) astenersi dallesercitare il diritto di voto. Pertanto, anche nellipotesi
di conflitto di interesse, la deliberazione deve essere presa con il voto favorevole di tanti condomini che
rappresentano la maggioranza personale e reale fissata dalla legge ed, in caso di mancato raggiungimento della

maggioranza necessaria per impossibilit di funzionamento del collegio, ciascun partecipante pu ricorrere alla
autorit giudiziaria.
Corte di Cassazione Civile Sentenza 18 Marzo 2002 n 4314
Conflitto d'interessi tra il singolo condomino ed il condominio
In materia di condominio, ai fini dell'invalidit della delibera Assembleare, non configurabile un conflitto
d'interessi tra il singolo condomino ed il condominio qualora venga dedotta una mera ipotesi astratta e non sia
possibile identificare, in concreto, una sicura divergenza tra le ragioni personali del condomino e l'interesse
istituzionale comune (nella specie, la Corte ha escluso che potesse in concreto configurarsi un conflitto tra un
singolo condomino e l' interesse collettivo degli altri per il solo fatto che il predetto condomino godeva di una
disciplina di ripartizione delle spese comuni in misura diversa a quella proporzionale alla sua propriet
individuale).
CASSAZIONE: SENTENZA INSTALLAZIONE ANTENNE TELEFONI CELLULARI - TESTO UNICO EDILIZIA
E CODICE COMUNICAZIONI A seguito dellentrata in vigore del Decreto Legislativo 1 agosto 2003 n. 259
(Codice delle comunicazioni elettroniche), linstallazione di stazioni radio base per reti di comunicazione mobili
GSM/UMTS subordinata al rilascio di apposita autorizzazione dellente locale territorialmente interessato in
quanto trattasi di opere di urbanizzazione primaria. Il rilascio di tale autorizzazione, conseguente ad una
procedura di inizio attivit ai sensi dell'articolo 87 stesso Decreto Legislativo, ha come contenuto imprescindibile
anche la verifica della compatibilit urbanistico-edilizia dellintervento e pertanto non richiesta la necessit del
distinto titolo abilitativo a fini edilizi previsto dal D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 (Testo unico delledilizia).
Lautorizzazione avr quindi un carattere unitario, con la conseguenza che il regime sanzionatorio penale rimane
quello previsto dallarticolo 44 del Testo unico delledilizia, in quanto il mutamento della disciplina per
labilitazione allintervento edilizio non incide sulla disciplina sanzionatoria penale che non correlata alla
tipologia del titolo abilitativo ma alla consistenza concreta dellintervento. Massima e sentenza sono consultabili
sul sito della Cassazione. (Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 16 settembre 2005, n. 33735:
Contravvenzioni - Edilizia - Installazione di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche mobili Titolo abilitativo - Regime sanzionatorio penale previsto dal Testo Unico dell'edilizia).
Propriet colonna d'aria
Cassazione 16 giugno 2005 n12880
L indennit di cui all'art. 1127, ultimo comma, cod. civ. si fonda sulla considerazione che, per effetto della
sopraelevazione, il proprietario dell'ultimo piano aumenta, a scapito degli altri condomini, il proprio diritto sulle
parti comuni dell'edificio che, ai sensi dell'art. 1118, comma 1, c.c., in proporzione al valore del piano o porzione
di piano che gli appartiene.
Il giudice d'appello non pu dichiarare d'ufficio la nullit di una delibera condominiale
Cassazione civile Sentenza, Sez. II, 27/06/2005, n. 13732
Al giudice precluso dichiarare la nullit delle delibere condominiali (ex art. 1421 c.c.) per motivi diversi da quelli
originariamente posti dalla parte a fondamento della relativa impugnazione (art. 112 c.p.c.).
Se violata la distanza dal confine possibile la comunione del muro
Cassazione Sezioni Unite Civili 11489/2002
Se la casa non rispetta la distanza dal confine il vicino pu chiedere la comunione del muro. Il principio stato
affermato dalle Sezioni Unite Civili che hanno fornito l'orientamento ufficiale in materia di rapporti di vicinato. La
Suprema Corte ha anche chiarito che l'esercizio della facolt del vicino di chiedere la comunione forzosa del
muro non situato sul confine, allo scopo di costruire sul muro stesso, non inpedito dal fatto che sul muro che si
vuole rendere comune risultino aperte alcune vedute.
Le modificazioni apportate da uno dei condomini agli infissi delle
finestre del proprio appartamento in assenza della preventiva autorizzazione
dell'assemblea condominiale prevista dal regolamento di condominio, valgono
a far qualificare presuntivamente dette opere come abusive e pregiudizievoli
al decoro architettonico della facciata dell'edificio ed a configurare l'
interesse processuale del singolo condomino che agisca in giudizio a tutela
della cosa comune. N tale interesse pu ritenersi escluso per la
possibilit di una postuma convalida da parte dell'assemblea, perch
l'esercizio del potere di azione non pu trovare ostacolo nella aleatoria
evenienza di una successiva convalida da parte dell'assemblea - Cass.
9-6-1988, n. 3927.
Antenna televisiva: i limiti al diritto di installazione sulla propriet condominiale Cassazione , sez. II civile,
sentenza 06.05.2005 n 9393 Il diritto del singolo condomino di installare l'antenna di ricezione televisiva sulla
propriet comune o esclusiva di altri condomini deve intendersi condizionato alla impossibilit per l'utente dei
servizi radiotelevisivi di utilizzare spazi propri. Lo ha stabilito dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n.
9393 del 6 maggio 2005, accogliendo la domanda del proprietario di un appartamento condominiale che
chiedeva la rimozione dell'antenna collocata sulla sua propriet da un condomino, il quale aveva possono
ricevere i segnali televisivi apponendo l'impinato sul proprio terrazzo.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=9433

Il Ministero delle Attivit Produttive con circolare n. 554611 del 4 luglio 2003 ha chiarito alle Camere di
Commercio che non sussiste incompatibilit fra attivit di mediazione immobiliare e di amministrazione di
condominio.
In particolare, poich lart. 18 della legge 5/3/2001, n. 57 ha fissato lincompatibilit con lattivit svolta in qualit
di dipendente da persone, societ o enti privati e pubblici, nonch con lesercizio di attivit imprenditoriali e
professionali comunque esercitate, il Ministero ha evidenziato che tra lamministratore e il condominio non
si determina un rapporto di lavoro dipendente ma un contratto inquadrato nello schema del mandato;
parimenti deve escludersi la configurazione di unattivit professionale assimilabile a quelle disciplinate dal
nostro ordinamento giuridico (art. 2229 e seg. c.c.)
Locazione: stato locativo e piccole riparazioni dell'immobile
Sentenza n. 14305 del 7 luglio 2005
Nel contratto di locazione, il conduttore, presumendosi che abbia ricevuto limmobile in buono stato locativo, deve
dare, per vincere tale presunzione, una prova rigorosa della protratta incuria del locatore, relativa sia alla ordinaria che
alla straordinaria manutenzione.
In materia di locazione di immobili urbani, il conduttore tenuto solo alle piccole riparazioni mentre lobbligo di
manutenzione, sia ordinaria che straordinaria, grava sul locatore, che non pu pretendere dal conduttore il rimborso
delle spese sostenute per la riparazione delle parti di immobile logorate dal normale uso, se non ne prova un uso
scorretto da parte del conduttore stesso.
Foro competente nella cause tra condomini e amministratori
Cassazione civile Sentenza 24/06/2005, n. 13640)
Un condominio ha agito in giudizio contro lamministratore del condominio per la restituzione delle somme da lui
pagate per la realizzazione di lavori di riparazione mai eseguiti.
Lamministratore ha proposto opposizione sollevando leccezione di incompetenza territoriale e sostenendo che nel
caso in esame, trattandosi di controversia relativa alla riscossione di contributi condominiali, avrebbe dovuto trovare
applicazione lart. 23 c.p.c., che prevede per le cause tra condomini il foro speciale esclusivo del luogo in cui si
trovano i beni comuni o la maggior parte di essi.
La Corte di cassazione ha accolto lopposizione, ribadendo lorientamento giurisprudenziale.
Cassazione n. 3968 del 7/5/97
(...) quando il lavori di manutenzione o ricostruzione delle scale importino il rafforzamento delle murature, con indiretto
vantaggio dei proprietari specificatamente interessati, la ripartizione delle spese deve avvenire in base alla regola
posta dall'art. 1124, salvo che oggetto dei lavori siano non il vano scale nel suo complesso, ma solo le murature
costituenti le pareti perimetrali delle unit immobiliari prospicenti il vano scale, poich in tale ultimo caso la ripartizione
delle spese va effettuata mediante l'applicazione, opportunamente coordinata, dei criteri fissati dall'art. 1123 II comma.
Il diritto di credito per anticipazioni, effettuate nel corso della sua gestione dall'amministratore per conto del
condominio, ha natura di credito di valuta. Pertanto, all'amministratore cessato dall'incarico, il quale chieda il rimborso
delle spese suddette, non spetta una somma a titolo di rivalutazione monetaria (Trib. Roma 25 ottobre 1997).
Il Sole 24 Ore - L'Esperto Risponde del 29 dicembre 2002 n. 98

Paolo Giuggioli

Revocato: il compenso e' ridotto A met giugno 2002 si svolta l'assemblea ordinaria del condominio nella
quale sono stato nominato amministratore (a titolo gratuito in quanto condomino). Il passaggio di consegne (conteggi,
incartamenti, eccetera) non ancora stato effettuato per impegni dell'amministratore precedente. Il compenso del
precedente amministratore dovuto sino alla data dell'assemblea, o sino all'effettivo passaggio delle consegne? Il
vecchio amministratore pu disporre il pagamento di un suo compenso (a mezzo bonifico) sul conto corrente
condominiale in un momento successivo (un mese) all'assemblea che lo ha fatto decadere? [151020] Lettera Firmata
- PRAVISDOMINI
Risposta: L'amministratore condominiale, revocato anticipatamente
dall'assemblea, non ha diritto al pagamento dell'intero compenso stabilito per la normale durata dell'incarico, ma alla
minor somma equiparata in proporzione al tempo di effettiva durata del mandato. Il mandato si presume cessato al
momento della assemblea di revoca che, peraltro, determina anche il momento in cui l'amministratore uscente deve
provvedere all'immediato passaggio delle consegne. Quanto all'ultimo quesito, salvo diversi accordi con i condomini si
deve escludere che l'amministratore uscente possa ulteriormente utilizzare il conto corrente condominiale.
Sez.II civile sentenza n. 22234 del 25 novembre 2004 In caso di conflitto di interessi tra un condomino e il
condominio, qualora il condomino confliggente sia stato delegato ad esprimere il voto da un altro condomino, la
situazione di conflitto che lo riguardi non estensibile automaticamente e aprioristicamente al rappresentato ma il
conflitto si pu presentare soltanto quando si accerta in concreto che il delegante non era a conoscenza di tale
situazione, dovendosi, in caso contrario presumere che il delegante, nel conferire il mandato, abbia valutato anche il
proprio interesse, non tanto quello personale ma in quanto componente della collettivit e l'abbia ritenuto conforme,
comunque, a quello portato dal delegato
Sez.II civile sentenza n. 21901 del 19 novembre 2004 Nella ipotesi di costruzioni eseguite da un condomino sul
suolo comune non trovano applicazione, in presenza della disciplina speciale dettata in tema di comunione, le norme
relative all'accessione, costituendo innovazione della cosa comune una modificazione della forma o della sostanza del
bene che abbia l'effetto di alterarne in maniera determinante la consistenza materiale e la destinazione
originariamente prevista. In questo senso stato deciso il caso specifico: la realizzazione da parte di un

comproprietario di un'ulteriore rampa di una scala comune e di un torrino su di un solaio egualmente comune
conseguentemente idonea sia a comportare l'appropriazione da parte sua del vano occupato dalla nuova rampa e
della superfice del torrino con l'effetto della definitiva sottrazione di questi all'uso degli altri condomini, e sia ad
apportare modifiche strutturali alla scala ed al solaio nella loro primitiva configurazione ed il loro assoggettamento ad
un uso, non solo di natura comunque pi intensa, ma del tutto estraneo a quello originario. Nel caso in esame la Corte
ha dato torto alla parte che aveva costruito le opere.
Sez.II civile sentenza n. 21902 del 19 novembre 2004 L'art. 1102 Cc consente al proprietario l'utilizzazione della
cosa comune anche in modo particolare e pi intenso ma ponendo il divieto di alterare la destinazione della cosa e di
impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto, esclude che l'utilizzo del singolo possa
risolversi in una compressione quantitativa o qualitativa di quello, attuale e potenziale, di tutti i comproprietari. Un
locale adibito a gabinetto non pu, pertanto, essere utilizzato da uno dei partecipanti alla comunione anche per uso di
decenza degli avventori di un bar aperto in un locale di sua propriet esclusiva, giacch tale uso, pur non essendo
idoneo all'asservimento del bene, da un lato, modifica la naturale destinazione del gabinettoa essere utilizzato dai soli
comproprietari e, dall'altro, altera il rapporto di equilibrio tra i diritti concorrenti dei singoli comunisti.
Sez. II civile sentenza n. 18358 del 13 settembre 2004 Negli edifici in condominio le scale, con i relativi
pianerottoli, costituiscono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato e rientrano, pertanto, fra le parti di questo
che, in assenza di titolo contrario, devono presumersi comuni, nella loro interezza, e anche se poste concretamente al
servizio soltanto di taluni porzioni dello stabile, a tutti i partecipanti alla collettivit condominiale in virt del dettato
dell'articolo 1117 n.1 Cc.
Cass. Civ. sez II ordinanza del 7 giugno 2004 n. 10805 - controversia in materia di quote condominiali - valore
della lite - riferibilit al complesso della spesa deliberato. Nella controversia promossa da un condomino nei
confronti del condominio al fine di sentir dichiarare l'inesistenza dell'obbligo di pagare la propria quota di spese,
deliberata in via generale per tutti i condomini, sull'assunto dell'invalidit della deliberazione assembleare, la
contestazione deve intendersi necessariamente estesa all'invalidit dell'intero rapporto, il cui complessivo valore
quello rilevante ai fini della determinazione della competenza, atteso che il thema decidendum finisce per riguardare
non il solo obbligo del singolo ma l'intera spesa oggetto della deliberazione la cui validit non pu formare oggetto di
riscontro in via meramente incidentale.
Corte d'Appello di Roma sez.II sentenza del 4 giugno 2002 n. 2162 che definisce parziaria e non solidale
l'obbligazione di ciascun condomino per obbligazioni assunte dal Condominio verso terzi
Con questa
sentenza la Corte d'Appello di Roma sembra innovare rispetto ad una pi che decennale giurisprudenza che
applicava ai singoli condomini, rispetto alle obbligazioni assunte dal Condominio nei confronti di terzi, il principio di cui
all'articolo 1294 c.c. Infatti la Corte sostiene che in forza del disposto di cui agli articolo 1118 e 11223 c.c.
l'obbligazione di ciascun condomino per debiti di natura condominiale verso terzi ha natura parziaria e non solidale.
Da ci deriverebbe, fatta salva un'approfondita lettura della intera sentenza, che i creditori del condominio non
potranno pi agire per l'intero credito nei confronti di uno o pi condomini ma pretendere, sempre ai sensi dell'articolo
1294 c.c., il pagamento della loro quota di debito rapportata alla misura della loro quota di propriet. La natura
parziaria e non solidale dell'obbligazione di ciascun condomino per le obbligazioni assunte dal Condominio verso terzi
emerge dall'applicabilit anche nei confronti di questi ultimi delle disposizioni contenute negli articoli 1118 1123 c.c. in
tema rispettivamente di misura del diritto dei singoli sulle cose comuni e criterio di ripartizione delle spese. Va,
comunque, precisato che la Corte di Cassazione in una recente pronuncia ha ribadito il principio in forza del quale i
condomini sono legati da un vincolo di solidariet passiva ai sensi dell'articolo 1294 C.c.( sez.II 23 02 1999 n. 1510).
Il condomino pu essere escusso per l'intero debito del condominio da parte di un terzo nei cui confronti condebitore
solidale, indipendentemente dall'adempimento del suo obbligo nei confronti del condominio, ed ha diritto di regresso
nei confronti degli altri condomini limitatamente alla quota millesimale dovuta da ciascuno di essi, mentre la morosit
di taluno di essi verso il condominio pu dar luogo alla domanda di risarcimento per i maggiori, conseguenti esborsi.
Contraria : Cassazione Civile sez. II 27 09 1996 con nota di Vincenzo Colonna ( F.I. 1997 I 872 )..
Obbligazioni verso l'appaltatore: obbligazione solidale
Sentenza n. 17563 del 31 agosto 2005
Costituisce obbligazione solidale di tutti i condomini, a norma dell'art. 1294, c.c, quella del pagamento del corrispettivo
di un appalto, per far eseguire lavori nello stabile comune, da loro congiuntamente conferito.
Il patto con cui i condomini si ripartiscono la spesa secondo i millesimi o in base ad altri criteri ha rilevanza solo interna
e non pu essere opposto allappaltatore che, anche se condomino, pu rivolgersi verso uno solo dei condomini per il
pagamento dellintero credito.
Preliminare di vendita: si pagano le spese sostenute se dopo il compromesso non viene fatto latto di vendita
della casa Cassazione civile Sentenza, Sez. II, 31/08/2005, n. 17562
Il caso riguarda una coppia che aveva
stipulato un compromesso per acquistare una casa in costruzione prevedendo di pagare parte del prezzo attraverso la
permuta di un proprio immobile. I lavori di costruzione si erano protratti e la coppia aveva citato in giudizio il
costruttore, il quale a sua volta imputava varie responsabilit agli acquirenti. Il primo giudice interpellato aveva
escluso che le parti dovessero corrispondere somme per danni, ma la Cassazione ha ribaltato la decisione stabilendo
che tra i pregiudizi patrimoniali, suscettibili di risarcimento, subiti dalla parte non adempiente per effetto della
risoluzione del contratto conseguente ad inadempimento della controparte rientrano anche le spese affrontate in vista
del proprio inadempimento e, specificamente, nelle ipotesi di preliminare di vendita che preveda il trasferimento di una
cosa determinata, gli esborsi diretti alla realizzazione di quest'ultima o comunque finalizzati a renderla conforme

all'oggetto delle pattuizioni. Nel caso in questione la coppia dovr pagare le spese sostenute dal costruttore per
adattare limmobile in costruzione alle richieste del promesso acquirente che poi non ha pi comprato.
Mutui prima casa: gli oneri accessori per il calcolo degli interessi passivi detraibili
In caso di mutuo
eccedente il costo sostenuto per lacquisto dellimmobile da adire ad abitazione principale, lagevolazione riferita alla
detrazione del 19% deve essere limitata all' ammontare del predetto costo, risultante dalla sommatoria del valore
dell'immobile indicato nel rogito, nonch degli altri oneri accessori, debitamente documentati, connessi con
l'operazione di acquisto. La detrazione degli oneri accessori degli interessi passivi deve essere fruita nellanno in cui
essi sono sostenuti. Pertanto, qualora l'importo delle detrazioni sia superiore all'imposta lorda dovuta o al limite
fissato dalle singole norme, l'eccedenza non potr essere riportata in detrazione negli esercizi successivi e, quindi,
non potr assumere rilevanza in periodi d'imposta diversi da quelli in cui l'onere stato effettivamente sostenuto.
Costruzione di manufatti nel cortile condominiale
Corte di cassazione n. 3098/2005
La costruzione di manufatti nel cortile condominiale consentita al singolo condomino solo se non alteri la normale
destinazione di quel bene, non anche, pertanto, quando si traduca in corpi di fabbrica aggettanti (nella specie,
ballatoio), con incorporazione di una parte della colonna daria sovrastante ed utilizzazione della stessa ai fini
esclusivi.
Recepita anche in Italia la norma EN 81-80 sulla sicurezza negli ascensori
Il Ministro delle attivit Produttive ha firmato un decreto ministeriale che recepisce nellordinamento la norma di buona
tecnica europea EN 81-80, relativa al miglioramento della sicurezza degli ascensori esistenti.
La nuova normativa:
cataloga pericoli e situazioni pericolose, analizzati secondo una valutazione del rischio; ha lo scopo di fornire azioni
correttive che migliorino progressivamente e selettivamente la sicurezza di tutti gli ascensori esistenti, sia per il
trasporto di persone che di merci, nella direzione dello stato dell'arte rispetto alla sicurezza; consente che ogni
ascensore venga verificato e vengano identificate e attuate in modo selettivo e graduale tutte le misure di sicurezza,
valutando la frequenza e la gravit di ogni singolo rischio; elenca i rischi di livello alto, medio e basso e le azioni
correttive che possono essere applicate in diverse fasi per la loro eliminazione.
Quindi la nuova normativa imporr ladeguamento, se non lintegrale sostituzione, di pi della met del parco impianti
funzionanti in Italia: circa 450.000 ascensori la cui sicurezza non in linea con quanto richiesto a livello europeo.
Multa per chi utilizza condizionatori rumorosi in un condominio Vietati i condizionatori rumorosi nei
condomini Rischia una multa per disturbo alla quiete chi utilizza condizionatori rumorosi in un condominio.
La Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha definitivamente condannato a pagare una multa di 300
euro il proprietario di un impianto di condizionamento daria particolarmente rumoroso che aveva arrecato
disturbo ai vicini nelle ore diurne e notturne, precisando che l'uso, anche notturno, di un impianto di
condizionamento rumoroso fa scattare la multa anche qualora manchi la prova che il disturbo sia stato avvertito
da pi condomini, essendo sufficiente che ''il rumore sia stato avvertito fastidiosamente da un numero
imprecisato di vicini di casa''
Assegnazione della casa coniugale: a chi spettano le spese condominiali e l'ICI
Cassazione , sez. I
civile, sentenza 19.09.2005 n 18476 In tema di separazione personale, le spese condominiali della casa
coniugale gravano sul coniuge assegnatario, poich il provvedimento giudiziale di assegnazione riveste natura
di diritto personale di godimento e non di diritto reale. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n.
18476 del 19 settembre 2005, precisando che l'assegnazione della casa coniugale esonera il coniuge
assegnatario esclusivamente dal pagamento del canone per l'uso dell'abitazione, ma non si estende alle spese
correlate all'uso, che quindi sono a suo carico, salvo una diversa ed esplicita previsione del giudice in sede di
assegnazione. La Suprema Corte ribadisce invece che l'imposta comunale sugli immobili (ICI) spetta sempre
al proprietario dell'immobile, ovvero al titolare di altro diritto reale.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=2767
Immobili vincolati per pregio storico architettonico ed interventi ammessi Consiglio di Stato , sez. VI,
sentenza 09.09.2005 n 4668 Non possono qualificarsi strettamente manutentivi (ovvero diretti al suo
consolidamento o restauro conservativo) i lavori eseguiti su di una costruzione preesistente attraverso i quali,
previa integrale demolizione delle strutture in atto, si perviene un manufatto del tutto nuovo per consistenza e
materiali utilizzati, non riconducibile in quello gi esistente. La prevalenza nellintervento edilizio autorizzato del
momento trasformativo ed innovativo ne determina la riconduzione nellambito dei lavori di "ristrutturazione
edilizia" che non sono compresi fra quelli consentiti nelle aree oggetto di vincolo di inedificabilit fino alladozione
del piano paesistico territoriale. E' quanto stabilito dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4668 del 9
settembre 2005, pronunciandosi in merito alla qualificazione giuridica da attribuire ad un intervento edilizio
eseguito su un immobile di pregio storico-architettonico. In particolare, i lavori edilizi consistevano nella
realizzazione di un porticato con solaio in sostituzione di una preesistente tettoia in lamiera zincata sostenuta da
pilastrini in ferro, ai quali i giudici di Palazzo Spada hanno motivatamente attribuito la qualificazione di
ristrutturazione edilizia, accogliendo lappello del ricorrente Ministero dei Beni e delle Attivit Culturali e dunque
(ribaltando la pronuncia del T.A.R. Campania, adito in primo grado) annullando il provvedimento autorizzativo
rilasciato dallamministrazione locale.
L'erede di un immobile in condominio legittimato ad intervenire alle assemblee condominiali

Sentenza n. 14065 del 1 luglio 2005


Ove un immobile in condominio faccia parte di un'eredit non ancora accettata, il chiamato legittimato ad intervenire
alle assemblee condominiali, mentre nessuna incombenza volta a provocare la nomina di un curatore dell'eredit
giacente configurabile in capo all'amministratore del condominio, che ha invece l'obbligo di convocare all'assemblea
tale curatore ove il medesimo sia stato nominato, e di tale nomina abbia avuto notizia.
Concessione edilizia: il titolo autorizzativo rimane valido se si accerta la sussistenza di un "serio intento
costruttivo"
TAR Puglia-Lecce, sentenza 01.07.2005 n 3565
Ci che impedisce il verificarsi della decadenza della concessione edilizia la sussistenza di quel serio intento
costruttivo che giustifichi il permanere del titolo, come sarebbe nel caso di un processo costruttivo di
modificazione edilizia iniziato ed irreversibile. infatti proprio il carattere di irreversibilit delle attivit di
trasformazione edilizia (nel caso di specie, demolizioni nella struttura preesistente) compiute ad evidenziare la
presenza di quel serio intento costruttivo che esclude loperativit dellistituto della decadenza della concessione
edilizia.
DIA - lavori di ristrutturazione o di nuova costruzione senza denuncia di inizio attivit
Corte di Cassazione 12 gennaio 2005 n. 217
Nel caso si effettuino lavori di ristrutturazione o di nuova costruzione senza denuncia di inizio attivit o in difformit da
essa si applicheranno le stesse sanzioni previste nel caso in cui vengano realizzate opere in assenza di permesso di
costruire. I giudici della Cassazione fanno riferimento in particolare al testo unico edilizia (dpr 380/2001) artt. 22 e 44.
Vietata l'installazione di una zanzariera sul balcone se altera il decoro architettonico dell'edificio. Cass.
sez. II civile, sentenza n. 8883 del 29 aprile 2005
In materia di condominio di edifici, le norme del regolamento di natura contrattuale possono prevedere limitazioni
ai diritti dei condomini, nell'interesse comune, sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo al contenuto del
diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva propriet.(vedi "ex multis", Cass. 6.10.1999 n. 11121; Cass.
16.10.1999 n. 11692; Cass 25.10.2001 n. 13164; Cass. 7.1.2004 n. 23) Ne consegue che valida la delibera
condominiale che vieti ad un condomino l'installazione sul balcone di sua propriet esclusiva di una zanzariera
che, per le sue caratteristiche (nel caso, formata da telaio in alluminio installato lungo il perimetro esterno del
balcone dell'appartamento) risulti immediatamente visibile dall'esterno, e lesiva del decoro architettonico
dell'edificio. Infatti stato ritenuto dalla Corte che l'amministratore di Condominio legittimato a far valere in
giudizio le norme del regolamento condominiale, anche se si tratta di clausole che disciplinano l'uso delle parti
del fabbricato di propriet esclusiva, allorch siano rivolte a tutelare l'interesse generale al decoro, alla
tranquillit ed alla abitabilit dell'intero edificio (Cass. 23.10.1990 n. 10288; Cass. 6.8.1999 n. 8486).
Deliberazione assembleare - Spossessamento in danno di condomino Cass. sez. II civile, sentenza n.
14067 del 1 luglio 2005
Lo spoglio del possesso di un bene ( nel caso, cortile condominiale ) ben pu rimanere integrato dalla messa in
esecuzione da parte dell'amministratore di condominio, con la consapevolezza di agire contro la volont
espressa o presunta del possessore, di opere deliberate dall'assemblea ( nel caso, chiusura dell'accesso
mediante recinzione ed apposizione di cancello elettrico ) Infatti la norma, in virt della quale, ex art. 1137,
comma 2 dello stesso codice, il giudice possa sospendere l'esecuzione delle delibere impugnate, mira s
all'ottenimento della sospensione dell'esecuzione di una delibera assembleare, ma in tema di tutela possessoria
non rappresenta affatto l'unico rimedio a favore di chi subisca una lesione del diritto nel rapporto col bene, nel
senso cio che quella classica, prevista in generale per le azioni a tutela del possesso, non viene meno. Nel
caso in questione, anche se l'amministratore del condominio aveva agito dopo che il tribunale aveva respinto la
richiesta di inibitoria della societ resistente, la quale incoava altro giudizio dinanzi a un differente giudice, lo
spoglio si era ugualmente configurato. Di fatto il giudizio di impugnazione di delibere assembleare e quello
possessorio sono ontologicamente diversi e distinti. L'azione possessoria non era stata affatto utilizzata quale
improprio mezzo per inficiare l'operativit di una delibera assembleare, con lo scopo di aggirare lo strumento
dell'impugnazione offerto dall'art. 1137 c.c, ma per ripristinare una situazione di fatto modificata dall'episodio
dello spoglio (Cfr. Cass. n.01093 del 13/2/1996).
Opposizione a decreto ingiuntivo Giudice di Pace dell'Ufficio di C/mare di Stabia, Sentenza 20
settembre 2005 Svolgimento del processo Con atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo,
l'opponente proponeva formalmente opposizione al decreto ingiuntivo n. 95/05, emesso in favore dell'opposto,
da quest'ufficio, e per crediti relativi a bollette condominiali ordinarie e straordinarie. A sostegno dell'opposizione
l'opponente addiceva di aver pagato in parte e precisamente per euro 248,46, le quote condominiali, con
assegno prodotto in copia e senza sottoscrizione, inoltre precisava di aver pagato il debito dell'antenna con
assegni che produceva in copia, di poi in sede di udienza contestava che il lavoro straordinario relativo
all'antenna non era stato oggetto di delibera approvata dall'assemblea. Si costituiva in giudizio l'opposto, il quale
faceva rilevare che le quote richieste erano state approvate regolarmente e che il verbale di approvazione del
bilancio consuntivo aveva approvato anche la spesa relativa all'antenna. Senza alcuna istruttoria se non quella
documentale la causa veniva riservata per la decisione. Motivi della decisione Nel merito l'opposizione
infondata e va rigettata. Alla luce delle argomentazioni test riportate, poich l'opposizione a decreto ingiuntivo
trasforma il procedimento per ingiunzione in un giudizio a cognizione ordinaria, nel quale il creditore opposto

riveste la qualit di attore e il debitore opponente quella di convenuto, rispetto alla pretesa creditoria, spetta al
creditore provare l'esistenza del credito (cass. civ. 4286/94), non comportando la contestazione dei fatti da parte
dell'opponente di per s ad alcuna modificazione di alcuna domanda, integrando il detto atteggiamento una
mera difesa (cass. civ. 11417/97). Delineata cos, la struttura del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, si
ricava che tale giudizio soggetto alle regole generali sulla prova dei fatti e degli atti giuridici. In tale ottica,
questo giudice ritiene di dover affermare che, ci in condivisione dell'orientamento sovrano della S.C., impera,
anche nella fattispecie de qua, quanto il nostro legislatore in astratto ha previsto con l'articolo 2697 Codice
Civile. A norma del detto dettato normativo, chiunque chieda l'attuazione della volont della legge, in relazione
ad una propria situazione attiva (diritto soggettivo o facultas agendi) sia in via d'azione, sia in via d'eccezione
deve provare il fatto da cui fa discendere il preteso diritto, e quindi ogni elemento o requisito necessario per
legge affinch lo stesso nasca, non ha come onere, in ogni caso di provare l'inesistenza delle condizioni
negative, idonee ad impedire la nascita del diritto per cui intende agire, tale prova incombe al convenuto, che nel
giudizio de quo da individuarsi nel soggetto opponente (cass. civ. 5746/81; 1304/75). Nella fattispecie de qua,
l'opponente sostiene, per quanto riguarda le quote ordinarie di aver pagato le stesse, indi non contesta il fatto
costitutivo ed il diritto del condominio ad ottenerne il pagamento, tra l'altro il diritto a dette quote provato dalla
produzione del rendiconto consuntivo approvato e del relativo piano di riparto relativamente alle quote
condominiali ordinarie resta assolto l'obbligo per il soggetto opposto di provare l'esistenza del credito, indi ai
sensi dell'articolo 2697 Codice Civile comma 2 deve essere il debitore a provare l'intervenuto pagamento. Agli
atti vi un assegno in copia, che porta la somma di euro 248,46, intestato all'opposto, ma senza alcuna
sottoscrizione, n prodotta alcuna quietanza. Il titolo di credito stato solamente compilato, ma l'emissione
nulla in quanto privo di sottoscrizione e pertanto non poteva essere negoziato dal condomino opposto e il credito
dello stesso relativo alle quote ordinarie non stato soddisfatto. Circa le quote straordinarie relative all'antenna,
il credito del condominio provato per tabulas, dal rendiconto prodotto, ove si legge che l'uscita per l'antenna
stata approvata nelle spese di gestione del condominio. Orbene, se l'amministratore ha agito per spese che
esorbitano la sua competenza, l'assemblea pu approvare le spese successivamente, trattandosi la successiva
ratifica di competenze ed attribuzioni conferite all'organo deliberante ex articolo 1135 (cass. civ. 6896/92). E'
principio consolidato in dottrina e giurisprudenza che il negozio di ratifica pu essere tacito o esplicito, e in
particolare l'assemblea dei condomini pu ratificare, con l'approvazione del rendiconto, un impegno particolare
di spesa, ancorch non autorizzato, eccedente i poteri di gestione ordinaria dell'organo esecutivo (trib. Genova
sent. n. 731/94). Il detto principio sposato e condiviso da questo giudice che ritiene che la delibera prodotta
che approva il rendiconto consuntivo, in cui si riporta la spesa de qua vale ratifica piena della stessa. Circa la
sua contrariet ad una scrittura privata, tra l'altro non prodotta, ed ai paventati vizi della delibera, questo giudice
raffigura che non proprio compito scendere nel merito, essendo il tutto attratto alla competenza del Tribunale e
che la relativa delibera di approvazione del rendiconto vincola assenti e dissenzienti finch non dichiarata nulla o
annullata dal giudice dell'impugnazione (cass. civ. 9787/1997). Agli atti non vi prova che la stessa sia stata
impugnata e che vi sia stata la sospensione dell'esecutoriet. Resta cos provata l'esistenza del credito, in
quanto alla contestazione del Caio che assume di aver pagato tale debito, con un assegno di . 1.000.000,
trattandosi di fatto estintivo, esso ai sensi dell'art. 2697 comma 2 Codice Civile doveva essere provato dallo
stesso (cass. civ. 3148/85). La produzione di una ricevuta per . 1.000.000 e senza alcuna causale e di un
assegno che costituisce titolo causalmente astratto, non convince il giudicante che essi si riferiscano al
pagamento della detta quota. Era onere del Caio, anche integrando il tutto con dichiarazioni testimoniali o
servendosi di altri mezzi di prova, fornire al magistrato elementi di convincimento delle sue eccezioni ai sensi
degli articoli 115 e 116 Codice di Procedura Civile. Anzi il comportamento dell'opponente che prima contesta il
credito e poi afferma di aver pagato, contribuiscono in uno agli altri elementi a ritenere il Caio debitore delle
somme relative alla spesa per l'installazione dell'antenna de qua. Le spese del giudizio seguono la
soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, ma per le sole attivit non dichiarate nulle e con
riduzione del 50% per essere il difensore opposto praticante avvocato. Il Giudice di Pace, definitivamente
pronunziandosi sulla domanda, ex art. 113 c.p.c. cos provvede: 1) rigetta l'opposizione e conferma il decreto
ingiuntivo opposto; 2) condanna l'opponente di cui innanzi al pagamento delle spese di giudizio che liquida in
complessivi euro 240,00 di cui 30,00 per spese, 60,00 per onorari e 150,00 per diritti, oltre il 12,5% per rimborso
a forfait ex TF, in favore del p. avv. Sicignano, che dichiara di aver anticipato le spese e non riscosso gli onorari
(somme gi ridotte del 50% per come in motivazione). 3) La presente sentenza esecutiva come per legge.
Cos deciso in C.mare di Stabia, 20.09.05 IL GIUDICE DI PACE (Avv. Antonio Iannello)
Impianti radiotelevisivi - inquinamento elettromagnetico Corte di cassazione S.U.28 ottobre 2005, n.
20994 Nel caso di impianto radiotelevisivo che trasmette a livelli di potenza superiori a quelli consentiti dalla
legge, appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario l'opposizione contro la sanzione amministrativa irrogata
per l'inquinamento elettromagnetico provocato, mentre appartiene alla giurisdizione del giudice amministrativo il
giudizio di annullamento dell'ordinanza sindacale contingibile e urgente con la quale sia stata ordinata la
riduzione della potenza di emissione dell'impianto. Segnalazione dall' Avv. Maria Martignetti
http://www.pagineprofessionisti.it/professionisti/home.asp?prof=avvocati&nick=STUDIO LEGALE
MARTIGNETTI
Sono nulle le delibere condominiali che incidono sui diritti individuali sulle cose Cass. civile Sentenza,
Sez. II, 31/10/2005, n. 21199 I balconi, devono considerarsi beni di propriet esclusiva, in quanto costituenti
appendici o prolungamenti delle unit immobiliari cui accedono e non assolventi, normalmente a funzioni
strutturali riferibili all'edificio condominiale, salvo che per i rivestimenti esterni e le parti decorative frontali (che
inserendosi nel prospetto dell'edificio contribuiscono all'estetica complessiva dello stesso). Pertanto la
manutenzione relativa ai balconi non puo' essere oggetto di deliberazioni impositive di spese da parte

dell'assemblea del condominio. Infatti sono nulle e sottratte ai termini di impugnativa di cui all'art. 1137, terzo
comma per i casi di semplice annullabilit, le delibere condominiali che incidono sui diritti individuali sulle cose;
la dichiarazione di impugnabilit, senza limiti di tempo, dell'atto presupposto inficiato da nullit si estende anche
all'atto che ne costituisce esecuzione e che da quello dipende.
Corte Costituzionale sentenza 352 del 2001 Assegnazione immobili e condomini Sentenza 352/2001
Massima numero 26597 Giudizio GIUDIZIO DI LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE
Camera di Consiglio del 26/09/2001 Decisione del 05/11/2001 Deposito del 06/11/2001 Pubblicazione in G. U.
14/11/2001 Ordinanze di rimessione 69/2001 70/2001 71/2001 Titolo SENT. 352/01 C. REGIONE
TOSCANA - EDILIZIA RESIDENZIALE PUBBLICA - ALLOGGI ASSEGNATI IN LOCAZIONE, COMPRESI IN
STABILI A REGIME CONDOMINIALE - SPESE RELATIVE A SERVIZI A RIMBORSO - VERSAMENTO
DIRETTO ALLAMMINISTRATORE E AZIONE GIUDIZIARIA PER RECUPERO NEI CONFRONTI DEGLI
ASSEGNATARI INADEMPIENTI O MOROSI - LAMENTATA INCIDENZA NELLA DISCIPLINA DEI RAPPORTI
TRA PRIVATI RISERVATA ALLA COMPETENZA DEL LEGISLATORE STATALE - NON FONDATEZZA DELLA
QUESTIONE. Testo
La previsione, in base alle leggi regionali della Toscana n. 25 del 1989 (art. 35,
comma 3) e n. 96 del 1996 (art. 32, comma 3), dellobbligo gravante sugli assegnatari in locazione di
alloggi di edilizia residenziale pubblica di pagare il costo dei servizi a rimborso direttamente al
condominio di gestione e la possibilit che questultimo agisca in giudizio nei confronti degli assegnatari
inadempienti o morosi, pur integrando la disciplina civilistica, non eccede il limite del diritto privato, in quanto
essa trova giustificazione nella stretta connessione con la materia di competenza regionale e nella finalit di
agevolare lamministrazione dellente pubblico proprietario dellalloggio, esonerandola dalla gestione dei servizi
definiti a rimborso. Daltro canto, laggravamento della posizione dellassegnatario non irragionevole, a
fronte del beneficio che egli ricava dal godimento dellalloggio assegnatogli con un canone sociale, come tale
meno gravoso, n esso contrasta con la disciplina codicistica del condominio, e non neppure incoerente
rispetto alla disciplina generale delle obbligazioni e del contratto, la quale (nella fattispecie della delegazione
cumulativa) conosce la possibilit che al terzo creditore sia assegnato un nuovo debitore. Non , pertanto,
fondata la questione di legittimit costituzionale dellart. 35, comma 3, della legge della Regione Toscana 4
maggio 1989, n. 25 e dellart. 32, comma 3, della legge della Regione Toscana 20 dicembre 1996, n. 96, in
riferimento allart. 117 Cost.
Indennit di sopraelevazione grava sul proprietario della colonna d'aria soprastante
Cassazione , sez. II civile, sentenza 16.06.2005 n 12880 In tema di condominio, l'indennit di cui all'art.
1127, ultimo comma, c.c. trova il fondamento nella considerazione che, per effetto della sopraelevazione, il
proprietario dell'ultimo piano aumenta, a scapito degli altri condomini, il proprio diritto sulle parti comuni
dell'edificio, dal momento che tali diritti, in base all'art. 1118, 1 comma, c.c., proporzionato al valore del piano
o porzione di piano che gli appartiene ed evidente che tale valore viene aumentato per effetto della
sopraelevazione. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12880 del 16 giugno 2005,
precisando che un titolo il quale dovesse attribuire al proprietario dell'ultimo piano o del lastrico di copertura la
propriet esclusiva della colonna d'aria soprastante l'edificio condominiale non idoneo, in considerazione della
impossibilit dell'oggetto, ad escludere l'obbligo di pagamento della indennit prevista per la sopraelevazione.
Delibera condominiale: deve essere adottata allunanimit linstallazione di un'antenna per telefonia
cellulare sul lastrico solare Corte dAppello di Firenze, Sezione I, ottobre 2005, n. 1470 L'installazione di
un'antenna, visibile dai luoghi circostanti, comporta alterazione del territorio avente rilievo ambientale ed
estetico, sicch, ai sensi dell'art. 1, l. 28 gennaio 1977 n. 10, essa soggetta al rilascio di concessione edilizia.
La delibera assembleare del condominio che approva l'installazione di un'antenna per telefonia cellulare sul
lastrico solare, costituisce sul lastrico comune un diritto reale di superficie ex art. 952 c.c., cosa espressamente
vietata, senza il consenso di tutti i condomini, dal comma III dellart. 1108 c.c.
La distanza delle costruzioni dai confini deve essere computata dai confini di diritto di una
determinata propriet T.A.R. Campania Salerno, Sezione II, novembre 2005, n. 2419 Nel caso in cui sia
prevista una distanza delle costruzioni dai confini, detta distanza deve essere computata con riferimento ai
confini di diritto (e cio al titolo giustificativo di una determinata propriet) e non certo a quelli di mero fatto (quali
potrebbero essere quelli ricavati dalla suddivisione del territorio in particelle catastali, o individuati sulla base di
unoccupazione sine titulo di una porzione di propriet aliena) a meno che non si tratti di possesso idoneo
determinare una usucapione.
DIA - lavori di ristrutturazione o di nuova costruzione senza denuncia di inizio attivit
Corte di Cassazione 12 gennaio 2005 n. 217
Nel caso si effettuino lavori di ristrutturazione o di nuova costruzione senza denuncia di inizio attivit o in
difformit da essa si applicheranno le stesse sanzioni previste nel caso in cui vengano realizzate opere in
assenza di permesso di costruire.
I giudici della Cassazione fanno riferimento in particolare al testo unico edilizia (dpr 380/2001) artt. 22 e 44.
Antenne condominiali riceventi del servizio di radiodiffusione: le regole tecniche
Decreto Ministero Comunicazioni 11.11.2005, G.U. 21.11.
Favorire la diffusione di impianti condominiali
centralizzati d'antenna riceventi del servizio di radiodiffusione con conseguente riduzione della molteplicit di
antenne individuali, per motivi sia estetici che funzionali. E' questo l'obiettivo del decreto 11 novembre 2005 del
Ministero delle Comunicazioni che fissa le regole tecniche degli impianti condominiali centralizzati d'antenna

riceventi del servizio di radiodiffusione, sia terrestre che satellitare.


Codice delle comunicazioni elettroniche:
http://www.altalex.com/index.php?idnot=10078
http://www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/03259dl.htm
Inadempimento del conduttore: pagamento del canone locatizio per mezzo di vaglia postali
Cass. sez. III Civ. sentenza n. 11603 del 31 maggio 2005
E' di grave inadempimento, per linosservanza dellobbligo di cui allart. 1587 n. 2 cod. civ., la persistente
corresponsione del canone locatizio per mezzo di vaglia postali, nonostante il ripetuto invito del locatore al
rispetto dell'obbligo contrattuale di pagamento, in denaro contante, nel suo domicilio.
Conflitto dinteressi. Ove tuttavia il condomino confliggente sia stato delegato all'espressione del voto
da altro condomino, la situazione di conflitto che lo riguarda non estensibile al rappresentato
aprioristicamente, ma soltanto allorch si accerti, in concreto, che il delegante non era a conoscenza di tale
situazione, dovendosi in caso contrario presumere che il delegante abbia, nel conferire il mandato, valutato
anche il proprio interesse - non personale ma in quanto componente della collettivit - e l'abbia ritenuto
conforme a quello portato dal delegato.
Cassazione civile, sez. II, 22 luglio 2002, n. 10683
Sicurezza ascensori: Le nuove regole e i termini per ladeguamento
Dm Attivit Produttive 26.10.2005 Gu 14.11.2005 Anche per i vecchi ascensori controlli di sicurezza. Ma niente
paura: non dovranno essere per forza sostituiti. Infatti, quelli installati negli edifici civili prima del 25 giugno 1999
(data di entrata in vigore in Italia della direttiva 95/16/CE) dovranno essere sottoposti ad una specifica analisi dei
rischi eventualmente presenti nell'impianto, secondo quanto stabilito dalla norma tecnica europea UNI EN
081-80. Lo stabilisce il Decreto del Ministero delle Attivit Produttive 26 ottobre 2005. A seconda di quanto
riscontrato, verranno prescritti gli interventi necessari per il loro adeguamento ed indicati i termini per gli
adempimenti in relazione alla criticit del rischio. In pratica, se limpianto verr bollato con rischio di priorit alta,
gli interventi di adeguamento dovranno avvenire al massimo entro sei mesi dallaccertamento, mentre se lindice
di rischio verr considerato di media priorit, il tempo concesso sar dai due ad i quattro anni; il periodo, invece,
per i rischi di bassa priorit aggira dai quattro ad i sei anni. Comunque, se dovessero sussistere situazioni di
grave criticit, limpianto potr essere sottoposto a fermo forzato, fino allesecuzione dei necessari interventi per
la sua messa in sicurezza. Queste analisi dovranno essere compiute da un ingegnere iscritto allAlbo, oppure da
chi ha maturato esperienza professionale nel settore degli ascensori da almeno due anni. In ogni caso chi
effettua i controlli deve avere una copertura assicurativa della responsabilit civile derivante dall'attivit
professionale, con massimale non inferiore a due milioni e cinquecentomila euro. Con la precedente normativa,
al contrario, gli ascensori di vecchia installazione non dovevano subire alcun adeguamento, purch al 25 giugno
1999 risultassero collaudati, oppure fosse stata presentata al Comune od allISPEL/Ispettorato del Lavoro
richiesta di omologazione e che il collaudo successivo fosse avvenuto entro il 24 giugno 2000. Ad attestare stato
di salute ed avvenute verifiche degli ascensori sar il libretto dimpianto che dovr essere custodito dal
proprietario dellimmobile dove collocato lo stesso. (21 novembre 2005) MINISTERO DELLE ATTIVIT
PRODUTTIVE DECRETO 26 ottobre 2005 Miglioramento della sicurezza degli impianti di ascensore
installati negli edifici civili precedentemente alla data di entrata in vigore della direttiva 95/16/CE
salvato su Fair
Spese del procedimento per la nomina e la revoca giudiziaria dell'amministratore
Cassazione , sez. II civile, sentenza n 18730 del 26/09/2005
Nei procedimenti di volontaria giurisdizione non trovano applicazione le regole di cui agli articoli 91 e seguenti
c.p.c., le quali postulano l'identificazione di una parte vittoriosa e di una parte soccombente in esito alla
definizione di un conflitto di tipo contenzioso (Cass. 2.10.1997 n. 9636 ).
In particolare quindi le evidenziate caratteristiche del procedimento ex art. 1129 c.c. di nomina o di revoca
dell'amministratore di condominio comportano la inapplicabilit delle disposizioni di cui agli articoli 91 e seguenti
c.p.c., cosicch le spese del procedimento devono rimanere a carico del soggetto che le abbia anticipate
proponendo il ricorso per la nomina o per la revoca dell'amministratore o resistendo a tale iniziativa giudiziaria
(Cass. 30.3.2001 n. 4706). I motivi della decisione, assunta dalla Corte di Cassazione nella sentenza n.
18730 del 26.09.2005, si fondano sullunico motivo proposto dal ricorrente che censura il decreto impugnato
della Corte dAppello, denunciando violazione o falsa applicazione degli articoli 91 c.p.c. e 1129 c.c., ''nella parte
in cui ha condannato lesponente al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio''. Tanto premesso, si
rendono indispensabili alcune precisazioni in merito alla nomina ed alla revoca dellamministratore. Anche uno
solo dei partecipanti al condominio, in presenza di inerzia dellassemblea o di sospetti di gravi irregolarit
dellamministratore in carica, pu proporre ricorso al tribunale del luogo dove posto ledificio condominiale,
inteso ad ottenere la nomina e/o la revoca dellamministratore; il ricorso redatto in bollo va presentato nella
cancelleria della Volontaria Giurisdizione; per quanto riguarda la revoca, il terzo comma dellarticolo 1129 del
Codice Civile dispone che ciascun condomino pu chiedere allautorit giudiziaria di revocare lincarico
allamministratore in carica, se questi si reso responsabile anche di una sola delle seguenti irregolarit :
1. omesse tempestive comunicazioni allassemblea riguardanti una citazione (od un provvedimento
amministrativo) a lui notificata, dal contenuto che esorbita dalle sue proprie attribuzioni;
2. mancata presentazione per due anni consecutivi dei conti della gestione, salvo il caso di impossibilit a
lui non imputabile;

3. ''fondati sospetti'' e non semplici congetture di gravi irregolarit nellamministrazione.


Il tribunale adito, dopo aver informato e sentito lamministratore in carica, in camera di consiglio provvede con
decreto motivato ad accogliere o respingere il ricorso e quindi svolge la funzione propria dellassemblea
condominiale, competente a deliberare tanto la nomina quanto la revoca dellamministratore; ovviamente, nel
caso di accoglimento del ricorso con la nomina dellamministratore giudiziario, di fatto revocato
lamministratore in carica. Inoltre, col decreto di nomina, il tribunale detta provvedimenti finalizzati alla tutela di
un interesse comune a tutti i condomini, nessuno escluso.
In conclusione il provvedimento de quo avente per oggetto un atto di amministrazione in sostituzione
dellassemblea competente, viene effettuato dal tribunale con decreto motivato, nellesercizio di unattivit di
volontaria giurisdizione.
utile ricordare che a norma dellart. 742 del c.p.c. : i decreti possono essere in ogni tempo modificati o
revocati .. , per cui anche lamministratore nominato dal giudice, in caso di sospetto di gravi irregolarit pu
essere revocato.
Pur prescindendo dalla tesi di produrre il ricorso senza assistenza legale, gi sostenuta dalla Cassazione con
sentenza 3 maggio 1975 n. 1701, tesi non pi prevalente nella recente giurisprudenza di merito, con la presente
nota sintende cogliere due particolari aspetti riguardanti le spese del giudizio e le finalit del provvedimento
adottato con decreto ed i suoi effetti.
Le spese del giudizio
Nel caso in esame, il tribunale aveva rigettato il ricorso e condannato il condomino al rimborso delle spese di
giudizio. Il successivo reclamo alla corte dappello subiva la stessa sorte: rigetto e condanna al pagamento delle
spese del secondo grado di giudizio. Con il ricorso alla Cassazione - ex art 111 della Costituzione- il condomino
ottiene la cassazione del decreto impugnato.
La Corte di Cassazione, col dispositivo della sentenza in esame, '' cassa senza rinvio il provvedimento
impugnato in ordine alla statuizione sulle spese processuali '' dopo aver riconosciuto fondato lunico motivo
proposto dal ricorrente conferma la sua precedente giurisprudenza (sentenze n. 9636 del 1997 e n. 4706 del
2001).
Laccoglimento del ricorso fondato esclusivamente sui seguenti principi rinvenibili nella gi citata sentenza
4706 del 2001 pronunciata dalla stessa seconda sezione:
''Il procedimento camerale di volontaria giurisdizione non pu considerarsi contenzioso in senso tecnico:
anche se listanza di nomina (o di revoca dellamministratore del condominio si innesta in un vero e proprio
contrasto tra i condomini e lamministratore, certo che il provvedimento da cui il predetto procedimento tende
(privo del carattere della definitivit) strumentale solo alla gestione della cosa comune e, quindi, alla tutela ..
dellinteresse generale e collettivo del condominio ad una corretta amministrazione e non alla tutela di interessi
particolari di alcuni condomini o dellamministratore e, anche quando si inserisce in una situazione di conflitto tra
i singoli condomini, si esaurisce in un intervento del giudice di tipo sostanzialmente amministrativo del tutto privo
dei caratteri della decisione con attitudine a produrre gli effetti del giudicato su posizioni soggettive in contrasto.
La funzione del provvedimento richiesto solo quella di evitare che il condominio sia sprovvisto di un valido
organo necessario alla sua gestione, prescindendo dalleventuale esistenza di contrasti e conflitti tra i condomini
in ordine alla concessione o al diniego di detto provvedimento che non diretto a risolvere tali contrasti e conflitti
da affrontare e superare o nella sede assembleare o in quella giurisdizionale secondo le regole ordinarie
.
Da quanto precede deriva logicamente che nei procedimenti di volontaria giurisdizione normalmente non
sussistono i presupposti richiesti per lapplicazione della norma di cui allart. 91 c.p.c. mancando, per definizione,
un provvedimento conclusivo di un procedimento contenzioso nel quale sia chiesto laccertamento di un diritto
da una parte nei confronti di unaltra da cui possa derivare una situazione di soccombenza di un soggetto
rispetto ad un altro che giustifichi la condanna alle spese. ''
Le finalit del decreto
La sentenza de qua inoltre sancisce che il provvedimento di nomina o di revoca dellamministratore di
condominio finalizzato esclusivamente alla tutela dellinteresse generale e collettivo del condominio ad una
sua corretta amministrazione.
Da tanto si evince che le attribuzioni dellamministratore nominato dallautorit giudiziaria sono quelle previste
dallart. 1130 del c.c. nonch quelle conferitegli dal tribunale nellambito dellamministrazione della cosa comune.
Pertanto lamministratore giudiziario in primo luogo deve curare leliminazione delle irregolarit della precedente
amministrazione (segnalate nel ricorso e magari recepite nel preambolo o nel testo del decreto di nomina) e
quindi curare il ripristino della correttezza e della legalit nella conduzione dellamministrazione condominiale.
Si riportano di seguito alcuni suggerimenti e le irregolarit pi ricorrenti nei casi di specie.

Il decreto di nomina dovr essere allegato al primo verbale dellassemblea, in modo da informare tutti i
condomini, compresi gli assenti allassemblea, del mandato conferito dal giudice. In particolare, qualora dai detti
atti risulti la mancata approvazione del bilancio consuntivo dellanno precedente, il nuovo amministratore dovr
redigere il detto documento contabile, in sintonia con la documentazione ricevuta dal precedente amministratore,
da presentare allassemblea per lapprovazione e per i conseguenti provvedimenti di recupero dei contributi nei
confronti dei condomini morosi e le differenze dovute a conguaglio. Grave irregolarit costituirebbe la
proposizione allassemblea del bilancio consuntivo redatto nella precedente gestione senza apportare alcuna
correzione e senza rendere disponibili i relativi documenti.
Inoltre, deve curare, con immediatezza la proposizione del bilancio preventivo per lanno in corso (o per la
restante parte dellanno, se la nomina stata conferita nellanno in corso) per la riscossione delle bollette (che
costituiscono titoli di legittimazione) relative alle quote condominiali e quindi per adire le vie legali nei confronti di
quei condomini che da tempo soffrono di allergia al versamento dei contributi.
Lamministratore giudiziario che non provvede in tal senso, incorre nelle medesime irregolarit del precedente;
irregolarit che formarono parte delloggetto del ricorso e quindi del decreto di nomina.
Come previsto al punto 3) del citato art. 1130 C.C., lamministratore responsabile e quindi risponde in proprio
della mancata riscossione dei contributi.
Inoltre, si evidenzia che lamministratore con leventuale consegna di comunicazioni contabili al portiere per il
recapito ai condomini e con lesposizione di elenchi, recanti situazioni contabili personali dei condomini o
ripartizioni di spese, in bacheche accessibili a persone estranee viola le disposizioni di legge regolanti la privacy.
Tra gli altri compiti propri dellamministratore giudiziario che subentra dopo un periodo certamente non di attenta
gestione, va ricordato: a) laggiornamento dellanagrafe condominiale, indispensabile per una corretta
convocazione dellassemblea e per una regolare ripartizione delle spese, senza peraltro chiedere ai condomini
di comunicare il titolo di propriet con dichiarazioni sostitutive di atto notorio; b) la verifica delle delibere
assembleari non eseguite; tra queste ultime potrebbe rinvenirsi quella che per realizzare un giusto addebito ai
condomini, in presenza di una eccessiva e non giustificata perdita di acqua avrebbe disposto lapplicazione di
piombi ai misuratori di consumo installati nei singoli appartamenti nonch linstallazione di contatori alle singole
montanti idriche. Il mancato eseguimento di eventuale simile delibera comporterebbe grande responsabilit
dellamministratore, in quanto non sarebbe giustificato un addebito ai condomini un importo per consumo di
acqua pari a tre volte il dovuto.
Per concludere, si ritiene che in linea di massima allamministratore vanno richiesti comportamenti propri del
buon padre di famiglia ed in particolare allamministratore nominato dal giudice anche comportamenti idonei al
ripristino della regolarit in quanto il decreto giudiziale di nomina, come di recente ha sancito la Suprema Corte
di Cassazione, ''finalizzato alla tutela dellinteresse generale e collettivo del condominio a una corretta
amministrazione''. http://www.altalex.com/index.php?idnot=10097
Cassazione 22 febbraio 1997, n. 1640 che, pur se in materia di contratto dappalto, ha cos ritenuto: <<se
lamministratore di un condominio autorizzato dallassemblea dei condomini, senza riserva di approvazione di
talune clausole, alla stipula di un contratto di appalto per provvedere alla manutenzione di parti comuni
delledificio, validamente pu pattuire, per il caso di ritardo nel pagamento del corrispettivo allappaltatore,
interessi moratori superiori al tasso legale; conseguentemente il condominio obbligato alladempimento del
debito derivante da tale clausola>>.
Il condomino del piano sottostante che agisce nei confronti del condomino del piano di sopra per il
risarcimento dei danni al suo solaio deve dimostrare, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., che essi dipendono da
fatti imputabili a quest'ultimo, altrimenti dovendosi ripartire in parti uguali le spese per la riparazione di esso, ai
sensi dell'arte. 1125 cod. ci., per la presunzione assoluta di comunione tra loro del solaio, da cui deriva altre s l'
inapplicabilit dell'art. 2051 cod. civ. diretta a tutelare i terzi danneggiati dalle cose che altri hanno in custodia,
non i comunisti tra loro. ( Cass. N 6398 del 23 giugno 1999)
Poich il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolge la funzione di copertura del
fabbricato anche se appartiene in propriet superficiaria o se attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso
con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati
all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di
manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni
stabilite dal cit. art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due
terzi, ed il titolare della propriet superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre utilit, nella misura del
terzo residuo. (Cass.SEZIONI UNITE n. 3672/97).
La disposizione dell'art. 1126 c.c, il quale regola la ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione del
lastrico solare di uso esclusivo di uno di essi, si riferisce alle riparazioni dovute a vetust e non a quelle
riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell'opera, indebitamente tollerati dal singolo
proprietario. In tale ultima ipotesi, ove trattasi di difetti suscettibili di recare danno a terzi, la responsabilit
relativa, sia in ordine alla mancata eliminazione delle cause del danno che al risarcimento, fa carico in via

esclusiva al proprietario del lastrico solare, ex. art. 2051 c.c., e non anche -sia pure in via concorrenziale- al
condominio.* Cass. civ., sez. III, 18 giugno 1998, n. 6060, Tozzi c. Suma ed altro, in Arch. loc. e cond. 1998,
685.
Ici: obbligo di versamento per l'immobile compreso nel fallimento
Cassazione civile Sentenza 24/10/2005, n. 20575
L'ICI una imposta che grava esclusivamente su determinati beni, per cui in una situazione anomala come
quella del Fallimento l'obbligo di pagamento pu sorgere solo se quel bene viene in qualche modo liquidato e si
traduce in una somma.
Il fabbricato che ricade nel fallimento non un bene escluso dallICI, n un bene esente, n un bene per il quale
si applica una disciplina derogatoria dellart. 5, D.Lgs. n. 504/1992 nella definizione dei criteri di calcolo della
base imponibile; semplicemente un bene per il quale sorge lobbligo della dichiarazione e del pagamento nel
momento in cui viene venduto: ci in quanto non pu essere configurato un obbligo di prelievo da fonti diverse
dalle somme riscosse per la vendita di quel bene.
Successioni mortis causa ripartizione dei debiti ereditari
Cass. Sez. III Civ., Sentenza n. 13953 del 30 giugno 2005
In tema di ripartizione dei debiti ereditari, l'art. 752 cod. civ. concerne solamente i rapporti tra coeredi, e non
pertanto invocabile dai creditori del de cuius, per i quali trova viceversa applicazione l'art. 754 cod. civ., in base
al quale essi possono pretendere nei confronti di ciascun coerede l'adempimento della prestazione divisibile in
misura non eccedente la rispettiva quota ereditaria, norma che, nel fare eccezione alla regola della solidariet
passiva di cui all'art. 1294 cod. civ., peraltro ai sensi degli artt. 1295 e 1394 cod. civ. anche tacitamente
derogabile dagli eredi, e in ogni caso non impedisce l'adempimento del terzo con efficacia estintiva
dell'obbligazione.
Procedimento sommario per convalida di sfratto per finita locazione
Cass., Sez. III Civ., Sentenza n. 13963 del 30 giugno 2005
Nel procedimento per convalida di sfratto, ove sia stata proposta opposizione, il termine ultimo per la
formulazione della domanda riconvenzionale da parte dellintimato si identifica con il deposito non della
comparsa di risposta, ma della successiva memoria integrativa ex art. 426 c.p.c. (contra Cass., n. 8411 del
2003).
Illegittima lordinanza con la quale si dispone la rimozione di un piccolo impianto di climatizzazione
T.A.R. SICILIA-PALERMO, SEZ. III Sentenza 26 ottobre 2005, n. 4101
Non pu parlarsi di abuso edilizio nei confronti di un'attivit consistente nellinstallazione di un condizionatore
d'aria, trattandosi di attivit di impianto di uno strumento assolutamente coerente con l'uso normale dell'immobile
(in tal senso, T.A.R. Lazio, sez. II, 13 gennaio 1984, n. 34). Ne consegue la illegittimit dellordinanza con la
quale il Comune ha disposto la rimozione di un condizionatore daria collocato sulla parete esterna di un
fabbricato.
In tal senso anche il Consiglio di Stato che, con il parere n. 2602 del 16 marzo 2005, ha sottolineato come un
piccolo impianto di climatizzazione non comporti una trasformazione urbanistica o edilizia del territorio tale da
determinarne un apprezzabile mutamento. Si tratterebbe, pertanto, di opere che non sono soggette a controllo
urbanistico e per la cui realizzazione non necessario alcun titolo abilitativo edilizio.
La Corte di Cassazione ha pi volte affermato il divieto di installare climatizzatori di grandi dimensioni perch
lesivi del decoro architettonico, inteso come linsieme di linee e strutture che caratterizzano ledificio dotandolo di
una determinata fisionomia armonica (Corte di Cassazione - civile - sent. n. 12343 del 22 agosto 2003).
Lavori condominiali e furto: non responsabile il condominio
Cassazione civile Sentenza, Sez. III,
18/10/2005, n. 20133
Non e resp. ex art. 2050 c.c., n ex art. 2051 c.c. ex art. 2043 c.c.
CITOFONI Cose e servizi comuni di edifici impianti comuni Codice civile art. 1117 Codice civile art. 1123
Nel sistema di comunicazione tra ciascun appartamento condominiale e l'esterno(citofono) possono distinguersi
parti comuni (il quadro esterno e comunque tutta la parte dell'impianto che precede la diramazione dei cavi in
direzione delle singole unit abitative) e parti di propriet esclusiva dei singoli condomini.
Da ci la necessit di distinguere, anche in sede di riparto delle spese di installazione, la parte comune da quelle
di propriet individuale: di esse, la prima ricade nel regime previsto dall'art. 1123, comma 2, c.c., mentre le
seconde gravano interamente su ciascun condomino in ragione della loro obiettiva entit. (Nella fattispecie,
quanto alle parti di propriet comune dell'impianto, il tribunale ha disposto la suddivisione delle spese
di installazione in quote
identiche, sulla considerazione che la cosa comune era, per consistenza e funzione, destinata a servire
ugualmente e indiscriminatamente le singole propriet).
Tribunale Bologna, 22 maggio 1998
SPESE E RIPARTIZIONE Cass. civ., sez. II, 23 dicembre 1992, n. 13655, Contributi e spese condominiali Criteri di ripartizione.
Il criterio di ripartizione delle spese di cui allart. 1123 c.c., con riguardo allipotesi di
cui al comma secondo, pu trovare applicazione in concrete circostanze, con riguardo a qualunque parte
comune delledificio e quindi anche alla facciata, in guisa che i condomini siano obbligati a contribuire alle spese
di manutenzione e riparazione, non in base ai valori millesimali, ma in ragione dellutilit che la cosa comune sia
obiettivamente destinata ad arrecare a ciascuna delle propriet esclusive, laddove la spesa potrebbe gravare

indistintamente su tutti i partecipanti alla comunione secondo il criterio generale di cui allart. 1104 c.c. solo se la
cosa comune in relazione alla sua consistenza ed alla sua funzione fosse destinata a servire ugualmente ed
indiscriminatamente i diversi piani o le singole propriet. (Nella specie la S.C. ha ritenuto correttamente
applicato il principio surriportato con riguardo alla ripartizione delle spese di riparazione della
pannellatura della facciata di un edificio, sul rilievo che essa assolve ad una duplice funzione, luna di
protezione verso lesterno dei balconi di propriet esclusiva dei singoli condomini e di riparo dagli agenti
atmosferici, laltra di abbellimento della facciata del fabbricato).
FACCIATA CONDOMINIALE Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 1992, n. 11509, Parti comuni delledificio
condominiale - Facciata. La domanda proposta da un condomino nei confronti di altro condomino per ottenere la
riduzione in pristino della facciata delledificio condominiale, ove comporti laccertamento del diritto del
condomino convenuto di modificare sostanzialmente la facciata delledificio in forza del proprio titolo dacquisto,
essendo destinata ad incidere sui diritti su un bene comune degli altri condomini, deve essere decisa nei
confronti di tutti, perch investe un rapporto giuridico unico ed indivisibile, con la conseguenza che deve disporsi
lintegrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini pretermessi a norma dellart. 102 c.p.c..
Regolamento contrattuale e modifica tabelle millessimali
Cass. sez. II civile, sentenza n. 17276 del 25 agosto 2005
Le tabelle millesimali allegate a regolamento condominiale contrattuale non possono essere modificate se non
con il consenso unanime di tutti i condomini ( che, sotto il profilo dell'impegno e del vincolo, equivale all'accordo
iniziale ) ovvero per atto dell'autorit giudiziaria ex art. 69 disp. att. cod. civ., che contempla i presupposti, e non
gi il "quorum" di validit, della relativa deliberazione.
Impugnazione di una deliberazione assembleare
Cass. sez. II civile, sentenza n. 17276 del 25 agosto 2005
Oltre che in relazione al corretto svolgimento dei rapporti condominiali nel rispetto delle regole, l'interesse del
condomino ad agire per la rimozione di una deliberazione assembleare contraria alla legge o al regolamento di
condominio si sostanzia nello stesso accertamento dei vizi di cui la medesima affetta.
Vicino rumoroso? anche un solo inquilino pu farlo condannare
Cass. Sez. I penale, sentenza n 41478
L'inquilino rumoroso che se ne infischia dei "richiami bonari" del dirimpettaio la cui quiete viene turbata, pu
essere condannato penalmente anche se la lamentela partita da un solo condomino. La rivoluzionaria
sentenza riguarda il caso di un salernitano, che era solito fare con i suoi cani "un gioco induttivo del loro
frequente abbaio" e suonare uno strumento elettrico anche a tarda ora.
La Prima sezione penale ha convalidato la condanna del condomino anche in ragione della "indifferenza"
dell'inquilino rumoroso" a qualsivoglia bonario richiamo", sottolineando "l'irrilevanza della mancata proposizione
di doglianza da parte di altri condomini".
Sicch, "pur quando dell'evento di disturbo si sia lamentata anche solo una persona, ben pu ravvisarsi il reato
di disturbo allorch i rumori abbiano determinato oggettivamente, in ragione della loro potenzialit diffusiva, una
situazione tale da poter recare disturbo ad una pluralit di soggetti".
Per questo motivo, invano stato il ricorso dell'inquilino rumoroso (gi multato dal Tribunale di Salerno per il
reato previsto dall'art. 659 c.c.) in Cassazione facendo notare che il "maggioritario indirizzo giurisprudenziale"
prevede che in tema di disturbo del riposo e delle occupazioni delle persone, il disturbo deve essere segnalato
da una "pluralita' di persone" altrimenti si resta nell'illecito civile.
Mantenimento figlio
La Cassazione ha ripercorso il proprio orientamento consolidato secondo cui il
mantenimento del figlio maggiorenne convivente da escludere quando quest'ultimo, ancorch allo stato non
autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare un'attivit lavorativa, cos dimostrando il
raggiungimento di una adeguata capacit e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di
mantenimento ad opera del genitore. La Cassazione ha pertanto confermato la sentenza della Corte d'appello,
ribadendo, con particolare riguardo al caso sottoposto alla propria attenzione, che "Non pu avere rilievo il
sopravvento di circostanze ulteriori, come, ad esempio, l'abbandono dell'attivit lavorativa da parte del figlio, o la
negativit dell'andamento dell'attivit, che, se pure determinano l'effetto di renderlo privo di sostentamento
economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano gi venuti meno, nel
senso esattamente che il fondamento del diritto del coniuge convivente a percepire l'assegno de quo risiede,
oltre che nell'elemento oggettivo della convivenza (il quale lascia presumere il perdurare dell'onere del
mantenimento), nel dovere dell'altro coniuge di assicurare al figlio un'istruzione ed una formulazione
professionale rapportate alle capacit di quest'ultimo (oltrech alle condizioni economiche e sociali dei genitori),
cos da consentire al medesimo una propria autonomia economica, onde tale dovere cessa con l'inizio appunto
dell'attivit lavorativa da parte di quello". (Cassazione - Sezione Prima Civile, Sentenza 2 dicembre 2005,
n.26259).
Nel caso di coesistenza del processo esecutivo promosso sulla base di un decreto ingiuntivo provvisoriamente
esecutivo, del giudizio d'opposizione a decreto ingiuntivo e del giudizio d'opposizione all'esecuzione, nel
momento in cui il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo ha sospeso la provvisoria esecuzione del decreto
si concretizza l'ipotesi della sospensione dell'esecuzione disposta dal giudice dinanzi al quale e' impugnato il
titolo esecutivo, a norma dell'art. 623, c.p.c., seconda ipotesi, con conseguente impedimento della prosecuzione
del processo esecutivo, che non puo' essere riattivato fino a che, in dipendenza del giudizio d'opposizione a

decreto ingiuntivo, il titolo non abbia riacquistato con il rigetto dell'opposizione la sua efficacia esecutiva a norma
dell'art. 653 c.p.c.
E' questo il principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 8217 depositata il 29 aprile
2004.
Limti al diritto di installazione dell'antenna televisiva sulla propriet condominiale
Cassazione , sez. II civile, sentenza 06.05.2005 n 9393
Il diritto del singolo condomino di installare l'antenna di ricezione televisiva sulla propriet comune o esclusiva di
altri condomini deve intendersi condizionato alla impossibilit per l'utente dei servizi radiotelevisivi di utilizzare
spazi propri.
Rappresentanza giudiziale del condominio
Cass. Sezione Seconda Civile, Sentenza n. 16983 del 18 agosto 2005
La delibera condominiale con la quale si autorizza l'amministratore a promuovere un giudizio vale per tutti i gradi
dello stesso, con implicito conferimento della facolt di proporre impugnazione.
Presunzione di propriet comune dell'appartamento adibito ad alloggio del portiere
Cassazione civile sez. III, 27/03/2001, n.4435
Le parti dell'edificio condominiale (in questo caso locali per la portineria e per l'alloggio del portiere ecc.) indicate
nell'art. 1117, n. 2, c.c. - che al pari di quelle indicate ai nn. 1 e 3 dello stesso articolo sono oggetto di propriet
comune se il contrario non risulta dal titolo - sono anche suscettibili, a differenza delle parti dell'edificio di cui ai
citati n. 1 e n. 3 di utilizzazione individuale in quanto la loro destinazione al servizio collettivo dei condomini non
si pone in termini di assoluta necessit.
Pertanto, in relazione ad esse occorre accertare nei singoli casi se l'atto che le sottrae alla presunzione di
propriet comune contenga anche la risoluzione o il mantenimento del vincolo di destinazione derivante dalla
loro natura, configurandosi nel secondo caso l'esistenza di un vincolo obbligatorio propter rem fondato su una
limitazione del diritto del proprietario e suscettibile di trasmissione in favore dei successivi acquirenti dei singoli
appartamenti anche in mancanza di trascrizione
Condono fiscale: non applicabile se l'atto riguarda la valutazione automatica di immobili
Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Sentenza n. 12147 del 02/07/2004
Con riferimento al condono fiscale di cui allarticolo 16 della legge n. 289/2002 ("definizione delle liti pendenti"),
la sospensione del giudizio va esclusa nel caso in cui la controversia tributaria riguardi la richiesta di valutazione
automatica di alcuni cespiti da parte del contribuente e non rilevi alcun atto impositivo, per essere le imposte
liquidate senza lesercizio di alcun potere discrezionale dellAmministrazione finanziaria, in base allapplicazione
di parametri predeterminati e non siano irrogate sanzioni.
In tema di condominio di edifici il principio di proporzionalit tra le spese ed uso di cui al secondo comma
dell'articolo 1123 del codice civile, secondo cui le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni
dell'edificio sono ripartite, qualora si tratti di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, in
proporzione dell'uso che ciascuno pu farne, esclude che le spese relative alla cosa che in nessun
modo, per ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, pu servire ad uno o pi condomini
possano essere poste anche a carico di quest'ultimi. Lo stesso principio ribadito dalla giurisprudenza di
legittimit nelle sentenze n. 6359/1996 e n. 5458/1986 della Corte di Cassazione. Corte di Cassazione in
sentenza n. 7077 del 22.06.1995
In tema di oneri condominiali, la funzione ed il fondamento delle spese occorrenti per la conservazione
dellimmobile si distinguono dalle esigenze che presiedono alle spese per il godimento dello stesso, come dato
evincere, in via di principio generale, dal disposto dellart.1104 c.c.dettato in tema di comunione, e, sub specie
dei rapporti di condominio, dalla norma di cui allart.1123 stesso codice, aumenta della quale i contributi per la
conservazione del bene sono dovuti in ragione della appartenenza e si dividono in proporzione alle quote
(indipendentemente dal vantaggi soggetti- v espress dalla destinazione delle parti comuni a servire in misura
diversa i singoli piani porzioni di piano), mentre le spese d uso (che traggono origine dal godimento soggettivo e
personale)si suddividono in proporzione alla concreta misura di esso, indipendentemente dalla misura
proporzionale dellappartenenza (e possono, conseguentemente, mutare, del tutto legittimamente, in modo
affatto autonomo rispetto al valore della quota.Ne consegue, con particolare riguardo alla norma di cui
allart.1123 terzo comma c.c., che il criterio di ripartizione di spese ivi disciplinato (a differenza di quanto
previsto, in linea generale, nel precedente secondo comma del medesimo articolo)deve ritenersi applicabile alle
ipotesi di condominio cosiddetto parziale (risultando, in caso contrario, la norma in parola una inutile ripetizione
di quella che la precede), cos che, qualora le cose, gli impianti ed i servizi comuni siano destinati a
servire una parte soltanto del fabbricato, lart.1123 terzo comma, nellambito della pi vasta
compartecipazione, identifica precipuamente i soggetti obbligati a concorrere alle spese di
conservazione, individuandoli nei condomini cui il condominio attribuito per legge ai sensi
dellart.1117 c.c.(salva diversa attribuzione per titolo). Cass.civ., sez.II, 19 giugno 2000, n.8292
E' nulla la delibera assembleare con la quale siano state addebitate ad un condomino, in proporzione della
quota millesimale, le spese relative al rifacimento del tetto dell'intero stabile condominiale, allorch la porzione di
immobile di sua esclusiva propriet sia staccata dallo stabile predetto e non usufruisca alcun beneficio con la
riparazione del tetto (nella specie la propriet singola di quel condomino era costituita da un magazzino, con

ingresso nel cortile, nonch da un vano cantina, separati dal corpo dell'edificio principale). (Trib. Milano, sent.
31 marzo 1966)
Il principio della proporzione fra quota di propriet e concorso nei vantaggi e nei pesi della cosa comune vige
allo stato puro nella comunione, ma insufficiente nel condominio, giacch essendo tale istituto caratterizzato
dalla consistenza di un regi- me di comunione con molteplici propriet individuali, l'intensit del godimento delle
cose ed impianti comuni da parte dei condomini pu obiettivamente risultare diversa a seconda del rapporto in
cui con quelle cose ed impianti si trova (di fatto) il bene oggetto di propriet esclusiva. Pertanto, in sede di riparto
delle spese di manutenzione del tetto, quel che veramente rileva non tanto l'appartenenza del tetto medesimo
ad alcuni o a tutti i condomini, quanto la funzione di copertura degli appartamenti, senza che con ci peraltro si
possa dire che solo i proprietari dei vani posti nella verticale sottostante alla zona da riparare siano tenuti alla
relativa spesa, poich non pu, almeno in linea generale, ammettersi una ripartizione per zone di un medesimo
tetto. (Nella specie, essendo stato accertato che trattavasi di un complesso immobiliare fabbricato in pi tempi,
con tetti posti a livelli diversi e con servizi di scale e di riscaldamento separati, stata ritenuta ineccepibile la
ripartizione della spesa di riparazione del tetto per gruppi di condomini, in conformit, del resto, al regolamento
condominiale). (Cassazione, sent. n. 1923 del 6 luglio 1973)
Nell'ipotesi di edifici distinti ed autonomi, raggruppati in un unico condominio, le spese di riparazione dei singoli
tetti debbono essere ripartite tra i soli condomini degli edifici su cui detta opera venga eseguita. Tale principio
non trova applicazione quando, per le caratteristiche strutturali e funzionari di uno dei corpi di fabbrica compresi
nel condominio, risulti che tutti i condomini siano interessati alla riparazione del relativo tetto (nella specie stato
ritenuto che tutti i condomini dovessero concorrere alle spese di riparazione del tetto del secondo corpo di
fabbrica perch in questo si trovavano un portico, un atrio ed un tratto di scala di accesso alle propriet
esclusive di tutti i condomini, oltre che vani e cantine aggregati ad appartamenti collocati in altri corpi di
fabbrica). Cassazione, sent. n. 1352 del 29 aprile 1968.
Privacy dei condomini e amministratore: riassunto
Di seguito proponiamo i principali aspetti, segnalati
dal centro studi Alac, su cui il Garante ha gi fatto conoscere il proprio avviso.
- lecito trascrivere i nomi e gli importi dei morosi nei verbali dell'assemblea condominiale (Pronuncia del 16
Luglio 2003);
- Tutti i condomini sono oggetto di un unico trattamento dati e quindi hanno il diritto a conoscere le informazioni
sull'amministrazione, sul funzionamento del condominio, e quindi anche le posizioni debitorie e creditorie dei
singoli condomini (Pronuncia del 16 luglio 2003);
- Dette posizioni debitorie dei singoli condomini non possono essere apposte in bacheca n possono apporsi in
bacheca avvisi indirizzati ai singoli condomini morosi;
- L'amministratore pu e deve fare conoscere ai condomini gli aspetti gestionali del condominio. Non deve
metterne al corrente gli estranei.
- L'amministratore non pu comunicare i numeri di telefono dei condomini ad altri condomini, perch non sono
utili alla gestione. Pu farlo ma solo previa autorizzazione degli interessati (Pronuncia del 19 maggio 2000);
- Le riprese in videosorveglianza delle aree condominiali sono possibili solo per preservare da concrete
situazioni di pericolo la sicurezza delle persone e la tutela dei beni (Provvedimento del 29 aprile 2004).
- I videocitofoni sono ammissibili come lo sono gli altri apparecchi che rilevano immagini (videocamere) o suoni
senza la registrazione. E per necessaria un'informativa per coloro che accedono allo stabile che ne devono
essere informati.
Imposta di registro sulla prima casa liquidazione
Sez. Quinta Civile, Sentenza n. 26407 del 6 dicembre 2005
La somma pretesa dallAmministrazione finanziaria, che revochi il beneficio (nella specie, per prima casa) di una
agevolazione tributaria, concesso con atto amministrativo implicito definitivo in sede di riscossione
dellimposta principale di registro, non accerta e liquida una imposta suppletiva di registro, ma una
complementare, con la conseguenza che il termine per lesercizio di tale potere triennale e va computato dalla
data della registrazione dellatto.
Obbligo del conduttore di usare il bene locato
Cass. n. 4753 del 4/3/2005
Il conduttore di immobile destinato ad uso non abitativo non ha di regola lobbligo di usare il bene locato salvo
lipotesi in cui il contratto abbia ad oggetto una cosa produttiva o un bene il cui uso sia necessario alla sua
conservazione, ovvero quanto il prolungato non uso potrebbe provocare un deprezzamento del valore di
mercato del bene locato. Nelle suddette ipotesi, come in quella in cui un determinato uso della cosa sia stato
specificamente assunto come obbligatorio tra le parti nel sinallagma contrattuale, il giudice di merito deve
valutare il non uso della cosa locata posto a base della domanda di risoluzione contrattuale, non ai sensi dellart.
80 della legge equo canone che contempla il caso di unilaterale mutamento duso dellimmobile locato, bens
alla stregua dei criteri generali in tema di inadempimento contrattuale, per stabilire se ed in che limiti questo
sussista.
MINISTERO FINANZE: SAGGIO INTERESSI PER RITARDO NEI PAGAMENTI Continua la fissazione del
Ministero delle Finanze del tasso degli interessi valevole per i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.
Il Ministero delle finanze ha comunicato, ai sensi dell'articolo 5, comma 2, del Decreto Legislativo 9 ottobre
2002, n. 231, che il saggio d'interesse applicabile per i ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali, al

netto della maggiorazione ivi prevista (7 o 9 punti percentuali), pari al 2,25% per il semestre 1 gennaio-30
giugno 2006. Ci significa che il saggio di interesse a favore del creditore nei casi di ritardo di pagamento nelle
transazioni commerciali sar del 9,25%. Ricordiamo che il decreto (e pertanto la disciplina sugli interessi di
mora) applicabile ai contratti stipulati successivamente all'8 agosto 2002. La successione degli interessi da
tale data la seguente:
08.08.2002 - 31.12.2002 tasso applicabile del 10,35 %;
01.01.2003 - 30.06.2003 tasso applicabile del 9.85 %;
01.07.2003 - 31.12.2003 tasso applicabile del 9,10 %;
01.01.2004 - 30.06.2004 tasso applicabile del 9,02 %;
01.07.2004 - 31.12.2004 tasso applicabile del 9,01 %;
01.01.2005 - 30.06.2005 tasso applicabile del 9,09 %;
01.07.2005 - 31.12.2005 tasso applicabile del 9.05 %;
01.01.2006 - 30.06.2006 tasso applicabile del 9,25 %.
(Ministero dell'Economia e delle Finanze, Comunicato: Saggio degli interessi da applicare a favore del creditore
nei casi di ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali - pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 13 gennaio
2006, n.10).
L'antitrust 'boccia' il disegno di legge: no a elenco unico amministratori condomini Autorit Garante
della Concorrenza e del Mercato, bollettino n. 51-52 del 9 gennaio 2006 Con il presente parere lAutorit
Garante della Concorrenza e del Mercato intende evidenziare, ai sensi dellarticolo 22 della legge 10 ottobre
1990, n. 287, i profili di contrasto con i principi della concorrenza e del libero mercato contenuti nel testo
unificato dei disegni di legge recanti modifiche alla normativa in materia di condominio (A.S. nn.
622-1659-1708-2587-3309). Ci si riferisce in particolare alla previsione contenuta allarticolo 19, comma 2, con la
quale viene istituito lelenco pubblico degli amministratori di condominio a cui dovranno obbligatoriamente
iscriversi tutti coloro che intendono amministrare condomini. Per effetto di tale disposizione viene quindi preclusa
lattivit di amministratore di condominio a coloro che non risultano iscritti in detto elenco. La norma pertanto,
condizionando lesercizio dellattivit di amministratore di condominio ad uniscrizione obbligatoria in un elenco
tenuto dalle Camere di Commercio, Industria e Artigianato e rafforzando tale obbligo con la previsione di un
sistema sanzionatorio nel caso di mancata iscrizione o di omessa o inesatta comunicazione dei dati richiesti,
determina uningiustificata restrizione della concorrenza. Al riguardo si osserva che lAutorit in pi occasioni (si
veda, in particolare, lindagine conoscitiva sul Settore degli ordini e collegi professionali (provvedimento n. 5400
del 3 ottobre 1997), la segnalazione del 18 dicembre 1997 (AS118 - Istituzione di nuovi ordini professionali, in
Boll. AGCM 51/1997), la segnalazione del 29 ottobre 1998 (AS153 - Disposizioni in materia di professioni
sanitarie, in Boll. AGCM 43/1999), la segnalazione del 30 ottobre 2003 (AS268 - Regolamentazione dellattivit
di insegnamento nel settore dello sport, in Boll. AGCM 44/2003), la segnalazione del 2 dicembre 2004 (AS287 Disposizioni in materia di professioni sanitarie non mediche, in Boll. AGCM 49/2004) e, da ultimo, la
segnalazione del 16 novembre 2005 (AS316 Liberalizzazione dei servizi professionali, in Boll. AGCM
45/2005), ha affermato il principio per cui lesercizio di una professione in linea generale libero e pertanto le
limitazioni poste dal legislatore allesercizio della stessa devono avere carattere eccezionale e trovare
giustificazione
BOLLETTINO N. 51-52 DEL 9 GENNAIO 2006
76
nella particolare
rilevanza dellattivit svolta. Poich le riserve di attivit si giustificano solo in presenza di comprovate esigenze
di tutela di interessi generali, risulta difficile riscontrare dette esigenze con riguardo a professioni rispetto alle
quali, fino ad oggi, non era stata avvertita la necessit di creare esclusive. In questottica, la previsione di un
elenco pubblico degli amministratori di condominio, oltre a non apparire funzionale alla tutela di interessi
generali, non appare neppure una misura proporzionata rispetto allobiettivo di sanare imperfezioni di mercato di
significativo rilievo (asimmetrie informative tra consumatore e amministratore), altrimenti suscettibili di produrre
risultati inefficienti. Lelenco infatti, non appare idoneo ad assicurare allutente-consumatore dei servizi in esame
la capacit tecnica e professionale degli amministratori iscritti. La norma infatti non attribuisce alle Camere di
Commercio il compito di promuovere la formazione degli amministratori di condominio al fine di garantirne
laggiornamento delle conoscenze, n di vigilare sui loro comportamenti. Diversamente, la tutela del
consumatore in caso di asimmetrie informative, potrebbe essere soddisfatta pi efficacemente attraverso sistemi
di certificazione di qualit basati su meccanismi diversi e meno restrittivi della concorrenza di quelli di un elenco.
LAutorit confida pertanto che, nel corso della discussione in sede parlamentare, le presenti osservazioni
possano essere tenute in adeguata considerazione.
I parcheggi pertinenziali diventano in libera cessione "Legge di semplificazione 2005" - Legge 28
novembre 2005 n.246 All'articolo 41-sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni,
aggiunto, in fine, il seguente comma: "Gli spazi per parcheggi realizzati in forza del primo comma non sono
gravati da vincoli pertinenziali di sorta n da diritti d'uso a favore dei proprietari di altre unit immobiliari e sono
trasferibili autonomamente da esse". Ci significa che sar possibile trasferire liberamente i posti auto senza
l'obbligo di mantenere il diritto d'uso in favore dei titolari delle unit immobiliari.
Ripartizione delle spese di cortili e viali d'acesso condominiali: inapplicabile principio dei due terzi
Cassazione, Sez. II, 14 /09/2005 n. 18194
Le spese di manutenzione di una struttura condominiale (cortile-viali daccesso) che funge anche da copertura di
locali interrati (come magazzini, box ecc.) vanno suddivise in base allart. 1125 c.c. e cio in parti uguali dai
proprietari delle due strutture, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e
a carico del proprietario del piano inferiore lintonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.

Secondo la Corte di Cassazione qualora il cortile condominiale svolga contemporaneamente la funzione di


copertura delle autorimesse sottostanti, in caso di rifacimento del manto di copertura (nel caso la posa di una
nuova guaina impermeabilizzante e una nuova pavimentazione), non si pu applicare il principio di ripartizione
di cui all'art 1126 c.c.:
- 1/3 a carico di chi esercita il calpestio; - 2/3 ai proprietari dei locali sottostanti; ma il principio di cui all'art. 1125
c.c.
- pavimentazione (copertura del pavimento art. 1125 c.c.) a carico di tutti i condomini e suddivisa per i millesimi
di propriet;
- intonaco, tinta e decorazioni a carico dei proprietari dei locali sottostanti;
- il resto delle spese 50% a carico di tutti i condomini e 50% a carico del proprietario dei locali sottostanti.
Reato di diffamazione commesso dall'amministratore nei confronti del proprietario condomino
parzialmente dissenziente Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Quinta Sezione Penale,
sentenza n. 282 del 23/11/2005 , depositata il 10/1/2006) interviene in tale materia riconoscendo il delitto di
diffamazione nella condotta dell'amministratore di condominio il quale , in una lettera, aveva informato i
condomini della morosit di uno di essi definendolo "anarcoide che intralcia e fomenta e mantiene un
comportamento scorretto". La difesa dell'amministratore aveva affermato che la ragione della lettera consisteva
nella contestazione della morosit di un condomino il quale non aveva versato la quota dovuta per
l'adeguamento dell'impianto elettrico condominiale a quanto prescritto dalla legge 5/3/1990 n. 46. Pertanto il
predetto difensore affermava che l'amministratore non poteva essere ritenuto responsabile del delitto di
diffamazione in quanto ricorreva la causa di giustificazione prevista dall'art. 51 c.p. perch "l'esercizio di un
delitto o l'adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica
Autorit , esclude la punibilit".
La Corte di Cassazione ha respinto tale assunto affermando che :
- il condomino non si limit a rifiutare il versamento dovuto , ma a condizionarlo , in maniera ragionevole,
all'ultimazione dei lavori ed all'esposizione in bacheca della fattura della ditta esecutrice ;
- le espressioni contenute nella lettera dell'amministratore ed inviata agli altri condomini valicava il limite della
continenza , concretando un attacco virulento e denigratorio contro la persona del condominio ;
- le frasi offensive della reputazione non trovano giustificazione nella situazione determinatasi in ragione della
spesa che il condominio doveva affrontare per il rifacimento dell'impianto elettrico , risultando tali frasi ultronee
ed esorbitanti rispetto allo scopo prospettato dall'amministratore condominiale ;
- la critica anche aspra non deve trasmodare in un attacco personale , nel dileggio e nel discredito della persona.
In definitiva la Corte di Cassazione ha valutato favorevolmente il comportamento del condomino il quale non
aveva opposto un rifiuto immotivato alla richiesta dell'amministratore, dicendosi disponibile al pagamento della
quota a certe condizioni le quali, secondo il combinato disposto degli articoli 1176 e 2224 del codice civile e
degli articoli 7 e 9 della legge 5/3/1990 n. 46 , in ogni caso consentono al creditore di richiedere il corretto
adempimento dell'obbligazione avente ad oggetto una prestazione tecnologica ed il rilascio della certificazione
di conformit dell'impianto (redatta secondo il modello del DM 20/2/1992 del Ministero dell'Industria , del
commercio e dell'artigianato) indipendentemente e a prescindere dal pagamento sinallagmatico del compenso
professionale nei confronti del debitore progettista, impiantista o manutentore.
Ed invero la giurisprudenza
ha affermato l'obbligo dell'emissione della dichiarazione di conformit da parte del professionista
indipendentemente dal pagamento della prestazione nelle seguenti pronunce :
deve essere accolta la richiesta di un provvedimento cautelare urgente avanzata dal committente che
lamenti la mancata consegna , da parte dell'appaltatore , della dichiarazione di conformit prevista dalle vigenti
norme in materia di sicurezza (ordinanza del 26/7/1995 del Tribunale di Ascoli Piceno pubblicata su Il Foro
Italiano , anno 1996 , pag. 299);
l'impresa installatrice non pu rifiutarsi , al termine dei lavori , di rilasciare al committente la
dichiarazione di conformit adducendo quale motivazione l'omesso adempimento da parte del committente
costituito dalla prestazione contrattuale poich il rilascio di tale certificato , lungi dal rappresentare
l'adempimento di un obbligo contrattuale costituisce , invece , un atto dovuto di natura amministrativo certificativo , imposto da una norma imperativa di ordine pubblico ( ordinanza del Tribunale di Roma pubblicata
su Il Nuovo diritto , anno 1996 , pag. 620);
la mancata restituzione da parte del cessato amministratore della documentazione attestante
l'esecuzione dei lavori di adeguamento degli impianti elettrici condominiali secondo quanto richiesto alla legge n.
46/1990 integra , ai fini dell'esperibilit del ricorso ex art. 700 c.p.c. , un pericolo di danno grave ed irreparabile .
Infatti l'indisponibilit di tale documentazione impedisce di verificare la rispondenza al dettato di legge delle
opere realizzate , cos come previsto dall'art. 7 della legge citata , e non consente l'acquisizione da parte del

sindaco della dichiarazione di conformit al fine del rilascio del certificato di agibilit , rendendo pertanto il
condominio passibile di sanzioni amministrative (ordinanza del 26/5/1998 del Tribunale di Bologna ) .
Chiusura di un varco sul muro di confine tramite il quale esercitata una servit
Cass. II Sez. Civ. n.
9206 del 4/5/2005
Il varco, sul muro di cinta di un condominio, che consente lesercizio della servit di passaggio su un bene di
propriet di terzi, costituisce un bene comune finch un diritto di servit riconosciuto. Se la servit negata, il
varco non pi un bene comune sul quale esercitare le facolt inerenti il diritto dominicale, ma diventa ostacolo
allesercizio del diritto del terzo che , pertanto, legittimato a pretenderne la eliminazione e una tale domanda
pu essere proposta nei confronti del suo amministratore senza necessit di integrare il contraddittorio nei
confronti dei singoli condomini.
La legittimazione passiva dellamministratore per cause riguardanti le parti comuni sussistenza
Cass. II Civ. 4 maggio 2005 n. 9206
Lamministratore del condominio , per legge, legittimato passivamente ad ogni azione anche reale o
possessoria, riguardante le parti comuni delledificio e tali sono estensivamente, anche le parti esterne dello
stabile condominiale, perch adibite alluso comune di tutti i condomini.
Lesistenza di un organo rappresentativo unitario, quale lamministratore, non priva i singoli partecipanti della
facolt di agire in difesa dei diritti esclusivi e comuni inerenti ledificio condominiale. Ciascun condomino,
pertanto, legittimato a impugnare personalmente, anche in cassazione, la sentenza sfavorevole emessa nei
confronti della collettivit condominiale, anche se non ha partecipato al giudizio di primo grado.
Non occorre il consenso del condominio per la realizzazione delle opere
Il singolo condmino ha titolo per realizzare delle opere anche in contrasto alla volont del condominio.
Conseguentemente legittimo il rilascio del permesso di costruire per unopera a servizio della sua
abitazione e sita sul muro perimetrale.
E legittima la realizzazione di una canna fumaria diretta ad evitare la diffusione dei funi.

Consiglio di Stato - sez. V - 3 gennaio 2006, n. 11


http://www.dirittoeprogetti.it/temi/nota.asp?id=4621

Autorit per lEnergia Elettrica ed il Gas - Delibera 19 dicembre 2005, n. 277


Autorit per lenergia elettrica e il gas - Comunicato stampa 21 dicembre 2005

Integrazioni e modifiche della deliberazione dellAutorit per lenergia elettrica e il gas 12 dicembre 2003, n.
152/03 in tema di assicurazione dei clienti finali civili del gas distribuito a mezzo di gasdotti locali e di reti di
trasporto
http://www.dirittoeprogetti.it/temi/lex.asp?id=4528

Corte di Cassazione - sez. II - 2 dicembre 2005, n. 26232


Pres. M. Spadone - Rel. F. Trombetta - Su cortedicassazione.it
In un contratto preliminare di vendita, il promittente acquirente che abbia versato la caparra confirmatoria,
dopo aver chiesto che si accerti lintervenuta risoluzione di diritto del contratto, non pu chiedere che la
controparte venga condannata a corrispondergli un importo pari al doppio della caparra, perch ci
presupporrebbe il contestuale esercizio del diritto di recesso da un contratto ancora esistente tra le parti
(contra, Cass. n. 1952 del 2003).

Corte di Cassazione Sezione 2 civile Sentenza 23.12.1992, n. 13655


I parapetti dei balconi
quando si inseriscono nel prospetto architettonico della facciata appartengono in parte a tutto il condominio e le
relative spese possono essere addebitate ai sensi dellart. 1123 in ragionr di 1/3 ai proprietari e 2/3 a tutto il
condominio.
1. Con deliberazione del 2 dicembre 1983 l'assemblea del condominio di via Petraglione n. 24-28 di Bari stabil
di procedere alla riparazione della pannellatura esterna del fabbricato, costituita da rombi di calcestruzzo

incastrati nei solai di vari balconi ed aventi anche la funzione di parapetto dei balconi stessi; ed, al detto fine,
deliber di ripartire la spesa tra tutti i condomini, secondo la tabella "A-1" allegata al regolamento condominiale e
riguardante la ripartizione, in ragione millesimale, delle spese relative alle parti comuni del fabbricato. 2. La
deliberazione fu impugnata dai proprietari dei vani a piano terra (privi di balconi) e cio la Lucia Tardelli,
Pasquale Malcangi, Elio Zema, Pietro Linossi, i quali dedussero che i pannelli da riparare appartenevano in
propriet esclusiva ai proprietari dei balconi ai quali inerivano e che, pertanto, la spesa doveva essere posta a
carico soltanto di detti proprietari. Il condominio resistette ed a sua volta dedusse che i pannelli, siccome facenti
parte della facciata, erano compresi ad ogni effetto tra le parti comuni del fabbricato. 3. Il Tribunale di Bari, con
sentenza del 19 aprile 1988, accolse la domanda e, dichiarando illegittima la deliberazione assembleare, nella
parte in cui aveva posto la spesa a carico di tutti i condomini in ragione millesimale, ritenne che la spesa stessa,
a norma dell'art. 1123 c. c., dovesse essere ripartita per 2-3 tra tutti i condomini e per 1-3 tra i proprietari dei vani
superiori al piano terra forniti di balconi. 4. La Corte di Appello di Bari, con sentenza del 18 aprile 1990,
conferm sul punto la pronuncia di primo grado. Osserv quella Corte, tra l'altro, che i pannelli in questione, che
rivestivano due facciate del fabbricato condominiale, conferivano all'intero edificio un'evidente peculiarit
architettonica, in guisa che, pur delimitando le balconate di propriet esclusiva, costituivano parte integrante
della facciata ed erano, in quanto tali, di propriet comune; che il rilevato aspetto estetico della facciata era di
per s bene condominiale che si comunicava all'intero edificio - in questo compresi i locali a piano terra
ancorch non rivestiti direttamente -; che, tuttavia, innegabilmente i pannelli assolvevano anche ad altra
funzione nell'ambito delle propriet esclusive, fungendo da parapetti dei balconi, da riparo dagli agenti
atmosferici e da mezzi idonei ad assicurare ai proprietari una maggiore riservatezza; che, pertanto, ai fini della
ripartizione della spesa di riparazione, si palesava corretta l'applicazione del principio di cui all'art. 1123, comma
2, c. c., dettato per il caso, ricorrente nella specie, che la cosa comune sia destinata a servire i condomini in
misura differente; e che, all'uopo, avuto riguardo alla situazione dei luoghi, come risultante anche dalle indagini
del consulente di ufficio, il criterio adottato dal Tribunale doveva sostanzialmente essere confermato. 5. Ha
proposto ricorso per cassazione il condominio, sulla base di due censure. Hanno resistito con controricorso i
condomini Tardelli, Zema e Linossi. L'altro intimato Pasquale Malcangi non ha espletato attivit difensiva in
questa sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e
falsa applicazione degli artt. 1117 e 1123 c. c., in relazione all'art. 360 n. 3 c. p.c., deducendo che la Corte di
Appello, pur avendo riconosciuto che la pannellatura esterna, in quanto facente parte della facciata del
fabbricato, era bene condominiale, avrebbe poi erroneamente applicato alla specie l'art. 1123 citato, assumendo
trattarsi di cosa destinata a servire i condomini in misura diversa, non considerando che la facciata stessa e gli
elementi decorativi che la compongono sono insuscettibili di utilizzazione differenziata; pertanto, nel ripartire la
spesa occorrente per la riparazione dei pannelli, erroneamente la Corte del merito avrebbe fatto ricorso all'art.
1123 c. c. anzich ripartire la spesa stessa tra tutti i condomini in ragione dell'assoluta prevalenza della funzione
architettonica del manufatto. 1.1. Con il secondo motivo (da esaminare congiuntamente al primo, al quale si
rivela connesso) Il ricorrente denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza
impugnata, in relazione all'art. 360 n. 5 c. p.c., deducendo che contraddittoriamente la Corte di Appello mentre
aveva, da un lato, riconosciuto la natura prevalentemente estetica dei manufatti, che si comunica all'intero
edificio, dall'altro non avrebbe spiegato il motivo che consentisse una differenziazione dell'uso, utilizzando un
errato criterio di ripartizione della spesa, che si sottrarrebbe a qualsiasi verifica logica e giuridica. 2. Le censure
non sono fondate. La decisione impugnata prende le mosse dal rilievo che la pannellatura in questione, pur
facendo parte della facciata, assolve ad un duplice funzione (l'una di protezione verso l'esterno dei balconi di
propriet esclusiva e di riparo dagli agenti atmosferici; l'altra di abbellimento della facciata del fabbricato); che,
poi, si tratti di funzioni tra loro diverse e distinte non revocabile in dubbio, considerando che mentre i balconi
sarebbero inutilizzabili senza i parapetti (cos come realizzati, incastrando i pannelli nei solai), la facciata
manterrebbe invece la sua destinazione precipua che 'e quella di delimitazione delle propriet esclusive verso
l'esterno e di perimetrazione del fabbricato. L'applicazione al caso di specie della norma di cui all'art. 1123 c. c.
non quindi n ingiustificata n immotivata, avendo la Corte del merito accertato in punto di fatto, con
apprezzamento insuscettibile di esser rivisto in sede di legittimit, che i pannelli erano destinati (supra) a servire
cumulativamente ma in modo diverso gli immobili dei condomini (proprietari alcuni di balconi delimitati dai
pannelli ed altri di locali a piano terra sforniti dei suddetti manufatti, che riguardavano soltanto i cespiti dei piani
superiori). Non pu, poi, dubitarsi che la norma di cui all'art. 1123 c. c. possa, in concrete circostanze, essere
applicata a qualunque parte comune dello edificio condominiale e, quindi, anche alla facciata, essendo la stessa
incontestabilmente compresa tra le cose comuni: di guisa che i condomini siano obbligati a contribuire alla spesa
di riparazione non in ragione millesimale bens in relazione alla utilit che la cosa comune, per il suo modo di

essere, sia obiettivamente destinata ad arrecare a ciascuna delle propriet esclusive, laddove la spesa potrebbe
gravare indistintamente su tutti i partecipanti alla comunione, secondo il criterio generale di cui all'art. 1104 c. c.,
solo se la cosa comune, in relazione alla sua consistenza ed alla sua funzione, fosse destinata a servire
ugualmente ed indiscriminatamente i diversi piani o le singole propriet. 3. La Corte di Appello ha fatto corretta
applicazione al caso di specie del ricordato principio; consegue che il ricorso, cos come proposto, deve essere
rigettato. Il ricorrente, rimasto soccombente, va condannato alle spese del giudizio di legittimit, all'uopo
liquidate in complessive L. 2.560.300 - in esse comprese L. 2.500.000 per onorari di avvocato. P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio, liquidate in complessive L. 2.560.300 in
esse comprese L. 2.500.000 per onorari di avvocato
Preliminare di vendita: caparra confirmatoria, risoluzione di diritto e recesso
Cassazione , sez. II civile, sentenza 02.12.2005 n 26232 In tema di contratto preliminare di vendita, il
promittente acquirente che abbia versato la caparra confirmatoria, dopo aver chiesto che si accerti lintervenuta
risoluzione di diritto del contratto, non pu chiedere che la controparte venga condannata a corrispondergli un
importo pari al doppio della caparra, perch ci presupporrebbe il contestuale esercizio del diritto di recesso da
un contratto ancora esistente tra le parti. In tal senso si pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza
n 26232 del 2 dicembre 2005, mutando orientamento rispetto alla precedente decisione (vedi Cass., sez. III
civile, 10.02.2003, n 1952). La Suprema Corte, nel precedente orientamento, ha osservato che nell'ipotesi di
versamento di una somma di denaro a titolo di caparra confirmatoria, la parte adempiente che abbia agito per la
risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno, in secondo grado, in sostituzione di dette pretese, pu
chiedere il recesso dal contratto e la ritenzione della caparra (art. 1385, secondo comma, c.c.), in quanto dette
domande hanno minore ampiezza rispetto a quelle originariamente proposte, ed inoltre esse possono essere
proposte anche nel caso in cui si sia gi verificata la risoluzione del contratto per una delle cause previste dalla
legge (artt. 1454, 1455 e 1457 c.c), dato che rientra nell'autonomia privata la facolt di rinunciare agli effetti della
risoluzione del contratto per inadempimento. http://www.altalex.com/index.php?idnot=10311
Attenti al cane' non salva i padroni, condannati per lesioni colpose nonostante cartello Cass. sez. IV
Penale, 47354/2005
Tenere il proprio cane legato alla catena agganciata a un palo con la scritta attenti al cane non salva i gestori di
un locale aperto al pubblico, proprietari dellanimale, dalla condanna penale e dal risarcimento danni nel caso in
cui lanimale azzanni chi gli passa troppo vicino.
Lo stabilisce la Corte di Cassazione, che ha reso definitiva la condanna per lesioni colpose gravi nei confronti
dei titolari di un locale pubblico in Alto Adige, ''per avere, omettendo di dotare il loro cane pastore bergamasco di
museruola e di catena di lunghezza tale da non consentirgli di aggredire i visitatori in area non protetta, concorso
a cagionare alla minore Marta S. lesioni al volto di durata superiore ai 40 giorni e con sfregio permanente del
viso, alla medesima procurate dai morsi del loro cane''.
La Quarta sezione penale della Suprema Corte, dichiarando 'inammissibile' il ricorso contro il provvedimento
dappello che li multava per 200 euro per lesioni colpose gravi ai danni causati a una bambina morsa dal loro
cane, ha reso definitiva la condanna penale. stato sottolinenato che sul ''punto relativo al cartello di
segnalazione della presenza del cane, stato persuasivamente spiegato che non poteva ad esso attribuirsi la
rilevanza decisiva voluta dalla difesa, perch il cartello era collocato sul paletto stesso al quale l'animale era
assicurato con catena'' per cui ''l'avvertimento giungeva a conoscenza degli avventori, compresi i genitori dei
bambini, non gi all'ingresso del locale aperto al pubblico, ma quando si approssimavano alla zona della stalla,
luogo di attrazione specie per i pi teneri di et''.
Per la Cassazione i gestori-proprietari sono responsabili nella misura del 60% essendo il 40% a carico dei
genitori che non avevano ben vigilato sul minore, inoltre dovranno pure pagare duemila euro di spese
processuali sostenute dai genitori della minore aggredita dal cane.
Sezioni unite civile della Cassazione nella sentenza 2046/06 depositata il 31 gennaio e qui integralmente
leggibile tra gli allegati con cui hanno risolto un importante contrasto giurisprudenziale in materia di rimborso
delle spese per la conservazione delle cose comuni nel caso di condominio composto da due soli partecipanti. A
chiedere lintervento della Suprema corte stato un signore lucano che, in qualit di proprietario al 50% di un
edifico, aveva chiamato in giudizio il proprietario dellaltra met per ottenerne il rimborso di somme che aveva
anticipato per la riparazione di alcune parti comuni. A questo punto, per, la seconda sezione civile del
Palazzaccio si rende conto dellesistenza di un contrasto e rimette la questione di diritto al massimo Consesso
di piazza Cavour chiedendo: la restituzione del denaro deve essere regolata dallarticolo 1134 Cc, che
riconosce il diritto al rimborso soltanto per le spese urgenti o in considerazione della particolare situazione di
fatto e di diritto configurata dalla presenza di due soli proprietari il rimborso deve essere regolato dalla norma
dettata dallarticolo 1110 Cc per la comunione in generale, secondo cui il rimborso subordinato alla mera
trascuranza degli altri condomini?.
Con un occhio al codice civile ed uno alla legislazione speciale, la risposta delle Sezioni unite non si fatta

attendere. Nessuna disposizione si legge a chiare lettere nella sentenza in esame - prevede linapplicabilit
delle norme concernenti il condominio negli edifici al condominio minimo.Ad eccezione di quelle che
riguardano la nomina dellamministratore e la formazione del regolamento, le sole norme in materia che
richiedono un numero minimo di condomini. Pertanto, nel caso di edificio in condominio composto da due soli
proprietari, il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un di essi viene ad
essere regolato dalla norma stabilita dallarticolo 1134 Cc. In altre parole, il diritto al recupero delle somme
riconosciuto solo per le spese urgenti: cio, soltanto per le spese impellenti, che devono essere eseguite
senza ritardo e la cui erogazione non pu essere differita senza danno.
L'amministratore non pu offendere il condomino moroso coi pagamenti
Cass. V Penale, sentenza n. 282 del 23 novembre 2005
Mai offendere il condomino moroso con i pagamenti. La Corte di Cassazione sancisce che l'amministratore
condominiale, anche se il condomino e' in ritardo con i pagamenti, non puo' inveire contro di lui.
La Corte di cassazione ha ravvisato il delitto di diffamazione nel comportamento dellamministratore di un
condominio che definiva il condomino moroso, in una lettera inviata agli altri condomini, un' "anarcoide che
intralcia e fomenta" perch questi si era rifiutato di pagare la quota per l'adeguamento dell'impianto elettrico
fintantoch non sarebbero stati ultimati i lavori con esposizione della fattura.
Assolto dal Tribunale di Lanciano, l'amministratore condominiale e' stato condannato per diffamazione dalla
Corte d'appello aquilana (ottobre 2004) che lo ha pure condannato a rifondere i danni all'inqulino moroso. La
Quinta sezione penale, respingendo il ricorso, lo ha anche condannato a pagare le spese processuali sostenute
dal condomino.
Ad avviso dei giudici di legittimit, le critiche mosse nei confronti di questultimo avevano trasmodato "in un
attacco personale, nel dileggio e nel discredito della persona" dato che "non aveva opposto rifiuto immotivato
alla richiesta dell'amministratore, dicendosi disponibile al pagamento della quota a determinate condizioni" .
L'invio tardivo a tutti i condomini di copia del verbale delle deliberazioni assunte in assemblea non costituisce
causa di nullit delle delibere suddette. Corte appello Milano, 22 luglio 1997
Rimborso delle spese anticipate per la conservazione delle parti comuni.
Sezioni unite civili, sentenza 2046 del 31 gennaio 2006.
Nel caso di edificio in condominio composto da due soli condomini, il rimborso delle spese per la conservazione
delle parti comuni, anticipate da un condomino, viene ad essere regolato dalla norma stabilita dall'art. 1134 c.c.,
da cui il diritto al rimborso riconosciuto soltanto per le spese urgenti: cio, soltanto per le spese impellenti, che
devono essere eseguite senza ritardo e la cui erogazione non pu essere differita senza danno.
Illegittima la trasformazione del lastrico solare dell'edificio in terrazza
Cass. Sez. II Civile, Sentenza n. 972 del 19 gennaio 2006
E' illegittima la trasformazione del lastrico solare delledificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino,
perch in tal modo viene alterata la originaria destinazione della cosa comune, che sottratta alla possibilit di
utilizzazione da parte degli altri condomini. Al contrario legittimo luso pi intenso della cosa comune da parte
di un singolo condomino, anche con modalit particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione
Adeguatezza immobile, verifica a carico del conduttore sent. n. 9019/2005
Stipulato un contratto di locazione di un immobile destinato ad un determinato uso (nella specie, non abitativo),
grava sul conduttore lonere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente
necessario per lo svolgimento dellattivit ripromessasi, ed altres adeguate a quanto necessario per ottenere le
necessarie autorizzazioni amministrative
Immobili adibiti ad uso non abitativo - prelazione e riscatto
Cass. III Civ. , Sentenza n. 410 del 12 gennaio 2006
La prelazione urbana prevista a favore del conduttore di immobile urbano adibito ad uso diverso dall'abitazione
che sia stato pretermesso nel caso di vendita del bene locato ha come effetto non la risoluzione del contratto
traslativo a vantaggio del terzo e la contestuale formazione di un titolo di acquisto "ex nunc" a favore del
retraente, n un nuovo trasferimento del diritto sul bene dal terzo acquirente al titolare del diritto di riscatto, ma la
sostituzione con effetto "ex tunc" di detto titolare al terzo nella stessa posizione che questi aveva nel negozio
concluso, sulla base della propria dichiarazione unilaterale recettizia. Quindi La pronuncia, che decide
sullesercizio di detto diritto potestativo del conduttore, di mero accertamento, e che il diritto di riscatto, una
volta esercitato, non si trasferisce al successivo cessionario del contratto di locazione.
Cass. civ., sez. II, 24 marzo 1994, n. 2862, Gli artt. 1 e 3 L. 6 maggio 1940 n. 554, dettati con riguardo alla
disciplina degli aerei esterni per audizioni radiofoniche, ma applicabile per analogia anche alle antenne televisive
e l'art. 231 del D.P.R. 29 marzo 1973 n. 156, stabilendo che i proprietari dell'edificio non possono opporsi alla
installazione esterna di antenne da parte di abitanti dello stesso stabile per il funzionamento di apparecchi
radiofonici o televisivi, attribuiscono al titolare dell'utenza il diritto all'installazione dell'antenna sulla terrazza
dell'edificio, ferma restando la facolt del proprietario al libero uso di questa secondo la sua destinazione
ancorch comporti la rimozione od il diverso collocamento dell'antenna, che resta a carico del suo utente,
all'uopo preavvertito. Ne deriva che il proprietario della terrazza che vi abbia eseguito dei lavori comportanti la
rimozione dell'antenna non pu essere condannato al ripristino nello stato preesistente, posto che spetta

all'utente provvedere a sua cura e spese alla rimozione ed al diverso collocamento dell'antenna.
Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1994, n. 8528 L'uso indiretto della cosa comune (nella specie, mediante
locazione), incidendo sull'estensione del diritto reale che ciascun comunista possiede sull'intero bene indiviso,
pu essere disposto dal giudice o deliberato dall'assemblea dei condomini a maggioranza, soltanto quando non
sia possibile o ragionevole l'uso promiscuo, semprech la cosa comune non consenta una divisione, sia pure
approssimativa, del godimento. L'indivisibilit del godimento costituisce il presupposto per l'insorgenza
del potere assembleare circa l'uso indiretto, onde la deliberazione che l'adotta senza che ne ricorrano le
condizioni nulla, quale che sia la maggioranza, salvoch ricorra l'unanimit.
Cass. civ., sez. II, 27 settembre 1994, n. 7885, I presupposti per l'attribuzione della propriet comune a
vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi
caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al
servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte, o di alcune parti di esso, ricavandosi dall'art. 1123, terzo
comma, che le cose, i servizi, gli impianti, non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti. Ne consegue
che dalle situazioni di cosiddetto "condominio parziale" derivano implicazioni inerenti la gestione e l'imputazione
delle spese, in particolare non sussiste il diritto di partecipare all'assemblea relativamente alle cose, ai servizi,
agli impianti, da parte di coloro che non ne hanno la titolarit, ragion per cui la composizione del collegio e delle
maggioranze si modificano in relazione alla titolarit delle parti comuni che della delibera formano oggetto.
Cass. civ., sez. II, 22 agosto 1994, n. 7464, Dal solaio che divide due unit abitative, l'una all'altra
sovrapposta, formando una struttura comune che i proprietari delle due unit possono modificare solo alla
condizione che non venga alterata la destinazione della cosa e che non sia impedito all'altro di farne parimenti
uso secondo il suo diritto, deve essere distinta la copertura (o pavimento) del solaio, che appartiene
esclusivamente al proprietario dell'abitazione sovrastante e che pu essere, quindi, da questo liberamente
rimossa o sostituita secondo la sua utilit e convenienza.
Cass. civ., sez. II, 23 luglio 1994, n. 6884 Poich l'edificio condominiale comprende l'intero manufatto che va
dalle fondamenta al tetto e, quindi, anche i vani scantinati compresi tra le fondamenta stesse ed il suolo su
cui sorge l'edificio, costituisce oggetto di propriet comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., non la superficie a livello
del piano di campagna che viene scavata per la posa delle fondamenta, bens quella porzione del terreno su cui
viene a poggiare l'intero edificio ed immediatamente, la parte infima di esso. Di conseguenza, per stabilire a chi
spetti la propriet di un locale dell'edificio condominiale sottostante al piano terreno deve farsi riferimento alle
norme che regolano la propriet condominiale per piani orizzontali e, perci, con riguardo ai piani o porzioni di
piano che siano o meno sotto il livello del circostante piano di campagna, agli atti di acquisto dei singoli
appartamenti e delle altre unit immobiliari ed al regolamento di condominio allegato agli atti di acquisto o in essi
richiamato (cosiddetto regolamento contrattuale).
Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1994, n. 6696, Il regime di cui all'art. 41 sexies della legge urbanistica 17 agosto
1942, n. 1150 introdotto dall'art. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765 (cosiddetta legge ponte) e rimasto immutato
dopo l'entrata in vigore della legge 28 febbraio 1985, n. 47 il cui art. 26, ultimo comma stabilisce che gli spazi di
parcheggio costituiscono pertinenze, non comporta che tali aree, fermo restando il vincolo di destinazione,
rientrino tra le parti comuni dell'edificio a norma dell'art. 1117 c.c.
Cass. civ., sez. II, 9 luglio 1994, n. 6501, Le norme dei regolamenti che investono i poteri e le facolt che i
singoli condomini hanno, iure domini, sulle loro parti esclusive, restringendo in tal modo, nell'interesse comune, il
contenuto del loro diritto di propriet sulle parti stesse, debbono assumere carattere convenzionale nel senso
che, se precostituite, debbono essere accettate dai condomini nei contratti di acquisto o, con separati atti
esprimenti la loro volont di accettare, se deliberate dall'assemblea dei condomini.
Corte di Cassazione Civile: Sentenza 4/6/2001 n 7472 Spese per la riparazione del lastrico solare
-Il criterio legale di ripartizione delle spese per la riparazione del lastrico solare, nella misura
di un terzo a carico del condominio che ne ha l'uso esclusivo e di due terzi a carico degli altri,
vale solo per le riparazioni riguardanti i manufatti posti sulla sommit delle costruzioni.
Ne consegue che questo metodo non applicabile in caso di giardino pensile sovrastante
un'autorimessa, i cui locali siano stati danneggiati dal infiltrazioni d'acqua, in quanto il
giardino non costituisce una semplice copertura ma dotato di una propria autonomia
strutturale e funzionale che ne obbliga il proprietario a sopportare l'intera spesa.
Corte di Cassazione Civile: Sentenza 02/4/2001 n 4797 Lastrici solari e terrazze di copertura
-La manutenzione della terrazza di un edificio spetta a tutti i condomini in proporzione
delle rispettive quote. Ci non esclude, che il proprietario dell'appartamento sottostante
la terrazza, danneggiato da infiltrazioni d'acqua provenienti dalla terrazza, a causa della
mancata manutenzione, assume la posizione di terzo rispetto agli altri condomini nella
richiesta di risarcimento del danno.
Cassazione - Nomina e revoca dell'amministratore Sentenza 30 Marzo 2001 n. 4706
Il procedimento di nomina o revoca dell'amministratore di condominio, anche quando si inserisce in una
situazione di conflitto tra condomini o tra alcuni di essi e l'amministratore, ha natura di procedimento di
volontaria giurisdizione che si sottrae alle regole generali in materia di spese processuali. Ne consegue che le

spese relative a questo procedimento rimengono a carico del soggetto che le ha anticipate assumendo
l'iniziativa giudiziaria o intervenendo nel giudizio
COMUNIONE E CONDOMINIO OBBLIGAZIONI DEL CONDOMINIO E DEL CONDOMINO OBBLIGAZIONI
VERSO LAPPALTATORE Tutti i condomini rispondono solidalmente delle obbligazioni contratte dal
condominio per far eseguire lavori nello stabile comune. Il patto con cui i condomini si ripartiscono la spesa
secondo i millesimi o in base ad altri criteri ha rilevanza solo interna e non pu essere opposto allappaltatore
che, anche se condomino, pu rivolgersi verso uno solo dei condomini per il pagamento dellintero
credito. Testo Completo: Sentenza n. 17563 del 31 agosto 2005
http://www.cortedicassazione.it/Documenti/17563.pdf
CONDOMINIO ADOZIONE DI NUOVE TABELLE MILLESIMALI VOLONTA PRESUNTA O TACITA IRRILEVANZA L'adozione di nuove tabelle millesimali a modifica di quelle allegate a regolamento contrattuale
deve essere deliberata con il consenso di tutti i condomini, e in presenza di espresso dissenso non puo' ritenersi
prevalere una volonta' diversa, tacita o presunta, essendo quest'ultima di per se intrinsecamente equivoca
(Nell'affermare il suindicato principio la S.C. ha cassato la sentenza della corte di merito che aveva ritenuto al
riguardo sufficiente la circostanza che i condomini ricorrenti, partecipando alle assemblee per tre anni ed
effettuando i pagamenti in conformita' delle nuove tabelle, avessero manifestato per "facta concludentia" quel
consenso che avevano espressamente negato in occasione della relativa delibera condominiale). Sentenza n.
8863 del 28 aprile 2005 http://www.cortedicassazione.it/Documenti/8863.pdf
CONDOMINIO DELIBERA CONDOMINIALE ZANZARIERA In materia di condominio di edifici, le norme del
regolamento di natura contrattuale possono prevedere limitazioni ai diritti dei condomini, nell'interesse comune,
sia relativamente alle parti comuni, sia riguardo al contenuto del diritto dominicale sulle parti di loro esclusiva
propriet. Ne consegue che valida la delibera condominiale che vieti ad un condomino l'installazione sul
balcone di sua propriet esclusiva di una zanzariera che, per le sue caratteristiche (nel caso, formata da telaio
in alluminio installato lungo il perimetro esterno del balcone dell'appartamento) risulti immediatamente visibile
dall'esterno, e lesiva del decoro architettonico dell'edificio. Sentenza n. 8883 del 29 aprile 2005
http://www.cortedicassazione.it/Documenti/8883.pdf
CONDOMINIO - ASSEMBLEA PARTECIPAZIONE CHIAMATO ALLEREDITA LEGITTIMAZIONE Ove
un immobile in condominio faccia parte di un'eredit non ancora accettata, il chiamato legittimato ad
intervenire alle assemblee condominiali, mentre nessuna incombenza volta a provocare la nomina di un curatore
dell'eredit giacente configurabile in capo all'amministratore del condominio, che ha invece l'obbligo di
convocare all'assemblea tale curatore ove il medesimo sia stato nominato, e di tale nomina abbia avuto
notizia. Sentenza n. 14065 del 1 luglio 2005 http://www.cortedicassazione.it/Documenti/14065.pdf
CONDOMINIO DELIBERAZIONE ASSEMBLEARE ESECUZIONE SPOSSESSAMENTO IN DANNO DI
CONDOMINO CONFIGURABILITA Lo spoglio del possesso di un bene ( nel caso, cortile condominiale ) ben
pu rimanere integrato dalla messa in esecuzione da parte dell'amministratore di condominio, con la
consapevolezza di agire contro la volont espressa o presunta del possessore, di opere deliberate
dall'assemblea ( nel caso, chiusura dell'accesso mediante recinzione ed apposizione di cancello elettrico ), non
assumendo in contrario rilievo la circostanza che la domanda di sospensione delle delibere in questione risulti
essere stata in precedenza giudizialmente rigettata, stante l'ontologica diversit tra il giudizio avente ad oggetto
l'impugnazione delle delibere e quello possessorio. Sentenza n. 14067 del 1 luglio 2005
http://www.cortedicassazione.it/Documenti/14067.pdf
CONDOMINIO - CONTRIBUTI E SPESE CONDOMINIALI - SPESE L'obbligo dei condomini di contribuire al
pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera dell'assemblea che approva le spese stesse
e non a seguito della successiva delibera di ripartizione volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente e
che pu anche mancare ove esistano tabelle millesimali, per cui l'individuazione delle somme concretamente
dovute dai singoli condomini il frutto di una semplice operazione matematica. Sentenza n. 15288 del 21
luglio 2005 http://www.cortedicassazione.it/Documenti/15288.pdf
Principio della rappresentanza reciproca - Portata e conseguenze
Cass. Sent. n. 7827, Sez. II, del 19-5-2003
Il principio della rappresentanza reciproca, in forza del quale ciascun condomino pu agire, anche in sede di
impugnazione, a tutela dei diritti comuni nei confronti dei terzi, in quanto linteresse per il quale agisce comune
a tutti i condomini, comporta che colui che sia subentrato in corso di causa nella posizione di un condomino che
non ha partecipato al giudizio di primo grado pu impugnare la sentenza che abbia pronunziato su diritti comuni,
dovendosi tale sentenza considerare emessa anche nei suoi confronti
Parti comuni delledificio - Nozione di pari uso della cosa comune ex art. 1102 cod. civ.
Cass. Sent. n. 8808, Sez. II, del 30-5-2003
La nozione di pari uso della cosa comune cui fa riferimento l'articolo 1102 cod. civ., che in virt del richiamo
contenuto nell'articolo 1139 del codice civile applicabile anche in materia di condominio negli edifici, non va
intesa nel senso di uso identico e contemporaneo, dovendo ritenersi conferita dalla legge a ciascun partecipante
alla comunione la facolt di trarre dalla cosa comune la pi intensa utilizzazione, a condizione che questa sia

compatibile con i diritti degli altri, essendo i rapporti condominiali informati al principio di solidariet, il quale
richiede un costante equilibrio fra le esigenze e gli interessi di tutti i partecipanti alla comunione.
Ne consegue che, qualora sia prevedibile che gli altri partecipanti alla comunione non faranno un pari uso della
cosa comune, la modifica apportata alla stessa dal condomino deve ritenersi legittima, dal momento che in una
materia in cui prevista la massima espansione dell'uso il limite al godimento di ciascuno dei condomini dato
dagli interessi altrui, i quali pertanto costituiscono impedimento alla modifica solo se sia ragionevole prevedere
che i loro titolari possano volere accrescere il pari uso cui hanno diritto.
Pertanto, raffigura un uso pi ampio della cosa comune, ricompreso nelle facolt attribuite ai condomini
dall'articolo 1102, primo comma, del codice civile, l'apertura di un varco nella recinzione comune (con
apposizione di un cancello) effettuata per mettere in comunicazione uno spazio condominiale con una strada
aperta al passaggio pubblico, sia pedonale che meccanizzato.
Il condominio non risponde per il furto avvenuto nell'appartamento di un inquilino
Cassazione civile Sentenza, Sez. III, 18/10/2005, n. 20133
Per lindividuazione dellobbligo giuridico di impedire levento non basta far riferimento al principio del neminem
laedere ex art. 2043 c.c., ma necessaria una norma di legge che lo preveda espressamente ovvero lesistenza
di particolari rapporti giuridici o una data situazione in ragione della quale il soggetto sia tenuto a compiere una
determinata attivit a protezione del diritto altrui.
La Corte ricorda di aver avuto modo gi in altre occasioni di affermare che, nel caso in cui una persona subisca
un furto nel proprio appartamento ad opera di ladri che vi si sono introdotti attraverso impalcature per lavori
edilizi lasciate incustodite, il proprietario delle impalcature non pu essere ritenuto civilmente corresponsabile del
furto: la sua responsabilit non pu essere ritenuta per esercizio di attivit pericolosa ex art. 2050 c.c. (poich
tali attivit danno luogo a responsabilit solo se il danno si sia prodotto durante il loro espletamento), n per
cose in custodia ex art. 2051 c.c. (poich le cose in custodia non danno luogo a responsabilit quando i danni
siano cagionati dallattivit illecita di terzi), n per omissione di cautele ex art. 2043 c.c., poich tale
responsabilit sorge solo se si sia contravvenuto ad uno specifico obbligo di fare.
A carico dell'inquilino solo le piccole riparazioni
Corte di Cassazione con la sentenza n. 14035 del 2005
L'affittuario tenuto solo alle piccole riparazioni dipendenti dall'uso, mentre l'obbligo di manutenzione sia
ordinaria sia straordinaria dell'immobile spetta al proprietario.
In caso di inerzia di quest'ultimo l'inquilino si pu sostituire al proprietario stesso ed effettuare direttamente le
riparazioni necessarie, salvo rivalsa delle spese sostenute, ma deve rigorosamente provare la protratta incuria
del proprietario, in quanto la legge presume, salvo prova contraria, che la casa sia stata consegnata all'inquilino
in buono stato locativo.
Amministratore del condominio uscente: rimborso delle spese anticipate dallo stesso Tribunale di Roma
Sez. V, 13 giugno 2005, n. 13413.
Lamministratore uscente che reclami nei confronti del condominio un credito da anticipazioni per spese
indifferibili e necessarie deve dimostrare che il rendiconto consuntivo indicante tali somme sia stato approvato
dallassemblea, non bastando allo scopo la sottoscrizione del nuovo amministratore apposta in calce al verbale
di passaggio delle consegne in cui sia stata verificata lesistenza delle anticipazioni.
Tale sottoscrizione vale infatti come mera ricevuta della documentazione e non certo come riconoscimento
di debito ex art. 1988 c.c. in danno del condominio.
Fine locazione ad uso diverso - indennita' per la perdita dell'avviamento
Cass. Civile terza sezione sentenza n. 12320 del 10/06/2005
Lart. 79 legge n. 392 del 1978, il quale sancisce la nullit di ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del
contratto di locazione o ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale, ovvero ad attribuirgli altro
vantaggio in contrasto con le disposizioni della legge stessa, mira ad evitare che, al momento della stipula del
contratto, le parti eludano in qualsiasi modo le norme imperative poste dalla legge sul cosiddetto equo canone,
aggravando in particolare la posizione del conduttore, ma non impedisce che, al momento della cessazione del
rapporto, le parti addivengano ad una transazione in ordine ai rispettivi diritti ed in particolare alla
compensazione da parte del conduttore, dopo la cessazione del rapporto, dellindennit per la perdita
dellavviamento commerciale di cui allart. 34 della stessa legge con un suo debito.
Vietato al condomino luso esclusivo - Cassazione 19 gennaio 2006, n. 972 In tema di condominio degli edifici, legittimo luso pi intenso della cosa comune da parte di un singolo
condomino, anche con modalit particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, mentre
illegittimo che questi ne faccia un uso esclusivo. In particolare, illegittima la trasformazione del lastrico
solare delledificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, perch in tal modo viene alterata la
originaria destinazione della cosa comune, che sottratta alla possibilit di utilizzazione da parte degli altri
condomini
Regolamenti condominiali vincolanti Cass. Sentenza n. 13164, Sez. 11, del 25-10-2001
Il regolamento condominiale, purch regolarmente trascritto nei registri immobiliari, assume carattere
convenzionale, vincolando tutti i successivi acquirenti, non solo per le clausole che disciplinano l'uso o il
godimento dei servizi o delle parti comuni, ma anche per quelle che restringono i poteri e le facolt dei singoli

condomini sulle loro propriet esclusive, venendo a costituire su queste ultime una servit reciproca.
Ne consegue che tale regolamento convenzionale, anche se non materialmente inserito nel testo del successivo
contratto di compravendita dei singoli appartamenti dell'edificio, ne parte integrante quando sia stato
regolarmente trascritto nei registri immobiliari, rientrando le sue clausole, per relationem, nel contenuto dei
singoli contratti.
Il proprietario dell'immobile risponde dei danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in
esse conglobati
Cassazione civile Sentenza, Sez. III, 03/08/2005, n. 16231
Sebbene, ai fini della configurabilit della responsabilit ex art. 2051 c.c., sia sufficiente la sussistenza del
rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo allevento lesivo, la locazione di un immobile comporti il
trasferimento della disponibilit della cosa e del relativo obbligo di custodia in capo al conduttore, rimane a
carico del proprietario la responsabilit dei danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse
conglobati.
Apertura di un passo carrabile e necessit del permesso di costruire
T.A.R. Campania Napoli, Sezione II, 2 febbraio 2006, n. 1370
Cos come dedotto dallamministrazione
resistente lapertura di un passo carrabile per laccesso ad una propriet realizzato mediante rimozione dei
cordoli del marciapiede e sistemazione del varco, abbisogna della concessione di costruzione e pertanto non
pu essere considerata, cos come sostenuto da parte ricorrente, opera di manutenzione straordinaria. (C.S. V,
14 marzo 1980, n. 275).
Mancato versamento delle quote condominiali riscosse dal portiere
Cass. civ., sez. II, 29 novembre 2004, n. 22407
Non sussiste una ipotesi di litisconsorzio necessario nel caso un condominio citi in giudizio il suo ex
amministratore, per la mancata contabilizzazione o imputazione di alcune quote versate dai condomini, e
l'amministratore chieda l'allargamento del contraddittorio nei confronti del portiere dello stabile ritenuto
responsabile, secondo la sua prospettazione, del mancato versamento delle quote condominiali riscosse.
Nel caso di specie palese che il rapporto dedotto in giudizio dai condomini ha come unica parte passiva
l'amministratore, il quale avrebbe potuto chiamare in causa il portiere al solo fine di rivalersi verso di lui di quanto
eventualmente costretto a rimborsare ai condomini; non era invece necessaria la presenza in causa del portiere
in dipendenza delle prospettazione difensive del convenuto concernenti la esistenza di una delega diretta da
parte dei condomini nei confronti del portiere per le riscossioni, perch la circostanza ben poteva essere
accertata ai fini del rigetto della domanda di merito, rimanendo comunque impregiudicata la posizione del
portiere, suscettibile di successivo e diverso accertamento.
L'assunto del convenuto secondo cui il portiere sarebbe stato incaricato della riscossione direttamente dai
condomini in base ad una prassi risalente nel tempo non assume comunque rilevanza, perch il consenso dei
condomini ad una certa modalit di riscossione delle quote, non sarebbe comunque sufficiente ad elidere la
responsabilit dell'amministratore sul corretto esercizio di un compito a lui spettante per legge; nella specie,
inoltre, la responsabilit risultava ancor pi marcata da specifici imprudenti atteggiamenti dell'amministratore,
quali l'affidamento al portiere di ricevute in bianco a sua firma e il mancato ritiro del denaro protratto per molti
mesi, fattori correttamente ritenuti incidenti, quanto meno, sulla entit della appropriazione indebita attribuita al
portiere.
Ricostruzione e riparazione del muro comune Cass. civ., sez. II, 25 novembre 2003, n. 17899 In
conformit ai principi che disciplinano la comunione in generale, per eseguire le riparazioni o la ricostruzione non
basta la volont di un solo comproprietario, essendo invece necessario il consenso di tutti, a meno che non
ricorra il carattere dellurgenza, nel quale caso uno dei comproprietari pu prendere liniziativa da solo.
Mancando lurgenza necessario il consenso di tutti i comproprietari; la mancanza di tale consenso, per, non
determina lilliceit dellopera, ma pu solo fare insorgere contestazioni sulle modalit dellesecuzione, con
conseguente riflesso sulla ripartizione delle spese. Pertanto, accertato che lopera era necessaria, il giudice non
pu ordinarne la demolizione.
Vincoli di pertinenza di aree di parcheggio, Cassazione civile sezioni unite sentenza 12793/05 del
15/06/2005 http://www.overlex.com/leggisentenza.asp?id=610
CASSAZIONE:
SENTENZA TRANSAZIONE CONDOMINIALE E DIRITTO DI SOPRAELEVAZIONE La Cassazione
recentemente intervenuta su due questioni in materia condominiale attinenti alla maggioranza richiesta per la
valida stipula di una transazione relativa a parti comuni e al diritto alla sopraelevazione. 1) La transazione che
ha ad oggetto i beni comuni un negozio dispositivo, e pertanto per essere validamente conclusa
dall'amministratore necessita del consenso di tutti i condomini e non della semplice maggioranza
dell'assemblea. 2) La facolt di sopraelevare concessa dall'articolo 1127, primo comma, Codice Civile, al
proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale, se l'ultimo piano appartenga "pro diviso" a pi proprietari,
spetta a ciascuno di essi nei limiti della propria porzione di piano con utilizzazione dello spazio aereo
sovrastante a ciascuna porzione, e nel rispetto dei limiti di cui al secondo e terzo comma dell'articolo 1127
Codice Civile. Massime e sentenza sul sito della Cassazione

http://www.cortedicassazione.it/Documenti/4258.pdf La facolt di sopraelevare concessa dall'art. 1127 c.c.,


comma 1, al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale, ove l'ultimo piano appartenga, pro diviso a
pi proprietari, spetta a ciascuno di essi nei limiti della propria porzione di piano con utilizzazione dellospazio
aereo sovrastante a ciascuna porzione e nel rispetto dei limiti di cui all'art. 1127 c.c., comma 2 e 3. E' questo il
principio di diritto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 4258 depositata il 24 febbraio 2006.
Nella decisione in esame la Suprema Corte ha inoltre ricordato che la transazione avente ad oggetto i beni
comuni un negozio dispositivo, e pertanto per essere validamente conclusa dallamministratore necessita non
dellautorizzazione della maggioranza dellassemblea ma del consenso di tutti i condomini.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=10475
CASSAZIONE: SENTENZA POSIZIONE DI GARANZIA DEL TITOLARE DI PISCINA IN CASO DI DECESSO
DI UTENTE
Il rappresentante dell'associazione sportiva che gestisce una piscina titolare di una posizione
di garanzia, a norma dell'articolo 40 comma 2 Codice Penale, in forza della quale tenuto a garantire
l'incolumit fisica degli utenti mediante l'idonea organizzazione dell'attivit, vigilando sul rispetto delle regole
interne e di quelle emanate dalla Federazione italiana nuoto, le quali hanno valore di norme di comune
prudenza, al fine di impedire che vengano superati i limiti del rischio connaturato alla normale pratica sportiva.
E' una posizione di garanzia - continua la Corte - che imponeva la predisposizione di un idoneo servizio di
assistenza dei frequentatori della piscina che, come tale, avrebbe potuto garantire, nei tempi pur ristretti
indicati dal giudice d'appello, un tentativo di salvataggio foriero di ragionevoli possibilit di salvezza. In questa
prospettiva, l'illogicit e l'errore in cui incorso il giudice di merito risiede proprio nel fatto di non avere
considerato affatto tale situazione, limitandosi ad un giudizio astratto di impraticabilit di qualsivoglia
intervento di salvezza, equiparando erroneamente il tentativo di salvataggio operato da chi, debitamente
preposto, avrebbe potuto e dovuto intervenire, a quello occasionale, prestato da altro frequentatore
della piscina. Massima e sentenza sul sito della Cassazione. (Corte di Cassazione - Sezione Quarta
Penale, Sentenza 14 dicembre 2005 - 3 febbraio 2006, n.4462: Gestore di centro sportivo (piscina) Decesso di utente - Omessa organizzazione di pronto soccorso - Nesso causale - Sussistenza).
http://www.cortedicassazione.it/Documenti/4462.pdf
L'art 9 comma 5 legge 122/89, o Legge del 24/03/1989 n. 122. dice: 5.
http://www.condominio.com/leggi/24-03-89.htm
I parcheggi realizzati ai sensi del presente articolo non possono essere ceduti separatamente dall'unit
immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli. Il resto dell'articolo
il seguente: TITOLO III
Art. 9.
1. I proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei
fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unit immobiliari, anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti. Restano in ogni caso fermi i vincoli previsti dalla legislazione in
materia paesaggistica ed ambientale ed i poteri attribuiti dalla medesima legislazione alle regioni e ai Ministeri
dell'ambiente e per i beni culturali ed ambientali da esercitare motivatamente nel termine di 90 giorni.
2. L'esecuzione delle opere e degli interventi previsti dal comma 1 soggetta ad autorizzazione gratuita.
Qualora si tratti di interventi conformi agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti, l'istanza per
l'autorizzazione del Sindaco ad eseguire i lavori si intende accolta qualora il Sindaco stesso non si pronunci nel
termine di 60 giorni dalla data della richiesta. In tal caso il richiedente pu dar corso ai lavori dando
comunicazione al Sindaco del loro inizio.
3. Le deliberazioni che hanno per oggetto le opere e gli interventi di cui al comma 1 sono approvate dalla
assemblea del condominio, in prima o in seconda convocazione, con la maggioranza prevista dall'articolo 1136,
secondo comma, del codice civile. Resta fermo quanto disposto dagli articoli 1120, secondo comma, e 1121,
terzo comma, del codice civile.
4. I comuni, previa determinazione dei criteri di cessione del diritto di superficie e su richiesta dei privati
interessati o di societ anche cooperative appositamente costituite tra gli stessi, possono prevedere nell'ambito
del programma urbano dei parcheggi la realizzazione di parcheggi da destinare a pertinenza di immobili privati
su aree comunali o nel sottosuolo delle stesse. La costituzione del diritto di superficie subordinata alla stipula
di una convenzione nella quale siano previsti:
a) la durata della concessione del diritto di superficie per un periodo non superiore a novanta anni;
b) il dimensionamento dell'opera ed il piano economico-finanziario previsti per la sua realizzazione;
c) i tempi previsti per la progettazione esecutiva, la messa a disposizione delle aree necessarie e la esecuzione
dei lavori;
d) i tempi e le modalit per la verifica dello stato di attuazione nonch le sanzioni previste per gli eventuali
inadempimenti.
5. I parcheggi realizzati ai sensi del presente articolo non possono essere ceduti separatamente dall'unit
immobiliare alla quale sono legati da vincolo pertinenziale. I relativi atti di cessione sono nulli.
6. Le opere e gli interventi di cui ai precedenti commi 1 e 4, nonch gli acquisti di immobili destinati a parcheggi,
effettuati da enti o imprese di assicurazione sono equiparati, ai fini della copertura delle riserve tecniche, ad
immobili ai sensi degli articoli 32 ed 86 della legge 22 ottobre 1986, n. 742.
Estensione e limiti del muro perimetrale Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16097
Il principio della compropriet dell'intero muro perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad
apportare ad esso tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilit

aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini, a condizione di non impedire agli altri condomini la
prosecuzione dell'esercizio dell'uso del muro e di non alterarne la normale destinazione e sempre che tali
modificazioni non pregiudichino la stabilit ed il decoro architettonico del fabbricato condominiale.
Convocazione assemblea straordinaria - concetto di necessit Cass. sez. II Civ. , n. 16980 del 18 agosto
2005
In tema di convocazione straordinaria dell'assemblea, il concetto di necessit previsto dall'art. 66 att. c.c.,
essendo legato alla valutazone dell'amministratore (quanto questo lo ritiene necessario), finisce per
coincidere con quello di opportunit, lasciando all'amministratore un margine di discrezionalit nel decidere se
convocare o meno l'assemblea dei condomini.
In ogni caso, la convocazione dell'assemblea straordinaria in mancanza della dedotta necessit non comporta la
nullit della delibera eventualmente - e sovranamente - assunta dai condomini con le maggioranze prescritte
sull'oggetto posto all'ordine del giorno.
Restituzione immobile concesso in comodato dal conduttore Sez. III, 29 settembre 2005, n. 19139
La responsabilit per ritardata restituzione della cosa locata, avendo natura contrattuale, posta a carico del
conduttore il quale, per esimersi da detta responsabilit, tenuto a provare, secondo la regola generale dell'art.
1218 c.c., che l'inadempimento o il ritardo stato determinato da impossibilit della prestazione derivante da
causa a lui non imputabile.
L'ordinaria diligenza richiesta dall'art. 1227, 2 comma c.c. al creditore, per evitare un suo concorso nella
produzione del danno, non implica l'obbligo di compiere attivit gravose o rischiose, come, la proposizione di
un'azione di cognizione o esecutiva per ottenere il rilascio della cosa locata.
Fatta salva la facolt del locatore di porre in esecuzione anche contro il terzo occupante il titolo esecutivo
ottenuto contro il conduttore, non pu essere negato a quest'ultimo il potere di agire, in base alla sua personale
e diretta legittimazione di parte contraente, contro il comodatario, allo scopo di conseguire il rilascio della cosa,
per poterla a sua volta consegnare al locatore, in adempimento dell'obbligo di restituzione sancito a suo carico
dall'art. 1591 c.c.
Dimissioni dell'Amministratore nel corso del giudizio Trib. civ. Ariano Irpino ord., 29 ottobre 2004
Nel corso del giudizio in cui sia parte costituita un condominio, la cessazione dalla carica dell'amministratore per
dimissioni costituisce causa di interruzione del giudizio quando l'evento sia stato dichiarato in udienza prima
dell'assegnazione della causa a sentenza.
Legittimo il diniego della concessione edilizia in sanatoria per opere abusive su parti comuni
dell'edificio per il mancato assenso dei condomini Cons. Stato, sez. V, 21 ottobre 2003, n. 6529
Il principio secondo cui il Comunepu, in sede di rilascio della concessione edilizia, legittimamente richiedere il
consenso del comproprietario dell'area interessata dall'intervento edilizio trova applicazione anche nel caso di
richiesta di concessione in sanatoria.
Pertanto, laddove l'abuso riguardi parti comuni di un edificio condominiale, in mancanza dell'assenso
dell'amministrazione del condominio, deve ritenersi legittimo il diniego opposto dal Comune al rilascio di
concessione ex art. 13 L. n. 47/1985.
Marciapiedi antistante un edificio condominiale - Obbligo di manutenzione Cass. Civ., III Sez., sentenza n.
16226 del 3 agosto 2005 Nel caso di danno provocato dalla presenza di alcuni buchi sul marciapiedi risponde
lente pubbllico, e non il condominio dello stabile antistante che non pu essere chiamato a rispondere dei danni
in nome dell'inadempimento ad un obbligo di gestione manutentiva spettante all'ente che ha lobbligo di
provvedere alla manutenzione non solo della sede stradale.
Destinazione del cortile comune ad uso diverso. Cass. Se. II, 21 aprile 2005 n. 8379
Per quanto concerne il mutamento della naturale destinazione del cortile comune ad uso diverso (nella specie
area di parcheggio) da quello cui naturalmente destinato, rientra nella competenza del tribunale e non dal
giudice di pace la controversia nella quale si contesti la possibilit per l'assemblea dei condomini.
Infatti, negandosi in radice il diritto dei condomini ad utilizzare come area di parcheggio il cortile comune, la
domanda non concerne le modalit quantitative o qualitative dell'uso della cosa o dei servizi comuni, bens la
stessa possibilit dell'esercizio del diritto.

Anche loratorio deve rispettare i vicini - Cassazione 31 gennaio 2006, n. 2166 Massime dal sito della Corte di Cassazione
Anche i beni di propriet degli enti ecclesiastici sono tenuti al rispetto delle norme che limitano il
diritto di propriet, regolando esse i rapporti tra cittadini senza comprimere in alcun modo la libert
religiosa (nel caso di specie stata ritenuta applicabile la disciplina dettata dallart. 844 c.c. alle
immissioni sonore provocate dalle attivit sportive praticate nel campo giochi di una parrocchia).
In tema di immissioni (nella specie, rumori provocati da attivit sportive praticate allaperto) il
contemperamento delle esigenze della propriet con quelle ricreative e sportive deve essere effettuato
in concreto, tenendo conto anche delle abitudini di vita, dei costumi sociali e della maggiore
possibilit di praticare lo sport allaperto per un numero consistente di ore durante le stagioni

caratterizzate da un maggior numero di ore di luce e da un clima pi mite.


vecchio proprietario per i debiti accumulati in epoca precedente. In questo caso vale infatti il principio generale
della personalit delle obbligazioni, e non quello dell'ambulatoriet passiva, come di norma nell'art. 63, att. C.C..
Cassazione Sez. III n. 1956 del 22/02/2000
Assemblea - diritto di convocazione anche per i condomini in conflitto di interessi
Trib. civ. Genova, sez. III, 26 settembre 2003, n. 10349
I condomini che versano in situazione di conflitto di interessi con il condominio hanno diritto di partecipare
all'assemblea, pur dovendo poi astenersi al momento della votazione relativamente a quegli argomenti
dell'ordine del giorno su cui esiste il contrasto.
Difetti dell'edificio e responsabilit dell'appaltatore: denuncia e termini
Tribunale Novara, sentenza 25.01.2006 n 97 Quando decorre il dies a quo dei termini decadenziali e
prescrizionali dellart. 1669 c.c.? E se stato svolto un accertamento tecnico preventivo? La sentenza n. 97 del
25 gennaio 2006 del Tribunale di Novara, in composizione monocratica, analizza, con straordinaria acutezza, la
questione ed degna di massima attenzione a riguardo. Nella fattispecie infatti, gli attori un condominio e
alcuni condomini di unit immobiliari delledificio evocavano in giudizio limpresa costruttrice e venditrice in
relazione a gravi vizi di costruzione che, nelle rispettive propriet e nelle parti comuni del condominio, essi
assumevano essersi manifestati nel tempo. Riferivano di aver pi volte inutilmente invitato la medesima societ
costruttrice ad eliminarli, di aver altres promosso due accertamenti tecnici preventivi verso la stessa costruttrice,
avanti al Tribunale di Novara, e, dichiarando espressamente di esperire lazione di responsabilit prevista
dall'art. 1669 cod. civ., appunto chiamavano in giudizio essa costruttrice per ivi sentirla condannare alla
eliminazione a sue spese dei gravi vizi costruttivi in questione e per sentirla dichiarare tenuta - in caso di
mancata esecuzione specifica del ripristino - a rimborsare agli attori delle spese alluopo necessarie, ed in ogni
caso, al risarcimento dei danni tutti da loro subiti in conseguenza di detti gravi difetti. Costituitasi in giudizio,
limpresa costruttrice contestava nel merito la sussistenza dei pretesi vizi, la sua responsabilit per gli stessi e in
ogni caso la applicabilit alla fattispecie dell'art. 1669 cod. civ., ma preliminarmente eccepiva anche l'intervenuta
decadenza degli attori dal diritto di proporre lazione di responsabilit prevista da tale disposizione di legge
nonch la prescrizione dellazione medesima. Le domande attoree vengono respinte per intervenuto decorso
del termine prescrizionale breve previsto dall'art. 1669 co. 2 cod. civ.
In motivazione, il Tribunale novarese
richiama dichiarando di condividerlo l'orientamento interpretativo invocato dalla difesa attorea, giusta il
quale il termine decadenziale di un anno per la denuncia del pericolum ruinae o di gravi difetti nella costruzione
di un immobile contemplato dall'art. 1669 cod. civ. quale condizione dell'azione di responsabilit contro
lappaltatore, decorre s dalla scoperta: intesa per come il momento in (e latto con) cui il committente abbia
conseguito un consistente grado di conoscenza oggettiva della gravit dei difetti e della loro derivazione causale
dall'imperfetta esecuzione dell'opera; non essendo sufficienti, viceversa, manifestazioni di scarsa rilevanza e
semplici sospetti.
E ne spiega anche la ratio, con lapprezzabile tentativo di bilanciare linteresse dei
committenti/acquirenti a ponderare adeguatamente le proprie eventuali iniziative giudiziarie evitando azioni
generiche a carattere esplorativo (cos, fra le molte, Cass. n. 11740 del 1'18/2003), con il contrapposto interesse
del costruttore - tutelato in via principale dalle disposizioni citate - a non essere 'chiamato in causa' quando il
decorso del tempo ha ingenerato nella collettivit in genere ed in lui in ispecie la legittima convinzione di aver
realizzato un edificio esente da pericoli di crollo o gravi difetti costruttivi; e quindi a non rimanere assoggettato
sine die alle rimostranze degli acquirenti. Ci ha spinto in alcuni casi la Corte di legittimit ad avallare le
decisioni dei giudici di merito secondo cui il dies a quo dell'anno entro il quale il difetto va denunziato e poi
lazione esercitata pu essere individuato nella data in cui, nell'ambito di un procedimento di accertamento
tecnico preventivo instaurato ad iniziativa degli acquirenti, sia stata depositata la relazione scritta del consulente
dellUfficio che ne abbia autorevolmente avvallato lesistenza (cos, fra le altre, la gi citata Cass. n. 567 del
13/1/2005 e Cass. n. 4622 del 251312002). Ma il Giudice di Novara e qui si inserisce la sua interpretazione
particolarmente acuta e perci interessante osserva che tali pronunce, a ben leggerle, non sanciscono n lo
potrebbero - che la proposizione di un procedimento di descrizione ed accertamento dei gravi vizi costruttivi
introdotto con ricorso ex artt. 699 e 696 c.p.c. varrebbe sempre e comunque a far coincidere la scoperta del vizio
con la conoscenza della relazione del consulente tecnico ivi nominato dal giudice, rilevando in punto che in tal
modo, infatti, si verrebbe a creare surrettiziamente un automatismo sostanziale e processuale che non solo non
trova nella norma - la quale contiene un insuperabile riferimento alla 'scoperta del grave difetto costruttivo
alcun fondato appiglio, ma sposterebbe lago del ragionevole bilanciamento di interessi cui s' fatto cenno sopra
a tutto vantaggio dei committenti/acquirenti dell'immobile: i quali potrebbero cos comodamente aggirare
decadenze e prescrizioni pure - in ipotesi platealmente maturate con Ia semplice richiesta di un accertamento
tecnico ante causam, per poi protestare di aver 'scoperto' definitivamente i difetti stessi solo al momento del
deposito della relazione del consulente del Tribunale.
Ed ecco quindi il criterio da seguire suggerito dal
Giudice novarese: Va piuttosto detto, seguendo la ratio decidendi di quelle pronunce, che nei casi dubbi nei
quali si accerti in concreto che solo una approfondita indagine tecnica officiosa ha potuto convincere gli aventi
diritto della obiettiva gravit dei problemi percepiti e della loro diretta derivazione causale da un vizio del suolo o
da un difetto della costruzione, allora s la scoperta pu esser fissata nel deposito della relazione di consulenza;
mentre ci non pu ritenersi le quante volte risulti, sempre in concreto, che quella conoscenza fosse gi stata
raggiunta con un grado apprezzabile di certezza tecnica (ch la parola finale spetter sempre e comunque, in
caso di disaccordo, all'autorit giudiziaria) in una data anteriore alla proposizione del ricorso, anche perch
questo gi di suo costituisce lespressione di una raggiunta convinzione - quantomeno soggettiva - in merito

all'esistenza del grave difetto o pericolo di rovina.

http://www.altalex.com/index.php?idnot=33852

Dal momento che lo stabile si trova in Lombardia opportuno prendere in considerazione la legge regionale.
L'art. 3.2 della legge della Regione Lombardia n. 15/96 qualifica gli interventi di recupero ai fini abitativi dei
sottotetti esistenti come interventi di ristrutturazione edilizia. A sua volta, l'art. 13.1 della legge regionale n. 6/89
(in tema di barriere architettoniche) precisa che le prescrizioni dell'allegato "si applicano ai fini del rilascio delle
concessioni di edificazione ... per le costruzioni esistenti relativamente ad interventi di ... ristrutturazione
edilizia...." Per quanto ci riguarda opportuno fare riferimento al punto 5.3.3 dell'allegato regionale per il quale
"negli edifici con pi di tre piani fuori terra l'accesso agli alloggi deve essere garantito da almeno un
ascensore..." A questo punto sembra evidente che gli interventi di ristrutturazione edilizia (ivi compreso il
recupero dei sottotetti) interessanti edifici con pi di tre piani fuori terra debbano prevedere la realizzazione
dell'ascensore. Resta ovviamente la facolt di applicare le deroghe di cui all'art. 20 della legge regionale n.
6/89, sussistendone i presupposti.
Nel caso di recupero a fini abitativi del sottotetto ricorre l'obbligo di installazione dell'ascensore o del
servoscale? Giova puntualizzare che la l.r. 15/96 si configura quale disciplina a carattere speciale, come
testimoniano gli ampi spazi derogatori che contempla.
Ci premesso, per quanto attiene all'incidenza della specifica normativa in materia di superamento delle barriere
architettoniche dettata dalla l.r. n. 6/89, il legislatore regionale ha compiuto una scelta chiara ed esplicita, nel
senso di prevedere l'applicazione della legislazione non in toto, bens "limitatamente ai requisiti di visitabilit ed
adattabilit dell'alloggio" (art. 3, comma 4, l.r. n. 15/96).
Tali requisiti, come definiti dall'art. 14, commi 2 e 3, della l.r. n. 6/89, sono dettagliati nell'allegato alla legge
stessa (p.ti 6.1.1 e 6.1.2), e risultano riferiti esclusivamente all'alloggio e non alle parti comuni dell'edificio.
Rimane, pertanto, escluso l'obbligo di installazione dell'ascensore e del servoscala, nel caso di recupero a fini
abitativi di un sottotetto rustico trattandosi di requisiti di accessibilit e non di visitabilit ed adattabilit
dell'alloggio, richiesti, invece, dall'art. 3 della l.r. n. 15/96. http://www.ap2000.it/leggi/circ_rl_210400.htm
Uso esclusivo del lastrico solare Trib. civ. Milano, sez. VIII, 14 gennaio 2003, n. 443
Il diritto di uso esclusivo del lastrico solare condominiale, anche quando il titolo ne stabilisca l'attribuzione
perpetua al proprietario dell'immobile sottostante, non pu confondersi con la propriet sul terrazzo, essendo
l'uso diritto reale di natura temporanea, personale, incedibile.
Realizzazione parcheggio - area pertinenziale Consiglio di Stato, V^ Sezione, decisione n1608/06 del 29
marzo 2006 Larticolo 9, comma 1, della legge 122/89, e successive modificazioni, stabilisce che "i proprietari
di immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati
parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unit immobiliari anche in deroga agli strumenti urbanistici ed
ai regolamenti edilizi vigenti". La norma continua disponendo che "tali parcheggi possono essere realizzati, ad
uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato purch non in
contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto delluso della superficie sovrastante e compatibilmente con
la tutela delle risorse idriche". In base alla norma ora riportata, i predetti parcheggi devono essere realizzati, se
non vengono a ci adibiti i locali del piano terra di un fabbricato, nel sottosuolo dello stesso fabbricato ovvero nel
sottosuolo di unarea pertinenziale esterna.
Revoca Amministratore e compenso per la normale durata dell'incarico
Giud. pace Avellino, 22 settembre 2005
L'amministratore anticipatamente revocato dall'assemblea non ha diritto al pagamento dell'intero compenso
stabilito per la normale durata dell'incarico, ma alla minor somma liquidata in proporzione al tempo di effettiva
esecuzione del mandato.
In tema di condominio la presunzione di propriet comune di ciascuna delle parti indicate nell'art. 1117 c.c. non
pu essere vinta se non da elementi di significato certo ed univoco, idonei a far ritenere che la parte in
contestazione sia stata considerata dalla comune volont dei contraenti oggetto della propriet esclusiva di
uno di essi. Cass. civ., Sez.II, 07/11/1994, n.9221
Il vincolo pertinenziale comporta l'esclusivit della funzione accessoria, onde nell'ipotesi di un immobile
contemporaneamente adibito al servizio di diversi altri, appartenenti ciascuno a proprietari diversi pu solo
verificarsi un caso di propriet comune ovvero un caso di servit. Cass. civ., Sez.II, 07/11/1994, n.9221
Nel caso in cui su una delle parti comuni di un edificio in condominio (elencate dall'art. 1117 c.c.), grava un peso
diretto a fornire ad un piano o ad una porzione di piano in propriet esclusiva una utilit ulteriore e diversa,
rispetto a quella normalmente derivante dalla destinazione della cosa al servizio di tutte le unit immobiliari, si
configura una servit: sempre che tale peso abbia origine nei modi previsti dalla legge e, tra questi, la
destinazione del padre di famiglia. Cass. civ., Sez.II, 13/11/1993, n.11207
In tema di costituzione di servit per destinazione del padre di famiglia, la disposizione dell'art. 1062,
comma 2, c.c., nel richiedere l'assenza di una disposizione relativa alla servit all'atto della separazione dei fondi
appartenenti allo stesso proprietario, non deve essere intesa nel senso restrittivo che una qualunque clausola
relativa alla servit sia sufficiente a rendere inoperante la sua costituzione per destinazione del padre di famiglia,
ma nel senso di una qualunque clausola il cui contenuto sia incompatibile con la volont di lasciare integra e

immutata la situazione di fatto che, in forza di legge, determina il sorgere della corrispondente servit,
convertendo la situazione di fatto in situazione di diritto. Cass. civ., Sez.II, 13/11/1993, n.11207
Rifacimento delle facciate - ripartizione della spesa - Art. 1123, Codice civile - Inapplicabilit tabelle millesimali
di propriet.
Merita accoglimento la domanda di impugnazione di delibera con la quale sia stato deciso di
ripartire in base al criterio millesimale, indistintamente tra tutti i condomini, le spese per una serie di interventi di
ristrutturazione dello stabile che comprendevano il rifacimento della facciata previa demolizione dell'intonaco e
sostituzione con l'altro, comprese le balconate (n. d. r. nel caso in esame comunque correttamente addebitate ai
soli proprietari di queste, per la parte loro esclusiva). Ci si trova qui in presenza di opere non di opere di
semplice manutenzione estetica della facciata, suscettibili, secondo noti principi, di essere ripartite tra tutti i
condomini in ragione delle rispettive quote di propriet, ma interessanti strutture di cui si avvalgono
principalmente i proprietari di appartamenti cui la facciata serve da protezione, o addirittura, come nel caso di
balconi, i soli proprietari di questi (n. d. r. vedi quanto gi sopra precisato e quindi in questo caso non oggetto
d'impugnazione). Rappresenta quindi un eccesso di potere da parte dell'organo decisorio condominiale la
ripartizione di queste spese indiscriminatamente tra tutti i partecipanti al condominio comprendendovi coloro
che, essendo proprietari di un'unit situata al livello delle cantine, non si avvale in alcun modo diretto della
facciata se non per le parti comuni che appartengono all'edificio riparato dalla facciata (come l'androne).
Tribunale Milano 30 dicembre 1999, n. 10526
sentenza N 6844 del 16 Dicembre 1988, emessa dalla II. sezione della Cassazione che si spinge anche oltre,
visto che afferma, che larticolo del regolamento di natura contrattuale, che prevede lesenzione totale di una
unit, applicabile non solo alloriginario proprietario, ma anche a tutti i proprietari subentarnti, in quanto
lesenzione non si riferisce ad un soggetto specifico bens allunit immobiliare, e quindi applicabile allunit e
nulla ha a che vedere con i proprietari della stessa.
Nomina amministratore: verbale di assemblea falsato. Trib. pen. Genova, Uff. Del Gup ord., 21 luglio 2004
L'amministratore di condominio che falsa il verbale di assemblea condominiale per riconfermare autonomamente
l'incarico non rischia di essere accusato per truffa.
Invero, se la falsit commessa nel verbale dattiloscritto ben potrebbe costituire artificio idoneo ad indurre in
errore una persona, manca peraltro l'elemento dell'ingiustizia del profitto con altrui danno, atteso che l'artificio
deve essere finalizzato proprio all'induzione in errore dell'altra parte che per ci si determini ad un atto di
disposizione patrimoniale che altrimenti non avrebbe effettuato.
Apertura passo carrabile senza autorizzazione Cass. Sez, II Civ., sentenza n. 20898 del 27 ottobre 2005
Quando sia contestata lapertura di un passo carrabile senza autorizzazione, devoluta alla cognizione del
giudice di pace sia lopposizione alla sanzione amministrativa pecuniaria che quella alla sanzione accessoria,
relativa al ripristino dello stato dei luoghi.
Rientra tra gli obblighi del notaio che sia richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita
immobiliare, lo svolgimento delle attivit accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato
voluto dalle parti ed in particolare il compimento delle cosiddette visure catastali e ipotecarie allo scopo di
individuare esattamente il bene e verificarne la libert (tra le altre molte in questo senso: Cass. 18 febbraio
1981 n.982, in Mass., 1981; Cass. 20 febbraio 1987 n.1840, in Vita notarile, 1987, 388 nonch in Riv. Notariato,
1987, 814; Cass. 18 ottobre 1995 n.10842, in Mass. 1995; Cass.21 aprile 2000 n.5232, in Mass., 2000
Affitto, abrogazione articoli della legge sullequo canone: se il contratto stato fatto in base alla L.
431/1998. Ebbene, l' Art. 14. (Disposizioni transitorie e abrogazione di norme) dice al comma 4:
4. Sono
altres abrogati gli articoli 1, 3, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 54, 60, 61, 62, 63, 64,
65, 66, 75, 76, 77, 78, 79, limitatamente alle locazioni abitative, e 83 della legge 27 luglio 1978, n. 392, e
successive modificazioni. Pertanto, l'art. 23 L.392/1998, non si applicherebbe ai contratti di locazione ex
L.431/1998. Ladeguamento del canone in funzione degli interessi legali sulle ristrutturazioni e lavori
straordinari non si applica in base al vecchio equo canone, ma deve essere inserito nel contratto stesso.
Con la licenza commerciale... il cambio di destinazione dsuo. Lavvenuto rilascio di una licenza per la
somministrazione di alimenti e bevande comporta lavvenuto cambio di destinazione dellimmobile (da abitazione
ad attivit commerciale).
Il caso sottoposto allattenzione della IV sezione del TAR Lombardia (deciso con sentenza n. 137/2005 ) e,
quindi al Consiglio di Stato (deciso con la sentenza del 21 aprile 2006, n. 2256 qui interamente leggibile tra i
documenti correlati ), appare degno di approfondimento.
Dei privati, proprietari di una unit immobiliare abitativa (ma ormai utilizzata da anni per uso commerciale)
presentano una D.I.A.; la p.a. rifiuta lesecuzione dei lavori e sospende anche lattivit comemrciale in atto sul
presupposto dellillegittimo cambio di destinazione in atto.
In primo grado il TAR da partita vinta al Comune ma la decisione viene letteralmente ribaltata dal giudice di
appello in quanto lavvenuto rilascio delle licenze commerciali avrebbe implicitamente trasformato la
destinazione duso dellimmobile.
Pi precisamente il Consiglio di Stato ha ritenuto che la p.a. Non aveva la possibilit di vietare i lavori in quanto,
a seguito dellavvenuto rilascio della licenza per la somministrazione di bevande era venuta a conoscenza
delleffettiva cambio di destinazione dellunit immobiliare

Inabitabile labitazione troppo bassa. Non pu essere utilizzata per soddisfare le esigenze abitative del
nucleo familiare lunit immobiliare che presenta unaltezza utile inferiore ai minimi previsti dalla legge. Secondo
il Consiglio di Stato lunit immobiliare che non soddisfa i requisiti necessari per lottenimento dellabitabilit non
pu essere utilizzata a scopi abitativi e, di conseguenza, il proprietario pu godere dellassegnazione di unit
immobiliare per edilizia popolare.
Tra i documenti correlati leggibile la sentenza n. 1175 resa in data 11 gennaio 2006 dalla seconda sezione
del TAR Laziale
Ristrutturazione o demolizione e ricostruzione pari sono. La concessione per la ristrutturazione di un
immobile consente anche la demolizione a condizione, per, che sia assicurata lidentit di sagoma, volume e
superficie rispetto alledificio originario. Lo ha stabilito la quinta sezione del Consiglio di Stato con la decisione
2085/06 (depositata lo scorso 14 aprile e gui leggibile nei documenti correlati.
Palazzo Spada ha accolto il ricorso di una societ in accomandita semplice che si era vista prima rilasciare dal
Comune di Novi Ligure una concessione per ristrutturare dei magazzini in modo da poterli trasformare in
unautorimessa e poi negare la sanatoria. Del resto, almeno secondo lamministrazione comunale, limmobile era
stato demolito e poi ricostruito.
Il Tar Piemonte aveva respinto il ricorso della Sas ritenendo legittimo il provvedimento con il quale il dirigente
comunale aveva espresso il diniego sullistanza di concessione in sanatoria presentata dallimpresa.
Di diverso avviso i giudici di piazza Capo di Ferro. In effetti, hanno chiarito i consiglieri di Stato, la stessa legge
della Regione Piemonte, la 56 del 1977, che ammette demolizioni e ricostruzioni di elementi, anche strutturali,
della costruzione sulla quale si interviene con la ristrutturazione. Inoltre, ha concluso Palazzo Spada, il concetto
di ristrutturazione edilizia consente anche la demolizione seguita dalla ricostruzione del manufatto, purch ne sia
assicurata lidentit di sagoma, di volume e di superficie.
Lastrico copertura parziale. Tecnicamente la procedura : 1) si determina la porzione di superficie interessata
dalla proiezione del lastrico e se ne definisce il rapporto con l'intera superficie della u.i.; 2) questo coefficiente
frazionario corregge i millesimi della u.i.; 3) si sommano tutti i millesimi corretti e si ottiene un nuovo
costo/millesimo e le conseguenti quote a carico di ciascuno.
So che molti amministratori non concordano, questo solo il mio parere, che reputo giusto ed equo. (infatti una
ripartizione tra tutti i verticalisti, senza considerare l'incidenza della loro interferenza con la proiezione del lastrio,
genera iniquit insopportabili).
26/04/2005 ----Condominio: la ripartizione delle spese per il rifacimento del tetto
L'articolo 1123 prende in considerazione una realt complessa, come quella del condominio, che per struttura e
problematiche diverge notevolmente rispetto a ...
Il tetto viene definito come l'insieme delle opere destinate a preservare l'interno dell'edificio dagli agenti
atmosferici, nella sua parte superiore. Il solaio ed il sottotetto, non adempiendo ad alcuna funzione di copertura
non vanno ricompresi tra le parti comuni.
Il codice civile all'articolo 1117 annovera il tetto tra le parti comuni dell'edificio, la cui propriet indivisa spetta
pro-quota ai singoli condomini.
L'articolo 1123 del codice civile in materia di ripartizione delle spese tra condomini stabilisce la regola generale
secondo la quale "le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio,
per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, sono
sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della propriet di ciascuno salvo diversa
convenzione".
Il comma secondo del suddetto articolo prevede unimportante deroga al principio della ripartizione delle spese
in relazione al valore della propriet. Esso infatti sancisce che: "se si tratta di cose destinate a servire i
condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno pu farne."
Dall'enunciato comma si desume che, nel caso in cui il tetto copra l'intero edificio, le spese di manutenzione
devono essere sostenute da tutti i condomini in base ai millesimi di propriet. Se per le spese riguardano un
tetto che, per la conformazione dello stabile, copre solo una parte dell'edificio o parti di edificio in misura
differente, le stesse devono essere ripartite solo tra i condomini proprietari delle unit immobiliari coperte dal
tetto.
Lo stesso dicasi nell'ipotesi in cui il tetto copra in misura differente diverse abitazioni. In questo caso le spese
andranno ripartite in proporzione alla superficie coperta dal tetto oggetto di rifacimento.
L'espressione "in misura diversa" contenuta al secondo comma dell'articolo 1123, si riferisce alla possibilit che
uso e godimento del bene, siano diversi per i singoli condomini, a prescindere dall'entit delle quote, a causa di
circostanze evidenti in base alla struttura del bene ed alla destinazione di esso, quale risulta dallo stato dei
luoghi
La succitata disposizione da considerarsi norma speciale rispetto al principio generale sancito dall'articolo
1110 del codici civile, in base al quale le spese debbono gravare su tutti i partecipanti in proporzione al valore
delle quote di ciascuno di essi. L'articolo 1123 prende in considerazione una realt complessa, come quella del
condominio, che per struttura e problematiche diverge notevolmente rispetto a quella pi semplice della
comunione. Tale norma speciale ispirata ad una esigenza di disciplina che meglio si adatta alle specifiche
caratteristiche del condominio negli edifici, ove le parti comuni hanno una precisa funzione strumentale rispetto
alle parti in propriet esclusiva dei singoli condomini, delle quali esse sono a servizio.
La ratio del secondo comma dell'articolo 1123 del codice civile, deve essere ravvisata nell'opportunit di stabilire
un criterio di ripartizione fondato sull'utilit che il bene apporta a favore dei singoli condomini, sul presupposto
che tale utilit pu senza dubbio divergere da condomino a condomino.
La regola generale di ripartizione delle spese ai sensi degli articoli 1117 e 1123 1 comma del codice civile,

applicabile "solo se la cosa comune in relazione alla sua consistenza e alla sua funzione sia destinata a servire
ugualmente ed indiscriminatamente le diverse propriet" (Cass. Civ. sez II, 23.12.1992 n. 13655).
Cos la Corte di Cassazione in sentenza n. 7077 del 22.06.1995: "In tema di condominio di edifici il principio di
proporzionalit tra le spese ed uso di cui al secondo comma dell'articolo 1123 del codice civile, secondo cui le
spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio sono ripartite, qualora si tratti di cose
destinate a servire i condomini in misura diversa, in proporzione dell'uso che ciascuno pu farne, esclude che le
spese relative alla cosa che in nessun modo, per ragioni strutturali o attinenti alla sua destinazione, pu servire
ad uno o pi condomini possano essere poste anche a carico di quest'ultimi". Lo stesso principio ribadito dalla
giurisprudenza di legittimit nelle sentenze n. 6359/1996 e n. 5458/1986 della Corte di Cassazione.
Il criterio applicabile pertanto, quello della proporzionalit tra spese ed uso o ancor pi esattamente tra spese
ed utilit arrecata.
E' evidente che per estensione analogica, cos come i condomini che non traggono utilit dall'intervento non
debbono sostenere alcuna spesa, cos ove essi traggano unutilit minore rispetto ad altri condomini, debbono si
partecipare alla ripartizione delle spese, ma in misura minore, in termini di percentuale.
Una ripartizione che non tenga in considerazione la differenza in termini di superficie tra le varie abitazioni,
lederebbe ingiustamente i diritti degli abitanti di quegli appartamenti, che per esiguit di superficie o per
parzialit di copertura si vedrebbero costretti a contribuire alle spese nella stessa misura di chi trae dalla
copertura unutilit maggiore. Il sistema di ripartizione delle spese come previsto dal secondo comma
dell'articolo 1123 c.c., sarebbe derogabile esclusivamente attraverso una convenzione sottoscritta da tutti i
condomini o da una deliberazione presa dagli stessi in sede assembleare con l'unanimit dei consensi dei
partecipanti al condominio (in tal senso Cass. Civ. n. 6231 del 04.06.1993). Una delibera derogante alle
disposizioni di cui al secondo comma dell'articolo 1123 c.c., adottata non con decisione unanime dei condomini,
venendo direttamente ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino, sarebbe inefficace nei confronti del
condomino dissenziente o assente, per nullit radicale deducibile senza limitazioni di tempo e non meramente
annullabile su impugnazione da proporsi entro 30 giorni, ai sensi dell'articolo 1137 codice civile. Infatti in materia
di delibere relative alla ripartizione di spese tra condomini, le attribuzioni dell'assemblea, ai sensi dell'articolo
1135 comma secondo del codice civile, sono circoscritte alla verificazione ed applicazione in concreto dei criteri
fissati dalla legge e non comprendono il potere di introdurre deroghe ai criteri medesimi (Cass. Civ. n. 12375 del
19.11.1992).
Per ci che concerne i soggetti obbligati a sostenere seppure in misura diversa le spese per il rifacimento del
tetto, nulla questio, sulla esclusione dalla contribuzione dei condomini che non traggono dal rifacimento alcuna
utilit. Ci in ossequio al 3 comma dell'articolo 1123 il quale espressamente sancisce che: "qualora un edificio
abbia pi scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese
relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilit".
E' altres vero che, nel caso previsto dal terzo comma dell'articolo 1123 i condomini che non traggono alcuna
utilit dall'opera (perch ad esempio abitanti negli appartamenti le cui scale di accesso non sono oggetto di
rifacimento), non debbono partecipare alla delibera relativa a tale spesa.
A parere di chi scrive, gli interventi da effettuarsi sul tetto, non costituiscono di regola innovazioni e pertanto
non sono applicabili gli articoli 1121 e 1122 del codice civile. E fondamentale alluopo fornire una definizione di
innovazione.Il codice civile non fornisce una definizione di innovazione, ma questa pu essere ricavata da
pronunce della Giurisprudenza di legittimit. Costituisce innovazione, qualsiasi opera nuova che alteri, in tutto o
in parte , nella materia o nella forma, ovvero nella destinazione di fatto o di diritto, la cosa comune, eccedendo il
limite della conservazione, dellordinaria amministrazione e del godimento della cosa e che importi una modifica
materiale della forma e della sostanza della cosa medesima, con leffetto di migliorarne o peggiorarne il
godimento, o comunque alterarne la destinazione originaria, con conseguente incidenza sullinteresse di tutti i
condomini, i quali debbono essere liberi di valutare la convenienza dellinnovazione.Al contrario non
costituiscono innovazioni, tutti gli atti di maggiore o pi intensa utilizzazione della cosa comune, che non
importino alterazioni o modificazione della stessa e non precludano agli altri partecipanti la possibilit di
utilizzare la cosa facendone lo stesso maggiore uso del condomino che abbia attuato la modifica.Di tutta
evidenza dunque che le innovazioni sono opere di trasformazione tali da alterare loriginaria destinazione del
bene e tali da incidere in modo rilevante sullinteresse di tutti i condomini.
In tema di spese per la riparazione o ricostruzione del lastrico solare di uso esclusivo di alcuni condomini,
quando l'art. 1126 c.c. fa riferimento alla "porzione di piano" non intende aver riguardo alla "porzione"
della propriet, ma alla porzione come unit. Pertanto, sufficiente che si trovi sotto il lastrico solare
anche una sola parte di una unit immobiliare, perch la propriet di detta unit concorra alla
ripartizione delle spese pari ai due terzi dell'intero, restando a carico della propriet del lastrico il restante un
terzo. Tribunale Bologna, 27 novembre 2001
Parcheggi sotterranei, anche in deroga al piano regolatore. Parcheggi, i proprietari degli immobili possono
realizzarli anche nel sottosuolo di aree esterne al fabbricato a condizione che non contrastino con i piani urbani
del traffico. Tuttavia, non possibile costruire posti auto sullo stesso piano delledificio. Lo ha chiarito la quinta
sezione del Consiglio di Stato con la decisione 1608/06 (depositata lo scorso 29 marzo e ( qui leggibile nei
documenti correlati). Palazzo Spada ha respinto il ricorso di due proprietari che si erano visti annullare dal Tar
Calabria la concessione edilizia rilasciata in sanatoria per la costruzione di alcuni parcheggi adiacenti ai propri
immobili. Del resto, nella realizzazione dei posti auto non erano stato rispettate le distanze. Ma non solo, il
parcheggio non era sotterraneo ma era posto sullo stesso piano dellimmobile. I giudici di piazza Capo di Ferro
nel confermare la sentenza del Tribunale hanno spiegato che larticolo 9 della legge 122/89 stabilisce che i

proprietari di immobili possono realizzare nel sottosuolo parcheggi da destinare a pertinenza dei singoli edifici
anche in deroga agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti. Tuttavia, la disposizione prevede che i
posti auto possano essere realizzati anche nel sottosuolo di aree di pertinenza degli immobili, ma non certo sullo
stesso piano degli stessi edifici
RIPARTO DELLE SPESE PER RIFACIMENTO terrazzo
D. Sulla base di quali norme avviene la ripartizione della spesa per il rifacimento parziale del solaio?
Nel caso in cui lassemblea approvi la realizzazione di opera edile, ripartendo la spesa in base ad un criterio
diverso da quello vigente in materia, la relativa delibera nulla o annullabile?
R. Pur nel silenzio del legislatore, pacifico che, al fine dellapplicazione del criterio di ripartizione delle spese
dettato dallart. 1126 cod. civ., ai lastrici solari sono equiparate le terrazze a livello di propriet o in uso esclusivo
del singolo condomino, che fungono da copertura, in tutto o in parte, ad unit immobiliari sottostanti.
Lart. 1126 cod. civ. dispone che le spese per la manutenzione e la ricostruzione di tali lastrici e terrazze devono
essere corrisposte per un terzo da coloro che ne hanno luso esclusivo e per due terzi da tutti i condomini
proprietari di unit immobiliari comprese nella colonna daria sottostante il lastrico o la terrazza oggetto di
riparazione. Tale articolo individua la misura del contributo per le spese di riparazione e di ricostruzione,
rispettivamente dovuto dallutente o proprietario esclusivo e dagli altri condomini, sulla base del rapporto
appunto un terzo e due terzi tra lutilit connessa alluso o alla propriet del terrazzo o del lastrico e quella
invece prevalente connessa alla funzione di copertura totale o parziale delledificio.
Restano cosi a carico esclusivo dellutente o del proprietario del terrazzo (o del lastrico ) le spese attinenti a
quelle parti di esso del tutto estranee alla funzione di copertura, mentre tutte le altre spese, siano esse di natura
ordinaria o straordinaria, riguardanti le parti di terrazzo svolgenti una funzione di copertura, vanno sempre
suddivise, nella misura predetta, anche tra i condomini proprietari degli appartamenti sottostanti. Con il termine
<<riparazione>>, di cui allart. 1126 cod. civ., il legislatore ha inteso riferirsi a quegli interventi sulle parti di
lastrico (o di terrazzo) determinati dalluso esclusivo, ma comunque collegati alla funzione di copertura dei piani
sottostanti.Con il termine <<ricostruzione>>, invece, ha inteso operare una netta distinzione con i primi e quindi
riferirsi a quei diversi interventi che incidono sugli elementi strutturali del lastrico (o del terrazzo), quali il solaio o
la guaina di impermeabilizzazione. A ci consegue che, anche nel caso di specie, non v dubbio che debba
trovare applicazione il criterio dettato dal citato art. 1126 cod. civ. e non gi quello dettato dallart. 1125 cod. civ.
che, prevedendo la ripartizione della spesa in parti uguali tra i proprietari dei due piani, andrebbe
ingiustificatamente a penalizzare il proprietario dellappartamento sottostante il terrazzo, a vantaggio degli altri
condomini che comunque godono del terrazzo come copertura. Tra tutti i condomini sottostanti il terrazzo va
poi operata una ulteriore diversificazione fra coloro la cui propriet gode interamente del terrazzo come
copertura oppure solo parzialmente: la stessa legge che prospetta la possibilit che il lastrico o la
terrazza siano utili solo ad una parte delledificio o a parti differenti di ogni singolo appartamento.
Nel caso di copertura parziale, i proprietari di tali unit immobiliari dovranno partecipare alla spesa in
ragione e proporzionalmente alla parte di immobile coperto dal terrazzo.
Quanto infine ai criteri di riparto dettati dalla legge, essi possono essere derogati dal regolamento di condominio
o da altra convenzione intervenuta tra tutti i condomini
Irregolare convocazione: argomento ordine del giorno non comunicato Trib. civ. Udine, 10 febbraio 2003,
n. 136 L'irregolarit dovuta al mancato inserimento di un argomento nell'ordine del giorno comunicato per la
convocazione dell'assemblea non pu essere fatta valere da quel condomino che, senza eccepire alcunch,
abbia accettato la discussione sul merito delle questioni trattate.
Ricorso per decreto ingiuntivo - "Autentica" di copia del verbale di assemblea Tribunale Ordinario di
Verbania - Decreto 24 gennaio 2005 Va respinto il ricorso per decreto ingiuntivo, richiesto per il pagamento di
spese condominiali, in assenza di allegazione al fascicolo di parte ricorrente di copia conforme all'originale del
verbale di assemblea dal quale risulti l'approvazione dello stato di ripartizione dei contributi condominiali, atteso
che tale prova scritta non pu essere giammai costituita da copia del verbale dichiarata conforme all'originale
dall'amministratore perch questi non dotato di alcun potere certificativo al riguardo.
Tabelle millesimali adottate in violazione dei criteri dettati dall'art. 1123 c.c. Cass. Sez. II, Sentenza n.
16982 dell'18 agosto 2005
L'amministratore del condominio, nel redigere il piano di riparto delle spese tra condomini, deve attenersi alle
tabelle approvate ed accettate finch queste non siano modificate e non pu essere tenuto ad esaminare i titoli
dei singoli condomini ed a valutarli, di sua iniziativa, come (eventualmente) difformi dalle tabelle, adeguando
conseguentemente il riparto delle spese a tale valutazione, coinvolgente la posizione di tutti gli altri condomini. E
ampiamente noto che le tabelle non sono attributive della propriet ma sono atti di mera natura valutativa del
patrimonio dei singoli condomini ai limitati effetti della distribuzione tra essi del carico delle spese condominiali e
della misura delle partecipazioni e della formazione assembleare della volont del condominio. pur vero che
l'art. 1123 prescrive che le spese siano ripartite in proporzione della propriet di ciascun condomino ma anche
vero che quando, e finch, esistono tabelle millesimali, adottate come criterio concreto della ripartizione delle
spese, la violazione dell'alt. 1123 deve farsi valere impugnando le tabelle e chiedendone la modifica giudiziale e
non impugnando il piano di riparto che sia stato redatto ed approvato conformemente ad esse.
Rientra nelle obbligazioni del locatore anche quella di procurare al conduttore il certificato di abitabilit
dellimmobile Cass. Sez. III Civ., Sentenza n. 8409 dell'11 aprile 2006
In assenza di patto contrario, incombe all'alienante o disponente l'obbligo di curare l'ottenimento del certificato di
abitabilit, posto a tutela delle esigenze igieniche e sanitarie nonch degli interessi urbanistici, richiedenti

l'accertamento pubblico della sussistenza delle condizioni di salubrit, stabilit e sicurezza dell'edificio. In
presenza di contratto di locazione, pertanto, tale obbligo deve ritenersi incombere al locatore, quale proprietario
o comunque titolare del potere di disposizione sulla cosa.
Qualora tale certificato non sia ottenibile, si ha una situazione di grave inadempimento del locatore, a fronte
della quale il conduttore pu chiedere la risoluzione del contratto e il risarcimento del danno.
IL RICORSO PER DECRETO INGIUNTIVO
Quando si parla di decreto ingiuntivo si parla di uno dei primi atti che il praticante dovrebbe essere in
grado di redigere, ma non solo; sicuramente l'atto con cui si incominciano a "muovere i primi passi" in
Tribunale.
Legislativamente l'art. 633 del c.p.c. che ne disciplina le condizioni di ammissibilit all'interno del
procedimento di ingiunzione.
La prassi insegna che sarebbe buona norma di correttezza professionale, prima di predisporre un
decreto ingiuntivo, inviare al debitore una diffida al pagamento con la quale si intima al debitore stesso
di pagare la somma dovuta entro 10/15 giorni dal ricevimento della stessa. Decorso infruttuosamente
tale periodo si procede con l'azione giudiziale.
Una volta redatto il ricorso per decreto ingiuntivo qual la procedura da seguire? Istruzioni per l'uso!
Distinguiamo a seconda che si tratti di un normale ricorso per decreto ingiuntivo o di uno
provvisoriamente esecutivo.
Nel primo caso il decreto deve essere depositato in duplice copia (originale pi copia ufficio) allo
sportello decreti ingiuntivi, dopo aver pagato il contributo unificato(i decreti di valore inferiore ai
2.000.000 sono esenti).
Contestualmente al deposito il collaboratore di Cancelleria fornir al richiedente il numero di ruolo del
decreto.
Dopo circa 20 gg. dal deposito, presso lo stesso Ufficio, il praticante dovr controllare l'avvenuta
emissione (o sospensione) del decreto stesso sulle rubriche. L'individuazione del proprio decreto
ingiuntivo andr fatta secondo la data del deposito.
Alla sinistra della riga in cui compaiono le parti sar evidenziato il ruolo generale di decreto (che il
praticante gi possiede), mentre nella casella all'estrema destra sar inserito il numero di decreto, che
servir, d'ora in poi, per individuare il decreto ingiuntivo.
In caso di sospensione, nella stessa casella verr apposta in matita la dicitura "sospeso". Sar onere
dell'istante ritirare originale e fascicolo, per esaminare i motivi della sospensione e provvedere
all'integrazione.
Se, invece, il decreto stato emesso (come tutti ci auguriamo) potr essere ritirato sempre negli stessi
uffici con il numero di decreto trovato sulla rubrica.
Una volta ritirato l'originale si potranno richiedere le copie autentiche per la notifica.
Per le copie non urgenti bisogner recarsi allo sportello dopo 4 gg., fornendo il nome dell'avvocato. A
questo punto si pu procedere alla notifica del decreto ingiuntivo a mezzo dell'Ufficiale Giudiziario.
Una volta "spirati" i 40 gg utili per la controparte per proporre opposizione, e questa non vi abbia
ottemperato, l'istante pu chiedere la formula esecutiva.
Ritirer, sempre negli stessi uffici, con il n di decreto, originale e fascicolo, allegando la copia
notificata (gi in suo possesso) con anche la cartolina verde se la notifica avvenuta a mezzo posta.
A questo punto si presenter all'Ufficio Decreti Ingiuntivi. E' importante ricordarsi il giorno di
presentazione della richiesta poich sullo speciale calendario affisso dovr trovare il punto a partire dal
quale potr consultare gli elenchi sottostanti per trovare, con il nome delle parti, il n di repertorio del
decreto.
Dopo essersi accertato dell'importo all'Ufficio del registro e pagata la tassa, ritrover allo stesso ufficio
la formula esecutiva restituita a seconda del giorno di pagamento della tassa.
Richieste le copie, con il precetto, si dar il via alla procedura esecutiva per il recupero "forzoso" del
credito.
Dopo l'emissione, che sar verificata sulle rubriche con l'iscrizione del numero rosso, dovr essere
ricercato il n di repertorio per pagare la tassa all'Ufficio del registro. Successivamente il cancelliere ad
appone, in calce al decreto, la Formula Esecutiva ( o c.d. "Comandiamo").
Bisogna tenere presente che il decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo viene "repertoriato" non
prima di una settimana dalla sua emissione. Su questi elenchi il praticante effettuer la ricerca, con il
nome delle parti, andando nella prima casella a sinistra che servir unicamente a pagare l'importo
della tassa di registro.
Dall'ufficio del Registro, una volta pagato l'importo, il decreto provvisoriamente esecutivo ritorner al
punto di partenza ; per poterlo ritirare bisogna controllare sul foglio affisso se sono stati restituiti i
decreti esecutivi della data in cui si pagata la tassa.
Successivamente al ritiro, si richiederanno le copie autentiche che saranno restituite con la formula
esecutiva in calce che permette di predisporre il precetto, con il quale sar notificato il titolo.
Lara Tassi

http://www.praticante.it/decreto.html

TAR Veneto, sez. II, sentenza 07.03.2006 n 533 La recinzione in legno o in rete metallica di un terreno non
richiede alcuna concessione o autorizzazione edilizia, in quanto costituisce non gi trasformazione urbanistica
(non comporta, infatti, trasformazione morfologica del territorio), ma estrinsecazione lecita dello jus excludendi
alios, immanente al diritto di propriet: a tale nozione si adatta egregiamente la recinzione che sia costituita da
paletti infissi al suolo (senza cordolo di calcestruzzo) e collegati da una rete metallica, con conseguente
illegittimit, dunque, dellordine di demolizione. Cos ha stabilito il T.A.R. Veneto con riguardo alla necessit della
sussistenza di titoli formali per linstallazione di una recinzione in pali e rete metallica (senza cordolo in cemento)
di parziale recinzione di un superficie: tali opere, infatti, non comportano alcuna trasformazione del territorio, per
cui non c necessit alcuna di avere disponibilit di titoli edificatori, i quali sono invece da richiedersi per
mutazioni sostanziali della morfologia del territorio. http://www.altalex.com/index.php?idnot=34005
Uso pi intenso della cosa comune da parte di un singolo condomino Cassazione , sez. II civile,
sentenza 01.01.2006 n 972
In tema di condominio degli edifici, legittimo luso pi intenso della cosa
comune da parte di un singolo condomino, anche con modalit particolari e diverse rispetto alla sua normale
destinazione, mentre illegittimo che questi ne faccia un uso esclusivo. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione,
con la sentenza n. 972 del 1 gennaio 2006, precisando in particolare che illegittima la trasformazione del
lastrico solare delledificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino, perch in tal modo viene alterata
la originaria destinazione della cosa comune, che sottratta alla possibilit di utilizzazione da parte degli altri
condomini. http://www.altalex.com/index.php?idnot=3450
Sostituzione della delibera impugnata e cessazione della materia del contendere Cass. civ., sez. II, 28
giugno 2004, n. 11961 In tema di impugnazione delle delibere condominiali, ai sensi dell'art. 2377 c.c. applicabile anche in materia di condominio - la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata
dall'assemblea in conformit della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti,
determina la cessazione della materia del contendere.
Non sufficiente ladozione allunanimit per il diritto di parcheggiare nel cortile Trib. civ. Milano, sez. VIII,
2 aprile 2003, n. 4774 La delibera assembleare che, in violazione del regolamento dove vietato luso di
parcheggio del cortile comune, costituisca in favore di alcuni condomini diritti esclusivi di parcheggio, nulla se
non stata sottoscritta da tutti i condomini. Il Tribunale ha precisato che, al fine di una regolare costituzione
del diritto di parcheggiare nel cortile in favore di condomini, non sufficiente ad integrare la forma scritta
richiesta ad substantiam per gli atti costitutivi di diritti reali il verbale che riporta il consenso unanime dei
partecipanti all'assemblea, sottoscritto dal solo presidente e dal segretario.
L'assemblea pu, con la maggioranza prevista dal quinto comma dell'art. 1136 c.c. (met pi uno dei
partecipanti al condominio, in rappresentanza di due terzi del valore dell'edificio), deliberare di adibire o meno
a parcheggio il cortile condominiale, e quindi anche lo spazio occupato dall'autovettura del lettore; questo,
infatti, il "quorum" col quale possono essere disposte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso pi comodo
o al maggior rendimento delle cose comuni (art. 1120, 1 comma, c.c., Cass. 29/12/2004, n. 24146). Per
usucapire il diritto di parcheggiare nello spazio comune non sufficiente averlo fatto per pi di trent'anni; l'art.
1158 c.c., infatti, richiede il possesso e non la semplice detenzione del bene, qual quella che il lettore ha
esercitato per tutto questo tempo. In altri termini il lettore avrebbe dovuto, oltre a parcheggiare ininterrottamente
per almeno venti anni la propria auto nello spazio indicato, porre in essere atti finalizzati a rendere nota agli altri
condomini, in modo non equivoco, l'intenzione di utilizzare il bene come se se ne fosse proprietario, per es.
recintandolo, in modo da trasformare la detenzione in possesso. Se poi, dal punto di vista pratico, la soluzione
descritta dal lettore avvantaggia anche gli altri condomini sotto il profilo di una migliore fruibilit della strada,
altrimenti occupata dalle due autovetture attualmente parcheggiate di fronte alla rispettivo garage, l'assemblea,
prima di deliberare, dovrebbe riflettere sugli svantaggi derivanti dall'introduzione del divieto.
l carattere preliminare o definitivo di vendita non dipende dalla pattuizione relativa all'impegno a comparire
davanti a un notaio per la formazione di un atto pubblico, con lo scopo di rendere possibile la trascrizione, bens
dalla circostanza, che le parti abbiano inteso soltanto obbligarsi all'alienazione all'acquisto futuri del bene oppure
dare luogo, senz'altro, alla trasmissione della propriet. (C.c., art. 1351; c.c., art. 1362; c.c., art. 1470; c.c., art.
2657) .
La violazione o l'elusione, in un contratto di vendita immobiliare, del vincolo pubblicistico di destinazione a
parcheggio degli spazi da utilizzare per tale scopo, di cui all'art. 41 sexies L. 1150/1942 e art. 9 L. 122/1989,
rende nulle le clausole che hanno tale effetto, ma non anche l'intero negozio, sicch il trasferimento del bene
resta valido ed efficace, ma all'acquirente compete il diritto di ottenere il trasferimento anche della relativa
pertinenza, verso il pagamento di un ulteriore specifico compenso. (L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies;
L. 24 marzo 1989, n. 122, art. 9) .
In forza del D.Lgs. n. 494/1996, modificato e integrato dal D.Lgs. n. 528/1999, concernente le prescrizioni
minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili in attuazione della direttiva
92/57/CEE, il committente di un opera edile ha la responsabilit penale della sicurezza del cantiere.
L'amministratore di condominio pro-tempore che deve fare eseguire dei lavori edili assume il ruolo di
committente e deve rispettare le norme per la prevenzione degli infortuni sancite dal D.Lgs. 494/1996 e dal
D.Lgs. 626/1994, oltre a tutte quelle normative speciali inerenti.

Contratto di locazione di durata superiore a quella minima ex lege Corte di Cassazione, Sez. III, 26 gennaio
2005, n 1596 In tema di locazione di immobili per lo svolgimento di una delle attivit indicate nell'art. 27 della
legge n. 392 del 1978, la iniziale pattuizione di un termine di durata del contratto superiore a quella minima di
legge non esclude l'applicabilit della disciplina del rinnovo alla prima scadenza di cui al successivo art. 28, con
la conseguenza che affetta da nullit, ai sensi dell'art. 79 della legge n. 392 del 1978, la clausola diretta a
limitare la durata della rinnovazione sino al compimento di una complessiva durata di anni dodici. (L. 27 luglio
1978, n. 392, art. 27; L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 28; L. 27 luglio 1978. n. 392. art. 79).
Controversie relative alla gestione di un servizio comune - Impugnazione della sentenza da parte di un
singolo condomino Corte di Cassazione, Sez. II, 4 maggio 2005, n 9213 Il condominio essendo un ente di
gestione di personalit distinta da quella dei suoi partecipanti, l'esistenza dell'organo rappresentativo unitario
non priva i singoli condomini del potere di agre a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, n, quindi,
del potere di intervenire nel giudzio per il quale tale difesa sia stata legittimamente assunta dall'amministratore
del condominio e di avvalersi dei mezzi d'impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza
pronunziata nei confronti dell' amministratore stesso che non l'abbia impugnata. Tale principio non trova
applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto non i diritti su di un servizio comune, bens la
gestione di esso, ed intese, dunque, a soddisfare esigenze soltanto collettive della comunit condominiale, o
l'esazione delle somme dovute in relazione a tale gestione da ciascun condomino, nelle quali non v'
correlazione immediata con l'interesse esclusivo d'uno o pi partecipanti, bens con un interesse direttamente
collettivo e solo mediatamente individuale al funzionamento ed al finanziamento corretti dei servizi stessi, onde
in tali controversie la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, spetta in via esclusiva
all'amministratore, la mancata impugnazione della sentenza da parte del quale esclude la possibilit
d'impugnazione da parte del singolo condomino.
Parcheggio irregolare in area condominiale pu integrare la violenza privata
Cassazione , sez. V penale, sentenza 20.04.2006 n 16571
Un parcheggio irregolare pu costare la
reclusione fino a 4 anni.
A dirlo (rectius: ribadirlo) la Corte di Cassazione con la sentenza 16 maggio
2006 n16571, che si colloca nel solco di una giurisprudenza che va consolidandosi e scrive unaltra pagina
importante in materia di cd. atti emulativi della strada.
La fattispecie - Nella fattispecie, limputato,
introdottosi con la propria vettura, in altrui area condominiale, aveva parcheggiato il mezzo in modo tale da
impedire luscita sulla pubblica via allauto della parte offesa, rifiutando di spostarsi una volta invitato da
questultima. Il giudice di prime cure aveva condannato limputato per violenza privata (che punisce chiunque,
con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere qualche cosa).
La parte ricorrente non
aveva condiviso la sentenza di condanna e con ricorso aveva contestato, dinnanzi al Collegio degli ermellini, la
configurazione del delitto ex articolo 610 Cp sul rilievo che, nella specie, avrebbero fatto difetto la violenza fisica
ovvero la minaccia.
E la Cassazione, con la sentenza in esame, da ragione al giudice di merito.
Parcheggiare da criminali - Ad avviso della Suprema Corte nel reato di violenza privata (articolo 610 Cp), il
requisito della violenza, ai fini della configurabilit del delitto, si identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare
coattivamente della libert di determinazione e di azione loffeso, il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare
o omettere qualcosa contro la propria volont; nella specie, la sentenza ha descritto un fatto di voluta intenzione
dellimputato di mantenere il proprio veicolo gi parcheggiato irregolarmente in unarea condominiale alla quale
non aveva diritto di accedere (condominio a lui estraneo) in modo tale da impedire alla persona offesa di
transitare con il proprio veicolo per uscire sulla pubblica via, rifiutando reiteratamente di liberare laccesso,
pretendendo con evidente protervia ed arroganza che la persona offesa attendesse secondo proprie necessit
(la discesa della sorella), e tanto basta per integrare la violenza quale normativamente prevista.
La
sentenza in esame sposa lermeneutica accolta nel precedente giudiziario dellanno passato, nellambito del
quale il Collegio si era interessato di una fattispecie del tutto analoga generando anche lattenzione delle
cronache (gi su Altalex, Cassazione , sez. I penale, sentenza 04.07.2005 n 24614 Auto in doppia fila: il rifiuto
di spostare il veicolo integra il reato di violenza privata, v. Guida al Diritto, 2005, 35, 104): in quella occasione
limputato aveva parcheggiato la propria autovettura dietro quella della parte offesa e aveva posto un rifiuto
all'invito di quest'ultima di spostarla per potersi allontanare.
Lina di confine tra atto incivile ed atto
delittuoso - Il tratto comune delle pronunce da rinvenire nella linea di confine, tra condotta incivile e condotta
criminosa, tracciata dal Collegio: il delitto di violenza privata, infatti, fa capo a quella condotta dell'agente che sia
idonea a produrre una coazione personale del soggetto passivo, privandolo della libert di determinarsi e di
agire in piena autonomia; deve venire in rilievo, cio, una coazione della persona offesa ad un comportamento
non liberamente voluto.
Ne discende che il fatto giuridico di cui si tratta, ovvero il parcheggio irregolare,
deve essere scomposto nelle sue componenti fattuali al fine di individuare il momento offensivo al bene giuridico
tutelato e, dunque, la perfezione del reato.
1. il soggetto agente parcheggia irregolarmente; 2. il parcheggio
paralizza lautovettura di altro utente della strada che resta bloccata; 3. alla richiesta di spostare lautovettura,
lagente oppone il proprio rifiuto.
Il reato si perfeziona con il rifiuto - Cos individuati i segmenti storici
del fatto, indubbio che il delitto di violenza privata si perfezioni in tutti i suoi elementi solo al momento del rifiuto
e non a quello del semplice parcheggio irregolare: il delitto in esame, infatti, presenta sotto il profilo soggettivo
un quid pluris essendo la condotta diretta a costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualcosa, con evento
di danno costituito dall'essersi l'altrui volont estrinsecata in un comportamento coartante (dolus).
Il reato,
infatti, si completa nel rifiuto e non nel mero elemento oggettivo che, in s considerato, non assume le
connotazioni offensive richieste dallart. 610 c.p.
E chi parcheggia allontanandosi senza cura del mezzo
altrui? Nonostante quanto sin qui detto, in verit, un dubbio si insinua: si tratta della condotta
dellautomobilista che parcheggi paralizzando lauto di altri e si allontani consapevole di aver bloccato il mezzo

altrui (la casistica pi frequente). Sembrerebbe, in tali casi, potersi rinvenire un dolo eventuale (ma non senza
qualche forzatura) e, in ogni caso, il prodursi delleffetto dannoso in capo alla parte offesa costretta a rimanere
ferma per il tempo dellattesa. Una interpretazione teleologica e funzionale della norma in esame dovrebbe
abbracciare la tesi positiva: anche la semplice omissione pu rappresentare un gesto di arroganza ed incivilt
idonea a realizzare una condotta violenta ai sensi dellart. 610 c.p.
Dal reato allillecito amministrativo
Per completezza della disamina, opportuno precisare che le condotte in analisi, qualora non orbitino nella
fattispecie delittuosa di cui allart. 610 c.p., possono essere sussunte sotto lillecito amministrativo di cd. blocco
stradale previsto dal d.lgs 22 gennaio 1948, n. 66 (norme per assicurare la libera circolazione sulle strade
ferrate ed ordinarie e la libera navigazione, depenalizzato dal d.lg. 30 dicembre 1999, n. 507) il quale punisce chi
impedisce o ostacola la libera circolazione ovvero depone od abbandona congegni o altri oggetti di qualsiasi
specie in una strada ordinaria o comunque ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata
Precedenti:
il malcostume stradale La giurisprudenza di Cassazione non ha affrontato le condotte incivili degli utenti della
strada solo negli anni pi recenti: i precedenti rinvenibili sono, anzi, anche risalenti. Gli ermellini, ad esempio,
hanno ritenuto che integri il delitto di violenza privata la condotta di guida intimidatoria (Cass. pen. sez. V, n.
2545/1985); stessa sorte toccata agli atti emulativi della strada perpetrati durante la percorrenza del senso di
marcia (Cass. pen. sez. IV, n. 13078/1989) ed alle manovre deliberatamente insidiose ai danni altrui (Cass. pen.
sez. I, n. 32001/2002).
Codice di comportamento del buon utente della strada - La giurisprudenza in
esame merita di essere sicuramente salutata con favore. In altra occasione, si era gi evidenziato che le regole
morali di buona condotta ed in generale quelle etiche di civilt sociale, nellambito della circolazione stradale,
sembrano penetrare pi facilmente nel tessuto giuridico concedendo alle vittime delle emulazioni altrui una
tutela forte ed efficace, (il caso era quello dei cd. gestacci al volante, gi su Altalex, Cassazione , sez. V penale,
sentenza 21.12.2005 n 4033, Gestacci al volante sono idonei ad integrare il reato di minaccia). Ci che, infatti,
una volta si reputava meramente incivile, riprovevole ma pur sempre non giuridico, diviene oggi, al contrario,
materia del giudice penale, idonea a sorreggere una sentenza di condanna anche rilevante.
Ed il monito
resta lo stesso: tempi duri per chi non controlla i nervi al volante Insomma chi parcheggia la propria auto,
allontanandosi e bloccando il mezzo altrui, commette un illecito ai sensi dell'art 610 del C.C. Vero , infatti, che
nel reato di violenza privata (articolo 610 Cp), il requisito della violenza, ai fini della configurabilit del delitto, si
identifica con qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente della libert di determinazione e di azione loffeso,
il quale sia, pertanto, costretto a fare, tollerare o omettere qualcosa contro la propria volont (Cassazione,
Sezione quinta, 17 dicembre 2003 rv 228063); nella specie, la sentenza ha descritto un fatto di voluta intenzione
dellimputato di mantenere il proprio veicolo gi parcheggiato irregolarmente in unarea condominiale alla quale
non aveva diritto di accedere (condominio a lui estraneo) in modo tale da impedire alla persona offesa di
transitare con il proprio veicolo per uscire sulla pubblica via, rifiutando reiteratamente di liberare laccesso,
pretendendo con evidente protervia ed arroganza che la persona offesa attendesse secondo proprie necessit
(la discesa della sorella), e tanto basta per integrare la violenza quale normativamente prevista. Confermata la
sentenza 15 gennaio 2004 del Giudice del Tribunale di Palermo che li aveva condannati rispettivamente alla
pena di euro 300 di multa per il reato di ingiuria ed alla pena di mesi tre e giorni dieci di reclusione per il
reato di violenza privata. http://www.altalex.com/index.php?idnot=10498
l DM 236/1989 prevede al punto 8.2.3.: "Nelle aree di parcheggio devono comunque essere previsti, nella
misura minima di 1 ogni 50 o frazione di 50, posti auto di larghezza non inferiore a m 3,20, e riservati
gratuitamente ai veicoli al servizio di persone disabili." Questo significa che se si sono 50 parcheggi, uno
deve essere riservato ai disabili e 49 agli altri utenti.
Se i parcheggi sono 30, uno deve essere riservato ai
disabili e 29 agli altri.
Se i parcheggi sono 80, due devono essere riservati ai disabili e 78 agli altri. Se i
parcheggi sono 100, due devono essere riservati ai disabili e 98 agli altri. E cos via.
Detto ci, bisogna
anche precisare che se i parcheggi sono pertinenziali - cio se ogni parcheggio corrisponde ad un appartamento
- questa regola non applicabile. Se invece si tratta di un'area di parcheggio libera, si applica la norma indicata.
Costruzione senza concessione - confisca amministrativa Cassazione 26/1/06 n. 1632
In caso di
costruzione eseguita in totale difformita o assenza della concessione il sindaco pu disporre lacquisizione
gratuita dellimmobile al patrimonio indisponibile del Comune, con ordinanza che d luogo ad un acquisto a titolo
originario in favore dellente territoriale, a fronte del quale vengono caducati lipoteca e gli altri eventuali pesi e
vincoli preesistenti unitamente al precedente diritto di propriet, senza che rilevi lanteriorit della relativa
trascrizione e/o iscrizione.
http://www.dirittoeprogetti.it/box/giuris/2006/cass_1632.pdf
Chi chiede i danni... deve anche provarli Consiglio di Stato depositata il 27 aprile 2006 al n. 2359
Incombe al richiedente dimostrare lesistenza dei danni di cui si chiede il risarcimento. Questo il principio
contenuto dalla decisione della quinta sezione del Consiglio di Stato depositata il 27 aprile 2006 al n. 2359 (qui
leggibile tra i documenti correlati) con cui stato confermato il contenuto della precedente decisione resa dal
TAR per la Valle dAosta 20 marzo 1998 n. 40.
Nel caso di specie una impresa di costruzioni chiedeva il risarcimento dei danni subiti a seguito della
sostensione dei lavori ordinata in base si un provvedimento della Sezione V del Consiglio di Stato, con
ordinanza 11 ottobre 1997 n. 1969 e, conseguentemente, del ritardo nella esecuzione dellintervento edificatorio.
Secondo i giudici di appello la domanda della societ non pu essere accolta in quanto questultima ha omesso
di fornire la prova dei danni subiti.
Nessun compenso per i chiarimenti del CTU Cass. 4655/2006 Il consulente tecnico non ha diritto ad un
compenso aggiuntivo per i chiarimenti che non costituiscono unattivit ulteriore e diversa rispetto a quella

oggetto di consulenza ma unattivit complementare e integrativa della stessa.


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Regolamento condominiale e limitazioni all'uso di locali di propriet esclusiva


Cassazione , sez. II civile, sentenza 08.03.2006 n 4920 In tema di condominio degli edifici e nell'ipotesi di
violazione del divieto contenuto nel regolamento contrattuale di destinare i singoli locali di propriet esclusiva
dell'edificio condominiale a determinati usi, il condominio pu richiedere la cessazione della destinazione
abusiva sia al conduttore che al proprietario locatore. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza n.
4920 dell8 marzo 2006, precisando che nell'ipotesi di richiesta nei confronti del conduttore, si verifica una
situazione di litisconsorzio necessario con il proprietario, che deve partecipare al giudizio in cui si controverte in
ordine all'esistenza e alla validit del regolamento: infatti, le limitazioni all'uso delle unit immobiliari in propriet
esclusiva, derivanti dal regolamento contrattuale di condominio, in quanto costituiscono oneri reali o servit
reciproche afferiscono immediatamente alla cosa. http://www.altalex.com/index.php?idnot=10505
Istanza di nomina amministratore giudiziario Corte app. civ. Napoli decr., 11 febbraio 2004 L'istanza di
nomina dell'amministratore giudiziario va rigettata quando l'assemblea condominiale abbia provveduto, in
pendenza del giudizio camerale, e, in goni caso, prima della data del deposito del relativo decreto, a rieleggere o
nominare un amministratore fiduciario.
Amministratore nominato dal costruttore. Pertanto, una disciplina che non pu subire modificazioni per
volont delle parti. Di conseguenza da ritenere nulla la clausola anche se contenuta nei contratti di
compravendita delle singole unit immobiliari o nel regolamento contrattuale che riservi lamministrazione
allimpresa costruttrice per un dato periodo di tempo, per violazione degli artt.1129 e 1138 c.c. (Cass.civ.
19/10/1961 n.2246; Cass.civ. 3/08/1966 n.2155; Tribunale di Napoli, Sez.X 21/03/1989).
Immissioni: propriet, esigenze della produzione e tutela del diritto alla salute
Cassazione , sez. III civile, sentenza 11.04.2006 n 8420
La Corte di Cassazione rilegge secundum
constitutionem lart. 844 codice civile.
Per comprendere il quid novi della pronuncia in esame opportuno
rievocare, sinteticamente, il percorso storico-interpretativo dellistituto delle Immissioni. Limmissione ,
quanto al dato definitorio, una propagazione a livello materiale, uditivo od olfattivo, la cui fonte individuata in
una propriet fondiaria o immobiliare ed i cui effetti ricadono nella sfera dominicale vicina, secondo un rapporto
di derivazione causale. Si tratta, a livello sistematico, di uno dei limiti legali (interni) al diritto di propriet il cui
superamento, per la migliore dottrina, integra labuso del diritto.
La disposizione nasce nellambito di
unottica dellavere in cui la propriet, esclusiva ed assoluta, il centro dei rapporti giuridici e patrimoniali; non
a caso la norma compresa proprio nel titolo secondo del libro terzo rubricato della propriet. Con lentrata in
vigore della Costituzione, tuttavia, dallottica dellavere cede il passo a quella dellessere con lemersione di
nuovi diritti ed in particolare quelli della personalit. Si impone, inoltre, la tutela di nuovi valori di rango
comunitario, come lambiente sub specie di diritto alla salute (collettivo) e diritto alla salubrit dellambiente di
vita (individuale). Di qui lesigenza di nuovi strumenti di tutela, attraverso, anche, la rivisitazioni di vecchi istituti.
Ne discende una nuova analisi dell844 ed i conseguenti tentativi in dottrina ed in giurisprudenza di inquadrarlo
in una nuova prospettiva sistematica che ne consenta lazionabilit oltre i casi indicati nella disposizione stessa.
Il tentativo ermeneutico di filtrare la tutela della salute attraverso il grimaldello ex art. 844 c.c. non viene
confortato dalla Consulta che, in un importante arresto, richiama al vade retro. Per quanto concerne tale profilo,
la Corte costituzionale si pronuncia, in primis, con la nota ordinanza n. 274/1974 rigettando le censure addotte in
ordine al criterio della normale tollerabilit ed alla tutela della salute ex art. 32 cost. La Corte delle leggi,
nelloccasione, precisa che lart. 844 c.c. persegue quale ratio il risolvere i contrasti tra proprietari di fondi finitimi
aventi ad oggetto le attivit svolte nei reciproci fondi, adottando quale criterio quello della normale tollerabilit.
Lart. 844 c.c. identificato in tale pronuncia come strumento per risolvere i conflitti di propriet e non anche per
tutelare la salute dellindividuo a cui sono destinati altri mezzi, (es. T.U. leggi sanitarie r.d. 1265/1934). Secondo
la Corte, inoltre, lart. 844 strumento esclusivo di tutela della propriet, mentre per gli altri beni pu utilizzarsi
lart. 2043 c.c. e strumenti ulteriori quali il risarcimento in forma specifica o per il danno non patrimoniale ex art.
2059 c.c. (senza trascurare il sempreverde art. 700 c.p.c.).
Si inaugura cos lermeneutica della cd. doppia
azione: il privato leso pu contestualmente agre con lesperimento dellazione ex art. 844 c.c. e quella ex artt.
2043, 2059 c.c. al fine di inibire le immissioni ed ottenere il ristoro subito (anche se la lesione non inerisce il
dominio ma la persona). Lintervento delle Sezioni Unite della Cassazione, in modo peraltro assai corposo, sia
con pronunce dagli anni 80 ma incisivamente nel 1995 e con la nota sentenza 10186 del 1998, fa dellindirizzo
in esame uno jus receptum, ma con un correttivo per quanto concerne i presupposti dellazione ex art. 844 c.c. :
non necessario che il fattore immissivo pregiudichi un aspetto del fondo ma anche sufficiente che questo
comprometta il diritto alla fruibilit integrale e serena dellambiente o alla salute del titolare del corrispondente
diritto reale o personale di godimento.
Va sgretolandosi, dunque, nonostante il dictat di Palazzo della
Consulta, lo stretto rapporto di dipendenza tra art. 844 c.c. e il diritto dominicale, con intelligenti escamotages
della pi attenta dottrina: la lesione alla persona del proprietario si traduce in una lesione del diritto dominicale in
s, che diviene meno fruibile e, se fruttifero, meno produttivo. Laspetto dominicale inscindibile dai profili
soggettivi del godimento che ineriscono al diritto nella sua completezza e , pertanto, rilevano ai fini della tutela.
La pronuncia, che si commenta, rappresenta il decorso causale tipico del fenomeno sin qui ricostruito: la salute,
prima espunta dallart. 844 c.c., viene, ad oggi, pacificamente intessuta nella trama normativa della disposizione
in esame con conseguenze assolutamente rilevnti.
La sentenza 8420 dell11 aprile c.a. sottolinea che il
contemperamento di interessi tra le esigenze della produzione e le ragioni della propriet, previsto dalla norma
sulle immissioni, deve essere oggetto di in una lettura costituzionalmente orientata la quale tenga conto della

esigenza di privilegiare lutilizzo dei fondi che sia maggiormente compatibile con il diritto costituzionalmente
garantito alla salute. Si tratta di una interpretazione estensiva della norma, costituzionalmente orientata, in
relazione al fattore salute, che ormai intrinseco nella attivit di produzione oltre che nei rapporti di vicinato
(cfr.Cass. 3 febbraio 1999 n.915, Cass.4 aprile 2001 n.4963).
Nella fattispecie veniva in rilievo il contenuto
immissivo di una attivit di allevamento in danno ai proprietari di un fondo finitimo: ma era pacifico e provato agli
atti che la suddetta attivit di allevamento era preesistente alla edificazione del fondo vicino. Secondo un
insegnamento risalente, il criterio del contemperamento, in siffatti casi, pende a favore della situazione di fatto
preesistente. Ma la sentenza 8420/2006 volta pagina: il criterio della prevalenza della situazione preesistente, in
tanto pu essere giusto in quanto non venga in gioco il sacrificio del diritto incomprimibile alla salute. In questa
ipotesi, infatti, a nulla rileva che la fonte del pregiudizio preesista: soccombe, comunque, nel giudizio del
contemperamento.
Linquadramento sistematico della disposizione de qua, cos interpretata, muta
sensibilmente: la norma, nata per tutela la propriet, diviene clausola generale per tutelare anche il proprietario.
E tale status rappresenta anche il limite a siffatta ermeneutica: di proprietario deve trattarsi (ma la
giurisprudenza estende la legittimazione passiva anche al conduttore.
Lermeneutica sposata dalla
sentenza 8420/2006 merita di essere salutata con favore: il problema delle immissioni ha assunto, nel contesto
storico-sociale degli ultimi anni, toni ben pi intensi di quelli passati e, senza dubbio, pi preoccupanti. Non solo
per i risultati della letteratura scientifica pi recente in materia di patologie discendenti da fenomeni immissivi ma
anche per il nuovo peso specifico dato al rumore nella vita di relazione.
Non a caso un celebre studioso
scriveva: un giorno luomo dovr lottare contro il rumore come ha fatto contro il colera e la peste (R. Koch).
http://www.altalex.com/index.php?idnot=10507
Errata indicazione a verbale della presenza di un condomino Trib. civ. Milano, sez. VIII, 19 ottobre 2004, n.
11896 L'erronea indicazione a verbale della presenza di un condomino invece assente, non costituisce vizio
invalidante della delibera, dato che - tanto pi laddove - anche detraendo la presenza del suddetto condomino non vengano meno n il quorum costitutivo, n quello deliberativo.
Permanenza dell'amministratore fiduciario a causa dell'inerzia assembleare Trib. civ. Napoli, sez. III, 23
luglio 2003 La presenza dell'amministratore fiduciario protratta per diversi anni a causa del mancato
raggiungimento del quorum deliberativo per la riconferma in carica, legittima i condomini interessati a proporre
ricorso al tribunale camerale perch deputi l'amministratore giudiziario.
Vincolo di destinazione dell'alloggio del portiere Cass. 1 aprile 2003 n. 4905
La propriet esclusiva del condominio non esclude che la unit immobiliare possa essere destinata a porteneria
o alloggio del portiere. Configura un obbligazione propter rem, suscettibile di trasmissione ai successivi
acquirenti dell'immobile anche in assenza di trascrizione, il mantenimento dell'originaria destinazione al servizio
condominiale del locale adibito ad alloggio del portiere, che sia di propriet esclusiva di uno dei condomini.
Agevolazioni acquisto prima casa: http://www.visurnet.com/atto_integrativo.htm
Cassazione sentenza nr. 5315 del 29.5.1998 - Cassazione sentenza nr. 4530 del -8-1982
Se
consideriamo che il rapporto delegante/delegato si svolge in un ambito qual quello del contratto di mandato nel
quale si ritiene che la fiducia sia un elemento essenziale e imprescindibile della fattispecie, non possiamo non
rilevare come la seconda clausola ponga una limitazione assai pi penetrante rispetto a quella posta dalla prima
e come, pertanto, tale limitazione non possa essere prevista se non con il consenso unanime di tutti i soggetti
interessati cio di tutti i proprietari/condomini.
Viste in questi termini le 2 sentenze in oggetto non si pongono in alcun modo in contrasto e, anzi, appaiono
perfettamente compatibili sia reciprocamente sia rispetto alla disciplina generale del condominio.
Se le affermazioni contenute nelle citate sentenze della Cassazione sono in grado di guidarci verso una
conclusione che abbia valenza pratica e operativa questa non pu che consistere nelle seguenti considerazioni:
1. il diritto di farsi rappresentare in assemblea non pu essere in alcun modo escluso da una clausola del
regolamento di condominio;
2. il regolamento di condominio pu soltanto prevedere una concreta regolamentazione dell'esercizio di tale
diritto entro limiti ristretti;
3. costituisce regolamentazione dell'esercizio del diritto di farsi rappresentare in assemblea quella clausola che
prevede un numero massimo di deleghe conferibili. Tale clausola, vista la natura della limitazione, pu essere
validamente approvata dall'assemblea con la maggioranza prevista per l'approvazione delle clausole
regolamentari;
4. allo stesso modo, costituisce mera regolamentazione di tale diritto la clausola che consente di attribuire la
delega solo a ben determinati soggetti. In considerazione della natura di tale clausola la quale in grado di porre
un vero e proprio vincolo giuridico incidente sui diritti dei singoli - per l'approvazione della stessa necessario il
consenso unanime di tutti i condomini.
Condominio: sul vincolo pertinenziale tra il cortile e l'appartamento
Cassazione , sez. II civile, sentenza 02.03.2006 n 4599 Ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra
bene principale e bene accessorio necessaria la presenza del requisito soggettivo dell'appartenenza del bene
accessorio e del bene principale in propriet al medesimo soggetto, nonch del requisito oggettivo della
contiguit, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale il bene accessorio deve arrecare una "utilit" al
bene principale, e non al proprietario di esso. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4599

del 2 marzo 2006, ricordando che l'accertamento della sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi che
caratterizzano il rapporto pertinenziale fra due immobili e consistenti nella volontaria e permanente destinazione
di uno dei due beni al servizio dell'altro, comporta un giudizio di fatto, come tale incensurabile in sede di
legittimit, se espresso con motivazione adeguata ed immune da vizi logici.
Nel caso di specie la Suprema
Corte ha confermato la desisione di merito che aveva escluso la natura pertinenziale di uno spiazzo del cortile
antistante l'edificio condominiale rispetto all'appartamento del ricorrente.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=1003
Obbligo di trasferire gli animali per ragioni igieniche e sanitarie. Tar della Campania, Sez. Napoli, Sez, V,
14 ottobre 2005, n. 16477 E' legittima l'ordinanza contingibile e urgente emessa dal Sindaco per ragioni
igienico-sanitarie, ai sensi dell'art. 38 della legge n. 142 del 1990, al fine di provvedere allo spostamento di
animali, nella specie cani, nel cortile privato della propria abitazione, in altro luogo idoneo.
E illegittima lapertura di un varco nel muro perimetrale delledificio condominiale, praticata dal
comproprietario per mettere in comunicazione un locale di sua propriet esclusiva situato allinterno del
fabbricato con altro immobile di sua propriet estraneo al condominio, in quanto tale utilizzazione comporta la
cessione a favore di soggetti estranei al condominio del godimento di un bene comune e ne altera la
destinazione, imponendo un peso sul muro perimetrale che d luogo ad una servit, per la cui costituzione
necessario il consenso scritto di tutti i condomini. Sentenza n. 9036 del 19 aprile 2006
http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniSemplici/SchedaNews.asp?ID=1188
CONTRATTO IN GENERALE ANNULLABILITA' DEL CONTRATTO DOLO OMISSIVO Il dolo omissivo
pu essere causa di annullamento del contratto solo quando linerzia della parte si inserisca in un complesso
comportamento, adeguatamente preordinato con malizia o astuzia a realizzare linganno perseguito. Pertanto, il
semplice silenzio e la reticenza, non immutando la rappresentazione della realt, ma limitandosi a non
contrastare la percezione della realt alla quale sia pervenuto laltro contraente, non costituiscono di per s
causa di annullamento del contratto. (Nella specie, la S.C. ha escluso che integrasse il dolo omissivo il fatto che
lalienante avesse taciuto allacquirente la pendenza di unazione di danno temuto sullimmobile oggetto
della compravendita). Testo Completo: Sentenza n. 9253 del 20 aprile 2006
http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniSemplici/SchedaNews.asp?ID=1189
Regolamento contrattuale e divieto di destinare i singoli locali di propriet esclusiva a determinati usi
Cassazione , sez. II civile, sentenza 08.03.2006 n 4920
In tema di condominio degli edifici e nell'ipotesi di violazione del divieto contenuto nel regolamento contrattuale
di destinare i singoli locali di propriet esclusiva dell'edificio condominiale a determinati usi,il condominio pu
richiedere la cessazione della destinazione abusiva sia al conduttore che al proprietario locatore.
Peraltro, nell'ipotesi di richiesta nei confronti del conduttore, si verifica una situazione di litisconsorzio necessario
con il proprietario, che deve partecipare al giudizio in cui si controverte in ordine all'esistenza e alla validit del
regolamento: infatti, le limitazioni all'uso delle unit immobiliari in propriet esclusiva, derivanti dal regolamento
contrattuale di condominio, in quanto costituiscono oneri reali o servit reciproche afferiscono immediatamente
alla cosa.
LA CASSAZIONE: SI' ALLE "SPIE" NEI CONDOMINI. di Rosanna Greco Tratto da "Leggo" Gioved 1
giugno 2006
Da oggi sar possibile fare la spia sulle cattive abitudini dei condmini senza il rischio di essere denunciati per
diffamazione.
Lo hastabilito la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso di Egidio R., cinquantasettenne di Lodi, condannato
per ben due volte con l'accusa di aver offeso il decoro e l'onore di una sua vicina.
La donna era stata sorpresa a danneggiare con la chiave la fiancata di una macchina parcheggiata davanti il
passo carrabile del palazzo.
La spiata pu essere fatta durante le assemblee condominiali e su comportamenti che sfociano addirittura nel
reato.
Ovviamente, precisa la Suprema Corte, la soffiata deve sempre rimanere nell'ambito della "continenza" e non
deve essere lesiva dell'altrui reputazione.
Per la nomina dell'amministratore del condominio di un edificio applicabile l'art. 1392 c.c., in base al quale,
salvo che siano prescritte forme particolari e solenni per il contratto che il rappresentante deve concludere, la
procura che conferisce il potere di rappresentanza pu essere verbale o anche tacita. Detta nomina, pertanto,
pu risultare, indipendentemente da una formale investitura da parte dell'assemblea e dall'annotazione nello
speciale registro di cui all'art. 1129 c.c., dal comportamento concludente dei condomini, che abbiano considerato
l'amministratore tale a tutti gli effetti, rivolgendosi a lui abitualmente in tale veste. Cass. civ., sez. II, 12
febbraio 1993, n. 1791
Alla nomina dell'Amministratore del condominio di un edificio applicabile la disposizione dell'art. 1392 cod. civ.,
secondo cui, salvo che siano prescritte forme particolari e solenni per il contratto che il rappresentante deve
concludere, la procura che conferisce il potere di rappresentanza pu essere verbale o anche tacita, di talch
essa pu risultare, indipendentemente da una formale investitura da parte dell'assemblea e dall'annotazione
nello speciale registro di cui all'art. 1129 cod. civ., dal comportamento concludente dei condomini che abbiano

considerato l'amministratore tale a tutti gli effetti, pur in assenza di una regolare nomina assembleare,
rivolgendosi abitualmente a lui in detta veste, senza metterne in discussione i poteri di gestione e di
rappresentanza del condominio. Cass. civile, sez. II, 10-04-1996, n. 3296
In mancanza di formale investitura da parte del'assemblea condominiale, la quale non abbia mai provveduto alla
nomina di un amministratore, il rapporto intercorrente fra un inquilino fattosi carico di riscuotere mensilmente
dagli altri condomini le somme desinate alle spese di piccola manutenzione e al pagamento delle bollette
comuni, e gli altri condomini, riconducibile al mandato collettivo in rem propriam. Giudice di Pace
Cascina 20/01/1999
Locatore ha l'obbligo di ottenere il certificato di abitabilit dell'immobile Cassazione, sez. III civile,
sentenza 11.04.2006 n 8409 La Corte di Cassazione ha precisato che nelle obbligazioni del locatore vi rientra
anche quella di procurare al conduttore il certificato di abitabilit dellimmobile. Detto obbligo sussiste salvo
patto contrario sia nel caso in cui limmobile sia destinato ad uso abitativo, sia nel caso venga adibito ad uso
commerciale o anche ad uso di deposito. Qualora tale certificato non sia ottenibile, si ha una situazione di grave
inadempimento del locatore, a fronte della quale il conduttore pu chiedere la risoluzione del contratto e il
risarcimento del danno. http://www.altalex.com/index.php?idnot=34092
Opere soggette a concessione edilizia: chiusura di un balcone TAR Campania-Napoli, sez. IV, sentenza
28.02.2006 n 2451 Sono assoggettate a concessione edilizia non le sole attivit di edificazione, ma tutte quelle
consistenti nella modificazione dello stato materiale a della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego
diverso da quello che gli proprio, in relazione alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica.
E perci soggetta a concessione edilizia l'installazione di pannelli in vetro ed alluminio sul parapetto di un
balcone gi chiuso per i restanti lati dai muri perimetrali dell'edificio preesistente in quanto determina la
realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, l'aumento della superficie utile e la modifica della
sagoma dell'edificio stesso e, come tale, implica il previo rilascio del titolo concessorio, a nulla rilevando
leventuale precariet strutturale dellopera realizzata, in quanto non si traduca in un uso per fini contingenti e
specifici. Sono questi i principi rammentati dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, il quale
respingendo il ricorso proposto per lannullamento di unordinanza di demolizione del nuovo volume derivato
dallinstallazione di pannelli in alluminio e metallo a chiusura di un preesistente balcone ha avuto occasione di
ricordare quale principio generale governa lassoggettamento degli interventi edilizi alla concessione,
sottolineando come il caso di specie rientrasse proprio tra quelli nei quali chi intende intervenire con opere e
trasformazioni deve munirsi di un valido titolo legittimante. A ci si aggiunga limportanza della notazione che il
Collegio giudicante fa con riguardo alla definizione dei c.d. volumi tecnici: una volta per tutte, chiarisce che per
l'identificazione della nozione di volume tecnico assumono valore in materia tre ordini di parametri: il primo,
positivo, di tipo funzionale, ossia che il manufatto abbia un rapporto di strumentalit necessaria con l'utilizzo
della costruzione; il secondo ed il terzo, negativi, ricollegati da un lato all'impossibilit di soluzioni progettuali
diverse, nel senso che tali costruzioni non devono poter essere ubicate all'interno della parte abitativa, e
dall'altro ad un rapporto di necessaria proporzionalit fra tali volumi e le esigenze effettivamente presenti,
giungendo dunque ad affermare che tale nozione pu essere applicata con riferimento ad opere edilizie
completamente prive di una propria autonomia funzionale, anche potenziale, in quanto destinate a contenere
impianti serventi di una costruzione principale, per esigenze tecnico -funzionali della costruzione stessa;
pertanto, al di fuori di tale ambito, il concetto non pu essere utilizzato n dall'amministrazione n dal privato al
fine di negare rilevanza giuridica ai volumi, comunque, esistenti nella realt fisica.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=34146
Lamministratore ha diritto di accedere alle propriet private per effettuare controlli inerenti la sicurezza
del condominio o il coinvolgimento in senso peggiorativo di impianti comuni, e ci anche in assenza di
disposizioni specifiche in merito nel regolamento condominiale. Vedi le seguenti sentenze: Sentenza N. 2073
del 10/05/1957 Pretura di Napoli: Si applica per analogia larticolo 843 del Codice Civile . Omissis Il
proprietario deve permettere laccesso e il passaggio nel suo fondo allamministratore .omissis Sentenza
del 11/05/1992 Tribunale di Milano: Se un condomino sostituisce gli elementi radianti collegati al
riscaldamento centrale, il condominio tramite lamministratore ha il diritto di verificare che non siano
omissis Ci non di meno, il diritto di verifica giuridicamente previsto, non significa che lamministratore pu
entrare anche con la forza nellappartamento. Se il condmino si rifiuta, allamministratore non resta che
ricorrere al tribunale, con unazione legale ex articolo 700 (procedura durgenza) per danno temuto e violazione
del diritto di controllo in base allart. 843 CC. Nessun giudice potr negarlo e i costi della causa saranno a carico
del condmino che ha rifiutato laccesso di verifica, e ci indipendentemente dallesito della successiva verifica
(in sostanza ai fini della sentenza e dei relativi costi, che il danno ci sia o meno non influisce nulla). Ovviamente
bisogner avere in mano almeno qualche elemento di sospetto che giustifichi la richiesta di verifica
dellamministratore per non incorrere in una controcausa per lite temeraria.
Ammissibilit del ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. avverso il decreto di revoca
dellamministratore del condominio Corte di cassazione, sez. II, 10 gennaio 2003, n. 184 Contro il
provvedimento con il quale la corte di appello decide il reclamo avverso il decreto del Tribunale che ha
pronunciato la revoca dellamministratore di condominio ammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 della
Costituzione, in quanto tale provvedimento, emesso su istanza di alcuni soltanto tra i condomini, comporta la
risoluzione anticipata e definitiva (contro la quale non previsto alcun altro rimedio) del rapporto di mandato
esistente fra tutti i condomini, da un lato, e lamministratore, dallaltro, e cio incide su diritti soggettivi.

Assemblea dei condomini: interventi su beni di propriet privata individuale Trib. civ. Milano, sez. VIII,
28 aprile 2005, n. 4749 Esula dalle attribuzioni dell'assemblea il potere di deliberare, con efficacia vincolante
per i singoli condomini non espressamente consenzienti, interventi o opere riguardanti o coinvolgenti beni o
porzioni di propriet privata individuale. Una eventuale delibera in tal senso deve pertanto considerarsi affetta da
nullit, siccome adottata in carenza di potere.
Parcheggio pertinenziale: la libera cessione non retroattiva Cassazione Civile II, sentenza 4264 del
24/02/2006 Lart. 12, nono comma, legge 28 novembre 2005 n. 246, che allart. 41-sexies della l. 1150/1942 e
successive modificazioni ha aggiunto il seguente comma gli spazi per parcheggi realizzati in forza del primo
comma non sono gravati da vincoli pertinenziali di sorta n da diritti duso a favore dei proprietari di altre unit
immobiliari e sono trasferibili autonomamente da esse. La nuova disciplina non ha effetto retroattivo ed
destinata ad operare unicamente per le nuove costruzioni oppure per quelle esistenti ma per le quali non siano
iniziate le vendite delle singole unit immobiliari.
Recinzione in legno e rete metallica non richiedono alcuna concessione T.A.R. Veneto Sezione II,
Sentenza 7 marzo 2006 n. 533 La recinzione in legno o in rete metallica di un terreno non richiede alcuna
concessione o autorizzazione edilizia, in quanto costituisce non gi trasformazione urbanistica (non comporta,
infatti, trasformazione morfologica del territorio), ma estrinsecazione lecita dello "jus excludendi alios",
immanente al diritto di propriet: a tale nozione si adatta egregiamente la recinzione che sia costituita da paletti
infissi al suolo (senza cordolo di calcestruzzo) e collegati da una rete metallica, con conseguente illegittimit,
dunque, dell'ordine di demolizione.
Cassazione , sez. I penale, sentenza 25.02.2003 n 9027 L'amministratore infatti titolare ope legis - salvo
diverse disposizioni statutarie o regolamentari - non solo del dovere di erogazione delle spese attinenti alla
manutenzione ordinaria e alla conservazione delle parti e servizi comuni dell'edificio, ai sensi dell'articolo 1130
numeri 3 e 4 Cc, ma anche del potere di ordinare lavori di manutenzione straordinaria che rivestano
carattere urgente con l'obbligo di riferirne nella prima assemblea dei condomini, ai sensi dell'articolo 1135
comma 2 Cc; di talch deve riconoscersi in capo allo stesso l'obbligo giuridico di attivarsi senza indugio per la
eliminazione delle situazioni potenzialmente idonee a cagionare la violazione della regola del neminem laedere
(Cassazione, sezione prima, 4 marzo 1997; 19 giugno 1996; sezione quarta, 6 maggio 1983; sezione sesta, 22
aprile 1980; 4 maggio 1973; sezione terza, 13 luglio 1962).
Complesso residenziale composto da pi condominii ( supercondominio ) - regime della comunione
Cass. civ. sez. II. 22 luglio 2005, n. 15357 Qualora un complesso residenziale composto da pi palazzine,
ciascuna con un proprio distinto condominio, abbia spazi e manufatti di godimento comune, questi debbono
ritenersi soggetti al regime della comunione e non a quello del condominio, con la conseguenza che,
applicandosi le regole generali della prima e non del secondo, per le innovazioni si richiede la manifestazione di
volont di tutti i partecipanti;
daltra parte, configurabile la violazione dellart. 1117 cod. civ. nella ipotesi in cui pi edifici siano dotati di
opere comuni strutturalmente distaccate.
(Nella specie, la Corte di cassazione ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva posto le spese di
rifacimento del tetto e della facciata di un edificio dotato di un cortile condominiale nel quale sorgeva una
costruzione separata anche a carico dei proprietari di questa costruzione ed in proporzione del valore delle loro
propriet esclusivamente valorizzando la circostanza che per accedere alla costruzione separata era necessario
servirsi dell'androne dell'edificio e del cortile comune).
Cassazione civile, sez. II, 13 luglio 1996, n. 6359
A parte le funzioni esecutive, possono essere di competenza dei periti industriali anche la progettazione e la
direzione dei lavori, ma solo per modeste costruzioni civili. A stabilirlo il Tar Lombardia con la sentenza n.
1129 del 3 maggio 2006. La progettazione e la direzione dei lavori vengono previste dal regolamento per la
professione di perito industriale non come prerogative generali, bens come competenze che spettano al perito
solo in relazione a modeste costruzioni civili e in quanto comunque non vengano violate le disposizioni poste
da altre norme di legge. http://www.edilportale.com/edilnews/NpopUp.asp?idDoc=8187&iDCat=15
Rovina di edifici: responsabilit dell'appaltatore ed azione ex art. 2043 c.c.
Cassazione , sez. I civile, sentenza 12.04.2006 n 8520 Nuova pronuncia della Cassazione sul rapporto
esistente tra lazione ex art. 1669 c.c. e lazione ex art. 2043 c.c. Con la sentenza n 8520 del 12 aprile 2006 la
Suprema Corte ha stabilito che la responsabilit per rovina e difetti di cose immobili prevista dall'art. 1669 c.c.,
nonostante sia collocata nell'ambito del contratto di appalto, configura un'ipotesi di responsabilit
extracontrattuale. La ragione della natura extracontrattuale della responsabilit in oggetto, viene ricondotta
dalla Corte alla violazione di regole primarie di ordine pubblico, stabilite per garantire l'interesse alla sicurezza
dell'attivit edificatoria, e, quindi, la conservazione e la funzionalit degli edifici, onde preservare la sicurezza e
l'incolumit delle persone - vedi Cass. Civ., n. 1748 del 2005; n. 1748 del 2000; n. 81 del 2000; n. 338 del 1999;
n. 12106 del 1998. Considerata la natura extracontrattuale dellart. 1669 c.c., con la pronuncia in epigrafe, la
Corte di Cassazione ha ribadito che lart. 1669 c.c. da intendersi come norma speciale c.c rispetto alla
disposizione contenuta nellart. 2043 c.c., risultando la seconda applicabile qualora la prima non lo sia in

concreto - vedi Cass. Civ. n. 3338, del 1999 secondo cui: "la natura di norma speciale dell' art. 1669 c.c. rispetto
all'art. 2043 c.c. presuppone l'astratta applicabilit delle due norme, onde, una volta che la norma speciale non
possa essere in concreto applicata, permane l'applicabilit della norma generale". L'azione ex art. 2043 c.c. ,
dunque, proponibile quando non sia esperibile lazione ex art. 1669 c.c., perci anche nel caso di danno
prodottosi oltre il decennio dal compimento dell'opera. La Corte, precisa che nell'ipotesi di esperimento
dell'azione disciplinata dall'art. 2043 c.c. non opera il regime di presunzione della responsabilit del costruttore,
che lo onera di una non agevole prova liberatoria. Pertanto, spetta a colui il quale agisce provare tutti gli
elementi richiesti dall'art. 2043 c.c. e, in particolare, la colpa del costruttore.
Opposizione tardiva a drecreto ingiuntivo - tempestiva consegna dellatto allufficiale giudiziario
Cassazione , SS.UU. civili, sentenza 04.05.2006 n 10216 Nella modifica della opposizione a decreto
ingiuntivo, la tempestiva consegna dellatto allufficiale giudiziario perfeziona la notifica per lopponente, evitando
al medesimo anche leffetto di decadenza, dal rimedio oppositorio, nellipotesi di non tempestivo o mancato
completamento della procedura notificatoria per la fase sottratta al suo potere dimpulso. Con la conseguenza, in
tale ultimo caso, che in potere della parte di rinnovare la notifica con il modulo, e nel termine, della opposizione
tardiva di cui allarticolo 650 Cpc.
Vincolo pertinenziale tra il cortile e l'appartamento Cassazione , sez. II civile, sentenza 02.03.2006 n 4599
Ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale tra bene principale e bene accessorio necessaria la presenza
del requisito soggettivo dell'appartenenza del bene accessorio e del bene principale in propriet al medesimo
soggetto, nonch del requisito oggettivo della contiguit, anche solo di servizio, tra i due beni, ai fini del quale il
bene accessorio deve arrecare una "utilit" al bene principale, e non al proprietario di esso. E'stato, altres,
affermato e ribadito dalla Corte che l'accertamento della sussistenza degli elementi soggettivi ed oggettivi che
caratterizzano il rapporto pertinenziale fra due immobili e consistenti nella volontaria e permanente destinazione
di uno dei due beni al servizio dell'altro, comporta un giudizio di fatto, come tale incensurabile in sede di
legittimit, se espresso con motivazione adeguata ed immune da vizi logici. Nel caso di specie, la natura
pertinenziale dello spiazzo antistante l'edificio rispetto all'appartamento del ricorrente stata esclusa dalla Corte
di merito sulla base di valutazioni compiute in conformit ai principi e criteri sopra richiamati e con motivazione
congrua e aderente ai fatti accertati.
I condomini che non usufruiscono dell'ascensore non pagano le spese di pulizia e di esercizio Trib. civ.
Genova, sez. III, 2 maggio 2003, n. 1512 In assenza di prova circa l'esistenza di un regolamento contrattuale o
convenzionale che stabilisca criteri derogatori, deve applicarsi il criterio legale secondo cui anche i proprietari di
unit immobiliari poste al piano terra che non usufruiscono dell'ascensore, essendo comunque comproprietari
dell'impianto comune, sono tenuti a contribuire alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria e a quelle di
ricostruzione, mentre gli stessi sono esonerati ex art. 1123, secondo comma, c.c., dal contribuire alle spese di
esercizio e di pulizia di tale impianto.
Il proprietario risarcisce le molestie subite dallinquilino Cassazione , sez. III civile, sentenza 07.02.2006
n 2531 La Corte di Cassazione, con la sentenza n 2531 del 07/02.2006, ha definito la molestia di diritto per
la quale, ai sensi dellart. 1585 del codice civile, il proprietario deve garantire linquilino e tenerlo indenne.
La Suprema Corte osserva che la molestia di diritto si verifica quando un terzo, reclamando sul bene locato diritti
reali o personali in conflitto con le posizioni accordate al conduttore dal contratto locativo, compia atti di esercizio
della relativa pretesa implicanti la perdita o la menomazione del godimento del conduttore, con la conseguenza
che, qualora la molestia non possa essere riferita alle posizioni accordate dal locatore sulla cosa locata, ma
riguardi altre autonome situazioni di godimento dello stesso conduttore, non giustificate dalla specifica
detenzione autonoma derivante dal contratto di locazione, si versa in ipotesi diversa da quella disciplinata dalla
norma di cui all'art. 1585 cod. civ.
PROPRIETA RAPPORTI DI VICINATO - DISTANZE TRASCRIZIONE Componendo un contrasto di
giurisprudenza, le Sezioni Unite hanno statuito che le domande intese a far valere le violazioni ai limiti legali
della propriet non solo sono suscettibili di trascrizione ai sensi dellart. 2653, numero 1), cod. civ., ma, anzi,
devono essere trascritte perch lattore possa utilmente opporre la sentenza favorevole ottenuta nei confronti del
convenuto anche al terzo acquirente dal convenuto stesso con atto trascritto successivamente alla trascrizione
della domanda. Sentenza n. 13523 del 12 giugno 2006
http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniUnite/SchedaNews.asp?ID=1222
Infiltrazione d'acqua nell'immobile oggetto di locazione Cassazione sez. III, 20 agosto 2003, n. 12220
L'infiltrazione di acque da immobile soprastante concreta molestia di fatto, per la quale il menzionato art. 1585,
comma 2, c.c. conferisce al conduttore una legittimazione autonoma a proporre l'azione di responsabilit nei
confronti dell'autore del danno.
Lesposizione della targhetta con i recapiti dellamministratore non lede la privacy dei condomini. Tar
Veneto, sez. III, 22 giugno 2005, n. 2807 Non legittimato il proprietario di un appartamento condominiale ad
impugnare l'ordinanza con cui il sindaco del Comune prescriva agli amministratori condominiali di esporre
nell'androne o in altro luogo facilmente accessibile un cartello, facilmente leggibile, indicante il nome, il
cognome, l'indirizzo e un recapito telefonicodello stesso amministratore.

Violazioni ai limiti legali della propriet e trascrizione della domanda giudiziale


Cassazione , SS.UU. civili, sentenza 12.06.2006 n 13523
La domanda giudiziale intesa ad ottenere il
rispetto dei limiti legali della propriet, in quanto diretta ad interrompere lusucapione dun diritto di contenuto
contrario ai limiti violati, pu essere trascritta ai sensi dellarticolo 2653 n. 5 Cc. Lo hanno stabilito le Sezioni
Unite della Cassazione, con la sentenza n. 13523 del 12 giugno 2006, ricordando che soltanto mediante la
trascrizione della domanda lattore potr utilmente opporre la sentenza favorevole ottenuta nei confronti del
convenuto anche al terzo acquirente dal convenuto stesso con atto trascritto successivamente alla trascrizione
della domanda. http://www.altalex.com/index.php?idnot=34319
Condominio: s alla tutela possessoria per violazione delle distanze legali Cassazione , sez. II civile,
sentenza 24.11.2003 n 17868 La violazione delle distanze legali nelle costruzioni integra una molestia al
possesso del fondo finitimo contro la quale data l'azione di manutenzione e anche quando tale violazione non
ne comprime di fatto l'esercizio del possesso importa automaticamente una modificazione o restrizione delle
relative facolt. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17868 del 24 novembre 2003,
precisando con riferimento al caso di specie che il condominio compossessore, unitamente agli altri condomini
delle parti comuni dell'edificio condominiale e che, pertanto, legittimato a chiedere la tutela possessoria contro
gli attentati all'esercizio di tale possesso. (Altalex, 14 gennaio 2004. Cfr. Cass. 9 settembre 1989, n. 3911;
Cass., 19 marzo 1991, n. 2927; Cass., 23 gennaio 1995, n. 724).
http://www.altalex.com/index.php?idstr=17&idnot=1631
Potere dell'amministratore di condominio di irrogare sanzioni ai condomini, multe
Cassazione , sez. II civile, sentenza 26.06.2006 n 14735 Fra le facolt dell'amministratore di condominio, ai
sensi dellarticolo 70 disp. att. c.c., rientra anche quella di irrogare sanzioni pecuniarie ai condomini responsabili
di violazioni del regolamento, ove lo stesso preveda tale possibilit. Lo ha stabilito la Cassazione, con la
sentenza 26 giugno 2006 n. 14735, precisando che al fine di attivarsi per far cessare gli abusi, lamministratore
non necessita di alcuna previa delibera assembleare, posto che egli gi tenuto ex lege (articolo 1130 comma 1
c.c.) a curare losservanza del regolamento del condominio al fine di tutelare linteresse generale al decoro, alla
tranquillit ed allabitabilit delledificio. Al riguardo va infatti osservato per un verso,che i fatti materiali
lamentati dal B.( il mancato rispetto, da parte di singoli condomini degli orari per lo scuotimento di panni e
tovaglie e per la battitura dei tappeti,nonch linerzia dellamministratore a fronte di tali condotte,tenute da alcuni
condomini) sono stati ritenuti in se stessi pacifici: diverse - come si vistoessendo le difese del P. a fronte delle
relative avverse deduzioni. Orbene, una volta accertati tali fatti materiali, ritiene la Corte che del tutto
correttamente il Tribunale di Chiavari abbia ritenuto addebitabile al P. la condotta inerte lamentata dal B. a fronte
dei menzionati comportamenti, contrari al regolamento condominiale. Invero, al fine di attivarsi per far cessare
gli abusi, lamministratore non necessita di alcuna previa delibera assembleare, posto che egli gi tenuto ex
lege (articolo 1130 comma 1 Cc: ex plurimis,cfr. Cassazione 14088/99; 9378/97) a curare losservanza del
regolamento del condominio al fine di tutelare linteresse generale al decoro,alla tranquillit ed allabitabilit
delledificio; ed altres nelle sue facolt, ai sensi dellarticolo 70 disp. att. Cc, anche quella di irrogare sanzioni
pecuniarie ai condomini responsabili di siffatte violazioni del regolamento (Cass. 8804/93): ove lo stesso - come
del resto nella specie accertato dai Giudici di appello - preveda tale possibilit. La contraria opinione espressa
al riguardo dal ricorrente - il quale nega che il regolamento condominiale contempli lapplicabilit di sanzioni
pecuniari ai condomini che abbiano violato il regolamento stessi) - integra allevidenza un vizio di tipo
revocatorio, che, tuttavia non essendo deducibile in sede di legittimit, non pu perci stesso essere preso in
considerazione nel presente giudizio. http://www.altalex.com/index.php?idnot=34334
Privacy e condominio: il Garante avvia una consultazione pubblica fonte: www.garanteprivacy.it
Privacy e vita condominiale: una questione che riguarda tutti i cittadini e sulla quale oggi tutti potranno
esprimersi. L'Autorit Garante per la privacy ha infatti avviato una consultazione pubblica sulle problematiche
legate alla protezione dei dati personali nei condomini: Documento di consultazione 1) Trattamento di dati
riferiti ai singoli condomini
Possono formare oggetto di trattamento, in particolare da parte dei condomini e, ove nominato,
dell'amministratore, le sole informazioni personali riferite a ciascun condomino che siano necessarie allo
svolgimento delle attivit di gestione ed amministrazione delle parti comuni: in particolare, i dati anagrafici e i
recapiti di condomini, le quote millesimali attribuite a ciascuno di essi. I singoli condomini possono essere resi
edotti degli eventuali inadempimenti di altri condomini nelle forme del rendiconto annuale o su espressa richiesta
di uno di essi rivolta all'amministratore. Per il trattamento di tali informazioni non necessario il consenso
dell'interessato. Possono altres formare oggetto di trattamento le informazioni relative alle utenze telefoniche
dei singoli condomini. La condivisione di informazioni relative alla gestione della cosa comune avviene di
norma in sede di discussione nell'assemblea condominiale o tramite l'amministratore. Salvo che il condomino
interessato abbia precedentemente reso il consenso o che ricorrano gli specifici presupposti di esclusione dal
consenso stabiliti dalla legge, ad esempio l'esercizio di un diritto in sede giudiziaria (art. 24, comma 1, lett. f) del
Codice), non possono essere messi a disposizione di soggetti terzi dati personali riportati nei prospetti contabili o
dei verbali assembleari o consentendo la presenza in assemblea di soggetti non legittimati a parteciparvi.
Analogamente non possono essere diffusi dati personali, ad esempio mediante l'affissione di avvisi di mora (o,
comunque, di sollecitazioni di pagamento) in spazi condominali accessibili al pubblico. 2) Esercizio del diritto
d'accesso e degli altri diritti previsti dall'art. 7 del Codice riferiti ai singoli condomini e al condominio
(complessivamente considerato)
Il singolo condomino pu accedere ai dati a s riferiti nelle forme previste dagli artt. 7 e ss. d.lg. n. 196/2003.

Tale diritto pu essere esercitato nei confronti del condominio (o, non diversamente, nei confronti della
collettivit dei condomini), anche presentando la relativa istanza all'amministratore. Salva l'applicazione della
disciplina civilistica, le informazioni direttamente riferibili a tutti i condomini (ad es. relative ordine ai dati sul
consumo e gli importi di utenze complessivamente intestate al condominio) possono essere conosciute
mediante l'esercizio del diritto d'accesso previsto dal menzionato art. 7 da parte del legale rappresentante del
condominio (o dai condomini medesimi, a seguito di delibera regolarmente approvata).
Disposizioni di attuazione del codice civile Articolo 70 - [Infrazione al regolamento di condominio]
Per le infrazioni al regolamento di condominio pu essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una
somma fino a lire cento. La somma devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie.
Pretura Salerno Civile Sentenza del 31 maggio 1996
Assemblea - Deliberazioni - Qualificazione della sanzione per infiltrazione al regolamento - Nullita'
Massima: Si deve ritenere nulla la delibera assembleare che quantifichi la sanzione per infrazione al
regolamento di condominio in misura superiore a lire cento, dovendo l'art. 70 disp. att. c.c. essere qualificato
come norma inderogabile.
Conciliazione NAPOLI Sentenza del 11 aprile 1996
Regolamento - Infrazione - Sanzione equivalente al pagamento di una somma fino a lire cento - Questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 70 c.c. - Non manifesta infondatezza
Massima: La questione di legittimit costituzionale dell'art. 70 disp. att. cod. civ., nella parte in cui dispone che
per le infrazioni al regolamento di condominio pu essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una
somma fino a lire cento, non manifestamente infondata, in riferimento agli art. 3, 41 e 42 della Costituzione.
Corte di Cassazione Sezione 2 Civile Sentenza del 17 ottobre 1995, n. 10837
Regolamento - Infrazione - Sanzioni pecuniarie - Natura - Applicabilita' ai conduttori di alloggi condominiali Esclusione
Massima : L'art. 70 disp. att. cod. civ., in base al quale il regolamento di condominio puo` prevedere delle
sanzioni pecuniarie a carico dei trasgressori delle sue disposizioni, ha carattere di norma eccezionale in quanto
contempla una cosiddetta "pena privata" che ha come destinatari i condomini. Essa, pertanto non puo` ritenersi
applicabile ai conduttori degli alloggi condominiali, i quali, ancorche` si trovino a godere delle parti comuni
dell'edificio in base ad un rapporto obbligatorio, rimangono estranei all'organizzazione condominiale.
da vedere: Sen 20/08/1993 8804 sez 2 Civ
Corte di Cassazione Sezione 2 Civile Sentenza del 26 gennaio 1995, n. 948 Regolamento - Infrazione Sanzioni pecuniarie superiori a cento lire - Nullita'
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto notificato il 27 marzo 1991 il Condominio di via Petrarca n. 175 in Napoli conveniva davanti al
Conciliatore di Napoli Emilia Gallotta, chiedendo la condanna della stessa al pagamento della somma di lire
900.000, che costituiva la penale per infrazione alle disposizioni contenute nel regolamento di condominio in
ordine alla sosta di autoveicoli negli spazi comuni.
La convenuta, costituitasi, oltre a chiedere la sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello
pendente davanti al Tribunale di Napoli avente ad oggetto la impugnazione della delibera che aveva inserito nel
regolamento di condominio i divieti e le relative sanzioni posti a base della domanda del condominio nei suoi
confronti, contestava comunque la fondatezza della domanda sotto vari profili.
Con sentenza in data 16 dicembre 1991 il conciliatore accoglieva la domanda.
Il conciliatore riteneva, innanzitutto, che non sussistesse la causa di sospensione invocata dalla Gallotta, in
quanto: a) la questione della invalidit della delibera era stata proposta come domanda riconvenzionale dalla
stessa Gallotta e quindi avrebbe dovuto comunque esaminarla, ove non si fosse ritenuto incompetente, il che
era da escludere in quanto la competenza funzionale del conciliatore si estende anche alla impugnazione delle
delibere che abbiano ad oggetto le modalit di uso di un servizio condominiale; b) la vita del condominio non pu
essere ibernata dalla definizione di un processo.
Il conciliatore, esclusa, poi, la fondatezza di varie eccezioni sollevate dalla Gallotta (modifica del regolamento di
condominio di natura contrattuale senza il consenso unanime dei condomini e senza la previsione nell'ordine del
giorno; mancata contestazione delle infrazioni secondo le previsioni del regolamento) riteneva, poi, infondata
anche l'eccezione di illegittimit costituzionale dell'art. 70 att. c. c. ed affermava che l'assemblea pu introdurre
sanzioni pecuniarie pi elevate di quelle previste da tale norma, sanzioni che il giudice non pu ridurre.
Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la Gallotta, con dieci motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il condominio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con i primi tre motivi la ricorrente deduce che il conciliatore: a) erroneamente ha ritenuto non sussistesse una
causa di sospensione ex art. 295 c. p.c.; b) ha omesso dichiarato la litispendenza sulla domanda
riconvenzionale; c) erroneamente ha affermato la propria competenza in ordine alla domanda riconvenzionale.
I motivi sono infondati per la assorbente considerazione che, in realt, la domanda riconvenzionale alla quale fa
riferimento la ricorrente non stata mai proposta.
La Gallotta, infatti, cos testualmente concluse con la propria comparsa di costituzione e risposta: "in via
principale subordinata: per la declaratoria incidentale di nullit della delibera 23 giugno 1987...".
Da un punto di vista logico occorre, poi, procedere all'esame del settimo motivo, con il quale si deduce che il
regolamento di condominio non pu prevedere, per la infrazione alle sue disposizioni, sanzioni pecuniarie di
importo superiore a quello previsto dall'art. 70 att. cod. civ.
La censura fondata.
Se, infatti, l'art. 70 cit., prevede che per le infrazioni al regolamento di condominio pu essere stabilito, a titolo di

sanzione, il pagamento di una somma "fino a lire cento", ci significa a contrario che non possono essere
previste sanzioni di importo maggiore.
Le eventuali disposizioni del regolamento di condominio che dovessero prevedere tali maggiori sanzioni sono
nulle, in quanto contra legem.
L'accoglimento del settimo motivo comporta l'assorbimento degli altri motivi con i quali la Gallotta aveva
riproposto le stesse doglianze ritenute infondate dal conciliatore (necessit del consenso unanime dei condomini
per la modifica del regolamento, in considerazione della sua natura contrattuale; mancata inserzione della
modifica del regolamento nell'ordine del giorno; illegittimit costituzionale dell'art. 70 att. c. c. ; eccessivit della
sanzione; mancata contestazione della infrazione; mancata riduzione della sanzione).
In relazione al motivo accolto la sentenza impugnata va cassata, con rinvio, per un nuovo esame, al Conciliatore
di Pozzuoli, che provveder anche in ordine alle spese del giudizio di legittimit (Omissis).
Corte di Cassazione Sezione 2 Civile Sentenza del 20 agosto 1993, n. 8804
Amministratore - Responsabilita' - Danni conseguenti all' abuso dei condomini nell' uso della cosa comune
- Esclusione
Massima: L`amministratore del condominio, che e` responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza, dal
cattivo uso dei poteri e in genere di qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari, non puo`
essere ritenuto responsabile, ancorche` sia tenuto a far osservare il regolamento condominiale, dei danni
cagionati dall`abuso dei condomini nell`uso della cosa comune, non essendo dotato di poteri coercitivi e
disciplinari nei confronti dei singoli condomini - salvo che il regolamento di condominio, ai sensi dell`art. 70 disp.
att. cod. civ., preveda la possibilita` di applicazione di sanzioni nei confronti dei condomini che violano le norme
da esso stabilite sull`uso delle cose comuni - ne` obbligato a promuovere azione giudiziaria contro i detti
condomini in mancanza di una espressa disposizione condominiale o di una delibera assembleare.
Integrale:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del 25 maggio 1988 Tommaso Ersoni conveniva dinanzi al Conciliatore di Pineto il Condominio
"Abruzzo I" in persona dell'amministratore pro tempore Giancarlo Reca per sentirlo condannare al risarcimento
del danno nella misura di lire 500.000 o in quella diversa, maggiore o minore, ritenuta di giustizia sull'assunto
che l'amministratore non curava l'uso delle cose comuni e le prestazioni dei servizi comuni, secondo il
regolamento di condominio e in modo da assicurarne il miglior godimento a tutti i condomini, sebbene una
precedente sentenza avesse disposto che lo stesso amministratore provvedesse a far rispettare tutte le norme
regolamentari.
L'amministratore costituitosi, eccepiva la nullit della domanda per l'indeterminatezza dell'oggetto e il difetto di
legittimazione passiva.
Il giudice conciliatore con sentenza 26 maggio 1989 rigettava la domanda proposta dall'Ersoni.
Secondo il giudice monocratico i limiti dei compiti assegnati all'amministratore, quali risultano disciplinati dall'art.
1130 c. c., escludevano la sua responsabilit per i danni lamentati dall'attore a causa di abusi posti in essere da
uno o pi condomini nei confronti degli altri condomini.
Ci in quanto le sue competenze devono intendersi limitate alla emanazione di prescrizioni di carattere generale
nel rispetto delle regole condominiali, non potendo a lui essere demandati compiti di sorveglianza e di custodia
che certamente esulano dai suoi doveri.
Peraltro anche a voler ipotizzare una sua responsabilit, la domanda dell'Ersoni egualmente non poteva trovare
accoglimento non essendo stata dimostrata l'esistenza di un danno risarcibile.
Infine doveva ritenersi inammissibile in quanto tardiva la domanda dell'attore diretta ad ottenere che si ordinasse
all'amministratore di controllare e disciplinare il godimento delle fasce carrozzabili in modo da assicurare il
miglior godimento a tutti i condomini.
Contro questa sentenza ha proposto ricorso l'Ersoni sulla base di un unico articolato motivo di cassazione.
Il condominio non si costituito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo denunciando violazione degli artt. 1130, 1131 c. c. assume il ricorrente che poich
l'amministratore del condominio pu agire in giudizio sia contro i condomini, sia contro i terzi, quando si
verifichino abusi nell'uso della cosa comune, l'amministratore ha il potere e il dovere di intervenire esercitando le
necessarie azioni giudiziarie contro quei condomini ritenuti responsabili. Nel caso in esame vi era stato abuso
della cosa comune onde l'amministratore era tenuto ad agire giudizialmente contro i responsabili, per cui non
avendo a ci provveduto deve rispondere del danno provocato dalla sua inadempienza.
Sostiene inoltre, quanto alla prova del danno, che il giudice conciliatore data la natura del giudizio di equit,
avrebbe dovuto invitare l'attore a fornire ulteriori elementi di prova e, in ogni caso determinare il danno
equitativamente.
Infine erroneamente il giudice conciliatore avrebbe ritenuto trasmissibile la domanda dell'attore diretta ad
ottenere la regolamentazione da parte dell'amministratore del godimento delle fasce carrozzabili, dal momento
che la tardivit della domanda non stata eccepita dal convenuto e, il giudice non poteva rilevarla d'ufficio.
Il ricorso infondato.
Le attribuzioni dell'amministratore del condominio sono fissate dall'art. 1130 c. c. e possono ripartirsi secondo le
loro caratteristiche in funzioni: 1) normative, in quanto detta con ordini di servizio le discipline dell'uso delle cose
e dei servizi comuni a vantaggio di tutti i condomini; 2) funzionali, in quanto deve curare l'osservanza delle
norme del regolamento condominiale; 3) esecutive, in quanto deve porre in atto le deliberazioni dell'assemblea;
4) conservative, in quanto deve compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle cose comuni dell'edificio, ivi
comprese le azioni giudiziarie; 5) contabili, in quanto deve tenere la gestione contabile del condominio.

Ora anche se i limiti dei poteri dell'amministratore possono essere pi o meno ampi in relazione al contenuto
specifico del regolamento di condominio ed alle eventuali direttive fissate dall'assemblea fuor di dubbio che
egli nell'esercizio delle sue mansioni, sebbene sia tenuto a curare l'osservanza del regolamento da parte dei
condomini non ha poteri coercitivi o disciplinari nei loro confronti, a meno che a norma dell'art. 70 att. c. c. il
regolamento di condominio non preveda che ai condomini i quali incorrono in infrazioni alle norme ivi stabilite per
l'uso della cosa comune venga inflitta una sanzione pecuniaria, disposizione che quando esiste spetta
all'amministratore di farne applicazione.
N ha l'obbligo giuridico, in termini di causalit, cio in quanto tenuto ad impedire l'evento, di promuovere il
giudizio nei confronti dei condomini che abusano nell'uso della cosa comune, poich il potere-dovere di curare
l'osservanza del regolamento di condominio non postula, in mancanza di una espressa regola condominiale o di
una delibera assembleare, l'onere di esigere in via giudiziale il rispetto delle regole condominiali.
Pertanto egli pu rispondere dei danni cagionati dalla sua negligenza, dal cattivo uso dei poteri e in genere di
qualsiasi inadempimento degli obblighi legali o regolamentari, ma al di fuori di queste ipotesi, non pu essere
ritenuto responsabile dei danni cagionati dall'abuso nell'uso delle cose comuni da parte dei condomini.
Del pari infondata l'ulteriore censura con la quale si sostiene che erroneamente il giudice conciliatore avrebbe
ritenuto inammissibile la domanda diretta ad ottenere la disciplina dell'uso delle fasce carrozzabili, in quanto la
doglianza non investe la seconda delle due ragioni poste a fondamento dell'affermazione di inammissibilit della
domanda, collegata dal giudice del merito alla preclusione derivante da un precedente giudicato.
Il ricorso pertanto deve essere respinto, mentre non v' luogo a provvedere sulle spese del giudizio di
cassazione non essendo l'intimato vittorioso costituito (Omissis).
Violazione del regolamento condominiale: amministratore pu agire in giudizio
( Cassazione , sez. II civile, sentenza 29.10.2003 n 16240 )
L'amministratore del condominio legittimato ad agire e resistere in giudizio, senza necessit di alcuna
preventiva autorizzazione assembleare, non solo per l'esecuzione delle delibere dell'assemblea, ma anche per
garantire l'osservanza del regolamento condominiale e tutelare conseguentemente la condominialit dagli effetti
lesivi della inosservanza dello stesso.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16240 del 29 ottobre 2003, statuendo nella specie la
legittimit dell'azione promossa dall'amministratore del condominio contro la violazione del divieto di destinare
locali di propriet esclusiva a determinati usi.
(Altalex, 3 febbraio 2004. Cfr. Cass. n. 954/77, n. 14088/99, n. 13504/99).
VILLETTE A SCHIERA E CONDOMINIO
La questione ha trovato atteggiamenti non sempre concordanti fra magistratura di merito (tribunale e corte
dappello) e magistratura di legittimit (corte di cassazione).
Ne un esempio una recente sentenza della Cassazione (n. 8066 del 18 aprile 2005) che ha cassato una
sentenza della Corte dAppello in merito ad un caso analogo a quello descritto nel quesito: anche in quel caso si
trattava di gruppi di villette a schiera uno dei quali aveva subito lesioni strutturali che richiedevano interventi e
spese relative.
Il complesso condominiale aveva deliberato la sua estraneit al fatto mentre i condomini del gruppo danneggiato
avevano ricorso per far annullare la delibera: in primo grado il ricorso stato accolto, in appello respinto mentre
in Cassazione, come vedremo stato di nuovo accolto.
La Corte dAppello aveva ritenuto che quando esiste un complesso di gruppi di villette a schiera si sia in
presenza di vari condominii separati, ognuno dei quali ha una sua configurazione autonoma e quindi
responsabilit di gestione e spese separate, mentre per i servizi comuni ad altri gruppi di villette (es.
riscaldamento) si in presenza di un supercondominio e ci in relazione soprattutto al fatto che il condominio
pu esistere solo negli edifici che si estendono in senso verticale, generalmente sviluppatisi in pi piani, e non in
senso orizzontale, cio fra pi edifici.
La corte di Cassazione invece, in base ad unanalisi puntuale delle norme sul condominio che qui solo
richiamiamo (art. 1123 c.c., art. 61 e 62 disp. attuaz. cod.civ.) ha stabilito che pu esistere anche un condominio
in senso orizzontale, cio composto da gruppi o complessi di edifici indipendenti e che spetta solo allautonomia
privata la scelta se dare luogo alla formazione di un unico condominio oppure di distinti condominii per ogni
fabbricato, cui si affianca in tale caso la figura ... del supercondominio, al quale sono applicabili le norme relative
al condominio in relazione alle parti comuni, di cui allart. 1117 c.c., come per esempio le portinerie, le reti viarie
interne, gli impianti di servizi idraulici o energetici dei complessi residenziali, mentre restano soggette alla
disciplina della comunione ordinaria le altre eventuali strutture, che sono invece dotate di una propria autonomia,
come per esempio le attrezzature sportive, gli spazi dintrattenimento, i locali di centri commerciali inclusi nel
comprensorio comune.
Quindi occorre leggere attentamente gli atti dacquisto ed il regolamento esistente per verificare in quale
situazione ci si trovi anche perch da un loro differente contenuto pu derivare un obbligo generalizzato o meno
di partecipazione alle spese previste nel quesito.
Sempre nella stessa sentenza la Corte di Cassazione ricorda che lesistenza di un condominio unico
generalizzato (composto da tutti i proprietari di tutti i gruppi di edifici) non esclude lesistenza del cosiddetto
condominio parziale, perch nei casi in cui il condominio sia costituito da un complesso residenziale formato da
un insieme di edifici, raggruppati in blocchi, ciascuno dei quali comprenda diversi corpi di fabbrica,
configurabile, alla luce del principio di cui allart. 1123, terzo comma del codice civile, lipotesi di condominio
parziale (con la correlativa responsabilit nella ripartizione delle spese) qualora le parti comuni relative ai singoli
blocchi dedifici appartengano ai soli proprietari delle unit immobiliari comprese in ognuno di essi.

Ci significa che anche se il regolamento interno prevede lesistenza di un unico condominio, secondo lart.
1123, terzo comma, cod. civ. qualora un edificio abbia pi scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati
a servire una parte dellintero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di
condomini che ne trae utilit.
Sopraelevazione: indennizzo Cass. Civ. 21.08.2003, n.12292 L'indennit di sopraelevazione di cui all'art.
1127, comma 4, c.c., che ha come elemento base il valore dell'area su cui insiste l'edificio o la parte di esso che
viene sopraelevata, va determinata dividendo il relativo importo per il numero dei piani - compreso quello o quelli
di nuova costruzione - poi diminuendo il quoziente cos ottenuto della quota spettante al condomino che ha
eseguito la sopraelevazione (quota da calcolarsi in relazione al piano o parte di piano o pi piani di propriet di
detto condomino prima della sopraelevazione) ed infine ripartendo il risultato residuo tra i proprietari degli altri
piani preesistenti, mentre errato dividere quest'ultima somma tra tutti i condomini.
Il diritto de condomini ad accedere ai documenti contabili Cass. civ., sez. II, 8 agosto 2003, n. 11940
Il
comportamento dellamministratore che, a richiesta dei condomini, neghi a questultimi laccesso alla
documentazione contabile in sede di approvazione del consuntivo, determina linvalidit della delibera di
approvazione data la violazione da parte dellamministratore dellobbligo di rendiconto;
in sede di approvazione del preventivo, non pu invece determinare invalidit della relativa delibera, giacch
normalmente, la previsione di spesa viene fatta sulla base della gestione dell'anno precedente, e dove,
soprattutto, la documentazione sulle spese potr essere conseguita una volta che esse siano state effettuate, e
non in via preventiva.
Comunione dei diritti reali - muri perimetrali Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 2004, n. 23453 I muri
perimetrali degli edifici in cemento armato delimitanti un edificio in condominio rispetto ad altro edificio
condominiale costruito in aderenza, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 934 e 1117 c.c.
appartengono a tutti i comproprietari del suolo, in quanto costruiti su suolo comune, e pertanto, costituendo un
elemento strutturale dell'immobile di cui beneficiano tutti i condomini, a tutti i proprietari dei piani o delle porzioni
di piano facenti parte del fabbricato in regime di condominio, che ne sono conseguentemente compossessori.
L'equo canone e i patti in deroga vengono definitivamente superati dalla nuova legge sulle locazioni che
ad ampie mani ha proceduto ad abrogazioni delle precedenti normative in tutte le parti ritenute incompatibili con
il nuovo ordinario regime delle locazioni che si intende introdurre. Pi precisamente l'articolo 11 della legge
8/8/1992 n 359, conosciuto come legge sui Patti in deroga, completamente abrogato. Riguardo alla legge
392/78, quella dell'equo canone, questa mantiene invece tutta la sua validit ed attualit nelle parti che
disciplinano le locazioni di immobili urbani ad uso diverso da quello di abitazione. Per quanto riguarda le
locazioni ad uso abitativo c' da fare un discorso pi complesso ed articolato, in quanto assieme ad esplicite
abrogazioni permangono alcune norme originariamente dettate per l'uso abitativo, che mantengono piena
validit ed efficacia anche nel regime riformato. A queste poi vanno aggiunte anche tutta una serie di altre norme
che, pur collocate nell'ambito delle disposizioni che la legge 392/78 dettava in materia di usi diversi, valgono
anche nei confronti dell'uso abitativo o perch richiamate da norme della 392/78 non abrogate, o perch
direttamente richiamate dalla legge di riforma. Si pensi in particolare a tutto il sistema delle prelazioni che,
dettato dalla 392/78 con esclusivo riferimento agli usi diversi, viene oggi dalla legge di riforma recepito a
disciplinare il diritto di prelazione del conduttore ad uso abitativo, nei casi contemplati dalla nuova legge. Da un
esame dell'articolo 14 della nuova legge e in particolare del comma 4 della stessa, che esplicitamente determina
le abrogazioni degli articoli della legge 392/78, risulta che le disposizioni non espressamente abrogate
riguardano i seguenti articoli.
Articolo 2 (Disciplina della sublocazione)
Articolo 4 (Recesso del conduttore)
Articolo 5 (Inadempimento del conduttore)
Articolo 6 (Successione nel contratto)
Articolo 7 (Clausola di scioglimento in caso di alienazione)
Articolo 8 (Spese di registrazione)
Articolo 9 (Oneri accessori)
Articolo 10 (Partecipazione del conduttore all'assemblea dei condomini)
Articolo 11 (Deposito cauzionale)
Articolo 30 ( Procedura per il rilascio)
Articolo 38 (Diritto di prelazione)
Articolo 39 (Diritto di riscatto)

Articolo 40 (Diritto di prelazione in caso di nuova locazione)


Articolo 55 (Termine per il pagamento dei canoni scaduti)
Articolo 56 (Modalit per il rilascio)
Articolo 57 (Esenzioni fiscali ed onorari professionali)
Articolo 58 (Durata dei contratti in corso soggetti a proroga)
Articolo 59 (Recesso del locatore)
Articolo 74 (Rinvio)
Articolo 80 (Uso diverso da quello pattuito)
Articolo 81 (Pubblicazione di dati Istat sulla Gazzetta Ufficiale)
Articolo 82 (Giudizi in corso)
Articolo 83 (Relazione al Parlamento)
Articolo 84 (Abrogazione)
Articolo 85 (Entrata in vigore)
Ovviamente molti di questi articoli, anche se non espressamente abrogati, hanno esaurito la loro efficacia nel
periodo transitorio della legge 392/78 (si pensi agli articoli 58, 59, 74, 82, 83, 84, 85), altri avranno piena vigenza
anche all'interno del nuovo regime di riforma.
Articolo 2 (Disciplina della sublocazione)
Vieta la sublocazione totale dell'immobile e la cessione a terzi del contratto senza il consenso del locatore e che
disciplina la sublocazione parziale la quale ammessa, se non pattuito diversamente, ponendo per a carico
dell'inquilino, l'onere di comunicarlo al locatore, con lettera raccomandata che indichi la persona del
subconduttore, la durata del contratto ed i vani sublocati.
Articolo 4 (Recesso del conduttore)
Prevede la possibilit di interrompere in qualsiasi momento il contratto da parte dell'inquilino, qualora esistono
gravi motivi che giustifichino l'anticipato rilascio. Tale facolt, peraltro, autonomamente inserita, con quasi
identica formulazione, dalla nuova legge che appunto, all'articolo 3 comma 6, stabilisce che il conduttore,
qualora ricorrano gravi motivi, pu recedere in qualsiasi momento dal contratto dando comunicazione al locatore
con preavviso di sei mesi.
Articolo 5 (Inadempimento del conduttore)
Stabilisce che motivo di risoluzione del contratto il mancato pagamento dell'affitto o degli oneri accessori
quando l'importo di questi ultimi superi le due mensilit di affitto.
Lo stesso articolo 5 per, richiamando l'articolo 55 della legge 392/78, anche questo non abrogato dalla nuova
normativa, consente la sanatoria della morosit alle condizioni e nelle modalit previste dall'articolo 55 stesso.
Articolo 6 (Successione del contratto)
Prevede la successione nel contratto in caso di morte del conduttore a favore del coniuge, degli eredi e dei
parenti e affini con lui abitualmente conviventi.
Stabilisce altres che in caso di separazione giudiziale, di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli
effetti civili dello stesso, nel contratto di locazione succede l'altro coniuge se il diritto di abitare nella casa
familiare gli sia stato attribuito dal Giudice, e che in caso di separazione consensuale o di nullit matrimoniale al
conduttore succede l'altro coniuge se tra i due si sia cos convenuto.
Va rammentato che la Corte Costituzionale con la sua sentenza n 404 del 7 aprile 1988, ha di fatto esteso i
benefici successori previsti dalla legge per il coniuge anche al convivente more-uxorio.
Articolo 7 (Clausola di scioglimento in caso di alienazione)
Stabilisce che ' nulla ogni clausola, prevista nel contratto, che preveda la risoluzione del contratto in caso di
vendita dell'appartamento affittato.
Articolo 8 (spese di registrazione)

Prevede la ripartizione delle spese di registrazione a carico per met al proprietario e per met all'inquilino.
Questo articolo va ricollegato all'articolo 8 comma 1 della nuova legge in cui si prevede che per i contratti
stipulati in base agli accordi collettivi provinciali nell'ambito dei Comuni indicati dalla legge 61/89, il canone
annuo ai fini della determinazione della base imponibile per applicare l'imposta di registro, considerato nella
misura del 70%.
Articolo 9 (Oneri accessori)
Prevede che le spese relative alle pulizie, al funzionamento e all'ordinaria manutenzione dell'ascensore, alla
fornitura dell'acqua, dell'energia elettrica, del riscaldamento e del condizionamento d'aria, allo spurgo dei pozzi
neri, nonch la fornitura di altri servizi comuni siano a carico dell'inquilino, ad accezione di eventuali accordi tra
le parti.
Prevede inoltre che le spese di portierato siano a carico per il 90% all'inquilino e per il 10% al proprietario, ad
eccezione di quei casi in cui le parti si siano accordate su una misura inferiore.
Il pagamento degli oneri accessori va effettuato entro due mesi dalla richiesta.
L'inquilino prima del pagamento ha diritto ad avere un rendiconto delle spese e la menzione dei criteri di
ripartizione oltre che quello di prendere visione dei documenti che giustificano le spese effettuate.
Va rilevato che tuttora vigente la disposizione contenuta nell'articolo 6 comma 4 della legge 22 dicembre 1973
n 841il quale stabilisce che il diritto al rimborso delle spese sostenute dal locatore per la fornitura di servizi a
carico, per contratto, del conduttore si prescrive nel termine di due anni.
Articolo. 10 (Partecipazione del conduttore all'assemblea dei condomini)
Prevede il diritto dell'inquilino ha partecipare con diritto di voto, al posto del proprietario, nelle assemblee
condominiali dove si decidono le spese di riscaldamento e di condizionamento d'aria le relative modalit di
gestione.
L'inquilino ha diritto di partecipazione, senza possibilit di voto, nelle assemblee condominiali dove si deliberano
modifiche degli altri servizi comuni.
Tale facolt si applica anche a vantaggio di inquilini in ambito di edifici non n condominio, in questa ipotesi si
riuniscono in apposita assemblea, convocati dal proprietario dell'edificio, o da almeno tre conduttori.
Articolo 11 (Deposito cauzionale)
L'articolo prevede che il deposito cauzionale, ove costituito, non pu superare le tre mensilit di affitto ed
obbligatoriamente produttivo di interessi legali che vanno corrisposti all'inquilino alla fine di ogni anno.
Il deposito cauzionale pu essere sostituito da una fideiussione bancaria o assicurativa che copra le tre mensilit
di canone, dovute come deposito, in questo caso all'inquilino non vengono corrisposti interessi.
Articolo 30 (Procedura per il rilascio)
Prevede la procedura da avviare, a cura del locatore che intenda recedere dal contratto dopo aver inviato la
comunicazione prevista dall'articolo 3 della nuova legge, nei casi e nei motivi l indicati nelle lettera da a) a g) e
precedentemente illustrati.
Nell'avviare la procedura, a seguito di quanto disposto dalla legge 353/90, devono essere osservate le norme
previste dall'articolo 447 bis del Codice di procedura civile.
Articolo 38 (Diritto di prelazione)
Articolo 39 (Diritto di riscatto)
Disciplinano le modalit per l'esercizio del diritto di prelazione e di eventuale riscatto dell'inquilino in caso di
vendita dell'immobile, locato ad uso diverso, da parte del proprietario.
La nuova legge, come in precedenza si illustrato, prevede che nel caso in cui il locatore eserciti il recesso
avendo necessit di vendere, all'inquilino sia riconosciuto il diritto di prelazione esercitabile con le modalit che
gli articoli 38 e 39 della 392/78 prevedono.
Articolo 40 (Diritto di prelazione in caso di nuova locazione)
Regola il diritto di prelazione del conduttore ad usi diversi nel caso in cui il locatore intenda locare a terzi
l'immobile.
La nuova legge recepisce questa disposizione in ambito abitativo prevedendo che il conduttore con le modalit

dell'articolo 40 della 392/78 ha diritto di prelazione per il nuovo contratto qualora il proprietario, dopo aver
riottenuto l'immobile per eseguirvi i lavori previsti dalla lettera d) ed e) dell'articolo3, dopo averli effettuati, intenda
nuovamente riaffittare l'immobile.
Articolo 55 (Termine per il pagamento dei canoni scaduti)
Questo articolo non solo viene mantenuto in vita dalla nuova legge, ma la stessa ne amplia per cos dire l'ambito
di applicabilit in quanto, come si visto in precedenza, si potr avvalere delle particolari facolt e modalit di
sanatoria previste dall'articolo stesso anche l'inquilino soggetto a provvedimento di sfratto esecutivo che rischia,
versando in stato di inadempienza, di decadere dai benefici della proroga.
Infatti, come si gi rilevato, innovando a tutte le precedenti normative, il comma 6 dell'articolo 6 della nuova
legge consente al conduttore di avvalersi della sanatoria per pagare le eventuali somme richieste e poter
beneficiare della sospensione della proroga.
In sintesi l'articolo 55 stabilisce che il conduttore pu sanare per non pi di tre volte nel quadriennio la morosit
in udienza, ovvero richiedere un termine non superiore a novanta giorni (quattro volte e centoventi giorni in
determinate situazioni di bisogno).
Il pagamento nei termini esclude la risoluzione del contratto.
Articolo 56 (Modalit per il rilascio)
Stabilisce che con il provvedimento che dispone il rilascio il Giudice, tenuto conto delle condizioni del conduttore
e delle ragioni per le quali viene disposto il rilascio, fissa anche la data di esecuzione entro il termine di sei mesi
o in casi eccezionali dodici mesi dalla data del provvedimento.
Per i provvedimenti di morosit la data dell'esecuzione non pu essere fissata oltre sessanta giorni dalla
scadenza del termine concesso per il pagamento.
Articolo 57 (Esenzioni fiscali ed onorari professionali)
Dispone una seria di esenzioni fiscali in materia di controversie locatizie e limita gli onorari in tale materia.
Articolo 80 (Uso diverso da quello pattuito)
Disciplina l'avvenuto mutamento d'uso da parte del conduttore e le modalit e i termini imposti al locatore per
agire per la risoluzione del contratto, in mancanza della quale al contratto si applica il regime giuridico
corrispondente all'uso dell'immobile.
SENTENZA RESPONSABILIT DELL'APPALTATORE PER CUSTODIA L'appaltatore di lavori edili,
nell'esecuzione della propria attivit, in base al principio del neminem ledere, deve osservare tutte le
cautele necessarie per evitare che non solo i propri dipendenti, ma anche i terzi, riportino danni alla
persona. Tale obbligo non si limita al periodo di mera esecuzione delle opere appaltate, ma anche alla
fase successiva, qualora egli conservi il controllo della zona dei lavori, ma soprattutto si concreta
nell'obbligo di non lasciare senza custodia situazioni di grave pericolo, derivando da ci colpa consistita
sia in grave negligenza che in grave imprudenza. Sulla base delle motivazioni sopra esposte, la
Cassazione ha affermato la responsabilit dellappaltatore per la morte di una donna a seguito della caduta da
un balcone dal quale, dopo lesecuzione dei lavori di tinteggiatura esterna del fabbricato, erano stati rimossi i
listelli in legno fissati sui montanti del parapetto, in attesa che altra impresa, a tal fine incaricata, apponesse le
nuove ringhiere. La citata situazione di grave pericolo stata individuata dalla Cassazione nella fattispecie
giunta alla propria attenzione per la presenza di un balcone privo di protezione. L'appaltatore si sarebbe potuto
liberare dal proprio obbligo di custodia (e conseguentemente dalla relativa posizione di responsabilit) solo se
fossero iniziati i lavori di apposizione delle ringhiere ai balconi con subentro nell'esecuzione delle opere di altra
impresa, che avrebbe assunto a proprio carico l'obbligo di osservanza delle cautele per evitare danni a
dipendenti e terzi. (Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 28 aprile 2006, n.14817).
Installazione di apparecchi radio-televisivi Cass. civ., sez. II, 21/08/2003, n.12295
In tema di installazione di apparecchi di antenna radio-televisivi, il relativo diritto, riconosciuto dall'art. 1 della
legge n. 554 del 1940, diritto soggettivo perfetto, di natura personale, condizionato solo nei riguardi degli
interessi generali, ma non nei confronti dei proprietari obbligati, rispetto ai quali la legge si limita ad imporre al
titolare del diritto di impianto che l'installazione non debba impedire in alcun modo il libero uso della propriet
secondo la sua destinazione, n arrecare danni alla propriet medesima.
Sopraelevazioni di nuovi piani Cass. civ., sez. II, 21/05/2003, n.7956 Il diritto di sopraelevare nuovi piani o
nuove fabbriche spetta al proprietario esclusivo del lastrico solare ai sensi e con le limitazioni previste dall'art.
1127 c.c., dovendo in detta ipotesi essere corrisposta agli altri condomini l'indennit prevista da detta norma,
essendo irrilevante a quest'ultimo fine l'eventuale edificazione in assenza di concessione edilizia.
Lamministratore di un condominio non ha il potere di frazionare la spesa straordinaria deliberata Giud.

pace Castellammare Di Stabia, 19 luglio 2004, n. 3266 Il potere di procedere alla ripartizione di spese
straordinarie non spetta all'amministratore, bens all'assemblea condominiale.
Inoltre, in mancanza della prova scritta dellavvenuta approvazione del criterio di ripartizione, il Giudice non
dovrebbe neanche concedere il decreto ingiuntivo perch non fondato su credito liquido ed esigibile.
Deliberazione dei criteri di riparto delle spese Trib. civ. Milano, sez. VIII, 18 ottobre 2004, n. 11862 La
domanda volta ad ottenere una pronuncia che individui ex art. 1123 c.c. il criterio di ripartizione di alcune spese
condominiali, non ammissibile nel vigente schema di disciplina legale di funzionamento della collettivit
condominiale, nel quale riservata all'assemblea dei condomini, quale specifica attribuzione, ogni deliberazione
dei criteri di riparto delle spese relative alla manutenzione dei beni comuni; deliberazione suscettibile poi di
impugnazione nel caso di contrariet alla legge o al regolamento, senza che possa configurarsi azione di
preventivo accertamento del corretto contenuto della decisione collettiva sfociante in pronuncia, di fatto,
sostitutiva della volont assembleare ed all'ottenimento della quale, prima appunto della discussione
assembleare, neppure configurabile un concreto interesse del singolo condomino e, tanto meno, della
collettivit impersonata dall'amministratore.
sentenza 26 giugno 2006 n.14735, precisando che al fine di attivarsi per far cessare gli abusi,
l'amministratore non necessita di alcuna previa delibera assembleare, posto che egli gi
tenuto ex lege (art.1130 comma 1 c.c.) a curare l'osservanza del regolamento di condominio
al fine di tutelare l'interesse generale al decoro,alla tranquillit ed all'abitabilit dell'edificio.
Fra le faccolt dell'amministratore di condominio,ai sensi dell'art. 70 disp.att.c.c., rientra anche
quella di irrogare sanzioni pecuniarie ai condomini responsabili di violazione del regolamento,
ove lo stesso preveda tale possibilit.
Distanze legali nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino Cass. civ., sez. II, 5 giugno 2003, n.
8978 Le norme sulle distanze legali sono applicabili anche nei rapporti tra i condomini di un edificio
condominiale quando siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative all'uso delle cose
comuni (art. 1102 c.c.), cio quando l'applicazione di quest'ultime non sia in contrasto con le prime; nell'ipotesi di
contrasto prevalgono le norme sulle cose comuni con la conseguente inapplicabilit di quelle relative alle
distanze legali che nel condominio degli edifici e nei rapporti fra singolo condomino e condominio, sono in
rapporto di subordinazione rispetto alle prime.
Clausole vessatorie - Contratto concluso da amministratore condominiale Trib. civ. Modena, sez. I ord.,
20 ottobre 2004 Al contratto concluso con il professionista dall'amministratore del condominio - ente di
gestione sfornito di personalit giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti - si applicano, in presenza degli
altri elementi previsti dalla legge, gli articoli 1469 bis ss. c.c., atteso che l'amministratore agisce quale
mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto
persone fisiche operanti per scopi estranei ad attivit imprenditoriale o professionale.
Diritto installazione servoscala Trib. civ. Firenze, 10 novembre 2004 Il diritto del singolo condomino di
installare servoscala o strutture mobili facilmente amovibili secondo la previsione di cui all'art. 2 della L. n.
13/1989, prescinde dalla qualit di portatore di handicap o di esercente la tutela o potest su un portatore di
handicap.
La conservazione dei documenti condominiali e il loro accesso
Il condominio una societ in piccolo e ha una struttura e complessit di rapporti che
la ricordano. Infatti ha assemblee e dirigenti (lamministratore), dipendenti (portiere) e
sviluppa un gran numero di relazioni con il mondo esterno. Praticamente con il
condominio si spazia dal diritto condominiale a quello del lavoro e delle obbligazioni,
della legislazione urbanistica. Prima con lintroduzione dellIva e dellInvim, poi con llci,
quindi con la detrazione sul recupero ed infine con il condominio sostituto dimposta
ci si trova innanzi anche a un complesso intreccio di problemi fiscali.
Regista di tutte queste relazioni lamministratore condominiale, il quale a tutela dei
diritti di tutto il condominio rispetto a terzi, o di quelli del singolo condomino, ha come
unica arma in mano la documentazione esistente. Se ne deduce che diviene centrale
lobbligo di conservarla e di utilizzarla nei limiti del suo mandato.
Occorre sin da subito chiarire per che non tutti i documenti condominiali hanno valore
rispetto a terze persone coinvolte. Rispetto a una pretesa esterna (quella di un
fornitore o di una ditta appaltatrice, per esempio), assolutamente inutile produrre
come prova un rendiconto condominiale approvato o una delibera riportata nel registro
verbali: si tratta di atti con valore esclusivamente interno, mentre le vere prove restano
contratti di appalto o fatture. Per il resto ciascun condomino responsabile per
lintero debito di tutto il condominio, e per questo nessuna attribuzione interna di una
spesa ha rilievo, nellopporsi a una richiesta di un creditore del condominio. Ci vale
ugualmente nei rapporti tra condominio e Fisco, amministrazione pubblica in genere,
Inps, compagnie di assicurazione, banche e proprietari di fabbricati vicini.

Un discorso pi ambiguo quello del regolamento condominiale contrattuale, negli


articoli in cui esso stabilisca limitazioni alla propriet o diritti particolari che, almeno in
teoria, sarebbero trascrivibili presso i registri immobiliari. Qualora infatti anche il
regolamento contrattuale sia trascritto (lo si pu fare, come atto allegato al rogito di
acquisto o a una convenzione) esso pu, in determinate circostanze, assumere valore
rispetto a terzi. Per esempio se nel regolamento chiaramente specificato che esiste
un diritto di propriet su un lastrico solare, la relativa controversia con un vicino che
lamenti il mancato rispetto delle distanze minime tra le costruzioni coinvolger solo il
proprietario del lastrico
Talora comunque rapporti che sarebbero esclusivamente interni possono assumere
rilevanza anche per terzi. E il caso del comune che, per dare un assenso edilizio a
delle opere, chieda copia della delibera assembleare che le approva. Oppure quello
del Fisco che pretende, per concedere la detrazione fiscale del 41-36%, che
lamministratore invii la ripartizione millesimale della spesa (e non solo, qualora essa
cambi, in seguito a incrementi dei costi o varianti in corso dopera, chiede che sia
inviata la ripartizione aggiornata).
Dallobbligo di conservazione dei documenti deriva strettamente il diritto dei condomini
di richiedere che lamministratore li dia in visione. In particolare, il riscontro delle pezze
giustificative delle spese un diritto di qualunque condomino (non solo degli eventuali
consiglieri), che si pu esigere in qualsiasi momento (non solo alcuni giorni prima
dell'assemblea in cui si approva il bilancio consuntivo, come alcuni amministratori
tendono a far credere). Una conferma tra le tante viene dalla Cassazione (sentenza
8460 del 26 agosto 1998) in cui si dice che tale diritto trova un limite solo quando"
risulti di ostacolo all'attivit di amministrazione, non sia contraria ai principi di
correttezza, e non si risolva in un onere economico per il condominio (dovendo i costi
relativi alle operazioni compiute gravare esclusivamente sui condomini richiedenti)". La
Cassazione ha ribadito il principio anche con la sentenza n. 15159 del 29 novembre
2001, ricordando che il rapporto tra amministratore e condomini analogo a quello del
mandato di rappresentanza, e quindi i condomini hanno sempre e in ogni tempo poteri
di vigilanza e controllo sullattivit di gestione. Il condomino che chiede di visionare i
documenti, anche relativi a bilanci arretrati gi approvati in assemblea, non tenuto a
specificarne la ragione. Se lamministratore si rifiuta, gli spetta dimostrare che la
richiesta dettata da motivi futili o inconsistenti , o non li riguarda personalmente o
comunque contraria a principi di correttezza o lede gravemente la privacy altrui. Non
finita: se vi stata impossibilit di consultazione dei documenti da parte anche di un
solo condomino, la delibera presa nellassemblea successiva annullabile, con
impugnazione entro 30 giorni (Cassazione 11/9/03, n. 13350). Grava comunque sui
condomini l'onere di dimostrare che l'amministratore non ha loro consentito la
consultazione (Cassazione n. 1544/2004).
Un amministratore serio comunque reca con se le pezze giustificative alle assemblee
condominiali. Anzi, vi sono sentenze della magistratura (per esempio Corte di Appello
di Milano, n. 1824 del 1993), che considerano annullabile l'approvazione di un
rendiconto privo degli allegati documenti giustificativi .
Un particolare diritto, infine, e quello di accesso sancito dal codice della protezione dei
dati personali (art. 7 del Dlgs n. 196/2003).Esso riguarda tra laltro l'aggiornamento, la
rettificazione ovvero, quando vi ha interesse, l'integrazione dei dati posseduti
dallamministratore, nonch la loro cancellazione, trasformazione in forma anonima o il
blocco , se sono stati trattati in violazione di legge.
Tempi minimi di conservazione dei documenti
Acquisto beni, apparecchiature:
contestazione sui vizi
Appalti: contestazione vizi gravi
Appalti: contestazione vizi non gravi
Appalti: fatture o ricevute artigiani
Atti notarili (per esempio
compravendite, costituzione di
servit, mutui fondiari eccetera)
Banca: bonifici, pagamenti tramite
conto corrente
Bollette elettriche, telefoniche, del
gas, ecc.
Contributi INPS
Ici

1 o 2 anni (1)
10 anni (2)
2 anni (2)
3 anni
per sempre
10 anni
5 anni
per sempre (3)
6 anni (4)

Irpef, Iva: pagamenti, dichiarazioni


Irpef: detrazione del 41 o del 36%
Mutui (ricevute di pagamento delle
rate)
Polizze: rate
Professionisti: parcelle
Rate di pagamento
Rifiuti: tassa o canone
Rate condominiali

6 anni (5)
6 anni (5)
per sempre
1 anno (6)
3 anni
5 anni
10 anni
5 anni

Il professionista deve applicare le misure di sicurezza


Amministratori: il 30 giugno scatta la privacy sulle banche dati
Scaduto il termine per il Dps, pochi lo hanno osservato
Scade tra pochi giorni, venerd 30 giugno, il termine ultimo entro cui
vanno adottate le misure minime di sicurezza per le banche dati,
comprese quelle condominiali. Chi inadempiente colpito da
sanzioni e pene draconiane: arresto sino a 2 anni o ammenda da
10.000 euro a 50.000 euro. Tuttavia, se le banche dati vengono
protette entro il termine imposto da un apposito provvedimento del
Garante , emesso dopo un controllo che ha avuto esiti negativi, le
sanzioni calano a soli 12.500 euro.
Daltronde gi scaduto (il 31 marzo 2006) un altro termine: quello per
redigere il cosiddetto Dps, il documento programmatico di sicurezza,
che dovrebbe indicare nel caso concreto quali sono le misure da
adottare per ciascuna banca dati su computer o dischi. Poich tale
documento va conservato presso lufficio dellamministratore,
impossibile sapere quanti professionisti abbiano in effetti provveduto.
Il Dps non ha un modulo standard: le misure minime di protezione
sono comunque nellallegato B al decreto legislativo n. 196 del 2003 (il
codice di protezione dati) e una guida alla redazione scaricabile dal
sito www.garanteprivacy.it nella sezione Fac-simile e adempimenti.
Vediamo quindi quali sono a nostro avviso i contenuti-base del Dps,
da cui derivano anche le misure minime di sicurezza che si costretti
ad adottare..Innanzitutto va indicato il responsabile del trattamento dati
(in genere lamministratore) e chi altri ha accesso ai dati (per esempio
la sua segretaria, i suoi dipendenti). Poi vanno elencate le banche dati
esistenti: quella dei condomini, quella dei fornitori (non solo le ditte che
hanno contratti stabili con il condominio) e una banca dati che
contenga ogni altro tipo di documenti (per esempio, curriculum di
candidati al ruolo di portiere, amministratore, dichiarazioni fiscali,
adempimenti amministrativi, eccetera). Infine, se esistono dipendenti
del condominio (portiere, giardiniere ) a loro sar dedicata una banca
dati apposita.
Di ciascuna di queste banche dati va indicato:
1) la finalit del trattamento (cio a che scopo sono conservate le
informazioni, anche al fine di identificare quelle che non possono
essere conservate);
2) La modalit del trattamento (in genere si tratter di software
applicativi e di gestione contabile);
3) Il luogo di custodia (presso lufficio dellamministratore, su memorie
informatiche, cd di back up, archivi cartacei).
Quindi vanno esplicitati i criteri di ordinamento, accesso, modifica e
archiviazione di tutta la documentazione, sia per quella cartacea che
per quella su supporto magnetico (ordine cronologico, alfabetico,
protocollo) , con particolari misure per quella potenzialmente delicata
(buste sigillate, cartelle computer con particolari password di accesso).
Vanno specificati eventuali sistemi di protezione allaccesso dellufficio
dellamministratore e (portinaio, guardia giurata, porta blindata,
impianto dallarme eccetera) e alla documentazione cartacea
(cassaforte, armadi metallici con chiave eccetera).

Per lhardware e il software va chiarito se i computer sono collegati in


rete, che sistemi operativi utilizzano e quali software di protezione
(anti-virus, firewall, anti-spam). In particolare va assicurato che
ciascuna persona che utilizza il computer goda di una password di
perlomeno otto tra lettere e cifre, e dichiarato ogni quanto essa viene
sostituita (per esempio, ogni 3 mesi). Inoltre va detto ogni quanto
tempo si esegue un back up dei dati. Infine va fatta unanalisi del
rischio (alto, medio, basso) rispetto ad eventi quali: il furto delle
credenziali di autentificazione, lincuria e gli errori di chi tratta i dati, gli
accessi abusivi o i furti di documenti, lazione di virus o trojans, il
malfunzionamento o il degrado degli strumenti, lintercettazione di
informazioni in rete, gli incidenti nei locali (incendi, corti circuiti).

Il provvedimento del Garante I punti dubbi


familiari coabitanti

Trattabili i dati dei

La delibera del Garante 11 maggio 2006, pone la parola fine sulla


grande maggioranza dei dubbi che riguardano la privacy in
condominio. In sostanza il professionista che cura la gestione dello
stabile pu chiedere e/o disporre di tutte le informazioni necessarie ad
esercitare i suoi compiti, anche senza ottenere il consenso da parte
dei singoli condomini.
Unico presupposto che invii lindispensabile informativa sulla privacy
a tutti gli interessati (non solo i condomini, ma anche gli estranei, come
i fornitori) e che ciascuno abbia la possibilit di conoscere quali dati lo
riguardano e, se fattibile, chiederne la cancellazione o la modifica.
Rammentiamo che il codice dalla protezione dati prevede sanzioni che
variano da 3.000 a 18.000 euro per la mancata informativa, che
crescono a 5.000-30.000 euro se essa dovrebbe riguardare dati
sensibili (il caso tipico quello di un condomino disabile, ai fini un
intervento sullabbattimento delle barriere architettoniche).
Qualche punto oscuro in effetti rimane. La delibera consente
ovviamente di detenere i dati anagrafici nonch gli indirizzi dei
condomini (i numeri telefonici solo con il consenso degli interessati). Si
fa cenno anche agli inquilini in locazione i quali, salvo espressa
esclusione nel contratto di affitto, possono partecipare alle assemblee
quando si tratti di servizi comuni, e votare al posto del proprietario
nelle delibere che riguardano il servizio di riscaldamento e
condizionamento (articolo 10 della legge n. 392/1978).
Non si parla per espressamente del fatto che alcune tabelle
millesimali possono essere rapportate non solo a condomini o inquilini,
ma anche al numero dei loro familiari. E infatti comune che certe
spese (consumo di acqua potabile in mancanza di contatori,
funzionamento dellautoclave, rotazione dei sacchi di immondizia, uso
di una piscina o di un campo da tennis, per fare degli esempi), sono
spesso correttamente rapportate a quante persone coabitano in ogni
appartamento. Pertanto ci si potrebbe chiedere se lamministratore,
oltre ai dati dei condomini, possa detenere anche quelli degli altri
abitanti del palazzo. Del resto la stessa delibera parrebbe consentirlo,
dove afferma che si possono detenere i dati personali necessari per
commisurare le quote condominiali. Tuttavia ci pare che
allamministratore, nello spirito della legge, possa bastare sapere
quanti abitino stabilmente in ciascuna unit immobiliare, senza per
questo conoscere per esteso i riferimenti anagrafici di ciascuno
Le regole del portiere
(autorizzazione generale Garante protezione dati 21/12/05, n. 1)
Come gli altri trattamenti dei dati del personale dipendente, concesso, anche senza specifica
autorizzazione, quando indispensabile per:
1) adempiere obblighi o compiti previsti dalla normativa comunitaria, da leggi, da regolamenti o da
contratti collettivi anche aziendali;
2) in particolare, adempiere obblighi o compiti previsti dalle norme previdenziali e di assistenza
integrativa, quelle di igiene e sicurezza del lavoro, fiscali, sindacali, di tutela della salute, di ordine e

sicurezza pubblica;
3) anche fuori di questi casi, ai fini della tenuta della contabilit o della corresponsione di stipendi,
assegni, premi, altri emolumenti, liberalit o benefici accessori, nel rispetto della legge;
4) far valere o difendere un diritto anche da parte di un terzo in sede giudiziaria, in sede
amministrativa o nelle procedure di arbitrato e di conciliazione. Se tali dati rivelano lo stato di salute
e la vita sessuale il diritto di far valere in giudizio deve essere della personalit o un altro diritto o
libert fondamentale e inviolabile.
5) esercitare il diritto di accesso ai documenti amministrativi;
6) adempiere ad obblighi finalizzati alla copertura dei rischi dei contratti assicurativi
7) garantire le pari opportunit;
8) perseguire scopi determinati e legittimi individuati dagli statuti di associazioni, organizzazioni,
federazioni o confederazioni rappresentative di categorie di datori di lavoro o dai contratti collettivi,
in materia di assistenza sindacale ai datori di lavoro.
Per quanto riguarda l'articolo 887 c.c. vi segnalo la sentenza di merito 09 Novembre 2004 Tribunale
di Genova n. 4197 sez. III che al paragrafo 4.2 recita: 'trattandosi di fondi a dislivello in gran parte
artificiale, non si applica la regola posta dall'art. 887 comma 1 c.c. per cui l'onere della
manutenzione del muro grava non sul prorietario del fondo superiore, in quanto tale, ma su
coloro che hanno realizzato il dislivello, e cio su coloro che hanno costruito gli edifici in zona e
loro aventi causa: quelli a valle del muro (...), da proteggere dalla caduta di materiali e quelli a
monte, per contenimento del terrapieno, protezione delle fondazioni e quant'altro sopra accertato
(...)
Corte Cass. Sez. II, sent. 6/3/1978 n.1102 Conferma App.Genova, 18/11/1974 Rif.Cod.Civ. Artt.
757-817-1117 "Salvo diversa disposizione del titolo, non sono estranee al condominio, ancorch esterne al
muro perimetrale dell'edificio condominiale, le aree annesse come accessorie o pertinenze ai locali di
propriet dei singoli condomini che fanno parte dell'edificio stesso. La circostanza che il titolo costitutivo del
condominio sia un atto di divisione di un complesso immobiliare oggetto di comunione pro-indiviso ha rilievo per
l'accertamento delle parti comuni del condominio, cui i condividenti non abbiano espressamente provveduto"
Un muro: comune a tutti i condomini o propriet di uno di essi, cio di colui al quale sostiene un terrapieno
su cui costruita la propria terrazza o il proprio giardino? ......... ....Il terrapieno non , vero, necessario alla
stabilit dell'edificio, ed anche vero che contiene il giardino di un singolo, ma altrettanto vero che il muro
una struttura esterna all'edificio condominiale e come tale deve essere considerato.
Inoltre. Visto il silenzio del titolo stilato dalle parti condividenti circa questa struttura, essa deve intendersi di
propriet comune delle parti stesse. Di conseguenza a tutti i partecipanti del condominio fa carico ogni spesa per
la manutenzione ordinaria e straordinaria.
Il singolo condominio non pu procedere alla rimozione di un veicolo in sosta Giud. pace Bologna, sez.
IV, 3 febbraio 2005, n. 589
Il singolo condomino non legittimato a stipulare con una ditta di soccorso stradale, nel proprio esclusivo
interesse, un contratto per la rimozione dei veicoli in sosta dall'area cortiliva condominiale, per cui ne
responsabile diretto sia per le spese da questa sostenuta per l'esecuzione dello stesso che per le competenze.
Responsabilit per danni causati da vizi di impermeabilizzazione
Trib. civ. Genova, 17 maggio 2004, n. 2197
La responsabilit per i danni causati da vizi di impermeabilizzazione del lastrico solare si ripartiscono secondo i
criteri dettati dall'art. 1126 c.c., perch i soggetti tenuti alle opere di manutenzione vanno qualificati, come tali,
anche custodi del relativo manufatto.
Questa responsabilit del condominio, concorrente con quella pertinente i titolari del calpesto, sussiste a
prescindere dal diritto relativo a tale titolarit: quindi indifferente che il diritto stesso consista in una servit,
oppure in una propriet superficiaria
Danni derivati al conduttore dell'appartamento sottostante - Infiltrazioni
Corte di Cassazione Sez. II, 30 gennaio 2006, n. 1840
La responsabilit complessiva delle infiltrazioni d'acqua che ha compromesso lo stato
dell'appartamento locato addebitabile non solo ai proprietari dei due appartamenti ai sensi degli
art. 1125 e 2051 c.c. ma anche alla colpa dell'inquilino per l'utilizzo improprio e non diligente
dell'immobile locatogli.
Ne consegue che la colpa di quest'ultimo non in grado di esonerare il condominio dalla sua
responsabilit ex art. 2051 c.c. dei proprietari non pu essere trasferita all'inquilino; e cio alla luce
dell'impossibilit, accertata dalla Corte territoriale, di determinare la diversa incidenza delle
concause nella determinazione dei danni.
Limiti dei diritti di propriet esclusiva - attivit di ristorazione
Tribunale di Milano, Sez. VIII, 31 dicembre 2005, n. 13988 I divieti di utilizzo della propriet contenuti in un
regolamento condominiale contrattuale, proprio perch riferentisi al pi pieno dei diritti reali, hanno carattere

tassativo e non sono applicabili analogamente n appaiono suscettibili di interpretazione estensiva. Nella
fattispecie il Regolamento condominiale non contempla espressamente il divieto di destinazione ad attivit di
ristorazione in quanto tale, potendosi semmai rinvenire un divieto di destinare i locali a determinate attivit in
quanto queste arrechino disturbo o pregiudizio, cio un divieto che, pur interpretato ampiamente, colpisce
piuttosto il concreto esercizio dell'attivit stessa; siffatto profilo di violazione regolamentare non appare dedotto
in causa e comunque sul punto di un esercizio di attivit in concreto arrecante disturbo o pregiudizio, ancorch
con destinazione d'uso consentita dei locali, il Condominio non ha offeto alcun elemento di prova.
Licenza e concessione edilizia - ampliamento appartamento sottostante
Corte di Cassazione Penale, Sez. III, 8 marzo 2006, n. 8176
Non pu ricondursi alla nozione di pertinenza la costruzione, in esclusione della normativa edilizio-urbanistica, di
un corpo di fabbrica ampliativo di un edificio preesistente e non ontologicamente diverso da esso, ossia
l'ampliamento di un edificio che, per la relazione di congiunzione fisica con esso, ne diventi parte integrante e lo
completi.
Nella specie si trattato dell'ampliamento dell'appartamento sottostante, mediante la costruzione di un nuovo
vano abitabile, dotato di servizi igienici e finestre, ma privo di portoncino di ingresso e, quindi, con tutta evidenza
destinato a divenire parte integrante e completamento dell'appartamento al quale stabilmente collegato
mediante la scala interna.
Spese relative alla pulitura periodica dei canali di gronda Tribunale di Genova, Sez. III, 23 novembre 2005,
n. 4766 La gronda essendo deputata a preservare l'edificio condominiale dagli agenti atmosferici e dalle
infiltrazioni di acqa piovana, esplica una funzione che riguarda l'edificio nel suo complesso unitario, di talch
deve essere legittimamente annoverata tra quei beni che la normativa codicistica presume di propriet comune
tra i condomini, salvo l'esistenza di un titolo contrario.
Pertanto, le relative spese di manutenzione ordinaria, a cui periodicamente tenuto il condominio, devono
essere assoggettate alla ripartizione tra i condomini in misura proporzionale al valore delle singole propriet
esclusive, in forza del disposto di cui alla prima parte dell'art. 1123 c.c., non potendo legittimamente far rientrare
detti beni tra quelli suscettibili di godimento proporzionato all'uso o comunque separato di alcuni condomini, di
cui ai commi II e III del citato articolo.
Imposte, morosit e risoluzione consensuale del contratto di locazione Cassazione, sentenza 18/11/2005
n. 24444 In tema di imposte sui redditi, il solo fatto della intervenuta risoluzione consensuale del contratto di
locazione, unito alla circostanza del mancato pagamento dei canoni relativi a mensilit anteriori alla risoluzione,
non idoneo di per s ad escludere che tali canoni concorrano a formare la base imponibile Irpef, ai sensi
dell'art. 23 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, salvo che non risulti la inequivoca volont delle parti di attribuire
alla risoluzione stessa efficacia retroattiva
Cass. Civ. 15.07.2003 n. 11029 Terrazze e solai: criteri di ripartizione delle spese.
In tema di condominio, le terrazze, anche a livello, vengono equiparate ai lastrici solari, per cui le spese di
manutenzione, riparazione e ricostruzione si applicano le disposizioni dellart. 1126 c.c. (ripartizione in ragione di
1/3 a carico del condomino che ne abbia luso esclusivo e per 2/3 a carico dei proprietari di piani o porzioni di
piano sottostanti, ai quali il lastrico solare serva da copertura).
Diversamente, per la sola manutenzione e ricostruzione di solai e volte (ma non delle terrazze), si applica lart.
1125 c.c.: ripartizione in parti uguali delle spese tra proprietari dei piani luno allaltro sovrastanti.
Giurisprudenza conforme: Cass.Civ. 09.11.2001 n. 13858 in Arch. Loc, 2002, 286 e Cass. Civ. 15.04.1994 n.
3542 in Giur.It. 1995, I,I,1340 con nota di Cipolla.
Trib. Napoli 27.01.2004 Vendita parziale di unit immobiliare: solidariet passiva tra acquirente e
venditore ?
Nel caso invece di vendita parziale di unit immobiliare sita in condominio, lacquirente della porzione di
immobile, non solidalmente responsabile con lalienante per il pagamento degli oneri relativi allintera unit, ma
solamente a quelli inerenti alla sua porzione di propriet. Infatti, secondo il Tribunale di Napoli, 27 gennaio 2004,
non sussiste solidariet passiva tra venditore ed acquirente per ci che concerne il pagamento delle spese
condominiali, visto che ciascun condomino tenuto al pagamento delle stesse in relazione al solo valore delle
unit immobiliari di rispettiva propriet esclusiva. A riprova di ci, sta il disposto dellart. 63 disp. att. c.c., che
prevede solo in via eccezionale la solidariet passiva tra alienante ed acquirente, limitatamente al pagamento
degli oneri condominiali relativi al solo anno corrente, al momento della cessione ed a quello precedente.
Non esistono precedenti giurisprudenziali sul punto, tuttavia le pronunce pregresse hanno sempre ribadito che,
anche in assenza di adeguamento delle tabelle millesimali, il pagamento degli oneri condominiali, spetti
alleffettivo proprietario dellimmobile (e quindi anche di porzione di esso).
Cass. Civ. 25.03.2004 n. 5975 Ripartizione spese di ascensore.
La Suprema Corte, con sentenza n. 5975 del 25 marzo 2004, ha confermato lorientamento giurisprudenziale (ex
plurimis cfr. Cass.civ.25.03.1999 n.2833) secondo il quale in base allart.1124 c.c. le spese di manutenzione e
ricostruzione delle scale e, quindi, dellascensore, sono assimilate e soggette alla stessa disciplina.
Ne consegue che la clausola di regolamento condominiale convenzionale che esoneri una determinata categoria
di condomini dal pagamento delle spese di manutenzione, ove sia tesa a modificare tale assimilazione legale tra
scale ed ascensore, vada adeguatamente motivata.

Nellipotesi, invece di costruzione ex novo dellascensore, trova applicazione la disciplina prevista dallart. 1123,
1 comma, c.c., per la ripartizione delle spese relative alle innovazioni deliberate dalla maggioranza, cos come
aveva gi disposto anche la Cass civ. 16.05.1991 n. 5479. Ne consegue che il riparto per le spese inerenti ai
beni comuni derogabile con atto negoziale e, quindi, anche con regolamento condominiale di natura
convenzionale.
Pertanto va considerata legittima sia una convenzione che ripartisca tali spese tra i condomini in misura diversa
da quella legale, sia quella che preveda lesenzione totale o parziale dalla contribuzione a di uno o pi
condomini alle spese di manutenzione, ricostruzione ed installazione dellascensore. In tale ultima ipotesi si ha il
superamento per questa categoria di condomini - della presunzione di compropriet su quella parte del
fabbricato.
Cass. Civ. n. 10805/2004 Criterio di ripartizione per la sostituzione della caldaia.
Infine i giudici della Suprema Corte hanno chiarito che per quanto concerne le spese di conservazione nel
caso specifico si trattava di sostituzione della caldaia il criterio di ripartizione applicabile non pu essere in
proporzione alluso (ex art. 1123, II comma, c.c.). Ne deriva che la ripartizione delle spese per la sostituzione
della caldaia, va effettuata in base ai millesimi di propriet e non secondo i millesimi di riscaldamento.
Tal normativa derogabile solamente in via contrattuale, per il tramite di una convenzione che obblighi tutti i
condomini. Infatti non rientra nelle competenze dellassemblea dei condomini, quella di derogare ai criteri legali
di ripartizione delle spese in contrasto con quelli previsti per legge. Una siffatta delibera configurerebbe, infatti,
una lesione dei diritti del singolo condomino, venendo a mutare il valore riconosciuto alla parte di edificio di sua
esclusiva propriet. (Cass. n.1420/2004)
Cass. Civ. n. 12013/2004 Momento della nascita dellobbligo a concorrere alle spese di conservazione.
Lobbligo dei singoli condomini di contribuire alle spese che si rendano necessarie per la conservazione ed il
godimento delle parti comuni, nasce al momento in cui si rende necessario provvedere allesecuzione dei
lavori e non quando il debito venga esattamente determinato. Per tal motivo la Cass. N. 12013/2004 ha
stabilito che in caso di sentenza di condanna contro un condominio per inosservanza di detto obbligo di
conservazione, il condomino creditore che voglia agire per il recupero del proprio credito cos come accertato in
sentenza (sia per il credito principale che per le spese processuali), deve agire nei confronti di chi era
condomino al momento in cui sorto lobbligo di conservazione e non contro colui che tale qualit rivesta al
momento in cui viene quantificato giudizialmente il credito.
Sulla medesima posizione si era espressa la Cass. n.6323/2004 confermando che lobbligo per i condomini, di
conservazione dei beni comuni nasce quando si renda necessario eseguire le relative opere : in forza di tal
assunto, in caso di compravendita di immobile tenuto al pagamento di dette spese colui che condomino al
momento in cui le opere si rendano necessarie e non chi lo al momento in cui lassemblea ne approva la
spesa.
In conformit si confronti anche Cass. n.857/2000.
Cass. Civ. 5975/04 Ripartizione spese manutenzione e ricostruzione ascensore
In tema di condominio, il precetto dellart. 1124 c.c., relativamente alla ripartizione delle spese di manutenzione e
ricostruzione delle scale ossia per met in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano e per met in
proporzione allaltezza dal suolo dei singoli piani applicabile analogicamente avendo la medesima funzione
alle spese per la manutenzione e ricostruzione dellascensore gi esistente.
Viceversa, in caso di installazione ex novo di ascensore la norma applicabile sar quella prevista dallart. 1123
c.c. che disciplina la ripartizione delle spese per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Ci quanto hanno
stabilito i Supremi Giudici con pronuncia n. 5975/2004.
Sul punto si era gi espressa conformemente la Cass. Civ. 16 maggio 19991, n. 5479.
Cass. Civ. 5975/04 Deroga ai criteri legali di ripartizioneRiprendendo lanalisi del disposto dellart. 1123
c.c., con la medesima pronuncia Cass. 5975/04 la Cassazione ha chiarito che detto articolo, nel consentire
la deroga ai criteri legali di ripartizione, non pone limite alcuno alla volont dei condomini. Di conseguenza da
considerarsi assolutamente legittima una clausola del regolamento di condominio che preveda espressamente
lesenzione del dovere di partecipazione alla spese condominiali per uno o pi condomini.
Ove per si sia in presenza di una clausola siffatta, verr di conseguenza superata la presunzione legale di
compropriet in capo al gruppo di condomini esonerati dalle spese, relativamente alla porzione di fabbricato per
cui prevista lesenzione della spese. Concordemente si era gi espressa la Cassazione. (Cass. n. 6844/88
per quanto riguarda la possibilit di esenzione totale o parziale; Cass. 714/88 inerente al superamento della
presunzione di compropriet sulle parti comuni per il gruppo di condomini esentati dalla partecipazione alle
spese).
Trib. Bologna n. 264 del 22.01.2004 Nullit della delibera di deroga ai criteri legali di ripartizione delle
spese. Una delibera assembleare che deroghi ai criteri legali di ripartizione delle spese affetta da nullit
assoluta e pertanto impugnabile in qualsiasi momento, anche dopo la scadenza dei 30 giorni dalla conoscenza
della delibera, prevista dallart. 1137 c.c. Infatti una delibera di tal portata verrebbe ad incidere sui diritti
individuali dei singoli condomini venendo ad alterarne il valore della parte di edificio di loro esclusiva propriet.
Per poter procedere alla deroga dei criteri legale necessaria la sottoscrizione di una convenzione da parte di
tutti i partecipanti al condominio. Cos si pronunciato il Trib. Bologna con sentenza n. 264 del 22.01.2004,
adeguandosi al precedente orientamento giurisprudenziale accolto anche dalla Corte di cassazione (cfr Cass.

n.3042/95; Cass. n. 7359/96).


Corte dAppello Milano 23.12.2003 Prorogatio dellamministratore.
Per quanto riguarda le pronunce di merito, la Corte dAppello di Milano del 23 dicembre 2003 ha consolidato
lorientamento per cui in mancanza di un espresso dissenso dei condomini, lamministratore cessato dalla carica
per scadenza del termine o, comunque, per dimissioni, obbligato a proseguire la gestione ad interim finch
non intervenga la nomina del nuovo amministratore. Ci si fonda su una presunzione di volont dei condomini,
ma che, proprio in quanto presunzione, valida solo in mancanza di manifestazione di volont contraria. Tra le
altre conformi, Cass. n.1445/93.
In altre sentenze della Suprema Corte, si trova, invece lespressione prorogatio imperii. E quindi necessario
chiarire i due significati. Entrambe le diciture sono mutuate dal diritto pubblico. Il termine prorogatio, sta ad
indicare la continuit del mandato dellorgano dimissionario, revocato o in scadenza di mandato, fino a che non
venga nominato il successore. Con lespressione ad interim, invece si indica la assunzione temporanea della
gestione dei poteri da parte di un soggetto diverso da chi li deteneva precedentemente e cessato dalla carica, in
attesa della nomina del nuovo incaricato.
Cass. Civ. 14.04.2004 n. 7058 Legittimazione passiva per cause inerenti parti comuni.
La Cassazione del 14 aprile 2004 n.7058, ha confermato ancora una volta che lamministratore legittimato
passivo solamente per cause inerenti parti comuni delledificio amministrato. Precedentemente la Cassazione
sera espressa nei medesimi termini (cfr. Cass.Civ. 29.02.1988 n.2129 e Cass.Civ. 19.05.1999 n.4845).
Cass. Civ. n. 1544/2004 Attribuzioni ed obblighi dellamministratore.
Sugli obblighi dellamministratore si espressa ancora una volta la Cassazione Cass. n. 1544/2004 che in
prima battuta ribadito che bench lamministratore non abbia lobbligo di depositare al momento della sua
approvazione le pezze giustificative del bilancio, comunque tenuto a permettere a loro spese - ai condomini
che ne facciano richiesta, di prenderne visione e di estrarne copia; in seguito la S.C. ha chiarito che in tema di
modalit di redazione del rendiconto da parte dellamministratore, deve escludersi che la mancata analitica
indicazione dei condomini morosi, oltrech della relativa quota di debito, possa incidere sulla validit della
delibera di approvazione dello stesso rendiconto. Detta omissione infatti non costituisce irregolarit formale della
delibera, sempre che le poste attive e passive siano regolarmente iscritte nel loro importo.
Cass. Civ. 9463/2004 Domanda riconvenzionale: non compresa nelle attribuzioni dell
amministratore. In tema di rappresentanza del condominio, la Corte, ancora con la sentenza 9463/04, ha
ritenuto non rientrante tra le attribuzioni spettanti allamministratore di cui allart. 1130 c.c., quella di poter
proporre autonomamente domanda riconvenzionale. Questultima la domanda che il convenuto in un giudizio
pu proporre nei confronti dellattore, assumendo, quindi a sua volta, per quanto attiene la domanda
riconvenzionale, la posizione di attore. La riconvenzionale ammissibile in quanto rientri nelloggetto del giudizio
determinato dallattore.
Qualora, infatti, il condominio sia convenuto in giudizio in persona dellamministratore, questi ex art. 1131 c.c.
nel caso in cui la rappresentanza esuli dal disposto del 1130 c.c., necessita di uno specifico mandato
dellassemblea. E questo il caso anche della proposizione della domanda riconvenzionale, dal momento che in
tale situazione, pur essendo convenuto, lamministratore si pone in veste di attore come pocanzi chiarito.
Ricordiamo, infatti, che lamministratore pu agire in giudizio senza necessit di specifico mandato assembleare
per dare esecuzione ad una delibera dellassemblea stessa; per disciplinare luso delle parti comuni in modo da
assicurarne il godimento a tutti i condomini; per riscuotere i contributi condominiali e per compiere gli atti
conservativi dei diritti sulle parti comuni delledificio (art.1131 c.c.). Sul tema si era gi espressa in modo
conforme la giurisprudenza: ex plurimis cfr Cass.civ. n.6322/1980.
Cass. Civ. Sez. Unite n. 20957/04 Impugnazione del decreto giudiziale di revoca dellamministratore.
In tema di revoca dellamministratore, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, con pronuncia n. 20957/04,
hanno risolto il contrasto giurisprudenziale in tema di impugnazione del decreto giudiziale ex art. 1129 c.c. di
revoca dellamministratore.
E stata stabilit linammissibilit del ricorso per Cassazione di tal decreto.
Allamministratore giudizialmente revocato dallincarico prima della scadenza del mandato residua pertanto
unazione ordinaria di richiesta dei danni nei confronti dei condomini per la subita lesione del suo diritto alla
stabilit dellincarico.
Precedentemente, a favore dellammissibilit del ricorso per Cassazione sera espressa la Cass. n. 4620/96; in
senso contrario invece la statuizione della Cass. n. 4706/01.
Provvedimento Garante Privacy 11.05.2006 - Privacy in tema di gestione ed amministrazione di
condomini.
Le regole per il condominio
Questi in sintesi i punti principali del provvedimento.
a) Il condominio, in quanto titolare del trattamento, pu trattare solo informazioni personali pertinenti e
necessarie per la gestione e l'amministrazione delle parti comuni. Le informazioni possono riguardare sia tutto il
condominio (dati relativi a consumi collettivi), sia i singoli partecipanti (dati anagrafici, indirizzi, quote millesimali).
b) I numeri di telefono possono essere trattati solo con il consenso degli interessati, a meno che compaiano gi
in elenchi telefonici pubblici.

c) Per verificare l'esattezza degli importi dovuti, ciascun condmino pu essere informato, in sede di rendiconto
annuale o su richiesta, delle somme dovute dagli altri e di eventuali inadempimenti.
d) invece vietata la diffusione di dati personali mediante l'affissione di avvisi di mora o di sollecitazioni di
pagamento in spazi condominiali aperti al pubblico, in cui consentita solo l'affissione di avvisi generali (quali
convocazioni di assemblea o comunicazioni urgenti).
e) I dati sanitari possono essere trattati solo se indispensabili ai fini dell'amministrazione del condominio (come
in caso di danni a persone anche diverse dai condomini, o per particolari deliberazioni, come nel caso
dell'abbattimento delle cosiddette "barriere architettoniche").
f) La comunicazione di dati personali consentita con il consenso o se ricorrono altri presupposti di legge. La
partecipazione all'assemblea condominiale di estranei consentita con l'assenso dei partecipanti e in casi
previsti dalla legge, ad esempio pu trattarsi di tecnici o consulenti chiamati ad intervenire su problemi all'ordine
del giorno. possibile videoregistrare l'assemblea solo con il consenso informato dei partecipanti.
g) Per prevenire illecite comunicazioni e diffusioni di dati personali l'amministratore deve adottare idonee misure
di sicurezza previste dal Codice della privacy.
h) L'amministratore pu esercitare il diritto di accesso ai dati riferiti al condominio nel suo complesso (ad
esempio alle informazione relative al consumo globale di energia ed acqua); il singolo condomino pu sempre
accedere ai dati che lo riguardano, rivolgendosi all'amministratore. Cliccando qui possibile scaricare l'intero
provvedimento
Cass. Civ. 29.10.2003 n.16240 Convocazione assembleare: invito a non presenziare in prima
convocazione.
Linvito contenuto nella convocazione dei condomini a non presentarsi alla data fissata per la prima
convocazione non equiparabile alla mancanza di della fissazione della data per la prima convocazione stessa,
di conseguenza regolare la costruzione dellassemblea e valida la relativa delibera, insindacabile in sede di
legittimit in quanto esente da vizi logici e giuridici.
Trib. Napoli 23.10.2003 - Convocazione assemblea di due distinte scale
In tema di validit delle delibere assembleari di condominio, il vizio relativo alla convocazione in assemblea
avente allordine del giorno questioni inerenti due distinte scale che non sia preceduta da assemblea di
ciascuna scala, configura una fattispecie di semplice annullabilit della delibera. Ne consegue che non
legittimato ad impugnarla il condomino che abbia espresso voto favorevole alla delibera. E legittimato, invece ad
impugnarla, il condomino assente o dissenziente.
Diverso il regime della nullit - vizio da cui sono affette le delibere che hanno oggetto impossibile o illecito o
che non rientra nelle attribuzioni dellassemblea che permette a chiunque di impugnare la delibera affetta dal
relativo vizio.
Cos si espresso il Tribunale di Napoli con sentenza del 23 ottobre 2003.
Trib. Genova 27.01.2004 n. 327 Ratifica dellinserimento a consuntivo di spese non deliberate.
Il Tribunale di Genova, sent. 27 gennaio 2004 n.327, s pronunciato in merito allammissibilit della ratifica delle
spese inserite a consuntivo non legittimamente deliberate dallassemblea. Lapprovazione del consuntivo
contenente voci di spesa effettuate dallamministratore, ma non deliberate dallassemblea, non pu ratificare
implicitamente anche dette voci: infatti necessaria unesplicita manifestazione di volont del condominio
che faccia propria lattivit compiuta dallamministratore e non previamente deliberata. E da ritenersi
perci nulla la delibera di approvazione del bilancio nella parte in cui ratifichi le spese non legittimamente
deliberate.
Trib. Bologna 02.02.2004 n. 331 - Nullit delle delibere in deroga ai criteri legali di ripartizione spese.
Sul tema della deroga ai criteri legali di ripartizione delle spese, s pronunciato il Tribunale di Bologna, sent. 2
febbraio 2004 n.331, adeguandosi precedenti pronunce della Cassazione (Cass. civ. 2301/01, Cass. civ.
1455/95 e Cass. civ. 1213/93), il quale ha dichiarato nulle, ove adottate senza il consenso unanime dei
condomini, le delibere di approvazione delle spese comuni con le quali si sia derogato una tantum ai criteri legali
di ripartizione delle spese medesime.
Tribunale Bologna, Sez.II, Sentenza n. 331 del 02.02.2004.
La delibera assembleare avente ad oggetto la ripartizione delle spese comuni e che deroghi ai criteri legali di
ripartizione delle stesse nulla ove adottata con la sola maggioranza e non lunanimit dei condomini.
Giurisprudenza conforme: Cass. Civ. 16.02.2001 n.2301
Cass. Civ. 05.04.2004 Assemblea: quorum costitutivi e deliberativi.
In tema di assemblea di condominio, sono recentemente intervenute due interessanti pronunce della Corte di
cassazione. Con la sentenza del 5 aprile 2004 n.6625, la Suprema Corte s occupata di dare uninterpretazione
esplicativa dellart.1136 c.c. inerente ai quorum costitutivi e deliberativi necessari ai fini della validit delle
delibere assembleari.
Se col secondo comma del 1136, infatti, previsto un doppio quorum deliberativo, con lespressa menzione che
in prima convocazione - i voti favorevoli devono rappresentare almeno la maggioranza degli intervenuti e
almeno la met del valore delledificio, anche il comma seguente (1136, 3 comma c.c.) pone un doppio quorum
deliberativo ed implicitamente uno costituivo.
E di tutta evidenza infatti che necessaria la presenza di almeno un terzo dei partecipanti al condominio. Ma in
caso di partecipazione di solo un terzo dei condomini, sar necessario un voto unanime per la validit
della delibera; mentre in caso di partecipazione pi nutrita, sar comunque necessario un doppio quorum: non

infatti sufficiente che la maggioranza dei votanti a favore sia rappresentativa di almeno un terzo del valore, ma
altrettanto necessario che coloro che abbiano votato contro lapprovazione della delibera non siano
rappresentativi di un valore maggiore rispetto agli altri, anche se numericamente inferiori. Occorre, cio, che la
maggioranza sia tale non solo relativamente al numero di votanti, ma anche al valore delledificio da essi
rappresentato.
Cass. Civ. 06.04.2004 n. 6472 Legittimati alla impugnazione della delibera assembleare.
Con pronuncia del 6 aprile 2004 n.6742, invece, la Cassazione, confermando il precedente orientamento (cfr.
Cass. 23.03.2001 n.4270 e Cass. 04.04.1997 n.2912) ha stabilito che ai fini del ricorso per impugnazione di
delibera assembleare previsto allart. 1137 c.c., sono legittimati ad impugnare i condomini assenti o dissenzienti.
Gli stessi non sono, per, tenuti a dedurre in causa un particolare interesse allimpugnazione diverso da quello
dellaccertamento dei vizi formali da cui affetta la delibera.
Cass. Civ. 19.05.2004 n. 9463 Limiti delle attribuzioni dellassemblea.
Molto interessante la pronuncia della Cassazione n.9463 del 19 maggio 2004, con la quale vengono delimitati
alcuni limiti oltre i quali lassemblea non ha il potere di disporre. In particolare si fatto riferimento al caso in cui
unassemblea di condominio ha deliberato sulla ripartizione fra i singoli condomini delle spese fiscali relative
allacquisto di un immobile di propriet di terzi. La Corte ha escluso che rientri nella competenza dellassemblea
il potere di ripartizione su tal tipo di spese, dal momento che cos come gli atti di trasferimento intercorrono tra i
terzi ed i singoli condomini, cos i rapporti tributari si instaurano tra lamministrazione finanziaria ed i singoli
partecipanti al condominio. Ne consegue che lassemblea non pu deliberare e ripartire tra i condomini i tributi
dovuti dai singoli per lacquisto di beni destinati al servizio comune pur se detti beni appartengano in comune a
tutti i condomini.
Cass. Civ. 03.07.2004 n. 12466 Lassemblea nella comunione
In tema di comunione dei diritti reali, la Corte di Cassazione, con pronuncia del 3 luglio 2004 n.12466, ha
stabilito che, nel caso di assemblea dei comunisti avente ad oggetto affari di ordinaria amministrazione, colui
che intenda partecipare allassemblea debba essere munito di valida delega di uno o pi comunisti aventi diritto
alla partecipazione. Ai fini della validit della delega, non occorre che la sottoscrizione sulla stessa sia
autenticata. Ne consegue che, ove la delega sia stata rilasciata per atto scritto, il notaio incaricato di redigere il
verbale di assemblea e che pertanto in tal occasione riveste il ruolo di segretario e non di notaio, non pu non
ritenere valida la delega scritta non autenticata.
Cass. Civ. 30.08.2004 n. 17397 Delibera di attribuzione della parte comune ad un solo condomino:
invalida.
Sempre la Corte di Cassazione, con pronuncia n. 17397 del 30 Agosto 2004, in tema di uso di parti comuni, ha
stabilito che poich la propriet comune (e quindi compropriet) dei locali di portineria e di alloggio del portiere
presenti in condominio, presunzione prevista dalla legge - a meno che il contrario non risulti dal titolo , una
delibera dellassemblea dei condomini presa a maggioranza che disponga di una cosa comune a favore di un
singolo condomino senza che si accerti a suo favore lesistenza di un titolo contrario invalida perch esula
dalle attribuzioni dellassemblea previste dallart. 1135 c.c..
Una delibera di tal contenuto, infatti, pu essere assunta dallassemblea solamente con lunanimit dei
condomini (e pertanto non dei soli presenti in assemblea), mediante, quindi, una decisione di natura
contrattuale.
Cass. 6625/04 Quorum costitutivi e deliberativi: precisazioni.
Secondo il disposto dellart. 1136, III comma, c.c., la delibera dellassemblea dei condomini in seconda
convocazione, valida se assunta con un numero di voti che rappresenti almeno un terzo dei partecipanti al
condominio ed almeno un terzo del valore delledificio. La Cassazione Cass. 6625/04 tuttavia intervenuta
per chiarire i due presupposti di cui sopra sono sufficienti per la validit della delibera, a meno che coloro che
hanno votato contro lapprovazione non rappresentino un valore dello stabile superiore a quello di coloro che
hanno votato a favore della delibera.
Il disposto dellart. 1136, infatti, privilegia il criterio della maggioranza del valore delledificio piuttosto che quello
della maggioranza dei condomini.
In maniera conforme si era gi espressa la Cassazione 11 giugno 1968 n. 1853.
Trib. Bologna n. 264 del 22.01.2004 Nullit della delibera di deroga ai criteri legali di ripartizione delle
spese.
Una delibera assembleare che deroghi ai criteri legali di ripartizione delle spese affetta da nullit assoluta e
pertanto impugnabile in qualsiasi momento, anche dopo la scadenza dei 30 giorni dalla conoscenza della
delibera, prevista dallart. 1137 c.c.
Infatti una delibera di tal portata verrebbe ad incidere sui diritti individuali dei singoli condomini venendo ad
alterarne il valore della parte di edificio di loro esclusiva propriet.
Per poter procedere alla deroga dei criteri legale necessaria la sottoscrizione di una convenzione da parte di
tutti i partecipanti al condominio.
Cos si pronunciato il Trib. Bologna con sentenza n. 264 del 22.01.2004, adeguandosi al precedente
orientamento giurisprudenziale accolto anche dalla Corte di cassazione (cfr Cass. n.3042/95; Cass. n. 7359/96).
Tribunale Milano 13.09.2004 Restituzione delle somme versate in attuazione della delibera annullata.

Il Tribunale di Milano, (sentenza del 13.09.2004), ha dichiarato che per effetto dellannullamento della delibera di
approvazione del bilancio consuntivo, ogni condomino ha diritto a vedersi restituire dal condominio, in persona
dellamministratore, solo quelle somme versate in attuazione delle delibera annullata.
Cass. 16.11.2004 n. 21703 - Impugnazione della delibera assembleare per la singola quota.
Ancora una pronuncia della Corte di Cassazione in tema di impugnazione della delibera assembleare. Con
sentenza Cass. 16.11.2004 n. 21703 i Supremi Giudici hanno ritenuto che in caso di impugnazione della
delibera da parte di un condominio per quanto riguarda la sola quota di ripartizione ad egli attribuita, lindagine
giudiziale dovr giocoforza estendersi allintero bilancio ripartito, con la conseguenza che il valore della causa
non sar pi quello della singola quota contestata, ma dellintero bilancio. Ci incide sullindividuazione del
giudice competente per valore. Precedentemente la Corte si era espressa in maniera conforme con sentenza n.
6617/04.
Per quanto concerne il decoro architettonico, vigono solo alcuni principi giurisprudenziali, giacch la legge non
ha ancora provveduto a darne definizione alcuna.
Secondo un consolidato orientamento della Cassazione, il decoro architettonico costituito dallestetica data
dallinsieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota dominante ed imprimono alledificio
una sua armoniosa fisionomia (Cass. 2189/81, Cass. 2313/88, Cass. 8731/98). Non necessario che si tratti di
edificio di particolare prestigio (Cass. 8861/87).
- Il Tribunale di Udine con sentenza del giorno 16/07/2001 ha deciso che ex art 7, 3 comma n.2 c.p.c., di
competenza del Giudice di Pace la causa che riguarda le modalit di utilizzo del muro perimetrale delledificio
condominiale, relativamente allinstallazione pi conveniente dal punto di vista estetico e delleventuale
inquinamento acustico ed ambientale.
Cass. Civ. 22.01.2004 n. 1004 - Posti auto: innovazioni vietate ex art. 1120, II comma, c.c.
Costituisce innovazione vietata ex art. 1120, II comma, c.c., lassegnazione invia esclusiva e nominativa ai
condomini- di posti auto sul cortile-giardino di propriet comune, ci in quanto tale assegnazione viene ad
incidere nella sfera dei diritti reali, sottraendo parte rilevante della propriet comune a quei condomini che non
sono in possesso di seconda auto.
Cass. Civ. 24.03.2004 n. 5899 Installazione di ascensore.
Di particolare interesse in merito allinstallazione di ascensore, ma sotto altra prospettiva giuridica, la
pronuncia della Corte di cassazione del 24 marzo 2004 n.5899, che, cassando la sentenza del giudice di merito
che aveva ritenuto non incidere sul decoro architettonico del condominio listallazione di ascensore interno in
quanto comportante alterazione di una parte circoscritta di edificio e non percepibile allesterno. Per i giudici di
legittimit, invece, lalterazione del decoro di cui fatta menzione allart. 1120 c.c. in tema di innovazioni, pu
derivare anche dalla modifica delloriginario aspetto di singoli elementi o singole parti delledificio suscettibili di
autonoma valutazione, in essi rientrando, quindi, anche il vano ascensore.
Cass. Civ. 25.03.2004 n. 5975 Ladeguamento dellascensore non innovazione
La Corte di Cassazione con sentenza. 25 Marzo 2004, n. 5975 - ha stabilito che gli interventi tesi
alladeguamento dellimpianto ascensore alla normativa CEE non configurano opera nuova, ma attengono
allaspetto funzionale dello stesso. Di conseguenza non possono essere configurati alla stregua di innovazioni
ex art. 1120 c.c.
Si ripete ancora una volta che per rientrare nel campo delle innovazioni, lopera deve consistere in modificazioni
di entit tale da incidere sullaspetto quantitativo e qualitativo della struttura, venendo ad alterarne la precedente
la destinazione.
Pertanto non pu considerarsi innovazione la sostituzione di ascensore gi esistente con uno nuovo, non
essendo mutata la destinazione. Costituisce viceversa innovazione ex art. 1120 c.c., linstallazione ex novo di
ascensore laddove precedentemente non esistesse.
Al riguardo si confronti anche Cass. 16 luglio 1981 n. 4646.
Cass. Civ. 25.03.2004 n. 5973 Imputazione delle spese di manutenzione e risarcimento
La Corte di cassazione del 25 marzo 2004 n.5973, ha ritenuto corretto che tutto il condominio debba non solo
sopportare le conseguenze dellomessa manutenzione del lastrico solare posto a copertura di una sola porzione
di fabbricato (la scala A, nel caso di specie), ma anche risarcire i danni subiti alla propriet esclusiva
dellimmobile sottostante qualora si sia accertata lesistenza di un sistema unitario di smaltimento delle acque
piovane dellintero edificio.
Giurisprudenza Conforme: ex plurimis Cass.Civ. 17.01.2003 n.642 e Cass. Civ.15.07.2002 n.10233
Cass. Civ. 01.01.2006 n. 972- Illegittimo l'uso esclusivo del lastrico solare parte comune
In tema di condominio degli edifici, legittimo luso pi intenso della cosa comune da parte di un singolo
condomino, anche con modalit particolari e diverse rispetto alla sua normale destinazione, mentre illegittimo
che questi ne faccia un uso esclusivo.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 972 del 1 gennaio 2006, precisando in particolare che
illegittima la trasformazione del lastrico solare delledificio in terrazza ad uso esclusivo del singolo condomino,
perch in tal modo viene alterata la originaria destinazione della cosa comune, che sottratta alla possibilit di
utilizzazione da parte degli altri condomini.

Cass. Civ. 27.10.2003 n.16097 - Muro perimetrale: diritto del singolo condomino ad apportarvi
modificazioni a s utili.
Per il principio di compropriet dellintero muro perimetrale delledificio condominiale, il singolo condomino
legittimato ad apportarvi modificazioni che gli garantiscono una utilit aggiuntiva rispetto agli altri condomini, a
condizione che 1) non venga limitato il diritto alluso del muro degli altri condomini; 2) non ne venga alterata la
normale destinazione; 3) tali modificazioni non pregiudichino il decoro architettonico delledificio. Giurisprudenza
Conforme: Cass.Civ. 26.03.2002, n.4314; Cass.Civ. 18.02.1998 n.1708.
Trib. Roma 09.12.2003 -Infiltrazioni: richiesta di risarcimento del danno esistenziale.
La riduzione della qualit della vita del condomino proprietario dellunit immobiliare sottostante la terrazza
condominiale da cui provengano infiltrazioni dacqua, causa giustificativa della domanda al condominio di
risarcimento del danno esistenziale patito per il lasso di tempo in cui le infiltrazioni sono persistite.
Trattasi, infatti, di danno non patrimoniale, incidente sulla sfera personale dellindividuo: sul riposo e sulle
occupazioni quotidiane svolte allinterno dellabitazione, diritti tutelati dagli art. 2 e 32 della Costituzione.
Giurisprudenza Conforme sul danno esistenziale: App. Milano, 14.02.2003; Trib. Roma 17.04.2002 e Trib.
Milano 18.03.2002.
Cass. Civ. 12.12.2003 n. 19088 - Accesso alla propriet esclusiva.
In tema di condominio, nel caso che il cortile serva di accesso alla sola propriet di uno dei condomini, non
esclude che il cortile stesso abbia natura condominiale, derivante dalla sua funzione di dare aria e luce agli
appartamenti che prospettano sullo stesso.
Cass. Civ. 30.08.2004 n. 17397 Le comune propriet delle parti condominiali si deduce dal primo atto
costitutivo Ancora in occasione della medesima pronuncia, i Supremi giudici, hanno chiarito che per verificare
la sussistenza o meno di un titolo contrario alla presunzione di propriet comune su una delle parti delledificio
elencate dallart. 1117 c.c., occorre far riferimento allatto costitutivo del condominio, ossia al primo atto di
trasferimento di propriet dalloriginario unico proprietario al primo acquirente di unit immobiliare. In detto atto,
essendo fonte comune dei rispettivi diritti delle parti, sono determinati anche lestensione ed i limiti dei diritti del
singolo condomino sulle parti comuni delledificio.
In tal maniera, ove in un atto di acquisto risulti chiaramente lattestazione di propriet di un singolo condomino su
di un bene che per legge (art. 1117 c.c. citato) sarebbe comune, la presunzione di compropriet viene
definitivamente meno.
Viceversa, qualora il bene nasca di propriet comune, a nulla varr la disposizione del singolo condomino
anche di una delibera assembleare presa a maggioranza - tesa ad attribuirne la propriet ad un terzo. Ci sar
possibile con una nuova convenzione presa con la volont di tutti in partecipanti al condominio.
Cass. Civ. 21.07.2004 n. 13600 Uso della parte comune da parte del singolo condomino. Un caso
analogo stato sottoposto al giudizio della Cassazione , la quale ha stabilito che luso particolare del cortile
condominiale parte comune da parte di un singolo condomino legittimo purch soddisfi due condizioni: 1) il
manufatto realizzato non deve alterare lutilizzazione del cortile praticata dagli altri condomini; 2) il manufatto
non deve escludere per gli altri la possibilit di fare del cortile medesimo un analogo uso particolare. Nel caso
di specie, in rispetto dei principi pocanzi enunciati, stato dichiarata illegittima la realizzazione nel cortile
comune, di un vano scale che consentisse ex novo un accesso al seminterrato di propriet di un singolo
condomino. Lopera realizzata, infatti, data la sua conformazione e dimensioni, veniva a compromettere luso ed
il godimento del cortile cos come fino ad allora esercitati dagli altri condomini (Cass. 21 luglio 2004 n. 13600).
Cass. Civ. 09.09.2004 n. 18131 Locale sottotetto: parte comune?
Con pronuncia n. 18131 del 9 settembre 2004, la Cassazione si occupata di definire i criteri in base ai quali il
locale sottotetto vada considerato parte comune al condominio o pertinenza esclusiva dellunit immobiliare sita
allultimo piano. Ricorre questultimo caso allorquando il sottotetto rivesta la sola funzione di isolare
lappartamento sottostante proteggendolo dal freddo, dal caldo e dalle conseguenze delle avverse condizioni
atmosferiche.
Quando invece il sottotetto presenti le caratteristiche di vano autonomo, allora la propriet del locale si
determina in base al titolo. In carenza di detto titolo, non essendo il sottotetto ricompresso nellelenco delle parti
comuni ex art. 1117, il locale sar di propriet condominiale solamente nel caso in cui per le sue caratteristiche
strutturali e funzionali, risulti oggettivamente destinato alluso comune o allesercizio di un servizio di interesse
condominiale.
Sul punto ex plurimis cfr anche Cass. n. 18091/02 e Cass. n.8968/02.
Cass. Civ. 19.11.2004 n. 21902 Il maggior uso del singolo condomino sulla cosa comune.
Con pronuncia n. 21902 del 19 novembre 2004, la Cassazione ha stabilito che il condomino proprietario di un
bar non possa utilizzare un locale condominiale sito ad uso gabinetto a favore dellutenza del bar.
Ci perch, se vero che lart. 1102 stabilisce che il singolo condomino possa utilizzare della cosa comune
anche in modo particolare e pi intenso. Tuttavia in tal caso lutilizzo del singolo, oltre a non poter venire a
modificare la destinazione della parte comune, non deve venire a comprimere il pari diritto che gli altri
comproprietari hanno sulla stessa.
E corretta pertanto la decisione dei Supremi giudici, atteso che lutilizzo del locale comune da parte degli
avventori del bar verrebbe ad alterare eccessivamente il rapporto di equilibrio tra i diritti dei vari comproprietari.
Ancora in tema di uso da parte del singolo condomino del bene comune, la Suprema Corte (Cass. n. 21901/04),

che stante la specialit della disciplina della comunione non valgano in tal campo le norme relative
allaccessione (art. 934 c.c. e ss.)
Ne consegue, nel caso di specie, che ove un singolo comunista abbia provveduto a costruire sul suolo comune,
tal costruzione dovr essere considerata alla stregua di innovazione atteso che lazione di per s idonea ad
apportare modifica strutturali (nel caso di specie era stata aggiunta una rampa ad una scala gi esistente).
Cass.Civ. 03.07.2003 n. 10523 Potere vincolante del regolamento contrattuale non trascritto.
Sono vincolanti per gli acquirenti delle singole unit immobiliari, le clausole del regolamento di condominio di
natura contrattuale, quindi anche quelle clausole concernenti limitazioni ai poteri ed alle facolt spettanti ai
condomini sulle parti di propriet esclusiva. Non necessario che latto di acquisto dellimmobile riporti per
esteso il regolamento condominiale, ma sufficiente che venga in esso richiamato di modo che le sue clausole
rientrino per perfectam relationem nel contenuto dei singoli contratti dacquisto.
Inoltre, una volta menzionato il regolamento in suddetti contratti, nel caso di specie allesame della Corte,
indifferente per la S.C. che il regolamento stesso sia stato trascritto o meno nei registri immobiliari; infatti con
la sottoscrizione del contratto contenente richiami al regolamento, il contraente-acquirente dimostra di essere a
conoscenza del regolamento stesso e di accettarne il contenuto.
Riconoscendo efficacia vincolante al regolamento contrattuale non trascritto, integrante il testo del contratto
dacquisto dellimmobile, la giurisprudenza sopperisce allinerzia del legislatore. Infatti il registro di cui al c.d.
degli artt. 1129 IV comma e 1138 III comma c.c. e specificato dallart. 71 disp.att. c.c., rimasto inattuato. Nelle
intenzioni del legislatore, invece, la trascrizione, cui finalizzato il menzionato registro.
Giurisprudenza Contraria: Cass. 26.01.1998 n. 714 in Foro It. 1999, I,217.
Cass. Civ. 22.01.2004 n. 1015 - Regolamento che permette espressamente di adibire lunit immobiliare
ad attivit di ristorazione.
Il regolamento che in una delle sue clausole consenta anche in deroga ad altre clausole del medesimo
regolamento ad un condomino proprietario di una delle unit immobiliari site nel condominio, di adibire la
stessa unit ad attivit di ristorazione, costituisce una previsione pi ampia della semplice assenza di divieto.
Una previsione come quella de qua, infatti, elimina immediatamente ogni possibile contestazione da parte degli
altri condomini sulla liceit di unoperazione come quella che il regolamento espressamente consente.
Ci, tuttavia , non pu integrare un obbligo di contenuto non definito ex ante - in capo agli altri condomini, di
sopportare qualsiasi limitazione, anche alla propriet individuale, che si dovesse rendere necessaria per
lattuazione della destinazione.
In particolare, la previsione del regolamento, non include anche il diritto del condomino preferito di installare
canne fumarie necessarie ai locali di ristorazione, a qualsiasi condizione, con il solo rispetto delle disposizioni
dellart. 1065 c.c., anche entrando nelle propriet individuali, ovvero anche sottraendo alluso comune la canna
per leliminazione delle immondizie
Cass. Civ. 29.10.2003 n.16240. -Violazione del divieto di destinare immobili di propriet esclusiva a
determinati usi.
In ipotesi di violazione del divieto contenuto nel regolamento contrattuale di condominio di adibire a
determinati usi I locali di propriet esclusiva, il condominio pu chiedere la cessazione della destinazione
abusiva sia al conduttore che al proprietario.
Ma solo nellipotesi di richiesta al colo conduttore, vi sar litisconsorzio necessario col proprietario.
Viceversa, nel caso in cui il convenuto in giudizio sia il solo proprietario, non necessario estendere il
litisconsorzio anche al conduttore.
Giurisprudenza Conforme: Cass. Civ. 13.12.2001 n.15756.
Tribunale di Genova n.846 del 23.02.2004 Clausole regolamentari e contrattuali del regolamento.
Il Tribunale di Genova, con pronuncia del 23 febbraio 2004, n.846, s adeguato alla ormai unanime corrente
giurisprudenziale che distingue, anche allinterno di un regolamento di origine contrattuale, possano coesistere
clausole di natura contrattuale, appunto, ma anche altre clausole di natura regolamentare. La dottrina
maggioritaria e la giurisprudenza individuano quale criterio distintivo tra i due tipi di clausole, il fatto che esse
incidano (cl. contrattuali) o meno (cl. regolamentari) sulla sfera dei diritti soggettivi di ciascun condomino. Nel
caso di specie, il Giudice del merito ha riconosciuto natura regolamentare a quelle clausole che riguardano la
modalit di utilizzazione e lorganizzazione delle cose e dei servizi comuni e non il diritto al godimento di essi
(che incide nella sfera dei diritti soggettivi).
La distinzione tra clausole regolamentari e contrattuali di particolare importanza, atteso che nel primo caso per
la modifica delle stesse richiesta la semplice maggioranza, mentre nel caso residuo, avendo la clausola
contrattuale forza di legge tra le parti, richiesta lunanimit dei condomini. Dottrina minoritaria ritiene addirittura
che, in questo secondo caso, nemmeno lunanimit sia sufficiente, ma sia necessaria una nuova convenzione
tra tutti i condomini, tesa a modificare la clausola di natura contrattuale.
Cass. Civ. 08.08.2003 n. 11940 - Il diritto del condomino ad accedere ai documenti contabili .
Il comportamento dellamministratore che, a richiesta del singolo condomino, neghi a questultimo laccesso alla
documentazione contabile relativa al condominio, determina:
a) in sede di approvazione del consuntivo, linvalidit della relativa delibera data la violazione da parte
dellamministratore dellobbligo di rendiconto;
b) in sede di approvazione del preventivo, non pu invece determinare invalidit della relativa delibera, giacch
normalmente la previsione di spesa viene fatta sulla base della gestione dellanno precedente.

Giurisprudenza Conforme: Cass. Civ. 29.11.2001 n. 15159 la quale ritiene, inoltre, che il diritto del condomino di
prendere visione dei documenti contabili riguardanti il condominio possa essere esercitato non solo in occasione
del rendiconto annuale, ma anche al di fuori di tale sede.
Cass. Civ. 21.08.2003, n.12292 - Sopraelevazione: indennizzo.
Lindennizzo di sopraelevazione ex art. 1127 c.c., va determinato dividendo limporto relativo allarea su cui
insiste ledificio, o la parte di questo che viene sopraelevata, per il numero di piani compresi quelli di nuova
costruzione - diminuendo, poi il quoziente della quota spettante al condomino che ha eseguito la
sopraelevazione ed infine ripartendo il risultato residuo tra i proprietari degli altri piani preesistenti, mentre si
commetterebbe errore dividendo questa somma tra tutti i condomini.
Giurisprudenza Conforme: Cass. Civ. 18.05.1967 n. 1055 in Foro It. 1967, I, 1147.
Cass. Civ. 22.08.2003 n.12343 Linstallazione di condizionatori daria e il decoro architettonico.
Con la sentenza in esame, la Cassazione ha ritenuto che, in ambito condominiale, per linstallazione di
condizionatori daria, pur trattandosi di modificazione consentita ex art. 1102 1 comma c.c. (cfr Cass. 3084/94),
trovi applicazione analogica il divieto di alterare il decoro architettonico gi previsto per le innovazioni ex
art.1120 2 comma c.c..
Nel pregiudizio estetico compreso anche il pregiudizio economico (cos anche Cass. 9717/97). Inoltre,
trattandosi nel caso di specie di installazione su parete esterna del fabbricato, irrilevante il fatto che il
condizionatore sia stato installato su una facciata che non prospetta sulla strada pubblica.
Il giudizio sulla lesione o meno del decoro architettonico, a seguito di installazione di condizionatori daria su
muri esterni, dipende essenzialmente dalle caratteristiche specifiche dellimpianto e dalle modalit con cui esso
viene posizionato sulle parti comuni.
Nel caso di specie, viste le mastodontiche dimensioni del condizionatore fatto installare dai ricorrenti, la
Cassazione ha rilevato che la presenza di altri condizionatori installati anteriormente sulla stessa parete esterna,
se pure comporta un pregiudizio alla estetica del fabbricato, non vale, per, a legittimare ulteriore aggravio, in
considerazione delle misure particolarmente grandi del condizionatore e della sua collocazione vicino alle
finestre.
Cass. Civ. 27.10.2003 n. 16098 - Criteri da adottare in tema di tutela del decoro architettonico.
In tema di tutela del decoro architettonico, il Giudice deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minor
rigore sulla base delle caratteristiche del singolo edificio o di parte di esso. Il Giudice, da un lato, deve accertare,
cio, se esso avesse ab origine ununitariet di linee e stile compromessa significativamente dallinnovazione
apportata e dedotta in giudizio. Dovr altres accertare se gi precedentemente altre innovazioni avessero
inciso, alterando tale unitariet.
Dallaltro lato, il Giudice dovr accertare se lalterazione sia appariscente e di non trascurabile entit, ovvero tale
da arrecare un pregiudizio estetico delledificio suscettibile di valutazione economica. Giurisprudenza
Conforme: Cass. Civ. 15.04.2002 n.5417
Cass. Civ. 22.06.2004 n. 11599 - Responsabilit nel condominio.
I Supremi Giudici, con sentenza del 22 giugno 2004 n.11599, hanno stabilito che in caso di danno provocato da
immobile ad altra unit immobiliare del condominio, non sussiste solidariet passiva a carico dellacquirente
dellimmobile danneggiante, nel caso in cui lalienazione si avvenuta dopo il sinistro. Detta solidariet non pu
sussistere nemmeno ponendo a fondamento di tal pretesa lart. 63, comma 2, disp. att. c.c. che prevede la
responsabilit solidale solamente per quanto riguarda i debiti del dante causa derivanti dal mancato pagamento
degli oneri condominiali. E quindi esclusa dalla previsione di detto articolo, la fattispecie di danno cagionato ad
altro immobile.
Trib. Milano - Scioglimento di condominio
In tema di scioglimento di condominio, una delle condizioni imprescindibili fissate dallart. 61 disp. Att. C.c. la
caratteristica di autonomia che devono avere i vari edifici risultanti dallo scioglimento delloriginario unico
condominio. Lultimo orientamento giurisprudenziale ritiene applicabile la disciplina condominiale anche ai beni
posti al servizio di pi edifici (cfr. Cass. 8 agosto 1996 n. 7286). Sulla base di queste due premesse,
correttamente ha giudicato il Tribunale di Milano, rigettando la domanda di scioglimento avanzata da un gruppo
di condomini relativamente ad un condominio costituito da una centrale termica al servizio di pi edifici
condominiali. Dalle risultanze della CTU, infatti emergeva che le caratteristiche della centrale termica non la
rendevano suscettibile di divisione in parti autonome se non con innovazioni gravose.
Cass. Civ. 11.09.2003 n.13350 - Il diritto del condomino ad accedere ai documenti attinenti argomenti
posti allo.d.g. della successiva assemblea. Il condomino ha diritto ad avere accesso previa richiesta e nel
rispetto di adeguate modalit di tempo e luogo a documenti relativi ad argomenti che saranno posti allordine
del giorno della successiva assemblea di condominio.
Qualora tal diritto gli venga negato, le delibere dellassemblea riguardanti detti documenti, saranno oggetto di
annullabilit, in quanto tal diritto incide sul processo di formazione delle maggioranze assembleari.
Giurisprudenza conforme: Cass. Civ. 11.05.1984 n.2893, Foro It., 1984, I, 1821.
Cass. Civ. n. 20820/04 Distanze legali tra edifici.
La sentenza della Cassazione n. 20820/04 ha chiarito la distinzione tra semplice ristrutturazione e ricostruzione
dellimmobile.

La prima ricorre allorquando al termine degli interventi edilizi sullimmobile, le componenti essenziali di questo
siano rimaste inalterate (esempi di componenti essenziali: muri perimetrali, strutture orizzontali, la copertura). In
sostanza le modificazione devono essere solo interne.
Si ha invece ricostruzione, allorquando inseguito a demolizione (volontaria o per causa naturali) dellimmobile o
parte di esso, venga rimesso in pristino nello stesso stato di ingombro e volumetria in cui era antecedentemente
alla demolizione.
Se cos non fosse, si verserebbe in una terza tipologia di fattispecie: la nuova costruzione. In conseguenza di
ci, essendo stati eventualmente aumentati sia la volumetria che lingombro, dovranno essere rispettate le
distanze legali previste dagli strumenti urbanistici locali.
Giudice di pace di Legnago n. 328/2005 Gli eredi sono tenuti a comunicare allamministratore la morte
del condomino defunto.
Le spese condominiali non corrisposte dal condomino perch defunto, vanno poste a carico degli eredi. Ove
questi non abbiano comunicato allamministratore il decesso de cuius con il conseguente avvicendamento nella
propriet dellimmobile e di conseguenza della compagine condominiale, sono tenuti anche al pagamento delle
spese processuali di recupero del credito intraprese nei confronti del de cuius anche successivamente alla morte
dello stesso.
Lo ha stabilito il GdP legnaghese, il quale adeguandosi ad un consolidato filone giurisprudenziale cfr ex
plurimis Cass. n.985/99 ha ritenuto che sia obbligo dellacquirente eventualmente in concorso con lalienante
informare lamministratore della nuova propriet dellimmobile.
Ed in effetti con la successione si verifica proprio un cambio di propriet, con la conseguenza che dalla morte
del de cuius in avanti, saranno gli eredi a sostituirsi a questo nella qualit di condomino.
Ne consegue che siano tenuti a pagare non solo le spese condominiali oggetto di obbligazione propter rem
che quindi segue le sorti del bene (immobile) cui fanno riferimento - non versate dal defunto, ma anche le spese
legali sostenute dal condominio per il recupero del credito. Ci vale anche se lazione giudiziale sia stata
intrapresa nei confronti del defunto, essendo attribuibile al comportamento omissivo degli eredi, lignoranza
dellamministratore circa lattuale propriet dellimmobile. Lamministratore non infatti tenuto alla verifica
periodica dei nominativi degli intestatari delle singole unit.
Cass. 18.06.2005 n. 8066 Anche le villette a schiera costituiscono condominio Con la sentenza in
epigrafe, la Corte ha chiarito una serie di questioni.
Innanzitutto ha ritenuto che stante lodierna molteplicit di tipologie costruttive non si possa aprioristicamente
escludere la natura condominiale di corpi di fabbrica adiacenti in orizzontale. E il caso ad esempio della case a
schiera, che ben possono giovarsi di servizi comuni, quali i viali daccesso, il verde comune, limpianto di
riscaldamento e cos via. Si viene cos a privare di attendibilit la concezione per cui la configurabilit del
condominio sia possibile solo quando si tratti di edifici che si sviluppino in verticale. In seconda battuta, la
Corte chiarisce che quando si sia in presenza di un complesso immobiliare costituito da singoli edifici di per s
autonomi, rimessa allautonomia privata dei condomini la decisione di costituire un unico condominio, oppure
pi condomini, cui viene affinato un supercondominio per quanto riguarda le parti comuni. Come gi esposto con
la sentenza Cass. 9096/2000, queste ultime parti per essere comuni e venire cos a far parte del
supercondominio, devono essere legate ai singoli edifici da un vincolo di accessoriet che le rendano necessarie
allesistenza o alluso degli edifici stessi. E il caso ad esempio degli impianti fognari, le portinerie, gli impianti di
riscaldamento. Soggiaciono invece alle regole della comunione quelle parti che godano di unautonoma utilit:
gli impianti sportivi e le zone verdi.
Il fatto che edifici di per s autonomi possano costituire condominio, lo si
ricava dagli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. che partendo dalla opposta situazione di un condominio gi formato,
prevedono la possibilit per gli edifici autonomi allinterno di questo, di separarsi e venire a costituire altrettanti
condomini.
Cass. Civ. 03.08.2005 n. 16226 Manutenzione del marciapiede a carico dell'Ente Pubblico - Mancata
responsabilit del condominio Lente pubblico proprietario di una strada aperta al pubblico transito ha
lobbligo di provvedere alla manutenzione non solo della sede stradale, ma anche dei marciapiedi destinati al
transito dei pedoni. Ne consegue che del danno cagionato da buche del marciapiede (nel caso di specie,
provocate dallinfissione di transenne metalliche poi rimosse) risponde lente, e non il condominio dello stabile
antistante il tratto di marciapiede.
Locazioni affitto:

http://www.carcereri.com/locazioni.htm

Lavori di manutenzione di edificio condominiale TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE Sez. II, 31 gennaio
2005
Il condominio legittimato a commettere l'appalto e ad adempiere le relative obbligazioni solo limitatamente ai
lavori eseguiti sulle parti comuni ex art. 1117 c.c.
Contestazione in sede di azione risarcitoria contro l'ex amministratore Tribunale di Milano, Sez. VIII, 27
giugno 2005, n. 7460 La delibera assembleare di approvazione del rendiconto non preclude la contestazione in
sede di proposizione di azione risarcitoria da parte del Condominio contro l'ex amministratore, sia per il carattere
dichiarativo e confessorio dell'atto di approvazione del conto, revocabile o modificabile in caso di dolo o colpa
grave del mandatario (ex art. 1713 c.c.), sia perch l'assemblea (ex art. 1130 n. 3 e 1135 c.c.) pu approvare e
autorizzare pagamenti soltanto ove si riferiscano a spese effettivamente erogate per la manutenzione delle parti
comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni, onde tale presupposto manca quando l'amministratore

richieda il rimborso di somme esposte come erogate nell'interesse della collettivit condominiale, ma invece
trattenute con indebita appropriazione (con inopponibilit della preclusione derivante dal decorso del termine ex
art. 1137 ult. comma c.c., potendosi profilare la nullit della delibera di approvazione del rendiconto)
Cass. Civile n. 16485 del 22.11.2002
L'Assemblea dei condomini ha la facolt di decidere in ordine alle spese ed alle modalit di riparto, deliberando
l'approvazione del bilancio preventivo e consuntivo, ma le esclusa la possibilit di imporre al singolo
condomino l'obbligo di pulire le scale in un dato momento, o di provvedervi attraverso un proprio
pulitore. Nel caso l'Assemblea assuma una simile delibera, questa sarebbe radicalmente nulla, avendo i
condomini statuito oltre le proprie competenze, violando i diritti del singolo condomino sui quali la legge
non consente ad essa di incidere.
Parcheggi sotterranei: deroga ai regolamenti edilizi e alle norme del codice civile r rispetto distanze
TAR Lombardia-Milano, sez. II, sentenza 05.07.2006 n 1715 La dizione usata dal legislatore nellart 9, primo
comma, della legge 24 marzo 1989 n. 122, il quale consente ai proprietari di immobili di realizzare "nel
sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza
delle singole unit immobiliari, anche in deroga agli strumenti urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti", deve
essere interpretata estensivamente, e quindi come comprensiva anche dei box seminterrati, purch realizzati
entro larea di pertinenza dellimmobile. La possibilit di derogare agli strumenti urbanistici e ai regolamenti
edilizi vigenti rende derogabili anche le norme sulle distanze delle costruzioni dai confini di propriet, in quanto,
a fronte di una disciplina speciale dettata dalla superiore esigenza di contrastare la congestione ambientale, la
disciplina delle distanze, preposta alla salvaguardia di interessi prevalentemente privatistici di buon vicinato e di
ordinato esercizio della propriet, deve necessariamente recedere. Pur dichiarando il ricorso irricevibile per
decorrenza dei termini di impugnazione della concessione rilasciata in sanatoria straordinaria, dichiarando la
tardivit del medesimo atto (la concessione, infatti, era nota ai ricorrenti da molto tempo: sul punto si veda anche
T.A.R. Campania - Napoli, sezione III, sentenza 27 gennaio 2006 n. 1131, in questa Rivista, numero del 20
marzo 2006), il T.A.R. Lombardia dopo aver ricordato che lavvenuta notificazione sana gli eventuali vizi del
rito seguito nella medesima notificazione (punto 2, primo paragrafo) ha proceduto allesame di tutte le varie
censure mosse contro il provvedimento concessorio della realizzazione di un parcheggio sotterraneo privato. Il
dato sicuramente pi interessante come evidenziato in massima laffermazione della regola della deroga
alla normativa edilizia e urbanistica locale nonch alle norme di diritto civile in materia di distanze che, in ambiti
come quello in esame, sono applicabili: nella sostanza, le finalit che si pone il costruttore di un parcheggio
sotterraneo sono tali da essere meritevoli di promozione e tutela anche al di sopra delle ordinarie disposizioni
contenute in strumenti urbanistici, regolamenti edilizi o addirittura nel Codice Civile.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=34640
Lopera interna non pu determinare laumento di unit immobiliari

Lopera che comporta un aumento nel numero delle unit immobiliari realizzate non pu essere
configurata come opera interna. A stabilirlo stata la sezione di Trento del Tribunale Regionale della
Giustizia Amministrativa della regione Trentino Alto Adige con la sentenza depositata il 12 maggio 2006
n. 160 ( qui leggibile tra i documenti correlati).
Nel caso di specie il ricorente si era visto respingere
la domanda di condono in quanto le opere realizzate erano in contrasto con la normtiva edilizia ed
urbanistica vigente. Le opere che comportano laumento di unit immobiliari, infatti, comportano un
conseguente aumento del carico urbanistico sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo.
http://www.dirittoeprogetti.it/temi/nota.asp?id=6601
Nomina amministratore Cass. 26/04/94 n. 3952
Per le deliberazioni dell'assemblea in seconda convocazione concernenti le materie indicate dall'art. 1136,
quarto comma, c.c., tra le quali la nomina dell'amministratore, il richiamo alle maggioranze stabilite dall'art. 1136,
secondo comma, c.c., non vale ad estendere il quorum costitutivo dell'assemblea in prima convocazione, ma
importa che per la costituzione dell'assemblea, come per l'approvazione di esse, richiesta una
maggioranza che rappresenti almeno la met del valore dell'edificio e che sia costituita dalla
maggioranza degli intervenuti e da almeno un terzo dei partecipanti al condominio. In difetto di norme
particolari, i rapporti tra il rappresentante intervenuto in assemblea ed il condomino rappresentato sono
disciplinati dalle regole sul mandato con la conseguenza che solo il condomino delegante legittimato a far
valere gli eventuali vizi della delega.
Nomina e revoca Amministratore Cassazione Civile, Sentenza 30/3/2001 n 4706
Il procedimento di nomina o revoca dell'amministratore di condominio, anche quando si inserisce in una
situazione di conflitto tra condomini o tra alcuni di essi e l'amministratore, ha natura di procedimento di
volontaria giurisdizione che si sottrae alle regole generali in materia di spese processuali. Ne consegue che
le spese relative a questo procedimento rimengono a carico del soggetto che le ha anticipate
assumendo l'iniziativa giudiziaria o intervenendo nel giudizio.
Spese della procedura per la nomina di un amministratore giudiziario Cass. civ., sez. II, 6 maggio 2005,
n. 9516 Contro il provvedimento con cui la corte dappello decide in sede di reclamo sul decreto di nomina di un

amministratore giudiziario del condominio, inammissibile il ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. per la
parte relativa alla condanna alle spese del procedimento. In tal caso il sindacato della S.C. rimane
peraltro limitato alla verifica del vizio di violazione di legge, senza alcuna possibilit di estendersi alla disamina
della sufficienza e logicit della motivazione.
La nomina di un amministratore da parte del Presidente del Tribunale atto amministrativo e non
ammesso il ricorso alla Corte di Appello n alla Cassazione Cassazione del 13/11/1996 n. 9942 Il
procedimento di nomina dell'amministratore adottato dal Presidente del tribunale, a norma dell'art.1129 c.c. sul
presupposto che il condominio ne sia sprovvisto, costituisce attivit di carattere non giurisdizionale ma
amministrativa, in quanto non diretta alla risoluzione di un conflitto di interessi, ma solo ad assicurare al
condominio dell'organo necessario e imposto dalla legge.
Tale atto, non soggetto a reclamo innanzi alla Corte di Appello in quanto manca una previsione normativa in
tal senso. Di conseguenza, inammissibile il ricorso per cassazione ex art.111 Costituzione, art.1129 cod. civ.
art.64 disp. att. cod. civ..
Istanza di nomina amministratore giudiziario Corte app. civ. Napoli decr., 11 febbraio 2004
L'istanza di nomina dell'amministratore giudiziario va rigettata quando l'assemblea condominiale abbia
provveduto, in pendenza del giudizio camerale, e, in goni caso, prima della data del deposito del relativo
decreto, a rieleggere o nominare un amministratore fiduciario.
Accesso con mezzi meccanici nel cortile comune Cass. Civi. sez. II, 16/03/2006 n. 5848
Tra gli usi propri cui destinato un cortile comune si deve annoverare la possibilit, per i partecipanti alla
comunione, di accedere ai rispettivi immobili anche con mezzi meccanici al fine di esercitarvi le attivit, anche
diverse rispetto a quelle compiute in passato, che non siano vietate dal regolamento condominiale, poich tale
uso non pu ritenersi condizionato n dalla natura dell'attivit legittimamente svolta n dall'eventuale, pi limitata
forma di godimento del cortile comune praticata in passato.
Le emissioni sonore degli impianti di condizionamento non devono superare la normale tollerabilit
Cassazione, Sezione Prima Penale, sentenza n.23130/2006
Chi abita in un condominio deve verificare che il proprio impianto di climatizzazione non sia troppo rumoroso,
perch in caso di superamento dei limiti imposti dalla legge rischia una condanna per disturbo alle occupazioni
ed al riposo delle persone. La Suprema Corte ha in proposito sottolineato che, per la sussistenza della
contravvenzione prevista dal primo comma dellart. 659 del codice penale sufficiente la dimostrazione che la
condotta posta in essere dallagente sia tale da poter disturbare il riposo e le occupazioni di un numero
indeterminato di persone, anche se una sola di esse si sia in concreto lamentata; la valutazione circa la
sussistenza del concreto pericolo di disturbo deve essere effettuata nellambiente, ove i rumori vengono
percepiti, ed i rumori devono essere di intensit tale da superare i limiti di normale tollerabilit, arrecando in tal
modo disturbo alle occupazioni ed al riposo di un numero indeterminato di persone.
Le emissioni sonore degli impianti di climatizzazione non devono superare la normale tollerabilit
Vietati condizionatori rumorosi nei condomini (Cassazione 23130/2006)
Chi abita in un condominio deve controllare che il proprio condizionatore non sia troppo rumoroso, perch in
caso di superamento dei limiti imposti dalla legge rischia una condanna per disturbo al riposo delle persone. Lo
ha stabilito la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione confermando la condanna inflitta al titolare di un
ambulatorio medico che disturbava i vicini a causa della elevata rumorosit dellimpianto di climatizzazione. La
Suprema Corte ha in proposito sottolineato che, per la sussistenza della contravvenzione prevista dal primo
comma dellart. 659 del codice penale sufficiente la dimostrazione che la condotta posta in essere dallagente
sia tale da poter disturbare il riposo e le occupazioni di un numero indeterminato di persone, anche se una sola
di esse si sia in concreto lamentata; la valutazione circa la sussistenza del concreto pericolo di disturbo deve
essere effettuata nellambiente, ove i rumori vengono percepiti, ed i rumori devono essere di intensit tale da
superare i limiti di normale tollerabilit, arrecando in tal modo disturbo alle occupazioni ed al riposo di un numero
indeterminato di persone. http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=44896&idCat=45
Il potere gli conferito dalla legge e non serve lautorizzazione dellAssemblea
Lamministratore pu multare i condomini (Cassazione 14735/2006)
LAmministratore di condominio ha il dovere di curare il rispetto del Regolamento da parte di tutti i condomini,
eventualmente anche sanzionando i pi indisciplinati. Lo ha stabilito la Seconda Sezione Civile della Corte di
Cassazione confermando una sentenza del Tribunale di Sestri Levante che aveva dato ragione ad un
condomino che aveva chiamato in giudizio lAmministratore in quanto questi non era intervenuto per sanzionare
il comportamento di alcuni condomini che avevano labitudine di scrollare la tovaglia dal balcone e di stendere la
biancheria senza alcun riguardo per il decoro delledificio. La Suprema Corte ha sottolineato che, tra le facolt
dell'Amministratore di condominio rientra anche quella di irrogare sanzioni pecuniarie ai condomini responsabili
di violazioni del regolamento, ove lo stesso preveda tale possibilit e che lAmministratore non ha bisogno di
alcuna autorizzazione da parte dellAssemblea, in quanto egli gi tenuto per legge a curare losservanza del
regolamento del condominio al fine di tutelare linteresse generale al decoro, alla tranquillit ed allabitabilit
delledificio. http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idCat=376&idArt=44575
L'amministatore non pu richiedere il rimborso iva senza mandato Tribunale di Bologna Sez. III, 4 agosto

2004, n. 2258 L'azione intrapresa dall'amministratore per il rimborso dell'iva pagata in eccedenza dai
condomini inerenti il servizio di fornitura di carburante per l'impianto di riscaldamento centralizzato, esula dalla
gestione ordinaria e dalle normali attribuzioni dell'amministratore ex art. 1130 c.c.
Conseguentemente , trattandosi di azione eccedente l'ordinaria gestione del servizio e le necessit inerenti,
l'amministratore non p procedere in assenza di uno specifico mandato conferitogli dall'assemblea
condominiale.
Impegno contrattuale a rispettare un regolamento condominiale da predisporsi da parte del costruttore
Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2005, n. 3104
L'obbligo dell'acquirente, previsto nel contratto di compravendita di un'unit immobiliare di un fabbricato, di
rispettare il regolamento di condominio da predisporsi in futuro a cura del costruttore non pu valere come
approvazione di un regolamento ancora inesistente, poich solo il concreto richiamo nel singolo atto di
acquisto a un determinato regolamento che consente di considerare quest'ultimo come facente parte, per
relationem (in quanto espressamente richiamato) di tale atto.
Abbandono di rifiuti in un fabbricato chiuso da parte del conduttore
Consiglio di Stato, Sez. V, 3 febbraio 2006, n. 439
Il locatario non pu chiedere ex articolo 14 del D. Lgs. 22/97 la rimozione dei rifiuti in un fabbricato chiuso da
parte del conduttore al momento del rilascio dell'immobile per finita locazione, in quanto non si tratta di
abbandono di rifiuti sul suolo o nel suolo, tale da configurare una discarica a cielo aperto o interrata, che
rappresenta il presupposto per lintervento del Sindaco, ma di abbandono di rifiuti in un fabbricato chiuso da
parte del conduttore al momento del rilascio dellimmobile per finita locazione.
Notifica per posta: consegna a persona che si dichiara addetta ed accertamento
Cassazione , sez. V civile, sentenza 01.06.2006 n 13063 In ipotesi di notificazione a mezzo del servizio
postale, qualora, per l'impossibilit di effettuare la consegna del piego personalmente al destinatario, lo stesso,
ex art. 7 comma 2, della legge n. 890 del 1982, sia stato consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene
l'atto e nel rispetto dell'ordine stabilito da detta nonna, a persona dichiaratasi addetta al servizio dei
destinatario, l'agente postale non tenuto ad accertare la corrispondenza al vero della dichiarazione, essendo
sufficiente che essa concordi con la situazione apparente, consistente nella presenza del consegnatario nei
luoghi indicati dalla norma, gravando sul destinatario l'onere di provare l'inesistenza della qualit dichiarata dal
consegnatario. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza 1 giugno 2006 n. 13063, respingendo il
ricorso con cui si chiedeva l'annullamento dell'avviso di liquidazione dell'imposta sul presupposto che colui che
ricevette la notifica dell'avviso non era effettivamente il custode o il portiere come invece si qualificava.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=1176
Da "Il Sole 24 Ore" di Luned 4/9/06 Relativamente al recupero fiscale del 41% (36% dal 1 ottobre prossimo),
l'importo detraibile dal singolo condmino in base all'art. 1 della legge 449/97 correlato, oltre che alla quota
risultante tenuto conto della tabella millesimale, anche all'importo effettivamente pagato del singolo condmino.
In sostanza, come previsto nelle circolari 121/E e 57/E del 1998, il singolo condmino non pu detrarre importi
inerenti spese sostenute dal condominio, pagate dall'amministratore condominiale, ma non dal singolo
condmino. In questo caso, effettivamente, in caso di richiesta di chiarimenti, il singolo condmino potr
mostrare l'attestazione dell'amministratore che indica, oltrech la spesa imputabile ai singoli condmini, anche
l'importo effettivamente spettante tenuto conto di quanto pagato.
Il singolo condmino non avr pertanto diritto alla detrazione in caso di morosit.
Esclusione del possesso sottotetto ad usucapionem da parte di altro condomino Cass. II Sez. Civ. del
29/12/2004 n. 24147 Quando il sottotetto assolve alla esclusiva funzione di isolare i vani dell'appartamento
sottostante, lo stesso non pu essere separato da questi ultimi senza che si verifichi l'alterazione del rapporto di
complementarit dell'insieme e, quindi, non configurabile il possesso ad usucapionem dello stesso da parte
del proprietario di altra unit immobiliare.
Rimborso spese di piccola manutenzione della cosa locata Cass. 3 Sez. Civ. 27/05/2005 n. 11289
Il locatore che agisce contro l'inquilino per il rimborso delle spese di riparazione dell'immobile che assume
dipendenti dall'omessa manutenzione dovuta da quest'ultimo, ha l'onere di dimostrare, in conformit alle regole
generali sull'onere della prova, i presupposti del relativo diritto, secondo le previsioni dell'articolo 1609 del cod.
civ. e, quindi, che si tratti di danni conseguenti all'assenza di riparazioni di piccola manutenzione rese
necessarie da deterioramento prodotto dall'uso.
Suprema Corte, Cass. pen., sez. I, 19/04/2001, Rispondono del reato di cui all'art. 659 comma 1 c.p. un
uomo e una donna che non impediscono il molesto abbaiare, anche in ore notturne, di due cani di loro propriet,
custoditi nel cortile di un edificio condominiale.
Cassazione civile , sez. I, 14 aprile 2004, n. 7060 Il principio generale dell'accessione posto dall'art. 934 c.c., in
base al quale il proprietario del suolo acquista "ipso iure" al momento dell'incorporazione la propriet
della costruzione su di esso edificata e la cui operativit pu essere derogata soltanto da una specifica
pattuizione tra le parti o da una altrettanto specifica disposizione di legge, non trova deroga nella disciplina della
comunione legale tra coniugi, in quanto l'acquisto della propriet per accessione avviene a titolo originario senza

la necessit di un'apposita manifestazione di volont, mentre gli acquisti ai quali applicabile l'art. 177, comma
1, c.c. hanno carattere derivativo, essendone espressamente prevista una genesi di natura negoziale, con la
conseguenza che la costruzione realizzata in costanza di matrimonio ed in regime di comunione legale da
entrambi i coniugi sul terreno di propriet personale esclusiva di uno di essi a sua volta propriet personale ed
esclusiva di quest'ultimo in virt dei principi generali in materia di accessione, mentre al coniuge non proprietario
che abbia contribuito all'onere della costruzione spetta, ai sensi dell'art. 2033 c.c., il diritto di ripetere nei
confronti dell'altro coniuge le somme spese.
Il conduttore ha diritto all'uso dell'area adibita a parcheggio Cassazione Civile III, sentenza 19308 del
03/10/2005 Il diritto del proprietario di una unit immobiliare all'uso dell'area adibita a parcheggio, per quanto
previsto dall'articolo 41-sexies della legge urbanistica e successive modifiche (in particolare, articolo 26, c. 4, l.
47/1985), in caso di locazione deve necessariamente essere trasferito al conduttore. Pertanto, il contratto di
locazione che escluda tale trasferimento affetto da nullit parziale, determinandosi ope legis il trasferimento
medesimo.
Tubazioni di scarico - presunzione di condominialit Cass. II Sez. Civ. n. 24015 del 27/12/2004
Non sufficiente che un tubo sia installato all'interno del fabbricato condominiale, perch esso si presuma
comune, occorrendo che, di fatto, lo stesso sia destinato al comune servizio, ossia che esista il collegamento
strumentale, materiale e funzionale dell'impianto al servizio delle unit immobiliari.
Sullinquinamento acustico la parola spetta ai Comuni. Le soglie oltre le quali i rumori disturbano la quiete
pubblica possono essere stabilite di volta in volta con regolamento dellEnte locale, che pu tener conto delle
esigenze dei suoi cittadini. Questo non vuol dire, ha precisato la Cassazione, che il Comune potr disapplicare
le leggi statali. Semplicemente, rispettando la soglia minima e massima fissata con decreti ministeriali, avr la
possibilit di emanare una regolamentazione pi specifica. Nella sentenza 18953/06 della prima sezione
civile di Piazza Cavour - depositata il 1 settembre e qui integralmente leggibile tra gli allegati - si legge,
infatti, che nessun Ente pubblico locale pu disapplicare le disposizioni della legge statale introducendo, in
specie, fuori dei casi espressamente consentiti valori limite di emissioni o di immissione dei rumori diversi e
comunque inferiori rispetto a quelli risultanti dai decreti emanati. Ci non impedisce, tuttavia, ai Comuni di
adottare una pi specifica regolamentazione dellemissione e dellimmissione dei rumori nel loro territorio, la
quale, nel rispetto dei vincoli derivanti dalla legge 447/95, prenda in considerazione, non gi il dato oggettivo del
superamento di una certa soglia di rumorosit, considerato come generativo di un fenomeno di inquinamento
acustico, a prescindere dallaccertamento delleffettiva lesione del complesso di valori indicati dalla legge, ma i
concreti effetti negativi provocati dallimpiego di determinate sorgenti sonore sulle occupazioni o sul riposo delle
persone e quindi sulla tranquillit pubblica e privata. Nel caso giunto allattenzione degli ermellini, la parte
citata in giudizio il Comune di Jesolo che si era rivolto allautorit giudiziaria per far multare il proprietario di un
caff nel quale erano stati situati due mega schermi con diffusori acustici cos forti da essere percepiti anche a
settanta metri di distanza, nonostante il traffico. Dopo le continue lamentele delle abitazioni vicine il proprietario
del locale era stato multato. Per questo si era rivolto al giudice di pace, lamentando che il Comune avesse
fissato una soglia di tollerabilit troppo bassa. Invocava, in sostanza, la disapplicazione del regolamento
comunale. Ma n il giudice onorario n la Cassazione hanno ritenuto valide le sue ragioni, respingendo il ricorso
in tutte le fasi del giudizio.
IL MINISTRO DELLAMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
Vista la direttiva 2005/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 dicembre 2005, che modifica la
direttiva 2000/14/CE, sul riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti lemissione acustica
ambientale delle macchine ed attrezzature destinate a funzionare allaperto; Visto il decreto legislativo 4
settembre 2002, n. 262, recante attuazione della direttiva 2000/14/CE, concernente lemissione acustica
ambientale delle macchine ed attrezzature destinate a funzionare allaperto, e, in particolare, lart. 14 che
disciplina la procedura di modifica degli allegati allo stesso decreto;
Decreta:
Art. 1.
1. La tabella di cui allallegato I - Parte B, del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 262, e sostituita dalla
seguente:
Tabella
(1) Pel per gruppi elettrogeni di saldatura: corrente convenzionale di saldatura moltiplicata per la tensione
convenzionale a carico relativa al valore piu basso del fattore di utilizzazione del tempo indicato dal fabbricante.
(2) I valori delle fase II sono meramente indicativi per i seguenti tipi di macchine e attrezzature:
-- rulli vibranti con operatore a piedi;
-- piastre vibranti (P> 3kW);
-- vibrocostipatori;
-- apripista (muniti di cingoli dacciaio);
-- pale caricatrici (munite di cingoli dacciaio P > 55 kW);
-- carrelli elevatori con motore a combustione interna con carico a sbalzo;
-- vibrofinitrici dotate di rasiera con sistema di compattazione;
-- martelli demolitori con motore a combustione interna tenuti a mano (15 > m 30);
-- tosaerba, tagliaerba elettrici e tagliabordi elettrici(L < o = 50, L > 70).
I valori definitivi dipenderanno dalleventuale modifica della direttiva a seguito della relazione di cui allart. 20,

paragrafo 1.
Qualora la direttiva non subisse alcuna modifica, i valori della fase I si applicheranno anche nella fase II.
(3) Per le gru mobili dotate di un solo motore, i valori della fase I si applicano fino al 3 gennaio 2008. Dopo tale
data si applicano i valori della fase II.
Nei casi in cui il livello ammesso di potenza sonora e calcolato mediante formula, il valore calcolato e
arrotondato al numero intero piu vicino.
Il presente decreto sara pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Roma, 24 luglio 2006 Il
Ministro: Pecoraro Scanio
Il Consiglio di Stato torna ad affrontare il problema del condono edilizio e con loccasione - fornisce una
interessante definizione sulla tipologia di opera eseguita. E fuor di dubbio, infatti, che per poter definire un
abuso edilizio occorre preventivamente stabilire con precisione quali siano state le opere eseguite e, quindi,
inquadrarle nelle singole fattispecie previste dalla legge (ristrutturazione, manutenzione ecc.)
Secondo la quarta sezione del Consiglio di Stato (decisione del 21 agosto 2006 n. 4832 qui leggibile tra i
documenti correlati) allinterno delle opere di manutenzione straordinaria di cui al n. 7 dellelenco allegato alla
legge n. 47 del 1985, rientrano le Opere di manutenzione straordinaria, come definite dallarticolo 31, comma
1, lettera b), della L. n. 457/1978.
Tale tipologia di opera consisterebbe nella realizzazione di interventi edilizi di modesta entit diretti a sostituire
alcune parti delledificio senza alterarne i volumi e le superfici.
Le ristrutturazioni (cos come indicate dallart. 31, comma 1, let. d), della legge n. 457 del 1978) possono
contemplare anche le opere di demolizione e successiva ricostruzione del manufatto a condizione che sia
assicurata la perfetta conformit di volume, sagoma e superficie tra vecchio e nuovo fabbricato ( Cons. Stato,
Sez. IV, 7 settembre 2004, n. 5791).
In tale contesto non possono essere inquadrati gli interventi di demolizione di un manufatto e la sua fedele
ricostruzione, specie se le opere realizzate hanno comportata una differenza (anche lieve) nella sagoma (per
esempio attraverso una piccola sopraelevazione). http://www.dirittoeprogetti.it/temi/nota.asp?id=7356
La realizzazione di una piscina non implica la realizzazione di una nuova costruzione ma di una
pertinenza.
Questo, in linea di massima, il parere espressa dal Consiglio di Stato con la sentenza dell8 agosto 2006 n. 4780
( qui leggibile tra i documenti correlati ) che ha riformato la pronuncia della seconda sezione del TAR del Veneto,
del 17 gennaio 2005 n. 94 .
Seconto lorgano giudicante se la piscina viene realizzata allinterno della propriet privata allo scopo esclusivo
di essere a servizio degli abitanti, deve essere qualificata come una pertinenza dellabitazione. Sotto questo
profilo, quindi, trattandosi di pertinenza, non si tratterebbe di nuova opera ma di realizzare un bene
(pertinenziale) a servizio di quello principale.
Ovviamente qualora la piscina non fosse realizzata allo scopo di soddisfare le necessit degli utilizzatori del
bene principale ma fosse, per esempio, aperta al pubblico, verrebbe a mancare il rapporto pertinenziale.
http://www.dirittoeprogetti.it/temi/nota.asp?id=7339
Lopera che comporta un aumento nel numero delle unit immobiliari realizzate non pu essere
configurata come opera interna. A stabilirlo stata la sezione di Trento del Tribunale Regionale della
Giustizia Amministrativa della regione Trentino Alto Adige con la sentenza depositata il 12 maggio 2006 n. 160 (
qui leggibile tra i documenti correlati).
Nel caso di specie il ricorente si era visto respingere la domanda di condono in quanto le opere realizzate erano
in contrasto con la normtiva edilizia ed urbanistica vigente. Le opere che comportano laumento di unit
immobiliari, infatti, comportano un conseguente aumento del carico urbanistico sia dal punto di vista qualitativo
che quantitativo. http://www.dirittoeprogetti.it/temi/nota.asp?id=6601
Responsabilit del locatore per inadempimento del conduttore al regolamento condominiale Cass. civ.,
sez. II, 16 maggio 2006 n. 11383
Il locatore a fronte del reiterato inadempimento del conduttore al regolamento condominiale, richiamato dal
contratto di locazione, ha lo strumento giuridico per riottenere la disponibilit dellimmobile. Il non avere
attivato il suddetto strumento giuridico lo rende a sua volta inadempiente allobbligo del rispetto del regolamento
di condominio, da ci derivando la sua responsabilit nei confronti del condominio e degli altri condomini.
Delibera assembleare e spese di manutenzione dell'impianto di riscaldamento anche per le unit
immobiliari che non usufruiscono del relativo servizio Cass. civ., sez. II, 20 marzo 2006, n. 6158
E legittima, in quanto posta in essere in esecuzione di una disposizione del regolamento condominiale
contrattuale, la delibera assembleare che disponga, in deroga al criterio legale di ripartizione delle spese dettato
dall'art.1123 cod. civ., che le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria dell'impianto centrale di
riscaldamento siano a carico anche delle unit immobiliari che non usufruiscono del relativo servizio, tenuto
conto che la predetta deroga consentita, a mezzo di espressa convenzione, dalla stessa norma codicistica.
Legittimazione processuale dell'amministratore giudiziario della comunione
Cassazione , sez. II civile, sentenza 11.07.2006 n 15684 L'amministratore giudiziario di cui all'art. 1105 c.c.
non pu agire in giudizio in rappresentanza dei partecipanti contro uno dei comunisti, se tale potere non gli sia
stato attribuito nella delega di cui al comma 1 dell'art. 1106 c.c. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la

sentenza n. 15684 dell'11 luglio 2006, affermando la non applicabilit analogica della regola contenuta nel
comma 1 dell'art. 1131 c.c., la quale attribuisce all'amministratore del condominio il potere di agire in giudizio sia
contro i condomini che contro terzi.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=34751
In materia di distanze legali fra edifici, la sopraelevazione di un edificio preesistente, determinando la
modifica della volumetria del fabbricato con aumento della sagoma di ingombro, costituisce nuova costruzione,
soggetta alla disciplina sulle distanze legali in vigore al momento della sua effettuazione. Ne consegue che,
qualora tale normativa sia diversa da quella prevista per la costruzione originaria, il preveniente non potr
sopraelevare in allineamento con l'originaria costruzione, non trovando applicazione il criterio della prevenzione,
che - nel caso di costruzione sul confine impone a colui che edifica per primo di costruire in corrispondenza della
stessa linea di confine su cui ha innalzato il piano inferiore oppure a distanza non inferiore a quela legale, in
modo da non costringere il prevenuto ad elevare a sua volta un immobile a linea spezzata. (Nella specie, stata
ritenuta illegittima la costruzione di una mansarda realizzata in sopraelevazione dell'edificio preesistente a
distanza inferiore rispetto a quella prescritta dallo strumento urbanistico in vigore). Cass. civ., sez. II, 12 gennaio
2005, n. 00400
Danno alla cosa comune materiale e funzionale Cass. civ., sez. II, 10 settembre 2004, n. 18214
In tema di condominio l'art. 1122 c.c. - nel fare divieto al condomino di eseguire, nel piano o porzione di piano di
sua propriet, opere che rechino danno alle cose comuni - intende riferirsi non solo a quello materiale, incidente
fisicamente sulla cosa comune ma anche a quello funzionale, incidente cio sulle utilit che dai beni comuni
possono conseguirsi. (Nel caso di specie,la realizzazione da parte di un condomino di una struttura delimitante il
posto auto di propriet esclusiva, che rendeva impossibile l'accesso comune antistante ai singoli posti auto
limitando altres l'utilizzo della caldaia).
La Corte di Cassazione ritiene ammissibile la procedura di sfratto per morosit nei confronti del conduttore
anche nel caso di mancato pagamento dei soli oneri condominiali (cfr. Cass. 12 gennaio 2000, n. 247;
Cass. 29 ottobre 1993, n. 10776; Cass. 18 aprile 1989, n. 1835; Cass. 28 luglio 1987, n. 6535; Cass. 4 febbraio
1987, n. 1066). Tale orientamento stato fondato sia sulla equiparazione tra morosit del canone e morosit
degli oneri accessori operata dall'art. 5 l. 392/78, sia sul fatto che l'art. 55 l. 392/78 prevede la sanatoria della
morosit anche in relazione a questi ultimi.
Anche la Corte Costituzionale si occupata della questione con la pronuncia 31 marzo 1988 n. 377, con la
quale ha dichiarato infondata la questione di legittimit costituzionale dell'art. 5 l. 392/78 nella parte in cui
precluderebbe al locatore di ricorrere alla convalida di sfratto per il mancato pagamento degli oneri accessori,
in quanto la norma deve essere interpretata nel senso dell'ammissibilit della convalida.
Recentemente per parte della giurisprudenza di merito non ha condiviso tale orientamento, ritenendo non
ammissibile il procedimento speciale ex art. 658 c.p.c. in relazione al mancato pagamento dei soli oneri
accessori e senza dedurre morosit nel pagamento del canone (v. Trib Monza 11 febbraio 2003, in Giur. merito
2003, 1104).
La chiusura di un balcone soggetta a concessione TAR Campania-Napoli, sez. IV, sentenza 28.02.2006 n
2451
Sono assoggettate a concessione edilizia non le sole attivit di edificazione, ma tutte quelle consistenti nella
modificazione dello stato materiale a della conformazione del suolo per adattarlo ad un impiego diverso da
quello che gli proprio, in relazione alla sua condizione naturale ed alla sua qualificazione giuridica.
(Nella specie, la chiusura del preesistente balcone mediante apposizione di un infisso per quanto smontabile in alluminio e vetro comporta trasformazione urbanistica in ragione della sua destinazione ad uso non limitato
nel tempo e della alterazione prodotta nello stato del territorio, stante il suo rilievo ambientale e funzionale.)
E perci soggetta a concessione edilizia l'installazione di pannelli in vetro ed alluminio sul parapetto di un
balcone gi chiuso per i restanti lati dai muri perimetrali dell'edificio preesistente in quanto determina la
realizzazione di un nuovo locale autonomamente utilizzabile, l'aumento della superficie utile e la modifica della
sagoma dell'edificio stesso e, come tale, implica il previo rilascio del titolo concessorio, a nulla rilevando
leventuale precariet strutturale dellopera realizzata, in quanto non si traduca in un uso per fini contingenti e
specifici
Parcheggi sotterranei: deroga alle norme del codice civile e ai regolamenti edilizi
TARLombardia-Milano,sez.II,sentenza05.07.2006n1715
La dizione usata dal legislatore nellart 9, primo comma, della legge 24 marzo 1989 n. 122, il quale consente
ai proprietari di immobili di realizzare "nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei
fabbricati parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unit immobiliari, anche in deroga agli strumenti
urbanistici ed ai regolamenti edilizi vigenti", deve essere interpretata estensivamente, e quindi come
comprensiva anche dei box seminterrati, purch realizzati entro larea di pertinenza dellimmobile. La
possibilit di derogare agli strumenti urbanistici e ai regolamenti edilizi vigenti rende derogabili anche le norme
sulle distanze delle costruzioni dai confini di propriet, in quanto, a fronte di una disciplina speciale dettata
dalla superiore esigenza di contrastare la congestione ambientale, la disciplina delle distanze, preposta alla
salvaguardia di interessi prevalentemente privatistici di buon vicinato e di ordinato esercizio della propriet,
deve necessariamente recedere.
Comunione e condominio: apertura varco nel muro perimetrale

Cassazione , sez. II civile, sentenza 19.04.2006 n 9036 Lapertura di un varco nel muro perimetrale di un
condominio deve considerarsi illegittima quando permetta la comunicazione tra unit immobiliari attigue dello
stesso proprietario ma situate in diversi edifici condominiali. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, con la
sentenza n. 9036 depositata il 18 aprile 2006, confermando un consolidato orientamento giurisprudenziale. C
da premettere che le modificazioni di un bene condominiale per iniziativa del singolo condomino, sono lecite
nelle sole ipotesi in cui esse, oltre a non compromettere la stabilit, la sicurezza ed il decoro architettonico ed a
non alterare la destinazione del bene, non siano lesive dei diritti degli altri condomini relativi al godimento sia
delle parti comuni interessate alla modificazione, sia delle parti di loro propriet. Con riferimento alle disposizioni
del Codice civile, si pu dire che la libert del singolo condomino, nell'uso individuale della cosa comune e nella
possibilit di apportarvi modifiche, sancita dallarticolo 1102, ma circoscritta e condizionata dai limiti fissati
dagli articoli, 1120 e 1122 c.c. Gli articoli citati prevedono rispettivamente le modificazioni consentite (anche
senza approvazione assembleare), le innovazioni utili soggette ad approvazione e le opere sulla propriet
comune attuate in corrispondenza del piano (o porzione di piano) di propriet esclusiva. Tra queste ultime, sono
espressamente vietate (soltanto) quelle opere che potrebbero arrecare danno alle parti comuni delledificio. In
linea generale si pu quindi affermare che l'apertura di varchi nel muro perimetrale del condominio, da parte di
un condomino (comproprietario), legittima, quando: non influisca sulla statica del fabbricato condominiale
compromettendone la stabilit; non pregiudichi la sicurezza e il decoro architettonico dell'edificio; non alteri la
destinazione del bene; non possa dar luogo alla costituzione di una servit a favore di terzi estranei al
condominio. Nel quadro legislativo sopra delineato si colloca la notevole produzione di giurisprudenza relativa
alla questione apertura varchi nel muro comune. A parte la recentissima decisione, lesame di alcune massime
della Cassazione consente di individuare i motivi che, secondo i giudici, giustificano lapertura, in quanto la
modifica pu farsi rientrare nel cosiddetto uso consentito del muro comune, e quelli che la impediscono, per il
fatto che lapertura andrebbe a determinare un uso abnorme del bene comune. Consolidato orientamento di
legittimit quello secondo cui il principio della compropriet dell'intero muro perimetrale comune di un edificio
legittima il singolo condomino ad apportare ad esso (anche se muro maestro) tutte le modificazioni che gli
consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilit aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri
condomini (e, quindi, a procedere anche all'apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua propriet
esclusiva), a condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell'esercizio dell'uso del muro ovvero la facolt di utilizzarlo in modo e misura analoghi - e di non alterarne la normale destinazione. (Cass. civ.
Sez. II, 18-02-1998, n. 1708) La decisione del 1998 richiama la giurisprudenza precedente della stessa Corte
secondo cui, in tema di utilizzazione del muro perimetrale dell'edificio condominiale da parte del singolo
condomino, deve ritenersi consentita l'apertura praticata quando serve a mettere in collegamento locali facenti
parte di uno stesso condominio. Mentre invece costituiscono uso indebito della cosa comune, alla stregua dei
criteri indicati negli artt. 1102 e 1122 c.c., le aperture praticate dal condomino nel detto muro per mettere in
collegamento locali di sua esclusiva propriet, esistenti nell'edificio condominiale, con altro immobile estraneo al
condominio, in quanto tali aperture alterano la destinazione del muro, incidendo sulla sua funzione di recinzione,
e possono dar luogo all'acquisto di una servit (di passaggio) a carico della propriet condominiale (invita a
consultare, fra le tante, Cass., 13 gennaio 1995, n. 360; 7 marzo 1992, n. 2273; 25 ottobre 1988, n. 5780).
Infatti, l'apertura di un varco che consenta la comunicazione tra unit immobiliari attigue dello stesso proprietario
ma situate in diversi edifici condominiali costituisce uso abnorme del muro perimetraledeterminando,
inevitabilmente, la creazione di una servit a carico di fondazioni, suolo, solai e strutture del fabbricato (a
prescindere dalla creazione di una eventuale servit di passaggio a carico di un ipotetico ingresso condominiale
su via pubblica. Lesame della giurisprudenza evidenzia come la dichiarata illegittimit dellapertura di un varco
nel muro perimetrale (generalmente nella parte corrispondente alla propriet esclusiva) si ricolleghi quasi
sempre alla esigenza di evitare la costituzione di una servit a favore di estranei al condominio. A tale
consolidato indirizzo si uniforma perfettamente la recentissima sentenza della Cassazione che qui si vuole
brevemente commentare. Conformemente a quanto stabilito in precedenza, ha considerato illegittima l'apertura
di un varco praticata nel muro perimetrale dell'edificio condominiale (dal comproprietario) per mettere in
comunicazione un locale di propriet esclusiva ubicato nel medesimo fabbricato con altro immobile di propriet
dello stesso condomino, ma situato in diverso condominio (vicino ma non contiguo). Nel caso di specie la
Cassazione ha ritenuto che la possibile utilizzazione di tale apertura da parte di soggetti estranei al
condominio, avrebbe comportato la cessione (a favore di detti soggetti estranei) del godimento di un bene
comune, imponendo un peso sul muro perimetrale che ne avrebbe alterato la destinazione e comunque avrebbe
dato luogo ad una servit, per la cui costituzione sarebbe stato necessario il consenso scritto di tutti i
partecipanti al condominio. Vediamo le motivazioni di questa ultima decisione. Nel caso di specie l'apertura nel
muro condominiale non consentiva di mettere in comunicazione immediatamente le due unit immobiliari situate
in diversi condomini, essendo i due edifici condominiali separati da una area di pertinenza di propriet del
condomino, che ha dichiarato di aver ricavato una seconda apertura nel fabbricato del condominio attiguo dove
sita la sua autofficina al fine di assicurare da essa una via di fuga, cos come imposto dai Vigili del Fuoco. La
Corte d'appello ha ritenuto configurarsi luso abnorme del muro perimetrale determinando il collegamento tra tali
unit immobiliari la creazione di una servit e ci anche se, come nella specie, l'apertura nel muro condominiale
non consenta di mettere in comunicazione immediatamente le due unit immobiliari, essendo i due edifici
condominiali separati da una area di pertinenza del condomino. I giudici di merito hanno ritenuto di non poter
dare alcuna rilevanza al fatto che lapertura nel fabbricato del condominio attiguo fosse stata imposta dai Vigili
del Fuoco al fine di assicurare una via di fuga allautofficina, perch, anche in tale situazione, la ratio del divieto
di aprire il varco nel muro perimetrale si basa sulla necessit di impedire l'asservimento del muro dell'attiguo
condominio attraverso il passaggio dall'uno all'altro immobile, restando estranei al rapporto condominiale, i
motivi che hanno determinato il condomino a realizzare l'opera. Secondo quanto dedotto dal ricorrente nel

ricorso per Cassazione, lapertura praticata non poteva costituire alterazione della destinazione del muro
comune perch: A) l'area pertinenziale, di propriet esclusiva del ricorrente, non poteva essere utilizzata dagli
altri condomini, e quindi l'apertura del muro perimetrale non poteva pregiudicare i loro diritti; B) l'apertura nel
muro perimetrale non aveva creato alcuna servit a carico dei solai e delle strutture del condominio, dal
momento che era stata praticata in un punto in cui non vi era n solaio, n altra struttura idonea a determinare
una presunta servit a carico dello stesso condominio; C) l'apertura del muro perimetrale non consentiva di
accedere direttamente all'immobile di propriet del ricorrente essendo i due condomini separati dallarea
pertinenziale; D) l'installazione di una porta di sicurezza nell'apertura praticata non poteva considerarsi idonea
ad alterare la destinazione del muro perimetrale. In sostanza, con limpugnazione della decisione sfavorevole, il
condomino ha inteso far valere l'illegittimit della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 1102 c.c..
La Cassazione ha ritenuto il ricorso infondato e la decisione della Corte d'appello non meritevole di alcuna
censura essendosi uniformata al consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimit. Anche per la
Cassazione quindi l'apertura praticata dal ricorrente nel muro perimetrale dell'edificio condominiale, in
corrispondenza del proprio box, per dare accesso ad area di propriet esclusiva dello stesso ricorrente,
pertinenziale, comunque, ad altro condominio, non pu farsi rientrare nel cosiddetto uso legittimo della cosa
comune. Anche nel caso di specie, infatti, per i giudici di legittimit, lapertura altera la destinazione del muro
perimetrale dal momento che consente il passaggio, attraverso l'area di pertinenza di propriet esclusiva del
ricorrente e attraverso la seconda apertura praticata nel condominio dove si trova la sua autofficina. Si pone,
comunque, un peso sul muro perimetrale comune, cedendosi a favore di soggetti estranei al condominio
resistente (quello dove il ricorrente proprietario del box), il godimento di un bene comune e, quindi, in realt si
costituisce a suo carico una servit per ottenere la quale necessario il consenso scritto di tutti i partecipanti al
condominio. Nel respingere il ricorso, la Cassazione ha ritenuto la sussistenza di giusti motivi per dichiarare
interamente compensate fra le parti le spese del giudizio Per maggiore completezza del discorso sulla questione
inerente la legittimit o meno dellapertura di varchi nel muro perimetrale condominiale, si pu aggiungere che
deve considerarsi illegittima anche lapertura che metta in comunicazione la propriet esclusiva di un condomino
con la pubblica strada. Con una interessante decisione dello scorso anno la stessa sezione della Cassazione ha
ravvisato perfino gli estremi dello spoglio nell'apertura di un varco praticato dal condomino nel muro di cinta
dell'edificio per mettere in comunicazione la propriet esclusiva con la pubblica strada, giacch la modificazione
dei luoghi, sottraendo il muro alla destinazione di recinzione e protezione dell'edificio,impediva agli altri
condomini di ricavarne l'utilit inerente alla funzione della cosa comune. Cass. civ. Sez. II, 05-08-2005, n.
16496. I giudici hanno deciso per la sussistenza dello spoglio considerando che nel condominio degli edifici le
parti comuni formano oggetto, a favore di tutti i condomini, di un compossesso pro indiviso il quale si esercita
diversamente a seconda che le cose siano oggettivamente utili alle singole unit immobiliari cui siano collegate
materialmente o per destinazione funzionale (suolo, fondazioni, muri maestri, oggettivamente utili per la statica)
oppure siano soggettivamente utili nel senso che la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o
porzioni di piano dipende dall'attivit dei rispettivi proprietari (portone, anditi, scale, ascensore ecc); nel primo
caso l'esercizio del possesso consiste nel beneficio che il piano o la porzione di piano (e, per traslato, il
proprietario) trae da tali utilit, nel secondo caso si risolve nell'espletamento della predetta attivit da parte del
proprietario. Quindi, il godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini assurge ad oggetto di tutela
possessoria quando uno di loro abbia alterato e violato, senza il consenso degli altri condomini ed in loro
pregiudizio, lo stato di fatto o la destinazione della cosa oggetto del comune possesso, in modo da impedire o da
restringere il godimento spettante a ciascun compossessore pro indiviso sulla cosa medesima (Cass. 26
gennaio 2000 n. 855, Cass. 11 marzo 1993 n. 2947, Cass. 21 luglio 1988 n. 4733, Cass. 18 luglio 1984 n.
4195). Risulta del tutto evidente, per i giudici di legittimit, il fatto che lapertura di un varco nel muro di cinta
dell'edificio condominiale per mettere in comunicazione la propriet esclusiva con la strada pubblica, sottraendo
la cosa comune alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini, legittima di
conseguenza gli altri condomini all'esperimento dell'azione di reintegrazione per conseguire la riduzione della
cosa al pristino stato in modo che essa possa continuare a fornire quella utilitas alla quale era asservita
anteriormente alla contestata modificazione, senza che sia necessaria la specifica prova del possesso di detta
parte quando risulti che essa consista in una porzione immobiliare in cui l'edificio si articola (Cass. 13 luglio 1993
n. 7691). Diversa situazione si prospetta quando lapertura del varco nel muro comune serva a mettere in
comunicazione una propriet esclusiva con parti comuni delledificio condominiale. Alcune massime possono
aiutare a chiarire la diversa situazione ed a capire i motivi che, in tal caso, legittimano lapertura . In tema di
condominio di edifici l'apertura di un varco su un muro comune che metta in comunicazione il terreno di
propriet esclusiva di un singolo condomino con quello comune non da luogo alla costituzione di una servit
(che richiederebbe il consenso di tutti i condomini) quando il terreno comune viene gi usato come passaggio
pedonale e carrabile, sempre che l'opera realizzata non pregiudichi l'eguale godimento della cosa comune da
parte degli altri condomini, vertendosi in una ipotesi di uso della cosa comune a vantaggio della cosa propria che
rientra nei poteri di godimento inerenti al dominio. (Cass. civ. Sez. II, 11-08-1999, n. 8591) L'apertura di varchi
e l'installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell'edificio condominiale eseguiti
da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all'unit immobiliare di sua propriet esclusiva, di massima,
non integrano abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per
costoro una qualche impossibilit di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell'art. 1102, comma 1, c.c., e
rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non gi alla necessit di ovviare ad
una interclusione dell'unit immobiliare al cui servizio il detto accesso stato creato, ma all'intento di conseguire
una pi comoda fruizione di tale unit immobiliare da parte del suo proprietario. (Cass. civ. Sez. II, 29-04-1994,
n. 4155) Il condominio di un edificio, essendo comproprietario dell'intero muro perimetrale comune e non della
sola parte di esso corrispondente alla sua esclusiva propriet, pu apportare a tale muro, senza bisogno del

consenso degli altri partecipanti alla comunione, tutte le modifiche che consentono di trarre dal bene comune
una particolare utilit aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini e, quindi, procedere anche
all'apertura nel muro di un varco di accesso dal cortile condominiale ai locali di propriet esclusiva, purch non
impedisca agli altri condomini di continuare nell'esercizio dell'uso del muro o di ampliarlo in modo e misura
analoghi e non alteri la normale destinazione del muro medesimo. (Cass. civ., 04-03-1983, n. 1637).
http://www.altalex.com/index.php?idnot=34775
Ponteggi: contenuti minimi del Piano di montaggio, uso e smontaggio
Circolare Ministero Lavoro e previdenza sociale 13.09.2006 n 25 Emanate le nuove norme in materia di
redazione del Piano di montaggio, uso e smontaggio dei ponteggi (il cosiddetto Pi.M.U.S.) secondo quanto
previsto dal D.Lgs. 626/94 in materia di sicurezza sul lavoro.Secondo la circolare del Ministero del Lavoro e della
previdenza sociale, predisposta con l'obiettivo dichiarato di innalzare il "livello di sicurezza durante lesecuzione
di lavori temporanei in quota con limpiego di ponteggi", il Pi.M.U.S. dovr includere in particolare:
dati identificativi del luogo di lavoro;
identificazione del datore di lavoro che proceder alle operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o
smontaggio del ponteggio;

identificazione della squadra di lavoratori, compreso il preposto, addetti alle operazioni di montaggio e/o
trasformazione e/o smontaggio del ponteggio;

identificazione del ponteggio;

disegno esecutivo del ponteggio;

progetto del ponteggio, quando previsto;

indicazioni generali per le operazioni di montaggio e/o trasformazione e/o smontaggio del ponteggio
(planimetrie, attrezzature adoperate, misure di sicurezza da adottare, ecc.)

Locazione - Obbligazioni del locatore - Obblighi accessori La responsabilit del locatore per infrazioni, da
parte del conduttore, al regolamento condominiale, legittimamente pu essere fondata sulla mera qualit di
locatore del primo, in quanto, con il fatto stesso di assumere tale qualit riguardo ad un locale facente parte del
condominio, esso locatore viene a trovarsi in una posizione di ingerenza nell'organizzazione condominiale, e ad
esercitare di fatto poteri corrispondenti all'esercizio dei diritti condominiali, con correlativo onere, da parte sua, di
controllo sull'operato del conduttore in funzione del rispetto delle norme proprie di quell'organizzazione. Cass.
civ., sez. II, 17 luglio 1973, n. 2093,
QUALE FORMA PER L'AVVISO DI CONVOCAZIONE DELLA ASSEMBLEA DEL CONDOMINIO? CORTE
DI APPELLO DI LECCE Sez. dist. Taranto., 27 agosto 2004, n. 288. - Per la regolarit delle convocazioni'per le
assemblee condominiali la comunicazione pu essere data con qualsiasi forma idonea al raggiungimento dello
scopo, e pu essere provata da univoci elementi, anche di carattere presuntivo, che il condomino ha, in
concreto, ricevuto la notizia della-comunicazione. (Fattispecie di avviso effettuato tramite affissione di volantino
in prossimit del locale box di pertinenza del condomino, dallo stesso abitualmente utilizzato). (C.c., art. 1136)
(1): http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=84
LAVORI STRAORDINARI E POTERI DELLA ASSEMBLEA DEL CONDOMINIO TRIBUNALE DI PISTOIA Sez. dist. Monsummano Terme, 10 marzo 2002 Ci premesso, altrettanto evidente come il contenuto
potenzialmente pregiudizievole della delibera, denunciato dall'attore in relazione al godimento delle parti
dell'ediricio in sua propriet esclusiva, non possa essere valutato in assenza della preventiva determinazione
delle opere da eseIluire, cos come, mancando tale determinazione, neppure possibile accertare se ed in
quale misura i lavori in questione diano luogo a semplice modifica ovvero ad innovazione della cosa comune;
con la conseguenza che. la delibera impugnata deve ritenersi affetta da nullit per indeterminatezza dell'o,,getto,
non sanabile per effetto (le] richiamo integrativo alla volont dell'amrninistratore, a sua volta vietato in quanto
sottrae di fatto all'assemblea la decisione sulla realizzazione di opere incidenti direttamente sulle parti comuni e,
indirettamente, sull'utilizzo delle porzioni in propriet esclusiva, al contempo privando il condonino
eventualmente dissenziente (dalle modalit operative concretamente scelte) di esercitare nella sede deputata i
mezzi di tutela approntati dall'ordinamcnto, o comunque ritardando indebitamente la facolt di esercitare quei
rimedi (al pi, la delega dei poteri dell'assemblea potrebbe essere ipotizzata a se,,uito di deliberazione
all'unanimit, e non certo a maggioranza, come nel caso in esame; sul divieto di delega delle competenze
dell'assemblea in materia di scelte di gestione ed opere indeterminate, si vedano Trib. Napoli 30 ottobre 1990 e
14 luglio 1987, edite).Il duplice profilo di nullit ravvisato conduce pertanto ad affermare la invalidit della
delibera impugnata nella parte in cui prevede, all'esito della verifica circa l'esistenza del diritto di passo in favore
del Bonelli, la installazione di paletti o barriere per delimitare la propriet comune da quella gravata da servit di
passo, ed autorizza implicitamente l'amministratore ad intraprendere i lavori, previo consulto con il condomino P.
Nei limiti indicati, la domanda pu dunque essere accolta; sussistono peraltro giusti motivi per disporre la
compensazione tra le parti delle spese di lite. (Omissis).
http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=23

DISCIPLINA DEL SUPERCONDOMINIO O CONDOMINIO COMPLESSO TRIBUNALE DI FIRENZE - Sez.


stralcio, 8 ottobre 2001, n. 3113. Est. Serena - Storace Nuti c. Barbieri ed altri ed altri. - Sez. stralcio, 8 ottobre
2001, n. 3113. Est. Serena - Storace Nuti c. Barbieri ed altri ed altri. Sez. stralcio, 8 ottobre 2001, n. 3113. Est.
Serena - Storace Nuti c. Barbieri ed altri ed altri. Parti comuni dell'edificio condominiale - Edifici contigui e
autonomi - C.d. condominio complesso - Disciplina applicabile - Disciplina condominiale- Sussiste. Anche in
presenza di pi edifici attigui strutturalmente autonomi, alla comunione di beni loro appartenenti deve applicarsi
la disciplina dettata per il condominio. (C.c., art. 1117) (1).
Le considerazioni che precedono conducono ad
una sola conclusione: gli opponenti alla delibera assembleare e i resistenti alla domanda di formazione giudiziale
dei millesimi devono considerarsi facenti parte del condominio in epigrafe, sia pure ai limitati, e parziali, effetti
relativi ai beni c servizi comuni come sopra individuati.
Dev'essere, pertanto, rigettata l'opposizione alla delibera del 26 aprile 1984 e dev'essere accolta la domanda
proposta dalla condomina attrice (Ada Storace Nuti), con l'adozione, in assenza di specifiche contestazioni, delle
tabelle esposte nell'ultimo elaborato del geom. Giulio Billi, in data 11 marzo 1999. Considerato l'esito del
giudizio, gli opponenti resistenti Tiziano Barbieri e Lucia, Mario e Francesco Ceneetti, credi di Irene Tacconi
Cencetti, ed i resistenti Sergio Martinucci e Maria Maggiorato devono sopportare il carico delle spese legali nei
confronti del condominio convenuto, nonch nei confronti dell'attrice e degli intervenuti in adesione alla domanda
dalla stessa avanzata con citazione introduttiva del primo giudizio. A1 contrario, le spese delle due consulenze
tecniche del geom. Billi possono porsi, definitivamente, a carico di tutte le parti secondo le rispettive quote.
http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=19
MOLESTIE ALL'INQUILINO NEL CONDOMINIO E RESPONSABILITA' CORTE DI CASSAZIONE Sez. 111,
20 agosto 2003, n: 12220. - CORTE DI CASSAZIONE Sez. 111, 20 agosto 2003, n: 12220. Pres. Fiduccia - Est.
Durante - P.M. Consolo (conf.) - Cond. Piazza Emanuele Filiberto 4 in Torino (avv.ti Menghini e Bruyere) c. Soc.
Bar Nando (avv. Buccarelli). Obbligazioni dei locatore - Garanzia per molestie - Infiltrazioni d'acqua nell'immobile
oggetto di locazione - Diritto del conduttore al risarcimento del danno nei confronti del tqrzo - Sussistenza.
CORTE DI CASSAZIONE Sez. 111, 20 agosto 2003, n: 12220. Pres. Fiduccia - Est. Durante - P.M. Consolo
(conf.) - Cond. Piazza Emanuele Filiberto 4 in Torino (avv.ti Menghini e Bruyere) c. Soc. Bar Nando (avv.
Buccarelli). Obbligazioni dei locatore - Garanzia per molestie - Infiltrazioni d'acqua nell'immobile oggetto di
locazione - Diritto del conduttore al risarcimento del danno nei confronti del tqrzo - Sussistenza. Si deve
riconoscere in capo al conduttore il diritto alla tutela risarcitoria nei,confronti del terzo che con il proprio
comportamento gli arrechi danno nell'uso o nel godimento della res locata; in particolare, qualora a carico
dell'appartamento locato si verifichi una infiltrazione d'acqua da un appartamento sovrastante, il conduttore, ex
art. 1585, secondo comma,, c.c., gode di un'autonoma legittimazione per proporre l'azione di responsabilit nei
confronti dell'autore del danno. (C.c., art. 1170; c.c., art. 1585) (1). (1) Nel senso che l'invasione con acqua di un
immobile locato per infiltrazione del soprastante appartamento dello stesso edificio, realizza una molestia di fatto
per la quale l'art 1585, comma 2, conferisce al conduttore una legittimazione autonoma a proporre. l'azione di
responsabili t nei confronti dell'autore del danno, v, Cass. 20 dicembre 1990, n. 12089, in Giust. ciu Mass:
1990, 2065 e Cass. 6 novembre 1982, n. 5859; ivi 1982, fasc. 10-11.
http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=30
CONDOMINIO E SOPRAELEVAZIONE CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 21 novembre 2003, n. 7539. CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 21 novembre 2003, n. 7539. Pres. Frascione - Est. Fra - Comune di Pieve di
Emanuele (avv.ti Antonini e Romanelli) c. Immobiliare Friza (aw.ti Bassani e Scoca). Edilizia e urbanistica Licenza e concessione edilizia - Rilascio - In caso di sopraelevazione di edificio condominiale - In favore dei
proprietari esclusivi dei lastrici solari - Legittimit - Ragioni. CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 21 novembre
2003, n. 7539. Pres. Frascione - Est. Fra - Comune di Pieve di Emanuele (avv.ti Antonini e Romanelli) c.
Immobiliare Friza (aw.ti Bassani e Scoca). Edilizia e urbanistica - Licenza e concessione edilizia - Rilascio - In
caso di sopraelevazione di edificio condominiale - In favore dei proprietari esclusivi dei lastrici solari - Legittimit
- Ragioni. Con riferimento ad un condominio edilizio, i prprietari in via esclusiva dei lastrici solari - i quali
possono sfruttare le residue capacit costruttive dell'immobile - hanno la facolt di chiedere la concessione
edilizia per realizzare una sopraelevazione che sfrutti nuovi e pi elevati indici di edificabilit, conseguenti alla
modificazione delle prescrizioni urbanistiche relative all'area considerata, indipendentemente dal consenso degli
altri condomini ch a tale facolt avevano rinunziato all'atto dell'acquisto dei singoli appartamenti. (C.c., art.
1127) (1). (1) Nel senso che il diritto di sopraelevare nuovi piani o nuove fabbriche spetta al proprietario
esclusivo del lastrico solare o dell'ultimo piano di un edificio condominiale ai sensi e con le limitazioni previste
dall'art. 1126 c.c., senza necessit di alcun ticonoscimento da parte degli altri condomini, mentre limiti o divieti
all'esercizio di tale diritto, assimilabili ad una servit altius non tollendi, possono esser costituiti soltanto con
espressa pattuizione, che pu esser contenuta anche nel regolamento condominiale, di tipo contrattuale, v.
Cass. 6 dicembre 2000, n. 15504, in Giust. ciu Mass. 2000, 2556.
http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=29
Contratto di locazione - Validit ed efficacia - Immobile abusivamente costruito su bene demaniale Disciplina privatistica.La validit ed efficacia inter partes di un contratto di locazione di immobile, nonch il suo
assoggettamento alla ordinaria disciplina civilistica, non restano esclusi dalla circostanza che il bene sia stato
abusivamente realizzato dal locatore su terreno demaniale (atteso, tra l'altro, che i beni demaniali possono, in
quanto tali, formare del tutto legittimamente oggetto di rapporti obbligatori tra privati) e non sia idoneo,
conseguentemente, a formare oggetto di propriet in capo al locatore medesimo, trattandosi di circostanza

rilevante solo al (diverso) fine dell'eventuale responsabilit dell'autore dell'opera verso la PA., nonch della
facolt di quest'ultima -non pregiudicata dal contratto di locazione - di avvalersi dei propri poteri a tutela del
demanio. Cass. civ., sez. III, 22 marzo 2004, n..5672, Cottone c. Mondello lmm. Italo Belga. (C.c., art. 822; c.c.,
art. 823; c.c., art. 1571; c.p.c., art. 658). [RV571373]
Contributi e spese condominiali - Criteri di ripartizione - Deroga convenzionale - Esonero totale o
parziale. L'art. 1123 c.c., nel consentire la deroga convenzionale ai criteri di ripartizione legale delle spese
condominiali, non pone alcun limite alle parti, con la conseguenza che deve ritenersi legittima non solo una
convenzione che ripartisca le spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che
preveda l'esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall'obbligo di partecipare alle spese medesime.
In tale ultima ipotesi, ove una clausola del regolamento di condominio stabilisca per una determinata categoria di
condomini l'esenzione dal concorso in qualsiasi tipo di spesa (comprese quelle di conservazione) in ordine ad
una determinata cosa comune, essa comporta il superamento nei riguardi di detta categoria di condomini della
presunzione di compropriet su detta parte del fabbricato. Cass. civ., sez. II, 25 marzo 2004, n. 5975,
Majocco e altro c. Cond. di via Assarotti 11 Torino. (C.c., art. 1123; c.c., art. 1138; c.c., art. 1117). RV571537]
Disdetta - Erronea indicazione della data di cessazione del rapporto - Irrilevanza - Conseguenze
processuali. In tema di locazione, il giudice, ove accerti che, per erronea indicazione ovvero per avvenuta
rinnovazione del contratto, l'effettiva data di scadenza dello stesso sia posteriore a quella indicata nell'atto di
intimazione di licenza per finita locazione o di sfratto, pu dichiarare la cessazione del contratto per una data
successiva, senza, per questo, incorrere nel vizio di extra o ultra petizione. Cass, civ., sez. III, 26 aprile 2004,
n. 7927, Kuwait Petroleum Italia spa c. Monte Grappa sr1. (L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 29; c.p.c., art. 657).
[RV572339]
Disdetta - Funzione - Disdetta intimata per un periodo di scadenza anteriore - Validit. In tema di
locazione d immobili ad uso diverso da quello abitativo, ed in relazione alle finalit perseguite dall'art. 29 della
legge 392/1978, l'eventuale nullit della disdetta per mancata specificazione dei motivi (nullit assoluta, che pu
essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse in ogni stato e grado del giudizio) rende inidoneo l'atto de quo
a produrre gli effetti suoi propri per la prima scadenza contrattuale, ma non gli impedisce di valere per la
scadenza successiva come espressione di volont contraria alla rinnovazione della locazione. Cass. civ., sez.
III, 26 aprile 2004, n. 7927, Kuwait Petroleum Italia spa c. Monte Grappa srl. (C.c., art. 1596; c.c., art. ]597; L. 27
luglio 1978, n. 392, art. 29). [RV5723381
Edilizia popolare ed economica - Assegnazione - Decadenza, revoca, annullamento - Acquisto di
immobile. L'art. 25 della legge della Regione Friuli-Venezia Giulia 30 maggio 1988, n. 37, che sostituisce
l'originario testo dell'art. 61, comma primo, lettera a), della legge regionale 1 settembre 1982, n. 75, prevedendo
la revoca dell'assegnazione dell'alloggio dell'edilizia residenziale pubblica anche quando un componente del
nucleo familiare dell'assegnatario divenga proprietario di un nuovo appartamento adeguato alle esigenze
familiari, non applicabile rispetto ad acquisti avvenuti anteriormente alla data della sua entrata in vigore.
Cass. civ., sez. I, 2 aprile 2004, n. 6503, Carcich c. ATER Provincia di Trieste. (L.R. Friuli-Venezia Giulia l
settembre 1982, n. 75, art. 61; L.R. Friuli-Venezia Giulia 30 maggio 1988, n. 37, art. 25). [RV5717571
Edilizia popolare ed economica - Cessione in propriet - Domanda dell'assegnatario conduttore Accettazone. 11 In tema di trasferimento in propriet di alloggi dell'edilizia residenziale pubblica, pu ritenersi
intervenuta l'accettazione della domanda di cessione dell'assegnatario conduttore - con conseguente definitivit
ed incontestabilit del diritto dell'assegnazione stesso di conseguire la cessione mediante stipulazione d
apposito contratto di compravendita - solo quando sia pervenuto a conclusione il procedimento amministrativo
con essa introdotto e l'ente assegnante abbia comunicato all'avente diritto l'accettazione medesima e la
determinazione del prezzo di cessione, senza che siano, a tal fine, sufficienti un mero invito al riscatto non
accompagnato da siffatta comunicazione e la determinabilit del prezzo in base ai criteri previsti dalla legge, e
meno che mai una generica informativa in merito alle condizioni di quest'ultima richiesta per l'utile esercizio del
diritto, assolutamente inidonea ad assumere valore ed efficacia di un riconoscimento dello stesso. Cass. civ.,
sez. I, 8 aprile 2004, n. 6936, De Vigili ed altri c. Prov. Bolzano ed altro. (L. 8 agosto 1977, n. 513, art. 27; I. 5
agosto 1978, n. 457, art. 52). [RV571978]
Edilizia popolare ed economica - Contratto preliminare di vendita - Alloggio di edilizia convenzionata Prezzo di cessione. O In tema di edilizia convenzionata, poich il sistema d determinazione del prezzo di
cessione degli alloggi ha la finalit di facilitare l'acquisto della casa alle categorie pi disagiate di cittadini, il
divieto di pattuire prezzi superiori al limite massimo determinabile in base ai criteri legali (con conseguente nullit
dei contratti conclusi in violazione di tali criteri), non implica - in assenza di alcuna espressa previsione
legislativa che limiti l'autonomia privata - il divieto per le parti di stabilire prezzi in misura inferiore a quelli
massimi consentiti. Cass. civ., sez. II, 28 aprile 2004, n. 8138, Putignano c. Tinelli. (C.c., art. 1321; c.c., art.
1322; 1. 22 ottobre 1971, n. 865). [RVS72414]
Canone - Oneri condominiali - Domanda del locatore - Contestazione del conduttore. In tema di locazione
di immobili urbani, qualora il conduttore, convenuto in giudizio per il mancato pagamento di oneri condominiali,
contesti che il locatore abbia effettivamente sopportato le spese di cui chiede il rimborso o ne abbia effettuato
una corretta ripartizione, incombe al locatore stesso, ai sensi dell'art.-2697 c.c., dare l prova dei fatti costitutivi

del proprio diritto, i quali non si esauriscono nell'aver indirizzato la richiesta prevista dall'art. 9 della legge n. 392
del 1978, necessaria per la costituzione in mora del conduttore c per la decorrenza del bimestre ai fini della
risoluzione, ma comprendono anche l'esistenza, l'ammontare e i epteri di ripartizione del rimborso richiesto.
Cass. civ., sez. III, 1 aprile 2004, n. 6403, Perna c. Inail. (L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 9; c.c., art. 2697; c.p.c.,
art. 210). [RVS717171
Competenza civile - Competenza per valore - Determinazione - Controversia tra un condomino e il
condominio. In tema di competenza del giudice per valore, nella controversia promossa da un condomino che
agisca nei confronti del condominio per sentir dichiarare l'inesistenza del suo obbligo personale di pagare la
quota a suo carico della spesa deliberata ed approvata in via generale e per tutti i condomini dell'assemblea,
sull'assunto dell'invalidit della deliberazione assembleare sulla quale fondata la pretesa del condominio nei
suoi confronti (e non gi dell'insussistenza, per qualsiasi titolo, della propria personale obbligazione), la
contestazione deve intendersi estesa necessariamente all'invalidit dell'intero rapporto implicato dalla delibera, il
cui valore , quindi, quello da prendere in considerazione ai fini della determinazione della competenza, atteso
che il thema decidendum non riguarda l'obbligo del singolo condomino bens l'intera spesa oggetto della
deliberazione, la cui validit non pu essere riscontrata solo in via incidentale. * Cass. civ., sez. II, s aprile 2004,
n. 6617, Cicinelli Cirianni c. Cond. Via Valiero 12 Roma. (C.c., art. 1123; c.c., art. 1124). [RVS71 s2o]
Compropriet indivisa - Uso della cosa comune - Limitazioni - Valutazione. Le limitazioni poste dall'art. 1
102 c.c. al diritto di ciascun partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune, rappresentate dal divieto
di alterare la destinazione della cosa stessa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il
loro diritto, vanno riguardate in concreto, cio con riferimento alla effettiva utilizzazione che il condomino intende
farne e alle modalit di tale utilizzazione, essendo, in ogni caso, vietato al singolo condomino di attrarre la cosa
comune o una parte di essa nell'orbita della propria disponibilit esclusiva e di sottrarla in tal modo alla
possibilit di godimento degli altri condomini. (In applicazione di tale principio, la Corte ha confermato la
sentenza di merito che aveva considerato lesivo del diritto di compropriet l'opera di escavazione di cm. 40,
eseguita dalla proprietaria del piano terreno, in profondit del sottosuolo, per ingrandire il suo locale). Cass.
civ., sez. II, 28 aprile 2004, n. 8119, Polli e. Cond. via Garibaldi 3 Settala. (C.c., art. 1102). [RV572405]
Contratti in genere - Requisiti (elementi del contratto) - Accordo delle parti - Conclusione del contratto.
Colui che, non essendo n condomino n amministratore dei condominio, inviti un prestatore d'opera ad
eseguire alcuni lavori (nella specie: di pitturazione) in uno stabile condominiale, vuoi che rivesta la qualit di
rappresentante senza potere vuoi che assuma quella del nuncius, in ambedue i casi, non diventa titolare del
rapporto contrattuale con il suddetto prestatore d'opera. Infatti, il rappresentante senza potere non risponde nei
confronti dell'altro contraente a titolo contrattuale ma solo a titolo di responsabilit per danni; c il nuncius,
agendo come mero strumento di trasmissione della dichiarazione altrui, privo di qualsiasi potere di
rappresentanza. Cass. civ., sez. II, 6 aprile 2004, n. 6721, Cavalieri D'Oro c. Michetti. (C.c., art 1130; c.c., art.
1131). [RV571862]
Contratti in genere - Scioglimento del contratto - Risoluzione per inadempimento - Importanza
dell'inadempimento. In tema di contratto di locazione, ai fini dell'emissione della richiesta pronunzia costitutiva
di risoluzione del contratto per morosit il giudice deve valutare la gravit dell'inadempimento del conduttore
anche alla stregua del suo comportamento successivo alla proposizione della domanda. (Nella specie, la S.C.
ha confermato la sentenza di merito che non aveva ritenuto sufficientemente grave l'inadempimento, atteso che
in udienza il conduttore aveva offerto il pagamento dell'unico canone rispetto al quale era in mora e delle,spese).
Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2004, n. 6518, Di Giorgio c. Marino. (C.c., art. 1453-; c.c., art. 1455; c.c., art. 1571;
c.c., art. 1591). [RV5717761
Contratto di locazione - Durata - Clausole derogative della durata minima legale - Nullit. In tema di
locazione, la nullit della clausola che limita la durata di un contratto soggetto alle disposizioni dell'art. 27, L.
392/ 1978, ad un tempo inferiore al termine minimo stabilito dalla legge determina l'automatica eterontegrazione
del contratto, ai sensi del secondo comma dell'art. 1419 c.c., con conseguente applicazione della durata legale
prevista dal quarto comma del citato art. 27, risultando irrilevante l'avere le parti convenuto che l'invalidit anche
di una sola clausola contrattuale comporti il venir meno dell'intero negozio. , viceversa, consentito alle parti
convenire una locazione per periodi pi lunghi di quello minimo previsto dalla legge, in quanto l'art. 27 considera
inderogabile la (sola) durata minima senza porre limiti a quella massima, che rimane pertanto ancorata alla
generale disposizione di cui all'art. 1573, secondo la quale sono consentite le locazioni sino a trent'anni. Cass.
civ., sez. IlI, 26 aprile 2004, n. 7927, Kuwait Petroleum Italia spa c. Monte Grappa srl. (C.c., art. 1419; c.c., art.
1573; L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 27; L. 27 luglio 1978, n. 392, art. 79). [RV572337]
Contratto di locazione - Durata - Inferiore al quadriennio - Disciplina applicabile.In materia di locazioni di
immobili aduso abitativo, la mera indicazione di una durata inferiore al quadriennio, senza che risulti altrimenti
esplicitata l'esigenza abitativa da soddisfare, non di per s idonea a far ricadere il contratto tra le locazioni per
esigenze abitative transitorie determinate da motivi di studio e di lavoro, n tra quelle per esigenze abitative non
stabili e primarie, rimanendo invece essa assoggettata alla disciplina di cui al Capo primo del Titolo primo della
legge n. 392 del 1978 (c.d. dell'equo canone). Cass. civ., sez. 111, IS marzo 2004, n. 5233, Boccato c. Cimitan.
(L. 271uglio 1978, n. 392, art. 1; L. 9 dicembre 1998, n. 431, art. 14). [RVS71138]

Giurisdizione civile - Giurisdizione ordinaria o amministrativa - Giurisdizione del giudice amministrativo Revoca di atto di compravendita di terreni. Spetta al giudice amministrativo la competenza, giurisdizionale a
conoscere delle controversie insorte tra la P.A. (nella specie, ('Azienda speciale per la zona industriale di
Trapani) e il privato in tema di revoca (disposta ex arti. 22 della legge regionale siciliana n. 30 del 1953 e 23
della legge regionale siciliana n. 1 del 1984) di un atto di compravendita di terreni - stipulato affinch il privato
stesso procedesse alla realizzazione di un insediamento di manufatti industriali entro il termine di due anni
-disposta qualora, dopo la tempestiva realizzazione delle strutture produttive e l'avviamento delle relative attivit,
il privato medesimo abbia dapprima conferito all'opificio diversa destinazione industriale, cessandola poi del tutto
e concedendo i manufatti in locazione. La revoca rientra, difatti, in tale fattispecie, nella sfera di autotutela e dei
poteri autoritativi di controllo riservati alla P.A., dinanzi ai quali la posizione del privato acquirente non pu che
assumere consistenza di interesse legittimo. Cass. civ., sez. un., 12 marzo 2004, n. 5178, Avicola Aurora snc c.
Cons. Area Sviluppo Industriale Trapani. (L.R. Sicilia 21 aprile 1953, n. 30, art. 22; L.R. Sicilia 4 gennaio 1984,
n. 1, art. 23). [RV571117]
Nell'alterazione del decoro architettonico dell'edificio in condominio, vietata dall'art. 1120 c.c., il pregiudizio
economico normalmente insito in quello estetico accertato, senza necessit di una espressa motivazione sotto
tale profilo tutte le volte in cui non sia stato espressamente eccepito e provato che la modifica ha anche arrecato
un vantaggio economicamente valutabile. Cass. civ., sez. II, 24 marzo 2004, n. 5899, D'Agostino c. Cond. Via
Nazionale 243-245 Roma ed altri. (C.c., art. ]120). [RV571495]
Matrimonio - Separazione dei coniugi - Assegno di mantenimento - Determinazione. In sede di
separazione personale dei coniugi, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento a favore del figlio
minore, legittimo tenere conto delle esigenze economiche che l'affidamento comporta per il coniuge affidatario,
e in particolare anche della voce di spesa costituita dall'importo del canone necessario per la locazione della
casa di abitazione. N assume rilievo il fatto che il coniuge affidatario utilizzi a tal fine un appartamento di
propriet del proprio fratello, non potendo il coniuge tenuto a versare 1'assegno di mantenimento giovarsi di
eventuali condizioni di favore esistenti fra il coniuge afSdatario ed il fratello di quest'ultimo, anche tenuto conto
della precariet di tale eventuale rapporto favorevole, privo, com', di tutela giuridica. Cass. civ., sez. I, 26 marzo
2004, n. 6074, Fassari c. Romanu. (C.c., art. 155; c.c., art. 147; c.c., art. 148). [RV571573] Parti comuni dell'edificio condominiale - Ascensore - Spese di manutenzione e di ricostruzione Assimilazione. Innovazioni - Ascensore - Adeguamento alla normativa CEE - Finalit.Gli interventi di
adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE, essendo diretti al conseguimento d obiettivi di sicurezza della
vita umana e incolumit delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti e terzi, attengono all'aspetto
funzionale dello stesso, ancorch riguardino l'esecuzione di opere nuove, l'aggiunta di nuovi dispositivi,
l'introduzione di nuovi elementi strutturali. (In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato la sentenza d
merito che - con una motivazione carente - aveva considerato le spese per l'adeguamento dell'ascensore come
spese di ricostruzione, senza spiegare quale fosse, e in che cosa consistesse, l'elemento strutturale e costruttivo
nuovo). Cass. civ., sez. II, 25 marzo 2004, n. 5975, Majocco e altro c. Cond. di via Assarotti 11 Torino. (C.c., art.
1123; c.c., art. 1124). [RV571538]
In base all'art. 1124 c.c., le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e, quindi, dell'ascensore,
sono assimilate e assoggettate alla stessa disciplina, senza alcuna distinzione tra le unee le altre, sicch
la clausola di regolamento condominiale che esoneri una determinata categoria di condomini dal pagamento
delle spese di manutenzione (ordinaria e straordinaria), ove sia intesa dal giudice nel senso di modificare anche
detta assimilazione legale, distinguendo.le varie spese, richiede una motivazione adeguata: (Fattispecie relativa
a regolamento condominiale che, in deroga alla disciplina di cui agli artt. 1123-1125 c_c,, prevedeva l'esenzione
da tali spese per una categoria di condomini). Cass. civ., sez. II, 25 marzo 2004, n. 5975, Majocco e altro c.
Cond. di via Assarotti 11 Torino. (C.c., art. 1117; c.c., art. 1124). [RV571539]
Innovazioni - Pregiudizio alla statica o all'estetica - Alterazione del decoro architettonico - Nozione.In
tema di innovazioni nel condominio degli edifici, l'alterazione del decoro architettonico pu derivare anche dalla
modifica dell'originario aspetto di singoli elementi o di singole parti dell'edificio che abbiano una sostanziale e
formale autonomia o siano comunque suscettibili per s di considerazione autonoma. (Enunciando il principio di
cui in massima, la S.C. ha cassato la decisione del giudice del merito, la quale aveva invece escluso la
possibilit di considerare l'atrio dell'edificio come un elemento dotato, in se, di autonomo valore estetico e
qualificante del pregio - architettonico dell'edificio). Cass. civ., sez. II, 24 marzo 2004, n. 5899, D'Agostino c.
Cond. Via Nazionale 243-245 Roma e altri. (C.c., art. 1120). [RV 571494]
Innovazioni - Pregiudizio alla statica o all'estetica - Alterazione del decoro architettonico - Pregiudizio
economico. [n tema di condominio di edifici la regola posta dall'ari. 1124 c.c. relativa alla ripartizione delle
spese di manutenzione e ricostruzione delle scale (per met in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di
piano, per l'altra met in misura proporzionale alla altezza di ciascun piano dal suolo) applicabile per analogi,
ricorrendo l'identica ratio, alle spese relative alla manutenzione e ricostruzione dell'ascensore gi esistente.
Nell'ipotesi, invece, d'installazione ex novo dell'impianto dell'ascensore trova applicazione la disciplina dell'art.
1123 c.c. relativa alla ripartizione delle spese per le innovazioni deliberate dalla maggioranza (proporzionalit al
valore della-propriet di ciascun condomino). Cass. civ., sez. II, 25 marzo 2004, n. 5975, Majocco e altro c.
Cond. di via Assarott 11 Torino. (C.c., art. 1123; c.c., art. 1124). [RV571536]

DEBITO IN BANCA DA PARTE DI AMMINISTRATORE INFEDELE: IL CONDOMINIO NON PAGA Sentenza


del Tribunale di Firenze del 6 agosto 2004 - DEBITO IN BANCA DA PARTE DI AMMINISTRATORE INFEDELE:
IL CONDOMINIO NON PAGA Il *******, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla Cassa
di Risparmio in via subordinata, deve essere condannato al pagamento, in via risarcitoria della somma pari
allequivalente di lire 44.721.854 oltre agli interessi dalla chiusura dei conto dell' 1.7.2000 al saldo. La modifica
della domanda riconvenzionale proposta dal ******nei confronti del Condominio - dichiarata inammissibile comporta implicita rinuncia della precedente domanda riconvenzionale fondata su diverso titolo. Essa, tesa a
farsi rilevare indenne dal Condominio in caso di accoglimento della domanda riconvenzionale della Cassa di
risparmio, sarebbe peraltro non accoglibile. Essa, infatti, si basa su di un unico motivo e cio sull'assunta ratifica
del proprio operato da parte del Condominio, circostanza che del tutto sguarnita di prova, proprio con
riferimento alla stipulazione del contratto di apertura di credito.
In ordine alle spese legali va applicato il principio di soccombenza in relazione alle singole domande proposte
reciprocamente dalle parti; tuttavia tra l'attore e la convenuta Cassa di Risparmio, ricorrono giusti motivi per la
loro totale compensazione, avuto riguardo alla rilevanza della questione in diritto affrontata ed all'accertamento
in capo ad entrambe dette parti di una condotta improntata a buona fede.
A rimborsare le spese processuali a favore del Condominio va condannato perci soltanto il ********, da
condannare altres al rimborso di quelle a favore della Cassa di Risparmio. Dette spese si liquidano per la parte
attrice, secondo notula di avvocato, in complessivi euro 4.201,81 oltre IVA e CAP {euro 2.400,00 per onorari,
euro 1113,38 per diritti, euro 220,09 per spese, euro 361,34 per spese generali (10%); ed in favore della parte
convenuta Cassa di Risparmio, in complessivi curo 2.973,67 oltre IVA e CAP;curo 1.500,00 per onorai, euro
1.012,47 per diritti, curo 209,95 per spese., oltre spese generali (10%).
Il Tribunale, definitivamente pronunciando nella presente causa tra le pari in epigrafe indicate, ogni diversa ed
ulteriore istanza, eccezione e deduzione disattesa cos decide:
- in accoglimento della domanda principale attrice dichiara privo di efficacia nei confronti del Condominio di V.le
Calatafimi n. 42 in Firenze in persona del suo amministratore pro tempore, il contratto di apertura di credito
stipulato in conto corrente n. 20848/00 al medesimo intestato e acceso presso la Cassa di Risparmio di Firenze Agenzia 25 e dichiara nei suoi confronti inesistente il relativo debito derivante da saldo negativo;
- rigetta. la domanda riconvenzionale proposta dalla convenuta Cassa di Risparmio di Firenze spa in persona
del suo procuratore speciale nei confronti della parte attrice, ed in accoglimento della domanda riconvenzionale
proposta in via subordinata, condanna il convenuto *********a risarcire il danno derivante dalla indebita
stipulazione del contratto sopra menzionato in assenza di poteri, con pagamento della somma di curo 23.096,91
oltre interessi dall' 1.7.2000 al saldo;
- - dichiara inammissibile la domanda riconvenzionale proposta da *******nei confronti della parte attrice;
- compensa interamente le spese di lite tra la parte attrice Condominio e la convenuta Cassa di Risparmio di
Firenze spa
- condanna *******in solido a rimborsare alla parte attrice le spese di lite liquidate in complessivi curo 4.201,81
oltre IVA e CAP;
- condanna Biasilli Paolo a rimborsare a Cassa di Risparmio di Firenze spa le spese di lite liquidate in
complessivi euro 2.973,67 oltre IVA e CAP. Firenze, 6 agosto 2004
http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=37
IL CONDOMINIO PUO' VIETARE LA COSTRUZIONE DI UNA TERRAZZA "A TASCA"
Corte d'Appello di Firenze, Sezione I, 4 novembre 2005, n. 1591 - La trasformazione in terrazzo di parte del tetto
di copertura di un edificio condominiale ad opera di un condomino e l'annessione del terrazzo alla sua propriet
esclusiva, mediante creazione di un accesso diretto per uso a lui solo riservato, illegittima.
http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=92
Furto in appartamento condominiale utilizzando il ponteggio edile: responsabilit dell'impresa
Corte di Cassazione Civile, Sez. III, 11 febbraio 2005, n. 2844 - Furto in appartamento condominiale utilizzando
il ponteggio edile: responsabilit dell'impresa Queste le conclusioni della sentenza n. 2844/05 che,
uniformandosi al pregresso orientamento giurisprudenziale (Cass. 5840/91 e Cass. 5775/98), con riguardo al
danno derivante per il furto consumato da persone introdottesi in un appartamento avvalendosi dei ponteggi
installati per i lavori di riattazione dello stabile, afferma la responsabilit ex art. 2043 c.c. dell'imprenditore che
per tali lavori si avvale dei ponteggi ove, trascurando le pi elementari norme di diligenza e di perizia e cos la
doverosa adozione di cautele idonee ad impedire l'uso anomalo delle dette impalcature e violando il principio,
pertanto, del "neminem laedere", abbia colposamente creato un agevole accesso ai ladri ponendo in essere le
condizioni per il verificarsi del danno.
Responsabilit, quindi, extracontrattuale dell'impresa per la mancata adozione di idonee precauzioni tali da
interrompere il legame solidale tra i responsabili dell'evento dannoso.
La modificazione di una parte condominiale ad opera di un condomino, non consentita
Corte di Appello di Firenze, Sezione I, 24 gennaio 2005, n. 154 - La modificazione di una parte comune e della
sua destinazione, ad opera di taluno dei condomini, pu sottrarre la cosa al compossesso di tutti i condomini, e
legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione per il ripristino dello stato precedente.
http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=66
L'APPOSIZIONE DI UNA INSEGNA NON COSTITUISCE ABUSO DELLA PARETE PERIMETRALE
CONDOMINIALE CORTE DI APPELLO DI FIRENZE ' Sez. II, 2 marzo 2005, n. 449. - Parti comuni dell'edificio

condominiale - Muri - Perimetrali - Conduttore d locale ad uso commerciale - Apposizione di insegna


pubblicitaria - Assenza di ostacoli nel regolamento condominiale. e nel contratto di affitto - Abuso della cosa
comune - Configurabilit - Esclusione a condizione che vengano rispettati i limiti posti dall'art. 1102 C.C.
http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=85
UNANIMITA' DEI CONDOMINI PER L'INSTALLAZIONE SUL TETTO DI UNA ANTENNA PER TELEFONIA
CELLULARE? Corte dAppello di Firenze, Sezione I, ottobre 2005, n. 1470 - Corte dAppello di Firenze,
Sezione I, ottobre 2005, n. 1470 La delibera dellassemblea di condomino con la quale si consente linstallazione
di un'antenna per telefonia cellulare sul lastrico solare, costituisce un diritto reale di superficie su una parte
comune delledificio che richede il consenso di tutti i condomini
http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=87
Condominio negli edifici: facolt di sopraelevare e nullit della transazione non unanime
CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE SECONDA CIVILE - SENTENZA 24-02-2006, n. 4258 - La facolt di
sopraelevare concessa dall'art. 1127 c.c., comma 1, al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio condominiale,
ove l'ultimo piano appartenga, pro diviso a pi proprietari, spetta a ciascuno di essi nei limiti della propria
porzione di piano con utilizzazione dellospazio aereo sovrastante a ciascuna porzione e nel rispetto dei limiti di
cui all'art. 1127 c.c., comma 2 e 3. La Corte di Cassazione ha inoltre stabilito che la transazione avente ad
oggetto i beni comuni un negozio dispositivo, e pertanto per essere validamente conclusa dallamministratore
richiede il consenso di tutti i condomini http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=98
E consentito al conduttore di apporre insegne atte a pubblicizzare la sua attivit commerciale svolta nel
locale affittato nei muri perimetrali dell'edificio in condominio,
Corte di Appello di Firenze, Sezione II, marzo 2005, n. 449 - E lecita lapposizione, da parte del conduttore, di
insegne atte a pubblicizzare la sua attivit commerciale svolta nel locale locatogli, sui muri perimetrali di edifici in
condominio, anche nelle parti del muro che non corrispondono alle propriet esclusive del singolo condomino.
http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=70
L'assemblea condominiale non ha il potere di imposizione unilaterale di obbligazioni ai singoli
condomini TRIBUNALE DI MILANO Sez. VIII, 13 settembre 2005, n. 10020 - L'assemblea non ha il potere di
rener eobbligato, con l'efficacia vincolante propria della deliberazione assembleare, il singolo condomino una
determinata spesa pretesemente individuale, non potendosi ravvisare il potere autoritrativo dell'ente collettivo
rispetto alla posizione del normale creditore. (C.c., art. 1123)
http://www.confediliziafirenze.it/sentenze_visualizza.php?id=102
Condominio: sulle obbligazioni pro quota decide il giudice del luogo dell'immobile
Cassazione , SS.UU. civili, sentenza 18.09.2006 n 20076 Qualunque controversia possa insorgere nellambito
condominiale per ragioni afferenti al condominio, quandanche veda contrapposto un singolo partecipante a tutti
gli altri, ciascuno dei quali singolarmente rappresentato dallamministratore, sempre una controversia tra
condomini la cui cognizione ratione loci spetta esclusivamente e senza alternative, in forza dell'art. 23 c.p.c., al
giudice del luogo dove si trovano i beni comuni o la maggior parte di essi. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione,
con la sentenza n. 20076 del 18 settembre 2006, respingendo l'orientamento giurisprudenziale secondo cui la
sfera di applicazione dell'art. art. 23 c.p.c. era limitata alle liti tra singoli condomini attinenti ai rapporti giuridici
derivanti dalla propriet delle parti comuni delledificio o dalluso e godimento delle stesse, con esclusione di
quelle attinenti ai diritti di obbligazione e, in particolare, alla riscossione dei contributi condominiali necessari alla
gestione. http://www.altalex.com/index.php?idnot=34904
Il suolo su cui sorge ledificio condominiale la superficie su cui insiste immediatamente la parte infima
dello stabile Cass Sez. II n. 5085 del 9 marzo 2006 Il principio sancito dall'art. 840 del c.c., secondo cui la
propriet del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ci che vi si contiene, e il proprietario pu fare qualsiasi
escavazione od opera che non rechi danno al vicino, non applicabile nei condomini, poich il suolo su cui
sorge il condominio, infatti, oggetto di propriet comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piani.
Il sedime del fabbricato costituisce, dunque, il limite ultimo delle propriet individuali, le quali non si espandono
usque ad infera, neppure se sono ubicate nel piano pi basso, o in una sua porzione.
Lamministratore pu resistere in giudizio senza necessit di autorizzazione dellassemblea
Cassazione, Sez. II Civ., 10 marzo 2006 n. 5265 Il potere di rappresentanza giudiziale del condominio, che lart.
1131 c.c., comma 2 conferisce allamministratore relativamente alle azioni concernenti le parti comuni, implica
necessariamente non solo la facolt di resistere in giudizio ma anche quella di proporre tutte le impugnazioni, ivi
compreso il ricorso per Cassazione, avverso le decisioni sfavorevoli, senza necessit di apposita autorizzazione
dellassemblea.
Legittimazione dell'amministratore per azioni reali nei confronti dei terzi Cass. Sez. II n. 24764 del 24
novembre 2005 Le azioni reali nei confronti dei terzi a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni
dell'edificio poich tendono a statuizioni relative alla titolarit ed al contenuto dei diritti medesimi, esulando
dall'ambito degli atti meramente conservativi, non possono essere proposte dall'amministratore in
rappresentanza del condominio.

Esenzione dalla costituzione - definizione di cortile Cass. n. 18662 del 16/9/2004


In tema di servit, ai fini dellesenzione dalla costituzione del passaggio coattivo stabilita dallultimo comma
dellart. 1051 cod. civ., deve qualificarsi cortile uno spazio scoperto, generalmente recintato, posto a disimpegno
esclusivo di una o pi case e, quando non recintato, avendo riguardo alla sua concreta destinazione desumibile
dallo stato dei luoghi.
Comunicazione al locatore della dichiarazione di recesso Cass., Sez. III, 29 marzo 2006, n. 7241
Nonostante il silenzio sul punto dell'art. 27, ultimo comma, L. n. 392/78, ai fini del valido ed efficace esercizio del
diritto protestativo di recesso del conduttore, l'indicazione dei gravi motivi deve essere comunicata al locatore,
con lettera raccomandata (o con altra modalit equivalente), contemporaneamente alla relativa dichiarazione di
recesso.
Non punibile il condomino che nel corso di un'assemblea riferisca di aver visto un'altro condomino
danneggiare un' auto parcheggiata Corte di Cassazione Penale, Sez, V, 31 maggio 2006 n. 19148 Ai
sensi dell'art. 595, commi 1 e 2, c.p., non risponde per il delitto di diffamazione, il condomino che nel corso di
un'assemblea condominiale riporta di fatto costituente reato posto in essere da altro condomino, sorpreso,
mediante utilizzo di una chiave, a danneggiare deliberatamente un'auto in sosta davanti al passo carraio
condominiale.
Volevo segnalare la sentenza della Sezione Lavoro del Tribunale di Cosenza 1187/06, che ammette data la
coll.coor cont, i crediti dell'amministratore tra i crediti del lavoro, la competenza per i n/s onorari ora del G.L.
Responsabilit - scarico fognario privo di autorizzazione Cass. civ., sez. II, 23 marzo 2006, n. 6567 Va
ritenuto esente da responsabilit in relazione all'illecito previsto del D.L. n. 79 del 1995, l'amministratore di un
condominio in cui risulti in funzione uno scarico fognario privo di autorizzazione, che abbia provveduto a
convocare tempestivamente l'assemblea per le determinazioni del caso, senza poi adottare alcuna misura
diretta a vietare ai condomini stessi di usufruire dell'impianto fognario.
Opposizione tardiva a drecreto ingiuntivo - tempestiva consegna dellatto allufficiale giudiziario
Cassazione , SS.UU. civili, sentenza 04.05.2006 n 10216 Nella modifica della opposizione a decreto
ingiuntivo, la tempestiva consegna dellatto allufficiale giudiziario perfeziona la notifica per lopponente, evitando
al medesimo anche leffetto di decadenza, dal rimedio oppositorio, nellipotesi di non tempestivo o mancato
completamento della procedura notificatoria per la fase sottratta al suo potere dimpulso. Con la conseguenza, in
tale ultimo caso, che in potere della parte di rinnovare la notifica con il modulo, e nel termine, della opposizione
tardiva di cui allarticolo 650 Cpc.
Reato di ingiuria per l'Amministratore che d del "maleducato" Cass. Pen. V Sez., 21/03/2006 n. 9799
Pronunciare delle espressioni di indubbio contenuto ingiurioso tipo sei un maleducato, non avete educazione
potrebbe integrare fattispecie di reato e, pi in particolare reato di ingiuria.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, pur dichiarando estinto per intervenuta prescrizione il reato di ingiuria
per il quale era stato condannato lamministratore di un condominio che, intervenuto in una lite tra due
condomini, aveva appunto definito 'maleducato' un ragazzo che aveva imbastito una lite con un condomino
''anziano e non in buona salute'', invitandolo ad un comportamento pi rispettoso ha confermato il carattere
ingiurioso dellespressione incriminata.
Secondo la Suprema Corte, infatti, "non vi era ragione, nella specie, di porre in dubbio l'esistenza di tale
elemento, costituito unicamente dalla coscienza e volont di pronunciare all'indirizzo altrui espressioni di cui si
conosca l'oggettiva portata offensiva".
Rimborso delle spese anticipate dall'amministratore Cass. civ. sez. II, 30 marzo 2006, n. 7498 La
funzione di amministratore di condominio assimilabile alla gestione di un mandato con rappresentanza con la
conseguente applicabilit, nei rapporti tra l'amministratore e i singoli condomini, dell'art. 1720 c.c. secondo cui il
mandante deve, fra l'altro, pagare al mandatario il compenso che gli spetta,
In tema di recupero delle somme anticipate, l'amministratore deve offrire la prova degli esborsi effettuati, mentre
i condomini (mandanti) sono tenuti a rimborsargli le spese anticipate, con gli interessi legali dal giorno in cui
sono state fatte, ed a pagargli il compenso oltre al risarcimento dell'eventuale danno.
TAR Veneto - Sez. II - 18 settembre 2003 n. 4856
Considerato che il ricorso in epigrafe pu trovare accoglimento in considerazione della natura pertinenziale del
manufatto (tettoia in legno aperta su tutti lati, composta da sei paletti di ferro e da una copertura
assemblata con listelli di legno: cfr., ex multis, la sentenza n. 577 dd. 6 settembre 1993, resa da questa
stessa Sezione in relazione ad una costruzione assimilabile nella tipologia) e della conseguente fondatezza della
censura con la quale si deduce lillegittimit dellingiunzione a demolire adottata a sensi dellart. 92 della L.R. 27
giugno 1985 n. 61.
Rimane, peraltro, ferma lesigenza per lAmministrazione Comunale di valutare la sussistenza dei presupposti
per leventuale irrogazione della sanzione pecuniaria di cui allart. 94 della medesima L.R. 61 del 1985.
Ritenuto di poter compensare integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio;
P.Q.M.
il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, seconda sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso

in premessa, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, lo accoglie e, per leffetto, annulla il provvedimento
impugnato, salvi e riservati restando gli ulteriori provvedimenti di competenza dellAmministrazione intimata.
Compensa integralmente tra le parti le spese e gli onorari del giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dallAutorit amministrativa.
Cos deciso in Venezia, nella Camera di Consiglio del 18 settembre 2003.
Nulle le delibere condominiali che incidono su beni di propriet esclusiva dei condomini
Cassazione civile Sentenza, Sez. II, 31/10/2005, n. 21199
Non possono essere oggetto di deliberazioni impositive di spese (e dunque di relativa ripartizione) da
parte dell'assemblea del condominio gli interventi di manutenzione relativi ai balconi, da considerarsi
beni di propriet esclusiva, in quanto costituenti appendici o prolungamenti delle unit immobiliari cui
accedono e non assolventi, normalmente a funzioni strutturali riferibili all'edificio condominiale, salvo che
per i rivestimenti esterni e le parti decorative frontali (che inserendosi nel prospetto
dell'edificio contribuiscono all'estetica complessiva dello stesso).
Sono nulle - e pertanto sottratte ai termini di impugnativa di cui all'art. 1137, terzo comma per i casi di
semplice annullabilit - le delibere condominiali che incidono sui diritti individuali sulle cose; la
dichiarazione di impugnabilit, senza limiti di tempo, dell'atto presupposto inficiato da nullit si
estende anche all'atto che ne costituisce esecuzione e che da quello dipende.
E Nulla (e non meramente annullabile) la deliberazione condominiale di assegnazione nominativa ed
esclusiva di posti-auto se non approvata all'unanimit da tutti i condomini (CASS. CIV., SEZ. II, 22.01.2004,
N. 1004. In particolare la Cassazione ha motivato la decisione sul presupposto che lassegnazione nominativa
ed esclusiva delluso sul bene comune mette il condomino nella condizione di esercitare il possesso pieno sul
bene medesimo senza necessit di interversio possessionis vedasi art. 1102, 2 comma, c.c. con relativa
decorrenza del termine per lusucapione del bene; incidenza sulla sfera dei diritti reali dei condomini)
Correttamente il Tribunale ha inquadrato la fattispecie nell'art. 1120 c.c., 2 c. configurando l'assegnazione dei
posti di parcheggio in via esclusiva e nominativa una innovazione vietata in quanto sottrae all'utilizzo di quei
condomini che non posseggono la seconda macchina, una parte rilevante della cosa comune; ed inoltre, con
l'attribuzione dell'uso delle aree in via esclusiva e nominativa crea i presupposti di fatto per l'acquisto della
propriet di quelle aree per usucapione, non occorrendo per il compossessore, qual il condomino che usa,
animo domini la parte di cosa comune a lui assegnata in via esclusiva, alcuna interversio possessionis, essendo
sufficiente che egli escluda gli altri condomini dal possesso di quell'area, il che automaticamente avviene con
l'occupazione dell'area, a parcheggio della sola autovettura di sua propriet, impedendo agli altri condomini di
utilizzare allo stesso modo, con la propria auto quell'area. Venendo ad incidere sulla sfera dei diritti reali dei
condomini, correttamente il Tribunale ha ritenuto necessaria l'adesione di tutti i condomini per assegnare, in via
esclusiva e nominativa ai condomini, posti di parcheggio nell'area cortile-giardino di propriet comune.
... difettando nei rapporti tra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso le condizioni per l'operativit del
principio dell'apparenza del diritto, che volto essenzialmente all'esigenza di tutela dei terzi in buona fede, fra i
quali non possono considerarsi i condomini; d'altra parte, non in contrasto, ma anzi in armonia con tale
principio, la norma del regolamento condominiale che, imponendo ai condomini di comunicare
all'amministratore i trasferimenti degli immobili di propriet esclusiva, ha lo scopo di consentire la corretta
convocazione dei soggetti legittimati a partecipare all'assemblea condominiale. Cass. civ., Sez. II, 09/02/2005,
n.2616
Responsabilit dellappaltatore per rovina di edificio
Cassazione , sez. I civile, sentenza 12.04.2006 n 8520
La Corte di Cassazione ha ribadito che lart. 1669 c.c. da intendersi come norma speciale c.c rispetto alla
disposizione contenuta nellart. 2043 c.c., risultando la seconda applicabile qualora la prima non lo sia in
concreto.
Quindi, oltre all`azione di responsabilit dell`appaltatore per vizi e difetti costruttivi prevista dall`art. 1669 del
codice civile, che ha durata decennale e quindi limitata, potr essere sempre invocata, ricorrendone i
presupposti, la norma generale di risarcimento danni di cui all`art. 2043 .
Le installazione per i cablaggi nelle parti comuni
Trib. civ. Roma, sez. VII ord., 11 giugno 2004
In tema di impianti di reti di comunicazione elettronica, il collegamento di terzi estranei al condominio, in assenza
di autorizzazione, integra gli estremi di una molestia al possesso esercitato dal condominio sulle sue cose,
attuata dall'iniziativa della societ resistente che, mediante il collegamento, ha limitato il pieno e legittimo
possesso del ricorrente.
Condominio: la ripartizione delle spese per il rifacimento del tetto
Il tetto viene definito come l'insieme delle opere destinate a preservare l'interno
dell'edificio dagli agenti atmosferici, nella sua parte superiore. Il solaio ed il sottotetto,
non adempiendo ad alcuna funzione di copertura non vanno ricompresi tra le parti
comuni.
Il codice civile all'articolo 1117 annovera il tetto tra le parti comuni dell'edificio, la cui
propriet indivisa spetta pro-quota ai singoli condomini.
L'articolo 1123 del codice civile in materia di ripartizione delle spese tra condomini
stabilisce la regola generale secondo la quale "le spese necessarie per la

conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei
servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, sono
sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della propriet di ciascuno
salvo diversa convenzione".
Il comma secondo del suddetto articolo prevede unimportante deroga al principio della
ripartizione delle spese in relazione al valore della propriet. Esso infatti sancisce che:
"se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono
ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno pu farne."
Dall'enunciato comma si desume che, nel caso in cui il tetto copra l'intero edificio, le
spese di manutenzione devono essere sostenute da tutti i condomini in base ai
millesimi di propriet. Se per le spese riguardano un tetto che, per la conformazione
dello stabile, copre solo una parte dell'edificio o parti di edificio in misura differente, le
stesse devono essere ripartite solo tra i condomini proprietari delle unit immobiliari
coperte dal tetto.
Lo stesso dicasi nell'ipotesi in cui il tetto copra in misura differente diverse abitazioni.
In questo caso le spese andranno ripartite in proporzione alla superficie coperta dal
tetto oggetto di rifacimento.
L'espressione "in misura diversa" contenuta al secondo comma dell'articolo 1123, si
riferisce alla possibilit che uso e godimento del bene, siano diversi per i singoli
condomini, a prescindere dall'entit delle quote, a causa di circostanze evidenti in base
alla struttura del bene ed alla destinazione di esso, quale risulta dallo stato dei luoghi
La succitata disposizione da considerarsi norma speciale rispetto al principio
generale sancito dall'articolo 1110 del codici civile, in base al quale le spese debbono
gravare su tutti i partecipanti in proporzione al valore delle quote di ciascuno di essi.
L'articolo 1123 prende in considerazione una realt complessa, come quella del
condominio, che per struttura e problematiche diverge notevolmente rispetto a quella
pi semplice della comunione. Tale norma speciale ispirata ad una esigenza di
disciplina che meglio si adatta alle specifiche caratteristiche del condominio negli
edifici, ove le parti comuni hanno una precisa funzione strumentale rispetto alle parti in
propriet esclusiva dei singoli condomini, delle quali esse sono a servizio.
La ratio del secondo comma dell'articolo 1123 del codice civile, deve essere ravvisata
nell'opportunit di stabilire un criterio di ripartizione fondato sull'utilit che il bene
apporta a favore dei singoli condomini, sul presupposto che tale utilit pu senza
dubbio divergere da condomino a condomino.
La regola generale di ripartizione delle spese ai sensi degli articoli 1117 e 1123 1
comma del codice civile, applicabile "solo se la cosa comune in relazione alla sua
consistenza e alla sua funzione sia destinata a servire ugualmente ed
indiscriminatamente le diverse propriet" (Cass. Civ. sez II, 23.12.1992 n. 13655).
Cos la Corte di Cassazione in sentenza n. 7077 del 22.06.1995: "In tema di
condominio di edifici il principio di proporzionalit tra le spese ed uso di cui al secondo
comma dell'articolo 1123 del codice civile, secondo cui le spese per la conservazione
ed il godimento delle parti comuni dell'edificio sono ripartite, qualora si tratti di cose
destinate a servire i condomini in misura diversa, in proporzione dell'uso che ciascuno
pu farne, esclude che le spese relative alla cosa che in nessun modo, per ragioni
strutturali o attinenti alla sua destinazione, pu servire ad uno o pi condomini possano
essere poste anche a carico di quest'ultimi". Lo stesso principio ribadito dalla
giurisprudenza di legittimit nelle sentenze n. 6359/1996 e n. 5458/1986 della Corte di
Cassazione.
Il criterio applicabile pertanto, quello della proporzionalit tra spese ed uso o ancor
pi esattamente tra spese ed utilit arrecata.
E' evidente che per estensione analogica, cos come i condomini che non traggono
utilit dall'intervento non debbono sostenere alcuna spesa, cos ove essi traggano
unutilit minore rispetto ad altri condomini, debbono si partecipare alla ripartizione
delle spese, ma in misura minore, in termini di percentuale.
Una ripartizione che non tenga in considerazione la differenza in termini di superficie
tra le varie abitazioni, lederebbe ingiustamente i diritti degli abitanti di quegli
appartamenti, che per esiguit di superficie o per parzialit di copertura si vedrebbero
costretti a contribuire alle spese nella stessa misura di chi trae dalla copertura unutilit
maggiore.
Il sistema di ripartizione delle spese come previsto dal secondo comma dell'articolo
1123 c.c., sarebbe derogabile esclusivamente attraverso una convenzione sottoscritta
da tutti i condomini o da una deliberazione presa dagli stessi in sede assembleare con
l'unanimit dei consensi dei partecipanti al condominio (in tal senso Cass. Civ. n. 6231
del 04.06.1993). Una delibera derogante alle disposizioni di cui al secondo comma
dell'articolo 1123 c.c., adottata non con decisione unanime dei condomini, venendo
direttamente ad incidere sui diritti individuali del singolo condomino, sarebbe inefficace
nei confronti del condomino dissenziente o assente, per nullit radicale deducibile
senza limitazioni di tempo e non meramente annullabile su impugnazione da proporsi

entro 30 giorni, ai sensi dell'articolo 1137 codice civile. Infatti in materia di delibere
relative alla ripartizione di spese tra condomini, le attribuzioni dell'assemblea, ai sensi
dell'articolo 1135 comma secondo del codice civile, sono circoscritte alla verificazione
ed applicazione in concreto dei criteri fissati dalla legge e non comprendono il potere di
introdurre deroghe ai criteri medesimi (Cass. Civ. n. 12375 del 19.11.1992).
Per ci che concerne i soggetti obbligati a sostenere seppure in misura diversa le
spese per il rifacimento del tetto, nulla questio, sulla esclusione dalla contribuzione dei
condomini che non traggono dal rifacimento alcuna utilit. Ci in ossequio al 3 comma
dell'articolo 1123 il quale espressamente sancisce che: "qualora un edificio abbia pi
scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero
fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di
condomini che ne trae utilit".
E' altres vero che, nel caso previsto dal terzo comma dell'articolo 1123 i condomini
che non traggono alcuna utilit dall'opera (perch ad esempio abitanti negli
appartamenti le cui scale di accesso non sono oggetto di rifacimento), non debbono
partecipare alla delibera relativa a tale spesa.
A parere di chi scrive, gli interventi da effettuarsi sul tetto, non costituiscono di regola
innovazioni e pertanto non sono applicabili gli articoli 1121 e 1122 del codice civile. E
fondamentale alluopo fornire una definizione di innovazione. Il codice civile non
fornisce una definizione di innovazione, ma questa pu essere ricavata da pronunce
della Giurisprudenza di legittimit. Costituisce innovazione, qualsiasi opera nuova che
alteri, in tutto o in parte , nella materia o nella forma, ovvero nella destinazione di fatto
o di diritto, la cosa comune, eccedendo il limite della conservazione, dellordinaria
amministrazione e del godimento della cosa e che importi una modifica materiale della
forma e della sostanza della cosa medesima, con leffetto di migliorarne o peggiorarne
il godimento, o comunque alterarne la destinazione originaria, con conseguente
incidenza sullinteresse di tutti i condomini, i quali debbono essere liberi di valutare la
convenienza dellinnovazione. Al contrario non costituiscono innovazioni, tutti gli atti
di maggiore o pi intensa utilizzazione della cosa comune, che non importino
alterazioni o modificazione della stessa e non precludano agli altri partecipanti la
possibilit di utilizzare la cosa facendone lo stesso maggiore uso del condomino che
abbia attuato la modifica. Di tutta evidenza dunque che le innovazioni sono opere di
trasformazione tali da alterare loriginaria destinazione del bene e tali da incidere in
modo rilevante sullinteresse di tutti i condomini. Avv. Matteo Santini
(studiolegalesantini@hotmail.com)
Riferimenti Giurisprudenziali
9) 1) Cass. Civ. Sez. II, 19.06.2000 n. 8292
10) 2) Cass. Civ., Sez II, 22.06.1995, n. 7077
11) 3) Cass. Civ., Sez II, 13.07.1996, n. 6359
12) 4) Cass. Civ., Sez II, 23.12.1992, n. 13655
13) 5) Cass. Civ., Sez II, 19.11.1992, n. 12375
14) 6) Cass. Civ., Sez II, 04.06.1993, n. 6231
15) 7) Cass. Civ., Sez II, 08.09.1986, n. 5458
16) 8) Cass. Civ., Sez II, 26.01.2000, n. 855
17) 9) Cass. Civ., Sez II, 25.03.2004, n. 5975
Riferimenti Normativi
1) Articolo 1117 codice civile (R.D. 16.03.1942, n. 262)
2) Articolo 1121 codice civile (R.D. 16.03.1942, n. 262)
3) Articolo 1123 codice civile (R.D. 16.03.1942, n. 262)
4) Articolo 1125 codice civile (R.D. 16.03.1942, n. 262)
5) Articolo 1135 codice civile (R.D. 16.03.1942, n. 262)
Risarcibile chi non dorme per il cane che abbaia (Cassazione 26107/2006)
Chi non riesce a dormire a causa dellabbaiare ininterrotto dei cani ha diritto ad un risarcimento. Lo ha stabilito la
Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione, che hanno accordato un risarcimento di mille euro ad un
signore di Catania che, certificati medici alla mano, aveva dimostrato che il continuo abbaiare, anche di notte,
dei due cani del vicino, avevano impedito il suo riposo. La Suprema Corte ha in proposito sottolineato che il
ridotto ambito delle molestie non esclude la sussistenza del reato potendo esso ravvisarsi anche nel caso in cui
rimanga leso linteresse di una persona singola, considerato che, oltretutto, labbaiare di cani, specialmente di
notte, un fatto potenzialmente idoneo a disturbare il riposo o loccupazione delle persone che risiedono nelle
vicinanze della fonte del rumore. http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=47378&idCat=75
La Corte di cassazione , con la sentenza 7679 del 13 aprile 2005 ha condannato la nuova proprietaria di un
appartamento per non aver controllato la regolarit del contatore. I nuovi inquilini, proprietari o affittuari
dovranno verificare che il contatore della luce non sia stato manomesso. Nel caso di manomissione, il nuovo
inquilino, oltre a dover restituire gli importi non pagati per il minor consumo, potrebbero rispondere anche dei
danni subiti dallEnel.

Opere di adeguamento della condotta fognaria di un supercondominio


Trib. civ. Savona, 27 maggio 2004, n. 655
In tema di supercondominio dotato di un impianto fognario comune, laddove si rendano necessarie opere di
adeguamento della condotta fognaria, a causa del trabocco nella condotta delle acque bianche di uno degli
edifici condominiali, al fine di non incorrere nei divieti previsti dalla normativa in vigore, la determinazione
esclusiva del condominio a conservare la condotta fognaria esistente, non pu comportare l'obbligo per gli altri
condomini di partecipare alle spese relative alla manutenzione.
Ripartizione provvisoria dei contributi in mancanza di tabelle millesimali
Cass. civ., sez. II, 22 aprile 2005, n. 8505
In assenza di tabelle millesimali, l'assemblea ha il potere di deliberare a maggioranza una ripartizione
provvisoria dei contributi a titolo di acconto e salvo conguaglio.
Concessione edilizia e compropriet del fondo tra parenti
Consiglio di Stato , sez. VI, decisione 10.10.2006 n 6017 La relazione di parentela che lega i comproprietari di
un fondo elemento da cui la P.A. pu presumere legittimamente l'esistenza di un pactum fiduciae, nel caso
in cui alcuni dei comproprietari presentino istanza per ottenere la concessione edilizia. Nel caso de quo, il
ricorrente aveva impugnato in primo grado il provvedimento con il quale il Sindaco aveva rilasciato la
concessione edilizia, relativa alla costruzione di un capannone ad uso deposito con annessa palazzina
residenziale, ai fratelli del ricorrente stesso in relazione ad un loro progetto di edificazione, presentato
nellambito di unarea ricadente nelle previsioni di un piano di lottizzazione residenziale artigianale, allinterno
della quale i fratelli erano originariamente proprietari di un lotto, gi oggetto con altri beni di un giudizio
promosso dal ricorrente davanti al Tribunale di Monza. Il Tribunale aveva disposto lo scioglimento della
comunione con approvazione del progetto divisionale ed assegnazione di un terzo del lotto in questione
allappellante e due terzi dello stesso lotto ai controinteressati. Le censure, prospettate in prime cure e
riprospettate in appello, si muovono lungo una linea argomentativa che deduce la violazione e falsa applicazione
dellart. 4. della legge n. 10 del 1977, rilevando la necessit della prestazione del consenso da parte del
ricorrente nel procedimento volto al rilascio della concessione edilizia in questione e conseguente scorretto
esercizio dellattivit amministrativa svolta dal Comune nel rilascio di detta autorizzazione sotto vari profili di
eccesso di potere. Il Consiglio di Stato ricorda come l'articolo 4 della legge 29.1.1977, n. 10, afferma che "la
concessione data dal Sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla"; espressione questa
che, nel caso in cui il diritto appartenga a pi titolari, stata intesa dalla giurisprudenza nel senso che listanza
possa essere presentata da un comproprietario allorch la situazione di fatto consenta di supporre lesistenza di
un "pactum fiduciae" tra gli stessi comproprietari ( Cons. St., Sez V, 5.6.1991 n. 883). Pertanto, i Giudici
ritengono che la concessione sia stata legittimamente rilasciata ai due comproprietari del fondo, tenuto conto
della relazione di parentela con laltro comproprietario (fratello), presumendosi, in virt di tale parentela, un
pactum fiduciae intercorrente tra gli stessi e mancando comunque, da parte di questultimo, sufficienti elementi
probatori da cui desumere una sua espressa e contraria determinazione di dissenso in ordine alla loro iniziativa
edificatoria. http://www.altalex.com/index.php?idnot=35140
La Corte di Cassazione con la sentenza 28/01/2004 n. 1544, II Sezione, ha affrontato una specifica tematica
in materia condominiale, confermando gli orientamenti espressi dalla precedenza giurisprudenza di legittimit in
tema di diritti del condomino di acquisizione di copia della documentazione contabile relativa al condominio.
Particolarmente rilevante il punto della sentenza concernente l'affermazione del diritto del singolo condomino
alla visione e all'acquisizione di copia della documentazione contabile e relativa al condominio in generale.
Concessione edilizia e compropriet del fondo tra parenti Consiglio di Stato , sez. VI, decisione
10.10.2006 n 6017 La relazione di parentela che lega i comproprietari di un fondo elemento da cui la P.A.
pu presumere legittimamente l'esistenza di un pactum fiduciae, nel caso in cui alcuni dei comproprietari
presentino istanza per ottenere la concessione edilizia. Nel caso de quo, il ricorrente aveva impugnato in primo
grado il provvedimento con il quale il Sindaco aveva rilasciato la concessione edilizia, relativa alla costruzione di
un capannone ad uso deposito con annessa palazzina residenziale, ai fratelli del ricorrente stesso in relazione
ad un loro progetto di edificazione, presentato nellambito di unarea ricadente nelle previsioni di un piano di
lottizzazione residenziale artigianale, allinterno della quale i fratelli erano originariamente proprietari di un lotto,
gi oggetto con altri beni di un giudizio promosso dal ricorrente davanti al Tribunale di Monza. Il Tribunale aveva
disposto lo scioglimento della comunione con approvazione del progetto divisionale ed assegnazione di un terzo
del lotto in questione allappellante e due terzi dello stesso lotto ai controinteressati. Le censure, prospettate in
prime cure e riprospettate in appello, si muovono lungo una linea argomentativa che deduce la violazione e falsa
applicazione dellart. 4. della legge n. 10 del 1977, rilevando la necessit della prestazione del consenso da
parte del ricorrente nel procedimento volto al rilascio della concessione edilizia in questione e conseguente
scorretto esercizio dellattivit amministrativa svolta dal Comune nel rilascio di detta autorizzazione sotto vari
profili di eccesso di potere. Il Consiglio di Stato ricorda come l'articolo 4 della legge 29.1.1977, n. 10, afferma
che "la concessione data dal Sindaco al proprietario dell'area o a chi abbia titolo per richiederla"; espressione
questa che, nel caso in cui il diritto appartenga a pi titolari, stata intesa dalla giurisprudenza nel senso che
listanza possa essere presentata da un comproprietario allorch la situazione di fatto consenta di supporre
lesistenza di un "pactum fiduciae" tra gli stessi comproprietari ( Cons. St., Sez V, 5.6.1991 n. 883). Pertanto, i
Giudici ritengono che la concessione sia stata legittimamente rilasciata ai due comproprietari del fondo, tenuto
conto della relazione di parentela con laltro comproprietario (fratello), presumendosi, in virt di tale parentela, un
pactum fiduciae intercorrente tra gli stessi e mancando comunque, da parte di questultimo, sufficienti elementi

probatori da cui desumere una sua espressa e contraria determinazione di dissenso in ordine alla loro iniziativa
edificatoria. http://www.altalex.com/index.php?idnot=35140
Nozione di pertinenza e disciplina del titolo Consiglio di Stato , sez. IV, sentenza 08.08.2006 n 4780
Si intendono per pertinenze, ai sensi dellart. 817 del codice civile, "le cose destinate in modo durevole a servizio
o ad ornamento di unaltra cosa", cio secondo la unanime rappresentazione che di tali opere fatta quelle
non costituenti in opere autonome ma in una pertinenza dellimmobile gi esistente. In questo senso si
espressa la Quarta Sezione del Consiglio di Stato, in una vicenda nella quale il ricorrente si era visto opporre
diniego di rilascio di titolo edificatorio in quanto lopera che intendeva realizzare (in questo caso, una piscina
allinterno della propriet privata di cui titolare) non era ritenuta dal Comune una pertinenza, accessoria al
fabbricato ad uso abitativo gi esistente, bens un autentico manufatto configurante una nuova edificazione. Con
la decisione che segue, i Giudici di Palazzo Spada hanno dunque chiarito che, anche nel diritto dellurbanistica e
delledilizia, il concetto di pertinenza e rimane quello delineato dallarticolo 817 del Codice Civile, ed perci
illegittimo il diniego che venisse opposto allistanza di rilascio del titolo basandosi sulla qualificazione di nuova
edificazione anzich di manufatto pertinenziale a servizio di un bene gi esistente. A livello normativo, del resto,
noto come oltre alla definizione che ne offre la fonte civilistica il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 escluda
espressamente le pertinenze dalla definizione di nuova edificazione ove stabilisce che sono "interventi di
nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie
definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali: [...] la costruzione di manufatti edilizi fuori
terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per
gli interventi pertinenziali (articolo 3, lett. e), sotton. e1)) che di questi possono considerarsi nuove costruzioni
solo quelli che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio
ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino
la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale. Ovviamente, noto al lettore
che, ove non si configurino quali nuove edificazioni nel senso di cui si detto, le pertinenze sono sottratte al
regime della concessione edilizia (rectius, permesso di costruire). Invero, sullargomento si registrano numerosi
e diversi orientamenti, caratterizzati da sfumature di posizioni anche molto distanti: si va dalla Corte di
Cassazione (ad esempio, si legga la sentenzqa della III sezione penale, n. 26197/2003) a tenore della quale il
permesso di costruire necessitato per tutti quegli interventi che comportino la realizzazione di fabbricati che si
elevino al di sopra del suolo ma anche di quelli che, pur interrati, costituiscono modificazione permanente e
durevole dello stato dei luoghi al Consiglio di Stato (ex multis, sentenza della V sezione, n. 2575/2002) per il
quale le opere pertinenziali sottostanno al regime della concessione edilizia solo laddove vadano ad essere
eseguite nellambito di zone soggette a regimi vincolistici (paesistico, ambientale o idrogeologico). Ma anche
nella stessa giurisprudenza amministrativa non mancano le interpretazioni divergenti, per cui alcuni sostengono
la necessit di un titolo c.d. forte quale il permesso di costruire (ex multis, T.A.R. Lazio Roma, sezione I bis,
sentenza 17 novembre 2005 nonch sezione II ter, sentenza 20 giugno 2003, n. 2737) e altri si limitano a
ribadire la necessit del rilascio di un titolo autorizzatorio (quale interpretazione maggioritaria, T.A.R. Campania
Napoli, sezione II, sentenza 2 luglio 2004, n. 9876 nonch T.A.R. Veneto. Sezione II, sentenza 27 luglio 2002, n.
3719). Tuttavia, anche in considerazione delle logiche imposte dalla norma, non pare non si possa che aderire
alla posizione espressa ancora una volta dal Consiglio di Stato. http://www.altalex.com/index.php?idnot=35151
E possibile che un singolo condomino realizzi unapertura nel muro perimetrale del condominio, senza
il consenso di tutti gli altri condomini, al fine di mettere in comunicazione un locale di sua propriet esclusiva,
ubicato nel medesimo fabbricato, con un altro immobile di propriet dello stesso condomino, ma situato in
diverso condominio? La soluzione accolta dalla Suprema Corte (Cass., sez. II, 19.4.2006, n. 9036).
Secondo lopinione dei giudici della Seconda sezione civile della Corte di cassazione Lapertura di un varco
nel muro perimetrale di un condominio deve considerarsi illegittima quando permetta la comunicazione tra
unit immobiliari attigue dello stesso proprietario ma situate in diversi edifici condominiali. In particolare, per
quanto attiene allunico motivo di impugnazione, si osserva: - Secondo quello che oramai un
consolidato orientamento giurisprudenziale, si esclude che lapertura realizzata dal condomino nel muro
perimetrale del condominio, in corrispondenza del box di propriet dello stesso, costituisca uso legittimo
della cosa comune.
- In tal modo, infatti, verrebbe alterata la destinazione del muro perimetrale, in
quanto, la possibile utilizzazione di tale apertura da parte di soggetti estranei al condominio, avrebbe
comportato la cessione, a favore di questi, del godimento di un bene comune, imponendo un peso sul muro
perimetrale che ne avrebbe alterato la destinazione e comunque avrebbe dato luogo ad una servit, per la
costituzione della quale sarebbe stato necessario il consenso scritto di tutti i partecipanti al condominio.
E lU.T.E. che stabilisce la rendita catastale. Diritto e Progetti
Compete solo allUfficio Tecnico Erariale stabilire la rendita catastale, che, come ben noto, rappresenta la base
di calcolo per le imposte sulla casa.
Nel caso di specie, la Sezione Tributaria della Corte di Cassazione ha riconosciuto allU.T.E. il potere di
determinare il valore fiscale dellimmobile; a farne le spese stato il contribuente che, pur avendo acquistato
un immobile costruito con luso di materiali molto modesti, da una cooperativa edilizia allinterno di unarea
P.E.E.P., si visto attribuire una rendita superiore a quanto previsto.
Secondo la Cassazione, il fatto che limmobile sia realizzato su area P.E.E.P., non costituisce prova del
carattere economico-popolare della costruzione; lattribuzione del valore della rendita catastale, quindi, sarebbe
determinato esclusivamente dalle risultanze degli accertamenti condotti dallUffico Tecnico Erarale.
La decisione stata resa dalla Corte di Cassazione con la sentenza dell11 luglio 2006 n. 21725 ( qui leggibile

tra i documenti correlati ).


Che richiama tra gli altri - i seguenti precedenti giurisprudenziali:
- C. Cass. Trib. n.5624/03
- Cassazione trib. 15235/04 ;
- Cassazione trib. 12446/04 ;
- Cassazione tributaria, 5625/03
http://www.dirittoeprogetti.it/temi/nota.asp?id=12473
Responsabilit del locatore per le infiltrazioni d'acqua
Cass. III Sez. Civ. n. 10389 del 18/05/2005
In tema di danni prodotti dalla struttura originaria della cosa locata, poich il proprietario locatore ha l'obbligo,
imposto dall'art. 1575 cod.civ., di consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione e di
conservarla in condizioni che la rendano idonea all'uso convenuto, grava su di lui una presunzione di
responsabilit che pu essere vinta mediante la prova, offerta dal locatore medesimo, dell'imputabilit
dell'evento al caso fortuito ovvero al fatto illecito del terzo.
Diritto di accedere alla terrazza comune per lavori di manutenzione
Cass. sez. II n. 685 del 16/01/2006
L'art. 843 c.c. - applicabile anche in caso di immobili in condominio - pone, a carico del proprietario del fondo,
l'obbligo di consentire l'accesso e il passaggio nella sua propriet, se necessari al fine di costruire o di riparare
un muro o altra opera propria del vicino, oppure comune.
La S.C., con la Sentenza n. 685 del 16/01/2006, intervenuta specificando che necessario prediligere
lorientamento meno restrittivo nellapplicazione della norma e, quindi, tra le diverse soluzione possibili, adottare
quella che impone il minor sacrificio anche a favore di colui che richieda il passaggio.
Nella specie, i giudici di merito hanno concesso il diritto di accedere alla terrazza comune, per lavori di
manutenzione, attraverso lappartamento sottostante, evitando di costringere il condominio a innalzare costosi
ponteggi esterni all'edificio.
Cass. civ., sez. II, 9 gennaio 1993, n. 146,. La realizzazione di una terrazza con una mansarda o sottotetto
praticabile ad uso esclusivo del proprietario del piano adiacente in sostituzione del tetto preesistente, rientra tra
le facolt previste dall'art. 1127 c.c..
Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 172 La cosa comune, ai sensi dell'art. 1102 c.c., pu essere utilizzata
dal condomino anche in modo particolare e diverso dal suo normale uso se ci non alteri l'equilibrio tra le
concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali degli altri e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei
coesistenti diritti degli altri proprietari; pertanto, legittima la costruzione di sporti sul cortile, (sulla strada o sul
passaggio comune) se sia realizzata in modo da non pregiudicare n la normale funzione del cortile, che di
regola, quella di fornire aria e luce agli immobili circostanti (e, per la strada, quella di permettere il transito dei
condomini) n le possibilit di utilizzazione particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini. (Nella
specie, trattavasi del telaio e dei battenti degli infissi, in posizione di completa apertura o di completa chiusura,
realizzati, al pianterreno, nel muro prospiciente il passaggio comune senza ridurne la larghezza utilizzabile, dato
che nel tratto precedente il passaggio era ristretto da un'antica sporgenza).
Cass. civ., sez. II, 5 settembre 1994, n. 7651, Al tetto posto a copertura delle autorimesse esterne all'edificio
condominiale - svolgente, nella sua struttura unitaria ed omogenea, una funzione di riparo e di protezione delle
unit sottostanti, ciascuna delle quali costituisce pertinenza della propriet esclusiva dei singoli condomini -
applicabile la presunzione di comunione stabilita dall'art. 1117 n. 1 c.c. con la conseguenza che esso costituisce,
al pari del tetto dell'edificio condominiale, oggetto di propriet comune e che l'amministratore del condominio
legittimato ad esercitare le azioni che lo concernono. (Nella specie, condanna del costruttore al rifacimento della
impermeabilizzazione o al rimborso per eseguirla direttamente).
Cass. civ., sez. II, 22 dicembre 1994, n. 11064, Ove un immobile (nella specie: una strada privata di
passaggio e collegamento fra pi edifici) consti di parti distinte e ben specificate, ciascuna delle quali
appartenga ad un diverso complesso condominiale, la deliberazione relativa alle modalit del suo uso, bench
adottata congiuntamente in un'unica assemblea dai partecipanti ai condominii proprietari, non riferibile ad un
cosiddetto condominio complesso od orizzontale ma va scissa idealmente in varie distinte deliberazioni riferite a
ciascuno dei condominii interessati, le quali, di conseguenza, vincolano i condomini soltanto per la parte
riguardante il condominio cui essi partecipano. (Fattispecie relativa alla delibera di chiusura, continua ed anche
diurna, dei cancelli d'accesso di una strada di passaggio e collegamento fra tre edifici, con applicazione di un
meccanismo di apertura elettromeccanica azionabile solo dai condomini).
Cass. civ., sez. II, 23 giugno 1995, n. 7155, La domanda di accertamento del diritto reale di uso dell'area
destinata a parcheggio condominiale ai sensi dell'art. 41 sexies della L. 17 agosto 1942, n. 1150 (nel testo
novellato dalla L. 6 agosto 1967, n. 765) e dell'art. 26, comma 5, L. 28 febbraio 1985, n. 47, non nuova rispetto
alla domanda di accertamento del diritto di compropriet originariamente proposta dalla parte, quale proprietaria
di una unit abitativa dell'edificio, perch non altera radicalmente il petitum di tale domanda, il cui oggetto
mediato (l'area condominiale destinata a parcheggio) rimane comunque inalterato, ma lo modifica soltanto,
adeguandolo in una direzione pi idonea a legittimare la concreta attribuzione del bene materiale che ne
oggetto.

Cass. civ., sez. II, 1 luglio 1997, n. 5839, Costituisce sopraelevazione, ai sensi dell'art. 1127 c.c.,
l'occupazione dell'area comune sovrastante l'ultimo piano, sia con un altro piano, sia con una nuova fabbrica,
che pu consistere anche in materiale diverso da cemento o laterizi, purch sia stabile e compatta - come nel
caso di struttura in alluminio, immobilizzata solidamente su un terrazzo di copertura, di propriet esclusiva mentre irrilevante che possa esser stata considerata dal giudice penale, per escludere il reato previsto dall'art.
17, lett. b) della legge 28 gennaio 1977 n. 10, pertinenza dell'appartamento.
Il portiere mestiere usurante, s alla pensione d'invalidit Corte di Cassazione, Sentenza n. 20456 del 19
ottobre 2004 Con la Sentenza n. 20456/04, la Corte di Cassazione intervenuta in merito alla riduzione della
capacit lavorativa di un lavoratore affetto da patologie invalidanti, specificando che, ai fini dell'attribuzione o
meno degli assegni d'invalidit, conta la patologia invalidante e non l'et del soggetto richiedente.
Nella specie, la Corte territoriale aveva disconosciuto l'assegno d'invalidit ad un portiere sessantatreenne con
problemi alla cervicale, in quanto le alterazioni artrofisiche di entit medio grave, secondo la corte, non
incidevano sulla riduzione della capacit lavorativa, alla luce dell'et e del lavoro usurante del soggetto, unici
fattori considerabili.
Autorizzazione di lavori condominiali in assenza di titolo Corte di Cassazione, sez II, 6 aprile 2004, n. 6721
Colui che, non essendo n condomino n amministratore, inviti un prestatore d'opera ad eseguire alcuni lavori in
uno stabile condominiale, vuoi che rivesta la qualit di rappresentante senza potere, vuoi che assuma quella del
"nuncius", in ambedue i casi, non diventa titolare del rapporto contrattuale con il suddetto prestatore d'opera.
Infatti, il rappresentante senza potere non risponde nei confronti dell' altro contraente a titolo contrattuale ma
solo a titolo di responsabilit per danni; e il "nuncius", agendo come mero strumento della dichiarazione altrui,
privo di qualsiasi potere di rappresentanza.
Stravolgimento del decoro architettonico condominiale Cassazione, sentenza n. 7625 2006 Nell'ipotesi di
"stravolgimento" della fisionomia architettonica dell'edificio condominiale, il pregiudizio economico una
conseguenza normalmente insita nella menomazione del decoro architettonico che, costituendo una qualit del
fabbricato, tutelata dalle norme che ne vietano l'alterazione
Realizzazione parcheggio - area pertinenziale Consiglio di Stato, V^ Sezione, decisione n1608/06 del 29
marzo 2006 Larticolo 9, comma 1, della legge 122/89, e successive modificazioni, stabilisce che "i proprietari di
immobili possono realizzare nel sottosuolo degli stessi ovvero nei locali siti al piano terreno dei fabbricati
parcheggi da destinare a pertinenza delle singole unit immobiliari anche in deroga agli strumenti urbanistici ed
ai regolamenti edilizi vigenti". La norma continua disponendo che "tali parcheggi possono essere realizzati, ad
uso esclusivo dei residenti, anche nel sottosuolo di aree pertinenziali esterne al fabbricato purch non in
contrasto con i piani urbani del traffico, tenuto conto delluso della superficie sovrastante e compatibilmente con
la tutela delle risorse idriche". In base alla norma ora riportata, i predetti parcheggi devono essere realizzati, se
non vengono a ci adibiti i locali del piano terra di un fabbricato, nel sottosuolo dello stesso fabbricato ovvero nel
sottosuolo di unarea pertinenziale esterna.
Condominio: linquilino pu chiedere il risarcimento del danno, ma non il
rimborso spese Cassazione,sezione 3, sentenza n. 19080/2006, udienza del
15/06/2006, depositata il 05/09/2006 La contrapposizione tra il diritto al
risarcimento del danno ex art. 2051 c. c. ed il rilievo circa l'insussistenza di una
norma che autorizzi il conduttore all'esecuzione di opere di straordinaria manutenzione
con rivalsa nei confronti del Condominio .evidenzia come la richiesta di rimborso
delle spese sostenute per la riparazione della rete fognaria non possa assolutamente
essere assimilata ad una domanda di risarcimento danni.
Anche la societ di capitali pu essere nominata amministratore del condominio
Cassazione , sez. II civile, sentenza 24.10.2006 n 22840 Anche una persona giuridica pu essere nominata
amministratore del condominio negli edifici. Il rapporto di mandato istituito nei confronti delle persone suddette,
infatti, quanto alladempimento delle obbligazioni ed alla relativa imputazione della responsabilit, pu essere
caratterizzato dagli stessi indici di affidabilit, che contrassegnano il mandato conferito ad una persona fisica. Lo
ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22840 del 24 ottobre 2006, superando un precedente
orientamento (Cass., Sez. II, 5608/94) che ammetteva la possibilit di esercitare la funzione di amministratore di
condominio soltanto da parte di una persona fisica. Ci in conformit con levoluzione della figura
dellamministratore. In tempi meno recenti, invero, lincarico di amministratore dellassemblea veniva conferito
agli stessi condomini, che avessero del tempo a disposizione, di solito, gli anziani ed i pensionati.
Da
qualche tempo, lincarico viene conferito a professionisti esperti in materia di condominio e in grado di assolvere
alle numerose e gravi responsabilit ascritte allamministratore delle leggi speciali (per tutte, le norme in materia
di edilizia, di sicurezza degli impianti, di obblighi tributari come sostituito dimposta). ragionevole pensare
avuto riguardo al continuo incremento dei compiti che questi possano venire assolti in modo migliore dalle
societ (di servizi), che nel loro ambito annoverano specialisti nei diversi rami.
http://www.ricercagiuridica.com/sentenze/index.php?num=1966&search=
Amministratore: il potere di agire in giudizio contro condomini e contro terzi non il medesimo
Cassazione , sez. II civile, sentenza 11.07.2006 n 15684

La specialit della disposizione di cui all'art. 1131 c.c., rispetto a quella, generale, di cui all'art. 106 cod. civ., e la
mancanza in quest'ultima di un'analoga previsione, comportano, in base alla nota regola di ermeneutica legale
ubi lex voluit dixit, ubi noluit non dixit, tenuto conto, peraltro, che l'eccezionalit della prima disposizione,
derivante da una precisa scelta legislativa correlata alla peculiari caratteristiche di quella particolare figura di
comunione costituita dal condominio negli edifici, non ne consente l'applicazione analogica, inducono dunque a
ritenere la necessit di un apposito conferimento. Con un atto ad hoc ex art. 1106 c.c., comma 2 cit., adottato ai
sensi del precedente art. 1105 c.c., dalla maggioranza dei comunismo in difetto, dall'autorit giudiziaria,
dell'espresso potere di rappresentanza in giudizio della comunione. L'amministratore giudiziario di cui all'art.
1105 c.c. non pu agire in giudizio in rappresentanza dei partecipanti contro uno dei comunisti, se tale potere
non gli sia stato attribuito nella delega di cui al comma 1 dell'art. 1106 c.c
Impegno del venditore ad eliminare i vizi della cosa consegnata e novazione
Cassazione , SS.UU. civili, sentenza 21.06.2005 n 13294 Nel contratto di compravendita, lobbligazione del
venditore che si impegna ad eliminare i vizi della cosa venduta, costituisce un QUID PLURIS e non un QUID
NOVI: ne discende la non configurabilit di un effetto estintivo novativo poich dallimpegno assunto non
consegue novazione dellobbligazione principale. E in questi termini che si pu sinteticamente riassumere il
pensiero delle Sezioni Unite, chiamate nelloccasione a comporre un contrasto sorto tra le sezioni semplici circa
la soluzione data al quesito se comporti novazione dell'originaria obbligazione di garanzia l'impegno del
venditore di eliminare i vizi della cosa consegnata, con conseguente preclusione dell'esperibilit delle azioni
edilizie. Tale impegno, per le Sezioni Unite, non costituisce una nuova obbligazione estintiva-sostitutiva
delloriginaria obbligazione di garanzia, prevista dallarticolo 1490 del codice civile, ma consente al compratore di
essere svincolato dai termini di decadenza e dalle condizioni di cui allarticolo 1495 del codice civile ai fini
dellesercizio delle azioni previste in suo favore dallarticolo 1492 del codice civile, costituendo tale impegno un
riconoscimento del debito, interruttivo della prescrizione. Qualora, quindi, il venditore si obblighi a rimediare ai
difetti del bene venduto, le conseguenze discendenti sono di vantaggio per il compratore consumatore il quale
potr esperire le azioni edilizie, (1492 c.c.), senza i vincoli formali di cui allart. 1495 c.c. : limpegno assunto
opera sul piano dellesecuzione del contratto, poich lobbligazione di riparazione dei vizi costituisce una delle
modalit della garanzia. Nella vicenda obbligatoria sar, ci nonostante, possibile comunque rinvenire una
fattispecie novativa ma solo sussistendo gli elementi essenziali per la novazione oggettiva, ribaditi dal Collegio:
l'obbligazione originaria da novare (obligatio novanda), la volont delle parti di estinguerla e di sostituirla con una
nuova (animus novandi), la diversit della nuova obbligazione per l'oggetto o il titolo (aliquid novi). La scelta
delle Sezioni Unite sconfessa un precedente indirizzo. Secondo lorientamento giurisprudenziale non confermato
dalle Sezioni Unite, lobbligazione di eliminare i vizi della cosa integrava gli estremi di una vera e propria
novazione con lestinzione del vincolo originario, 1490 c.c. , e conseguente nascita di nuova ed autonoma
obbligazione: ne discendeva la improponibilit delle azioni ex art. 1492 c.c. Tale orientamento aveva trovato
delle soluzioni compromissorie riconoscendo nella vicenda obbligatoria una novazione ma facendo salve le
azioni spettanti al compratore: il riconoscimento del venditore dei vizi della cosa venduta con suo impegno ad
eseguire le specifiche riparazioni che si appalesano necessarie, comporta una novazione, inerente alla sola
obbligazione di garanzia del venditore per vizi della cosa, lasciando fermo tra le parti l'iniziale contratto di
compravendita, sicch ove gli interventi riparatori del venditore medesimo restino senza esito, ovvero, secondo
la valutazione del giudice eseguita ai sensi dell'art. 1455 c. c., abbiano un effetto inidoneo ad eliminare il
sopravvenuto squilibrio tra le prestazioni delle parti, l'acquirente conserva il diritto di chiedere la risoluzione del
negozio traslativo, possibilit che non viene meno neppure se, in esito ai tentativi infruttuosi del venditore di
eliminare i vizi, si sia prodotta la trasformazione del bene compravenduto, (cfr. Cass. civ., 27/11/1985, n.5889 in
Mass. Giur. It., 1985; cfr. App. Milano, 13/12/1983 in Foro Padano, 1983, I, 409).
http://www.altalex.com/index.php?idnot=9780
Inquinamento acustico - Rumori provocati da unautostrada sopraelevata rispetto a una casa - Normale
tollerabilit - Superamento - Diritto all'indennit - Sussiste. I rumori, derivanti dal funzionamento di
unautostrada sopraelevata rispetto a una casa, laddove eccedano il limite della normale tollerabilit recando
grave turbamento all'ambiente e alle condizioni in cui normalmente si svolge la vita in unabitazione, nonch il
pericolo di caduta di oggetti e automezzi, determinano una compressione del relativo diritto di propriet, dando
cos luogo al diritto all'indennit ex art. 46 legge 2359 del 1865. In tale ipotesi, viene sottolineato, da un lato,
l'insufficienza, dall'altro, l'impossibilit, di una tutela inibitoria ex art. 844 c.c., versando invece in una vicenda
che va ad incidere, indirettamente, sulla struttura stessa del diritto dominicale. Societ autostrade concessioni c.
Carestia e altro. Corte di Appello di Ancona, 11 maggio 1979
Provvedimento autorizzatorio - Immissioni lesive - Annullamento - Legittimit - Legittimazione ad agire.
Laddove i limiti di attivit acustica contenuti in un provvedimento amministrativo non si rivelino idonei a
salvaguardare la sfera giuridica dei soggetti che ne risultino pregiudicati, legittimo ricorrere dal giudice
amministrativo per chiedere l'annullamento del provvedimento da cui prendono origine le immissioni lesive. I
rumori e le degradazioni ambientali, specie in relazione all'attivit serale e notturna di un pubblico esercizio,
costituiscono lesioni di un legittimo interesse dei proprietari e residenti di unit immobiliari ubicate nelle strette
vicinanze dello stabile in cui si svolge tale attivit, legittimando cos la richiesta di annullamento del relativo
provvedimento autorizzatorio. Meschiari e altro c. Com. Maranello e altro. T.A.R. EmiliaRomagna, sez. II, del
10 novembre 1992, n. 525
PROVVEDIMENTO CONTINGIBILE ED URGENTE: La normativa di cui al d.P.C.M. 1 marzo 1991 (recante
limiti massimi di esposizione al rumore negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno) opera non soltanto in

relazione al territorio comunale di insediamento della singola sorgente sonora fissa, ma anche in relazione a
ogni altra area - anche eventualmente esterna al territorio comunale predetto - ove comunque si ponga una
esigenza igienico-sanitaria di tutela della qualita' ambientale e della esposizione umana al rumore, conseguente
all'attivazione pervasiva di quella medesima sorgente sonora fissa; legittimamente, pertanto, l'autorita'
amministrativa, per far fronte a una situazione lesiva della salute e igiene pubblica, impone con provvedimento
contingibile e urgente l'adozione di misure atte a ricondurre i livelli di inquinamento acustico generati da impianti
produttivi entro i limiti previsti dalla vigente normativa. T.A.R. Emilia R. sez. I, Bologna, 22 settembre
1994,Ord. n. 637
Non applicabilit del D.P.C.M. 1/3/91. Corte di Cassazione Sez. II del 10/1/96 Rigetto del reclamo della
ditta e conferma del limite di tollerabilit del limite dei 3 dB oltre il rumore di fondo. Sentenza Tribunale
di Lecco del 27/1/1996
COSTITUZIONE DI PARTE CIVILE DELLE ASSOCIAZIONI PER INQUINAMENTO ACUSTICO:
L'associazione Legambiente, quale ente esponenziale dell'interesse (diffuso) all'integrit dell'ambiente, e'
legittimata a costituirsi parte civile e a richiedere il risarcimento dei danni in un procedimento penale per
inquinamento da rumore. Pretura Castiglione Lago, 16 maggio 1996
VALUTAZIONE OBIETTIVA DELL'INQUINAMENTO ACUSTICO: In materia di inquinamento acustico, i limiti
previsti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 non hanno superato i criteri fissati dall'art. 844 c.c.; pertanto, nel caso di
immissioni sonore, deve farsi riferimento alla "rumorosit di fondo" della zona, cio a quel complesso di suoni, di
origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici della zona medesima, sui quali si innestano, di
volta in volta, rumori pi intensi (voci, veicoli...), tali elementi devono essere valutati in modo obiettivo, in
relazione alla reattivit dell'uomo medio. In particolare, il principio da seguire per determinare la tollerabilit del
rumore e' quello del mancato superamento della soglia di 3 decibel oltre il rumore di fondo, che equivale ad un
raddoppio dell'intensit di quest'ultimo. Tribunale Como, 21 maggio 1996
Corte dAppello Milano Sez. II Civ. n. 256/97 dep. 28/1/97 - Effettivit e potenzialit delle immissioni
Inquinamento acustico PROFESSIONI O MESTIERI RUMOROSI: Poiche' l'art. 10 comma 2, della l. n. 447 del
1995 (c.d.legge-quadro sull'inquinamento acustico) punisce con sanzione amministrativa "chiunque,
nell'esercizio o nell'impiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni sonore, supera i valori di emissione e di
immissione di cui all'art. 2 comma 1 lett. e) e f) -, fissati in conformita' al disposto dell'art. 3, comma 1, lett. a)",
stabilendo un limite, oltre il quale l'inquinamento acustico e' presunto, mentre l'art. 659 comma 2 c.p., punisce
"chi esercita una professione o un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni
dell'autorita'", data l'identita' della situazione considerata dalla norma del codice penale e di quella sanzionata in
via amministrativa (peraltro di contenuto piu' ampio, in quanto riferita a "chiunque", e non solo a chi eserciti
professioni o mestieri per loro natura fonti di rumore), la fattispecie prevista da quest'ultima disposizione e'
depenalizzata. (In motivazione, la S.C. ha precisato che non puo' considerarsi depenalizzata la contravvenzione
prevista dal comma 1 dello stesso art. 659, che, prendendo in considerazione non il dato oggettivo del
superamento di una certa soglia di rumorosita', bensi' gli effetti negativi di quest'ultima sulle occupazioni o sul
riposo delle persone, ovvero sugli spettacoli, sui ritrovi o sui trattenimenti pubblici, descrive una condotta non
assorbita dalla violazione amministrativa, a tutela di diritti costituzionalmente garantiti). Cassazione penale sez.
I, 19 giugno 1997, n. 4199RICERCHE GEOTERMICHE: L'accertamento - di fatto - della esistenza di fattori di inquinamento ambientale nella specie da rumore, conseguente a ricerche geotermiche - dannosi per l'integrit psicofisica, non si risolve
nell'accertamento della liceit dell'attivit, ossia dell'osservanza della disciplina che ne regola l'esercizio onde
tutelare l'interesse pubblico ambientale, ma pu estendersi a considerare parametri di tollerabilit diversi da
quelli provvisoriamente vigenti (art. 6 d.P.C.M. 1 marzo 1991), e previsti (art. 2 stesso provvedimento) in base
alla destinazione delle aree, ancora da delimitare da parte del Comune. Cassazione civile sez. III, 19 luglio
1997, n. 6662
Inquinamento acustico -esposizione dei lavoratori a rumori dannosi - l'adempimento dell'obbligo di
legge da parte del datore di lavoro - natura del reato. La omessa valutazione del rischio da rumore configura
il reato di cui agli art. 40 e 50 d.lg. 15 agosto 1991 n. 277; questo ha natura permanente e la permanenza cessa
con l'adempimento dell'obbligo di legge da parte del datore di lavoro, ovvero con la sentenza di primo grado.
Cassazione penale, sez. III, 18 febbraio 1998, n. 4133
Obbligo per il datore di lavoro di ridurre al minimo i rischi derivanti dall'esposizione al rumore mediante
le misure concretamente attuabili - i mezzi di protezione dell'udito. In virt della legge 29 dicembre 1990 n.
428, stato emanato dal Governo il decreto legislativo n. 277 del 15 agosto 1991, con il quale si data
attuazione alle direttive C.E.E. comprese nell'elenco allegato alla legge suddetta. Per quanto qui interessa, l'art.
41 di tale decreto - legislativo, premesso che il datore di lavoro deve ridurre al minimo i rischi derivanti
dall'esposizione al rumore mediante le misure concretamente attuabili, ha fissato talune prescrizioni
(esposizione di una appropriata segnaletica, ecc.) in relazione ai luoghi di lavoro che possono comportare
un'esposizione personale quotidiana superiore a 90 dBA; l'art. 42 ha precisato il contenuto della "informazione e
formazione" che deve essere portato a conoscenza dei lavoratori esposti, rispettivamente, ad un rumore
superiore a 80 od a 85 dBA; gli artt. 43 e 44 hanno indicato i mezzi di protezione dell'udito da fornire ai lavoratori

che siano verosimilmente esposti ad oltre 85 decibel ed i controlli sanitari cui essi devono essere sottoposti; e
l'art. 45, infine (Superamento dei valori limite di esposizione), ha stabilito che, se nonostante le misure di
applicazione previste dall'art. 41, comma primo, l'esposizione al rumore risulta superiore a 90 dBA, il datore di
lavoro comunica all'organo di vigilanza le misure tecniche ed organizzative applicate, informando i lavoratori
ovvero i loro rappresentanti. Dalla lettura coordinata di tali disposizioni emerge, quindi, che i c.d. valori - limite di
esposizione al rumore rappresentano una soglia intollerabile, in presenza del cui superamento incombono sul
datore di lavoro specifici oneri, e che tuttavia l'esposizione a rumori che raggiungono soglie inferiori (ma
superiori, in particolare, ad 85 decibel), richiede pur sempre l'adozione di adeguati mezzi di protezione e
l'assoggettamento del lavoratore a controllo sanitario, per cui da ritenersi, in definitiva, che anche l'esposizione
ad una rumorosit inferiore ai 90 decibel sia idonea a pregiudicare l'apparato uditivo. Secondo quanto affermato
da questa Corte in un una fattispecie sostanzialmente analoga a quella in esame (Cass. 26 agosto 1992, n.
9860), pu quindi affermarsi che l'accertamento che la rumorosit lavorativa svolta non supera i valori indicati
dall'art. 45 del d.l.vo n. 277 del 19919 non pu costituire idonea fonte di valutazione della richiesta diretta ad
ottenere la prestazione prevista per la malattia professionale denunciata, n quindi esime il giudice dall'indagine
medico - legale in ordine alla sussistenza o meno della malattia, atteso che la tabella delle malattie professionali
contempla la sola esposizione al rischio della lavorazione e che, del resto, la diversa capacit di resistenza di
ciascun organismo esposto al rischio non pu influire sul riconoscimento della tecnopatia. Cassazione civile,
sez. lav., 7 aprile 1998, n. 3582
QUIETE E INCOLUMITA' DELLE PERSONE NEI LUOGHI DI PUBBLICO TRANSITO O NELLE ABITAZIONI:
Codice procedura penale (1988) art. 321 Codice penale art. 659 LS 26 ottobre 1995 n. 447 l. La normativa
sull'inquinamento acustico di cui alla l. n. 447 del 1995 non ha abrogato la norma di cui all'art. 659, comma 1,
c.p., in quanto la legge speciale ha inteso fissare un limite di rumorosita', al fine di tutelare la salute della
collettivita', la cui inosservanza integra la violazione amministrativa sanzionata dalla stessa legge, senza che
con cio' automaticamente venga integrata l'ipotesi contravvenzionale prevista dal codice penale, per la cui
sussistenza occorre che, nel concreto, l'uso di strumenti rumorosi sia tale da recare un effettivo disturbo al
riposo o alle occupazioni delle persone, alla luce di tutte le circostanze del caso specifico. Ne consegue che il
rumore prodotto dal suono delle campane di una chiesa, mentre al di fuori del collegamento con funzioni
liturgiche puo' dar luogo al reato previsto dall'art. 659 c.p. non diversamente da quello prodotto da qualsiasi altro
strumento sonoro, nell'ambito delle funzioni liturgiche - la cui regolamentazione, nel vigente diritto concordatario,
e' riconosciuta alla Chiesa cattolica - integra il predetto reato solo in presenza di circostanze di fatto che
comportino il superamento della soglia della normale tollerabilita' e in assenza di specifiche disposizioni
emanate dall'autorita' ecclesiastica intese a recepire tradizioni e consuetudini atte a meglio identificare, in
relazione alla non continuita' del suono e al suo collegamento con particolari "momenti forti" della vita della
Chiesa, il limite della normale tollerabilita'. (Fattispecie relativa a sequestro preventivo delle campane, ritenuto
legittimo dalla S.C. sul rilievo che detto provvedimento cautelare si basava sul semplice "fumus" del reato,
supportato da indizi che non necessariamente devono essere gravi). Cassazione penale sez. I, 23 aprile
1998, n. 2316
Superamento del limite di accettabilit - Lesione della serenit personale dell'individuo - Danno
esistenziale da inquinamento acustico - Danno biologico - Differenza. Quando a seguito del superamento
del limite di accettabilit, si verifichi in concreto una lesione della serenit personale dell'individuo, ravvisabile
un danno esistenziale da inquinamento acustico che, stante anche la sua patrimonialit, suscettibile di
autonoma pretesa risarcitoria, pur non identificandosi nel danno biologico. Il danno biologico pu venir in rilievo,
invece, laddove si configuri una vera e propria menomazione dell'integrit psicofisica, accertabile
nosograficamente. Tribunale di Milano, sez. XII, sentenza del 21 ottobre 1999
Conferma dellordinanza 1558 dell11/3/98 Giudice di Pace di Milano Sez. I relativa alle opere di in
sonorizzazione di idrosanitari e di pavimento galleggiante. Corte dAppello di Milano Tribunale di Milano
Sez. V Civ. n. 3135 - dep. 13/3/2000
Sentenza parziale Tribunale di Milano Sez. V Civ. n. 2006 - dep. 5/3/2001- Indennizzo del difetto di in
sonorizzazione e di rumorosit degli impianti idrosanitari
In tema di costituzione di parte civile, le indicazioni richieste dallart. 78 c.p.p. a pena di inammissibilit dellatto
devono servire solo ad individuare la pretesa fatta valere in giudizio, nel senso che limpegno argomentativo
necessario a giustificare lesercizio dellazione civile nel processo penale dipende dalla natura delle imputazioni
e dal rapporto tra i fatti lamentati e la pretesa azionata: con la conseguenza che, allorquando detto rapporto sia
immediato, come nel caso in cui si lamenti il disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone (art. 659 c.p.),
sufficiente ai fini delladempimento delle formalit della dichiarazione di costituzione di parte civile il mero
richiamo al fatto descritto nel capo di imputazione o allillecito perpetrato mediante il riferimento al titolo del reato
(cfr., per qualche utile riferimento, in tema di ingiurie, Cass., sez. V, 27 aprile 1999, n. 6910, Mazzella). Come
questa Suprema Corte ha avuto occasione di affermare pi volte (cfr., tra le tante, Cass., sez. I, 7 giugno 1996,
in Mass. Cass. Pen., n. 205274; Id., sez. I, 18 gennaio 1996, Asquini), il reato configurato dalla prima parte
dellart. 659 c.p. un reato di pericolo, per la sussistenza del quale sufficiente la dimostrazione che la condotta
posta in essere dallimputato sia potenzialmente idonea a infastidire una pluralit di persone, anche se nessuna
di queste si sia lamentata e a lamentarsi sia stata invece una sola persona. Corte di Cassazione Sez. I, 7
marzo 2001, n. 9534

Immissioni di rumori provocato dagli spettacoli al Palavobis - Sentenza Tribunale di Milano n. 7213 del
21/6/2001
Immissioni rumorose - limite di tollerabilit - art. 844 c.c.. Il limite di tollerabilit delle immissioni, a norma
dell'articolo 844 c.c., non ha carattere assoluto, ma relativo, nel senso che deve essere fissato con riguardo al
caso concreto tenendo conto delle condizioni naturali e sociali dei luoghi e delle abitudini della popolazione: il
relativo apprezzamento, risolvendosi in un'indagine di fatto, demandato al giudice del merito e si sottrae al
sindacato di legittimit se correttamente motivato ed immune da vizi logici (tra le tante, sentenze 6/6/2000 n.
7545; 12/2/2000 n. 1565; 11/11/1997 n. 11118). Al riguardo sufficiente osservare che costituisce principio
consolidato della giurisprudenza di legittimit quello secondo il quale hanno finalit e campi di applicazione
distinti l'articolo 844 c.c., da una parte, e, dall'altra, le leggi ed i regolamenti che disciplinano le attivit produttive
e che fissano le modalit di rilevamento dei rumori ed i limiti massimi di tollerabilit in materia di immissioni
rumorose ( segnatamente il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 1/3/1991 richiamato nel primo
motivo di ricorso ). Il primo posto a presidio del diritto di propriet ed volto a disciplinare i rapporti di natura
patrimoniale tra i privati proprietari di fondi vicini. I secondi, invece, hanno carattere pubblicistico (perseguendo
finalit di interesse pubblico) ed operano nei rapporti tra i privati e la p.a. (sentenze 13/9/2000 n. 12080;
6/6/2000 n. 7545; 2/6/1999 n. 5398). Corte di Cassazione del 3 agosto 2001 Sentenza n. 10735.
Corte di Cassazione Sez. II n. 10735 del 26.4/3.8.2001 - Rumore provocato dal suono di pianoforte.
Isolamento di un cane in una zona non confinante coi vicini disturbati dal suo continuo abbaiare.
Sentenza Cass.Sez. II n. 13506 del 30/10/2001
Condanna il Regno Unito da parte della Corte Europea dei Diritti dellUomo - lincremento notevole
dellinquinamento acustico durante la notte provoca disturbi al sonno - il principio del benessere
economico del paese non deve confliggere con il principio della tutela della salute - elementi di
sinallagmaticit - principio di ragionevolezza: La Corte condanna il Regno Unito per aver permesso un
incremento notevole del rumore durante la notte provocando disturbi al sonno di alcuni cittadini (nella fattispecie
fonte dellinquinamento acustico era determinata dai voli notturni dellaeroporto di Heatrhow in Inghilterra). Il
legislatore, secondo la Suprema Corte, nellimporre limitazioni al diritto al rispetto della vita familiare, del
domicilio e della corrispondenza, deve adeguatamente valutare tutti gli interessi in gioco e coinvolti nella
fattispecie e giungere ad una loro adeguata ponderazione (cosiddetto principio di ragionevolezza). Nel caso
concreto (I soggetti ricorrenti, venivano spesso svegliati nel cuore della notte e molto spesso non riuscivano a
riaddormentarsi. Questo causava mal di testa, spossatezza, perdita di concentrazione e, nei casi pi gravi,
depressione. E evidente che la perdita del sonno si ripercuoteva inevitabilmente anche nella vita di relazione.
Molti risolsero il problema parecchi anni dopo abbandonando la loro casa), la causa di giustificazione
dellingerenza rappresentata dal benessere economico del paese ma leventuale limitazione ai diritti degli
individui deve trovare unadeguata motivazione e giustificazione assicurando ed adottando tutte le misure
concrete tendenti a garantire un adeguato bilanciamento tra i contrapposti interessi, soprattutto nel caso in cui
vengano coinvolti campi particolarmente sensibili, il semplice riferimento ai superiori interessi delleconomia
nazionale insufficiente. E evidente che, in questo caso, non si ha unadeguata ponderazione poich si valuta
soltanto un elemento del sinallagma costituendo una palese violazione dellart. 8 della Convenzione. Da ci
deriva un altro importante obbligo in capo allo Stato: nelladottare gli strumenti che portano ad una restrizione dei
diritti garantiti dal 1 comma bisogna concretamente adottare tutte le misure necessarie limitare al minimo
lingerenza esterna con gli stessi, verificando, se possibile, lesistenza o la possibilit di applicare misure
alternative che comportino una minore e meno penetrante limitazione. Corte Europea dei Diritti dellUomo
sentenza del 02/10/2001 sul ricorso n 36022/97
Danno esistenziale. Corte dAppello di Milano II Sez. Civ. n. 2444/01 dep. 6/12/2001
Disturbo della quiete pubblica - Mestiere rumoroso - Superamento dei limiti imposti dalla norma - Art.
659 c.p. - Insussistenza dei presupposti - Risarcimento del danno - sussiste. In tema di disturbo delle
occupazioni e del riposo delle persone, il rumore e gli schiamazzi vietati, per essere penalmente rilevanti,
debbono incidere sulla tranquillit pubblica - essendo linteresse specificatamente tutelato dal legislatore quello
della pubblica tranquillit sotto laspetto della pubblica quiete - di guisa che gli stessi debbono avere la
potenzialit di essere percepiti da un numero indeterminato di persone, pur se, in concreto, soltanto alcune se
ne possono lamentare. Ne consegue che la contravvenzione in esame non sussiste allorquando i rumori
arrechino disturbo ai soli occupanti di un appartamento, allinterno del quale sono percepiti, e non ad altri
soggetti abitanti nel condominio in cui inserita detta abitazione ovvero nelle zone circostanti; infatti, in tale
ipotesi non si produce disturbo della tranquillit di un numero indeterminato di soggetti, sicch un fatto del
genere pu costituire, se del caso, illecito civile, come tale fonte di risarcimento di danno, ma giammai assurge a
violazione penalmente sanzionabile (cfr. cassazione 12 dicembre 1997 n. 1406). Giudice Monocratico del
Tribunale di Caltagirone, dott. Giuseppe Tigano - TRIBUNALE DI CALTAGIRONE Sezione Penale del
13/12/2002 Sentenza n. 641
Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone - esercizio di autodromo con superamento dei
valori-limite della rumorosit - esercizio di professioni o mestieri rumorosi - sussistenza del reato esclusione - ragione. Il superamento dei valori-limite di rumorosit prodotto nell'attivit' di esercizio di un
autodromo non integra la fattispecie prevista dal primo comma dell'art. 659 cod. pen., ma quella indicata nel
secondo comma dello stesso articolo, che e' depenalizzata per effetto del principio di specialit di cui all'art. 9

della legge n. 689 del 1981, data l'identita' dell'illecito previsto da quest'ultima disposizione e di quello previsto
dall'art. 10, comma 2, della legge n. 447 del 1995, che e' sanzionato solo in via amministrativa, residuando un
circoscritto ambito di applicazione della norma penale ai soli casi di violazione, nell'esercizio di professioni o
mestieri rumorosi, di disposizioni o prescrizioni diverse da quelle disciplinanti i limiti di emissioni o immissioni
sonore (ad es., orari consentiti, adozione di particolari accorgimenti e simili). Cassazione Penale sezione I del
19/12/2002 (UD. 08/11/2002), Sentenza n. 43202
Attivit rumorosa era rappresentata dai latrati di cani non adeguatamente custoditi. Quando si dimostri
che i rumori interessano un numero indeterminato di persone, il reato rimane integrato anche se concretamente
si siano lamentate solo alcune delle persone che vivono nei luoghi circostanti. Sentenza Cass.Sez. I Pen. n.
10423 - 12/3/02 - 10423 - 12/3/02
Disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone - mestiere rumoroso e uso di mezzi rumorosi
nell'esercizio di mestieri non rumorosi - disciplina applicabile - fattispecie. In tema di disturbo delle
occupazioni e del riposo delle persone, l'ipotesi del mestiere di per se stesso rumoroso va tenuta distinta da
quella dell'uso, nel corso di qualsiasi attivita', di mezzi rumorosi, giacche' in quest'ultimo caso trova applicazione
non il secondo, bensi' il primo comma dell'art. 659 cod. pen., sempre che vi sia stato concreto disturbo al riposo
e alle occupazioni delle persone. (Nel caso di specie si e' ritenuto che configurasse il reato di cui al primo
comma dell'articolo in questione l'uso continuato, per quindici ore al giorno, di "cannoncini spaventapasseri"
nell'esercizio di attivita' agricola, di per se' non rumorosa). Corte di Cassazione. Sez. I del 21/06/2002
(UD.20/03/2002) sentenza n. 24018
Emissioni rumorose - gestione di una sala giochi - reato previsto dall'art. 659, comma secondo, cod.
pen. - configurabilita' - esclusione - reato di cui all'art. 659, comma primo, cod. pen. configurabilita'. L'esercizio di una sala giochi non pu essere considerato mestiere intrinsecamente e
necessariamente rumoroso, sicche' l'eventuale disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone causato da
emissioni rumorose da essa provenienti pu configurare il reato previsto dal primo comma dell'art. 659 cod. pen.
e non quello previsto dal comma successivo. (Nella specie, la Corte ha escluso l'esistenza del reato sul rilievo
che mancava l'elemento costitutivo dell'idoneita' del rumore, propagatosi esclusivamente al piano dell'edificio
immediatamente sovrastante il pubblico esercizio, a recare disturbo a un numero indeterminato di
persone). Corte di Cassazione Sez. I del 14 giugno 2002, sentenza, n. 23053
Emissioni rumorose - gestione esercizio commerciale. concernente il potere del Sindaco di disporre
restrizioni di orario di apertura anche ad un solo esercizio commerciale, se unico responsabile di emissioni.
Sentenza Consiglio di Stato n. 4457 del 5/9/2002
Getto pericoloso di cose - Inquinamento - Emissioni moleste - Natura del reato - Reato a condotta libera Reato di pericolo concreto - Superamento limiti di legge - Necessit - Limiti di qualit dellaria - Disturbo
delle occupazioni e del riposo delle persone - Reato a condotta vincolata - Reato commissivo improprio Clausola di equivalenza - Nozione e ambito di applicazione - Inquinamento da traffico veicolare Posizione di garanzia del sindaco - Deleghe ai dirigenti - Esclusione della responsabilit per il sindaco Insussistenza - Reati contravvenzionali - Colpa - Necessit - Natura - Prevedibilit ed evitabilit Discrezionalit politica. Il reato di cui allart. 674 c.p., nella seconda parte relativa alle emissioni, reato di
pericolo concreto e a condotta libera, come tale pu essere configurato in termini omissivi. Per la sua
realizzazione necessario il superamento dei limiti stabiliti dalla legge in materia di inquinamento atmosferico e
solo in assenza di tali limiti pu trovare applicazione il regime di cui allart. 844 c.c. Il reato di cui allart. 659 c.p.
reato a forma vincolata e, come tale, non pu configurarsi in termini omissivi. La clausola di equivalenza di cui
allart. 40 c.p. non costituisce una norma incriminatrice autonoma e diretta, ma solo una disciplina giuridica del
nesso di causale. Sicch perch un reato descritto in forma commissiva, possa, attraverso il filtro dellart. 40
c.p., proporsi nella forma omissiva, necessario che lipotesi base si configuri come reato di evento a condotta
libera. Il sindaco, tanto in virt della normativa relativa alla gestione del traffico urbano, quanto in virt della
normativa in materia ambientale, quanto, infine, in qualit di ufficiale del Governo cui compete il potere di
emanare provvedimenti contingibili ed urgenti a tutela dellincolumit pubblica, assume una posizione di
garanzia con riferimento alla tutela dellaria-ambiente dalle emissioni inquinanti da traffico urbano. La relativa
responsabilit non viene meno in virt delle deleghe conferite ai dirigenti, restando in capo agli organi di
direzione politica il compito di vigilare, oltre allesercizio di alcuni poteri esclusivi. Solo i valori limite di qualit
dellaria (di cui al d.p.c.m. 28/3/83 e d.P.R. 203/88, ora valori limite secondo il d.lv. 351/99) rappresentano limiti
massimi invalicabili di concentrazione degli inquinanti, restando i limiti di attenzione o di allarme e gli obiettivi di
qualit dellaria delle soglie di allarme. Anche nei reati contravvenzionali laffermazione della responsabilit non
pu prescindere da un coefficiente di colpevolezza da parametrare sulla prevedibilit ex ante ed evitabilit
dellevento. Non pu ravvisarsi colpa dove lordinamento affida alla discrezionalit politica la scelta tra pi
condotte. Giudice De Marco. TRIBUNALE DI MESSINA in composizione monocratica sezione II, 08/10/2002,
Sentenza n. 2175 (confermata in Cassazione con provvedimento del 18.06.2004 depositata 29.09.2004
Relatore Fiale).
1) Inquinamento acustico - valori limite differenziali di immissione - piano di zonizzazione-- acustica del
territorio comunale - possibili conseguenze dannose alla salute -- adozione dei piani di risanamento obblighi imposti ex art. 217 Testo Unico delle leggi sanitarie -- piano di bonifica acustica degli
impianti. 2) Definizione di impianto a ciclo produttivo continuo. Sentenza Consiglio di Stato sez. IV n.
6274 del 12/11/2002

Immissioni - Determinazione dei limiti massimi di esposizione al rumore - Soglia di tollerabilit delle
immissioni rumorose nei rapporti tra privati - Art. 844 cod. civ. - Risarcimento del danno. I criteri stabiliti
dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 per la determinazione dei limiti massimi di esposizione al rumore, benche' dettati per
la tutela generale del territorio, possono esser utilizzati come parametro di riferimento per stabilire l'intensita', e
di riflesso, la soglia di tollerabilita' delle immissioni rumorose nei rapporti tra privati purche', pero', considerati
come un limite minimo e non massimo, dato che i suddetti parametri sono meno rigorosi di quelli applicabili nei
singoli casi ai sensi dell'art. 844 cod. civ., con la conseguenza che, in difetto di altri dati, il loro superamento
determina necessariamente la violazione della predetta norma. (Cass. 18-4-2001 n. 5697). L'applicazione del
sopra esposto principio al caso in esame comporta pertanto che accertata la violazione della predetta normativa,
come in effetti risultante dall'allegato peritale, ne consegue automaticamente la violazione del criterio di normale
tollerabilit statuito dall'art. 844 c.c.; sul punto poi va ricordato che sempre in applicazione del sopra esposto
criterio altra recente pronunzia della Suprema Corte (Cass. 3-8-01 n. 10735) ha individuato i predetti parametri
normativi di riferimento per le aree non industriali nel superamento del rumore ambientale pari a 3 db in ore
notturne ed in 5 db per le diurne. (Nel caso di specie detti parametri sono con sicurezza stati oltrepassati, come
emerge dal citato allegato alla CTU al quale si rimanda, essendo stati rilevati nei diversi locali dell'abitazione
degli attori, superamenti del rumore ambientale compresi tra i 10 ed i 15 db nelle ore notturne e tra 17 e 19 db in
quelle diurne e pertanto sicuramente oltrepassanti la normale tollerabilit in quanto sicuramente impedenti
quantomeno il normale riposo. Trattandosi di attivit illecita ne deriva (vedi Cass. 6-12-2000 n. 15509) la
condanna degli attori al risarcimento del danno in applicazione dei criteri generali dettati in tema di illecito
aquiliano, avendo la proprgazione dei rumori oltrepassanti la normale tollerabilit, arrecato danno concreto e
specifico consistito nell'impedimento del normale riposo notturno che appare equo determinare, avuto riguardo
al prolungato periodo di consumazione della condotta nella misura di 3500, comprensiva di interessi e
rivalutazione). TRIBUNALE DI SANREMO I Civ. 13 gennaio 2003
Immissioni e risarcimento danni - Tribunale di Monza sez. IV Civ. m. 318/04 - 20/1/2004 Emissioni eccedenti i limiti fissati dal D.P.C.M. 1 marzo 1991 - Illecito amministrativo - Sussiste - Art.
659 c.p. - Depenalizzazione. In tema di emissioni acustiche eccedenti i limiti fissati dal D.P.C.M. 1 marzo 1991
trova applicazione la sanzione amministrativa prevista dallart. 10 c. 2, legge n. 447/1995. In questo caso,
lipotesi prevista dallart. 659 comma 2 c.p. risulta depenalizzata, in forza al principio di specialit di cui allart. 9,
legge n. 689/1981. Pres. Sossi - Rel. Chieffi - Ric. Orlando. CASSAZIONE PENALE, Sezione I 21 GENNAIO
2003, (UD. 17.12.2003) Sentenza n. 2905
Immissioni sonore o da vibrazioni o scuotimenti atte a turbare il bene della tranquillit nel godimento
degli immobili adibiti ad abitazione - rapporti cd. verticali fra privati e la p.a. - immissioni moleste - la
normale tollerabilit. Non applicabile la l. 26 ottobre 1995 n. 477, sull' inquinamento acustico, alla disciplina
delle immissioni sonore o da vibrazioni o scuotimenti atte a turbare il bene della tranquillit nel godimento degli
immobili adibiti ad abitazione poich tale normativa, come quella contenuta nei regolamenti locali, persegue
interessi pubblici, disciplinando, in via generale ed assoluta, e nei rapporti cd. verticali fra privati e la p.a., i livelli
di accettabilit delle immissioni sonore al fine di assicurare alla collettivit il rispetto di livelli minimi di quiete.
Proprio nell'art. 844 c.c., va rinvenuta la disciplina delle immissioni moleste in alienum nei rapporti fra privati alla
stregua delle cui disposizioni, quand'anche dette immissioni non superino i limiti fissati dalle norme di interesse
generale, il giudizio in ordine alla loro normale tollerabilit va compiuto secondo il prudente apprezzamento del
giudice che tenga conto delle particolarit della situazione concreta. Cassazione civile, sez. II, 27 gennaio
2003, n. 1151
Tutela dall' inquinamento acustico - adozione dei piani di zonizzazione in funzione di tutela dall'
inquinamento acustico - l'operativit del potere sostitutorio in caso di mancata assunzione di simili atti
da parte dell'Ente Locale. L'atto di adozione dei piani di zonizzazione in funzione di tutela dall'inquinamento
acustico non costituisce un "atto obbligatorio per legge", ossia un atto espressamente sottoposto dalla legge ad
un termine perentorio, come tale idoneo a rendere operativa la previsione dell'art. 136 t.u.e.l., che prevede in
caso di mancata assunzione di simili atti da parte dell'Ente Locale l'operativit del potere sostitutorio del
Difensore Civico Regionale. Allillegittimit dellatto sostitutorio del difensore civico segue la illegittimit e la
caducazione degli atti posti in essere dal commissario ad acta resistente. T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 31
gennaio 2003, n. 511
Emissioni - Allarme sonoro posto per la sicurezza dellappartamento - Mancata tempestiva disattivazione
da parte del proprietario - Art. 659 c.p. - Responsabilit - Esclusione. Non configurabile il reato previsto
allart. 659 c. 1, c.p. nel caso in cui il proprietario di un appartamento, assente dallabitazione, ometta di
disattivare tempestivamente lallarme sonoro posto per la sicurezza dellimmobile e messosi improvvisamente in
funzione. A tuttaltra valutazione si giungerebbe se al proprietario si possa imputare il malfunzionamento
dellimpianto di allarme per cause di negligenza nella manutenzione o nella gestione. Pres. Silvestri, Rel. Canzio
CASSAZIONE PENALE sezione I del 7 febbraio 2003 (UD. 24/01/2003), Sentenza n. 6283
La liquidazione del danno non patrimoniale - accertamento - in merito - Corte Costituzionale - principio
generale del neminem laedere - danno esistenziale da inquinamento ambientale. Si ha verifica un
danno non reddituale, quale conseguenza di un evento lesivo che non incide direttamente sulla capacita' di
guadagno o patrimoniale dei soggetti lesi, ma che ha ripercussione sui rapporti extra -lavorativi e piu'
specificamente familiari, di intrattenimento o svago, sociali, e culturali. In base al combinato disposto degli art.

185 c.p. e 2059 c.c. si dovrebbe accertare, la sussistenza di un fatto costituente anche astrattamente reato, al
fine di poter liquidare il danno non patrimoniale. Estendendo il metodo sistematico interpretativo ricavabile dalla
sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 14.7.1986 in tema di danno biologico che, in estrema sintesi,
esclude limitazioni risarcitorie a diritti i costituzionalmente garantiti , nel caso in cui, come nella fattispecie, si
accerti la lesione del diritto costituzionale alla libera estrinsecazione della propria personalita', non sussistono
ostacoli alla risarcibilita' del danno esistenziale da inquinamento acustico anche in mancanza di prova di fatto
costituente reato. Si legge, in tale pronuncia che se e' vero che lart. 32 Cost. tutela la salute come diritto
fondamentale del privato e se e' vero che tale diritto e' primario e pienamente operante anche nei rapporti tra
privati , allo stesso modo come non sono configurabili limiti alla risarcibilita' del danno biologico, quali quelli posti
dallart. 2059 c.c.,non e' ipotizzabile limite alla risarcibilita' dello stesso danno, per se' considerato, ex artt. 2043
c.c. Il risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. e' sanzione esecutiva del precetto primario: ed e' la minima (a
parte il risarcimento ex art. 2058 c.c.) delle sanzioni che lordinamento appresta per la tutela di un interesse.
Tale importante principio , evidenziato dalla Consulta in relazione agli articoli 32 e Cost. e 2043 cod.civ.. risulta
applicabile anche in tutti gli altri casi di lesioni di interessi o valori costituzionalmente garantiti, estendendo la
pronuncia della Corte Costituzionale, stante lampiezza dei principi enunciati, ad ogni lesione di diritti
fondamentali, con una lettura costituzionale dellart. 2043 cod. civ. , nel senso che tale in tale norma devono
trovare integrale tutela i diritti fondamentali della persona violati. La stessa S.C. ha riconosciuto che il citato art.
2043 cod. civ., correlato agli artt. 2 e segg. della Costituzione, va cosi' necessariamente esteso fino a
ricomprendere il risarcimento dei danni non solo in senso stretto patrimoniali, ma di tutti i danni che almeno
potenzialmente ostacolano le attivita' realizzatrici della persona umana. Per cui, quindi, essendo le norme
costituzionali di garanzia dei diritti fondamentali della persona pienamente e direttamente operanti, anche nei
rapporti tra privati ( cd drittwirkung)- non e' ipotizzabile limite alla risarcibilita' della relativa lesione, per se'
considerata (Corte Cost., n. 184/86) , ai sensi dellart. 2043 cod. civ. Cassazione, 7.6.2000, n.7713. Il precetto
costituzionale integra la norma di garanzia di cui allart. 2043 cod.civ. e consente di fondare un sistema completo
di garanzia del principio generale del neminem laedere, che comprende anche la tutela del danno esistenziale,
inteso quale violazione di un diritto fondamentale dellindividuo , tutelabile, senza limitazioni risarcitorie, ex art
2043 c.c. che , interpretato ed applicato alla luce dellart. 2 della Costituzione va esteso fino a ricomprendere la
risarcibilita' non solamente dei danni patrimoniali, ma anche di tutti gli altri danni connessi alla mancata
realizzazione della persona umana, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica (patrimoniale o non
patrimoniale). Corte di Appello Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003 - massima commentata.
Il danno esistenziale nozione - la lesione della personalita' del soggetto - nesso di causalita' tra
comportamento lesivo e danno - probabile nesso eziologico tra immissioni rumorose eccedenti la
normale tollerabilita' e tentativo di suicidio. Qualunque alterazione, purche' di valenza apprezzabile, di diritti
che costituiscono ostacolo alla realizzazione della liberta' individuale va, quindi, tutelata dallordinamento. Non e'
soltanto il diritto alla serenita' domestica, nel ristretto ambito della propria abitazione, ad essere violato, ma
anche la menomazione delle altre attivita' di svago, sociali e culturali che solitamente si svolgono al di fuori della
abitazione familiare e costituiscono corollario alla libera estrinsecazione della personalita' che puo' essere lesa
sia nellambito familiare e privato, sia esterno, cioe' sociale, culturale, ricreativo, senza che insorga
necessariamente una vera e propria malattia psichica. Il danno esistenziale e', quindi, individuabile, ove sia
accertata una modificazioni peggiorative, purche', come gia' evidenziato, apprezzabile per intensita' e qualita',
nella sfera personale del soggetto leso, tra cui va fatta rientrare la alterazione del diritto alla normale qualita'
della vita e/o alla libera estrinsecazione della personalita'. E, infatti, la lesione della personalita' del soggetto
che e' suscettibile di tutela, indipendentemente dallo specifico interesse leso che puo' anche non essere di
diretta rilevanza costituzionale (si pensi ad esempio al danno esistenziale da vacanza rovinata), ma va tutelato
ogni qual volta configuri alterazione della manifestazione della personalita', tutelata costituzionalmente ex art. 2
Cost.. Occorre anche che sussista il nesso di causalita' tra comportamento lesivo e danno che deve tradursi ,
oltre che nella consecutivita' temporale tra comportamento lesivo e danno, anche in un giudizio di
proporzionalita' o adeguatezza tra il fatto illecito e le conseguenze dannose. (Nella specie il Tribunale ha ritenuto
che non vi sia prova certa e dimostrabile con criterio medico legale tra la rumorosita' ambientale e lepisodio di
autolesionismo (tentato suicidio) posto in essere. Nella documentazione clinica dellOspedale San Paolo, ove
lappellata e' stata ricoverata si legge che ha sempre goduto di buona salute, da un mese e' in situazione
stressante per cui non puo' dormire, sembra che per riuscire a dormire abbia ingoiato 18 capsule di Tavor ed un
flacone di Novalgina (doc. 4), riferendo allo psichiatra dellOspedale San Paolo che il Tavor le era stato
prescritto dal medico curante nel settembre del 1992 perche' da quel periodo in poi una fabbrica proprio vicino
allabitazione della paziente inizio' a lavorare giorno e notte impedendo il riposo (doc. 4). Deve pertanto ritenersi
probabile il nesso eziologico tra tentato suicidio e leccessiva rumorosita', anche se agevolato dalle particolari
condizioni psichiche del paziente, pur non potendosi ritenere, in base ad una valutazione prognostica fondata
sulid quod plerunque accidit, quale conseguenza logica e casualmente collegata alle immissioni rumorose il
tentativo di suicidio della vittima. (Occorre, quindi, accertare caso per caso se levento (in specie, tentato
suicidio), sia astrattamente idoneo, ancorche' collegabile, in rapporto di connessione causale con le immissioni
rumorose eccedenti la normale tollerabilita', e possa essere posto a carico del danneggiante, a titolo di
responsabilita'). Nel caso di specie non stata riconosciuta la sussistenza di tali condizioni in quanto deve
ritenersi, in base al senso comune, che la percezione sensoriale della leccessiva rumorosita', non possa
cagionare, in termini generali, un impatto emotivo tale da causare nella vittima una alterazione psichica talmente
intensa da spingerla al suicidio. Il Tribunale, tuttavia, si limitato al riconoscimento tout court della risarcibilita'
della lesione del diritto alla serenita' familiare.). Corte di Appello Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003 massima commentata.

La definizione di: danno morale, danno biologico, danno esistenziale - la duplicazioni risarcitorie ilnomen iuris del danno - danno esistenziale da inquinamento ambientale. La distinzione tra il danno
morale (che considera il dolore e le sofferenze, cd pretium doloris, ) , il danno biologico (lesione dellintegra'
psico-fisica, suscettibile di accertamento medico-legale e risarcibile indipendentemente dalla capacita' di
produzione di reddito del danneggiato ) ed il danno esistenziale (lesione della personalita' del soggetto nel suo
modo di essere sia personale che sociale, che si sostanzia nella alterazione apprezzabile della qualita' della vita
consistente in un agire altrimenti o in un non poter piu' fare come prima) In particolare il danno morale attiene
alla sfera esclusivamente personale del danneggiato ed alla sua sensibilita' emotiva , mentre il danno
esistenziale fa anche riferimento allambiente esterno ed al modo di rapportarsi con esso del soggetto leso,
nellestrinsecazione della propria personalita' che viene impoverita o lesa. Pertanto, in linea di principio, le tre
voci risarcitorie potranno essere tutte individuabili , distintamente e cumulativamente, e potranno dar luogo,
ciascuna, ad autonomo risarcimento Occorre, tuttavia, evitare duplicazioni risarcitorie e sara', quindi, compito del
giudicante specificare eventuali accorpamenti di danno sotto la voce del danno non patrimoniale o del danno
biologico, che potrebbero anche essere liquidati comprensivi del cd. danno esistenziale. Non assume particolare
rilievo ilnomen iuris del danno, individuato dal Tribunale, in senso positivo, nella tutela della serenita'
domestica e che puo' definirsi quale danno esistenziale da inquinamento ambientale. Corte di Appello
Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003 - massima commentata.
La tutela risarcitoria, prevista in termini generali negli artt. 2043 cod. civ. e 2059 cod. civ.. La tutela
risarcitoria, prevista in termini generali negli artt. 2043 cod. civ. e 2059 cod. civ., costituisce una sorta di
convenzione, codificata dalla giurisprudenza, in mancanza di una normativa specifica, che , in sintesi, puo'
essere determinata nella tripartizione: danno patrimoniale, danno non patrimoniale (per lungo tempo identificato
nel danno morale), danno biologico. In presenza di alterazioni fisiche o psichiche nel soggetto danneggiato, il
danno non patrimoniale, per il combinato disposto degli artt. 2059 cod. cov. e 185 cod. pen. e' stato riconosciuto
solamente in presenza di fatto-reato e il danno biologico, la cui prima definizione legislativa si rinviene nella l. 5
marzo 2001, n. 57 (art. 3), sia pure in relazione alla normativa specifica, ma con valenza generale (per danno
biologico si intende la lesione allintegrita' psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale)
e' stato ritenuto risarcibile dalla prevalente giurisprudenza solamente in presenza di una lesione allintegrita'
psico-fisica, medicalmente accertabile. (Restava fuori dal sistema risarcitorio il danno non patrimoniale , non
risarcibile in mancanza di fatto reato e le alterazioni fisio-psichiche non rilevabili con criterio medico-legale, Tali
limitazioni risarcitorie potrebbero dar luogo a profili di incostituzionalita' sotto il profilo della parita' di trattamento
(art. 3 della Cost.), ove si pensi ad esempio alla non risarcibilita' del danno non patrimoniale in caso,
statisticamente non infrequente, di presunzione di responsabilita' ex art. 2054 , comma secondo , cod. civ. che
non consente il risarcimento del danno morale al danneggiato. La giurisprudenza ha riconosciuto il risarcimento,
in caso di violazione di diritti costituzionalmente garantiti e, quindi, della possibilita' di riconoscimento del danno
non patrimoniale oltre gli stretti confini del danno morale, anche in mancanza di fatto reato). Corte di Appello
Milano, Sez. II Civ., 14 febbraio 2003 - massima commentata.
Inquinamento acustico - esistenza del danno alla salute anche in mancanza di accertamento con criterio
medico legale. Anche in mancanza di accertamento di un danno alla salute accertabile con criterio medico
legale, si pu riconoscere, il risarcimento del danno alla serenita' familiare scaturito dal mutamento dei normali
ritmi di vita in considerazione dello stress, nervosismo, irascibilita', insofferenza, ansia, ecc., ossia una
sensazione di malessere ed unalterazione dellequilibrio psico-fisico. In relazione ai danni lamentati, deve
ritenersi, cosi' come ritenuto dal Tribunale, conformemente alle conclusioni della ctu medico legale, che
lipoacusia da cui e' risultato affetto lappellante fosse da ascriversi a cause estranee allattivita' della convenuta.
E stata riconosciuta dal Tribunale una lesione suscettibile di riparazione pecuniaria mediante risarcimento del
danno. (Fattispecie, danno di natura psichica, non percettibile visivamente dal giudicante e, quindi, di difficile
valutazione in mancanza di un accertamento medico-legale che ne attesti lesistenza). Corte di Appello Milano,
Sez. II Civ., 14 febbraio 2003 - massima commentata.
Legge quadro sullinquinamento acustico - c.d. piani di zonizzazione - contenuto tecnico - possibili
conseguenze dannose alla salute. Il sistema previsto dallart. 6 della legge quadro sullinquinamento acustico
26 ottobre 1995, n.447, presuppone il preventivo azzonamento acustico del territorio comunale ed onere del
Comune predisporre i c.d. piani di zonizzazione, con un preciso contenuto tecnico stabilito dalla citata normativa
e con una particolare attenzione a quelle specifiche situazioni di fatto che meritano, principalmente a cagione
della loro vetust e delle possibili conseguenze dannose alla salute, di essere valutate e disciplinate in maniera
non illogica. Consiglio di Stato Sezione IV, - 18 febbraio 2003 - Sentenza n. 880
Il divieto di contatto diretto di aree - zone gi urbanizzate - il provvedimento di bonifica acustica - il
superamento dei valori limite differenziali normativamente disciplinati dalla legge quadro
sullinquinamento acustico - i c.d. piani di zonizzazione - vetust degli impianti e delle possibili
conseguenze dannose alla salute. Lart. 4 della legge n.447/1995 prevede esplicitamente che le regioni -nel
fissare con legge i criteri di classificazione da rispettarsi da parte dei comuni- devono stabilire il divieto di
contatto diretto di aree, anche appartenenti a comuni confinanti, quando tali valori si discostano in misura
superiore a 5dBA di livello sonoro equivalente misurato secondo i criteri stabiliti dal D.P.C.M. 1 marzo 1991,
stabilendo altres, che qualora nellindividuazione delle aree nelle zone gi urbanizzate non sia possibile
rispettare tale vincolo a causa di preesistenti destinazioni duso, si prevede ladozione dei piani di risanamento di
cui allart. 7, piani che, peraltro, debbono essere approvati dal consiglio comunale. (Nella specie, le
contestazioni rivolte agli impianti delle societ con il provvedimento di bonifica acustica impugnato in primo

grado riguardano il superamento dei valori limite differenziali- normativamente disciplinati dalla legge quadro
sullinquinamento acustico 26 ottobre 1995, n.447 e dai D.P.C.M 1 marzo 1991 (art.6) e 14 novembre 1997 (art.
4), che hanno introdotto i valori limite differenziali di immissione- e non anche il superamento dei valori
assoluti). Il sistema previsto dallart. 6 dai D.P.C.M 1 marzo 1991 presuppone il preventivo azzonamento
acustico del territorio comunale ed onere del Comune predisporre i c.d. piani di zonizzazione, con un preciso
contenuto tecnico stabilito dalla citata normativa e con una particolare attenzione a quelle specifiche situazioni di
fatto che -come nel caso di specie- meritano, principalmente a cagione della loro vetust e delle possibili
conseguenze dannose alla salute, di essere valutate e disciplinate in maniera non illogica. Consiglio di Stato
Sezione IV, - 18 febbraio 2003 - Sentenza n. 880
Inquinamento acustico (denunciato dai cittadini abitanti nei pressi di un cinematografo) - il rapporto
dellARPAV , atto prodromico che pu costituire presupposto per lapertura del procedimento - la
violazione del principio del giusto procedimento - infondatezza - lesigenza di cura dellinteresse
pubblico perseguito - ratio della disciplina sulla partecipazione al procedimento non esclude affatto che
la comunicazione di avvio del procedimento possa essere preceduta o supportata da controlli,
accertamenti, ispezioni svolti senza la partecipazione del diretto interessato - contestazione. Il ricorrente
in primo grado, ha denunciato la violazione del principio del giusto procedimento di cui allart. 7 e ss. della legge
n. 241 del 1990, perch non sarebbe stato messo in grado di presenziare, mediante comunicazione dellavvio
del procedimento, alle misurazioni e ai rilievi fonometrici effettuati dai tecnici dellARPAV. La pretesa,
diversamente da quanto stato ritenuto dal primo giudice - che ha accolto il ricorso condividendo la censura
suddetta - si appalesa infondata. Nella specie deve ritenersi che il procedimento, che si concluso con il
provvedimento impugnato, abbia avuto inizio allorch si verificata in concreto lesigenza di cura dellinteresse
pubblico perseguito, vale a dire dopo che lamministrazione comunale ha avuto conoscenza, a seguito del
rapporto dellARPAV, della situazione di effettivo inquinamento acustico denunciato dai cittadini abitanti nei
pressi del cinematografo. Il rapporto dellARPAV , quindi, atto prodromico che ha costituito il presupposto per
lapertura del procedimento. E ci appare conforme alla stessa ratio della disciplina sulla partecipazione al
procedimento, la quale non esclude affatto che la comunicazione di avvio del procedimento possa essere
preceduta o supportata da controlli, accertamenti, ispezioni svolti senza la partecipazione del diretto interessato,
che sar edotto di queste attivit con la successiva comunicazione di avvio del procedimento e sar, pertanto,
messo nella condizione di intervenire nella procedura e di verificare e, se del caso, contestare la veridicit o
esattezza degli accertamenti compiuti e la stessa idoneit degli strumenti tecnici utilizzati. Pertanto,
infondatamente lappellato ha lamentato di non essere stato messo in condizione di partecipare agli
accertamenti dellARPAV, che avevano preceduto lavvio del procedimento. Sono, invece, fondate le critiche
mosse dallappellante alla sentenza impugnata. Consiglio di Stato, Sez. V, del 5 marzo 2003, Sentenza n.
1224
Immissioni - Superamento del limite - Lesione del diritto alla salute - Art. 844 c.c. - Normale tollerabilit Nozione. La lesione del diritto alla salute pu essere suffragata dal criterio giurisprudenziale elaborato in
relazione alla normale tollerabilit delle immissioni acustiche che, sostenuto da studi scientifici e tecnici,
qualifica intollerabile una immissione che incrementi del doppio il rumore di fondo (3 dBA). (Est. Olivieri)
TRIBUNALE DI ROMA (ord.) 17 marzo 2003
Emissioni - Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone - Cod. Pen. art. 659 - Schiamazzi
molesti degli avventori di un bar - Responsabilit del gestore dell'esercizio - Sussiste. Il gestore di un bar
responsabile del reato di cui all'art. 659, comma 1, cod. pen, per i continui schiamazzi e rumori provocati dagli
avventori dello stesso, con disturbo delle persone. Infatti, la qualit di titolare della gestione dell'esercizio
pubblico comporta l'assunzione dell'obbligo giuridico di controllare che la frequentazione del locale da parte dei
clienti non sfoci in condotte contrastanti con le norme concernenti la polizia di sicurezza. - Pres. Gemelli - Est.
Dubolino - Imp. PM in proc. Massazza PM. (Conf.) Delehaye CASSAZIONE PENALE sezione I, 08 aprile 2003
(Ud. 28/03/2003) Sentenza n. 16686
Immissioni - normale tollerabilit - art. 844 c.c. - applicazione. La disciplina contenuta nel d.P.C 1 marzo
1991, della l. 26 ottobre 1995, n. 447 e del d.P.C. 14.11.1997 rivolta al p.a. e non regola direttamente i rapporti
tra privati, che rimangono comunque soggetti alla regola generale dellart. 844 c.c. anche in riferimento allart. 32
Cost.. Pertanto, nei rapporti tra privati deve applicarsi la regola della normale tollerabilit. (EST. Grasso Intrisano c. Monaco) TRIBUNALE DI CATANIA 11 aprile 2003
Mancato preavviso al titolare del prelievo di campioni ai fini di esami di laboratorio - legittimit - la
natura e lo scopo dellaccertamento - prelievo dei campioni delle acque di scarico - accertamenti
fonometrici - inquinamento acustico. La Corte costituzionale ha ritenuto non compatibile con la natura e lo
scopo dellaccertamento il preventivo avviso, al fine di poter assistere con propri tecnici o difensori, alla parte
interessata proprio per quanto concerne liniziale fase del rilievo (cfr. C.C. 13.7.1990 n. 330 e 28.7.1983 n. 248,
in base alla considerazione che il mancato preavviso del prelievo dei campioni delle acque inquinate, ai fini
degli esami dei laboratori provinciali di igiene e profilassi, giustificato dalla necessit che il titolare dello scarico
non sia informato del momento in cui vengono effettuati i prelievi per evitare che esso possa apportare modifiche
agli scarichi e fare quindi sparire ogni traccia delle irregolarit); e la fattispecie del tutto equiparabile
allesecuzione degli accertamenti fonometrici. Tribunale Amministrativo Regionale Trentino-Alto Adige Sede di Trento, 10 luglio 2003 - sentenza n. 262

Impianto di condizionamento - Autorizzazione subordinata alla produzione di attestazione di conformit


-- Valutazione - Deve attenersi a canoni oggettivi - legittimit - Regolamento comunale - Concessione Prescrizione per le fabbriche e i laboratori di fornirsi di camino di conveniente altezza - Legittimit Edilizia subordinata alla prescrizione per le fabbriche e i laboratori di fornirsi di camino di conveniente
altezza - Attivit ad inquinamento atmosferico poco significativo - Disciplina edilizia e normativa
sullinquinamento - Diversit della materia - Art. 41 Cost. - Contrasto - Insussistenza - Interessi
particolari - Utilit sociale. Non illegittimo, per contrasto con lart. 20 della legge n. 615 del 1966, un articolo
del regolamento comunale che prescriva lobbligo per le fabbriche ed i laboratori di fornirsi di camino di
conveniente altezza, onde facilmente diluire e disperdere nellaria i prodotti della combustione ed evitare che
fumo, fuliggine, pulviscoli e prodotti gassosi irritanti, o comunque nocivi o molesti, disturbino o danneggino il
vicinato. La norma regolamentare, infatti, non esclude lutilizzazione di impianti e dispositivi di smaltimento che
siano i pi idonei in base al progresso della tecnica. Lo scopo del regolamento comunale, in sintonia con la
citata legge, quello di evitare di disturbare e danneggiare il vicinato con le emissioni derivanti dalla
combustione. E legittima la concessione edilizia per un laboratorio artigianale, subordinata al rispetto
dellarticolo del regolamento comunale che prescrive lobbligo per le fabbriche ed i laboratori di fornirsi di camino
di conveniente altezza, anche quando lattivit svolta risulta, ai sensi dellart.2 del DPR 25 luglio 1991, unattivit
ad inquinamento atmosferico poco significativo per il cui esercizio non richiesta autorizzazione. La normativa di
cui al citato DPR attiene infatti non alla disciplina edilizia, ma alla diversa materia della disciplina delle attivit
che provocano emissioni nellatmosfera. N pu riscontrarsi contrasto con lart. 41 Cost., tenuto conto che le
cautele poste dal regolamento comunale a tutela del generale interesse alla salubrit dellaria non possono
essere disattese per consentire lo svolgimento di una determinata attivit economica, quindi a tutela di un
interesse particolare. Lart. 41 Cost., prevede s che liniziativa economica privata libera, ma prescrive anche (II
comma) che essa non pu essere svolta in contrasto con lutilit sociale: non v dubbio che la tutela della
salubrit dellaria costituisca una delle componenti dellutilit sociale. In materia di emissione di fumi, ai fini della
valutazione circa la tollerabilit delle emissioni lorgano sanitario deve attenersi a canoni oggettivi e non alla
soggettiva valutazione di una parte dei vicini. E legittima lautorizzazione rilasciata dal Comune allinstallazione
di un impianto di condizionamento subordinata alla condizione di unattestazione di conformit dei livelli sonori ai
limiti prescritti dalla vigente normativa, redatta da un tecnico abilitato. Se vero, infatti, che i controlli sulla
rispondenza delle sorgenti sonore ai limiti legislativamente prescritti debbono essere effettuati dal Comune
mediante proprio personale, altrettanto vero che allatto della installazione di un impianto del genere deve
essere rilasciata dallesecutore dellimpianto la relativa dichiarazione di conformit, e questa ben pu essere
richiesta dallAmministrazione a corredo delle istanze di autorizzazione sanitaria per lesercizio delle varie
attivit. Pres. CATONI, Est. DI GIUSEPPE - Adorante (Avv. Gialloreto) c. Comune di Guardiagrele (Avv.
Rosignoli); Adorante (Avv. Gialloreto) c. Comune di Guardiagrele (Avv. De Carolis) e AUSL di Chieti (Avv.
Tenaglia). T.A.R. ABRUZZO, Pescara - 24 luglio 2003, n. 665
Inquinamento acustico - Tecnico competente in acustica ambientale - L. 447/1995 - Requisito
dellesperienza professionale - Modello di domanda predisposto dalla Regione Puglia - Richiesta di
produzione del curriculum - Legittimit. Lart.2 della legge quadro sullinquinamento acustico, L. 26 ottobre
1995, n.447, individua, quale requisito richiesto per lesercizio dellattivit di tecnico competente in acustica
ambientale, laver svolto corrispondente attivit in modo non occasionale per un periodo normativamente
determinato in base al titolo di studio. In tale contesto, la produzione del curriculum professionale necessario
per indicare i fatti dai quali desumere lesperienza richiesta. Ne consegue che il modello di domanda stilato dalla
Regione Puglia, nel richiedere lallegazione del curriculum, non supera i limiti della legge 447/95. - Pres.
PERELLI, Est. DURANTE - Simone (Avv. Jannarelli) c. Regione Puglia (Avv. Loiodice) T.A.R. PUGLIA, Bari,
Sez. II - 27 agosto 2003, n. 3109
Veicoli a motore - Traffico - Piano Urbano del Traffico - ricorso al G.A. contro il silenzio serbato
dallAmministrazione a fronte di istanze di singoli cittadini dirette a sollecitare ladozione di
provvedimenti contro il traffico - inammissibilita - interessi collettivi. E inammissibile il ricorso proposto da
cittadini uti singuli contro il silenzio serbato dallAmministrazione a fronte delle loro istanze dirette a sollecitare
provvedimenti relativi alla viabilit, alla sosta e alla rumorosit. Lart. 36 del codice della strada, che prescrive
ladozione, da parte dei comuni con popolazione superiore ai 30.000 abitanti, di un piano urbano del traffico
(PUT), e lart. 6 del citato decreto ministeriale, che impone ai comuni tenuti alladozione del PUT di istituire un
Ufficio Tecnico del Traffico, con compiti di monitoraggio, di progettazione e di realizzazione di opere per la
sistemazione del traffico urbano e per il controllo dellinquinamento atmosferico ed acustico, sono disposizioni
che incidono in modo unilaterale solo sulle amministrazioni comunali, che danno vita a doveri a carico di queste,
ai quali non corrispondono posizioni giuridiche soggettive degli amministrati. Si tratta di norme a tutela di
interessi collettivi che i singoli non possono far valere con azioni e ricorsi esperiti in nome proprio. Pres.
FRASCIONE, Est. MARCHITIELLO - Gallinari e altri (Avv.ti Maggiolo e De Sanctis Mangelli) c. Comune di
Reggio Emilia (Avv. Gnoni) e Casa di Cura Salus S.p.a. (Avv.ti Astolfi e Paoletti) - (Conferma T.A.R.
Emilia-Romagna, Sez. Parma, 1 luglio 2002 n. 369) CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 8 settembre 2003, n.
5033
Superamento limiti - Ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell'art. 9, L. 447/1995 - Necessit di
motivazione specifica. La disposizione di cui all'articolo 9 della legge 447 del 1995 costituisce una
specificazione della normativa prevista in generale sulle ordinanze contingibili ed urgenti. Valgono quindi i
principi elaborati dalla giurisprudenza in materia, in particolare la necessit che tale eccezionale strumento
venga utilizzato solamente nel caso in cui non sia possibile utilizzare gli altri mezzi giuridici che l'ordinamento

mette a disposizione dall'autorit amministrativa. Tali provvedimenti (adottati ex art. 9, L. n. 447/1995),


necessitano di adeguata motivazione sia sull'urgenza che sulla mancanza di mezzi alternativi. C.d.S. sentenza
n. 5423/2002. T.A.R. VENETO, Sez. III 7 ottobre 2003, n. 5123
Misurazione dei valori limite sonoro differenziale nei Comuni privi della zonizzazione acustica - Non si
applica. Per i comuni che non abbiano provveduto alla zonizzazione acustica di cui all'articolo 4 della legge 447
del '95, continua a valere l'articolo 6 del D.P.C.M. 1 marzo 1991, che non prevede un limite sonoro differenziale,
di cui al D.P.C.M. 14 novembre 1997, ma solo limiti assoluti. T.A.R. n. 1196 del 2002 T.A.R. VENETO, Sez. III 7
ottobre 2003, n. 5123
Rumore - Immissioni rumorose - Superamento della normale tollerabilit - Art. 844 c.c. - Fattispecie:
Gocce di pioggia che colpiscono una bandinella metallica. La collocazione sotto il balcone dei vicini di una
bandinella di tipo metallico vola il precetto contenuto all'art. 844 c.c. allorquando le gocce di pioggia, colpendo la
bandinella metallica, producono un rumore tale da disturbare il normale e regolare riposo e, quindi, arrecano un
considerevole disturbo, attraverso linsorgenza di immissioni rumorose che superano la normale tollerabilit,
specie avuto riguardo al fatto che la stanza da letto degli attori situata nelle immediate vicinanze. Giudice dott.
Antonio Toma. Giudice di Pace di Bologna, 13 novembre 2003, n. 5
Corte dAppello Milano di Firenze Ordinanza n. 1165/2003 3/11/2003 Emissione del sequestro preventivo - Presupposti - Astratta configurabilit del reato - Insufficienza. In
tema di inquinamento acustico ai fini dell'emissione del sequestro preventivo, il giudice deve verificare in modo
puntuale e coerente le risultanze processuali in base alle quali vengono ritenuti esistenti in concreto il reato
configurato e la conseguente possibilit di sussumere la fattispecie in quella astratta (Cass., Sez. Un., 29
gennaio 2003, P.M. in proc. Innocenti, rv. 223721; Sez. Un., 20 novembre 1996, Bassi, rv. 206657). Inoltre, da
escludere che il sequestro preventivo possa trovare sufficiente base giustificativa nella sola astratta
configurabilit del reato contestato, sulla base unicamente dei termini dell'imputazione formulati dal P.M., dato
che, se cos fosse, l'imposizione del vincolo cautelare reale sarebbe rimessa alle insindacabili scelte dell'organo
dell'accusa e si risolverebbe in un abuso (Cass., Sez. 6^, 20 agosto 1992, Fiorito, rv. 191734). Il giudice della
cautela tenuto, dunque, a fare necessariamente riferimento alla realt effettuale emergente dagli atti. In
proposito stato rilevato che l'art. 321 c.p.p., con "il richiamo normativo, costante e reiterato, al "reato" - sotto i
due profili che solo cose ad esso pertinenti ben possono essere oggetto di sequestro e che questo deve mirare
a evitare l'aggravarsi o il protrarsi delle relative conseguenze, nonch la commissione di altri fatti di reato - rende
evidente che presupposto perch possa essere disposto il sequestro preventivo che un reato sia stato
commesso", onde la valutazione del giudice non pu prescindere dall'accertamento della circostanza che
storicamente si sia verificato un fatto avente i connotati dell'illecito penale, sul quale si sta indagando (Cass.,
Sez. 6^, 6 agosto 1992, Liotti, rv. 191957). CORTE DI CASSAZIONE Sez. I del 21 gennaio 2004 (Cc. 19
dicembre 2003), sentenza n. 1885
Misure cautelari - Sequestro preventivo - Presupposti - "Fumus commissi delicti" - Accertamento in sede
di riesame - Sufficienza della sola astratta configurabilit del reato - Esclusione - Necessit di un
accertamento in base alle risultanze processuali e alla effettiva situazione emergente dagli elementi
forniti dalle parti. Nel verificare la sussistenza dei presupposti per l'emanazione del sequestro preventivo di cui
all'art. 321 comma primo cod. proc. pen., il giudice del riesame non pu avere riguardo alla sola astratta
configurabilit del reato, ma nella valutazione del "fumus commissi delicti" deve tenere conto, in modo puntuale
e coerente, delle concrete risultanze processuali e della effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle
parti (nel caso di specie, la Corte ha annullato l'ordinanza con cui il tribunale aveva respinto la richiesta di
riesame del sequestro preventivo di un immobile, in quanto la decisione si era fondata unicamente sulla
valutazione della semplice sussistenza in astratto del reato di cui all'art. 659 cod. pen., senza considerare che
dagli atti risultava che gli imputati, proprietari dell'immobile dato in locazione per una festa che aveva cagionato
disturbo al riposo delle persone, avevano stipulato un contratto con cui i conduttori e organizzatori dell'evento si
impegnavano a non ospitare pi di un certo numero di persone, ad osservare le regole di buon vicinato e a non
provocare rumori molesti).Pres. Fulgenzi R. Est. Silvestri G. P.M. Viglietta G. (Diff.) Imp. Cantoni e altro. (Annulla
senza rinvio, Trib. Modena, 23 luglio 2003). CORTE DI CASSAZIONE Sez. I del 21 gennaio 2004 (Cc. 19
dicembre 2003), sentenza n. 1885 (vedi: sentenza per esteso)
Provvedimento sindacale che si ponga come attuazione della legge quadro sullinquinamento acustico Assenza di eccezionale ed urgente necessit di tutela della salute pubblica o dellambiente -- Art. 9
L.447/1995 - Ordinanza contingibile e urgente - Inconfigurabilit - Provvedimento regolamentare Sindaco - Incompetenza. In assenza di eccezionale ed urgente necessit di tutela della salute pubblica o
dell'ambiente, il provvedimento sindacale che si ponga come attuazione della legge quadro sullinquinamento
acustico (legge 26 ottobre 1995 n. 447), nelle more della emanazione dei provvedimenti e regolamenti di
competenza regionale e statale, nonch dei dd.P.C.M. 1 marzo 1991 (Limiti massimi di esposizione al rumore
negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno) e 14 novembre 1997 (Determinazione dei valori limite delle
sorgenti sonore), non pu qualificarsi come ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dellart. 9 della legge
quadro. Tale atto si profila, piuttosto, come un vero e proprio regolamento comunale, sia pure ad tempus,
ancorch con temporaneit legata al termine futuro del completamento del quadro normativo di riferimento.
Costituisce, dunque, unatipica e irrituale manifestazione di potest regolamentare esercita da soggetto
incompetente, il sindaco, l dove la competenza per lassunzione di simili atti regolamentari sarebbe spettata al

consiglio comunale (articolo 42, comma 2, lettera del t.u.e.l. di cui al d.lg. 267 del 2000). Pres. Coraggio, Est.
Carpentieri - Aurum gestioni s.r.l. (Avv. Iannotta) c. Comune di Casamicciola Terme (n.c.) - T.A.R. Campania,
Napoli, Sez. I - 30 gennaio 2004, n. 1139
Immissioni rumorose notturne - Insediamento industriale - D.P.C.M. 14 novembre 1997. In tema di
immissioni rumorose, lattivit notturna di un insediamento industriale deve intendersi legittimamente svolta
nellesclusivo rispetto della specifica norma di settore prevista dal D.P.C.M. 14 novembre 1997. Pres. Elefante,
Est. DOttavi - Van Der Linden (Avv.ti Lia e De Bernardinis) c. Comune di San Piero a Sieve (n.c.), A.R.P.A.T.
(n.c.), Azienda U.S.L. 10 di Firenze (n.c.) e Robermap s.r.l. (Avv.ti Salimbeni, Pozzolini e DAmelio) - (Conferma
T.A.R. Toscana, Sez.II, n.1777/00) - CONSIGLIO DI STATO, Sez. V - 7 aprile 2004, n. 1964
Esercizio di professioni o mestieri rumorosi - Legge quadro sullinquinamento acustico n. 447/1995 - Art.
659 c.p. - Parziale depenalizzazione - Fattispecie: attivit di panificazione, esercizio di mestiere rumoroso
contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dellautorit, avendo il compressore utilizzato dal
panificio causato un inquinamento acustico superiore al valore previsto dalla normativa vigente. In
materia d'inquinamento acustico, la giurisprudenza ha affermato il principio in base al quale, poich lart. 10,
comma secondo, della legge n. 447 del 1995 (c.d. legge quadro sullinquinamento acustico) punisce con
sanzione amministrativa chiunque, nellesercizio o nellimpiego di una sorgente fissa o mobile di emissioni
sonore, supera i valori di emissione e di immissione di cui allart. 2, comma primo, lettere e) ed f), fissati in
conformit al disposto dellari. 3, comma primo, lett. a), stabilendo un limite, oltre il quale linquinamento
acustico presunto, mentre lart. 659, comma secondo, cod pen., punisce chi esercita una professione o un
mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni dellautorit, data lidentit della situazione
considerata dalla norma del codice penale e di quella sanzionata in via amministrativa (peraltro di contenuto pi
ampio, in quanto riferita a chiunque, e non solo a chi eserciti professioni o mestieri per loro natura fonti di
rumore), la fattispecie prevista da questultima disposizione - almeno limitatamente alle prescrizioni della
autorit - si presenta come disposizione speciale ai sensi dellart. 9 della legge 24 novembre 1981 n. 689, che,
in concorrenza con norma penale regolatrice del medesimo fatto, deve essere applicata a preferenza di quella
generale (Sez. l^, 19 giugno 1997, Sansalone, m. 208.495; Sez. l^, 21 gennaio 1997, Marasco Petromilli, m.
206.992). La disposizione di cui allart. 659, secondo comma, cod. pen. deve pertanto ritenersi parzialmente
depenalizzata, in forza del principio di specialit di cui allart. 9 legge 24 novembre 1981, n. 689, almeno
limitatamente alla condotta costituita dal superamento dei limiti di accettabilit di emissioni sonore derivanti
dallesercizio di professioni o mestieri rumorosi (Sez. 1^, 3 marzo 1998, Herpel, m. superamento dei limiti di
emissione del rumore stabiliti dal D.P.C.M 1^ marzo 1991 (Sez. l^, 26 marzo 1998, Girolimetti, m. 210.425),
costituendo tale condotta lillecito amministrativo di cui allart. 10, secondo comma, della legge quadro
sullinquinamento acustico n. 447/1995 (Sez. l^, 18 marzo 1999, De Mitri, m. 213.461). Residua invece un
circoscritto ambito di applicazione della norma penale di cui allart. 659, secondo comma, cod. pen. ai soli casi di
violazione, nellesercizio di professioni o mestieri rumorosi, di tutte le disposizioni o prescrizioni diverse da quelle
disciplinanti limiti di emissioni o immissioni sonore (ad es., orari consentiti, adozione di particolari accorgimenti e
simili) (Sez. l^, 8 novembre 2002, Romanisio, m. 222.946; Sez. l^, 8 marzo 1998, Herpel, m.210.237; Sez. l^, 4
luglio 1997, Vita, m. 208.578). Fattispecie: allimputato stato contestato il reato di cui allart. 659, secondo
comma, cod. pen. per avere esercitato un mestiere rumoroso contro le disposizioni della legge o le prescrizioni
dellautorit, avendo il compressore utilizzato dal panificio causato un inquinamento acustico superiore al valore
previsto dalla normativa vigente. Ma, riguardando laddebito esclusivamente il superamento dei limiti di
emissione del rumore previsti dalla normativa vigente, il fatto ha integrato il solo illecito amministrativo di cui
allart. 10, secondo comma, della legge quadro sullinquinamento acustico n. 447/1995.Pres. Savignano - Est.
Franco - P.M. Passacantando - Imp. Tridici (annulla limitatamente, Tribunale di Lecce, sezione distaccata di
Casarano). CORTE DI CASSAZIONE Sez. III, 29 aprile 2004, sentenza n. 29651 (vedi: sentenza per esteso)
Inibitoria dellattivit di pubblico esercizio - Ordinanza contigibile e urgente - Relazione tecnica
riportante gli interventi di mitigazione acustica eseguiti - Mancato rinnovo degli accertamenti fonometrici
- Presupposto attuale del pericolo per la salute pubblica - Inconfigurabilit. Lordinanza contingibile ed
urgente con cui il Sindaco ordina limmediata inibitoria totale dellattivit di pubblico esercizio, fino allavvenuta
realizzazione delle opere necessarie alla mitigazione di tutte le diverse sorgenti rumorose, illegittima nel caso
in cui lamministrazione comunale, successivamente alla presentazione della relazione tecnica riportante gli
interventi di mitigazione acustica eseguiti, non abbia effettuato gli ulteriori accertamenti fonometrici necessari a
verificare lo stato effettivo ed attuale delle emissioni rumorose, ad affermare il perdurare della violazione della
normativa in materia acustica in periodo notturno e, quindi, ad adottare lordinanza durgenza sul presente
presupposto della situazione di pericolo per la salute pubblica. Pres. Petruzzelli, Est. Spiezia - Soc. Birra T.D.V.
S.a.s. e altro (Avv. Landi) c. Comune di Firenze (Avv.ti sansoni e Cappelletti), U.S.L. 10 di Firenze (n.c.) e
A.R.P.A.T. (Avv. Mariani) - T.A.R. TOSCANA, Firenze, Sez. II - 5 maggio 2004, n. 1427
Danno morale (o esistenziale) - Risarcimento - Fondamento. La ricorrenza effettiva del danno morale (o
esistenziale) si giustifica con la considerazione, secondo cui, sulla premessa che il corpo umano non
strutturato per difendersi dal rumore, tutto il corpo medesimo (e particolarmente il sistema nervoso) pu subire
pregiudizio da una presenza costante ed insistita di un rumore al di sopra della soglia di tollerabilit (che nella
specie travalicamento anche della soglia di accettabilit), ci che evidentemente disturba lequilibrato succedersi
di sonno e veglia, con nocumento conseguente di ogni attivit lavorativa e domestica. Giud. G. MARIANI - Imp.
VIVIANO. TRIBUNALE di TORTONA, 7 maggio 2004, sentenza n. 84

Condotta attiva o omissiva - Ininfluenza - Giurisprudenza. La condotta posta in essere pu essere, oltre che
attiva, anche omissiva. Cass. 30 aprile 1993, Contento, ibid., n. 6 (secondo cui i suoni striduli e di natura
sgradevole emessi da un merlo indiano sono idonei a configurare gli elementi costitutivi del reato de quo),
nonch Trib. Massa 18 aprile 1990 (secondo cui configura il reato di cui allart. 659 c.p. il non impedire il canto
del proprio gallo per ampi lassi di tempo nelle ore notturne). V. anche Cass. 26 ottobre 1995, Balestra, e 17
dicembre 1993, Villa, ad avviso delle quali, per la sussistenza dellelemento psicologico della contravvenzione
sufficiente la volontariet della condotta desunta da obiettive circostanze (la seconda pronuncia relativa alla
detenzione, presso labitazione, di numerosi cani di grossa taglia e di pappagalli che producevano latrati, guaiti e
strepiti in ogni ora della notte e del giorno) Giud. G. MARIANI - Imp. VIVIANO. TRIBUNALE di TORTONA, 7
maggio 2004, sentenza n. 84
Normale tollerabilit - Criterio della sensibilit media delle persone che vivono nel luogo ove i rumori
sono percepiti - Superamento dei limiti di normale tollerabilit - possibilit per il giudice di fondare il
proprio convincimento anche attraverso strumenti diversi dalle perizie fonometriche - Sussiste Giurisprudenza. La contravvenzione di cui al 1 comma dellart. 659 c.p. sussiste allorch i lamentati rumori
abbiano una certa attitudine a propagarsi ed eccedano la normale tollerabilit, valutata sulla base del criterio
della sensibilit media delle persone che vivono nel luogo ove i rumori sono percepiti. Si veda, in tal senso,
Cass., sez. I, 4 aprile 2001; Cass. 23 aprile 1998, Masiero; Pret. Siracusa 24 marzo 1998; Cass. 15 luglio 1997,
Nidoli; Cass. 6 marzo 1997, Sevarin; Cass. 21 gennaio 1997, Puiatti; Cass. 4 luglio 1996; Cass. 28 giugno 1996,
Tarsi, (la quale tra laltro precisa che per riposo non deve intendersi esclusivamente il sonno notturno, ma
anche una pausa realizzabile in ore diurne); Cass. 6 novembre 1995; Cass. 19 ottobre 1993, Pivetti; Pret.
Cagliari-Guspini 27 luglio 1993 (fattispecie: orologio di un campanile di una chiesa i cui rintocchi possono
integrare la contravvenzione di cui allart. 659 c.p. ove superino la normale tollerabilit); Cass. 17 giugno 1993,
Solari; Pret. Avellino 19 gennaio 1990, (fattispecie: uso di campane ed altri strumenti sonori da parte di un
ministro di culto cattolico, i cui suoni non eccedevano la normale tollerabilit); Cass. 9 giugno 1989, Bianchini;
Pret. Brunico 14 marzo 1989, (secondo cui il motore diesel di una vettura lasciato a lungo acceso alle prime ore
del mattino per farlo riscaldare, provoca un rumore martellante e di considerevole intensit sufficiente a
disturbare chi dorme nelle vicinanze). Invece, riguardo alla prova del superamento dei limiti di normale
tollerabilit e, in particolare, sulla possibilit per il giudice di fondare il proprio convincimento anche attraverso
strumenti diversi dalle perizie fonometriche vi sono pronunzie estremamente significative si veda: Cass. 28
giugno 1996, Tarsi; Cass., 27 maggio 1996, Fontana; Cass., 7 aprile 1995, Silvestro; Cass., 23 febbraio 1994,
Floris (fattispecie: orologio campanario in funzione di giorno e di notte ogni quarto dora). Giud. G. MARIANI Imp. VIVIANO. TRIBUNALE di TORTONA, 7 maggio 2004, sentenza n. 84
Disturbo ad una potenziale pluralit di persone - Necessit - 1 c. art. 659 c.p.. Ai fini dellintegrazione del
reato di cui al 1 comma dellart. 659 c.p., i rumori, devono recare disturbo ad una potenziale pluralit di
persone, ancorch non tutte, in concreto, disturbate. In Cassazione 12 dicembre 1997, Costantini, si evidenzia
come, oltre alla potenzialit diffusa, valutabile con riferimento al numero indeterminato di persone disturbate,
la condotta rumorosa debba incidere sulla pubblica tranquillit intesa come pubblica quiete. (Negli stessi termini,
Cass. 23 maggio 1996, Rinolfi; in senso contrario, v. Cass. 5 luglio 1995, Poerio). Giud. G. MARIANI - Imp.
VIVIANO. TRIBUNALE di TORTONA, 7 maggio 2004, sentenza n. 84
Emissioni rumorose - Rumori eccedenti la normale tollerabilit - Fonte sonora - Ininfluenza - Uso
smodato dei mezzi tipici di esercizio della professione o del mestiere rumoroso - Disturbo del riposo Condotta criminosa omissiva - Reato di cui allart. 659 c.p. - Sussiste - Presupposti. In tema di emissioni
rumorose, rientra nella previsione del primo comma dell'art. 659 c.p., labuso che si concretizza nella emissione
di rumori eccedenti la normale tollerabilit ed idonei a disturbare le occupazioni o il riposo delle persone,
indipendentemente dalla fonte sonora dalla quale i rumori provengono, e quindi anche nel caso in cui labuso si
concretizzi in un uso smodato dei mezzi tipici di esercizio della professione o del mestiere rumoroso. Il rumore
pu essere imputabile, cio, a qualsiasi fonte sonora, anche (ma non solo) ad un uso smodato dei mezzi tipici di
esercizio di un mestiere rumoroso. (Cass.pen., sez. I, 26 marzo 1997, n. 3908). E nulla osta al fatto che la
condotta criminosa possa essere una omissione, come avviene nella specie, consistente proprio nel non
reprimere rumore atto a coinvolgere pluralit determinata di persone (Cass. pen., sez I, 30 settembre 1998, n.
13010). Giud. G. MARIANI - Imp. VIVIANO. TRIBUNALE di TORTONA, 7 maggio 2004, sentenza n. 84
Artt. 659 e 590 c.p. - Applicabilit - Fondamento. La condotta immissiva sonora pu essere sanzionata
ricorrendo, almeno nelle ipotesi comparativamente meno gravi, all'art. 659 c.p., (disturbo del riposo e delle
occupazioni delle persone). Tuttavia, una pronuncia giurisprudenziale (Cass. n. 7941/2000), ha invocato
addirittura l'applicazione dell'art. 590 c.p. (lesioni personali colpose), laddove le propagazioni sonore provenienti
dall'ambiente esterno (nella specie il rumore dei pattini giungeva dall'abitazione sovrastante) producano una
vera e propria sindrome ansioso-depressiva nel soggetto che sistematicamente le subisce. Giud. G. MARIANI Imp. VIVIANO leg. rappr. (societ "ROQUETTE ITALIA s.p.a."). TRIBUNALE di TORTONA, 7 maggio 2004,
sentenza n. 84
Rumore proveniente dal traffico autostradale - Disturbo delle occupazioni e del riposo - Obbligo di
impedire il verificarsi dellevento - Responsabilit del dirigente di un tronco autostradale - Sussiste - Art.
649 c. 1 c.p. - Art. 40 c.p.. Il responsabile di un tronco autostradale (Autostrade s.p.a.) deve adottare tutte le
precauzioni idonee ad impedire ogni attivit diretta alla produzione di rumore lesivo le occupazioni e la quiete
delle persone. Sicch, lomissione integra il reato di cui allart. 649 comma 1 c.p. combinato allart. 40 c.p.

violazione di un obbligo di impedire il verificarsi dellevento. Nella specie, lazione illecita era stata posta in
essere da parte di altri soggetti terzi, ovvero gli utenti autostradali, disturbando un numero indeterminato di
persone. Pres. Albini. TRIBUNALE ALESSANDRIA, 13 LUGLIO 2004
Organo che interviene nel procedimento in funzione ausiliaria - Fattispecie: ARPA in provvedimento
comunale relativo a riduzione di emissioni sonore - Ricorso giurisdizionale - Legittimazione passiva Carenza. Lorgano che interviene nel procedimento in funzione ausiliaria, mediante atti preparatori, non riveste
la figura di controinteressato nel giudizio in cui intimata lamministrazione che adotta il provvedimento finale, al
quale soltanto sono imputati gli effetti lesivi (Fattispecie: Impugnato un atto con cui si impone il contenimento
delle emissioni sonore, lARPA, che ha fornito elementi istruttori al Comune, cui spetta tutelare linteresse
pubblico al contenimento dei rumori entro soglie accettabili, veniva estromessa per carenza di legittimazione
passiva). Pres. Sammarco, Est. Di Sciascio - E.I. s.p.a. (Avv.ti Volli e Tudor) c. Comune di Monfalcone (Avv.
Rosati) - T.A.R. FRIULI VENEZIA GIULIA - 17 luglio 2004, n. 411
Sequestro preventivo dellimpianto (di condizionamento in uso presso un hotel) - Disposizioni
applicabili - Principio di specialit - Legge Quadro n. 447/1995 sull'inquinamento acustico - Art. 659 c.p. Fattispecie. In tema dinquinamento acustico, in seguito allentrata in vigore della Legge Quadro 26.10. 1995 n.
447, indispensabile un accertamento completo sulla produzione dei rumori insieme alla verifica circa la
violazioni di altre disposizioni disciplinanti lesercizio di mestieri rumorosi al fine di una corretta ricostruzione del
fatto, a sua volta necessaria per valutare la ricorrenza, dellinvocato principio di specialit delluna norma rispetto
allaltra e della conseguente possibile configurabilit in concreto, della contravvenzione di cui al 2 comma
dellart. 659 c.p.. Fattispecie: il Tribunale ordinario di Venezia annullava il decreto di sequestro preventivo
dellimpianto di condizionamento in uso presso un hotel, sul presupposto (erroneo per mancanza di
accertamento completo sulle disposizioni applicabili) che non si era in presenza di ipotesi di reato, ma di
violazioni di carattere amministrativo, non suscettibile di sequestro preventivo in sede penale. - Pres. Gemelli Est. Granero - Ric. P.M. Tribunale Liberta di Venezia c. Salmaso (annulla ordinanza del 10 febbraio 2004 - Trib.
Lib. di Venezia e trasmissione per nuovo esame) CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. I, 9 AGOSTO 2004
(23 giugno 2004), sentenza n. 33922
Inquinamento acustico -Piano di bonifica acustica - Intervenuto permesso di costruire - Termini per
lesecuzione dei lavori - Sono quelli fissati dal permesso di costruire. Il termine per lesecuzione delle
opere previste dal piano di bonifica acustica, una volta intervenuto il permesso di costruire, va calcolato non con
riferimento alla data fissata inizialmente nel piano di bonifica stesso, ma con riferimento al cronoprogramma
scandito dal permesso di costruire. Pres. Rovis, est. Savoia - ZR snc (Avv.ti Gussoni e Borella) c. Comune di
Roncade (n.c.) - T.A.R. VENETO, Sez. III - 10 agosto 2004, n. 2626
Normativa sullinquinamento acustico e tutela della propriet privata immobiliare dalle immissioni Disposizioni - Finalit - D.P.C.M. 1/3/1991 - L. n. 447/1995 - art. 844 c.c.. La normativa sullinquinamento
acustico, (D.P.C.M. 1 marzo 1991 e LEGGE QUADRO sull'inquinamento acustico 26 ottobre 1995, n. 447)
persegue finalit dinteresse pubblico mirando a assicurare alla collettivit il rispetto di livelli minimi di quiete, con
fissazione di livelli di accettabilit. Mentre, attiene alla tutela della propriet privata immobiliare dalle immissioni
la norma contenuta nellart. 844 c.c.. Pres. CRISCUOLO - Est. CECCHERINI - P.M. MARTONE - RFI Rete
Ferroviaria Italiana SpA (Avv.ti Mol e Delfino) c. Calveri (Avv. Iurilli) ed altri, (conferma Corte dAppello di
Reggio Calabria sentenza n. 187/01 del 01/10/2001). CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. I, del 20 Agosto
2004 (Cc. 22 giugno 2004), sentenza n. 16346
DPCM 14/11/1997 - L. 447/1995 - Valori limite delle sorgenti sonore - Aeroporti - Mancata perimetrazione
delle fasce di rispetto - Verifica del superamento dei valori limite e obbligo di predisposizione dei piani di
contenimento del rumore - Inapplicabilit. Il DPCM 14/11/1997, che fissa per gli aeroporti i valori limite delle
sorgenti sonore e lart. 10, c. 5 L. 447/1995, che obbliga la predisposizione dei piani di contenimento del rumore,
in caso di superamento di detti limiti, non trovano applicazione allinterno delle fasce di pertinenza delle
infrastrutture di trasporti, ma solo allesterno di esse, e solo a seguito di perimetrazione (da fissarsi con decreto
attuativo, ai sensi dellart. 3, comma 2, DPCM citato). Le fasce di rispetto (zone A, B e C, come da DM
31/10/1997, recante: Metodologia di misura del rumore aeroportuale), costituiscono delle zone cuscinetto per
il rumore aeroportuale, dopo la cui perimetrazione diventano concretamente applicabili i limiti fissati dal DM
31/10/1997 (allinterno delle fasce) e dal DPCM 19/11/1997 (allesterno). Pres. Schinaia, Est. Chieppa - S. S.p.A.
(Avv.ti Sandulli e Riguzzi) c. Ministero dellAmbiente (n.c.) - Conferma, con mot. parz. diversa, T.A.R. Lazio, Sez.
II bis, n. 3382/2002 - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 7 settembre 2004, (C.c. 11 giugno 2004) Sentenza n.
5822
Rumore - Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone - Emissione rumorosa determinata dal
traffico stradale - Contravvenzioni - Reato di cui all'art. 659 cod. pen. - Configurabilit - Esclusione.
L'emissione rumorosa determinata dal complesso del traffico stradale, anche se particolarmente intenso, non
riconducibile alla previsione di cui al reato di disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone. (Fattispecie:
nella quale la Corte ha confermato l'assoluzione degli amministratori comunali rilevando altres l'assenza di un
obbligo di garanzia in capo agli stessi riconducente alla possibile affermazione di responsabilit per il reato de
quo, sussistendo diversamente l'ipotesi di reati omissivi propri in caso di inottemperanza alle disposizioni
introdotte dalla legge 26 ottobre 1995 n. 447). Presidente: Vitalone C. Estensore: Fiale A. Relatore: Fiale A.
Imputato: P.M. in proc. Providenti ed altri. P.M. Iacoviello FM. (Conf.) (Rigetta, Trib. Messina, 8 Ottobre 2002).

CORTE DI CASSAZIONE Penale Sez. III, del 29/09/2004, (Ud. 18/06/2004), Sentenza n. 38297
Zonizzazione acustica - Rispetto dei limiti - E richiesto anche in riferimento agli impianti a ciclo
produttivo continuo. Il rispetto dei limiti di zona individuati dal Piano di zonizzazione acustica richiesto anche
in riferimento al criterio differenziale per gli impianti a ciclo produttivo continuo di cui al D.M. 11.12.1996. Pres.
Numerico, Est. Bronzetti - C.F. s.p.a. (Avv.ti Fuganti e Domenichelli) c. Comune di Riva del Garda (n.c.) T.R.G.A. TRENTINO ALTO ADIGE, Sede di Trento - 8 ottobre 2004, n. 325
Superamento non marcato dei valori consentiti - Comune - Diffida volta a contenere le emissioni sonore
- Legittimit. Il superamento, ancorch non marcato, dei valori consentiti delle emissioni sonore giustifica
appieno lintervento della competente Autorit comunale con diffida volta a contenere le emissioni sonore. Pres.
Numerico, Est. Bronzetti - C.F. s.p.a. (Avv.ti Fuganti e Domenichelli) c. Comune di Riva del Garda (n.c.) T.R.G.A. TRENTINO ALTO ADIGE, Sede di Trento - 8 ottobre 2004, n. 325
D.P.C.M. del 1 marzo 1991 - Zonizzazione - Limiti di tollerabilit delle emissioni o immissioni sonore
compatibili con le attivit svolte - Limiti di zona - Criterio differenziale - Tutela della salute pubblica e
della quiete pubblica dallinquinamento acustico. In tema dinquinamento acustico, il D.P.C.M. del 1 marzo
1991 per ciascuna area in cui diviso il territorio comunale individua i limiti di tollerabilit delle emissioni o
immissioni sonore compatibili con le attivit svolte. La corretta applicazione di tale norma persegue lo scopo di
tutela della salute pubblica e della quiete pubblica dallinquinamento acustico. Pertanto, necessario ai fini di
una valutazione esatta delle singole circostanze, considerare in particolare due elementi, la zona o larea di
produzione delle emissioni e la zona di percezioni degli stessi. Pres. Elefante - Est. Allegretta - Comune di
Grosseto (avv.ti Falletti, Loche) c. San Lorenzo Laterizi srl (avvti Segarelli, Pippi) A.R.P.A.T. (n.c.). (riforma
T.A.R. Toscana sez. II, 14 .02.2000 n. 170) CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, 13 ottobre 2004, Sentenza n.
6649
Mancato rilievo del superamento della soglia di rumorosit - Sensazioni meramente soggettive - Non
possono costituire presupposto per ladozione di provvedimenti che limitino unattivit economicamente
rilevante. In assenza dellelemento oggettivo del rilevato superamento della soglia di rumorosit, atto a
concretizzare il disturbo soggettivamente rilevato in danno autonomamente verificabile, le sensazioni
meramente soggettive non possono costituire presupposto per l'adozione di provvedimenti di intervento sulle
modalit di svolgimento di un'attivit economicamente rilevante. Il potere di limitare lattivit legittimamente
svolta dal privato pu ravvisarsi solo in presenza della necessit di tutela della salute. Pres. f.f. Franco, Est.
Springolo - A.N. s.n.c (Avv. Benacchio) c. Comune di Padova (Avv.ti Sichel, De Simone, Laverda, Rossini e
Montobbio) - T.A.R VENETO, Sez. III - 15 ottobre 2004, n. 3730
Immissioni di rumori derivati dall'esercizio di attivit di studio dentistico. Sentenza del Tribunale di
Milano R.G. n. 46501/03 del 23/10/2004
Bar - Ordinanza di chiusura alle ore 24.00 - Attivit istruttoria sulla provenienza e sulla responsabilit
delle immissioni sonore - Necessit - Esposti dei residenti - Possono costituire indizio, ma non possono
sostituire lattivit istruttoria dellamministrazione in ordine allintollerabilit del rumore. Lordinanza di
chiusura alle ore 24.00 di un bar deve essere preceduta da unadeguata attivit istruttoria sulla provenienza e
sulla responsabilit delle immissioni sonore che ne sono la giustificazione, nonch sulla loro effettiva
intollerabilit: di ci possono costituire indizio gli esposti dei residenti, ma la fondatezza delle loro doglianze deve
poi essere riscontrata dallAutorit amministrativa, cui spetta di verificare la presenza di una situazione
dintollerabile rumorosit, che possa essere qualificata come caso di emergenza connesso con linquinamento
acustico. Pres. f.f. Rovis - Est. Gabricci - M.P. (Avv. Salvato) c. Comune di Camponogara (Avv. Michelon) T.A.R. VENETO, Sez. III - 2 novembre 2004, n. 3832
Operazioni di verifica sulla rumorosit - Accertamenti a sorpresa - Omessa comunicazione di avvio del
procedimento - Legittimit. Le operazioni di verifica sulla rumorosit sono legittimamente condotte allinsaputa
dellinteressato, posto che lobbligo di comunicare lavvio del procedimento deve essere escluso ogni qualvolta
detta comunicazione possa vanificare leffetto di operazioni istruttorie, come accertamenti o ispezioni che
devono essere attuati a sorpresa. In tal caso, allinteressato dovr essere data la possibilit di partecipare alle
fasi procedimentali successive. Pres. Nicolosi, Est. Cacciari - B. s.a.s. (Avv. Adavastro) c. Comune di Godiasco
(n.c.) - T.A.R. LOMBARDIA, Milano, Sez. IV - 25 gennaio 2005, n. 151
Animali da cortile - Mera presenza - Non integra di per s i presupposti per unordinanza contingibile e
urgente - Valutazione in ordine ai livelli di sonorit - Necessit. La mera presenza di animali da cortile su di
un terreno situato in piena campagna non sufficiente ad identificare i presupposti di unordinanza contingibile e
urgente volta allallontanamento di tali animali, dovendosi piuttosto compiere una valutazione in ordine alla
turbativa dei livelli di sonorit. Pres. Zuballi, Est. Springolo - T.A. (Avv. Carburazzi) c. Comune di Casaleone
(n.c.) - T.A.R. VENETO, Sez. III - 26 gennaio 2005, n. 232
Attivit aeroportuale - Art. 3, c. 1 D.p.r. 496/97 - Predisposizione del piano di abbattimento e
contenimento del rumore - Interpretazione. Lart. 3, co. 1, D.P.R. n. 496/1997, a tenore del quale ai sensi
dellarticolo 10, comma 5, della legge 26 ottobre 1995, n. 447, le societ e gli enti gestori degli aeroporti
predispongono e presentano al comune interessato il piano di abbattimento e contenimento del rumore prodotto
dalle attivit aeroportuali .. deve inequivocabilmente ritenersi nel senso che lobbligo di presentazione del piano

grava sugli enti gestori non gi certo in modo incondizionato ed indiscriminato, ma solo in caso di acclarato
superamento dei limiti di emissione e di immissione. Pres. Giovannini, Est. Garofoli - A.V.C.V.V. s.p.a. (Avv.ti
Riguzzi e Romanelli) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dellAmbiente e Ministero dei Trasporti e
della Navigazione - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 3 febbraio 2005 (c.c. 18 giugno 2004), sentenza n. 281
Attivit aeroportuale - Gestione e manutenzione del sistema di monitoraggio - Attribuzione agli enti
gestori dellaeroporto - Contrasto con la L. 447/95, ove ascrive agli enti locali le funzioni di vigilanza
sullinquinamento acustico - Esclusione - Compito tecnico-accertativo di mero rilevamento dei dati. La
previsione regolamentare di cui allart. 2, c. 2 del D.p.r. 496/97, che affida agli enti gestori dellaeroporto, anzich
allente locale, la gestione e manutenzione del sistema di monitoraggio, non pu ritenersi in contrasto con la
fonte primaria (L. 447/95) laddove ascrive agli enti locali le funzioni di vigilanza e controllo sullosservanza della
disciplina relativa allinquinamento acustico. Dalle funzioni legislativamente assegnate agli enti locali, infatti, va
distinto il compito tecnico di mero rilevamento dei dati e di misurazione quindi del rumore, che il citato art. 2, co.
2, del regolamento impugnato in primo grado riconosce in capo agli enti gestori. Non si realizza quindi alcuna
sottrazione delle competenze proprie delle Province e dei Comuni, ma attribuito un compito a connotazione
tecnico-accertativa in capo agli enti che, preposti alla gestione degli aeroporti, hanno la disponibilit di tutte le
relative infrastrutture e sono dotati della necessaria competenza. Pres. Giovannini, Est. Garofoli - A.V.C.V.V.
s.p.a. (Avv.ti Riguzzi e Romanelli) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dellAmbiente e Ministero
dei Trasporti e della Navigazione - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 3 febbraio 2005 (c.c. 18 giugno 2004),
sentenza n. 281
Attivit aeroportuale - D.p.r. 496/97 - Emissioni prodotte dalle operazioni aeroportuali - Emissioni
riferibili direttamente al funzionamento dei velivoli - Possibilit di valutazione differenziata - Esclusione.
E legittima la previsione contenuta nellart. 1, D.p.r. 11 dicembre 1997, n. 496, nella parte in cui ha qualificato
lattivit aeroportuale mediante rinvio allart. 3, co. 1, lett. m), punto 3) della legge 26 ottobre 1995, n. 447,
considerando pertanto unitariamente le emissioni rumorose prodotte dalle operazioni aeroportuali e quelle
direttamente riferibili al funzionamento dei velivoli. Ed infatti, le fasi del decollo e dellatterraggio sono
strettamente connesse, sul piano spaziale e funzionale, con lattivit dellaeroporto, sicch il rumore percepito
nellambiente quello complessivo senza che possa artificiosamente distinguersi tra rumore prodotto dallattivit
a terra e quello che, nel medesimo contesto spazio-temporale, proviene da altra fonte. Pres. Giovannini, Est.
Garofoli - A.V.C.V.V. s.p.a. (Avv.ti Riguzzi e Romanelli) c. Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero
dellAmbiente e Ministero dei Trasporti e della Navigazione - CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI - 3 febbraio 2005
(c.c. 18 giugno 2004), sentenza n. 281 (vedi: sentenza per esteso)
Inquinamento acustico - Esercizio di somministrazione allaperto - Limitazione dellorario di apertura Presupposto - Mere segnalazioni di schiamazzi notturni - Insufficienza - Autonomo accertamento
dellamministrazione - Necessit. Il provvedimento di limitazione dellorario di apertura di un esercizio di
somministrazione allaperto non pu fondarsi su mere segnalazioni di eccessivi schiamazzi notturni, dovendo
invece lamministrazione procedere ad un autonomo accertamento e riscontro. Pres. De Leo, Est. Forlenza M.N. (Avv. Iodice) c. Comune di Napoli (Avv.ti Giuseppe Tarallo, Barbara Accattatis Chalons dOranges, Antonio
Andreottola, Eleonora Carpentieri, Bruno Crimaldi, Annalisa Cuomo, Anna Ivana Furnari, Giacomo Pizza, Anna
Pulcini, Bruno Ricci) - T.A.R. CAMPANIA, Napoli, Sez. III - 16 febbraio 2005, n. 1127
Inquinamento acustico - Luoghi di intrattenimento danzante - DPCM 215/99 e decreto 14.11.97 - Rapporti
- Limiti di immissione nelle case di civile abitazione - Rispetto - Necessit. In materia di inquinamento
acustico, il DPCM 215/99 regola le emissioni sonore degli impianti collocati nelle discoteche, mentre il decreto
del 14.11.97 stabilisce i limiti massimi di immissione nelle case di abitazione. Il DPCM citato fa tuttavia salvi i
limiti di immissione di cui al decreto 14.11.97, allo scopo di evitare che il rispetto dei valori di emissione comporti
unautomatica vanificazione di quelli relativi alle immissioni sonore nelle case di abitazione, stante la differenza
tra i due. Di conseguenza, possibile emettere, nelle discoteche, suoni fino a 105 dB, ma non consentito che
lo stesso valore sia immesso nelle case circostanti. Questo significa che i locali adibiti a discoteca o debbono
essere insonorizzati in maniera tale da far raggiungere al suono propagato nelle vicine case di abitazione i limiti
prescritti dalla normativa del decreto 14.11.97, oppure le sorgenti sonore devono emettere un numero di dB
inferiore al limite massimo consentito. Pres. Lazzeri, Est.Cerioni - M.R. e altro (Avv. Pettini) c. Comune di
Firenze (Avv. Selvaggi), A.R.P.A.T. (Avv. Baccetti) e altro (n.c.) - T.A.R. TOSCANA, Sez. III - 18 febbraio 2005,
n. 581
Inquinamento acustico - Sanzioni amministrative - Opposizione - Competenza tribunale - Sussiste Giudice di pace - Esclusione - L. n. 447/1995 - Art. 22 bis, lett. d), L. n. 689/1981 - Art. 98 d.lgs. n.
507/1999. La competenza a conoscere delle opposizioni avverso i provvedimenti di irrogazione di sanzioni
amministrative per violazione delle disposizioni in materia di inquinamento acustico di cui alla L. n. 447 del 1995
spetta per materia al tribunale, come espressamente previsto dall'art. 22 bis, lett. d), L. n. 689 del 1981,
introdotto dall'art. 98 d.lgs. n. 507 del 1999, e non gi al giudice di pace. Presidente R. De Musis, Relatore U. R.
Panebianco, Ric. Comune di Genova, Res. Visaggio. CORTE DI CASSAZIONE Civile, Sez. I, 26 aprile 2005
(ud. 16.03.2005), Sentenza n. 8620
Inquinamento - Immissioni - Azione risarcitoria o inibitoria - Legittimazione - Proprietario - Autore
materiale delle immissioni non proprietario - Litisconsorzio necessario di natura sostanziale o
processuale - Effetti. In tema di immissioni eccedenti la normale tollerabilit ex art. 844 cod. civ., la

legittimazione spetta al proprietario dell'immobile o all'autore materiale delle immissioni in base al criterio del
"petitum". Inoltre, ammesso il cumulo dell'azione risarcitoria e di quella inibitoria; nonostante il cumulo le due
azioni rimangono nettamente distinte (Cass. 15.10.1998, n. 10186), con la conseguenza che l'eventuale
situazione di litisconsorzio necessario di natura sostanziale o processuale che riguarda l'azione inibitoria non si
comunica a quella risarcitoria ed il giudice di appello che la rilevi deve annullare la sentenza e rimettere gli atti al
primo giudice limitatamente all'azione inibitoria. Presidente A. Giuliano, Relatore B. Durante. CORTE DI
CASSAZIONE CIVILE, Sez. III, 29 aprile 2005 (ud. 30/03/2005), Sentenza n. 8999
Inquinamento acustico e atmosferico - Immissioni eccedenti la normale tollerabilit ex art. 844 cod. civ. Proposizione dellazione risarcitoria o inibitoria - Criterio del "petitum". In tema di immissioni eccedenti la
normale tollerabilit ex art. 844 cod. civ., l'azione pu essere proposta anche nei confronti dell'autore materiale
delle immissioni, e quindi del conduttore quando allo stesso debba essere imposto un "facere" o un "non facere"
suscettibile di esecuzione forzata in caso di diniego (Cass. 1.12.2000, n. 15392; Cass. 9.5.1997, n. 4086) o
l'attore chieda puramente e semplicemente la cessazione delle immissioni, mentre va proposta nei confronti del
proprietario o di tutti i comproprietari se mira al conseguimento di un effetto reale, come avviene quando volta
a fare accertare in via definitiva l'illegittimit delle immissioni o ad ottenere il compimento delle modifiche
strutturali del bene indispensabili per farle cessare (Cass. 23.3.1996, n. 2598; Cass. 22.12.1995, n. 13069).
Sicch in base al criterio del "petitum" che va stabilito se la legittimazione spetta al proprietario dell'immobile o
all'autore materiale delle immissioni. Presidente A. Giuliano, Relatore B. Durante. CORTE DI CASSAZIONE
CIVILE, Sez. III, 29 aprile 2005 (ud. 30/03/2005), Sentenza n. 8999
Inquinamento acustico e atmosferico - Immissioni illecite - Azione contro il conduttore - Art. 844 cod.
civ. - Ammissibilit - Condizioni. L'azione diretta a far valere il divieto di immissioni eccedenti la normale
tollerabilit ex art. 844 cod. civ. pu essere esperita anche nei confronti dell'autore materiale delle immissioni,
che non sia proprietario dell'immobile da cui derivano e, quindi, anche nei confronti del locatario di questo stesso
immobile, quando soltanto a costui debba essere imposto un "facere" o un "non facere", suscettibile di
esecuzione forzata in caso di diniego. Presidente A. Giuliano, Relatore B. Durante. CORTE DI CASSAZIONE
CIVILE, Sez. III, 29 aprile 2005 (ud. 30/03/2005), Sentenza n. 8999
Inquinamento acustico - Zonizzazione - Assenza - Circolare del Ministero dellAmbiente e della Tutela del
Territorio 6 settembre 2004 - Diretta applicabilit dei limiti differenziali - Esclusione. Nelle more della
classificazione acustica del territorio ai sensi dellart. 6, c. 1, lett. a), della legge n. 447 del 1995, devono ritenersi
operativi i soli limiti assoluti e non anche quelli differenziali. Non persuade in merito linterpretazione di cui alla
circolare del Ministero dellAmbiente e della Tutela del territorio in data 6 settembre 2004, che adduce la diretta
applicabilit dei limiti differenziali perch ancorati alla suddivisione del territorio comunale che si ricaverebbe ex
se dalla disciplina urbanistica, s da non richiedere una specifica norma che ne autorizzi loperativit medio
tempore. Appare piuttosto corretto ritenere che, in attesa della prescritta zonizzazione, il d.P.C.M. 14 novembre
1997, abbia inteso sospendere lefficacia di tutte le soglie di tollerabilit disciplinate dalla L. 447/95 (valori limite
di emissione, valori limite assoluti di immissione, valori limite differenziali di immissione, valori di attenzione,
valori di qualit), facendo salva lapplicazione, durante il regime transitorio, dei soli limiti previsti dal 1 comma
dellart. 6 del d.P.C.M. 1 marzo 1991. Pres. Cicci, Est. Caso - Unifer s.p.a (Avv. Sgroi) c. Comune di Villanova
sullArda (Avv. Cugurra) - T.A.R. EMILIA ROMAGNA, Parma - 4 maggio 2005, sentenza n. 244
Inquinamento acustico - Accertamenti fonometrici - Assenza di contraddittorio - Violazione del giusto
procedimento - Art. 7 L. 241/1990. Lo svolgimento di accertamenti fonometrici in assenza di contraddittorio
viola il principio del giusto procedimento di cui allart. 7 della legge 241/2000, ai sensi del quale necessaria la
partecipazione ai rilievi di tecnici di fiducia della parte privata e la verbalizzazione delle operazioni e degli
eventuali punti di dissenso. Lamministrazione potr pertanto procedere a controlli autonomi, solo ove
lesperienza dovesse dimostrare che la preventiva conoscenza da parte della ditta non consenta accertamenti
completi e realistici. Pres. Perticone, Est. Lelli - B. s.r.l. (Avv.ti Belli e Carullo) c. Dr. settore salute e sualit sita
-Serv. igiene del Comune di Bologna (Avv.ti Simoni e Todda) e altri (n.c.) riunito ad altro - T.A.R. EMILIA
ROMAGNA, Bologna, Sez. I - 12 maggio 2005, n. 716
Inquinamento acustico - Ordinanza ex art. 9 L. 447/95 - Requisito della temporaneit - Cessazione Conseguenze - Istanza di riesame - Comune - Obbligo di avviare il procedimento. Requisito dellordinanza
ex art. 9 L. 447/95 la temporaneit: latto, cio, destinato a produrre effetti limitati alla durata della situazione
demergenza che sintende fronteggiare; laddove il requisito della temporaneit venga meno, per il venir meno
degli stessi presupposti che avevano legittimato lordinanza, lautorit amministrativa ha il dovere di
riconsiderare la permanenza nellordinamento giuridico del provvedimento al fine di verificare se la persistente
produzione dei suoi effetti risponda ancora al principio si legalit sostanziale. Ne consegue che, ove il
destinatario dellordinanza prospetti allamministrazione un mutamento delle scenario che aveva dato causa
allesercizio del potere amministrativo (nella specie, per lavvenuta presentazione del piano di risanamento) il
Comune ha lobbligo giuridico di avviare il procedimento di riesame circa la permanenza attuale dei presupposti
fondanti lordinanza. Pres. Bianchi, Est. Rotondo - R. (Avv.ti Russillo e DArienzo) c. Comune di Fondi (Avv.
Carloni) - T.A.R. LAZIO, Latina - 16 maggio 2005, n. 413 (vedi:
Inquinamento acustico - Art. 9 L. 447/95 - Potere ordinatorio esercitato dal Sindaco - Natura - Indicazione
specifica di forme di contenimento o di abbattimento delle emissioni - Inibitoria dellattivit fonte di
inquinamento acustico - Differenza. Il potere ordinatorio esercitato dal Sindaco ex art. 9 della l. 447/95 pu

qualificarsi come ordinanza di necessit (id est contingibile e urgente) ove vengano impartite speciali forme di
contenimento o di abbattimento delle emissioni sonore (misure non previamente indicate dal legislatore e
rimesse alla valutazione tecnica e amministrativa dellamministrazione procedente). Quando invece imponga la
specifica e tipica inibitoria dellattivit causa di inquinamento acustico, esso assume la natura di atto di urgenza,
concretandosi in un provvedimento previsto dalla norma e con contenuto dalla stessa definito. Pres. Bianchi,
Est. Rotondo - R. (Avv.ti Russillo e DArienzo) c. Comune di Fondi (Avv. Carloni) - T.A.R. LAZIO, Latina - 16
maggio 2005, n. 413
Inquinamento acustico - Sindaco - Ordinanza contingibile e urgente - Limitazione dellorario di apertura
di un esercizio pubblico - Accertamenti fonometrici - Necessit - Esclusione - Art. 54, c. 3 d. lgs.
267/2000. In virt del combinato disposto dellart. 29 della legge regionale n. 54/98 e dellart. 54, comma 3, del
d. lgs. 267/2000 attribuito al Sindaco il potere adottare provvedimenti, anche relativi a singoli Pubblici Esercizi,
diretti alla limitazione degli orari di apertura nel caso in cui si verifichino situazioni di particolare disturbo al riposo
ed alla quiete del vicinato, riscontrate ed avvalorate da relazione di servizio delle Autorit preposte alla vigilanza
e al controllo: in tal caso non sono richieste le preventive rilevazioni fonometriche effettuate da tecnici
specializzati, che sono invece necessarie qualora il provvedimento sia espressione dei poteri di cui alla legge
quadro sullinquinamento acustico. Pres. Guida, Est. Filippi - P. s.n.c. (Avv. Torrione) c. Comune di Aosta (Avv.
Azioni) - T.A.R. VALLE DAOSTA - 20 maggio 2005, n. 64
Inquinamento acustico - Disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone - Rumorosit in funzione
della tutela della tranquillit pubblica - Esercizio di una professione o di un mestiere rumorosi - Limiti di
intensit delle sorgenti sonore - Finalit delle diverse discipline - Art. 659 C.P. - L. n. 447/1995. In tema di
disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone in relazione all'esercizio di una professione o di un
mestiere rumorosi, per potersi configurare la fattispecie di cui al primo comma del medesimo art. 659 C.P. pur
sempre necessario che siano superati, o non rispettati, i limiti fissati dalla normativa speciale prevista dalla legge
n. 447 del 1995, altrimenti, si darebbe vita ad una sorta di responsabilit penalmente rilevante sul piano della
colpa pur in presenza di una condotta lecita, esercitata nel rispetto dei limiti e delle modalit previste dalla
normativa vigente. Pertanto, le due norme, inserite rispettivamente nel primo e nel secondo comma del citato
art. 659, perseguono scopi diversi, mirando la prima a sanzionare gli effetti negativi della rumorosit in funzione
della tutela della tranquillit pubblica, mentre l'altra, essendo diretta unicamente a stabilire i limiti di intensit
delle sorgenti sonore provenienti dall'esercizio di attivit fisiologicamente rumorose, oltre i quali deve ritenersi
sussistente l'inquinamento acustico, prende in considerazione solo il dato oggettivo del superamento di una
certa soglia di rumorosit, rimanendo impregiudicato, in caso di superamento di tali limiti, l'accertamento se, nel
caso concreto, anche per l'uso smodato di certi strumenti o per l'esercizio dell'attivit rumorosa in orari diversi da
quelli consentiti, sia stato arrecato o meno anche un effettivo disturbo alle occupazioni e al riposo delle persone.
(v., per tutte, Cass., Sez. I, sent. n. 32468 del 1 .4.2004, P.M. c/ Gavio ed altri; Sez. 1, sent. n. 43202
dell'8.11.2002, Romanisio; Sez. I, sent. n. 3123 del 26.4.2000, Civiero ecc.). Presidente T. Gemelli, Relatore A.
Cancheri. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. I, 17 giugno 2005 (ud. 25 maggio 2005), Sentenza n.
23072
Inquinamento acustico - Esercizio di attivit fisiologicamente rumorose - Soglia di rumorosit - Disturbo
alle occupazioni ed al riposo delle persone - Normativa speciale - Art. 659 c.p. concorso tra le fattispecie
previste dal 1 e dal 2 c. - Condizioni - Fattispecie: Autostrada, rumori derivante da traffico veicolare.
Nellipotesi di esercizio di attivit fisiologicamente rumorose, solo in caso di superamento dei limiti di intensit
delle sorgenti sonore oltre i quali sussiste inquinamento acustico, secondo la soglia di rumorosit imposta dalla
normativa speciale, pu procedersi allaccertamento se, nel caso concreto, sia stato arrecato anche un effettivo
disturbo alle occupazioni ed al riposo delle persone, con la conseguenza che le due fattispecie previste dal
primo e dal secondo comma dellart. 659 cod. pen. possono concorrere. (v. Cass., Sez. I, sent. n. 319 del
14.11.2000, Fittabile; Sez. I, sent. n. 382 del 19.11.1999, Piccioni, ecc.). Presidente T. Gemelli, Relatore A.
Cancheri. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. I, 17 giugno 2005 (ud. 25 maggio 2005), Sentenza n.
23072
Inquinamento acustico - Autostrada - Rumori derivante da traffico veicolare - Societa autostrade s.p.a. Esercizio di professione o mestiere rumoroso - Configurabilit - Superamento dei limiti di rumorosit Responsabilit del direttore di tronco - Sussiste - Reato commissivo mediante omissione a carattere
permanente - Contravvenzioni - Art. 659 cod. pen.. La gestione dei tronchi delle autostrade da parte della
societ autostrade s.p.a. costituisce esercizio di professione o mestiere rumoroso e, qualora siano superati i
limiti di rumorosit oltre i quali sussiste inquinamento acustico, leventuale responsabilit del direttore di tronco
per il reato di cui allart. 659 cod. pen. - reato commissivo mediante omissione a carattere permanente - trova il
suo fondamento nellobbligo di attivarsi in base alla speciale disciplina normativa in materia di inquinamento
acustico derivante dal traffico veicolare (D.P.C.M. 1/3/91, L. 26/10/1995 n. 447, D.P.R. 30/3/2004 n. 142).
Presidente T. Gemelli, Relatore A. Cancheri. CORTE DI CASSAZIONE Penale, Sez. I, 17 giugno 2005 (ud. 25
maggio 2005), Sentenza n. 23072
Inquinamento acustico - Tutela astratta in sede di rilascio del titolo edilizio - Esclusione. La tutela
dell'interesse al rispetto delle norme in materia di inquinamento acustico potr realizzarsi - siccome presidiato da
specifiche norme - non gi astrattamente in sede di contestazione del rilascio di titolo edilizio, ma allorch, in
corso di attivit, si verifichino le condizioni previste dalla disciplina vigente in materia. Pres. Venturini - Est.
Salvatore - Francesco Panarello Biscotti e Panettoni S.p.a. (Avv. ti Budello e Mol) c MIGNONE (avv. Clarizia)

ed altri (riforma TAR Liguria (Sezione I), 12 dicembre 2003, n. 1651). CONSIGLIO DI STATO Sez. IV,
21/06/2005, Sentenza n. 3250
Inquinamento acustico - Accertamenti fonometrici - Mancata comunicazione dellavvio del procedimento
- Irrilevanza - Pu essere data in momento successivo ai rilevamenti. In materia di inquinamento acustico,
la ratio della disciplina sulla partecipazione al procedimento non esclude che la comunicazione di avvio del
procedimento possa essere preceduta o supportata da controlli, accertamenti, ispezioni svolti senza la
partecipazione del diretto interessato, che sar edotto di queste attivit con la successiva comunicazione di
avvio del procedimento e, sar, pertanto, messo nella condizione di intervenire nella procedura, e di verifica e
contestare la veridicit o esattezza degli accertamenti compiuti e lidoneit degli strumenti tecnici alluopo
utilizzati (cfr. Cons. Stato, Sez. V - 5 marzo 2003, n. 1224). In siffatte evenienze, il procedimento pu dunque
avere inizio a seguito degli accertamenti svolti, laddove questi evidenzino una concreta esigenza di cura
dellinteresse pubblico. Tuttavia, una volta verificata lentit delle emissioni sonore attraverso rilevamento
fonometrico, lamministrazione incorrer nella violazione di cui allart. 7 della l. 241/90, ove ometta la
comunicazione in ordine allesistenza del procedimento. Pres. Arosio, Est. Grauso - O. s.a.s (Avv.ti Pecora e
Conio) c. Provincia di Imperia (n.c.) - T.A.R. LIGURIA, 1 agosto 2005, n. 1141
Inquinamento acustico e atmosferico - Tipografia - Insediamento di attivit artigianali nelle zone
residenziali - Limiti - Fattispecie. Per ammetterne l'insediamento di attivit artigianali nelle zone residenziali
non sufficiente che dal loro svolgimento non derivino di rumori e/o odori molesti. infatti comunque necessaria
-sempre in base alla lettera e) dell'art. 6 co. 1.1. -la "compatibilit con leggi e regolamenti vigenti". Fattispecie:
cambio di destinazione d'uso di locali residenziali ad artigianali adibiti a tipografia. Pres. Santoro - Est. Lamberti Boscariol ed altro (avv.ti Gambato e Vitucci) c. Socal ed altri (avv ti Ronfini e Verino), (conferma T.A.R. Veneto,
Venezia, Sezione II, 31 marzo 2003, n. 2165). CONSIGLIO DI STATO Sez. V, 23 settembre 2005,
(C.C.5/04/2005), Sentenza n. 5033 sentenze per esteso disponibili sul sito ambiente diritto alla pagina
Giurisprudenza
Tribunale di Genova Sez. III, 13 dicembre 2005 COMUNIONE E CONDOMINIO
L' art. 1117, n. 2 e n. 3, c.c., nell'elencare in via del tutto esemplificativa "le opere, le
installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all'uso comune", ha statuito una
presunzione di propriet condominiale sulle strutture essenziali, ancorch aventi una funzione
complementare e subordinata rispetto a quella degli edifici, presunzione che pu essere vinta
soltanto da un titolo, proveniente da colui che ha costituito il condominio, o successivamente da
tutti i condomini. Par fuor di dubbio, quindi, che l'impianto di aerazione di tipo centralizzato
rientri pienamente tra i beni che il legislatore ha voluto far rientrare nelle parti comuni
dell'edificio.
Tribunale di Genova Sez. III, 14 dicembre 2005 PROPRIETA' E CONFINI
La presenza nel terrazzo di propriet del convenuto nell'azione negatoria, soprastante quello di
propriet dell'attore, dei due fori che consentono alle acque piovane eventualmente accumulate
sul primo terrazzo di scaricarsi liberamente sul sottostante terrazzo, a prescindere dal fatto che
indubbiamente costituisce una molestia al diritto di propriet dell'attore, viene a costituire una
servit di scolo a favore dell'immobile del convenuto e a carico di quello dell'attore.
Corte dAppello di Genova Sez. I, 14 dicembre 2005 LOCAZIONE DI COSE
Il conduttore che, convenuto in un giudizio di sfratto per morosit, abbia richiesto la concessione
del cosiddetto termine di grazia, manifesta implicitamente per ci solo una volont incompatibile
con quella di opporsi alla convalida, sicch, al mancato adempimento nel termine fissato dal
giudice consegue ipso jure l'emissione dell'ordinanza di convalida di cui all'art. 663 c.p.c., senza
che possano assumere rilievo eventuali eccezioni o contestazioni circa la sussistenza l'entit del
credito del locatore rimasto insoddisfatto, sollevate dopo la predetta richiesta di termine per
sanare la morosit.
Tribunale di Genova Sez. III, 15 dicembre 2005 SERVITU'
Qualora le innovazioni apportate al fondo servente non arrechino difficolt all'esercizio della
servit e garantiscano al titolare un ingresso al fondo libero e comodo, le stesse non possono
ritenersi vietate ai sensi dell' art. 1067 c.c.
Tribunale di Genova Sez. III, 15 dicembre 2005 LOCAZIONE DI COSE
Qualora la locazione riguardi un immobile appartenente in compropriet a pi soggetti, ciascuno
di essi pu compiere atti di utile gestione rientranti nell'ordinaria amministrazione della cosa
comune, ivi comprese le relative azioni giudiziali, sul presupposto che vi sia il consenso degli
altri e senza necessit di integrazione del contraddittorio nei loro confronti.
Tribunale di Genova Sez. III, 21 dicembre 2005 COMUNIONE E CONDOMINIO
Atteso che le norme di un regolamento condominiale non possono in alcun modo menomare i
diritti di ciascun condomino, deve, dunque, essere dichiarata nulla una delibera che limiti il
diritto del singolo condomino sul bene di propriet esclusiva.

Tribunale di Genova Sez. III, 22 dicembre 2005 COMUNIONE E CONDOMINIO


La delibera assembleare di destinazione di aree condominiali scoperte a parcheggio autovetture
dei singoli condomini va approvata a maggioranza, non essendo all'uopo necessaria l'unanimit
dei consensi degli aventi diritto al voto.
Tribunale di Genova Sez. III, 3 gennaio 2006 PROPRIETA' E CONFINI
Lo stendere il bucato ed i tappeti in modo da oscurare la finestra dell'appartamento sottostante
costituisce atto emulativo, vietato ai sensi dell'art. 833 c.c., quando possibile utilizzare altre
posizioni o, comunque, stendere in modo da evitare l'oscuramento delle aperture sottostanti.
Corte dAppello di Genova Sez. I, 9 gennaio 2006 SERVITU'
infondata la domanda di costituzione di servit coattiva ex art. 1501 c.c., qualora non si sia in
presenza di un fondo intercluso, risultando esso dotato di una apertura sulla pubblica via per la
quale sia risultata esclusa la impraticabilit.
Corte dAppello di Genova Sez. I, 6 febbraio 2006 LOCAZIONE DI COSE
Anche dopo l'entrata in vigore della legge 27 luglio 1978, n. 392 che non ha abrogato le norme
del codice di rito sul procedimento per convalida di sfratto, sia il provvedimento di convalida ex
art. 663 c.p.c., sia quello di rilascio ex art. 665 c.p.c., assumono forma e natura di ordinanze non
impugnabili, avverso le quali ammissibile esclusivamente l'opposizione tardiva di cui all'art.
668 c.p.c., mentre l'appello rimane limitato alle sole ipotesi in cui le ordinanze siano state emesse
in mancanza dei presupposti legali.
Il singolo condomino pu sempre ottenere il risarcimento per i lavori difettosi Corte di Cassazione - Sezione II Civile,
Sentenza del 27 luglio 2006, n. 17118
In tema di appalto di lavori condominiali, lazione di risarcimento prevista dall' art. 1668 c.c. nei confronti dellappaltatore
per i danni che ne sono derivati a causa della non corretta e regolare esecuzione, pu essere promossa da ciascun condomino
legittimato in proprio ad agire nei confronti dello stesso appaltatore e ci anche se il contratto sia stato stipulato
dallamministratore
Dipendente pubblico e amministratore di condominio: nessun obbligo alla tenuta e alla conservazione delle scritture
contabili Cassazione penale Sez. III, 29 maggio 1998, n. 6308 Non obbligato alla tenuta e alla conservazione delle
scritture contabili, menzionate dall'art. 1, u.c., L. n. 516/1982, il funzionario statale, titolare di redditi di lavoro dipendente,
che svolga continuativamente ed a favore di diversi condomini attivit di amministratore.
Secondo la Cassazione Penale Sez. III, 29 maggio 1998, con sentenza n. 6308, l'attivit di amministratore di condominio
rientra tra i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa previsti dall'art. 49, comma 2, del D.P.R. n. 917/1986, non
soggetti all'Iva e, quindi, ai connessi obblighi formali.
Infatti:
1) essa certamente attivit intellettuale e tecnica, e non meramente materiale, per cui pu esserle riconosciuto contenuto
intrinsecamente professionale (professione intellettuale);
2) viene prestata nell'ambito di un rapporto unitario e continuativo con il condominio (o comunque con i condmini),
riguardando una serie imprecisata di adempimenti a contenuto professionale protratti nel tempo (di regola un anno, a norma
dell'art. 1129 c.c.), finalizzati alla gestione delle cose comuni, e quindi espressione di una relazione non occasionale ed
episodica con il committente, ma programmata in funzione delle esigenze a carattere non transitorio dello stesso;
3) manca qualsiasi vincolo di subordinazione tra l'amministratore ed i predetti, ed anzi, accanto all'obbligo di eseguire le
deliberazioni dell'assemblea, l'amministratore titolare anche di poteri decisionali autonomi, seppure nell'ambito
dell'amministrazione ordinaria, oltre ad avere la rappresentanza dei condmini ed il potere di agire in giudizio pure contro di
essi (art. 1131 c.c.);
4) l'attivit in questione non richiede di per s l'impiego di mezzi organizzati da parte del prestatore, non imponendo il suo
espletamento l'utilizzazione remunerata (a meno che non sia offerta gratuitamente) con compenso fisso riscosso
periodicamente, in genere con il versamento dei contributi condominiali.
Lautorizzazione dellamministratore allazione legale non richiede formule sacramentali Cassazione, sezione
seconda civile 28 febbraio 2006 n.4501 Devono essere interpretate secondo i criteri ermeneutici le delibere assembleari
stabiliti dagli art. 1362 e seguenti c.c., privilegiando, innanzitutto, l'elemento letterale, e quindi, nel caso in cui esso si
appalesi insufficiente, gli altri criteri interpretativi sussidiari indicati dalla legge, tra cui quelli della valutazione del
comportamento delle parti e delle conservzione degli effetti dell'atto.
Provvedimenti in materia di revoca degli amministratori di condominio
Cassazione, Sez. II Civ., sentena del 26 giugno 2006, n. 14742
I provvedimenti emessi in materia di revoca degli amministratori di condominio sono ricorribili per Cassazione per il capo
concernente le spese di giudizio.
La Corte ha escluso, invece, la ricorribilit della pronuncia di merito, in quanto di natura sostanzialmente cautelare e
comunque tale da non pregiudicare, per lamministratore revocato, la facolt di far valere in sede di cognizione ordinaria i
propri diritti, sia pure al limitato fine di una tutela risarcitoria.
CASA. Cassazione: "Non sono reato gli insulti condominiali"
03/11/2006 - 10:23 La Corte di Cassazione ha annullato la condanna a 250 euro di multa per ingiuria continuata ad una

signora in provincia di Chieti, che aveva insultato i suoi vicini perch il cane era stato lasciato libero di fare i suoi bisogni
fuori del balcone, sporcando la biancheria stesa dell'accusata. Per la Corte, per, "sussiste l'esimente quando la reazione
iraconda segua immediatamente il fatto ingiusto altrui, mentre, ai fini della configurazione della circostanza attenuante
comune, non occorre che la reazione sia immediata, ma consegua ad un accumulo di rancore per effetto di reiterati
comportamenti ingiusti, esplodendo anche a distanza di tempo, in occasione di un episodio scatenante".
Cassazione: condominio: il proprietario deve risarcire le molestie subite dall'inquilino La Terza Sezione Civile della
Corte di Cassazione (Sent. 2531/2006) ha stabilito che in tema di condominio, il proprietario tenuto al risarcimento per le
molestie subite dall'inquilino. I Giudici del Palazzaccio, nella decisione, hanno definito la molestia di diritto per la quale, ai
sensi dell'art. 1585 c.c., il proprietario deve garantire l'inquilino e, conseguentemente, tenerlo indenne. In particolare i
Giudici hanno sottolineato che la molestia di diritto si verifica ogni qual volta un terzo, reclamando sul bene locato diritti
(reali o personali) in conflitto con le posizioni accordate all'inquilino nel contratto stipulato, compia atti implicanti la perdita
o comunque la menomazione del godimento del conduttore.
Lart. 1123 c.c., nel consentire la deroga convenzionale al criterio legale di ripartizione delle spese condominiali,
non pone alcun limite allautonomia dei condmini, oltre alla necessit dellunanimit dellaccordo, con la
conseguenza che deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca le spese tra i condmini in
misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda lesenzione totale o parziale per taluno dei
condmini di partecipare alle spese medesime
(Cass. 16-12-1988, n. 6844) Lart. 1123 c.c., nel consentire la deroga convenzionale al criterio legale di
ripartizione delle spese condominiali, non pone alcun limite allautonomia dei condmini, oltre alla necessit
dellunanimit dellaccordo, con la conseguenza che deve ritenersi legittima non solo una convenzione che
ripartisca le spese tra i condmini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda lesenzione
totale o parziale per taluno dei condmini di partecipare alle spese medesime.
Nozione di grave difetti Caduta dellintonaco per infiltrazioni di umidit e vizi relativi allimpermeabilizzazione
Cass. sez. II, n. 7254 del 29/03/2006
In tema di appalto, nella nozione di gravi difetti di cui all'art. 1669 del codice
civile, sono compresi non soltanto quelli incidenti sugli elementi strutturali del fabbricato, ma anche i vizi costruttivi che
alterino in modo apprezzabile il normale godimento, la funzionalit o l'abitabilit dell'immobile ed impediscano che questo
fornisca l'utilit cui destinato.
In tal contesto, si ritiene che integrino i gravi difetti, riconducibili alla previsione dellarticolo 1669, anche la caduta
dell'intonaco dovuta ad infiltrazioni d'umidit, i difetti di costruzione che interessano i tetti e quelli attinenti alla
impermeabilizzazione del manto di copertura dell'edificio.
Miglioramenti ed addizioni alla cosa locata
Cass. sez. III, n. 6094 del 20/03/2006
In tema di miglioramenti ed addizioni all'immobile apportate dal conduttore, se il locatore vi ha prestato consenso e queste,
non separabili senza nocumento della cosa locata, costituiscano miglioramento e, cio, comportino incremento del valore
della cosa stessa, il locatore non pu pretenderne la rimozione e il conduttore ha diritto allindennit prevista dallarticolo
1592 del codice civile, mentre a nessuna indennit il conduttore ha diritto nellipotesi di mancanza di consenso, a nulla
rilevando che il locatore acquisisca le addizioni.
Qualora, invece, le addizioni comportino deterioramento della cosa locata, il locatore pu chiedere il risarcimento del danno
in forma specifica mediante leliminazione da parte del conduttore delle opere da lui abusivamente eseguite.
Risarcimento del danno subito per insufficiente grado di riscaldamento nel caso di colpevole omissione del
condominio Cass. sez. II, n. 12956 del 31 maggio 2006
Nel caso di colpevole omissione del condominio di provvedere all'adeguamento e alla riparazione dell'impianto
centralizzato di riscaldamento, per insufficiente erogazione di calore nell'appartamento di un condomino, si pu pretendere
il risarcimento del danno conseguente subito, ma non la restituzione dei contributi versati per il godimento del servizio
fornito in precedenza anche se entro determinati limiti.
La richiesta di risarcimento del danno non pu equipararsi al fatto di chiedere il rimborso di quanto speso per la
riparazione Cassazione,sez. II, sentenza n. 19080 del 05/09/2006 La richiesta di risarcimento del danno e di rimborso
delle spese sostenute da un inquilino, in seguito a un danno causato dall'impianto fognario (basandosi sul fatto che il
condominio custode dellimpianto fognario e riferendosi all' articolo 2051 c.c.) non va indirizzata al condominio ma al
locatore.
La contrapposizione tra il diritto al risarcimento del danno ex art. 2051 del codice civile ed il rilievo circa l'insussistenza di
una norma che autorizzi il conduttore all'esecuzione di opere di straordinaria manutenzione con rivalsa nei confronti del
Condominio... evidenzia come la richiesta di rimborso delle spese sostenute per la riparazione della rete fognaria non possa
assolutamente essere assimilata ad una domanda di risarcimento danni.
Impianto di riscaldamento centralizzato: omessa riparazione e risarcimento
Cassazione , sez. II civile, sentenza 31.05.2006 n 12956 Il singolo condomino non titolare verso il condominio di un
diritto di natura sinallagmatica, poich l'obbligo di pagamento degli oneri condominiali trova causa nella disciplina del
condominio e non in un rapporto contrattuale che obblighi. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 12956
del 31 maggio 2006, precisando che il condomino, il quale lamenti l'insufficiente grado di riscaldamento nel proprio
appartamento e la colpevole omissione del condominio nel provvedere alla riparazione dell'impianto centralizzato, pu
pretendere il risarcimento del danno conseguente subito, ma non la restituzione dei contributi versati per il godimento del
servizio fornito.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=1538

La stipula dei contratti di assicurazione di fabbricati in condominio, in quanto atto volto a conservare la cosa comune,
rientra fra i compiti propri dellamministratore, il quale vi pu provvedere senza la necessit di una preventiva delibera
assembleare, Questa la precisa indicazione contenuta nella sentenza del tribunale di Roma dell11 agosto 1998. In questo
senso si pronunciata anche la Corte di Cassazione con decisione numero 2757/1963.
Cass.civ.,sez.II,4 marzo 2000,n.2473,Delfini c.Basello ed altri.(L. 28 febbraio 1985,n.47,art.26 ;c.c.,art.817 ). In tema di
pertinenze,tra le singole unit immobiliari di propriet esclusiva dei condomini e le relative aree di parcheggio esiste un
vincolo pertinenziale ex lege,previsto dalla norma di cui all art.26 della legge 28 febbraio 1985,n.47 (a mente della quale
gli spazi di cui allart.18 della legge 765/67 costituiscono pertinenze delle costruzioni,ai sensi degli artt.817,818 ed 819
c.c.)
Cass.civ., sez.II, 10 maggi 2000, n.6001, Cometti c.Ferri. (C.c., art.817 ;c.c., art.818 ).[RV536374 ] Una pertinenza in
comunione pu essere destinata al contemporaneo servizi di pi cose principali appartenenti ciascuna in propriet esclusiva
ai condomini della pertinenza.
Cass.civ., sez.II, 8 novembre 2000, n.14528, Schiavone Francesco c. Feroleto C.R.e altri. (C.c., art.817 ).
ammissibile una pertinenza in comunione al servizio di pi immobili appartenenti in propriet esclusiva
ai condomini della pertinenza stessa. I testi dei documenti qui riprodotti sono desunti agli Archivi del Centro
elettronico di documentazione della Corte di cassazione.I titoli sono stati elaborati dalla redazione.
Lasservimento reciproco del bene comune (accessorio)consente di ritenere implicitamente sussistente la
volont dei comproprietari di vincolare i beni accessori comuni a favore delle rispettive propriet esclusive (beni
principali).
Corte di Cassazione penale Sez. III, 19 febbraio 2001, n. 6580 (ud. 18 dicembre 2000). Pres. Acquarone - Est.
Mannino - P.G. De Nunzio (diff.) - Ric. Privitera ed altro. Edilizia urbanistica - licenza concessione edilizia - opere
soggette - ampliamento di un edificio preesistente - pertinenza - esclusione. In tema di edilizia, non
costituisce pertinenza in quanto priva di autonomia, bens ampliamento del preesistente edificio e,
quindi, parte di esso, l'opera abusiva costituita da due vani aggiunti all'edificio preesistente con struttura e
dimensioni tali da escludere la destinazione d'uso esclusiva a funzione del servizio e, perci, soggetti a
concessone cos come l'edificio del quale costituiscono ampliamento. Svolgimento del processo e motivi della
decisione - avverso la sentenza della Corte d'appello di Palermo 27 giugno 2000 n. 4373 - con la quale, in
parziale riforma della sentenza del Pretore di Agrigento 28 settembre 1999, da loro appellata, sono stati
dichiarati colpevoli del reato indicato in epigrafe, per vaer abusivamente costruito n. 2 manufatti con copertura in
lamiera, rispettivamente su un'area di mq 50 e mq 15 - Giuseppe Privitera e Alfonsa Carbone hanno proposto
ricorso per cassazione, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi:
Erronea applicazione e
applicazione (art. 606 lett. A c.p.p.) delle norme urbanistiche perch i due manufatti, di mq 35 e mq 15,
rispettivamente a deposito di attrezzi di giardinaggio, cantina e installazione di impianti tecnologici (autoclave e
caldaia), l'uno, e a wc, l'altro, costituivano pertinenze dell'edificio principale ed erano soggetti a semplice
autorizzazione. Violazione (art. 606 lett. a c.p.p.) dell'art. 22 L. 1985 n. 47 perch gli imputati hanno proposto
domanda di concessione in sanatoria ex art. 13 L. 1985 n. 47, ricorrendo al Tar contro il provvedimento di
rigetto. L'impugnazione inammissibile perch manifestamente infondata.
Il primo motivo , infatti, privo di consistenza.
L'art. 7 D.L. 23 gennaio 1982 n. 9, conv. in L. 25 marzo 1982, n. 94, assoggetta a concessione gratuita - purch
conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti e non sottoposte ai vincoli previsti dalle leggi 1 giugno
1930 n. 1089 (tutela delle cose di interesse artistico e storico) e 23 giugno 1939 n. 1497 (protezione delle
bellezze naturali), entrambe abrogate e sostituite dal D.Lvo 29 ottobre 1999 n. 490 (T.U. delle disposizioni
legislative in materia di beni culturali e ambientali) - le opere costituiente pertinenze o impianti tecnologici al
servizio di edifici gi esistenti. L'equiparazione, ai fini degli strumenti di piano, della pertinenza all'impianto
tecnologico dimostra che deve trattarsi di un'opera autonoma - e, quindi, non di una parte (finestra, balcone,
ecc.) anche in ampliamento (camera, vano-scale) dell'edificio, compresa nella struttura di esso ed , quindi,
priva di autonomia (Cass. Sez. III, 12 ottobre 1985, n. 11328, ric. Rizzo; id, 13 febbraio 1987 n. 6793, ric. Di
Giambattista; 19 giugno 1987 n. 12652, ric. Mercurio; 9 ottobre 1987 n. 1064, ric. P.G. in proc. Gianfaldone; 22
giugno 1988 n. 4869, ric. Bazzuco; 6 agosto 1981 n. 9133, ric. Palma; 5 luglio 1994 n. 1316, ric. Esposito; 21
marzo 1997 n. 4056, ric. Fera) - la cui funzione strumentale, connessa con le modeste dimensioni, deriva dalla
sua natura e non dalla destinazione datale dall'autore, che esaurisce la propria destinazione d'uso nel rapporto
funzionale con l'edificio principale e da questo si distingue dall'opera autonoma a carattere non pertinenziale, in
cui manca la destinazione d'uso eslcusiva a scopo di servizio o di ornamento di un diverso edificio. Esempio di
pertinenza dato dai parcheggi previsti dall'art. 9 L. 24 marzo 1989 n. 122, modificato dall'art. 17 comma 90 L.
15 maggio 1997 n. 127 e dall'art. 37 L. 7 dicembre 1999 n. 472, costruiti nel sottosuolo o al primo piano di un
edificio preesistente. Nella specie, i due manufatti non hanno natura pertinenziale perch costituiscono due vani
in ampliamento del preesistente edificio, peraltro gi abusivo e oggetto di condono edilizio, e, quindi, parte di
esso, con struttura e dimensioni tali da escludere - cos come correttamente ha ritenuto la sentenza impugnata la destinazione d'uso esclusiva a funzione di servizio, e perci soggetti a concessione cos come l'edificio del
quale costituiscono ampliamento. Il secondo motivo manifestamente infondato. L'art. 22 L. 28 febbraio 1985 n.
47 dispone che l'azione penale relativa alle violazioni edilizie rimane sospesa finch non siano stati esauriti i
procedimenti amministrativi di sanatoria, di cui al comma primo della stessa legge, e non si riferisce, quindi, ai
procedimenti instaurati davanti alla giurisdizione amministrativa per l'impugnazione dei provvedimenti relativi alla
mancata concessione della sanatoria. Secondo l'orientamento di questa Corte (Cass. Sez. III, 15 marzo 1994, n.

3113) la sospensione ex art. 22 cit. decorre dal deposito della domanda di concesione in sanatoria e si protrae
per i sessanta giorni necessari per l'esame della stessa, decorsi infruttuosamente i quali per la disposizione
dell'art. 13 L. 1985 n. 47 la domanda si intende respinta. Nella specie i ricorrenti si dolgono senza fondamento
della mancata sospensione del processo penale in relazione alla concessione in sanatoria da parte del sindaco.
Nozione di pertinenza e disciplina del titolo Consiglio di Stato , sez. IV, sentenza 08.08.2006 n 4780 Si
intendono per pertinenze, ai sensi dellart. 817 del codice civile, "le cose destinate in modo durevole a
servizio o ad ornamento di unaltra cosa", cio secondo la unanime rappresentazione che di tali opere
fatta quelle non costituenti in opere autonome ma in una pertinenza dellimmobile gi esistente. In
questo senso si espressa la Quarta Sezione del Consiglio di Stato, in una vicenda nella quale il ricorrente si
era visto opporre diniego di rilascio di titolo edificatorio in quanto lopera che intendeva realizzare (in questo
caso, una piscina allinterno della propriet privata di cui titolare) non era ritenuta dal Comune una pertinenza,
accessoria al fabbricato ad uso abitativo gi esistente, bens un autentico manufatto configurante una nuova
edificazione. Con la decisione che segue, i Giudici di Palazzo Spada hanno dunque chiarito che, anche nel
diritto dellurbanistica e delledilizia, il concetto di pertinenza e rimane quello delineato dallarticolo 817 del
Codice Civile, ed perci illegittimo il diniego che venisse opposto allistanza di rilascio del titolo basandosi sulla
qualificazione di nuova edificazione anzich di manufatto pertinenziale a servizio di un bene gi esistente. A
livello normativo, del resto, noto come oltre alla definizione che ne offre la fonte civilistica il D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380 escluda espressamente le pertinenze dalla definizione di nuova edificazione ove stabilisce che
sono "interventi di nuova costruzione", quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti
nelle categorie definite alle lettere precedenti. Sono comunque da considerarsi tali: [...] la costruzione di
manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l'ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente,
fermo restando, per gli interventi pertinenziali (articolo 3, lett. e), sotton. e1)) che di questi possono considerarsi
nuove costruzioni solo quelli che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e
al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che
comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell'edificio principale. Ovviamente,
noto al lettore che, ove non si configurino quali nuove edificazioni nel senso di cui si detto, le pertinenze sono
sottratte al regime della concessione edilizia (rectius, permesso di costruire). Invero, sullargomento si
registrano numerosi e diversi orientamenti, caratterizzati da sfumature di posizioni anche molto distanti: si va
dalla Corte di Cassazione (ad esempio, si legga la sentenzqa della III sezione penale, n. 26197/2003) a tenore
della quale il permesso di costruire necessitato per tutti quegli interventi che comportino la realizzazione di
fabbricati che si elevino al di sopra del suolo ma anche di quelli che, pur interrati, costituiscono modificazione
permanente e durevole dello stato dei luoghi al Consiglio di Stato (ex multis, sentenza della V sezione, n.
2575/2002) per il quale le opere pertinenziali sottostanno al regime della concessione edilizia solo laddove
vadano ad essere eseguite nellambito di zone soggette a regimi vincolistici (paesistico, ambientale o
idrogeologico). Ma anche nella stessa giurisprudenza amministrativa non mancano le interpretazioni divergenti,
per cui alcuni sostengono la necessit di un titolo c.d. forte quale il permesso di costruire (ex multis, T.A.R.
Lazio Roma, sezione I bis, sentenza 17 novembre 2005 nonch sezione II ter, sentenza 20 giugno 2003, n.
2737) e altri si limitano a ribadire la necessit del rilascio di un titolo autorizzatorio (quale interpretazione
maggioritaria, T.A.R. Campania Napoli, sezione II, sentenza 2 luglio 2004, n. 9876 nonch T.A.R. Veneto.
Sezione II, sentenza 27 luglio 2002, n. 3719).Tuttavia, anche in considerazione delle logiche imposte dalla
norma, non pare non si possa che aderire alla posizione espressa ancora una volta dal Consiglio di Stato.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=35151
Decreto ingiuntivo non opposto: accoglimento parziale e ambito del giudicato
Cassazione , SS.UU. civili, sentenza 01.03.2006 n 4510 Il decreto ingiuntivo non opposto acquista autorit e efficacia di
cosa giudicata solo in relazione al diritto consacrato e non con riguardo dalle domande, o ai capi di domanda non accolti.
La regola contenuta nellarticolo 640, ultimo comma Cpc (secondo cui il rigetto della domanda di ingiunzione non
pregiudica la riproposizione della domanda, anche in sede ordinaria), infatti, trova applicazione sia in caso di rigetto
totale della domanda di ingiunzione che di rigetto parziale (e, quindi, di accoglimento solo in parte della richiesta). E'
questo il principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 4510 del 1 marzo
2006, hanno composto un contrasto di giurisprudenza inerente allambito oggettivo del giudicato formatosi per effetto della
mancata opposizione a decreto ingiuntivo e, in particolare, per il caso in cui il decreto non opposto abbia accolto
parzialmente la domanda del creditore in sede monitoria. http://www.altalex.com/index.php?idnot=10449
L'amministratore pu autonomamente e immediatamente richiedere un decreto ingiuntivo senza l' autorizzazione assembleare
Cass. Sez. II n. 27292 del 9 dicembre 2005 L'amministratore legittimato ad agire ed a chiedere il decreto ingiuntivo previsto dall'art.
63 delle disposizioni di attuazione del c.c., contro il condomino moroso per il recupero degli oneri condominiali una volta che l'assemblea
abbia approvato il rendiconto consuntivo sia delle spese ordinarie sia di quelle eventuali straordinarie e abbia contestualmente deliberato
sulla loro ripartizione, nonostante la mancanza dell'autorizzazione a stare in giudizio rilasciata dall'assemblea condominiale.
L'installazione di serbatoi idrici di ridotte dimensioni nel cortile condominale costituisce innovazione Corte di Cass. Civile, Sez.
II, 14 giugno 2006, n. 13752
Il rispetto del principio generale di cui allarticolo 1102 c.c., e delle conseguenti regole, dettate dallarticolo 1120 c.c., in tema di
innovazioni di beni condominiali, nei casi in cui parti del bene comune siano di fatto destinate a uso e comodit esclusiva di singoli
condomini, impone al giudice di merito unindagine diretta allaccertamento di due condizioni:
a) che il bene, nelle parti sia sufficiente a soddisfare anche le potenziali analoghe esigenze dei rimanenti partecipanti alla comunione;
b) che lo stesso, ove tutte tali esigenze venissero soddisfatte, non perderebbe la sua normale ed originaria destinazione, al qual fine
sarebbe necessaria l'unanimit dei consensi dei partecipanti.
(Nella fattispecie si ritenuto illegittima la disposizione in cortile di piccoli serbatoi idrici che risultavano ad esclusivo servizio di alcuni

appartamenti e non di tutti.)


Risoluzione del contratto di locazione anticipata rispetto alla naturale scadenza Cass. civile Sentenza, Sez. III, 29/09/2006, n.
21245 La risoluzione del contratto di locazione, anticipata rispetto alla naturale scadenza del contratto non ricollegabile alla volont
del locatore bens allinadempimento di parte conduttrice. Alla data di riconsegna dellimmobile va invero limitato il pagamento della
penale (cos come la condanna al pagamento del canone) in quanto a tale data parte locatrice ha accettato la restituzione dellimmobile,
senza formulare riserva alcuna di ripetizione dei canoni non corrisposti
Acquisto della propriet esclusiva di ciascun proprietario del suolo della porzione verticale corrispondente Cass. civ., sez. III, 9
marzo 2006, n. 5112
Allorquando pi soggetti, singolarmente proprietari in via esclusiva di aree tra loro confinanti, si accordino per realizzare su tali aree
accorpate una costruzione, sia pure concepita e progettata in modo unitario, ciascuno di essi diventa proprietario, patimenti in via
esclusiva per il principio dell'accessione (art. 934 c.c.), della parte di edificio che viene ad insistere in proiezione verticale sull'area a lui
appartenente (sempre che non intervengano delle convenzioni, rivestite della forma scritta "ad substantiam" a norma dell'art. 1350 c.c.,
atte a modificare la situazione giuridica prodottasi per effetto dell'indicato principio), con la conseguenza che anche le opere e strutture
inscindibilmente poste al servizio dell'intero fabbricato, (es. scale, androne, impianto di riscaldamento etc.) rientrano per accessione, in
tutto o in parte a seconda della loro collocazione, nella propriet esclusiva dell'uno o dell'altro "dominus soli", salvo l'instaurarsi sulle
medesime, in quanto funzionalmente inscindibili, di una comunione incidentale di uso e di godimento, che comporta l'obbligo dei singoli
proprietari di contribuire alle relative spese di manutenzione e di esercizio in proporzione dei rispettivi diritti dominicali. (C.c., art. 934;
c.c., art. 1100; c.c., art. 1104; c.c., art. 1117)

Ristrutturazione edilizia: contenuti e limiti della fattispecie


Consiglio di Stato , sez. V, sentenza 30.08.2006 n 5061 In relazione allart. 31, lett. d), della legge 5 agosto 1978, n. 457,
che definiva lavori di ristrutturazione edilizia "quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme
sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi
comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi impianti", la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha ripetutamente chiarito che, ai sensi della
norma avanti citata, il concetto di ristrutturazione edilizia comprende anche la demolizione seguita dalla fedele
ricostruzione del manufatto, purch tale ricostruzione assicuri la piena conformit di sagoma, di volume e di superficie tra
il vecchio ed il nuovo manufatto, e venga, comunque, effettuata in un tempo ragionevolmente prossimo a quello della
demolizione. Infatti, l'articolo 31 formulato in modo di favorire le opere migliorative eseguite su manufatti gi esistenti.
Tuttavia, per effetto della normativa introdotta dallart. 1 del d.lgs. 27 dicembre 2002 n. 301, il vincolo della fedele
ricostruzione venuto meno, cos estendendosi ulteriormente il concetto della ristrutturazione edilizia; non per questo,
per, vengono meno i limiti che ne condizionano le caratteristiche e consentono di distinguerla dallintervento di nuova
costruzione: vale a dire la necessit che la ricostruzione corrisponda, quanto meno nel volume e nella sagoma, al
fabbricato demolito. Con questa sentenza il Consiglio di Stato in sede Giurisdizionale, Sezione V, ha provveduto ad
annullare e riformare quanto precedentemente deciso dal Tribunale Amministrativo per la Regione Piemonte con sentenza
13 marzo 2002, n. 627.La fattispecie concerneva lasserita ristrutturazione di un fabbricato a destinazione residenziale,
ristrutturazione passata attraverso la demolizione e ricostruzione del medesimo, con variazione volumetrica e nuovo
frazionamento in verticale (aumento dei piani) e in orizzontale (revisione della spartizione interna dei volumi in
vani).Lappellante soccombente in prime cure eccepisce, con lappello, la non corrispondenza della suddetta fattispecie
concreta a quella astrattamente definita dal legislatore con la nozione di ristrutturazione edilizia: ed su questo punto che si
soffermano i Giudici di Palazzo Spada.Si parte infatti con la ricognizione dei limiti e della sostanza dellarticolo 3 del
D.P.R. n. 380/2001 (interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che
possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il
ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi
elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella
demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e
caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla
normativa antisismica) in combinato disposto con larticolo 31, lettera d) (quelli rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal
precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, la
eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi impianti), della legge n. 457/1978.Tuttavia, il d.lgs. n. 301/2002 con
larticolo 1 ha ridisegnato i limiti della suddetta definizione, eliminando il vincolo c.d. della fedele ricostruzione, pur
restando ferma la necessit che la ricostruzione corrisponda, quanto meno nel volume e nella sagoma, al fabbricato
demolito (Cons. St., Sez. IV, 28 luglio 2005 n. 4011).Insomma, una pronuncia interessante che aiuta a capire i contenuti ed
i limiti della definizione da attribuirsi alla tipologia di intervento edilizio della ristrutturazione edilizia.
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Condominio: il sottosuolo delledificio di propriet comune
Cassazione , sez. II civile, sentenza 09.03.2006 n 5085 Il principio generale dettato dallarticolo 840 c.c., secondo cui "la
propriet del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ci che vi si contiene, e il proprietario pu fare qualsiasi escavazione
od opera che non rechi danno al vicino", non pu trovare applicazione in materia condominiale dove il limite ultimo del
proprietario del piano pi basso, rappresentato dal sedime del fabbricato. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione,
con la sentenza 25 ottobre 2005 depositata il 9 marzo 2006 n. 5085 confermativa di un orientamento giurisprudenziale
univoco e ormai consolidato in base al quale il suolo su cui sorge ledificio, se il contrario non risulta dal titolo, deve
considerarsi comune, per espressa previsione dellarticolo 1117 del Codice civile. Tale previsione ha orientato la
prevalente giurisprudenza nel senso che al proprietario esclusivo del piano pi basso, ovunque collocato (interrato,
seminterrato, al livello del piano di campagna) impedito di effettuare, senza il consenso unanime di tutti i condomini,
qualsiasi scavo o ampliamento per un maggiore godimento della sua unit immobiliare. Secondo un indirizzo dei giudici

(anche di merito) largamente maggioritario, qualsiasi opera sotto ledificio andrebbe a ledere il diritto di compropriet, in
quanto priverebbe gli altri condomini dell'uso e del godimento, anche soltanto potenziale di una parte comune (sottosuolo
delledificio ancorch non menzionato espressamente da detto art. 1117). E stato pure chiarito che la superficie su cui
ledificio insiste (suolo su cui sorge ledificio nella previsione del Codice) si considera l'area delimitata orizzontalmente
dalle mura perimetrali sulla quale poggia il pavimento del piano pi basso, sia che questo emerga rispetto al terreno
circostante o sia invece interrato. Nel caso di specie, era stata chiesta al tribunale la riduzione in pristino di un locale
interrato adibito a cantina, che era stato modificato dalle proprietarie sia ampliando laltezza del locale (mediante
l'abbassamento del pavimento) che aumentando la superficie mediante la riduzione dello spessore di un muro maestro e la
diminuzione della larghezza di un corridoio di accesso a una cantina appartenente alle attrici (nuda proprietaria e
usufruttuaria).
Le convenute si difesero in primo grado sostenendo la piena legittimit del loro operato, tanto che i
giudici di merito avevano in parte accolto le loro censure. All'esito dell'istruzione della causa, con sentenza del 14
settembre 1998 il Tribunale di Pistoia accolse solo parzialmente la domanda, condannando le convenute a ripristinare il
passaggio nel corridoio secondo la sua ampiezza originaria. La decisione del tribunale, impugnata in via principale dalle
proprietarie della cantina che avevano chiesto la completa riduzione in pristino e incidentalmente dalla proprietaria del
locale ampliato (era intanto deceduta lusufruttuaria), stata integralmente confermata dalla Corte di Appello di Firenze,
che con sentenza del 12 gennaio 2001 ha rigettato entrambi i gravami. La Corte di appello ha confermato il rigetto della
domanda di riduzione in pristino, nella parte concernente l'abbassamento del pavimento ritenendo che alla propriet
esclusiva appartenesse anche il suolo sottostante al livello di calpestio originario del locale. In sostanza ha ritenuto lecito
l'operato delle originarie convenute, per il fatto che il loro locale interrato fosse posto "tra le fondamenta" del fabbricato, il
cui livello minimo non era stato superato, neppure in seguito all'abbassamento del pavimento.
Quanto all'ampliamento in
senso orizzontale della cantina delle originarie convenute, effettuato mediante la riduzione dello spessore di un muro
maestro, la Corte di Appello ha confermato il rigetto della domanda di riduzione in pristino, in quanto ha ritenuto essersi
trattato di un uso lecito, alla stregua del disposto dell'art. 1102 cod. civ., in quanto rispettoso sia della normale
destinazione della cosa, sia della possibilit di un'altrui paritaria utilizzazione. Sul mancato accoglimento delle due
domande di riduzione in pristino si fondano due dei tre motivi del ricorso (principale) per Cassazione (la proprietaria del
locale ampliato si costituita con controricorso, formulando a sua volta due motivi di impugnazione in via incidentale).
Con il primo motivo del ricorso, stata denunciata "insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia" e "mancata e/o errata applicazione artt. 840, 1102 e 1117 del codice civile", per avere la Corte di appello
erroneamente e ingiustificatamente ritenuto di propriet esclusiva il suolo sottostante al livello di calpestio originario del
locale. La doglianza stata ritenuta fondata dalla Cassazione perch il principio sancito dall'art. 840 cod. civ., secondo cui
"la propriet del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ci che vi si contiene, e il proprietario pu fare qualsiasi
escavazione od opera che non rechi danno al vicino", non applicabile nei condomini, poich "il suolo su cui sorge
l'edificio", per il disposto dell'art. 1117 cod. civ., "oggetto di propriet comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni
di piani".
Dai giudici di legittimit, viene precisato che il sedime del fabbricato costituisce dunque il limite ultimo delle
propriet individuali, le quali non si espandono usque ad infera, neppure se sono ubicate nel piano pi basso (o in una sua
porzione). Quanto alla locuzione "suolo su cui sorge l'edificio", i giudici ricordano che stato gi precisato dalla
giurisprudenza di legittimit come debba interpretarsi tale previsione. Deve intendersi nel senso che si tratta della
superficie su cui insiste immediatamente la parte infima dello stabile, ossia l'area, delimitata orizzontalmente dalle
proiezioni delle mura perimetrali, sulla quale poggia il pavimento del piano pi basso, sia che questo emerga in tutto o in
parte dal terreno circostante, sia che si trovi pi in profondit, in modo da risultare completamente interrato, sicch in ogni
caso non consentito al proprietario di quel piano (o di una sua porzione) estendere verticalmente il suo dominio,
appropriandosi il corrispondente sottosuolo, il quale costituisce anch'esso una delle "parti comuni dell'edificio". Quindi,
viene fatto osservare che, la Corte di merito, pur avendo richiamato questi principi non vi si attenuta, ma ne ha frainteso
la portata, ritenendo lecito l'operato delle originarie convenute, per il fatto che il loro locale interrato posto "tra le
fondamenta" del fabbricato, il cui livello minimo non stato superato, neppure in seguito all'abbassamento del pavimento.
Con questa ultima decisione viene pure chiarito, dai giudici di legittimit, che in realt il riferimento alle fondazioni cui
hanno fatto riferimento alcune delle sentenze pronunciate dalla Cassazione nella materia di cui si tratta, era inteso soltanto
per affermare che il "suolo su cui sorge l'edificio" non si identifica con il "piano di campagna", se questo stato scavato per
ricavare uno o pi piani sotterranei, i quali ben possono appartenere ai singoli, anzich avere natura condominiale. Ci,
tuttavia, non esclude che le propriet individuali restano delimitate verticalmente dalla superficie di appoggio del pi
basso dei piani dell'edificio, anche quando le fondazioni (intese sia come il prolungamento nel terreno dei muri maestri
perimetrali e interni, o dei pilastri portanti, sia come la platea orizzontale che eventualmente collega tali strutture)
arrivano ancora pi in profondit: corrispondentemente al linguaggio comune e tecnico, l'art. 1117 cod. civ. indica il
"suolo" e le "fondazioni" come precise e ben distinte parti dell'edificio, sicch arbitrario far coincidere necessariamente il
limite inferiore dell'uno con quello che raggiungono le altre. Nelle ipotesi come quella in considerazione, secondo la
Cassazione, non si pu considerare, come ha fatto la Corte di appello, che ogni diritto reale proporzionato all'utilit che il
titolare pu trame, nel senso che questa sussiste per i singoli proprietari del piano pi basso, e non per il condominio. In
materia condominiale, la delimitazione dei loro rispettivi diritti stabilita dalla legge - che include tra le "parti comuni" il
"suolo su cui sorge l'edificio", inteso nel senso che si detto, con inclusione del relativo sottosuolo - sicch non consentito
all'interprete sostituirla con una propria e diversa. Con il secondo motivo del ricorso stata fatta valere "omessa e/o
insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia" e di "mancata e/o erronea applicazione artt. 1102 e
1117 del codice civile", per avere la Corte di appello confermato il rigetto della domanda di riduzione in pristino, anche
relativamente all'ampliamento in senso orizzontale della cantina, effettuato mediante la riduzione dello spessore di un muro
maestro. Secondo la ricorrente, la Corte di merito avrebbe dovuto considerare la riduzione del muro come un impiego
illegittimo di un bene comune, quando invece ha ritenuto essersi trattato di un uso lecito, alla stregua del disposto dell'art.
1102 cod. civ., in quanto rispettoso sia della normale destinazione della cosa, sia della possibilit di unaltrui paritaria
utilizzazione. Nellaccogliere la censura, la Cassazione ha precisato che dall'ambito delle attivit consentite dalla
norma citata vanno senz'altro escluse quelle che si risolvono nell'attrazione di un bene comune o di una sua parte nella

sfera di disponibilit esclusiva di un singolo (v., per tutte, Cass. 14 ottobre 1998 n. 10175), come appunto avviene quando
si diminuisce la consistenza originaria di un muro maestro e si ingloba il volume vuoto cos ottenuto in una porzione
immobiliare di propriet individuale: di quello spazio, in tal modo, viene sia alterata la destinazione, sia impedito un
paritario uso da parte degli altri condomini, i quali non vi hanno accesso. Cosa diversa l'inserimento di condutture o
l'apertura di varchi nei muri maestri, ed altri impieghi che consentono di ricavare da cose comuni una particolare utilit
aggiuntiva, ma risultano compatibili sia con la destinazione del bene, sia con la possibilit di future analoghe utilizzazioni
altrui, cui si riferiscono i precedenti giurisprudenziali (richiamati nella sentenza impugnata). Per la Cassazione, la
riduzione del muro maestro (come pure lescavazione) per ampliare un locale non pu considerarsi alla stregua delle altre
utilizzazioni lecite di cui allarticolo 1102 c.c.. C da considerare, per citare il pi recente precedente perfettamente
conforme alla decisione in commento, che anche in applicazione del principio di cui allarticolo 1102 c.c., oltre che per il
combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c., la Corte aveva considerato lesivo del diritto di compropriet l'opera di
escavazione eseguita in profondit nel sottosuolo, per rendere pi alto un locale di propriet esclusiva. Infatti, nel 2004
aveva stabilito che le limitazioni poste dall'art. 1102 c.c. al diritto di ciascun partecipante alla comunione di servirsi della
cosa comune, rappresentate dal divieto di alterare la destinazione della cosa stessa e di impedire agli altri partecipanti di
farne parimenti uso secondo il loro diritto, vanno riguardate in concreto, cio con riferimento alla effettiva utilizzazione
che il condomino intende farne e alle modalit di tale utilizzazione, essendo, in ogni caso, vietato al singolo condomino di
attrarre la cosa comune o una parte di essa nell'orbita della propria disponibilit esclusiva e di sottrarla in tal modo alla
possibilit di godimento degli altri condomini. (Cass. civ. Sez. II, 28-04-2004, n. 8119) Laltra massima tratta dalla
stessa decisione quella consueta: per il combinato disposto degli artt. 840 e 1117 c.c. lo spazio sottostante al suolo su cui
sorge un edificio in condominio, in mancanza di titolo che ne attribuisca la propriet esclusiva ad uno dei condomini, deve
considerarsi di propriet comune, indipendentemente dalla sua destinazione. Ne deriva che il condomino non pu, senza il
consenso degli altri, procedere ad escavazioni in profondit del sottosuolo per ricavarne nuovi locali ad ingrandire quelli
preesistenti, comportando tale attivit l'assoggettamento di un bene comune a vantaggio del singolo. Per completezza di
informazione si pu indicare lesistenza di una decisione di legittimit, sebbene pi risalente, di indirizzo non perfettamente
conforme a quello del divieto di qualsiasi opera . Infatti, la stessa Cassazione nel 1999 si era pronunciata nel senso che
l'escavazione del sottosuolo condominiale da parte di un condomino per collegare con una scala le unit immobiliari al
piano terreno con quelle poste al seminterrato, tutte di sua propriet esclusiva, non comporta appropriazione del bene
comune e non costituisce innovazione vietata, perch non determina l'inservibilit del bene comune all'uso e al godimento a
cui destinato. (Cass. civ. Sez. II, 05-06-1999, n. 5546) Il Tribunale di Milano aveva considerato legittima una modesta
escavazione: pur essendo interdetto al singolo condomino di effettuare opere nel sottosuolo tali da compromettere il
diritto degli altri condomini di servirsi di esso e di trarne le utilit che questo , per sua natura e destinazione, capace di
offrire, tuttavia legittima una modesta escavazione che, mentre da un lato consente una migliore utilizzazione delle cose
proprie e di quelle comuni da parte del singolo, non pregiudica il pari diritto di tutti gli altri partecipanti. (Trib. Milano,
06-07-1989) Conclusivamente si pu affermare che secondo la prevalente giurisprudenza, confermata dalla recente
decisione qui commentata, il proprietario esclusivo di un piano terreno situato in un condominio, per fare qualsiasi
escavazione deve avere un titolo attributivo della propriet esclusiva del sottosuolo (previsione contrattuale o del
regolamento di condominio) oppure il consenso unanime di tutti i condomini.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=35365
La rinnovazione tacita del contratto di locazione Cass., Sez.III, 14/3/2006, n5464
la rinnovazione tacita del contratto di locazione, ai sensi dellart. 1597 c.c., "postula la continuazione della detenzione della
cosa da parte del conduttore e la mancanza di una manifestazione di volont contraria da parte del locatore, cosicch,
qualora questi abbia manifestato con la disdetta la sua volont di porre termine al rapporto, la suddetta rinnovazione non
pu desumersi dalla permanenza del locatario nellimmobile locato dopo la scadenza o dal fatto che il locatore abbia
continuato a percepire il canone senza proporre tempestivamente azione di rilascio, occorrendo invece un suo
comportamento positivo idoneo a evidenziare una nuova volont, contraria a quella precedentemente manifestata per la
cessazione del rapporto".
Distacco dal riscaldamento condominiale Cass., sez II, 30/03/2006 n. 7518
Il condomino pu rinunciare alluso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unit immobiliare
dallimpianto termico comune, senza necessit di autorizzazione o approvazione degli altri condomini e, fermo il suo
obbligo al pagamento delle spese per la conservazione dellimpianto, tenuto a partecipare a quelle di gestione
dellimpianto se, e nei limiti in cui, il suo distacco non si risolva in una diminuzione degli oneri del servizio di cui
continuano a godere gli altri condomini. Inoltre, pur in presenza di tali condizioni, la delibera assembleare che respinga la
richiesta di autorizzazione al distacco nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune.
E' legittima l'installazione di una porta sul pianerottolo comune Cass. civ., sez. II, 22 luglio 2005, n. 15379 In tema di
condominio l'installazione, ad opera di un condomino, di una porta senza chiusura della stessa, pur esistendo la serratura, sul
pianerottolo comune in corrispondenza della sua propriet esclusiva, pu ritenersi legittima se in relazione all'ubicazione,
alle dimensioni ed alla struttura del manufatto, non apporti una rilevante diminuzione della facolt di godimento spettanti
agli altri condomini secondo la naturale distinzione di tale parte comune e avuto riguardo anche al decoro dell'edificio.
Cass. civ., sez. un., 30 dicembre 1999, n. 943 Il regolamento di condominio edilizio predisposto
dall'originario (ed unico)proprietario dell'edificio vincolante per gli acquirenti delle singole unit immobiliari
(purch richiamato ed approvato nei singoli atti di acquisto) nella sola ipotesi che il relativo acquisto si collochi in
epoca successiva alla predisposizione del regolamento stesso, e non nel periodo antecedente tale
predisposizione, ancorch nell'atto di acquisto sia previsto l'obbligo di rispettare il regolamento da redigersi in
futuro, mancando, in tal caso, uno schema negoziale definitivo, suscettibile di essere compreso per comune

volont delle parti nell'oggetto del contratto.


Lesione al decoro architettonico - illegittime le tettoie realizzate nella propriet esclusiva
Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 2005, n. 2743
Con sentenza n. 2743 del 11/02/2005 la Corte di Cassazione ha ritenuto illegittime le tettoie realizzate nella propriet
esclusiva del condomino che comportavano un danno estetico alla facciata dell'edificio condominiale.
Le opere realizzate dal condomino nella propriet esclusiva che comportino una lesione del decoro architettonico
dell'edificio, devono considerarsi vietate ai sensi dell'art. 1122 c.c.
Lobbligo di vigilare e mantenere la cosa comune in modo da non arrecare danni, incombe su tutti gli aventi diritto,
ivi compreso l'usufruttuario Tar Campania, sez. V, 15 febbraio 2005, n. 1062
A seguito della rilevazione di dissesti ad un fabbricato, deve ritenersi legittima lordinanza urgente e contingibile con la
quale viene disposta lesecuzione delle opere necessarie per eliminare il pericolo per la pubblica e privata incolumit a
carico dellusufruttuario e non del nudo proprietario.
Infatti, l'obbligo di vigilare e mantenere la cosa comune in modo da non arrecare danni a terzi o a condomini, e le
conseguenti responsabilit, incombono su tutti gli aventi diritto, senza distinzioni di sorta, ivi compreso l'usufruttuario,
stante che la regolamentazione del riparto interno, tra usufruttuario e nudo proprietario, delle spese per riparazioni
straordinarie non incide sulla sussistenza del suddetto obbligo e delle connesse responsabilit desumibili dall'art. 2051 c.c.
Apertura di porte sui muri comuni per mettere in comunicazione l'unit immobiliare con il garage comune Cass.
civ., sez. II, 3 giugno 2003, n. 8830
Con sentenza n. 8830 del 3 giugno 2003 la Suprema Corte ha reputato che non richiede l'approvazione dell'assemblea
condominiale l'apertura di due porte sui muri comuni per mettere in comunicazione l'unit immobiliare in propriet
esclusiva con l'intercapedine e con il garage comune, in quanto non determina la costituzione di una servit e non
costituisce innovazione.
Fino a che i partecipanti utilizzano le parti comuni accessorie secondo la usuale destinazione specifica a vantaggio delle
unit immobiliari, non pu certamente parlarsi di imposizione di servit sulle cose comuni, posto che l'utilizzazione ed il
relativo potere si giustificano con il diritto di condominio.
Il condomino pu ricorrere allautorit giudiziaria nella ipotesi di mancata adozione di provvedimenti per
lamministrazione del bene comune Cass. civ., sez. II, 26 maggio 2006, n. 12654 Nei casi in cui l' assemblea non
assuma i necessari provvedimenti per l' amministrazione della cosa comune, ogni condomino pu ricorrere all' autorit
giudiziaria senza necessit di impugnare la specifica delibera ovvero impugnando la delibera ma, non perch violi la
disposizione sulle innovazioni ma perch l' assemblea non adotta I provvedimenti necessari per l' amministrazione delle
parti comuni.
Immissioni da fondo limitrofo e tutela della salute Cassazione , sez. III civile, sentenza 11/04/2006 n. 8420 La norma
codificata, nel prevedere la valutazione, da parte del giudice, del contemperamento delle esigenze della produzione, con le
ragioni della propriet, tenendo conto della priorit di un determinato uso, stata correttamente applicata alla fattispecie in
esame (prosecuzione di un'attivit di allevamento di pollame, preesistente rispetto alledificazione sul fondo vicino ma
sostanzialmente nociva alla salute dei suoi abitanti ), considerando anche la valenza della qualit della vita e della salute dei
vicini dell'azienda, nella quale la produzione si svolta senza la predisposizione di misura di cautela idonee ad evitare o
limitare l'inquinamento atmosferico.
Si tratta di una interpretazione estensiva della norma costituzionale in relazione al fattore salute, che oramai intrinseco
nella attivit di produzione oltre che nei rapporti di vicinato.
La valutazione del fatto storico e la sua corretta sussunzione sotto la norma in esame appare dunque giuridicamente esatta,
legittimando la statuizione preclusiva del prolungamento di un'attivit sostanzialmente nociva alla salute dei vicini del
fondo.

Cassazione, sez. II civile, sentenza 24.10.2006, n. 22840


Ci in conformit con levoluzione della figura dellamministratore. In tempi meno recenti,
invero, lincarico di amministratore dellassemblea veniva conferito agli stessi condomini, che
avessero del tempo a disposizione, di solito, gli anziani ed i pensionati. Da qualche tempo,
lincarico viene conferito a professionisti esperti in materia di condominio e in grado di
assolvere alle numerose e gravi responsabilit ascritte allamministratore delle leggi speciali
(per tutte, le norme in materia di edilizia, di sicurezza degli impianti, di obblighi tributari come
sostituito dimposta). ragionevole pensare avuto riguardo al continuo incremento dei
compiti che questi possano venire assolti in modo migliore dalle societ (di servizi), che
nel loro ambito annoverano specialisti nei diversi rami.
Il ricorso deve essere accolto e la causa rimessa ad altro Giudice di Pace di Bologna, il quale
decider la controversia uniformandosi al principio di diritto, secondo cui anche una persona
giuridica pu essere nominata amministratore del condominio negli edifici, posto che il
rapporto di mandato istituito nei confronti delle persone suddette, quanto alladempimento delle
obbligazioni ed alla relativa imputazione della responsabilit, pu essere caratterizzato dagli
stessi indici di affidabilit, che contrassegnano il mandato conferito ad una persona fisica.

Escavazioni nel sottosuolo senza il consenso condominiale

Cass. sez. II n. 17141 del 27/07/2006

Il sottosuolo costituito dalla zona insistente al di sotto dell'edificio condominiale, in assenza di una titolo che ne attribuisca
la propriet esclusiva ad uno dei condomini, va considerato di propriet comune. Ne deriva che, anche in considerazione
della funzione di sostegno che esso contribuisce a svolgere per la stabilit del fabbricato, il condomino non pu senza il
consenso degli altri procedere all'escavazione in profondit del sottosuolo per ricavarne nuovi locali o anche solo per
ingrandire quelli esistenti, poich, con l'attrarre la cosa comune nell'orbita della sua disponibilit esclusiva, viene a ledere il
diritto di propriet dei condomini su una parte comune dell'edificio.
Inquinamento acustico e potere regolamentare del comune Cassazione , sez. I civile, sentenza 01.09.2006 n 18953 Se
nessun ente locale pu disapplicare le disposizioni della legge n. 447/1995, introducendo, in specie, fuori dei casi
espressamente consentiti (v. larticolo 6, comma 1, lettera h), in relazione allo svolgimento di attivit e manifestazioni
temporanee) valori limite di emissione o di immissione dei rumori diversi e, comunque, inferiori rispetto a quelli risultati
dai decreti emanati a norma dellarticolo 3, comma 1, lettera a) della legge statale (cfr. articoli 3 e 4 del Dpcm 14 novembre
1997), ci non impedisce, tuttavia, ai comuni di adottare una pi specifica regolamentazione dellemissione e
dellimmissione dei rumori nel loro territorio, la quale, nel rispetto dei vincoli derivanti dalla legge n. 447/1995, prenda in
considerazione, non gi il dato oggettivo del superamento di una certa sogli di rumorosit considerato, per presunzione
assoluta, come generativo di un fenomeno di inquinamento acustico, a prescindere dallaccertamento delleffettiva lesione
del complesso di valori indicati nellarticolo 1, comma 1, lettera a), della legge, ma i concreti effetti negativi provocati
dallimpiego di determinate sorgenti sonore sulle occupazioni o sul riposo delle persone e, quindi, sulla tranquillit pubblica
o privata.
E' quanto stabilito dai giudici della Corte di Cassazione con la sentenza 1 settembre 2006, n. 18953. La
disposizione di cui allarticolo 51 del Regolamento di Polizia urbana del Comune di Jesolo rientra per lappunto nellambito
della disposizioni dianzi indicate: inserita nel Titolo IV, dedicato alla quieto e sicurezza nel centro abitato, e non gi nel
successivo Titolo V, specificamente finalizzato alla tutela dallinquinamento acustico, essa rivolta infatti a
salvaguardare la tranquillit degli abitanti del comune in confronto alla offese concretamente recate tramite linopportuno
impiego, nellambito dallesercizio di locali da ballo, di apparecchi per la riproduzione o lamplificazione del suono o
delle voci o delle attrazioni musicali o della esibizioni.
E ci a prescindere dallavvenuto obiettivo superamento dei
limiti di rumorosit fissati dalla legge 447/95 e dal Dpcm 14 novembre 1997. integrativo dellautonoma violazione prevista
dallarticolo 10 della legge statale, che nella specie non stata infatti contestata al ricorrente.
Pertanto, non si trattava di
stabilire se fossero stati osservati i limiti massimi al riguardo introdotti da detto Dpcm, n di compiere le rilevazioni nelle
localit e con i criteri individuati dalle norma dianzi indicate, tali da richiedere lutilizzazione di appositi apparecchi di
precisione; bens di accertare se il rumore generato dalla condotta ascrivibile al ricorrente fosso idoneo a determinare
levento di disturbo della tranquillit pubblica avuto di mira dalla norma regolamentare.
In tale prospettiva, la sentenza
impugnata ha dunque legittimamente fondato la verifica circa la sussistenza dellillecito sugli accertamenti al riguardo
compiuti dalla Polizia municipale, la quale ha evidenziato come le casse acustiche posta nel parcheggio antistante il parco
acquatico Aqualandia, allentrata dellesercizio di intrattenimento e svago Cuba Libro Caf ~ esercizio riconducibile al
novero dei locali da ballo agli affetti dellarticolo 51 del regolamento diffondessero musica a volume tale da poter essere
udita, anche in presenza di traffico veicolare, fino ad una distanza di settanta metri, ossia fino allincrocio, munito di
semaforo, tra le Vie Buonarroti e Padania (circostanza, questa, peraltro incontestata), cosi da recare disturbo e molestia alle
vicine abitazioni residenziali, ubicate ad una distanza inferiore a quella dellaccertamento.
I limiti alluso condominiale prevalgono sulla sicurezza lavoro Qual il limite delluso autonomo delle parti comuni da
parte dei condomini? Pu un obbligo imposto da una normativa statale o regionale sulla sicurezza o sul lavoro essere un
buon motivo per travalicare tale limite, qualora non fosse possibile altrimenti? A queste due domande cerca di rispondere la
sentenza della Cassazione 6 novembre 2006, n. 23608. La materia del contendere riguardava un condominio che ospitava
prevalentemente attivit artigianali o commerciali, tra cui una falegnameria e unaltra attivit con carico e scarico merci. In
tale contesto, il falegname otteneva dallassemblea di condominio il permesso di installare nel cortile una macchina
aspiratrucioli, con il voto favorevole di tutti i condomini, eccezion fatta per il gestore dellaltra attivit artigianale.
Questultimo impugnava la delibera due mesi dopo, quindi oltre il termine di 30 giorni previsto per lannullabilit delle
delibere, chiedendo tra laltro anche il reintegro del possesso dellarea occupata (circa 4 metri quadrati). Sia il falegname
che il condominio si opponevano ma veniva dato ragione al ricorrente nella sentenza di primo grado (che, tra laltro,
adombrava nella sentenza un atto emulativo, cio un comportamento messo in atto senza motivo, solo per danneggiare il
falegname). La Corte dAppello ribaltava per il giudizio: effettivamente vi era stata lalterazione del cortile e
limpedimento del suo pari uso da parte dei condomini (perch era divenuta difficoltosa la manovra degli automezzi).
Insomma, sussisteva la violazione sia dellarticolo 1102 del codice civile (uso della cosa comune) sia del secondo comma
dellarticolo 1120 (innovazioni vietate), sia dellarticolo 1122 (opere che recano danno sulle parti comuni).
Ricorrono
in Cassazione sia il falegname che il condominio. Tra i motivi dedotti vi era il fatto che il collocamento della macchina
configurava un uso ordinario della cosa comune, in un condominio di artigiani, e che il trasferimento allesterno era stato
imposto dalla legislazione sulla sicurezza del lavoro (decreto legislativo n. 626/1994), ad opera delle autorit provinciali e
comunali, sicch in appello non si era tenuto conto dei principi costituzionali a tutela delle condizioni di lavoro. Inoltre nel
giudizio di primo grado il commerciante si era richiamato allarticolo 1122 del codice civile, mentre in appello aveva
preferito aggrapparsi alla violazione del 1120 (innovazioni che rendono talune parti comuni inservibili alluso o al
godimento di un solo condomino). Infine era trascorso il tempo utile per limpugnazione della delibera.
La Cassazione ha
dato torto al falegname e al condominio. Innanzitutto, dopo alcune considerazioni sulla procura alle liti rilasciata al
difensore per il ricorso, ha ribadito che l'esigenza di installare impianti di aspirazione e filtraggio dei trucioli, in un vano
separato dal laboratorio di falegnameria, non possono giustificare una violazione dell'altrui diritto di utilizzo e godimento
della cosa comune.
Infine ha sottolineato che la delibera assembleare avrebbe dovuto essere approvata allunanimit: in
mancanza essa doveva ritenersi radicalmente nulla, impugnabile senza il limite dei 30 giorni da quando se ne avuta
conoscenza, anzi senza limiti di tempo.
La sentenza ha in sostanza ribadito il principio che limpedimento del pari
uso da parte degli altri condomini, non riferibile a un uso identico della parte comune: pu trattarsi anche di un uso
diverso. Tuttavia, mentre lutilizzo per il carico e lo scarico merci insito nelle funzioni del cortile, quello

dellalloggiamento di un macchinario non lo .


Danni da infiltrazioni provocati dalla condotta omissiva del condominio e dell'appaltatore
Cass. civ., sez. III, 6 luglio 2004, n. 12329
A fronte di un unico evento dannoso provocato da autonome e distinte condotte di per s idonee a provocare eventi dannosi
o pericolosi ontologicamente separati, verificatisi nel periodo in cui l'immobile era nella custodia esclusiva dell'uno o
dell'altro, non insorge una situazione di contitolarit passiva nel debito e non si fa luogo a solidariet. ( Nel caso di specie,
danni da infiltrazioni provocati sia dalla condotta omissiva del condominio che dalla successiva condotta colposa
dell'appaltatore al quale erano stati affidati i lavori di ripristino del lastrico solare)
Validit della delibera approvata ai sensi dell'art. 26 della legge 10/1991 anche in mancanza del progetto dell'opera
Cass. civ., sez. II, 11 maggio 2006, n. 10871
E' legittima delibera condominiale che dispone la soppressione dell'impianto centralizzato di riscaldamento, ai sensi dell'art.
26, comma 2, legge 10 del 9 gennaio 1991, nel caso in cui l'assemblea, dopo aver manifestato la volont di modificare
l'impianto centralizzato senza approvare il progetto accompagnato dalla relazione tecnica prevista dall'art. 28 della legge
10/1991, abbia successivamente proceduto alla relativa fase esecutiva nel rispetto della citata legge, deliberando la
trasformazione dell'impianto secondo un progetto tecnico che aveva previsto linstallazione di canne fumarie singole e
collettive con un risparmio energetico del 25% circa del consumo di combustibile globalmente necessario all'impianto
centralizzato.
Notifica a mezzo posta: consegna a persona che si dichiara addetta
Cassazione, sentenza n. 13063 dell'1/6/2006
E' legittima la notifica effettuata al portiere che si sia qualificato come "autorizzato a riceverla"
Per le notificazioni a mezzo del servizio postale, se non possibile consegnare il piego personalmente al destinatario, lo
stesso, ex art. 7 comma 2, della legge n. 890 del 1982, pu essere consegnato, nel luogo indicato sulla busta che contiene
l'atto e nel rispetto dell'ordine stabilito da detta norma, a persona dichiaratasi addetta al servizio dei destinatari.
In questi casi, l'agente postale non tenuto ad accertare la corrispondenza al vero della dichiarazione, essendo sufficiente
che essa concordi con la situazione apparente, consistente nella presenza del consegnatario nei luoghi indicati dalla norma,
gravando sul destinatario l'onere di provare l'inesistenza della qualit dichiarata dal consegnatario
Il condominio non risponde dei danni verificatisi sulla parte sovrastante e sottostante dei balconi
Cazz. Sez. III Civile, n. 22370 del 29 novembre 2004
Il condominio non responsabile dei danni riscontratisi sulla parte sottostante e sovrastante dei balconi, dei quali
rispondono solo i proprietari degli appartamenti immobiliari corrispondenti. (Nel caso di specie, infiltrazioni d'acqua
nell'appartamento, provenienti dal sovrastante immobile, con danni al bagno padronale e di servizio, nonch al soffitto del
balcone, ove si era verificata anche caduta di calcinacci.)
Avv. Andrea Giordano Revisione tabelle millesimali, spese ascensore e scale Via Muzio Clementi, 58, 00193 Roma Tel. 06 3216186
fax 06 32654678 e-mail degiordy@tiscalinet.it QUESITO Il Sig. X, proprietario di una mansarda di 25 mq., ritiene che gli oneri posti
a suo carico per la manutenzione delle scale e dellascensore, sulla base delle nuove tabelle millesimali approvate allunanimit da tutti
i condomini e quindi anche da lui, lo penalizzino eccessivamente. Il Sig. X fa infatti presente che lascensore si arresta due rampe di
scale al di sotto dellimmobile, che la mansarda non abitabile n abitata, che di fatto viene utilizzata non pi di una settimana lanno
per la manutenzione ordinaria e che per altri appartamenti di ben maggiore consistenza ubicati nelledificio, ivi compreso il piano
attico, richiesto un contributo proporzionalmente inferiore rispetto al suo. Chiede pertanto il proprietario se, in considerazione della
particolare destinazione della mansarda sia possibile pagare la met del contributo richiesto in applicazione dellart. 1124 2 comma
c.c.. Il quesito posto impone lesame preliminare delle norme che disciplinano la ripartizione delle spese relative ai beni comuni
destinati a servire i singoli condomini in misura diversa. Lart. 1123 comma 2 c.c. stabilisce che in tali fattispecie le spese vengono
ripartite in proporzione alluso che ciascuno dei proprietari dei singoli immobili ubicati nelledificio, pu fare dei beni comuni. Si
pensi, per fare un esempio, alle spese per l illuminazione e la pulizia delle scale, le quali non sono finalizzate a preservare lintegrit e
il valore venale delle cose, ma hanno lo scopo di consentire ai condomini un pi confortevole uso e godimento delle cose comuni e di
quelle proprie. Ebbene, in tali ipotesi la norma succitata dispone che i condomini sono tenuti a versare un contributo commisurato non
gi alle tabelle millesimali, ma allutilitas che ciascuno di loro pu trarre dalle scale. Ne consegue che in applicazione di tale principio,
i proprietari degli appartamenti posti ai piani superiori saranno tenuti a versare un contributo maggiore rispetto agli altri condomini. Per
quanto poi riguarda la manutenzione e la ricostruzione delle scale, lart. 1124 c.c., applicabile per analogia anche alle spese relative
allascensore, (Cfr. Cass. Civ. 5479/1991), seguendo la stessa logica dellart. 1123 c.c., fissa un criterio ancora pi preciso, stabilendo
che tali tipologia di oneri condominiali devono essere ripartiti per met in base al valore di ciascun piano o porzione di piano e per
laltra met in base allaltezza di ciascun piano del suolo. La ratio di questa norma risiede nel fatto che i proprietari degli ultimi piani
oltre a trarre una maggiore utilitas dalle scale e dallascensore, utilizzano tali beni comuni certamente di pi rispetto agli altri
condomini, determinandone con ci anche una maggiore usura; sembrato pertanto giusto al legislatore porre a carico di detti
proprietari un contributo maggiore. Ma quid iuris se limmobile, come afferma lautore del quesito, non venga di fatto quasi mai

utilizzato? Linterrogativo de quo di non poco conto. Se infatti vero, come evidenziato supra, che lobbligo di contribuzione per la
conservazione e lutilizzazione delle parti comuni delledificio legato allutilitas che il singolo proprietario pu trarre dal bene
condominiale, il proprietario, che in concreto non consegua tale utilitas, potrebbe ritenersi legittimato a non contribuire a dette spese.
Ebbene lequivoco stato chiarito in modo giuridicamente inattaccabile dalla Suprema Corte. Afferma il giudice di legittimit che il
proprietario dellimmobile, nel momento in cui acquista il bene, subentra pro quota anche nella compropriet dei beni comuni che
servono ledificio, assumendo in tal modo tutti gli oneri ad essi relativi. In altre parole il proprietario-condomino assume una vera e
propria obbligazione propter rem dalla quale pu liberarsi soltanto alienando la propriet dellimmobile.

La conseguenza che ci

che rileva ai fini dellobbligo di contribuzione, non il godimento effettivo ma il godimento potenziale che il proprietario pu ricavare
dalla cosa comune. Del resto luso e il godimento di un bene sono mere facolt dellagente, sicch il loro mancato esercizio non incide
in alcun modo sullesistenza del diritto soggettivo di cui la facolt una semplice modalit di esercizio. Ci per dire che anche qualora
la facolt non venga esercitata, il diritto soggettivo sul bene continua a produrre i propri effetti nella sfera giuridica del titolare il quale
pertanto rimane vincolato agli oneri derivanti dalla propriet della res. (Cfr. ex plurimis Cass. Civ. 13160/1991). Ipotesi completamente
diversa quella, indicata dallautore del quesito, relativa ai proprietari delle soffitte, dei palchi morti e dei lastrici solari e cio di quegli
immobili che ancorch ubicati al di sopra degli altri piani, non hanno una destinazione abitativa e pertanto non sono oggettivamente in
grado di produrre quellusura dei beni comuni che caratterizza il godimento dei piani alti abitabili. Ebbene in tali casi trova
applicazione il comma 2 dellart. 1124 c.c. il quale stabilisce che detti proprietari concorrano soltanto alla met della spesa necessaria
alla manutenzione e ricostruzione delle scale e dellascensore in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano. Ovviamente il
proprietario di tali immobili per poter accedere alla tutela riconosciuta dalla suddetta norma e versare il contributo in misura ridotta,
dovr porre la questione in assemblea ed ottenere una delibera favorevole. In caso contrario, qualora cio lassemblea non ritenga
fondata la sua pretesa, egli potr adire il Tribunale Civile del luogo ove ubicato limmobile, instando, previo accertamento del suo
diritto, per la pronuncia di una sentenza costitutiva che, modificando il criterio di ripartizione delle spese fino ad allora impiegato dal
condominio, riconosca il suo buon diritto a versare il contributo ridotto previsto dal comma 2 dellart. 1124 c.c.. Tuttavia, nel caso di
specie, ci non avvenuto. Lautore del quesito infatti, ha approvato insieme agli altri condomini la nuova tabella millesimale che
applica criteri di ripartizione delle spese diversi da quelli indicati nellart. 1124 c.c.. La conseguenza che che il Sig. X non pu
dolersi di tali criteri censurandone la non conformit alla normativa vigente. Si rammenta infatti che gli artt. 1123 e 1124 c.c. sono
liberamente derogabili dal regolamento condominiale il quale ben pu stabilire criteri di ripartizione delle spese condominiali diversi da
quelli indicati dalla normativa generale.

Esiste per una via duscita.

Lart. 69 delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile

consente la revisione e la modifica delle tabelle millesimali. Deve per sussistere almeno una delle seguenti condizioni:

le tabelle

devono essere affette da errori; lesigenza di revisione deve essere collegata alle mutate condizioni di una parte delledificio in
conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata che alterino notevolmente
il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano; Quanto al primo punto, la giurisprudenza ha in particolare
precisato che la revisione delle tabelle millesimali deve essere giustificata dalla obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole
unit immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle, atteso che nellart. 69 citato, lerrore non viene riferito al
consenso del condominio allapprovazione delle tabelle, bens obbiettivamente ai valori in essa contenuti, comportando tale circostanza
la revisione e non lannullamento dellatto di approvazione. (Class. civ., sez. II, 21 luglio 1988, n. 4734, Cortesi e altri c. Societ Tre
Effe, in Arch. loc. e cond. 1989, 693; Arch. civ. 1989, 31). Costituiscono pertanto errori essenziali e possono, quindi, dar luogo a
revisione delle tabelle millesimali in base allart. 69, n. 1, disp. att. cod. civ., gli errori che attengano alla determinazione degli elementi
necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti (quali lestensione, laltezza, lubicazione, ecc.), che siano errori di diritto
(ad esempio, erronea convinzione che nellaccertamento dei valori debba tenersi conto di alcuni degli elementi che, ai sensi dellart. 68,
ultimo comma, disp. att. cod. civ. sono irrilevanti a tale effetto); non possono, invece, qualificarsi essenziali gli errori determinati
soltanto dai criteri pi o meno soggettivi con cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima sia stata compiuta, poich
lerrore di valutazione, in s considerato, non pu mai essere ritenuto essenziale, non costituendo un errore sulla qualit della cosa, a
norma dellart. 1429 cod. civ.. (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1982, n. 116, Cond. V. S. Grego, c. Soc. Manif. Pesar.). In ragione di
quanto sopra evidenziato, si suggerisce pertanto di incaricare un tecnico al fine di valutare se effettivamente le tabelle millesimali
approvate siano affette dalle mende sopra elencate. In caso di accertamento positivo sar poi opportuno chiedere la fissazione di un
assemblea condominiale straordinaria in cui il tecnico potr illustrare gli errori da cui inficiata la tabella medesima. A quel punto il
condominio potr recepire i rilievi formulati dal tecnico e approvare allunanimit il nuovo criterio di ripartizione delle spese o
altrimenti non tenere conto di tali rilievi rifiutare la modifica delle tabelle millesimali. In tale seconda evenienza sar allora opportuno
intentare un giudizio civile ai sensi dellart. 69 delle Disposizioni di Attuazione del Codice Civile per ottenere una sentenza costitutiva
che modifichi i precedenti criteri di riparto delle spese. Del resto secondo la consolidata giurisprudenza sia di merito di legittimit,
laccettazione delle tabelle millesimali desumibile anche da fatti concludenti, come il costante pagamento delle quote condominiali in

base ad esse dovuto non ne esclude in alcun modo limpugnabilit, ex art. 69, comma 1 disp. att.. c.c.. (Cfr. Cass. civ., sez. II, 10
febbraio 1994, n. 1367, Cond. Palazzo Capodicasa di Corso Gelone n. 52 di Siracusa c. Conigliaro, in Arch. loc. e cond. 1994, 557). Il
giudizio consister nella verifica, a mezzo di apposita C.T.U., dei valori di tutte le porzioni, avuto riguardo al complesso degli elementi
oggettivi quali la superficie, laltezza di piano, la luminosit, lesposizione incidenti sul valore effettivo di esse, al quale saranno
poi adeguate le tabelle, eliminando gli errori riscontrati. (Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1998, n. 5942, Picchioni ed altri c. Agostini ed
altri, in Arch. loc. e cond. 1998, 69). Dal punto di vista processuale il contenzioso in questione richiede linstaurazione del
contraddittorio nei confronti di tutti i condomini e non contro il condominio cumulativamente rappresentato dall amministratore, in
quanto loggetto della controversia esorbita dallambito delle cose o interessi comuni ed incide sui diritti esclusivi dei singoli
condomini, sicch la rappresentanza dellamministratore ne resta esclusa anche dal lato passivo. (Cass. civ., sez. II, 6 luglio 1984, n.
3967,).

Con lauspicio di aver contribuito a chiarire la problematica sottesa al quesito postomi, rimango a disposizione per qualsiasi

eventuale ulteriore

approfondimento.

Posti auto non equivalenti in condominio: illegittima la scelta in base ai millesimi Cassazione , sez. II civile, sentenza 07.12.2006 n

26226 Quindi se evidente che, non essendo nel caso concreto i posti macchina equivalenti per comodit duso, un
criterio di utilizzazione debba pur essere stabilito; , altres, evidente che, nel disaccordo delle parti, il criterio da seguire
non possa non rispettare larticolo 1102 Cc il quale impedisce che alcuni comproprietari facciano un uso della cosa comune,
dal punto di vista qualitativo, diverso rispetto agli altri; risultato diverso che, invece, il criterio prescelto dallassemblea
consegue traducendosi in una assegnazione dei posti a tempo indeterminato, dal momento che i condomini favoriti non
rinuncerebbero al posto pi comodo per uno meno comodo, perpetuando cos nel tempo la illegittima comprensione del pari
uso dei condomini svantaggiati. La sentenza della Cassazione n. 26226, depositata il 7 dicembre 2006, ha confermato lillegittimit
di una delibera condominiale che aveva consentito la scelta del posto auto in funzione dei millesimi di propriet. La vicenda giudiziaria
ha riguardato un condominio in cui i posti auto si trovavano in un garage condominiale ad uso promiscuo ed il problema di fondo era
rappresentato dalla circostanza che i posti auto (in totale nove) non erano equivalenti in quanto i posti 7 e 9 per la loro fruibilit in
entrata ed in uscita, rendevano necessaria la rimozione delle autovetture allocate nei posti 6 e 8, che dovevano pertanto, lasciare il
cambio in folle per lo spostamento a mano. Con la delibera ritenuta illegittima si era stabilito che la scelta del posto auto nel garage
condominiale avvenisse partendo dal condominio titolare del pi alto numero di millesimi. Il Giudice dAppello aveva ritenuto
illegittima la delibera condominiale, adottata a maggioranza, perch, quanto alluso del garage comune condominiale, non poteva
attribuire ai condomini la scelta del posto macchina secondo il criterio del valore degli appartamenti e quindi in funzione dei millesimi di
propriet. La Cassazione ha confermato la decisione di merito precisando che la quota di propriet di cui allarticolo 1118 Cc, quale
misura del diritto di ogni condomino, rileva relativamente ai pesi ed ai vantaggi della comunione; ma non in ordine al godimento che si
presume uguale per tutti. Pertanto, ove i posti macchina non siano equivalenti per comodit duso, il criterio da seguire, nel disaccordo
delle parti, quello indicato dallarticolo 1102 cod. civ, il quale,con il porre il limite del pari uso, impedisce che alcuni
comproprietari facciano un uso della cosa comune, dal punto di vista qualitativo, diverso rispetto agli altri.
Il criterio prescelto
dallassemblea, secondo la Cassazione, non pu essere condiviso e ritenersi legittimo traducendosi in una assegnazione dei posti a
tempo indeterminato, dal momento che i condomini favoriti non rinuncerebbero al posto pi comodo per uno meno comodo, perpetuando
cos nel tempo la illegittima comprensione del pari uso dei condomini svantaggiati. Ne consegue che, come nel caso di insufficienza di
posti, anche nel caso di diversa comodit, al fine di non ledere il principio del pari uso da parte di tutti i condomini del bene comune
previsto dallart. 1102 cod. civ., il criterio da seguire, nel disaccordo delle parti, quello della turnazione.
A proposito del principio del
pari uso e del godimento paritario, in fatto di parcheggi condominiali, per completezza di informazione si pu aggiungere che la
carenza di spazi destinati al parcheggio, essendo una delle principali problematiche in diverse realt condominiali, ha spinto alla
trasformazione di cortili ed altri locali di propriet comune (pur insufficienti a soddisfare pienamente tutti i condomini!) in zone destinate
al parcheggio. Alla impossibilit di assicurare a ciascun condomino un posto macchina, si ricollega un notevole contenzioso, basato
sulla pretesa violazione del principio del godimento paritario e del pari uso della cosa comune da parte di tutti i condomini. Sul
significato di pari uso e godimento paritario e sulla legittimit della trasformazione, anche nel caso in cui non sia possibile assicurare
a ciascun condomino un posto macchina, la Cassazione si pronunciata per la prima volta nel 1992, quando ha stabilito che l'assemblea
di un condominio edilizio pu validamente deliberare con la maggioranza di cui all'art. 1136 2 comma c. c. la specifica destinazione di
un locale di propriet comune a garage in relazione alle caratteristiche obiettive del locale medesimo non importando una sostanziale
modifica della cosa comune bens trattandosi di un atto di amministrazione diretto ad assicurare a tutti i condomini il miglior godimento
e la migliore utilizzazione della cosa comune, senza che ne derivi una violazione del principio del godimento paritario per l'impossibilit
di assicurare a ciascun condomino un posto macchina, in quanto il pari uso della cosa comune non postula necessariamente il
contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i compartecipi della comunione, che resta affidato alla concreta regolamentazione per
ragioni di coesistenza. (Cass. civ. Sez. II, 20-02-1992, n. 2084). Nel caso deciso in quella circostanza, si trattava di un locale situato al
piano terra dell'edificio con accesso alla via pubblica mediante una rampa carrabile. Sul fatto che il pari uso della cosa comune non
postula necessariamente il contemporaneo uso della cosa da parte di tutti i partecipanti alla comunione, la Corte, poi, tornata con altre
pronunce conformi (cfr. Cass. Sentt. n. 9649/1998, n. 1057/1999 e n. 12873/2005), ampliando e definendo meglio il solco tracciato da
quella prima decisione. Volendo brevemente riassumere, i principi sanciti dai giudici di legittimit sono i seguenti:
Nel caso di uso promiscuo del garage condominiale, leventuale assegnazione del posto macchina non pu essere a tempo indeterminato e
la scelta del posto non pu seguire il criterio del valore degli appartamenti e quindi non pu essere fatta in funzione dei millesimi di
propriet, favorendo i condomini con i millesimi pi alti;
La nozione di pari uso del bene comune non da intendersi nel senso di uso necessariamente identico e contemporaneo, fruito cio da
tutti i condomini nell'unit di tempo e di spazio, perch se si richiedesse il concorso simultaneo di tali circostanze si avrebbe la
conseguenza della impossibilit per ogni condomino di usare la cosa comune tutte le volte che questa fosse insufficiente a tal fine;
La delibera, che stabilisce la specifica destinazione dei posti auto disponibili, per assicurare ai condomini il miglior godimento e la
migliore utilizzazione dei posti, pu essere adottata con la maggioranza di cui all'art. 1136, comma 2, c.c. e non con l'unanimit;
La disciplina turnaria, dei posti macchina, lungi dal comportare l'esclusione di un condomino dall'uso del bene comune adottata per
disciplinare l'uso di tale bene in modo da assicurarne ai condomini il massimo godimento possibile nell'uniformit di trattamento tenendo
conto delle circostanze. http://www.altalex.com/index.php?idnot=35673
Ammissibilit del ricorso per Cassazione verso il provvedimento giudiziale di revoca dellamministratore 23.12.06

La Corte di Cassazione con sentenza del 10 gennaio u.s. n. 184, ricordando i casi nei quali lamministratore di

condominio pu essere revocato in forza di provvedimento giudiziale, ha stabilito che il provvedimento di cui
allart. 1129 c.c. rientra nei provvedimenti di volontaria giurisdizione per i quali ammesso non solo reclamo alla
Corte di Appello competente, ma anche ricorso per Cassazione.
Trattasi di quaestio fortemente discussa: ad un orientamento positivo (sent.n. 883 del 1999) seguita pi di una
pronuncia che ha negato la possibilit di ricorrere per Cassazione.
Con la sentenza in esame, la Cassazione tornata sui suoi passi ammettendo, dunque, la possibilit
dellamministratore revocato di rivolgersi ai giudici di legittimit.
Il condominio non risponde dei danni verificatisi sulla parte sovrastante e sottostante dei balconi
Cazz. Sez. III Civile, n. 22370 del 29 novembre 2004
Il condominio non responsabile dei danni riscontratisi sulla parte sottostante e sovrastante dei balconi, dei
quali rispondono solo i proprietari degli appartamenti immobiliari corrispondenti. (Nel caso di specie,
infiltrazioni d'acqua nell'appartamento, provenienti dal sovrastante immobile, con danni al bagno padronale e
di servizio, nonch al soffitto del balcone, ove si era verificata anche caduta di calcinacci.)
Installazione nel sottotetto di tubazioni idriche, termiche ed elettriche
Trib. di Ariano Irpino, 26 aprile 2006, n. 272
E' ammissibile, da parte di un condomino, la realizzazione di tubazioni idriche, termiche ed elettriche nel
sottotetto comune ad esclusivo servizio del proprio appartamento sottostante se non viene alterata la
destinazione della cosa e rimanga impregiudicato luso.
Infatti, la posa in opera di tubazioni sul piano di calpestio e lungo la parete, realizzati gli opportuni
accorgimenti di cui si dir anche con riferimento ad un sicuro calpestio, di certo non impediscono di accedere
al sottotetto, di camminare sul piano di calpestio stesso, di accedere al tetto per la manutenzione delle
antenne, delle canne fumarie o proprio del tetto.
Il verbale d'assemblea pu essere redatto in una qualsiasi lingua Trib. di Rovereto, 25 luglio 2005,
n. 277
Il verbale dell'assemblea del condominio, in quanto atto privato e non pubblico, pu essere redatto in una
lingua diversa dall'italiano, se cos lo desidera la maggioranza dei partecipanti.
Quindi, i riccorrenti, che di fatto sono divenuti stranieri in casa propria, sono tenuti, in tale evenienza a
soccombere, cos come accade in qualsivoglia analoga assemblea condominiale e non, dove la minoranza
dissenziente non pu che prendere atto della diversa volont della maggioranza.
Giustificata anche a distanza di tempo la reazione contro il proprietario di un cane lasciato libero di fare i suoi bisogni Non
reato reagire al vicino maleducato (Cassazione 36084/2006) Non reato apostrofare il vicino di casa maleducato anche a distanza di
tempo. La V sezione Penale della Corte di Cassazione ha annullato la condanna a 250 euro di multa per il reato di ingiuria continuata
inflitta dal Giudice di pace di Lanciano ad una signora che si era sfogata contro gli inquilini del piano di sopra che lasciavano libero il
cane di fare i propri bisogni sul balcone, sporcando la biancheria stesa ad asciugare. Limputata, che ha proposto ricorso in cassazione
contro la condanna, sosteneva di avere reagito per provocazione del fatto ingiusto altrui, e ora la Suprema Corte le ha dato ragione,
affermando che sussiste la causa di giustificazione (esimente) quando la reazione iraconda segua immediatamente il fatto ingiusto
altrui, mentre, ai fini della configurazione della circostanza attenuante comune, non occorre che la reazione sia immediata, ma consegua
ad un accumulo di rancore, per effetto di reiterati comportamenti ingiusti, esplodendo, anche a distanza di tempo, in occasione di un
episodio scatenante; pertanto la reazione della donna, anche se scomposta, comunque giustificabile
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=53317&idCat=45
Debiti ereditati con lappartamento in condominio. Alla morte di un soggetto, il suo patrimonio si devolve - per legge o per testamento
- ad uno o pi eredi o legatari. Per patrimonio si intende il complesso dei rapporti giuridici che fanno capo ad un soggetto, siano essi
attivi che passivi; questi ultimi sono costituiti principalmente dai debiti del defunto (nei confronti di qualsiasi soggetto) che, per loro
natura, non si estinguano con la morte del titolare, come accade per l'obbligazione alimentare. Se nel patrimonio del defunto compreso
un immobile (ad esempio un appartamento), questo bene viene attribuito agli eredi che lo acquistano in compropriet, ciascuno per la
propria quota come stabilita dalla legge o dall'eventuale testamento. Gli eredi acquistano cos tutti i diritti relativi al bene caduto in
successione e ciascuno potr esercitare tali diritti in proporzione alla propria quota. Ma al tempo stesso, gli eredi subentrano anche,
ciascuno per la sua quota, nelle passivit ereditarie e cos anche negli oneri connessi al bene di provenienza successoria. Se l'immobile fa
parte di un condominio, il tipico onere ad esso relativo costituito dalle spese condominiali, che generalmente vengono pagate
all'Amministratore sulla base delle tabelle millesimali. Tale obbligazione, semplice in capo al defunto, si trasmette ai coeredi
frazionandosi per quote: ossia, ciascun coerede resta obbligato soltanto per la propria quota (eccetto il caso di credito garantito da ipoteca,
del cui pagamento i coeredi rispondono per l'intero); e ci avviene in applicazione del principio - derivato dal diritto romano - "nomina et
debita ereditaria ipso jure dividuntur - (i crediti ed i debiti ereditari si dividono - fra i coeredi - istantaneamente - ossia, al momento e per
effetto della morte); principio fatto proprio dal nostro Codice Civile agli articoli 752 e 754 e ribadito dalla Suprema Corte di Cassazione.
Pertanto, non esistendo alcuna solidariet fra i coeredi in merito al pagamento dei debiti ereditari in generale, altrettanto accade per il
pagamento delle spese condominiali relative all'immobile caduto in successione: se i coeredi sono tre, ciascuno obbligato per un terzo e
in tale misura l'Amministratore potr richiedere a ciascun coerede soltanto il pagamento della quota di un terzo del debito complessivo. E
in caso di insolvenza di alcuno di essi, l'Amministratore potr agire giudizialmente soltanto nei confronti dell'inadempiente nel limite
della quota di debito che a lui fa carico. Inoltre, l'Amministratore non potr pretendere che il pagamento avvenga in unica soluzione cosa che certamente semplificherebbe la contabilit condominiale ma che non pu essere imposta come principio in caso di coeredit - ma
dovr accettare i pagamenti, per le rispettive quote, da parte di ciascun obbligato.
Chi ha eventualmente pagato spontaneamente l'intero debito condominiale, ha azione di regresso verso il coerede insolvente per ottenere
il rimborso della quota a suo carico, e ci stabilito dall'art.754 C.C.
Questa regola - del frazionamento dei debiti in campo successorio - che si applica incondizionatamente in assenza di testamento (ossia,
nelle successioni "legittime") pu essere derogata dal testatore che potr, nel testamento, porre a carico di uno o pi coeredi l'obbligo del
pagamento delle passivit ereditarie, come stabilito nello stesso art.752 C.C. che recita ".salvo che il testatore abbia altrimenti
disposto". Non bisogna poi confondere le passivit ereditarie con i debiti di natura fiscale che sorgono in occasione della successione: i
primi sono quelli gi esistenti in capo al defunto, che si trasmettono pro quota, agli eredi; i secondi sono costituiti dalle imposte di
successione - oggi abolite - e dalle imposte ipotecarie e catastali che i coeredi sono chiamati a pagare relativamente all'immobile caduto in

successione (nella misura, complessivamente, del 3% del valore dell'immobile, calcolato sulla base della rendita catastale). Tali
obbligazioni non costituiscono debiti ereditari ma nascono direttamente in capo agli eredi i quali, per specifica disposizione di legge, ne
rispondono verso il Fisco solidalmente ossia, ciascuno obbligato per l'intero, salvo il diritto di regresso nei confronti degli altri coeredi.
Sospensione del pagamento del canone da parte del conduttore - riduzione o diminuzione del godimento dell'immobile Cass. sez.
III, n. 13133 del 01/06/2006 Con la sentenza n. 13133/06 la Corte di Cassazione tornata ad occuparsi del tema del mancato pagamento
del canone da parte dell _ inquilino che sostenga l inadempimento da parte del proprietario precisando che al conduttore non consentito
di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel
godimento del bene, e ci anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore. L unica ipotesi in cui la
sospensione totale o parziale dell'adempimento della obbligazione del conduttore legittima qualora venga completamente a mancare la
controprestazione da parte del locatore. (Nel caso di specie il conduttore aveva continuato a utilizzare l'immobile lesionato dalla caduta di
una albero sul tetto)
Criterio di uso del garage comune condominiale Cazz. Sez. II Civile, n. 26226 del 7 dicembre 2006
E' illegittima la delbera assembleare che, nello stabilire il criterio di uso del garage comune condominiale, attribuisca ai condomini la
scelta del posto macchina secondo il criterio del valore degli appartamenti. La Corte ha specificato che nel caso di garage in
comunione pr indiviso fra tutti i condomini, in cui il diritto di ciascuno investe l'immobile nella sua totalit, la quota di propriet di cui
all'art.1118 c.civ., quale misura del diritto di ogni condomino, rileva relativamente ai pesi ed ai vantaggi della comunione; ma non in
ordine al godimento che si presume uguale per tutti, come ribadisce l'art.1102 cod. civ. con il porre il limite del "pari uso".
Quindi, ove i posti macchina non siano equivalenti per comodit d'uso, nel disaccordo delle part, il criterio da seguire quello indicato
dal' art. 1102 cod.civ., il quale impedisce che alcuni comproprietari facciano un uso della cosa comune, dal punto di vista qualitativo,
diverso rispetto agli altri.
Corte Cassazione - sentenza n. 17398/2004.
In tema di condominio degli edifici il decoro architettonico, allorch possa individuarsi nel fabbricato una linea armonica, sia pure
estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia, un bene comune il cui mantenimento tutelato a prescindere dalla validit
estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare. Pertanto, una volta accertato che le modifiche non hanno una valenza
ripristinatoria o migliorativa dell'originaria fisionomia, ma alterano quest'ultima sensibilmente, non ha alcuna rilevanza l'accertamento, del
tutto opinabile, del risultato estetico della modifica, che deve ritenersi non consentita quand'anche nel suo complesso possa apparire a
taluno gradevole.

Ricorsoall'autoritgiudiziariaexart.1105c.c.
TRIBUNALE DI NOLA, Sezione Feriale, Giudizio n. 5813/2006
In materia di gestione condominiale il ricorso all'autorit giudiziaria ex art. 1105 c.c. presuppone ipotesi tutte
riconducibili ad una situazione di assoluta inerzia in ordine alla concreta amministrazione della cosa comune
per mancata assunzione dei provvedimenti necessari o per assenza di una maggioranza o per difetto di
esecuzione della deliberazione adottata
Domanda di rimborso di spese relative alla coibentazione del tetto condominialeCass. Sez. II, 11
aprile 2006, n. 8438
Lazione di ingiustificato arricchimento, regolata dagli art. 2041 e 2042 c.c., per la sua natura <> (essa
proponibile soltanto ove non esista altra azione a tutela dellinteresse del soggetto danneggiato) e per la
specificit della sua causa petendi, -arricchimento di una parte con relativo impoverimento di unaltra, che ha
diritto ad un indennizzo per la diminuzione patrimoniale subita, nei limiti dellaltrui arricchimento non pu
ritenersi contenuta implicitamente in una domanda fondata su un diverso titolo e, quindi, se proposta per la
prima volta in grado di appello deve ritenersi nuova e, di conseguenza, tardiva e inammissibile.
(nel caso di specie , in grado di appello un condomino chiedeva il pagamento della somma anticipata per
urgenti opere di coibentazione del tetto condominiale a titolo di indennizzo ex. Art. 2041 c.c., in
considerazione dellarricchimento derivato al condominio.
La vendita del fondo comporta anche il trasferimento delledificio ivi presente
Cassazione , sez. II civile, sentenza 24.11.2006 n 24679 La compravendita di un terreno su cui insistano delle costruzioni comporta, per
il principio della accessione, il trasferimento anche dei suddetti immobili, anche se non espressamente menzionati nellatto, salvo che il
venditore, contestualmente alla cessione o meno, non costituisca su di essi un diritto di superficie a favore proprio o di terzi. Con la
sentenza n. 24679 del 21 novembre 2006 la Corte di Cassazione, pronunciandosi nuovamente in tema di accessione e di trasferimento
delle costruzioni che insistono su un suolo oggetto di vendita, ha statuito che la compravendita di un terreno su cui insistano delle
costruzioni comporta, per il principio della accessione, il trasferimento anche dei suddetti immobili, anche se non espressamente
menzionati nellatto, salvo che il venditore, contestualmente alla cessione o meno, non costituisca su di essi un diritto di superficie a
favore proprio o di terzi. LA QUESTIONE Il Fallimento di A.M. chiedeva al Tribunale di Napoli che fosse acquisito alla massa il
suolo, con parte di fabbricato insistente sullo stesso, acquistato da A.M., con atto notaio del 27/09/1968, da L.D., F.D. e R.D., e che L.D.
aveva lasciato alle nipoti, M.D., S.D. e P.D. che, a loro volta lo avevano rivenduto a V.M.. In particolare, lattore conveniva in giudizio
avanti al giudice di merito tutte le parti nominate, al fine di ottenere la restituzione dellimmobile, comprensivo della parte di fabbricato
insistente sul fondo, la cui propriet era stata trasferita allatto dellalienazione del suolo stesso. Il Tribunale adito, accogliendo le
motivazioni esposte dallattore, ordinava la restituzione del cespite immobiliare, ma la sentenza veniva, poi, integralmente riformata dalla
Corte dAppello, che rigettava la domanda dellappellato fallimento. La Corte territoriale motivava la propria decisone sullassunto che
latto di acquisto del M. aveva ad oggetto, esclusivamente, il suolo edificatorio di risulta dalla demolizione dei fabbricati e non anche
leventuale edificio sito sul suolo venduto che i venditori D. avevano continuato a possedere e di cui costoro non avevano fatto
espressamente oggetto di alienazione. La Suprema Corte di Cassazione in accoglimento del ricorso proposto da A.M, tornato in bonis
nelle more del giudizio, e da V.S., riformava integralmente la sentenza del giudice di seconde cure. LA SOLUZIONE DELLA
CASSAZIONE La Corte detta, preliminarmente, un fondamentale principio di diritto, affermando che nel nostro ordinamento,
contrariamente da quanto dedotto dai ricorrenti, possibile tanto lalienazione dello ius edificandum sul suolo o della costruzione
separatamente dalla propriet del fondo, quanto lalienazione di questultimo separatamente dalla propriet del fabbricato. La sola
differenza che in un caso il venditore rimarrebbe proprietario del suolo cedendo il diritto di superficie, e nellaltro si verificherebbe
lopposto. Tuttavia ci non esclude, sostiene la Suprema Corte di legittimit, che, qualora, in sede di alienazione di un fondo sul quale
insiste una costruzione, non si proceda esplicitamente alla costituzione di un diritto di superficie sulla costruzione in favore dellalienante
o di terzi, onde determinare la separazione della propriet del suolo da quella del fabbricato, questultima si dovr ritenere trasferita in

favore dell acquirente in forza del generale principio della accessione. Ne consegue, pertanto, che in mancanza di una espressa
pattuizione volta a disporre la separazione di dette propriet, loperativit della norma dellart. 934 c.c. - per la quale la propriet della
costruzione viene acquistata automaticamente dal proprietario del suolo senza necessit di una specifica manifestazione di volont - pu
essere superata solo se dallinterpretazione del contratto fosse individuabile nella volont delle parti lintento di scindere il contenuto del
diritto di propriet facente capo al venditore. Difatti, senza la costituzione di un diritto di superficie sulla costruzione, o viceversa sul
suolo, non pu che ritenersi effettuata lalienazione dellintero cespite costituito dal fondo e da quanto su di esso insiste. Sul punto,
peraltro, la S.C. ha ricordato come pi volte la stessa giurisprudenza di legittimit si sia pronunciata affermando la necessit della
costituzione nelle forme di legge di un diritto di superficie, al fine di superare la presunzione imposta dallart. 934 c.c.. In particolare la
Corte ha precisato che, per limitare la cessione al solo fondo, (o viceversa, alla sola costruzione) non sufficiente precisare che il
fabbricato sia stato precedentemente realizzato a cura e spese dellacquirente, ma necessario fornire idonea prova che ledificazione
da parte del suddetto era stata preceduta da atto scritto, avente data certa, contenete lattribuzione di un diritto di superficie in favore di
colui che diventato, poi, acquirente, anche del suolo.
Condominio: s alla tutela possessoria per violazione delle distanze legali
Cassazione , sez. II civile, sentenza 24.11.2003 n 17868 La violazione delle distanze legali nelle costruzioni integra una molestia al
possesso del fondo finitimo contro la quale data l'azione di manutenzione e anche quando tale violazione non ne comprime di fatto
l'esercizio del possesso importa automaticamente una modificazione o restrizione delle relative facolt.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17868 del 24 novembre 2003, precisando con riferimento al caso di specie che il
condominio compossessore, unitamente agli altri condomini delle parti comuni dell'edificio condominiale e che, pertanto, legittimato a
chiedere la tutela possessoria contro gli attentati all'esercizio di tale possesso. Al riguardo, la ricorrente oppone, in primo luogo, che il
rispetto della distanza legale si imponesse perch i manufatti realizzati non erano annoverabili tra le funzioni primarie delle parti comuni
dell'edificio ed, in secondo luogo, che, essendo entrambi i manufatti estranei all'edificio, in quanto realizzati su suolo di esclusiva
propriet del D., l'utilizzazione del muro perimetrale a loro esclusivo servizio determinerebbe la costituzione di una servit a carico del
fabbricato condominiale ed a vantaggio del fondo di esclusiva propriet del D..
Anche questa censura dev'essere accolta, per la assorbente considerazione, svolta nella seconda parte del motivo, che la dedotta esclusiva
propriet in capo al D. del fondo sul quale sorgono i due manufatti, rende questi manufatti estranei al fabbricato condominiale, sicch la
infissione nella parete condominiale, alla quale riduttivamente fa riferimento il giudice d'appello, ed, a maggior ragione, l'inglobamento di
parte del muro perimetrale nell'ambito dei manufatti determinerebbero l'asservimento dell'edificio condominiale a un fondo altrui.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=17&idnot=1631
Corte di Cassazione Sezione 1 Civile Sentenza del 15 settembre 1995, n. 9771
Obbligazioni - Solidarieta' - Rapporto obbligatorio con pluralita' di creditori
Mentre nel rapporto obbligatorio con pluralita` di debitori sussiste una presunzione di solidarieta` passiva, ai sensi dell`art. 1294 cod. civ.
- la cui ratio e` quella di tutelare l`interesse del creditore ad avere a disposizione, ai sensi dell`art. 1292 cod. civ., la possibilita` di una sola
esecuzione nei confronti del patrimonio prescelto - non sussiste alcuna presunzione di solidarieta` nel caso di rapporto obbligatorio con
pluralita` di creditori, nemmeno quando essi invochino la medesima fonte del loro diritto nei confronti del debitore, salva l`ipotesi di una
espressa pattuizione di solidarieta`, da parte dei creditori stessi.
Divieto di destinare gli alloggi ad uso di sanatorio, di cura di ambulatorio per malattie infettive o
contagiose Corte di Appello di Roma, Sez. IV, 31 maggio 2006, n. 2586 Rappresentano diverse e distinte
ipotesi di destinazione d'uso vietate dal regolmaneto condominiale le espressioni sanatorio, gabinetto di
cura e ambulatorio per malattie infettive o contagiose.
La pi ristretta locuzione gabinetto di cura di ambulatorio per malattie infettive o contagiose nella sua
interpretazione letterale non pu trovare un senso compiuto, poich il compimento di ambulatorio non pu
in alcun modo essere specificazione dell'espressione che lo precede, in quanto ambulatorio non pu certo
ritenersi una specificazione di cura o gabinetto di cura (Principio sulla scorta del quale la Corte ha
riconosciuto leggitima la delibera che aveva negato di destinare i locali di propriet dell'appellante a studio
medico oculistico. )
E' onere del proprietario consegnare all'affittuario dell'appartamento un impianto di
riscaldamento in piene efficienza Cassazione , Sez. IV penale, Sentenza 29/09/2006, n. 32298 In
tema di reati omissivi, il fondamento della responsabilit correlato all'esistenza di un dovere giuridico di
attivarsi per impedire che l'evento temuto si verifichi. Il titolare di quest'obbligo versa in posizione di
garanzia, le cui componenti essenziali costitutive sono: da un lato, una fonte normativa di diritto privato o
pubblico, anche non scritta, o una situazione di fatto per precedente condotta illegittima, che costituisca il
dovere di intervento; dall'altro lato, la esistenza di un potere (giuridico, ma anche di fatto) attraverso il
corretto uso del quale il soggetto garante sia in grado, attivandosi, di impedire l'evento.
La Cassazione ha affermato che in questa "posizione di garanzia" si trova il proprietario di un immobile nei
confronti dell'affittuario, cosicch il primo deve consegnare al secondo (tra l'altro) un impianto di
riscaldamento, revisionato, in piena efficienza e privo di carenze funzionali e strutturali.
(Nel caso di specie, la Corte ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che, per il reato di omicidio colposo in
danno degli inquilini, aveva condannato i proprietari di un immobile locato con una caldaia per il
riscaldamento in pessimo stato, cocicch, durante il funzionamento, si era determinata la fuoriuscita di
monossido di carbonio che aveva mortalmente intossicato gli occupanti dell'immobile. )
Il condominio non responsabile dei danni riscontratisi nel solaio divisorio TRIBUNALE DI
SALERNO Sez. II, ord., 27 gennaio 2005
In relazione ai pericoli di danni gravi e prossimi derivanti da un cattivo stato del solaio divisorio, il soggetto
passivo di un'azione ex art. 1172 c.c. non il Condominio, privo di un potere esclusivo di gestione e/o
custodia del bene che si assume pregiudizievole, ma i proprietari del piano sovrastante a quello che accusa il
preteso danno.
Il solaio non un bene condominiale ed il Condominio non pu rispondere in alcun modo di un bene che non
rientra nella sua disponibilit.

Legittimazione passiva dell'amministratore - Azioni reali o possessorie concernenti le parti


comuni CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 21 maggio 2003, n. 7958
In tema di controversie condominiali, la legittimazione dell'amministratore dal lato attivo coincide con
l'ambito delle sue attribuzioni (art. 1131 c.c.), mentre dal lato passivo non incontra limiti e sussiste in ordine
ad ogni azione, anche di carattere reale o possessorio, concernente le parti comuni dell'edificio, con la
conseguenza che l'amministratore legittimato a proporre tutti i gravami che si rendessero successivamente
necessari in dipendenza della vocatio in ius.
E' legittimo insultare il vicino di casa maleducato, anche "a distanza di tempo". Suprema Corte di
Cassazione, Sezione Quinta Penale, sentenza n. 36084 del 31 ottobre 2006
Il condomino esaspera? Niente paura, lo si pu insultare tranquillamente, anche a distanza di tempo,
senza incorrere nella sanzione della legge. La sua reazione sar infatti classificata come risposta ad una
provocazione.
A sancirlo la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 36084, ha annullato la
condanna a 250 euro di multa per il reato di ingiuria continuata inflitta dal Giudice di Pace ad una donna di
Lanciano. La signora, esasperata dal cane degli inquilini del piano di sopra che veniva lasciato libero di fare i
suoi bisogni fuori dal balcone, sporcando la biancheria stesa ad asciugare, aveva insultato, a distanza di
tempo, i condomini.
L'imputata, che ha proposto ricorso in cassazione contro la condanna, sosteneva di avere agito dietro
provocazione per fatto ingiusto altrui, e ora la Suprema Corte le ha dato ragione, affermando che
sussiste l'esimente quando la reazione iraconda segua immediatamente il fatto ingiusto altrui, mentre, ai
fini della configurazione della circostanza attenuante comune, non occorre che la reazione sia immediata, ma
consegua ad un accumulo di rancore, per effetto di reiterati comportamenti ingiusti, esplodendo, anche a
distanza di tempo, in occasione di un episodio scatenante; perci la reazione della signora, anche se
scomposta, comunque giustificabile.
Vietato fotografare i componenti della famiglia per comprovare le violazioni al regolamento
condominiale Cassazione, sezione I Penale, n. 15993 del 6 aprile 2006
E' reato scattare ripetute fotografie ai componenti della famiglia di un condomino al fine di documentare le
violazioni al regolamento condominiale
In particolare, i Supremi giudici, hanno confermato la condanna emessa dal giudice di pace a carico di una
condomina per la sua condotta di scattare ripetute fotografie ai componenti della famiglia di un condomino
con i quali era in corso una lite da lungo tempo in quanto il giudice rilevava che i luoghi in cui erano
ritratte le persone, pur facendo parte delle zona condominiale, erano aperti al pubblico e che era del tutto
irrilevante il fine che l'imputata si era prefissa e cio di documentare le violazioni al regolamento
condominiale.
La corte ha rilevato che il reato si configura in presenza di una condotta invasiva della sfera altrui quando
viene tenuta in luogo aperto al pubblico e per petulanza, osservando che poich lo scopo dell'imputata era
quello di provare che quelle persone violavano il regolamento di condominio, ad esempio perch
parcheggiavano in parti comuni, non era certo necessario fotografare le persone, era sufficiente fotografare
le auto, mentre il tempestare di fotografie le parti lese pu certamente essere ritenuta un'azione petulante e
fastidiosa non consentita.
La modificazione di una parte comune e della sua destinazione , ad opera di un condomino, non
permessa Corte di Appello di Firenze, Sezione I, 24 gennaio 2005, n. 154
In caso di condominio degli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di
taluno dei condomini, pu sottrarre la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i
condomini, e legittima gli altri all'esperimento dell'azione di reintegrazione per il ripristino dello stato
precedente.
I condomini hanno, sulle parti comuni dell'edificio, solo il possesso (corpore et animo) e quindi hanno diritto
di agire, nel concorso di tutti i requisiti per tale azione, per la tutela possessoria in relazione ad atti compiuti
da un condomino che interessino parti comuni.
Durata e rinnovo dei contratti di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso dall'abitazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 11 luglio 2006, n. 15718
La previsione di clausole con le quali viene pattuita una durata iniziale superiore a quella minima stabilita
dallart. 27 della L. 392/1978 (vale a dire superiore a sei anni per la locazione di immobili ad uso industriale,
commerciale, artigianale e di interesse turistico ovvero a nove anni per quelli destinati ad attivit
alberghiere) non esclude lapplicazione della disciplina del rinnovo alla prima scadenza di cui allart. 28 della
legge stessa, in base al quale il contratto si rinnova tacitamente, salva disdetta, per altri sei anni ovvero
nove anni.
Da ci discende che, nel caso in cui la durata iniziale del contratto sia superiore a sei anni, nulla ai sensi
dellart. 79 della L. 392/1978 la clausola diretta a limitare la durata della rinnovazione prevedendo un
termine complessivo fra durata iniziale e primo rinnovo comunque non superiore a dodici anni o diciotto anni.
I rapporti tra comunione e condominio ed il regime di invalidit delle delibere condominiali per violazione del limite
del pari uso.
Nota a Corte di Cassazione - Sezione Seconda Civile, Sentenza 7 dicembre 2006, n. 26226
Avv. Aliotta Fabrizio
La pronuncia in commento ha sanzionato con la nullit, per violazione del limite del pari uso, le delibere condominiali che
attribuiscono il diritto di godimento frazionato di una parte del bene comune; il limite citato sancito dall'art. 1102 c.c., che
vieta a ciascun condomino di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso delle cose comuni. In altre parole, secondo

la Corte, sussiste un divieto di prevedere un utilizzo qualitativamente diverso dei beni comuni, salvo che questo sia disposto
con delibera adottata all'unanimit.
Da questa pronuncia possibile prendere spunto per analizzare i seguenti profili di interesse:
1) i rapporti tra comunione e condominio, rammentando sia la problematica affrontata dalla giurisprudenza del c.d.
condominio minimo, sia la questione del c.d. super-condominio;
2) la natura giuridica delle delibere condominiali;
3) il regime di invalidit delle delibere, tra nullit ed annullabilit.
1) I rapporti tra comunione e condominio, rammentando sia la problematica affrontata dalla giurisprudenza del c.d.
condominio minimo, sia la questione del c.d. super-condominio.
La comunione nei diritti reali istituto che disciplina la contitolarit della propriet o di altri diritti reali da parte di pi soggetti;
il condominio, invece, la comunione forzosa avente ad oggetto le parti comuni di un immobile. La soluzione pi seguita in
dottrina e giurisprudenza rileva la presenza di una relazione di genus a species, intercorrente tra comunione e condominio,
alla luce della disposizione contenuta nell'art. 1139 c.c., rubricato rinvio alle norme sulla comunione: secondo una prima
tesi tale norma, prevedendo l'applicazione al condominio delle norme dettate per disciplinare la comunione, laddove manchi
una specifica regolamentazione, non fa altro che manifestare espressamente il generale principio di specialit, alla cui
stregua il conflitto tra norme volte a regolare la medesima fattispecie va risolto con l'applicazione della norma speciale che
prevale su quella generale; diversamente, seguendo una diversa ricostruzione l'art. 1139 c.c., nel codificare la citata regola,
si sarebbe reso necessario proprio perch un rapporto di genus a species non sussistente, altrimenti, qualora detto
rapporto fosse stato sussistente, l'applicazione delle norme della comunione per regolare le fattispecie non disciplinate
attinenti al condominio sarebbe stata frutto dei generali principi dell'ordinamento, senza bisogno di dettare una regola
espressa di estensione della disciplina.
Ad ogni modo, sulla questione dei rapporti tra comunione e condominio ha avuto modo di pronunciarsi la Corte di legittimit a
Sezioni Unite, al fine di comporre il contrasto sorto per stabilire se, in caso di condominio composto da due soli condomini
(c.d. condominio minimo) fosse applicabile la disciplina del condominio, ovvero quella diversa dettata per la comunione, nella
fattispecie di svolgimento, da parte di uno dei condomini, di un'attivit non previamente autorizzata dall'assemblea. In tale
occasione la Corte di cassazione ha offerto la soluzione dell'applicabilit delle regole sul condominio anche nel caso di due
soli condomini, facendo leva sull'argomento della diversa utilit correlata ai beni oggetto di comunione e condominio: in caso
di comunione, i beni presentano un'utilit finale nel senso che soddisfano di per s l'interesse dei contitolari, viceversa, in
caso di condominio, l'utilit correlata ai beni solamente strumentale, nel senso che consente di godere della diversa utilit
legata ai beni oggetto di propriet individuale. Pur mancando una espressa presa di posizione in tal senso, nell'argomentare
della Corte potrebbe leggersi la volont di affermare che comunione e condominio sono istituti funzionalmente diversi, poich
diverso il tipo di utilit ricavabile dai beni oggetto di comunione e da quelli oggetto di condominio; infatti, dando rilievo alla
distinzione tra utilit finale e strumentale, potrebbe pervenirsi all'esito della eterogeneit funzionale tra comunione e
condominio.
Il tema dei rapporti tra comunione e condominio stato altres affrontato con riferimento all'ipotesi in cui una pluralit di
edifici, tra loro strutturalmente distinti, gode di beni in comune come ad esempio aree destinate a parcheggio ovvero piscine
o altri spazi ricreativi; in questa ipotesi, qualificata di super-condominio o condominio tra edifici, ci si chiesti se dovesse
trovare applicazione la disciplina del condominio oppure quella della comunione. L'orientamento prevalente in giurisprudenza
ha fatto leva sull'art. 61 disposizioni di attuazione c.c., poich tale norma fa riferimento al gruppo di edifici e dunque
permetterebbe di ricomprendere tale ipotesi all'interno del condominio; i sostenitori di questa soluzione, inoltre, hanno
rilevato il carattere non tassativo della elencazione contenuta nell'art. 1117 c.c. che individua i beni che ricadono in
condominio. La soluzione opposta, viceversa, ritiene applicabile la disciplina della comunione in base al carattere derogatorio
ed eccezionale della disciplina del condominio, per applicare la quale sarebbe necessario rientrare nella tassativa
elencazione contenuta nell'art. 1117 c.c.
Una diversa soluzione, ritenuta pi coerente con la ratio sottesa alla distinzione tra comunione e condominio, cos come
rilevata dalle sezioni unite nella citata pronuncia in tema di c.d. condominio minimo, potrebbe consistere nell'applicare la
disciplina del condominio qualora sussista quel rapporto di strumentalit dei beni comuni rispetto a quelli individuali; al
contrario, laddove l'utilit ricavabile dai beni comuni non sia di tipo strumentale, ma finale, in tal caso dovrebbe applicarsi la
disciplina della comunione in generale.
2) La natura giuridica delle delibere condominiali.
Le delibere condominiali sono atti giuridici, nei quali individuabile un unico centro di interessi (unilateralit) facente capo ad
una pluralit di soggetti (plurisoggettivit); le delibere sono imputate ad un organo che ha la funzione di manifestare la
volont dell'ente, secondo lo schema della c.d. rappresentanza organica, in virt della quale, la pluralit di manifestazioni di
volont espresse dai singoli componenti dell'ente si fonde nella volont unitaria dell'organo deliberante: quest'ultimo
individuato dal legislatore nell'assemblea dei condomini (artt. 1135 ss c.c.).
Il dato dell'imputazione della delibera all'organo assembleare caratterizza gli atti collegiali, distinguendoli dagli atti collettivi,
nei quali, pur sussistendo i connotati della unilateralit e della plurisoggettivit, tuttavia manca il dato della fusione delle
diverse volont nell'unica volont dell'organo deliberante: quanto avviene ad esempio nella proposta di vendita del bene in
comunione, qualificata come atto collettivo e non collegiale. Diversamente, nel caso in cui l'atto sia frutto della volont di
diversi soggetti, ma sia destinato a realizzare l'interesse esclusivo di uno di essi, si parla di atto complesso: l'ipotesi
dell'atto compiuto dall'inabilitato per la cui efficacia sia necessaria l'autorizzazione del curatore.
Delineati i tratti distintivi tra le diverse figure di atti unilaterali plurisoggettivi, si pone il problema di individuare la natura
giuridica negoziale o meno degli atti collegiali, nel cui alveo rientrano le delibere condominiali. Secondo una prima
ricostruzione la natura negoziale delle delibere condominiali sarebbe insita nella funzione, riconosciuta all'organo
assembleare, di formazione della volont del condominio; al contrario, seguendo una diversa lettura ermeneutica, si
sostenuto che la natura negoziale o meno della delibera non potrebbe essere affermata in via generale ed astratta, ma
dovrebbe essere riscontrata in concreto ed in ragione del contenuto della delibera stessa: ad esempio, nel caso di delibera
con la quale si attribuisce l'incarico di amministratore la natura negoziale dell'atto deriverebbe dal suo inquadramento nello
schema della procura o del mandato, mentre, viceversa, in caso di delibera con la quale si approva un riparto di spese in tal
caso la funzione meramente ricognitiva consentirebbe di escludere la natura negoziale, con conseguente ricaduta nell'area
degli atti giuridici in senso stretto.
3) Il regime di invalidit delle delibere condominiali tra nullit ed annullabilit.
La pronuncia dalla quale si tratto spunto ha confermato la decisione del giudice del merito con la quale stata sancita la
nullit della delibera condominiale per violazione del limite del pari uso previsto dall'art. 1102 c.c.; in questa occasione la
corte di legittimit non si soffermata sul regime di invalidit applicabile alle delibere condominiali, limitandosi a confermare
la soluzione offerta dalla statuizione impugnata nel senso dell'operativit del regime della nullit; tuttavia, alla luce di una

recente pronuncia delle sezioni unite (Cass. SS.UU. 7 marzo 2005, n. 4806), possibile valutare la compatibilit della
sanzione della nullit con i principi espressi dalle sezioni unite nel 2005 in tema di rapporti tra nullit ed annullabilit delle
delibere condominiali.
Il principio di diritto affermato nel 2005 consiste nello stabilire che le delibere condominiali sono nulle se prive degli elementi
essenziali, con oggetto impossibile o illecito, con oggetto che non rientra nella competenza dell'assemblea, se incidono sui
diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla propriet esclusiva di ognuno dei condomini, mentre sono annullabili se
affette da vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, da vizi formali, se violative di prescrizioni attinenti al
procedimento di convocazione e se violative di norme che richiedono determinate maggioranze qualificate. Nell'annotare tale
decisione, si prospettata la distinzione tra vizi formali e vizi sostanziali: nel caso di vizi formali la sanzione sarebbe quella
della annullabilit, nel caso di vizi sostanziali la conseguenza sarebbe, viceversa, quella della nullit.
Al contrario, altri autori hanno ritenuto valorizzare l'iter argomentativo seguito dalla sentenza del 2005 la quale avrebbe
affermato la vigenza di una regola di generale annullabilit (c.d. annullabilit virtuale) delle delibere contrarie a norma
imperativa, secondo uno schema opposto rispetto a quello vigente in materia contrattuale, laddove la contrariet a norma
imperativa determina la generale nullit del contratto, salvo che la legge disponga diversamente.
Con la sentenza annotata la Corte ha confermato la nullit delle delibera per violazione del limite del pari uso (limite
costituito dal divieto di prevedere un utilizzo qualitativamente diverso dei beni comuni); nel valutare la coerenza di tale
decisione con la statuizione del 2005, una prima ricostruzione ha rilevato la possibilit di inquadrare la fattispecie della
delibera in violazione del limite del pari uso all'interno della categoria delle delibere che incidono sul godimento dei beni
comuni da parte dei condomini; tali delibere, come detto, sono state collocate, dalle sezioni unite del 2005, nell'area delle
delibere nulle: a tale stregua, dunque, si concluso nel senso della compatibilit tra la decisione del 2005 e quella dell'anno
successivo.
Al contrario, qualora si ritenga valorizzare la lettura della c.d. annullabilit virtuale, dovrebbe pervenirsi all'opposta soluzione
della incoerenza della soluzione offerta nel 2006 con la precedente pronuncia del 2005, dal momento che la delibera
violativa del limite del pari uso sarebbe una delibera contraria a norma imperativa per la cui violazione manca la previsione di
un'espressa sanzione, con la conseguenza della applicabilit della regola della annullabilit virtuale e non del regime della
nullit, come avvenuto nella fattispecie in esame.
Limite alla superficie minima degli alloggi illegittimo
TAR Lombardia-Brescia, sentenza 08.04.2005 n 301 La prescrizione di superficie minima dellalloggio imposta dal Comune si risolve,
in buona sostanza, in una limitazione dello jus aedificandi, che potrebbe trovare la propria giustificazione solo in motivi di ordine
igenico e sanitario che, nel caso di specie, difettano.
Inoltre una tale limitazione inerisce ad un aspetto che non appare suscettibile di essere disciplinato, oltre certi limiti, dal potere dellente
locale, potendo semmai trovare la propria definizione nella legislazione statale o regionale, anche al fine di evitare difformit di
regolamentazioni. Nel rispetto della disciplina urbanistico edilizia rientra nella libert di iniziativa costituzionalmente garantita
dellimprenditore, la scelta di edificare tipologie edilizie per una, due o pi persone.
Tale libert non pu essere limitata o compressa ove non sussistono, come nella specie non sussistono, prevalenti e pregnanti ragioni di
interesse pubblico.
Tali ragioni non possono evidentemente identificarsi in quelle igienico- sanitarie, che non sono affatto compromesse da alloggi di 45 mq.,
o nella esigenza di salvaguardare gli interessi dei residenti e di evitare uno scompenso del mercato, come dimostra la disciplina statale e
regionale che ammette superfici inferiori.
Non si pu non rilevare che sono le regole del libero mercato e la domanda di alloggi con superficie inferiore ai 45 mq. a determinare la
scelta dellimprenditore di realizzare abitazioni adeguate alle necessit sociali degli acquirenti, mentre uneventuale inadeguatezza degli
alloggi rispetto alle richieste del mercato, comporta un naturale squilibrio nellofferta delle tipologie edilizie. Questa, in sostanza, la
motivazione che ha sostenuto la decisione assunta dal T.A.R. lombardo, in ragione della quale si tornato a ribadire lillegittimit
dellistituto della superficie minima degli alloggi di residenza.
La sentenza, peraltro, segue le precedenti segnalate in questa Rivista (TAR Abruzzo - L'Aquila, sentenza 27 gennaio 2005, n. 27 e relativa
nota I poteri di regolamentazione edilizia e i limiti: la superficie utile netta minima), e si allinea allindirizzo prevalente che vede
nellistituto di cui si parla un illegittimo esercizio del potere degli enti locali, i quali utilizzano i poteri regolamentari in materia edilizia
per creare nuovi istituti la cui fonte non potrebbe che essere una legge regionale o, come minimo, statale. In questa sentenza, per, c di
pi. Il Regolamento edilizio impugnato in parte nel ricorso al Giudice Amministrativo lombardo prevedeva che la superficie minima
fosse 45 mq per le prime tre persone: con questa formulazione, cio, il Regolamento edilizio pareva non solo limitare la superficie, ma
prevedere un numero minimo di abitanti per alloggio, ragionamento praticamente illogico, irrazionale e sintomatico di una situazione di
incertezza quanto a compatibilit della scelta effettuata dallamministrazione con le regole proprie dellordinamento di diritto urbanistico.
Ecco, questo ragionamento merita, a parere di chi scrive, un ulteriore approfondimento.
La questione capire come qualcuno mi aveva chiesto quale relazione pu instaurarsi fra la previsione di una superficie utile minima
di una residenza e la particolare previsione contenuta nel D.I. n. 1444 del 1968.
Nella fonte interministeriale, come noto, si stabiliscono i rapporti tra spazi privati e spazi pubblici in dipendenza delle destinazioni duso
impresse ai primi, e, ad un certo punto, si parla anche di quantitativi di superficie per ogni abitante insediato: larticolo 3, ultimo comma,
stabilisce che ai fini dell'osservanza dei rapporti suindicati nella formazione degli strumenti urbanistici, si assume che, salvo diversa
dimostrazione, ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq. di superficie lorda abitabile (pari a circa 80
mc. vuoto per pieno), eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 mq. (pari a circa 20 mc. vuoto per pieno) per le
destinazioni non specificamente residenziali ma strettamente connesse con le residenze (negozi di prima necessit, servizi collettivi per le
abitazioni, studi professionali, ecc.).
Secondo alcuni, tale disposizione parrebbe porre le basi per legittimare in via indiretta lapposizione di limiti minimi alle superfici. Un
ragionamento del genere non pare assolutamente sostenibile, in particolare per tre macroscopiche ragioni giuridiche, le quali
impediscono di equivocare oltremodo la portata semantica e normativa della disposizione di cui si parla. In primo luogo, il D.I. ,
appunto, Decreto Interministeriale, fonte normativa di rango regolamentare e non legislativo, al punto che esso non mi pare strumento
giuridico e legislativo sufficiente a fondare la devoluzione agli enti locali comunali di poteri e funzioni amministrative che non siano
espressamente previste dalla legge. In secondo luogo, la disposizione appena riportata ha un campo di applicazione ben delimitato: ai
fini dell'osservanza dei rapporti suindicati nella formazione degli strumenti urbanistici, altrimenti detto, il ministero ha dettato regole per
la fissazione dei rapporti minimi fra superfici private e superfici pubbliche, regole da trasporre nelle parti degli strumenti urbanistici che
dispongono circa lurbanizzazione (primaria e secondaria); inoltre, proprio il fatto che si parli di strumenti urbanistici e non si faccia
cenno a quelli propriamente edilizi (fra i quali rientra, appunto, il Regolamento edilizio), pare allo scrivente una ragione sufficiente ad
escludere che la norma richiamata possa fondare previsioni di carattere limitativo in ambito urbanistico. In terzo luogo, la norma
impone di assumere che, salvo diversa dimostrazione, ad ogni abitante insediato o da insediare corrispondano mediamente 25 mq. di
superficie lorda abitabile ... eventualmente maggiorati di una quota non superiore a 5 mq: superficie lorda abitabile, e non netta. Il

Giudice Amministrativo, dunque, e ancora una volta non manifesta dubbi sullillegittimit dello strumento giuridico della superficie
minima. http://www.altalex.com/index.php?idnot=35920
Collocazione di un'antenna televisiva su una propriet di terzi
TRIBUNALE DI SALERNO Sez. II, ord., 20 luglio 2005
La collocazione di un'antenna televisiva su una propriet di terzi ed il relativo accesso per provvedere alla manutenzione
della stessa , espressione di facolt relative ad un diritto di natura personale e non, invece, esplicazione di fatto delle
facolt relative ad un diritto reale.
Pertanto, non si connota come una situazione possessoria suscettibile di tutela ai sensi degli artt. 1168 c.c. e ss.
Durata e rinnovo dei contratti di locazione di immobili urbani adibiti ad uso diverso dall'abitazione
Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 11 luglio 2006, n. 15718
La previsione di clausole con le quali viene pattuita una durata iniziale superiore a quella minima stabilita dallart. 27 della
L. 392/1978 (vale a dire superiore a sei anni per la locazione di immobili ad uso industriale, commerciale, artigianale e di
interesse turistico ovvero a nove anni per quelli destinati ad attivit alberghiere) non esclude lapplicazione della disciplina
del rinnovo alla prima scadenza di cui allart. 28 della legge stessa, in base al quale il contratto si rinnova tacitamente,
salva disdetta, per altri sei anni ovvero nove anni.
Da ci discende che, nel caso in cui la durata iniziale del contratto sia superiore a sei anni, nulla ai sensi dellart. 79
della L. 392/1978 la clausola diretta a limitare la durata della rinnovazione prevedendo un termine complessivo fra durata
iniziale e primo rinnovo comunque non superiore a dodici anni o diciotto anni.
Esula dalle attribuzioni dell'assemblea il potere di imputare al singolo condomino una determinata spesa
individuale Tribunale di Milano, Sez. VIII, 13 settembre 2005, n. 10020
Le attribuzioni dell'assemblea condominiale sono circoscritte alla verificazione ed applicazione in concreto dei criteri legali o
convenzionali di ripartizione delle spese (cfr. art. 1123 c.c.) necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti
comuni, nonch per la prestazione dei servizi nell'interesse comune, oltre che per le legittime innovazioni deliberate dalla
maggioranza;
Esula dalle attribuzioni dell'assemblea il potere di imputare, con l'efficacia vincolante propria della deliberazione
assembleare, al singolo condomino una determinata spesa pretesemente individuale, non potendosi ravvisare una sorta di
autotutela dell'ente collettivo privilegiata rispetto alla posizione del normale creditore. TRIBUNALE DI MILANO Sez. VIII, 13
settembre 2005, n. 10020 Est. D'Isa - Ric. Draghetti (avv. Condorelli) - c. Condominio Le Villette di via S. Patrizio in Pieve Emanuele (avv.
Santagostino)
(Omissis). Motivi della decisione. - Nella presente causa, introdotta con ricorso depositato in data 27 dicembre 2002 e trattenuta in decisione
sulle conclusioni formulate dalle parti, la condomina Draghetti Francesca ha impugnato la delibera dell'assemblea del Condominio Le Villette
Via San Patrizio di Pieve Emanuele in data 28 novembre 2002, nella parte in cui (punto 3 dell'o.d.g.: approvazione consuntivo manutenzioni
straordinarie e riparto blocco B), col voto favorevole dei 3 condomini presenti del blocco B (ed in assenza della Draghetti e di altro
condomino dello stesso blocco B) ha addebitato tutto il costo dell'opera alla condomina Draghetti ad eccezione della tinteggiatura della
parete in quanto ritengono che il cappotto eseguito interessi solo la condomina Draghetti, invitando l'amministratore a consultare la ditta
esecutrice dei lavori per la quantificazione della tinteggiatura, deducendone l'invalidit per inosservanza dell'art. 1123 comma 1 c.c. e per
inosservanza degli accordi 9 febbraio 2001 intervenuti fra i condomini del blocco B.
Il Condominio si costituito ed ha sostenuto l'inammissibilit, nonch l'infondatezza dell'impugnazione, di cui ha chiesto il rigetto, non
vertendosi in ipotesi di muro perimetrale comune, ma, trattandosi di distinti edifici-villette a schiera strutturalmente autonome, di muro di
pertinenza della impugnante ed altres sostenendo che il preteso accordo del 9 febbraio 2001 era comunque irrilevante ed inopponibile al
Condominio.
Il G.U. senza necessit di seguito istruttorio, premesso: che l'impugnazione tempestiva, stante la data di deposito del ricorso ex art. 1137
c.c. (cfr. Cass., sez. II, 16 febbraio 1988 n. 1662; Cass., sez. II, 9 luglio 1997 n. 6205) ed avendo l'impugnante, peraltro assente
all'assemblea, dedotto anche la nullit della delibera 28 novembre 2002;
rilevato:
che l'attrice ha chiesto la declaratoria di invalidit della delibera impugnata e il Condominio convenuto ha chiesto il rigetto dell'impugnazione;
che pur non avendo le parti prodotto il Regolamento condominiale, n documenti descrittivi dei luoghi (lo stato di progetto e dei lavori
eseguiti - prodotti dal Condominio - non illustrando la configurazione complessiva delle villette), la fattispecie appare comunque apprezzabile
sulla base degli elementi prospettati in causa;
osserva:
che i lavori per cui causa, eseguiti nel 2001, sono stati considerati come condominiali (le fatture sono intestate al Condominio e
l'amministratore dell'epoca, con lettera del 19 febbraio 2002, ha comunicato alla Draghetti i dati pro quota per le detrazioni fiscali di

competenza del singolo condomino - cfr. doc. 2-4 fasc. attore);


che l'impugnante ha richiamato l'accordo 9 febbraio 2001 (doc. 1 fasc. attore) con cui 4 condomini presenti (su 5) del blocco B avevano
approvato il preventivo dei lavori in questione;
che il Condominio, mentre ha disconosciuto che il preteso accordo configuri un'assemblea, non ha per chiarito in base a quale presupposto
(diverso dal detto accordo o assemblea separata) si sia comunque fatto carico dei lavori e della relativa spesa;
che il detto accordo sottoscritto dai 4 condomini deliberanti e, se per un verso pu dirsi impegnativo per costoro, per altro verso non
indifferente rispetto alla deliberazione 28 novembre 2002 impugnata in causa (cfr. doc. 5 fasc. attore);
che la delibera impugnata attribuisce una spesa (gi pagata come condominiale) riqualificandola come individuale (e senza neppure
quantificarla esattamente, poich mantiene come condominiale la tinteggiatura della parete);
che le attribuzioni dell'assemblea condominiale sono circoscritte alla verificazione ed applicazione in concreto dei criteri legali o convenzionali
di ripartizione delle spese (cfr. art. 1123 c.c.) necessarie per la conservazione ed il godimento delle parti comuni, nonch per la prestazione
dei servizi nell'interesse comune, oltre che per le legittime innovazioni deliberate dalla maggioranza;
che quindi esula dalle attribuzioni dell'assemblea il potere di imputare, con l'efficacia vincolante propria della deliberazione assembleare, al
singolo condomino una determinata spesa pretesamente individuale non potendosi ravvisare una sorta di autotutela dell'ente collettivo
privilegiata rispetto alla posizione del normale creditore, e siccome al riguardo l'assemblea carente di potere, il relativo vizio deve
qualificarsi in termini di nullit (cfr. Trib. Milano 5 agosto 2003 n. 11242; App. Milano 22 giugno 2001 n. 1696);
che in questa sede non vi luogo ad accertamento del carattere comune o meno del muro in relazione al quale sono stati effettuati i lavori
della cui spesa si discute in causa, poich il tema del contendere circoscritto dalla domanda-impugnazione della delibera, rispetto alla quale
unico legittimato passivo l'amministratore condominiale ed i condomini sottoscrittori dell'evocato accordo non sono litisconsorti necessari.
La delibera impugnata deve pertanto essere dichiarata invalida, con la conseguente condanna del Condominio soccombente alla rifusione
delle spese processuali, che si liquidano (d'ufficio in difetto di nota di parte) come in dispositivo. (Omissis).

Mediazione atipica: la provvigione spetta solo agli iscritti nei ruoli


Cassazione , sez. III civile, sentenza 05.09.2006 n La questione affrontata dalla Suprema Corte nella decisione in rassegna riguarda la
configurabilit del diritto alla provvigione in capo ad un soggetto che, pur non iscritto nel ruolo degli agenti di affari in mediazione, abbia
messo in relazione due parti per la conclusione di un affare relativo a beni immobili o aziende. In primis la Corte si sofferma
sullappartenenza, al genus del contratto di mediazione, del mandato in forza del quale viene conferito al mandatario lincarico di cercare
una persona interessata alla conclusione di un affare voluto dal mandante. A tal proposito, i giudici affermano che pu definirsi
mediazione negoziale atipica (c.d. unilaterale) il contratto a prestazioni corrispettive con il quale una parte, volendo concludere un affare,
incarica altri di svolgere unattivit intesa alla ricerca di una persona interessata alla conclusione del medesimo affare a determinate
prestabilite condizioni.
Secondo gli ermellini vanno quindi qualificati in termini di mediazione atipica unilaterale i due distinti accordi
in forza dei quali un soggetto riceva, rispettivamente, da parte dellalienante incarico a cercare un acquirente al fine di concludere con
questultimo il contratto di vendita, e, da parte dellacquirente incarico a cercare un alienante al fine di concludere il medesimo affare.
Stante la riconducibilit di tale accordo atipico alla categoria della mediazione ed in particolare allipotesi disciplinata dallart. 2 comma 4
della legge n. 39/1989 (Modifiche ed integrazioni alla legge 21 marzo 1958 n. 253 concernente la disciplina della professione di
mediazione), necessaria, ai fini della configurabilit del diritto del mediatore alla provvigione (prevista dall'art. 6 comma 1 della stessa
legge), liscrizione nei ruoli degli agenti di affari in mediazione, istituiti presso ciascuna Camera di commercio, industria, artigianato e
agricoltura. Deve inoltre negarsi che la legge n. 39/1989, nella parte in cui subordina lo svolgimento dellattivit di mediatore
allobbligo delliscrizione al ruolo, si ponga in contrasto con i principi di uguaglianza sostanziale (art. 3 comma 2 Cost.), del diritto al
lavoro (art. 4), della libert di associazione (art. 18 Cost.), della libert dellarte e della scienza (art. 33 Cost.), del diritto allequa
retribuzione (art. 36 Cost.), della libert delliniziativa economica privata (art. 41 Cost.), giacch la stessa testuale previsione di cui allart.
33, comma 5 Cost. (E' prescritto un esame di Stato ... per l'abilitazione all'esercizio professionale) appalesa l'interesse pubblico a che
determinate attivit siano svolte esclusivamente da persone in possesso di particolari cognizioni tecniche.
Ancora, lultimo comma
dellart. 41 Cost. espressamente prevede che la legge determina ... i controlli opportuni perch l'attivit economica ... privata possa
essere indirizzata e coordinata a fini sociali: anche nel solco di questa disposizione che la legge n. 39/1989 detta una speciale
disciplina a tutela della generalit dei cittadini, garantendo degli standards professionali che assicurino il possesso dei requisiti di
competenza tecnica dei mediatori. Peraltro la richiamata regola di cui allart. 6 comma 1 della legge n. 39/1989 si pone in piena
armonia con la disposizione contenuta nellart. 2231 c.c., comma 1, a tenore della quale quando lesercizio di una attivit professionale
condizionato alliscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non iscritto non gli d azione per il pagamento della
retribuzione. http://www.altalex.com/index.php?idnot=35659
Rimozione del cancello antistante la porta d'ingresso - incompetenza per materia del giudice di pace Giudice di Pace di Casoria ,
sentenza del 29/05/2006 Nel caso di specie, occorre rilevare che, a fronte della richiesta di rimozione del cancello antistante la porta
d'ingresso della abitazione della convenuta, parandosi il cancello medesimo verso il pianerottolo della scala comune, cos da ridurne la
fruibilit da parte degli altri condomini con il proprio ingombro in fase di apertura, la convenuta Tizia ha dedotto che trattasi di un proprio
diritto, atteso che il manufatto stato innestato nell'ornia della porta della sua propriet esclusiva, senza poggiare sulle parti condominiali.
Ne deriva che, essendo in discussione il diritto stesso della convenuta Tizia ad un determinato uso del pianerottolo ovvero un diritto
proprio esclusivo della convenuta, ben pu ritenersi che la controversia non riguardi le modalit, quantitative o qualitative, dell'uso delle
cose o dei servizi comuni, bens la stessa possibilit dell'esercizio del diritto, essendo diretta ad ottenere la preclusione di un determinato
utilizzo della cosa da parte della convenuta. La stessa S.C. ha chiarito che "Sussiste la competenza ordinaria per valore, qualora al
condomino non derivi una limitazione qualitativa del suo diritto, ma la negazione in radice dello stesso, come per la domanda diretta alla
declaratoria di inibizione al parcheggio dell'autovettura nel cortile comune" (Cass. 7888/94). In altri termini, si verte in tema di diritti
immobiliari e la competenza non pu che essere attribuita al Tribunale. Invero, l'art. 7 del codice di rito, nello statuire che il giudice di
pace competente per le cause relative a beni mobili di valore non superiore a . 2582,28, che non siano attribuite alla competenza di un
altro giudice, implicitamente, ma inequivocabilmente, esclude, sotto il profilo della materia, la competenza del giudice anzidetto per tutte
le controversie immobiliari, cio per tutte le controversie aventi ad oggetto domande afferenti a diritti tanto reali, quanto personali relativi
a beni immobili, cio pretese che abbiano la loro fonte in un rapporto giuridico o di fatto riguardante un bene immobile (Cass. 1031/95,

10787/96). Va affermata, pertanto, la incompetenza per materia di questo giudice a conoscere della domanda in atti, in favore del
Tribunale di Napoli -Sezione Distaccata di Casoria.
Notificazione degli atti al portiere - omissione dell'attestazione del mancato rinvenimento delle altre persone idonee GIUDICE
DI PACE CIVILE DI ROMA 14 dicembre 2005, n. 55357 A norma dell'art. 139 del c.p.c. nulla la notificazione effettuata mediante
consegna di copia dell'atto al portiere dello stabile del destinatario qualora l'ufficiale giudiziario si limiti a dare atto della precaria assenza
dell'intimato senza certificare l'avvenuta ricerca delle ulteriori persone abilitate a ricevere l'atto. Tale principio vale anche per la
notificazione eseguita a mezzo del servizio postale poich l'inosservanza dell'ordine delle persone indicate dall'art. 7 della legge 20
novembre 1982, n. 890, quali possibili consegnatari dell'atto in caso di assenza del destinatario causa di nullit della notificazione che
deve essere fatta valere nei limiti e secondo le regole del giudizio di impugnazione.
La modificazione di una parte comune e della sua destinazione , ad opera di un condomino, non permessa Corte di Appello di
Firenze, Sezione I, 24 gennaio 2005, n. 154
In caso di condominio degli edifici, la modificazione di una parte comune e della sua destinazione, ad opera di taluno dei condomini, pu
sottrarre la cosa alla sua specifica funzione e quindi al compossesso di tutti i condomini, e legittima gli altri all'esperimento dell'azione di
reintegrazione per il ripristino dello stato precedente. I condomini hanno, sulle parti comuni dell'edificio, solo il possesso (corpore et
animo) e quindi hanno diritto di agire, nel concorso di tutti i requisiti per tale azione, per la tutela possessoria in relazione ad atti compiuti
da un condomino che interessino parti comuni.
Installazione canna fumaria in corrispondenza dell'esiguo cordolo perimetrale del lastrico condominiale destinato a stenditoio
TRIBUNALE DI ROMA Sez. VII, 9 febbraio 2006, n. 2983
In tema di canne fumarie il giudice, Con la sentenza del tribunale di roma, ha ribadito che << la canna fumaria, di dimensioni cm.
3535143 di altezza massima, posta a 45 gradi in un angolo del lastrico condominiale, occupa in modo stabile e duraturo una porzione
dello stretto cordolo perimetrale e, in relazione alla struttura del manufatto ed alla destinazione d'uso della porzione di lastrico solare
interessata (destinazione a stenditoio), risulta effettivamente pregiudizievole per il pari uso degli altri condomini e, tra questi, del pari uso
spettante al ricorrente. >> Nel caso in esame stata posta in essere una modificazione della cosa comune con alterazione dell'entit
sostanziale e della destinazione originaria del lastrico solare, certamente non soggetta alla disciplina dell'art. 1102 c.c. Tale opera, per la
sua consistenza, avrebbe dovuto essere autorizzata in via preventiva dall'assemblea dei condomini sicch la mancata autorizzazione
induce a ritenerla del tutto abusiva.
Servit di passaggio a favore di altro immobile CORTE DI CASSAZIONE CIVILE Sez. II, 30 giugno 2005, n. 14015 La maggiore
intensit del transito su una strada privata, soggetta a servit di passaggio a favore di altro immobile, non determina di per s la
diminuzione o la maggiore incomodit dell'esercizio della servit precostituita sul fondo servente e, pertanto, incombe agli interessati di
dimostrare l'avvenuta alterazione in loro danno dell'esercizio della servit.
Collocazione di un'antenna televisiva su una propriet di terzi
TRIBUNALE DI SALERNO Sez. II, ord., 20 luglio 2005 La
collocazione di un'antenna televisiva su una propriet di terzi ed il relativo accesso per provvedere alla manutenzione della stessa ,
espressione di facolt relative ad un diritto di natura personale e non, invece, esplicazione di fatto delle facolt relative ad un diritto reale.
Pertanto, non si connota come una situazione possessoria suscettibile di tutela ai sensi degli artt. 1168 c.c. e ss.
Legittimo il divieto di dimora per chi commetta reati di violenza privata e lesioni. I vicini violenti allontanabili da casa
(Cassazione 38101/2006)
I vicini di casa attaccabrighe e particolarmente violenti possono essere allontanati dalla loro abitazione. Lo ha stabilito la Quinta Sezione
Penale della Corte di Cassazione confermando la misura cautelare del divieto di dimora applicata dal Tribunale di Napoli a quattro
persone indagate per violenza privata e lesioni personali ai danni di tre persone alle quali avevano affittato un appartamento. La decisione
si fondava in particolare sulla testimonianza di una delle parti lese, supportata da documentazione medica, e sul fatto che la violenta
aggressivit dimostrata in passato dagli indagati giustificava la previsione di una reiterazione delle loro condotte, originate da contrasti
con i propri inquilini abitanti nel medesimo stabile, per cui la sola misura adeguata a prevenire un tale pericolo era quella del loro
allontanamento dallalloggio. La Suprema Corte ha respinto il ricorso degli imputati, confermando laccertamento dei fatti operato dai
giudici del Tribunale, in merito al quale la Cassazione, giudice di Legittimit, non pu pronunciarsi, in quanto non deve stabilire se la
decisione di merito proponga effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, n deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilit di apprezzamento.
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=55685&idCat=45
Condominio e privacy: problematiche comuni e spunti di riflessione Dott. Gianluca Savino - g.savino@email.it
Le amministrazioni condominiali, nell'ambito della propria attivit di gestione della cosa comune, raccolgono ed elaborano un gran
numero di dati personali e compiono su di essi una serie di operazioni riconducibili tutte alla nozione di trattamento [1] di dati personali
ai sensi del D.Lgs. 196/2003, Codice in materia di protezione di dati personali. Specifichiamo per, che i dati personali trattati all'interno
di una normale gestione condominiale, sono solo quelli relativi ai condomini che hanno titolo, cio quelli relativi ai titolari di diritti
reali di godimento sulle unit immobiliari (proprietari, comproprietari, usufruttuari, etc) e non anche i dati personali degli altri residenti
nel condominio che sono, viceversa, sine titulo (per es. i conviventi dei condomini, gli ospiti occasionali, i conduttori, etc.). Resta tuttavia
in alcuni casi la possibilit per l'amministrazione condominiale di conoscere anche i dati personali delle categorie anzidette. Tale esigenza
pu nascere per esempio per motivi di sicurezza: quando si v a verificare l'idoneit nell'uso delle cosa propria rispetto alla cosa comune
(per es. gli impianti comuni). In ipotesi di questo tipo non siamo in presenza di un'illecita invadenza nella sfera personale di tali categorie
di soggetti in quanto, in base ai principi di pertinenza e di proporzionalit dettati dal codice privacy, il trattamento in questione, viene
limitato solo ad ipotesi specifiche e di reale esigenza e, certamente, non prima di aver operato un contemperamento di interessi
contrapposti: la protezione e l'incolumit dei condomini da una parte; la tutela della riservatezza dei terzi dall'altra.
Per quel che concerne i trattamenti di dati personali effettuati nell'ambito di gestione di un condominio, risulta quanto mai evidente
come, nella nozione di trattamento ex art. 4 D.Lgs. 196/2003, rientrano numerose operazioni che possiamo definire di routine per
un'amministrazione condominiale. Ci si riferisce per esempio alla tenuta dell'anagrafe condominiale, alla registrazione dei nomi e dei dati
anagrafici dei condomini in registri cartacei o in data base informatici, alle valutazioni di attribuzione in base alle tabelle millesimali, alle
registrazioni dei pagamenti, alla raccolta ed alla tenuta della documentazione dell'attivit contrattuale del condominio e delle relative
spese, etc.. Dunque possiamo dire che, anche l'amministrazione di un piccolo condominio, compie operazioni definibili come trattamento
di dati personali soggetti agli obblighi di legge, a prescindere dalla dimensione dell'edificio da amministrare ed a prescindere dalla
realizzazione dell'attivit di amministrazione, ovvero se viene realizzata in forma professionale o privata. Senza tener conto che, varie

esigenze di amministrazione, sovente, implicano la necessit di gestire archivi contenenti ulteriori informazioni sui condomini e sui
rispettivi inquilini, sulle loro abitazioni, sulla natura e sulla quantit dei consumi, ect.. Informazioni tali che, se sapientemente ed
arbitrariamente elaborate, potrebbero rivelare ulteriori dati circa le abitudini e gli stili di vita degli abitanti l'edificio condominiale,
andando ad impattare fortemente con l'esigenza di tutela offerta dalla legge sulla privacy.
I trattamenti di dati personali dei condomini e di terzi estranei al condominio (imprese di pulizia, eventuali consulenti esterni, etc.) che
l'amministratore tenuto ad effettuare per legge (artt. 1130, 1131 e 1133 del codice civile) e per contratto (mandato ad amministrare
ricevuto dal condominio), vengono a ricadere nell'ambito della propria responsabilit in forza del ruolo di titolare del trattamento dei dati
personali dei condomini, che lo investe, ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. 196/2003. [2] Ne deriva che tutti gli adempimenti imposti, in
generale ai titolari di trattamenti di dati personali dal D.Lgs. 196/2003, in ambito condominiale, gravano sulla persona
dell'amministratore, il quale deve quindi provvedere, in primis , ad osservare l'obbligo di dare informativa ex 'art. 13 del Codice [3].
I vari trattamenti di dati condominiali, devono essere effettuati nel fedele e puntuale rispetto dei principi introdotti dal legislatore con il
D.lgs n. 196 del 2003 e del suo allegato b) disciplinare tecnico in materia di misure minime di protezione.
Il trattamento deve essere svolto con strumenti ed azioni volte a preservare la riservatezza, l'integrit e la disponibilit del dato, che di
volta in volta oggetto di trattamento.
In particolare ove tale trattamento venga svolto mediante l'ausilio di strumenti informatici dovranno anche essere adottate le misure
minime previste dalla legge per garantire che terzi non autorizzati possano introdursi all'interno dei predetti archivi al fine di visualizzare
od alterare i dati personali dei soggetti sottoposti al trattamento. L'amministratore, poi, dovr nominare per iscritto eventuali collaboratori
di studio come Incaricati al trattamento dei dati personali e dotarsi di sistemi di autenticazione informatica (passwords) e di anitivirus.
Rilevanti in termini di privacy, sono anche le modalit di convocazione e di partecipazione all'assemblea condominiale e di divulgazione
di dati personali condominiali, a volte anche di natura sensibile.
In alcune pronunce giurisprudenziali [4], infatti, si affrontato anche un altro aspetto assai delicato in tema di tutela della privacy in
ambito condominiale, ci si riferisce al problema relativo alle comunicazioni in bacheca. Il trattamento dei dati deve essere improntato,
anche in ambito condominiale, al rispetto dei principi di necessit, pertinenza e non eccedenza rispetto agli scopi per i quali i dati stessi
vengono raccolti. L'esposizione in bacheca di notizie sulla condotta di un determinato condomino in relazione alla propria vita
condominiale e/o la relativa denuncia su eventuali morosit nei pagamenti (nella quale vengono riportati i dati personali ed identificativi)
concreta una diffusione di dati in contrasto con la disciplina posta a protezione dei dati personali perch idonea a rendere edotti su
informazioni riservate anche soggetti estranei (in numero, addirittura, potenzialmente illimitato) che si trovano occasionalmente nei locali
del condominio e possono in tal modo venire a conoscenza di vicende private e personali riguardanti solamente il singolo condomino.
Nella gestione della cosa comune, al fine di non oltrepassare la sfera del riserbo di ciascun condomino ma al contempo di non creare
ostacolo al flusso di dati personali necessari al regolare svolgimento dell'attivit lavorativa, necessario garantire equilibrio tra l'interesse
alla riservatezza dei dati personali ed il concorrente interesse alla informazione ed alla conoscenza delle condizioni di gestione di interessi
comuni [5]. Da una parte vi l'obbligo di protezione dei dati personali ma, dall'altro, vi il diritto dei condomini ad avere reciproca
informazione sui dati personali che influenzano comportamenti, scelte ed orientamenti dell'amministrazione condominiale. Per es. prima
di deliberare su l'esecuzione di lavori condominiali (che a volte presuppongo ingenti esborsi economici) ciascun condomino, che
debitore per l'intero in base alla solidariet passiva, ha, naturalmente, il diritto di conoscere le effettive possibilit di adempimento degli
altri condomini per regolarsi di conseguenza.
Infine per quanto concerne la convocazione e la partecipazione all'assemblea, diciamo subito che l'assemblea deve essere convocata nei
modi e nei termini di legge e non deve essere pubblica. Particolari cautele dovranno essere osservate nel caso in cui l'assemblea ammetta
per la discussione su taluni argomenti all'ordine del giorno, la partecipazione di terzi quali per es. consulenti legali, tecnici o di altra
natura. In tali casi, gli estranei, dovranno trattenersi alla riunione per il tempo necessario allo svolgimento del compito per il quale sono
stati convocati e dovrebbero firmare un impegno alla riservatezza (cio impegnarsi a non divulgare le notizie di cui si viene a conoscenza
a seguito della partecipazione ad un'assemblea di condominio, in qualit di consulente esterno).
[1] Ai sensi dell'art. 4 del D. Lgs. 196/2003 per trattamento si intende qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche
senza l'ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l'organizzazione, la conservazione, la consultazione,
l'elaborazione, la modificazione, la selezione, l'estrazione, il raffronto, l'utilizzo, l'interconnessione, il blocco, la comunicazione, la
diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati.
[2] Art. 4 D.Lgs. 196/2003 Titolare del trattamento la persona fisica, la persona giuridica, la pubblica amministrazione e qualsiasi altro
ente, associazione od organismo cui competono, anche unitamente ad altro titolare, le decisioni in ordine alle finalit, alle modalit del
trattamento di dati personali e agli strumenti utilizzati, ivi compreso il profilo della sicurezza.
[3] Art. 13. 1. L 'interessato o la persona presso la quale sono raccolti i dati personali sono previamente informati oralmente o per iscritto
circa: a) le finalit e le modalit del trattamento cui sono destinati i dati; b) la natura obbligatoria o facoltativa del conferimento dei dati;
e) le conseguenze di un eventuale rifiuto di rispondere; d) i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i dati personali possono essere
comunicati o che possono venirne a conoscenza in qualit di responsabili o incaricati, e l'ambito di diffusione dei dati medesimi; e) i
diritti di cui all'articolo 7;
[4] Tribunale di Napoli, Sez. dist. Afragola, ordinanza del 27.04.2005
[5] In altre parole, ogni qual volta si effettua un trattamento di dati personale, bisogna adeguatamente rispettare i c.d. principi di liceit, di
necessit e di proporzionalit ex D.Lgs. 196/2003 Codice in materia di trattamenti di dati personali.
Sospensione della delibera assembleare Ordinanza del Tribunale di Torino del 05/06/2006
Il provvedimento di sospensione della delibera assembleare, essendo preposta ad impedire che lesecuzione della delibera asseritamente
illegittima possa vanificare il giudizio che ha ad oggetto proprio laccertamento di tale illegittimit, riveste natura cautelare, con la
conseguenza che, da una parte, necessario accertare i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora e, dallaltra parte,
applicabile, in quanto compatibile, il procedimento cautelare uniforme di cui agli artt. 669 bis ss. c.p.c.
Vizi della cosa locata - obbligazioni del locatore Cass. civ., sez. III, 18 aprile 2006, n. 8942
Costituiscono vizi della cosa locata, agli effeti di cui all'art. 1578 c.c.,, quelli che incidono sulla struttura materiale della cosa, alterandone
l'integrit in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se sono eliminabili
e si manifestano successivamente alla conclusione del contratto.
Ci posto, da escludere che possano essere ricompresi tra i vizi della cosa locata quei guasti o deterioramenti della stessa dovuti alla
naturale usura, effetto del tempo, ovvero di accadimenti accidentali (nella specie, cattivo funzionamento degli scarichi e la difettosa tenuta
dei pluviali e delle tubazioni idriche).
In tale ipotesi, operante lobbligo del locatore di provvedere alle riparazioni ai sensi dellart. 1576 c.c., la cui inosservanza determina
inadempimento contrattuale.
LA SOPRAELEVAZIONE IN CONDOMINIO
A norma dellart. 1127, primo comma, c.c., il proprietario dellultimo piano o del lastrico solare delledificio condominiale pu
elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo.

La norma di cui allart. 1127 c.c. - apparentemente di agevole lettura nel suo insieme tuttaltro che di agevole interpretazione, non
solo in ordine allesatta individuazione dei termini nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche in ordine agli ulteriori commi. Per
nuovi piani o nuove fabbriche devono intendersi le costruzioni corrispondenti agli standard minimi di altezza dei piani e cio,
metri 2,80? Si vuol dire: la norma si applica solo ove le costruzioni raggiungano in altezza gli standard minimi di ciascun piano o
sufficiente che esse oltrepassino comunque la precedente altezza del fabbricato?
E ancora: nella nozione di sopraelevazione rientra anche il recupero dei sottotetti, nei quali siano ricavati uno o pi appartamenti, a
prescindere dallinnalzamento dei muri perimetrali dellultimo piano o del tetto?
In tema, le pronunce della Cassazione sono assai oscillanti e talvolta contrastanti: si vedano esemplificativamente, le sentenze
14/10/1988, n. 5556; 10/06/1997, n. 5164; 24/10/1998, n. 10568; 12/2/1998, n. 1498; 20/7/1999, n. 7764 e 25/05/2000, n. 6643.
Rispetto ad una fattispecie relativa al recupero di un sottotetto, stato per esempio ritenuto che si in presenza della sopraelevazione
ex art. 1127 c.c., laddove non ci si limiti alle modificazioni interne del sottotetto nellambito dei limiti strutturali originari del
fabbricato, ma ci si adoperi nel superamento di tali limiti strutturali attraverso linnalzamento delloriginaria altezza delledificio e lo
spostamento in alto della copertura del fabbricato (Cassazione 12/02/1998, n. 1498). In particolare, la sentenza della Cassazione,
22/5/2000, n. 6643 - con riferimento ad unanaloga fattispecie concernente lavori di innalzamento di circa 60 cm della falda del tetto
e dei soffitti lungo il perimetro del preesistente locale lavanderia - ha ritenuto che la sopraelevazione sussistente non per il fatto di
una pura e semplice costruzione oltre laltezza precedente del fabbricato, ma solo in caso di costruzione di uno o pi nuovi piani o
di una o pi nuove fabbriche, sopra lultimo piano delledificio, quale che sia il rapporto con laltezza precedente.
Il contrasto giurisprudenziale in materia di sottotetti tuttaltro che irrilevante, in un periodo in cui il loro recupero notoriamente
consistente. Tant che di recente la seconda sezione della Corte di Cassazione con ordinanza 7 giugno 2005, n. 11857 - ha
rimesso la questione alle Sezioni unite della stessa Cassazione, ai fini della composizione del contrasto emerso nellambito della
sezione. Nella richiamata ordinanza, la seconda sezione ha evidenziato che in giurisprudenza risulta ormai delineato lorientamento
in base al quale, ai sensi dellart. 1127 c.c., devono essere considerati nuovi piani o nuove fabbriche le opere consistenti nella
trasformazione in appartamento di una soffitta mediante laumento da 1 a 3 metri della sua altezza media, in quanto i sottotetti, le
soffitte, le cantine, i solai vuoti e gli analoghi spazi non praticabili, destinati ad isolare il corpo di fabbrica dalla sua copertura,
costituiscono una semplice pertinenza dellintero edificio condominiale o del suo ultimo livello ove appartengano in via esclusiva al
proprietario di questo, come nella specie, e non dnno luogo a loro volta ad un piano a s stante, destinati come sono a funzioni
accessorie, quali depositi, stenditoi, camere daria a protezione degli alloggi sottostanti dal caldo e dal freddo e dallumidit. E,
dunque, il recupero dei sottotetti non dovrebbe comportare sopraelevazione, laddove le modificazioni siano soltanto interne e
contenute negli originari limiti delledificio, senza alcun aumento di altezza.
Ci a parte, vale la pena di puntualizzare che nelle case coperte da tetto - i cui sottotetti, solai, soffitte, abbaini, siano di propriet
esclusiva - per ultimo piano deve intendersi quello del sottotetto e non il sottostante ultimo piano normale, sicch il diritto di sopralzo
spetta ai proprietari dei solai o soffitte o abbaini e non gi ai proprietari del piano sottostante.
Si tenga tra laltro presente che qualora lultimo piano delledificio appartenga per porzioni a pi di un condomino, la parziariet del
diritto di ciascuno comporta che ciascuno dei proprietari pu sopraelevare la parte corrispondente alla sua propriet esclusiva - salvo
danni allestetica delledificio - senza che sia necessaria la contemporanea sopraelevazione, da parte degli altri proprietari, delle
rispettive porzioni (Appello Milano 16/3/1951). Si tenga anche presente che, se il lastrico solare di propriet comune dei condomini,
a norma dellart. 1117 c.c., il diritto di sopralzo spetta al proprietario dellultimo piano e non a tutti i condomini (Cassazione,
7/11/1961, n. 2572).
In ogni caso, la sopraelevazione consentita quando sia eseguita dal proprietario dellultimo piano o dal proprietario esclusivo del
lastrico solare o terrazza di copertura delledificio, a condizione che sussista lidoneit statica delledificio (art. 1127, secondo
comma, c.c.), che non sia pregiudicato laspetto architettonico delledificio e non sia diminuita notevolmente laria e la luce dei piani
sottostanti (art. 1127, terzo comma, c.c.). La disposizione di cui allart. 1127 c.c. non impone per, a chi sopraeleva, lobbligo di
eseguire lavori di rafforzamento o consolidamento delle strutture preesistenti. Sussistendo tutte tali condizioni, il sopraelevante,
eseguita la sopraelevazione, tenuto a corrispondere, agli altri condomini, la cosiddetta indennit di sopraelevazione, nonch a
ricostruire il lastrico o la terrazza - su cui tutti o parte dei condomini avevano diritto duso - in modo da non rendere pi incomodo
luso originario.
Certo che i contrasti dottrinali e giurisprudenziali non si fermano alla nozione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma si estendono
alla stessa definizione giuridica del diritto di sopraelevazione, talvolta definito come un diritto di superficie, con contenuto economico
proprio valutabile separatamente da quello degli altri piani (Cassazione, 7/12/1994, n. 10498) e talaltra, come un vero e proprio
diritto di propriet, comprensivo della facolt di edificare, spettante esclusivamente al proprietario dellultimo piano delledificio o al
proprietario esclusivo del lastrico solare. Di qui la distinzione tra propriet del lastrico solare e propriet della sovrastante colonna
daria, sicch stato per esempio ritenuto che, in caso di sopraelevazione, il proprietario del lastrico - il quale si sia riservato anche la
propriet della colonna daria - esonerato dallobbligo di corrispondere lindennit di sopraelevazione agli altri condomini. Si
vedano, in tema, Cassazione, 1463/1962; 1084/1976; 5556/1988 e 22032/2004. Per la sentenza da ultimo richiamata, la colonna
d'aria (e cio lo spazio sovrastante il lastrico solare) non costituisce oggetto di diritti e quindi non costituisce oggetto di propriet
autonoma, rispetto alla propriet del lastrico solare, sicch non esonera dallobbligo del pagamento dellindennit.
Certo che per effetto della sopraelevazione si verifica un trasferimento patrimoniale che riguarda tutte le parti comuni delledificio e
che compensato dal versamento da parte del sopraelevante di unindennit corrispondente allacquisizione delle quote di una
soltanto delle parti comuni e cio dellarea su cui costruito ledificio. In sostanza, lindennit di sopraelevazione viene a
configurarsi come una reintegrazione parziale della perdita subita dai condomini, con il trasferimento delle quote di compropriet
dellarea condominiale. E per questo che il sopralzo comportando un mutamento nel rapporto di valore tra le propriet esclusive
rende necessaria la revisione della tabella millesimale di propriet (art. 69, n. 2, disp. att., c.c.), con un aumento della quota di
compropriet del condomino che ha effettuato il sopralzo e la corrispondente diminuzione di quelle di tutti gli altri condomini.
Silvio Rezzonico
Riparto di giurisdizione in tema di cooperative edilizie fruenti di contributi erariali
Cassazione , SS.UU. civili, ordinanza 25.01.2007 n 1618 In materia di cooperative edilizie - anche fruenti del contributo erariale - alla
luce del nuovo assetto normativo di progressiva privatizzazione e del superamento, conseguente alla sentenza della Consulta n. 204/2004,
del criterio di delimitazione della giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario basato sul principio della ripartizione della
materia, le Sezioni Unite della Cassazione stabiliscono quanto segue: ai fini del riparto di giurisdizione occorre distinguere la fase
pubblicistica, caratterizzata dallesercizio di poteri finalizzati al perseguimento di interessi pubblici e da posizioni soggettive di interesse
legittimo del privato, da quella privatistica, nella quale la posizione dellassegnatario qualificabile come diritto soggettivo, in forza della
diretta rilevanza della regolamentazione del rapporto tra ente ed assegnatario. Pertanto, sono devolute alla giurisdizione del G.A. le
controversie attinenti a pretesi vizi di legittimit dei provvedimenti emessi nella prima fase, mentre sono riconducibili alla giurisdizione
del G.O. le controversie in cui siano in discussione cause sopravvenute di estinzione o di risoluzione del rapporto e non si tratti di
sindacare lesercizio di un potere pubblico. In applicazione di tale principio, i Giudici di Piazza Cavour hanno dichiarato la

giurisdizione del G.O. nella controversia in cui si discuteva delle conseguenze legali del sopravvenuto fallimento di una cooperativa e
sugli effetti che, da tale evento, erano derivati in ordine al diritto dei prenotatari degli appartamenti per il conseguimento della propriet
dellimmobile, in esecuzione di quanto pattuito nei relativi contratti preliminari. http://www.altalex.com/index.php?idnot=36079
Transazione avente ad oggetto beni di propriet comune
Cassazione, sentena n. 24 febbraio 2006 n. 5258
E nulla la transazione stipulata tra il condominio e uno dei condomini, sulla base di una delibera assembleare approvata a maggioranza,
in virt della quale ad un solo condomino sia riconosciuto luso esclusivo su una porzione del lastrico solare di propriet comune.
Trasformazione di una parte del tetto - falde di copertura TRIBUNALE DI NOCERA INFERIORE 4 dicembre 2002, n. 1139
Nell'ipotesi in cui uno o pi condomini trasformino una parte del tetto a falde di copertura dell'edificio condominiale in superfici destinate
a loro uso esclusivo (non eliminando l'assolvimento della funzione originariamente svolta dal tetto stesso, ma imprimendo ai nuovi
manufatti, per le loro caratteristiche strutturali, anche una destinazione ad uso esclusivo degli autori delle opere) non si configura
un'innovazione ex art. 1120 c.c., n invocabile la previsione dell'art. 1122 c.c. dettata per le opere attuate nel piano (o porzione di piano)
di propriet solitaria, riscontrandosi bens una violazione del divieto posto dall'art. 1102 c.c. di alterare la destinazione della cosa comune
e di impedire agli altri proprietari di farne parimenti uso secondo il loro diritto: il che presuppone la proposizione di specifica domanda
avente propria causa petendi.
Scioglimento e costituzione in condominio separato Trib. civ. Bergamo, sez. III, 16 dicembre 2002, n. 3524 L'art. 61 esplicitamente
prevede e subordina lo scioglimento dal condominio e la costituzione in condominio separato solo per quegli edifici o gruppo di edifici
che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, dovendosi con ci intendere che la costituzione in condominio separato possibile
allorch la residua porzione abbia una propria autonomia strutturale, anche se, come recita il successivo art. 62 att. c.c., restano in
comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall'art. 1117 c.c..
Responsabilit civile per rovina di edificio e uso anomalo del bene Cassazione civile, Sez .III, 14 ottobre 2005, n. 19975 Ai sensi
dell'art. 2053 c.c., la responsabilit del proprietario per i danni cagionati a terzi dalla rovina dell'edificio sussiste in dipendenza di ogni
disgregazione, sia pure limitata, degli elementi strutturali della costruzione, ovvero degli elementi accessori in essa stabilmente
incorporati. Con sentenza n. 19975 del 14 ottobre 2005, la S.C. ha cassato la sentenza di appello che, in considerazione dell'uso anomalo
del bene da parte del danneggiato, ha escluso il configurarsi della suddetta responsabilit nel caso di un calciatore che, arrampicatosi con
una scala di legno sul tetto dello spogliatoio per recuperare il pallone finito fuori dal terreno di gioco, sia salito sul solaio dello spogliatoio
e, in seguito al cedimento del crollo del parapetto al quale si era appoggiato per guardare nella strada sottostante, sia precipitato al suolo
subendo lesioni mortali.
DICHIARAZIONI 2007: Unico senza 770 Nelle bozze pubblicate in internet dal Ministero delle Finanze scompare dal modello Unico
2007 il 770 ordinario. La legge n. 248/2006 ha disposto, infatti, la presentazione esclusivamente in via autonoma sia per il modello 770
semplificato ed ordinario. Si confermano, inotre, la possibilit per il contribuente di eleggere apposito domicilio per la notificazione degli
atti; in particolare, per quanto riguarda le comunicazioni degli esiti del controllo formale delle dichiarazioni, l'avviso verr inviato
telematicamente all'intermediario che ha provveduto all'invio della dichiarazione, il quale dovr farsi carico di portare a conoscenza del
contribuente tempestivamente gli esiti di irregolarit ricevuti.
Amministratore in giudizio senza l'autorizzazione dell'assemblea dei condomini
Cassazione , sez. III civile, sentenza 13.02.2007 n 3064 Lamministratore di un condominio pu essere convenuto in giudizio per
qualunque controversia concernente le parti comuni ed legittimato a rappresentare in giudizio il condominio senza necessit di
autorizzazione dellassemblea con linerente legittimazione a proporre impugnazione. Lo ha stabilito la Sezione Terza della Cassazione,
con la sentenza n. 3064 del 13 febbraio 2007, aderendo al prevalente orientamento della giurisprudenza e discostandosi da una recente
decisione (Cassazione 22294/04) che negava la possibilit all'amministratore di resistere in giudizio senza la preventiva autorizzazione
assembleare. http://www.altalex.com/index.php?idnot=522
Contratto preliminare: cumulabilit tra azione contrattuale ed extracontrattuale
Cassazione , sez. III civile, sentenza 25.07.2006 n 16937 Nella questione in esame si pone un problema giuridico particolarmente
interessante, relativo alla possibile cumulabilit di unazione contrattuale con quella precontrattuale. Nellipotesi in cui, a seguito di
trattative si addivenga ad un accordo, qualificabile come contratto preliminare (ad effetti anticipati), possibile sostenere la cumulabilit
tra azione contrattuale ed azione precontrattuale, in considerazione del fatto che si tratta di azioni diverse? Oppure, le due azioni vanno
intese in senso alternativo e non cumulativo, perch la formazione di un contratto, assorbe, per cos dire, lazione precontrattuale, ex art.
1337 c.c.? La tesi della Cassazione 16937/2006
La Suprema Corte, sez. III, con la pronuncia 16937 del 25 luglio 2006, opta per una
ricostruzione alternativa delle due azioni (contrattuale e precontrattuale), facendo valere argomentazioni di tipo logico-deduttivo piuttosto
che letterali. In particolare, la Cassazione ritiene che le due azioni in questione non possono essere cumulate, perch quando si
addiviene ad un contratto (nella specie una lettera di intenti veniva qualificata come preliminare ad effetti anticipati) vuol dire che viene
superata la fase delle trattative, in favore dellaccordo, con la conseguenza che si potr configurare unazione contrattuale, ma non
precontrattuale, perch la prima assorbirebbe la seconda; in questo senso, la responsabilit precontrattuale sarebbe, nella sostanza,
configurabile solo quando non si addiviene ad un contratto, ovvero nelle ipotesi di trattative infruttifere (rectius: inconcludenti), perch se
vi contratto la responsabilit precontrattuale perde la sua autonomia a favore della sola azione contrattuale.
Cos, nel caso di specie,
a seguito di formazione di un contratto preliminare ad effetti anticipati (c.d. impuro) trover applicazione il solo art. 1443 c.c. (il contratto
era stato concluso da un incapace) e non anche lart. 1337 c.c.
Rilievi critici
La tesi sostenuta dalla Suprema Corte non
esente da rilievi critici, derivanti, per lo pi, da argomentazioni di tipo letterale.
La lettera dellart. 1337 c.c. non esclude che la
conclusione del contratto impedisca un eventuale cumulo di responsabilit, tra profilo precontrattuale e contrattuale, in quanto si fa
riferimento ad una violazione della buona fede nel momento delle trattative e formazione del contratto, per cui si tratta di una violazione
che ben pu sussistere anche in presenza di un contratto effettivamente concluso; non si tratta, cio, solo di trattative volutamente
inconcludenti, ma di principi generali che vengono ad essere violati.
Ne segue, da questa angolazione prospettica, che la
responsabilit precontrattuale tutela la buona fede nelle trattative, diversamente dalla responsabilit contrattuale che tutela,
prevalentemente, ladempimento, con la conseguenza che, venendo ad emergere posizioni giuridiche relative a beni-interessi diversi,
dovrebbe ritenersi ammissibile il cumulo; id est, se si sottolinea che la responsabilit precontrattuale tutela la buona fede nelle trattative e
quella contrattuale la buona fede adempitiva, allora, vi potr essere cumulo tra i due profili di responsabilit.
Inoltre, si dice,
secondo la tesi prevalente la responsabilit precontrattuale avrebbe pur sempre la natura giuridica di responsabilit extracontrattuale, con
il corollario applicativo che vi potrebbe sempre essere un cumulo con unazione contrattuale da inadempimento, in quanto, appunto, si
tratterebbe di azioni con diversa natura giuridica (e, per ci solo, cumulabili).
Riflessioni conclusive e precisazioni
I rilievi

critici, invero, dal punto di vista teorico sembrano condivisibili, se non fosse che (come detto anche nella sentenza in questione) colui che
conclude un contratto pu vantare gi unazione volta a tutelarlo per quanto riguarda il procedimento volitivo alterato da eventuale dolo
(in contrasto con la buona fede) o errore, con particolare riferimento allazione di annullamento, ex art. 1441 c.c. e ssgg., con la
conseguenza che se sussiste una tutela piena relativa alla violazione del procedimento volitivo nella fase delle trattative, allora,
uneventuale ulteriore strumento di tutela volto, pur sempre a tutelare le trattative, ex art. 1337 c.c., si tradurrebbe in uninutile
duplicazione degli strumenti di tutela, senza alcun vantaggio per il danneggiato ed in contrasto con i principi generali di economia
processuale, lato sensu; in altri termini, a rigore, colui che conclude un contratto a seguito di trattative che abbiano violato la buona fede,
ex art. 1337 c.c., pu vantare lazione di annullamento che si riferisce proprio ad unalterazione del libero processo volitivo, al pari di
quanto dettato in tema di responsabilit precontrattuale.
In questo senso, pertanto, lazione precontrattuale non sarebbe cumulabile
con quelle contrattuali in quanto, queste ultime, gi potrebbero tutelare ampiamente il libero processo volitivo, anche nella fase delle
trattative, sub specie di azione di annullamento, ex art. 1441 e ssgg. http://www.altalex.com/index.php?idnot=35556
Contratto di appalto e profili di responsabilit in capo al committente dei lavori
Tribunale Vibo Valentia, sentenza 23.10.2006 n 669
In presenza di fatto illecito posto in essere nellesecuzione di lavori dedotti in
un contratto di appalto, il soggetto committente non esente da responsabilit concorrente con quella dellimpresa appaltante ove risulti
che lappaltatore abbia dovuto eseguire un progetto predisposto dal committente sotto la sua diretta sorveglianza, e che il committente si
sia ingerito nella realizzazione dellopera, riducendo lautonomia dellappaltatore. Cos ha statuito il Tribunale di Vibo Valentia con
sentenza 669/2006 che, intervenendo a dirimere una controversia in materia di risarcimento danni derivanti da negligente ed imperita
esecuzione di lavori di ampliamento di strada pubblica, ha confermato il gi consolidato orientamento di legittimit maturato sul punto
dalla Suprema Corte: in ossequio allopzione ermeneutica adottata dagli ermellini, infatti, il giudice del merito ritiene che il committente
possa essere corresponsabile con lappaltatore ex art. 2049 c.c. configurandosi dunque una ipotesi di responsabilit solidale, con tutte le
conseguenze del caso, ivi compresa leventualit di azioni di rivalsa interne ai coobligati ove ne venga ridotta lautonomia tecnica e
organizzativa. Il soggetto appaltante sarebbe poi unico ed esclusivo responsabile nel caso in cui imponesse le sue direttive, riducendo
limprenditore - appaltatore al rango di nudus minister (cfr. ex plurimis Cass. 12.02.1997, n. 1284). Nella concreta fattispecie da cui ha
tratto origine la pronuncia in esame, lapplicabilit della disciplina codicistica in materia di responsabilit dei padroni e committenti
appariva indiscutibile gi a monte, atteso che nel caso de quo non risultava quale fosse appalto o meno - il rapporto che legava
limpresa esecutrice al Comune committente. In ogni caso, loccasione ha prestato il fianco a un interessante intervento di merito il quale,
traghettando la normativa di cui allart. 2049 c.c. nellarea dellappalto, amplia garantisticamente le opportunit di un equo ristoro
economico in favore dei soggetti danneggiati. http://www.altalex.com/index.php?idnot=36116
Delibera impugnata e subito sostituita da una nuova deliberazione correttiva. La revoca degli atti impugnati che abbiano
determinato la sopravvenuta carenza di interesse in capo al ricorrente non comporta anche, in applicazione del principio della
soccombenza virtuale, la condanna alle spese dell'amministrazione resistente, dovendosi verificare se l'atto di ritiro consista o meno in un
implicito riconoscimento della loro illegittimit Cons. Stato, Sez. IV, 03/09/2001, n.4638
Nel giudizio di impugnazione di
delibera assembleare si verifica la cessazione della materia del contendere quando l'assemblea dei condomini, regolarmente riconvocata,
deliberi sugli stessi argomenti della deliberazione impugnata, ponendo in essere un atto sostitutivo di quello asseritamente invalido.
App. Catania, Sez. II, 21/01/2006
Qualora entrambe le parti abbiano chiesto concordemente che venga dichiarata cessata la materia
del contendere ma non si trovino d'accordo sul governo delle spese, necessario valutare la soccombenza virtuale delle parti al fine di
decidere su chi debbano gravare le spese del processo. Trib. Genova, Sez. II, 21/03/2006
La revoca degli atti impugnati che abbiano determinato la sopravvenuta carenza di interesse in capo al ricorrente non comporta anche, in
applicazione del principio della soccombenza virtuale, la condanna alle spese dell'amministrazione resistente, dovendosi verificare se
l'atto di ritiro consista o meno in un implicito riconoscimento della loro illegittimit (nella specie stata negata la pronuncia positiva sulle
spese poich gli atti gravati e relativi a procedura d'esproprio erano stati revocati per intervenuta modifica della destinazione urbanistica
delle aree interessate dalla procedura ablatoria). Cons. Stato, Sez. IV, 03/09/2001, n.4638
In tema di impugnazione di delibera assembleare condominiale affetta da vizio di annullabilit al giudice che dichiara cessata la materia
del contendere - in conseguenza dell'avvenuta sostituzione della stessa durante la pendenza della lite - spetta il regolamento delle spese
processuali; ne discende che la relativa pronuncia deve essere fondata sulla valutazione delle probabilit normali di accoglimento della
domanda secondo il principio della soccombenza virtuale (o potenziale). Trib. Ariano Irpino, 14/03/2000
L'annullamento, in sede di autotutela, dell'atto impugnato comporta la pronuncia di cessazione della materia del contendere, rilevabile dal
giudice indipendentemente da eccezione di parte, nonch, quanto agli oneri di lite, l'applicazione del criterio della soccombenza virtuale.
Commiss. Trib. Prov. Torino, Sez. X, 04/07/2003, n.19
Sospensione del giudizio dopposizione a decreto ingiuntivo S.U. Cassazione 27 febbraio 2007, n4421
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto un conflitto giurisprudenziale e con la recentissima sentenza 27 febbraio 2007,
n4421 hanno stabilito che "il giudice dellopposizione al decreto ingiuntivo - ottenuto dallamministratore contro il condomino in mora
non pu sospendere il processo (ex art. 295 c.p.c.) in attesa della definizione del giudizio di impugnazione della delibera assembleare (ex
art. 1137 c.c.) posta a fondamento del provvedimento monitorio, mancando tra le due cause un rapporto di pregiudizialit necessaria".
Finalmente stato ribadito il principio espresso dall'art. 63 Attuazione del Codice Civile dove si ribadisce che il decreto ingiuntivo
ha piena efficacia nonostante opposizione. http://www.altalex.com/index.php?idnot=1883
Diritto d'uso dell'area di parcheggio Cass. 17 marzo 2006, n. 6066
Una volta vincolata ope legis una determinata area, per la sua destinazione a parcheggio a norma dellarticolo 41- sexies della legge
urbanistica del 1942, eventualmente per una superficie anche superiore, ma mai inferiore a quella minima imposta, nel caso concreto,
dalla legge secondo il rapporto di un metro quadrato per ogni 20 metri cubi di costruzione, il vincolo rimane per lintera superficie, non
essendo consentito al privato ridurre questa per riportarla allestensione minima prevista dalla legge.
Per le ritenute del 4% l'obbligo di versamento scatta solo per somme superiori ai 200 euro
Per semplificare la vita ai condomini e soprattutto agli amministratori il Ministero dell'Economia ha presentato un emendamento al DL
Bersani sulle liberalizzazioni, che sospende l'obbligo di versamento della ritenuta 4% fino al raggiungimento dell'importo minimo di Euro
200,00 con effetto dal 1/1/2007.
Tale pagamento comunque dovuto entro la prima scadenza utile appena raggiunto il minimo anzidetto. Entro il 16/1/2008 dovranno
essere versate tutte le ritenute operate anche non superiori a 200,00 Euro.
Apertura di finestre su area di propriet comune ed indivisa tra le parti Cass. civ., sez. II, n. 20200 del 19 ottobre 2005
Costituisce opera inidonea all'esercizio di un diritto di servit di veduta l'apertura di finestre su area di propriet comune ed indivisa tra le

parti , sia per il principio nemini res sua servit, che per la considerazione che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalit di dare
aria e luce agli immobili circostanti, sono ben fruibili a tale scopo dai condomini, cui spetta, pertanto, anche la facolt di praticare
aperture che consentano di ricevere aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in
tema di luci e vedute, a tutela dei proprietari dei fondi confinanti di propriet esclusiva, con il solo limite, posto dall'art. 1102 c.c., di non
alterare la destinazione del bene comune o di non impedirne l'uso da parte degli altri comproprietari.
Cassazione: notifica all'indirizzo dell'edificio condominiale La Corte di Cassazione, con due recenti sentenze, la n.3064/2007 e la
n.3453/2007, intervenuta sul tema della regolarit della notifica, nel primo caso di un atto di opposizione a decreto ingiuntivo, nel
secondo di una sanzione amministrativa ed ha ribadito alcuni principi importanti in tema di notifica postale, evidenziando come, una
eventuale superficialit del postino nella effettuazione della notifica dellatto, possa essere causa di nullit o inesistenza della notifica
stessa. Nel primo caso, oggetto della sentenza n.3064/2007, era in discussione la regolarit della notifica di un decreto ingiuntivo al
Condominio, presso lindirizzo delledificio comunale. La Cassazione ha affermato che la notifica allindirizzo delledificio condominiale
nulla, se non vi un luogo espressamente destinato alla gestione condominiale, come, ad esempio, la portineria, dichiarando altres la
inesistenza della notifica, qualora lufficiale postale, non abbia eseguito gli adempimenti e le ricerche di cui allart.8 della Legge 890/82 e
ne abbia fatto menzione. In particolare, nel caso specifico, il postino aveva annotato lassenza temporanea del destinatario, ma nulla aveva
riportato in merito alla contemporanea assenza di altre persone abilitate a ricevere la consegna.
Edilizia: interesse ad agire dei vicini, sopraelevazione, distanze dei fabbricati

TAR Liguria, sez. I, sentenza 19.12.2006 n 1711 La situazione giuridica soggettiva azionata dai proprietari di immobili situati
nelle immediate vicinanze dell'opera assentita ed ivi residenti, comporta la sussistenza di quella situazione di stabile
collegamento giuridico con il terreno oggetto dell'intervento costruttivo autorizzato richiesta per la titolarit della potest di
impugnativa in materia e al riguardo laddove i ricorrenti facciano valere in primo luogo un interesse giuridicamente protetto di
natura urbanistica, quale quello dell'osservanza delle prescrizioni regolatrici dell'edificazione, non occorre procedere ad alcuna
ulteriore indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall'atto impugnato comportino o meno un effettivo
pregiudizio per il soggetto che propone l'impugnazione (vd. ad es. CdS, IV, n. 6467/2005);

la sopraelevazione - per tale intendendosi qualsiasi costruzione che si eleva al di sopra della linea di gronda di un preesistente
fabbricato- deve rispettare le distanze legali tra costruzioni stabilite dalla normativa vigente al momento della realizzazione
della stessa, poich comporta sempre un aumento della volumetria preesistente (vd. ad es. TAR Puglia Lecce, n. 565/2006);

le norme sulle distanze dei fabbricati contenute nel D.M. n. 1444 del 1968, a differenza di quelle sulle distanze dai confini
derogabili mediante convenzione tra privati, hanno carattere pubblicistico e inderogabile, in quanto dirette alla tutela di interessi
generali in materia urbanistica, sicch l'inderogabile distanza di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti
vincola anche i comuni in sede di formazione e di revisione degli strumenti urbanistici, con la conseguenza che ogni previsione
regolamentare in contrasto con il suddetto limite minimo illegittima essendo consentito alla p.a. solo la fissazione di distanze
superiori (vd. ad es. TAR Liguria, 1027/2005);

gli strumenti urbanistici locali devono osservare la prescrizione di cui all'art. 9 del d.m. n. 1444 del 1968 che prevede la distanza
minima inderogabile di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti; pertanto, nel caso di norme contrastanti , il
giudice tenuto ad applicare la disposizione di cui al citato art. 9, in quanto automaticamente inserita nello strumento
urbanistico in sostituzione della norma illegittima (vd. ad es. Cass. Civile, n. 12741/2006);

in linea di diritto deve escludersi che l'ampliamento di un fabbricato attraverso la sopraelevazione di un piano possa configurarsi
alla stregua di una mera ristrutturazione. Infatti ai fini dell'individuazione della tipologia di un intervento edilizio, il concetto di
sopraelevazione si differenzia da quello di mero innalzamento, dovendosi considerare che quest'ultimo, specie se modesto ed
inidoneo a determinare un incremento volumetrico, pu risultare compatibile con la nozione di ristrutturazione, mentre
altrettanto non pu affermarsi nel caso di una sopraelevazione che sia inscindibilmente connessa all'incremento volumetrico in
ragione di un rapporto di causa ed effetto e che sia quindi diretta all'accrescimento della cubatura di un fabbricato (vd. ad es.
TAR Piemonte, n. 1603/2003);

le autorizzazioni paesaggistiche, sebbene abbiano natura di atti ampliativi della sfera giuridica dei destinatari, debbono essere
congruamente motivate in modo che possa essere ricostruito l'iter logico che ha condotto a ritenere le opere autorizzate non
lesive dei valori paesistici sottesi all'imposizione del vincolo (vd. ad es. TAR Liguria n. 1408/2005).

Sono questi gli importanti principi in materia edilizia riaffermati dal Tar Liguria nella sentenza n. 1711 del 19 dicembre 2006.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=36166
Cassazione, sez. III civile, sentenza 13.02.2007, n. 3064
La notificazione fatta al condominio nel luogo dove ha sede ledificio
condominiale, invece che allamministratore, non in s nulla, lo solo quando il condominio non abbia designato nelledificio
condominiale un luogo espressamente destinato e di fatto utilizzato per lorganizzazione della gestione condominiale, luogo che pu
essere rappresentato anche dalla portineria, ma, in ogni caso, la notificazione eseguita nelledificio condominiale a persona che dichiari di
poterla ricevere nulla, ma non inesistente (Cassazione 6906/01; 12208/93). Ora, solo nel giudizio di opposizione, tempestivamente o
tardivamente proposto contro lo stesso decreto, che si pu discutere di tale nullit, non in via di eccezione o di azione di accertamento
negativo, in altro giudizio (Cassazione 9205/01). Sotto questo aspetto il motivo non fondato. 5.3. Sostiene per il condominio ricorrente
che la notificazione era da giudicare affatto inesistente perch dallavviso di ricevimento non risultava che fossero state eseguite quelle
ricerche che, nellambito del procedimento descritto dallarticolo 8 della legge 890/82, consentono di passare allo stadio del deposito del
plico nella casa comunale. Orbene, nellavviso di ricevimento stato annotata dallufficiale postale la temporanea assenza del
destinatario, ma nessuna annotazione vi a proposito della contemporanea assenza mancanza od inidoneit di altre persone abilitate a
ricevere consegna in luogo del destinatario. In questo caso la notificazione la inesistente (Cassazione 11498/00).
Cassazione: ripartizione delle spese nel condominio? Spetta solo all'assemblea e non ad una commissione o ad un gruppo. La
Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (Sent. n. 5130/2007) ha stabilito che l'assemblea condominiale pu legittimamente
delegare alcuni condomini (commissione di condomini) "con l'incarico di esaminare i preventivi e le relative spese per valutare quali di
essi sia meglio rispondente alle esigenze del Condominio" ma la decisione relativa all'affidamento dell'incarico e alla successiva
ripartizione delle spese (trattandosi di funzione indelegabile), deve essere presa dall'assemblea. Difatti, precisa la Corte "la scelta ed il

riparto effettuati dalla commissione perch siano vincolanti per tutti i condomini , (anche cio per i dissenzienti)" vanno riportati in
assemblea per l'approvazione con le maggioranze prescritte non essendo delegabili ai singoli condomini, anche riuniti in un gruppo, le
funzioni dell'assemblea. I Giudici del Palazzaccio, nel caso di specie, hanno quindi ritenuto illegittimo il decreto ingiuntivo contro uno dei
condomini che giustamente contestava la ripartizione delle spese perch non fondata su una decisione dellassemblea.
http://www.studiocataldi.it/news_giuridiche_asp/news_giuridica_4136.asp
Installazione da parte di un condomino di antenne sul tetto condominiale Cassazione Sezione seconda civile 27 febbraio 2007 n.
4617
Non abusa della cosa comune il condominio che occupa con le proprie antenne met di un tetto spiovente. Ci in quanto luso
paritetico (art. 1102 c.c.) della cosa comune va tutelato in funzione della ragionevole previsione dellutilizzazione che in concreto ne
faranno gli altri condomini e non di quella identica e contemporanea che in via meramente ipotetica ed astratta ne potrebbero fare;
dovendosi anche i rapporti tra condomini informare al generale principio di solidariet, che il nostro ordinamento pone a presidio di ogni
giuridica relazione.
Condomino non pu dissociarsi dalle spese propedeutiche alla lite
Tribunale Firenze, sez. II civile, sentenza 04.12.2006 n 4149 La presente sentenza decide su un problema sul quale la giurisprudenza non
abbondante (ex paucis: Cassazione civile, sez. II, 2 marzo 1998, n. 2259, Guarini c. Rosamilia, Giust. civ. Mass. 1998, 475, Giur. it.
1998, 2031), e stabilisce, in estrema sintesi, che il condomino non pu dissociarsi dalle spese propedeutiche alla lite. Si schematizzano
alcuni punti fondamentali della decisione del giudice fiorentino (dott. Alfonso Florio).I presupposti del dissenso La chiara lettura della
norma evidenzia che lart. 1132 c.c. presuppone: 1) che la lite riguardi le parti comuni delledificio; 2) che la proposizione della
controversia in sede civile sia stata deliberata dallassemblea. Spese non esentate Lestraniazione non esclude le spese propedeutiche o
non inerenti., cio spese che non possono essere propriamente considerate oneri defensionali per lo svolgimento delle difese in giudizio,
ma propedeutiche ad esso. Per completezza si riportano anche gli altri punti fondamentali della decisione su tale questione. Modalit
del dissenso La estraniazione del condomino riguardo alla deliberata proposizione della lite, per produrre i suoi effetti, deve essere
esplicitata in apposito atto, il quale non implicito e neppure equipollente al voto contrario alla delibera espresso il assemblea.
Non costruisce invece elemento di validit della dichiarazione di esternazione del condominio che essa sia motivata, n, tantomeno, che il
dissenso alla lite sia fondato. Estensione del dissenso per analogia Alle conseguenze della lite per il caso di soccombenza ragionevole
affiancare, analogicamente, anche il caso in cui la lite deliberata e promossa non sia pervenuta ad esito positivo per fatto imputabile al
condominio (si pensi al caso di estinzione del giudizio per inattivit della parte etc.) che laveva decisa.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=36268
SENTENZA N. 1626 DEL 25/01/2007 COMUNIONE E CONDOMINIO - DELIBERA DI ESECUZIONE DI OPERA ABUSIVA - NULLITA'
La delibera condominiale con la quale si decide la realizzazione di unopera edile abusiva nulla per illiceit delloggetto.
COMUNIONE E CONDOMINIO - DELIBERA CONDOMINIALE DI OPERA PREGIUDIZIEVOLE PER LA SICUREZZA DEL FABBRICATO NULLITA'
E altres nulla la delibera condominiale con la quale si prenda una decisione che, se posta in esecuzione, possa pregiudicare la sicurezza
del fabbricato ( chiusura di spazi comuni destinati allareazione degli appartamenti prospicienti, senza adozione di misure sostitutive atte a
garantire un adeguato ricambio dellaria).

CASS. SS.UU. 4806/2005 EFFETTI DELLA MANCATA COMUNICAZIONE AL SINGOLO CONDOMINO DELL'AVVISO DI
CONVOCAZIONE DELL'ASSEMBLEA Nullit, annullabilit. Sezioni Unite della Corte di Cassazione, Sentenza n.
4806/05, in materia di effetti della mancata comunicazione al singolo condomino dellavviso di convocazione dellassemblea. Muovendo
dal presupposto che la mancata comunicazione, al singolo condomino, dell'avviso di convocazione dell'assemblea comporta
lannullabilit delle decisioni dellorgano deliberativo del condominio, la Corte dAppello di Roma con Sent. 1354/2000 riformava la
decisione del Giudice di primo grado, dichiarando i condomini M. e G. decaduti, per decorrenza del termine di legge, dal diritto di
proporre impugnazione avverso talune delibere assembleari. Contro il suddetto provvedimento veniva proposto ricorso per Cassazione.
Poich la precedente giurisprudenza della Corte aveva ricondotto diverse forme di invalidit alla mancata comunicazione dellavviso di
convocazione della assemblea dei condomini, il Primo Presidente rimetteva la decisione del ricorso alle Sezioni Unite in conformit del
disposto dellart. 374 c.p.c. Con la Sent. 4806/05 le Sezioni Unite statuivano che rispetto allorientamento che ricollegava la nullit delle
delibere assembleari alla suddetta omissione (Cass. 1 ottobre 1999, n. 10886; 19 agosto 1998, n. 8199; Cass. 12 febbraio 1993, n. 1780),
doveva prediligersi quello pi recente che connetteva lannullabilit alla medesima mancanza (Cass. 5 gennaio 2000, n. 31; 5 febbraio
2000, n. 1292; 1 agosto 2003, n. 11739). Alla base di tale decisione veniva addotto il combinato disposto tra lart. 1136 c.c. comma 6 e
lart. 1137 c.c. in virt del quale, nel caso in cui non siano stati invitati alla adunanza assembleare tutti i partecipanti al condominio, la
delibera impugnabile dalla minoranza dissenziente entro il termine di decadenza di trenta giorni, che inizia a decorrere dalla data della
deliberazione per i partecipanti alla assemblea e dalla data di comunicazione per gli assenti (con formula sostanzialmente coincidente
lart. 1105 c.c. comma 3 e lart. 1109 c.c. dispongono, in tema di comunione, che le deliberazioni il cui oggetto non sia stato
preventivamente reso noto ai comunisti sono invalide e possono essere impugnate dai dissenzienti nel termine di trenta giorni). Il breve
termine di decadenza e lindividuazione delle persone legittimate alla impugnazione dimostrano essere contemplata una ipotesi di
annullabilit, posto che sia in tema di negozio (artt. 1441 e 1442 c.c.), sia in tema di delibere societarie (art. 2377 comma 20 c.c.), la
previsione del termine per la impugnazione e delle persone legittimate a proporre l'azione contrassegnano le ipotesi di annullabilit. Al
contrario, per le ipotesi di nullit tanto in tema di negozio (art. 1421 e 1422 c.c.) quanto in tema di delibere societarie (art. 2379 c.c.),
l'azione di nullit non soggetta a termine e, allo stesso tempo, legittimato ad esercitarla chiunque vi abbia interesse, ferma restando
inoltre la rilevabilit dufficio di questa specifica forma di invalidit. In materia di condominio, pertanto, la nullit non gode di una
esplicita previsione positiva ma si atteggia piuttosto come una creazione della dottrina e della giurisprudenza volta ad impedire l'efficacia
definitiva delle delibere munite di gravi vizi sostanziali. Avuto riguardo alla teoria generale degli atti giuridici, infatti, deve considerarsi
nullo l'atto che sia sprovvisto, ovvero, risulti gravemente viziato negli elementi costitutivi essenziali del tipo legale, vale a dire in quegli
elementi strutturali che permettono di ricondurre latto giuridico nel modello astratto delineato dal legislatore, consentendogli di assolvere
alla funzione economico-sociale che gli viene riconosciuta. Per contro, si considera annullabile latto che, non mancando degli elementi
essenziali del tipo, presenta vizi non gravi, che lo rendono idoneo a dare vita ad una situazione giuridica precaria, che pu essere rimossa.
Alla luce di tali considerazioni, pertanto, Le Sezioni Unite ritengono che debbano qualificarsi nulle le delibere con oggetto impossibile o
illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con oggetto che non rientra nella competenza
dell'assemblea, le delibere che incidono sui diritti individuali sulle cose o servizi comuni o sulla propriet esclusiva di ognuno dei
condomini, le delibere comunque invalide in relazione all'oggetto. Debbono, invece, qualificarsi annullabili le delibere con vizi relativi
alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento
condominiale, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari, attinenti al procedimento di
convocazione o di informazione dell'assemblea, quelle genericamente affette da irregolarit nel procedimento di convocazione, quelle che
violano norme che richiedono qualificate maggioranze in relazione all'oggetto. La soluzione proposta dalle Sezione Unite realizza dunque

un equo contemperamento tra le opposte esigenze di stabilit delle decisioni della assemblea dei condomini e di tutela degli interessi dei
componenti la compagine condominiale. Da un lato, infatti, essa esclude il rischio che le delibere assembleari possano essere impugnate
dopo lunghissimo tempo sol perch un requisito formale non stato osservato, con conseguenze gravissime sulla gestione del
condominio, mentre dallaltro consente ai singoli condomini di vedere rimossi retroattivamente gli effetti delle delibere illegittime.
http://www.lapraticaforense.it/articolo.php?idcat=1&idart=36
Delibera condominiale di opera abusiva e pregiudizievole per la sicurezza del condominio
Cass. Civ., Sez. II, n. 1626 del 25/01/2007
La delibera condominiale con la quale si decide la realizzazione di unopera edile abusiva nulla per illiceit delloggetto.
E altres nulla la delibera con la quale si prenda una decisione che, se posta in esecuzione, possa pregiudicare la sicurezza del fabbricato
condominiale.
Anche l'amministratore pu agire in giudizio per violazione della legge sui parcheggi
Cass. civ., sez. II, 16 maggio 2006, n. 11383
Quando i singoli condomini di un supercondominio, abbiano esperito, nei confronti della societ costruttrice e venditrice, azione di danni
per non essere state messe a loro disposizione le prescritte aree di parcheggio sufficienti ai sensi della L. n. 765 del 1967, deve ritenersi
che la mancata realizzazione di tali aree di parcheggio, nella prescritta proporzione con le edificate volumetrie, si sia tradotta in una
diminuzione di valore non solo delle singole unit immobiliari, alle quali le stesse avrebbero dovuto essere asservite, ma anche delle
rimanenti aree scoperte, destinate ad usi e servizi comuni dei vari condomni, la cui menomata fruibilit, dipendente dal sovraffollamento
di veicoli nell'ambito del complesso immobiliare, si riverbera sul valore di tali parti comuni, a tutela delle quali, le assemblee dei
condomini possono, ai sensi dell'articolo 1131 c.c. comma 1, e con la maggioranza qualificata di cui all'articolo 1136 c.c., conferire
incarico all'amministratore ad agire in giudizio, in rappresentanza della collettivit condominiale, i cui partecipanti abbiano subto lesioni
nei rispettivi e proporzionali diritti, essendo invece lo specifico mandato di ciascun condomino, o l'unanime delibera di tutti i partecipanti,
richiesti solo per i diversi casi di azioni dirette a far valere diritti esclusivi dei singoli condomini.
Disciplina risarcitoria - Rilascio dell'immobile da parte del conduttore
Cassazione civile Sentenza, Sez. III, 09/11/2006, n. 23897
In tema di interpretazione della norma di cui all'art. 3, comma quarto, del d.l. 30 dicembre 1988, n. 551, convertito dalla legge 21 febbraio
1989, n. 61, la disciplina risarcitoria, ivi prevista, applicabile anche nel caso di rilascio dell'immobile da parte del conduttore
antecedente all'effettivo intervento della forza pubblica, poich, in tal caso, il rilascio non deve ritenersi spontaneo dato che il bene viene
restituito dal conduttore nella piena sua consapevolezza che, nel corso dell'iniziale procedura esecutiva di sfratto, l'ufficiale giudiziario
potr avvalersi dell'ausilio della forza pubblica.
Curatore speciale - Rappresentanza giudiziale del condominio
Cass. civ., sez. III, del 22 giugno 2006, n. 14447
Il curatore speciale, nominato in base all'art. 65 delle disposizioni di attuazione del codice civile ed ai sensi degli artt. 78 e segg. cpc, per il
caso che manchi il legale rappresentante dei condomini e che occorra iniziare o proseguire una lite contro i partecipanti ad un
condominio, assume la veste di mandatario di coloro nel cui interesse nominato e non quella di ausiliario del giudice.
Ne deriva che, qualora detto curatore, espletato l'incarico e richiesto inutilmente il pagamento del compenso al condominio, agisca nei
confronti di un condomino, quale coobbligato solidale al suo pagamento, erroneamente il giudice di pace adito ratione valoris declina la
propria competenza a favore del tribunale, quale giudice che ha nominato il curatore, nel presupposto che costui sia un ausiliario del
giudice ai sensi dell'art. 68 cpc e che, pertanto, sussista la competenza per materia di detto ufficio sulla liquidazione del compenso, ai
sensi dell'art. 53 cpc ed a titolo di volontaria giurisdizione.
Vietato costruire a distanza inferiore a tre metri dalla veduta del vicino
Tribunale di Lodi, 06/04/2005, n. 203
Lart. 907 c.c. - vietando di costruire a distanza inferiore a tre metri dalla veduta del vicino - diretto ad assicurare non solo aria e luce in
quantit sufficiente ma, anche e soprattutto, lintegrit delle veduta stessa, riferendosi ad ogni opera stabile, qualunque ne sia la foggia e
la materia.
La nozione di costruzione comprensiva non solo dei manufatti in calce e mattoni, ma di qualsiasi opera che, indipendentemente dalla
forma e dal materiale con cui stata realizzata, determini un ostacolo del genere.
Trattasi di disposizione applicabile anche agli edifici condominiali.
Distanze minime tra fabbricati: la lettura della c.d. ''distanza lineare''
TAR Toscana, sez. III, sentenza 22.01.2007 n 55 Quanto alle modalit di calcolo della distanza, il Collegio che, anche accettando, in
linea di principio, il criterio del computo in modo lineare" e non radiale della distanza minima tra pareti finestrate e pareti di edifici
antistanti, il D.M. cit. sottolinei che la distanza debba essere assoluta e prescritta in tutti i casi. Si deve pertanto convenire che
debba essere calcolata con riferimento ad ogni punto dei fabbricati e non alle sole parti che si fronteggiano ed indipendentemente dal
fatto che la parete sopraelevata si trovi alla medesima o a diversa altezza rispetto allaltra. In tal senso si espresso il T.A.R. Toscana,
prendendo posizione sul tema delle modalit con le quali deve procedersi alla verifica o, comunque, al computo delle distanze esistenti fra
i fabbricati. Pur dando atto dei diversi e contrapposti orientamenti giurisprudenziali esistenti sul punto, il Giudice amministrativo ha
applicato la lettura della c.d. distanza lineare quale modalit maggiormente coerente con la lettera del D.M. n. 1444/68, per cui la
misurazione punto per punto del limite del fabbricato rispetto al limite dellaltro fabbricato dovr sempre riportare una dimensione non
inferiore a quella prescritta come minima dallordinamento. http://www.altalex.com/index.php?idnot=36305
Delibera assembleare e destinazione di un'area comune a parcheggio
Cass. civ., sez. II, 17 luglio 2006, n. 16228
La delibera assembleare che, nel destinare un'area comune a parcheggio di autovetture, ne disciplini l'uso escludendo uno dei condomini,
nulla se il relativo verbale non sottoscritto da tutti i condomini, atteso che la relativa determinazione, modificando il regolamento di
condominio, produce vincoli di natura reale su beni immobili ed , quindi, soggetta all'onere della forma scritta ad substantiam.
Godimento da parte dei condomini dei posti auto condominiali in base ai millesimi di propriet Cass.civ., Sez. II, 7/12/2006, n.
23226 In violazione del disposto dellart. 1102 c.c., deve ritenersi illegittima la delibera condominiale che attribuisce ai condomini aventi
un maggiore numero di millesimi di propriet, il diritto di scegliere uno dei posti auto condominiali, in quanto a tutti i condomini deve
essere riconosciuto il diritto di godere dei beni comuni. Infatti, nel caso in cui i posti macchina non sono equivalenti, consentire ad

alcuni proprietari il diritto di scegliere quale parcheggio usare, significa attribuire loro un godimento privilegiato, a sfavore degli altri
condomini che subiscono le ricadute della scelta altrui, trovandosi costretti a servirsi dei posti auto malagevoli.
Istanza di nomina dell'amministratore giudiziario CORTE DI APPELLO DI NAPOLI Decr., 11 febbraio 2004 Va rigettata
l'istanza di nomina dell'amministratore giudiziario quando l'assemblea condominiale abbia provveduto a nominare o rieleggere un
amministratore fiduciario in data precedente all'adozione del provvedimento impugnato.
Tribunale collegiale di Milano sentenza n. 16076251 del 4.02.07
Rimozione condizionatore da facciata condominiale. In
parziale riforma dellimpugnata ordinanza, ordina alla resistente/reclamata di rimuovere immediatamente i motori dellimpianto di
condizionamento e condanna a rimborsare al condominio reclamante le spese dellintero procedimento cautelare e conseguente reclamo,
che vengono liquidate in complessivi . oltre agli accessori di legge e a rimborsare allo stesso le spese gia liquidate dal giudice di
prime cure. http://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/23714.html
Compravendita immobiliare, diritto di superficie e accessione. Cassazione civile, sez. II, 24 novembre 2006, n. 24679)
La sentenza in esame offre lo spunto per approfondire taluni aspetti in materia di diritto di superficie ed, in particolare, per quanto
riguarda il rapporto con il principio di accesione di cui all'art. 934 c.c. La preminenza della propriet immobiliare, per cui ogni bene che
venga materialmente unito ad un bene immobile accede materialmente a questo, principio di origine romanistica, sintetizzato nel
brocardo latino "superficies solo cedit". Pur tuttavia il proprietario del suolo pu consentire ad altri di edificare e mantenere una
costruzione, acquistandone la propriet, sul proprio suolo (art. 952 c.c., 1 comma) cos come pu alienare la propriet di una costruzione
gi esistente separatamente dalla propriet del suolo (art. 952, 2 comma), cosi sospendendo l'operativit del prinicipio di accessione. La
lettera dell'art. 952 c.c. non menziona apertamente l'ipotesi opposta, ovvero quella dell'alienazione del suolo separatamente dalla propriet
del fabbricato, sebbene le due eventualit siano del tutto equivalenti quanto agli effetti della separazione della propriet del suolo da
quella della costruzione. In ogni caso, considerata la ratio della norma, non si ravvisano ostacoli all'operativit in entrambi i sensi della
disposizione. Chiarato quanto sopra la S.C. affronta la questione specifica del caso di vendita di un terreno sul quale insiste un fabbricato,
senza che nell'atto relativo sia fatta menzione del trasferimento di propriet del fabbricato stesso. Ebbene, alla luce dei sopra esposti
principi, deve ritenersi che al trasferimento della propriet del fondo, per il principio dell'accessione, si accompagna il trasferimento della
propriet degli immobili che su di esso insistono, ancorch di essi non vi sia alcuna menzione nell'atto di compravendita. Al riguardo la
S.C. ricorda: la necessit della costituzione nelle forme di legge di un diritto di superficie, al fine di superare la presunzione imposta
dall'art. 934 c.c., stata, peraltro, pi volte affermata da questa corte (sia pure al diverso fine della individuazione della base di calcolo
dell'imposta da registro), la quale ha ritenuto che per limitare la cessione al solo terreno non sufficiente precisare che il fabbricato sia
stato precedentemente realizzato a cura e spese dell'acquirente, ma necessario fornire idonea prova che l'edificazione da parte del
suddetto era stata precedutala da atto scritto, avente data certa, contenente l'attribuzione di un diritto di superficie in favore di colui che
divenuto, poi, acquirente anche del suolo (Cass. 27 marzo 2003, n. 4623; 17 luglio 1999, n. 7583).
Cass. Civ. 24679/2006 Vendita fondo - trasferimento costruzione ivi presente - sussistenza.
In sede di alienazione di un fondo sul quale insiste una costruzione, non si proceda esplicitamente alla costituzione di un diritto di
superficie sulla costruzione in favore dellalienante o di terzi, onde determinare la separazione della propriet del suolo da quella del
fabbricato, questultima si dovr ritenere trasferita in favore dell acquirente in forza del generale principio della accessione.
Per limitare la cessione al solo fondo, (o viceversa, alla sola costruzione) non sufficiente precisare che il fabbricato sia stato
precedentemente realizzato a cura e spese dellacquirente, ma necessario fornire idonea prova che ledificazione da parte del suddetto
era stata preceduta da atto scritto, avente data certa, contenete lattribuzione di un diritto di superficie in favore di colui che diventato,
poi, acquirente, anche del suolo. http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=327
Cassazione: delibera condominiale per la destinazione area parcheggio La Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione
(Sent. n. 16228/2006) ha stabilito che nulla la delibera assembleare non sottoscritta da tutti i condomini che, nel destinare un'area
comune a parcheggio di autovetture, ne disciplini l'uso escludendo uno dei condomini. I Giudici del Palazzaccio hanno infatti precisato
che la decisione soggetta all'onere della forma scritta ad substantiam e ci in quanto, modificando il regolamento di condominio,
produce vincoli di natura reale su beni immobili.
Quali sono le caratteristiche del contratto preliminare di vendita futura?
di Aldo Carrato, magistrato presso l'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione
da Il Quotidiano Giuridico - Quotidiano di informazione e approfondimento giuridico N 30/3/anno 2007
Il contratto preliminare di vendita di cosa futura ha come contenuto delle obbligazioni delle parti soltanto la stipulazione di un successivo
contratto definitivo e si distingue dalla vendita di cosa futura che si perfeziona "ab initio" ed attribuisce lo "ius ad habendam rem" nel
momento in cui la cosa viene ad esistenza. (Cassazione civile Sentenza 01/03/2007, n. 4888)
La cessione del contratto di locazione e le conseguenze sulla interruzione della prescrizione
Cass. sez. III, n. 23914 del 09/11/2006 La Corte, con la sentenza della terza sezione n. 23914 del 2006, ha affrontato una fattispecie
nell'ambito della materia delle locazioni, sottolineando che, l'obbligazione del cedente di pagare il canone dovuto al locatore dal
cessionario e da questi non corrisposto deve essere qualificata in termini di solidariet con la conseguenza che gli atti con i quali il
locatore abbia interrotto la prescrizione nei confronti del cessionario hanno effetto anche nei confronti del cedente. (Cassazione civile
Sentenza, Sez. III, 09/11/2006, n. 23194)
Decesso morte di un condomino - comunicazione dell'avviso di convocazione agli eredi
Cassazione 6926 el 22 marzo 2007 Lamministratore il quale sia a conoscenza del decesso di un condomino, fino a quando gli eredi non
gli manifesteranno la loro qualit, non avendo utili elementi di riferimento e non essendo obbligato a fare alcuna particolare ricerca, non
sar tenuto ad inviare alcun avviso. E' quindi da escludersi la nullit dell'assemblea convocata con l'avviso inviato "genericamente e
impersonalmente" ai non meglio identificati eredi di un condomino.
Danni a un immobile per incendio non doloso insorto in un'autovettura Giudice di Pace di Caltanissetta, 20 dicembre 2004, n. 783
Poich i veicoli in sosta su strada pubblica sono da considerare a tutti gli effetti in circolazione, i danni provocati ad immobile dalle
fiamme propagatesi dall'incendio non doloso insorto in un'autovettura lasciata in sosta sulla pubblica via, sono risarcibili dalla Compagnia
che assicura il veicolo per la r.c.a., indipendentemente dall'esistenza di una clausola di incendio e furto.
Notificazione a mani del portiere di condominio Corte di Cassazione, Sez. III, 11 gennaio 2005, n. 366 Nell'ipotesi in cui il portiere

di un condominio riceva la notifica della copia di un atto quale addetto alla ricezione, dichiaratosi delegato direttamente dal
destinatario, e in tale veste risulti indicato sull'originale che riporta la relazione dell'ufficiale giudiziario, senza altri riferimenti alle sue
funzioni derivanti dall'incarico di portierato, ricorre la presunzione legale della qualit dichiarata, la quale per essere vinta abbisogna di
rigorosa prova contraria da fornire da parte del destinatario.
In mancanza di tale prova si applicher perci, in tema di adempimenti, la disciplina prevista dal secondo comma dell'articolo 139 del
c.p.c. e non quella speciale fissata dal quarto comma della stessa disposizione, relativa alla notificazione a persone diverse dal
destinatario.

SENTENZA N. 982 DEL 28 GENNAIO 2000 Comunione dei diritti reali - condominio negli edifici - parti comuni dell'edificio - in
genere - aree per parcheggi ex art. 18 legge n. 765/1967 - diritto dei condomini sugli spazi - compropriet o diritto reale d'uso - condizioni
- aree in compropriet - nuovo condomino.- Diritto sulle aree di parcheggio - sussistenza - fattispecie. Urbanistica - in genere - aree per
parcheggi ex art. 18 legge n. 765/1967 - diritto dei condomini sugli spazi - compropriet o diritto reale d'uso - condizioni - aree in
compropriet - nuovo condomino - diritto sulle aree di parcheggio - sussistenza - insufficienza dell'area - irrilevanza - conseguenze fattispecie. Gli spazi destinati a parcheggio, previsti per le nuove costruzioni dall'articolo 18 della legge n. 765 del 1967, sono, in forza
di un vincolo di destinazione di natura pubblicistica, riservati all'uso diretto delle persone che stabilmente occupano le singole unit
immobiliari e costituiscono parti comuni dell'edificio ai sensi dell'articolo 1117 cod. civ., quando appartengono in comunione ai singoli
condomini, ovvero oggetto di un diritto reale d'uso spettante a ciascun condomino, quando proprietari siano terzi o alcuni soltanto dei
condomini; qualora l'originario proprietario costruttore abbia ceduto a ciascun acquirente la compropriet in comune con gli altri delle
aree destinate a parcheggio, il successivo acquisto di un'unit immobiliare e della quota di compropriet delle parti comuni, attribuisce
all'acquirente la qualit di condomino su tutte le stesse e quindi anche il paritetico diritto d'usufruire dell'area di parcheggio, a nulla
rilevando l'eventuale insufficienza di questa rispetto alle complessive esigenze del condominio, la quale pu dar luogo a un diritto al
risarcimento del danno nei confronti del costruttore ed regolata dalle norme sull'uso della cosa comune nei rapporti tra condomini (nella
specie, il costruttore venditore aveva realizzato un superattico da un volume tecnico, destinato nel progetto a parte comune ma poi non
venduto, e l'aveva quindi ceduto come unit immobiliare coi diritti sulle parti comuni dell'edificio; la S.C. in applicazione degli esposti
principi ha affermato il diritto all'uso delle aree di parcheggio anche da parte della nuova condomina).
SENTENZA N. 27 DEL 5 GENNAIO 2000 Propriet - acquisto - in genere - a titolo originario e a titolo derivativo - acquisto da parte
dell'aggiudicatario in sede di esecuzione forzata - natura derivativa - configurabilit. L'acquisto di un bene da parte dell'aggiudicatario in
sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volont del precedente proprietario ricollegandosi ad un provvedimento del
giudice dell'esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso
diritto del debitore esecutato.
SENTENZA N. 10159 DEL 20 SETTEMBRE 1999 Servit prediali - costituzione del diritto - delle servit volontarie - costituzione
negoziale - in genere - accertamento della volont delle parti - indicazioni nel titolo - necessit. Per la costituzione di una servit
convenzionale - nella specie di passaggio, a carico di un fondo in compropriet e a vantaggio di altro di propriet esclusiva - pur non
essendo necessarie formule sacramentali, non sufficiente il mero riconoscimento dell'uso a cui convenzionalmente adibita la parte
comune di un fondo, ma invece necessario che il titolo specifichi i fondi interessati, le modalit di esercizio, l'estensione della servit e
le caratteristiche di essa, al fine di dimostrare la volont delle parti di costituire un diritto reale, non personale.
SENTENZA N. 7890 DEL 22 LUGLIO 1999 Comunione dei diritti reali - Condominio negli edifici - Contributi e spese condominiali Spese di manutenzione (ripartizione) - In genere - Danni causati da un singolo condomino - Per guasti verificatisi nella sua propriet
esclusiva - Spesa necessaria per ovviare ai danni - Riconoscimento stragiudiziale della responsabilit da parte del condomino ovvero
accertamento giudiziale della stessa - Deliberazione dell'assemblea di attribuzione della spesa al condomino - Possibilit - Sussistenza Mancanza del riconoscimento stragiudiziale o dell'accertamento - Ripartizione della spesa fra tutti i condomini secondo i criteri di
ripartizione ordinaria - Necessit - Successivo regresso verso il condomino responsabile - Ammissibilit - Sussistenza - Deliberazione
impositiva della spesa al condomino - Nullit - Sussistenza - Cassazione senza rinvio della sentenza impugnata - Decisione nel merito con
declaratoria della nullit - Ammissibilit. Il singolo condomino risponde verso gli altri condomini dei danni causati da guasti
verificatisi nella sua propriet esclusiva, e deve, perci, sostenere la relativa spesa, ove abbia riconosciuto la propria
responsabilit o essa sia stata accertata in sede giudiziale. Tuttavia, fino a quando l'obbligo risarcitorio del condomino non risulti in
uno di tali modi accertato, l'assemblea non pu porre a suo carico detto obbligo, n imputargli a tale titolo alcuna spesa, non potendo
l'assemblea disattendere l'ordinario criterio di ripartizione, n la tabella millesimale e dovendo, invece, applicare la regola generale
stabilita dall' art. 1123 c.c., secondo cui ogni addebito di spesa deve essere effettuato in base alla quota di partecipazione di ciascun
condomino alla propriet comune, cio in base ai millesimi. Pertanto, in difetto di accertamento dell'obbligo risarcitorio in uno dei due
modi indicati, la suddetta spesa dev'essere dall'assemblea provvisoriamente ripartita, secondo gli ordinari criteri di ripartizione, tra tutti i
condomini, fermo restando il diritto di costoro di agire, singolarmente o per mezzo dell'amministratore, contro il condomino ritenuto
responsabile, per ottenere il rimborso di quanto anticipato (nella specie, in applicazione di tali principi, la Suprema Corte ha cassato senza
rinvio la sentenza di merito e, decidendo nel merito, ha dichiarato nulla la deliberazione condominiale impugnata, la quale, senza che vi
fosse stato riconoscimento di responsabilit ed essendo riservato, quindi, al giudice il relativo accertamento, aveva attribuito all'assemblea
condominiale il potere di deliberare sulla responsabilit di un singolo condomino ed aveva addebitato al medesimo la spesa occorsa in
conseguenza del fatto dannoso imputatogli.
SENTENZA N. 8486 DEL 6 AGOSTO 1999 Condominio negli edifici - Acquirente di un'unit immobiliare facente parte di un
fabbricato - Impegno contrattuale a rispettare un regolamento condominiale da predisporsi da parte del costruttore - Vincolativit
Esclusione L'obbligo dell'acquirente, previsto nel contratto di compravendita di un'unit immobiliare d un fabbricato, di rispettare il
regolamento di condominio da predisporsi in futuro a cura del costruttore non pu valere come approvazione di un regolamento allo stato
inesistente, poich solo il concreto richiamo nel singolo atto d'acquisto ad un regolamento che consente di considerare quest'ultimo
come facente parte, "per relationem", di quest'atto.
SENTENZA N. 8279 DEL 30 LUGLIO 1999 Condominio negli edifici - Espresso richiamo del regolamento di condominio nel
contratto di compravendita delle singole unit immobiliari - Inserimento delle relative clausole per relatonem nel contenuto del
contratto - Efficacia vincolante nei confronti dell'acquirente Sussistenza Il regolamento contrattuale di condominio, anche se non
materialmente inserito nel testo del contratto di compravendita delle singole unit immobiliari, fa corpo con esso allorch sia
espressamente richiamato ed approvato, cos che le sue clausole rientrano "per relationem" nel contenuto dei singoli contratti di acquisto e
vincolano i relativi acquirent.

SENTENZA N. 7678 DEL 19 LUGLIO 1999 Condominio negli edifici - Terrazza a livello - Equiparazione al lastrico solare - Diritto di
sopraelevazione - Regolamento di condominio - Limitazione Condizioni La terrazza a livello, anche se di propriet esclusiva,
equiparata (in relazione alla sua funzione di copertura dell' edificio) al lastrico solare in senso stretto e tale considerata anche nel
regime della sopraelevazione: ne consegue che il regolamento condominiale pu limitare il diritto di sopraelevazione spettante al
proprietario dell'appartamento a cui la terrazza afferisce soltanto se esso ha natura contrattuale.
SENTENZA N. 8964 DEL 5 LUGLIO 2000 Trascrizione - atti relativi a beni immobili - effetti della trascrizione - in genere opponibilit ai terzi di un determinato atto o domanda giudiziaria trascritta - riferimento esclusivo alla nota di trascrizione - nuovo sistema
informatico di trascrizione introdotto dalla legge n. 52 del 1985 - rilevanza - esclusione - fondamento. Per stabilire se ed in quali limiti un
determinato atto o una domanda giudiziale trascritti siano opponibili ai terzi, occorre aver riguardo esclusivamente al contenuto della nota
di trascrizione, dovendo le indicazioni riportate nella nota stessa consentire di individuare senza possibilit di equivoci e di incertezze gli
estremi essenziali del negozio ed i beni ai quali esso si riferisce, o il soggetto nei cui confronti la domanda sia rivolta, senza potersi
attingere elementi dai titoli presentati e depositati con la nota stessa, ed a nulla rilevando in contrario la circostanza della introduzione del
nuovo sistema informatico di trascrizione ad opera della legge 27 febbraio 1985, n. 52, che, all'art. 17, si limita a stabilire che le note di
trascrizione o iscrizione di cui agli artt. 2659, 1660 e 2839 cod. civ. debbono essere redatte su modelli a stampa, conformi a quelli
approvati con decreto ministeriale; che ( secondo comma) apposita nota, in doppio esemplare, deve essere parimenti presentata, con le
modalit di cui al precedente comma, per ogni formalit di annotazione; che (terzo comma) ciascuna nota non pu riguardare pi di un
negozio giuridico o convenzione oggetto dell'atto di cui si chiede la trascrizione, l'iscrizione o l'annotazione. Da tali previsioni si evince
che non sono venuti meno, a seguito della entrata in vigore della citata legge, n la funzione di fonte della pubblicit immobiliare, che
l'ordinamento attribuisce alla nota di trascrizione, n il cosiddetto "principio di autoresponsabilit", secondo il quale, essendo la nota di
trascrizione un atto di parte, gli effetti connessi alla formalit della trascrizione si producono in conformit ed in stretta relazione al
contenuto della nota stessa.
SENTENZA N. 4819 DEL 14 APRILE 2000 Trascrizione - atti relativi a beni immobili - effetti della trascrizione - domande
giudiziarie - in genere - domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo di trasferire un bene immobile - trascrizione della relativa
domanda giudiziaria - rilevanza - effetti - nel caso di successiva alienazione del bene, da parte del promesso venditore, ad un terzo.
Contratti in genere - contratto preliminare (compromesso) - esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto - obbligo di
concludere un contratto di trasferimento di un bene immobile - trascrizione della relativa domanda giudiziaria - rilevanza - effetti - nel
caso di successiva alienazione del bene, da parte del promesso venditore, ad un terzo. La trascrizione della domanda giudiziale di
esecuzione in forma specifica dell'obbligo di trasferire la propriet di un bene immobile, rendendo inopponibili al promissario acquirente
le alienazioni a terzi effettuate dal promittente venditore in epoca successiva, rende anche "possibile" il trasferimento del bene in favore
dell'attore, che, altrimenti, nel suddetto caso di successiva alienazione dell'immobile, secondo i principi generali non potrebbe pi avere
luogo.
SENTENZA N. 4352 DEL 7 APRILE 2000 Trascrizione - in genere - ordinanza di affrancazione - opponibilit ai terzi. Nel sistema
degli artt. 4 e 5 della legge 22 luglio 1966 n. 607 l'opponibilit ai terzi dell'ordinanza di affrancazione del fondo va decisa esclusivamente
in base alla trascrizione di tale provvedimento, non essendo prevista nel vigente sistema la trascrizione degli atti di impugnazione delle
sentenze che abbiano rigettato le domande soggette a trascrizione.
SENTENZA N. 1135 DEL 2 FEBBRAIO 2000 Trascrizione - atti relativi a beni immobili - procedimento - in genere - pubblicit
informata al criterio nominale - trascrizione effettuata erroneamente a carico di persona diversa dall'effettivo alienante - conseguenze opponibilit della trascrizione ai terzi in buona fede - esclusione - correzione dell'errore - effetto sanante in pregiudizio dei creditori
pignoranti in buona fede - inammissibilit. Poich la trascrizione sui registri immobiliari informata al criterio della ricerca per
nome del soggetto cui si riferisce, qualora, per errore della Conservatoria, la trascrizione, ancorch la nota sia stata correttamente redatta,
venga repertoriata a carico di persona diversa dall'alienante dell'immobile, pu conseguentemente derivarne - secondo un apprezzamento
di fatto incensurabile in sede di legittimit - l'invalidit della trascrizione e la sua inopponibilit ai terzi in buona fede (che non hanno
l'onere di esaminare altri atti o documenti ovvero il registro generale d'ordine); n la correzione dell'errore, operata in epoca successiva
alla trascrizione di pignoramenti effettuati da creditori in buona fede, pu avere effetti ex tunc e sanare l'irregolarit originaria in
pregiudizio di tali creditori.
SENTENZA N. 11208 DEL 28 AGOSTO 2000 Urbanistica - modi di attuazione della disciplina urbanistica piani regolatori comunali
- attuazione dei piani regolatori lottizzazione di aree fabbricabili - urbanizzazione primaria - su area privata, ceduta gratuitamente al
comune come corrispettivo di licenza edilizia - modifica della destinazione dell'area - diritto del privato ad agire per la nullit della
convenzione e la retrocessione dell'area - esclusione - fondamento. La convenzione edilizia, ai sensi dell'art. 10 legge 6 agosto 1967, n.
765, con la quale il privato ceda, come corrispettivo della concessione edilizia, gratuitamente al Comune un'area di sua propriet per
eseguirvi opere di urbanizzazione, non gli d diritto, se il Comune modifica tale destinazione, ad agire per la declaratoria di nullit della
cessione e per la conseguente retrocessione del bene, perch una tale modificazione di destinazione rientra nei suoi poteri.
SENTENZA N. 9106 DEL 7 LUGLIO 2000 Edilizia popolare ed economica - assegnazione - disposizione dell'alloggio - alienazione divieto di alienazione a carico dell'assegnatario - portata - contratto preliminare di vendita con attribuzione anticipata del possesso
dell'immobile - validit. In tema di edilizia popolare ed economica, il divieto di alienazione operante a carico dell'assegnatario ai sensi
del T.U. sull'edilizia popolare ed economica non osta a che costui possa validamente stipulare un preliminare di vendita, anche se
accompagnato dall'anticipata attribuzione del possesso dell'immobile.
SENTENZA N. 8933 DEL 4 LUGLIO 2000 Urbanistica - in genere - vendita separata di singole unit immobiliari di un fabbricato e
delle relative aree accessorie - vincolo di destinazione a parcheggio delle aree ex art. 18 legge 756/67 - inosservanza del relativo obbligo
di trasferimento - conseguenze - diritto al risarcimento danni - sussistenza - fondamento - natura di credito di valore - configurabilit. In
tema di urbanistica, l'imperativit della norma di cui all'art. 18 della legge 765/1967, per non essersi trasferito il diritto reale d'uso sull'area
di parcheggio insieme con la propriet delle unit immobiliari, non esclude l'obbligo del venditore di risarcire il danno subito dagli
acquirenti per l'indisponibilit del bene, in quanto il diritto al ristoro del pregiudizio economico non fondato, per questi ultimi, sul
disposto dell'art.1338 cod. civ., bens su quello dell'art. 872 stesso codice (applicabile, per la sua generale previsione, in ogni caso di
violazione di norme urbanistiche incidenti sul regime della propriet privata), secondo i criteri dei crediti di valore.
SENTENZA N. 8478 DEL 22 GIUGNO 2000 Edilizia popolare ed economica - cooperative edilizie - in genere - cooperativa a
contributo statale - vendita o promessa di vendita di aree esuberanti o di locali non destinati ad abitazione, ai sensi dellart. 8 R.D.

1165/1938 - mancanza dei preventivi controlli pubblici, previsti dal successivo art. 9, per adibire i locali ad uso botteghe o magazzini e
per affittarli - nullit per contrasto con norma imperativa - configurabilit - eadem ratio tra le due norme. nullo, ai sensi dellart. 1418,
primo comma, cod. civ., per contrariet a norme imperative, il contratto di vendita o di promessa di vendita a terzi di aree esuberanti e
locali non destinati ad abitazione, ai sensi dellart. 8 R.D. 28 aprile 1938- XVI- n. 1165, di propriet di una cooperativa, se manca anche
una sola delle autorizzazioni - rispettivamente del Ministero dei Lavori Pubblici e della Cassa Depositi e Prestiti- espressa mente previste
dal successivo articolo 9 per adibire i locali ad uso di botteghe e magazzini e per affittarli, stante lidentit di ratio tra le due norme,
entrambe miranti ad evitare operazioni speculative su immobili costruiti con contributo erariale e perci proibitive di atti dispositivi su di
essi senza i preventivi controlli pubblici, costituenti peraltro quel rispetto dei "modi di legge" che lo stesso articolo 8 espressamente
richiede.
SENTENZA N. 8478 DEL 22 GIUGNO 2000 Edilizia popolare ed economica - cooperative edilizie - in genere - immobili costruiti con
danaro pubblico - locali non destinati ad abitazione, ovvero adibiti ad uso di botteghe o magazzini, ed aree esuberanti - cedibilit a terzi,
nei modi di legge, previsti dagli artt. 8 e 9 R.D. 1165/1938 - conseguenze - propriet della cooperativa, non del condominio tra soci opposizione di questi agli atti dispositivi della cooperativa - irrilevanza. I locali degli immobili costruiti dalle cooperative con danaro
pubblico, non destinati ad abitazione, cos come le aree esuberanti e i locali adibiti a botteghe e magazzini, restano nel patrimonio della
cooperativa perch sono cedibili a terzi, sia pure nei modi prescritti dagli articoli 8 e 9 del R.D. 28 aprile 1938 n. 1165, e pertanto non
appartengono al condominio costituito tra i soci dopo la stipula del mutuo individuale, n quindi rileva che questi si oppongano agli atti
dispositivi della cooperativa su tali beni.
SENTENZA N. 4197 DEL 5 APRILE 2000 - I - Urbanistica - in genere - nuove costruzioni ed aree di pertinenza delle medesime riserva di spazi per parcheggi a norma della legge urbanistica modificata dalla cosiddetta legge ponte - obbligatoriet - carattere
imperativo ed inderogabile - operativit nel rapporto fra il costruttore o il proprietario e l'autorit competente - nei rapporti privatistici
inerenti a detti spazi - estensione - portata. La disciplina legale delle aree destinate a parcheggio, interne o circostanti ai fabbricati di
nuova costruzione, impone un vincolo di destinazione, di natura pubblicistica, per il quale gli spazi in questione sono riservati all'uso
diretto delle persone che stabilmente occupano le singole unit immobiliari delle quali si compone il fabbricato o che ad esse abitualmente
accedono; non impone, per contro, all'originario proprietario dell'intero immobile la cessione in propriet delle dette aree in una alla
cessione a tale titolo di ciascuna unit, in quanto le finalit perseguite dal legislatore, d'interesse collettivo e non individuale dei singoli
acquirenti di porzioni del fabbricato, o del complesso di essi, sono egualmente conseguite sol che il vincolo di destinazione venga
rispettato con il riconoscere e garantire a costoro uno specifico diritto reale d'uso sulle aree stesse. - II - Propriet - limitazioni legali della
propriet - rapporti di vicinato - norme di edilizia - violazione - effetti - risarcimento del danno - area di parcheggio edificata ai sensi
dell'art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942 - alienazione degli appartamenti di un immobile - elusione del vincolo di destinazione
dell'area di parcheggio - violazione di una norma edilizia - diritto al risarcimento dei soggetti privati del godimento dell'area configurabilit. Di fronte alla violazione di norme pubblicistiche incidenti sul regime della propriet privata, la posizione del privato che
subisca un danno pur sempre posizione di diritto soggettivo, onde il danno segue al mancato godimento del bene, oggetto del diritto
riconosciuto. (Fattispecie in tema di alienazione degli appartamenti di un immobile, con elusione del vincolo di destinazione dell'area di
parcheggio edificata ai sensi dell'art. 41 sexies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 aggiunto dall'art. 18 della legge "ponte").
SENTENZA N. 3371 DEL 22 MARZO 2000 Edilizia popolare ed economica - cessione in propriet dell'alloggio - in genere comunicazione all'assegnatario da parte dell'ente proprietario o gestore dell'alloggio dell'accoglimento della domanda di riscatto e del
valore del bene - comunicazione da parte dell'assegnatario della intenzione di acquistare l'immobile al valore venale - effetti trasferimento della propriet dell'immobile all'assegnatario - esclusione. In tema di edilizia economica e popolare, con la comunicazione
all'assegnatario da parte dell'ente proprietario o gestore (nel caso di specie I.A.C.P.) dell'accoglimento della domanda di cessione in
propriet dell'alloggio (confermata dall'assegnatario dopo l'entrata in vigore della legge 8 agosto 1977, n. 513) e del valore venale a
questo attribuito dall'U.T.E. e la comunicazione dell'assegnatario della intenzione di acquistare lo immobile al valore venale non pu
ritenersi perfezionato il procedimento previsto per l'acquisizione in propriet del bene dall'art. 27 della legge 8 agosto 1977, n. 513, come
modificato dall'art. 52 della legge 5 agosto 1978, n. 457, - che considera stipulato e concluso il contratto di compravendita qualora l'ente
proprietario o gestore abbia accettato la domanda di riscatto e comunicato all'assegnatario il relativo prezzo di cessione qualora non
previsto per legge - mancando l'elemento indefettibile della comunicazione del prezzo. Ci perch valore venale e prezzo di cessione
costituiscono dati differenti, essendo il primo soltanto un'entit economica che, ai sensi dell'art. 28 della citata legge n. 513 del 1977,
come modificato dall'art. 52 della legge n. 457 del 1978, concorre con altri parametri a determinare il prezzo di cessione senza per
identificarsi con questo e senza che il prezzo cos determinato possa ritenersi "previsto per legge", cio gi legalmente predeterminato in
entit monetarie, riferite a superfici (mq) o ad alloggi unitariamente valutati.
SENTENZA N. 3353 DEL 22 MARZO 2000 - I Edilizia popolare ed economica - cessione in propriet dell'alloggio - in genere vendita di alloggio gi acquistato in propriet ai sensi della legge prov. di Bolzano n. 3 del 1963 - diritto di riscatto dell'istituto per
l'edilizia abitativa agevolata della provincia di Bolzano - revocabilit della proposta dell'alienante - termini. In tema di riscatto di
alloggio popolare gi ceduto in propriet da parte dell'Istituto Autonomo per le Case Popolari della provincia autonoma di Bolzano, cui
subentrato l'Istituto per l'Edilizia Abitativa Agevolata della Provincia di Bolzano (I.P.E.A.A.), si deve ritenere che solo con il
completamento della fattispecie prevista dall'art. 13 della legge provinciale di Bolzano 20 aprile 1963, n. 3, e cio con la comunicazione
all'interessato del prezzo stabilito dall'ufficio tecnico provinciale, si determina per quest'ultimo l'impossibilit di revocare la propria
proposta implicitamente contenuta nella comunicazione della sua intenzione di vendere a terzi. - II Edilizia popolare ed economica cessione in propriet dell'alloggio - in genere - vendita di alloggio gi acquistato in propriet - diritto di riscatto dell'istituto per l'edilizia
abitativa agevolata della provincia di Bolzano - art. 13 della legge provinciale di Bolzano 20 aprile 1963 n.3 - questione di costituzionalit
- violazione degli artt. 3, 42, 43 e 47 Cost. e degli artt. 4 e 11 della legge costituzionale 26 febbraio 1948 n. 5 - manifesta infondatezza.
In relazione alla mancata determinazione di un limite temporale per l'esercizio del diritto di riscatto, manifestamente infondata la
questione di legittimit costituzionale dell'art. 13 della legge provinciale di Bolzano 20 aprile 1963, n.,3, sollevata in riferimento agli artt.
3, 42, 43 e 47 Cost. ed agli artt. 4 e 11 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 5. Quanto alla violazione del principio di
eguaglianza la questione non pu porsi, rispetto a materie affidate alla autonomia legislativa delle regioni a statuto speciale, in relazione
alla diversit della regolamentazione rispetto alla legislazione statale, poich questa diversit postulata come possibile e
costituzionalmente legittima dalla stessa previsione di una potest legislativa primaria. Quanto alla violazione dei principi costituzionali
in tema di propriet e di accesso del risparmio alla propriet, riferita alla mancata previsione di un limite di durata del diritto di riscatto, la
questione infondata poich il diritto di propriet, anche quando sia manifestazione dell'accesso popolare alla propriet dell'abitazione,
pu subire compressioni in presenza di un concorrente interesse generale e tale certamente quello del mantenimento, attraverso il diritto
di riscatto previsto dalla legge n. 3 del 1963 della provincia di Bolzano, della destinazione dell'immobile alle esigenze abitative
dell'edilizia agevolata. Quanto, infine, al rispetto dei principi dell'ordinamento, si deve escludere che esista un principio generale di

temporaneit del diritto di riscatto previsto a tutela di interessi generali. Da un lato, sotto tale profilo, incongruo il riferimento alla
disciplina statale in tema di edilizia popolare ed economica, in quanto questa, in caso di cessione degli alloggi, prevede lo strumento pi
rigido della inalienabilit per dieci anni (art. 35 legge 22 ottobre 1971, n. 865). D'altro canto, se vero che in tema di prelazione
convenzionale si ritiene - prevalentemente, ma non pacificamente - applicabile la disposizione dettata dall'art. 1379 cod. civ. per il divieto
di alienazione e se vero che un limite temporale previsto per il riscatto convenzionale dall'art. n. 1501 cod. civ., vero anche che, in
presenza di un interesse generale, l'ordinamento prevede ipotesi nelle quali la prelazione spetta senza limiti di tempo. questo il caso
della prelazione, in favore dello Stato, sui beni di interesse storico o artistico (art. 31 legge n. 1089 del 1939).
SENTENZA 1565 DEL 12 FEBBRAIO 2000 Urbanistica - modi di attuazione della disciplina urbanistica - regolamenti edilizi comunali in genere - successione nel tempo di norme edilizie - nuova disciplina pi restrittiva - inapplicabilit alle costruzioni gi sorte - immediata
applicabilit della disciplina meno restrittiva - conseguenze. In caso di successione nel tempo di norme edilizie, la nuova disciplina
meno restrittiva applicabile anche alle costruzioni realizzate prima della sua entrata in vigore con l'unico limite dell'eventuale giudicato
formatosi nella controversia sulla legittimit o non della costruzione, onde non pu disporsi la demolizione degli edifici originariamente
illeciti alla stregua delle precedenti norme, nei limiti in cui siano consentiti dalla normativa sopravvenuta.
SENTENZA N. 1320 DEL 7 FEBBRAIO 2000 Urbanistica - modi di attuazione della disciplina urbanistica piani regolatori comunali
- attuazione dei piani regolatori - lottizzazione di aree fabbricabili - in genere - atto d'obbligo del proprietario - cessione di aree perfezionamento - esclusione - successivo atto negoziale - necessit. Espropriazione per pubblico interesse (o utilit) - occupazione
temporanea e d'urgenza - risarcimento del danno - cessione di aree - atto d'obbligo del proprietario - perfezionamento - esclusione occupazione - illegittimit irreversibile trasformazione - occupazione appropriativa - configurabilit. L'atto d'obbligo, sottoscritto dai
proprietari, di cessione delle aree necessarie per la costruzione delle strade, al fine di conseguire l'autorizzazione a lottizzare, non di per
s idoneo a configurare il trasferimento del bene a favore del comune, trattandosi di atto preliminare, che al fine di produrre l'effetto
traslativo, necessita di un successivo atto negoziale, restando escluso che in virt di tale promessa di cessione, l'amministrazione possa
ritenersi autorizzata all'occupazione dell'area, con la conseguenza che se ci avvenga, l'irreversibile trasformazione del fondo rappresenta
un fatto illecito, da cui scaturisce il diritto del proprietario al risarcimento del danno.
SENTENZA N. 1248 DEL 4 FEBBRAIO 2000 - I - Urbanistica - modi di attuazione della disciplina urbanistica - piani regolatori
comunali - in genere - spazi per parcheggi ex art. 18 della legge n. 765 del 1967 - diritto reale di uso dell'area da parte dei proprietari
acquirenti delle unit abitative - integrazione del corrispettivo dovuto al costruttore per la cessione del diritto d'uso dell'area di parcheggio
- decorrenza del termine di prescrizione del relativo diritto - dall'istanza della controparte di esecuzione della prestazione. Con riguardo
all'attuazione del vincolo di destinazione a parcheggio degli appositi spazi delle nuove costruzioni in favore dei proprietari delle unit
abitative site nei fabbricati, operante in forza della legge n. 765 del 1967, il diritto del costruttore - venditore ad esigere il maggior
compenso per il diritto di uso dell'area di parcheggio pu essere esercitato solo in presenza della domanda dell'avente diritto alla
esecuzione della prestazione di cui si tratta. Ne consegue che, sino al momento in cui non venga richiesta, ad opera dell'acquirente del
singolo appartamento, l'attribuzione dell'uso dell'area di parcheggio, non decorre il termine di prescrizione relativo al predetto diritto del
venditore. - II - Propriet - limitazioni legali della propriet - rapporti di vicinato - norme di edilizia - violazione - effetti - risarcimento del
danno - area di parcheggio edificata ai sensi dell'art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942 - alienazione degli appartamenti di un
immobile - elusione del vincolo di destinazione dell'area di parcheggio - violazione di norma edilizia - diritto al risarcimento del danno
dei soggetti privati del godimento dell'area - configurabilit - liquidazione del relativo importo con decorrenza dalla data di
perfezionamento dei singoli contratti di compravendita. Colui che aliena gli appartamenti di un immobile eludendo il vincolo di
destinazione dell'area di parcheggio edificata ai sensi dell'art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942 (aggiunto dall'art. 18 della legge n.
765 del 1967 ), viola una norma edilizia ed, ai sensi dell'art. 872 cod. civ., secondo comma, cod. civ., tenuto perci al risarcimento dei
danni nei confronti dei soggetti che sono stati privati del diritto di godimento dell'area di parcheggio loro attribuito da una norma
pubblicistica incidente sul regime della propriet privata. L'importo di tale risarcimento dovr essere determinato con decorrenza dalla
data del perfezionamento dei singoli contratti di compravendita. - III -Comunione dei diritti reali - condominio negli edifici - parti
comuni dell'edificio - autorimessa - area condominiale da riservare a parcheggio - compravendita di appartamento con clausola escludente
dalla alienazione la compropriet o il diritto di utilizzazione di detta area - nullit della clausola - trasferimento ex lege del predetto diritto
al compratore - diritto dell'alienante al corrispettivo - credito di valore - rivalutazione - limiti. La nullit della clausola del contratto di
compravendita di appartamento che esclude il trasferimento della propriet o del diritto reale di utilizzazione dell'area condominiale da
riservare a parcheggio, ai sensi dell'art. 41 sexies della legge n. 1150 del 1942, aggiunto dall'art. 18 della legge n. 765 del 1967, ed il
conseguente trasferimento ex lege del predetto diritto all'acquirente, comportano il diritto dell'alienante al corrispettivo di tale
trasferimento, che d luogo ad un debito di valore, rivalutabile fino alla data della sentenza.
SENTENZA N. 13569 DEL 4 DICEMBRE 1999 Urbanistica - modi di attuazione della disciplina urbanistica - piani regolatori comunali attuazione dei piani regolatori - lottizzazione di aree fabbricabili - compravendita di terreni abusivamente lottizzati - vendita di terreno
facente parte di lottizzazione abusiva - presupposti. Vendita - singole specie di vendita - di cose immobili - in genere - vendita di terreno
facente parte di lottizzazione abusiva - presupposti. Ai fini dell'applicabilit dell'articolo 10 della legge n. 765 del 1967 a un negozio di
compravendita immobiliare deve ricorrere l'ipotesi non di mero frazionamento del terreno, sia pure in porzioni destinate ad essere sede
d'edificazione, ma di lottizzazioni in senso stretto, configurabili laddove sussistano fondi destinati ad insediamenti edilizi urbani, e quindi
alla realizzazione d'una pluralit d'edifici residenziali o turistici o industriali comportante la previsione, la progettazione e l'esecuzione
d'opere d'urbanizzazione non solo primaria ma anche secondaria; solo in tal caso, per le finalit d'inserimento del nuovo complesso
abitativo o produttivo nel territorio e di coordinamento con le realt limitrofe, richiesto dall'articolo 8 legge cit. il piano di lottizzazione,
in assenza del quale non possono essere concesse licenze edilizie; quando invece tali esigenze non siano riscontrabili - per le
caratteristiche e/o l'ubicazione del nuovo insediamento (pochi edifici in zona rurale) o per la preesistenza di adeguate bliche utenze e in
zona gi dotata d'infrastrutture sufficienti) - non richiesto il piano di lottizzazione e le licenze possono essere rilasciate anche in
mancanza di esso.
SENTENZA N. 10890 DEL 1 OTTOBRE 1999 Edilizia popolare ed economica - cessione in propriet dell'alloggio - in genere trasferimento della propriet all'assegnatario - momento determinativo In tema di trasferimento in propriet di alloggi costruiti in
attuazione delle norme sull'edilizia residenziale pubblica, l'accettazione della relativa domanda da parte dell'ente assegnante non opera la
costituzione ope legis del vincolo contrattuale, con conseguente trapasso del diritto dominicale in capo all'assegnatario, ma segna soltanto
il momento in cui diviene definitivo ed incontestabile il diritto di quest'ultimo a conseguire la cessione del bene per effetto della stipula di
(successivo ed) apposito contratto di compravendita, l'effettiva maturazione del diritto all'alienazione dell'immobile realizzandosi,
pertanto, soltanto in seguito all'incontro delle volont manifestate da entrambi i soggetti del rapporto, poich, prima di tale momento,
l'assegnatario conduttore vanta soltanto un diritto alla valutazione della sua domanda ed una mera aspettativa alla stipula del contratto di

cessione in propriet.
SENTENZA N. 8685 DEL 17 AGOSTO 1999
Urbanistica - Concessione edilizia - In genere - Regime introdotto dall'art. 15 settimo
comma della legge n. 10 del 1977 - Atti aventi ad oggetto unit edilizie costruite in assenza di concessione - Relativa previsione di nullit
- Carattere relativo - Sussistenza - Ragioni - Regime introdotto dalla legge n. 47 del 1985 - Atti traslativi di diritti reali su terreni o edifici
sanzionati dall'art. 18 secondo comma e 40 secondo comma di tale legge - Relativa previsione di nullit - Carattere assoluto - Sussistenza
- Ragioni - Conseguenze - Rilevabilit d'ufficio e da parte di ogni interessato - Conferma successiva prevista dal terzo comma dello stesso
art. 40 - Natura. Urbanistica - Modi di attuazione della disciplina urbanistica - Piani regolatori comunali - Attuazione dei piani
regolatori - Lottizzazione di aree fabbricabili - Compravendita di terreni abusivamente lottizzati - Nullit prevista dall'art. 31 quarto
comma della legge n. 1150 del 1942 come modificato dall'art. 10 della legge n. 765 del 1967 - Carattere relativo - Sussistenza - Ragioni.
Vendita - Singole specie di vendita - Di cose immobili - In genere - Atti nulli ex art. 31 quarto comma della legge n. 1150 del 1942 (come
modificato dall'art. 10 della legge n. 765 del 1967) ed ex art. 15 settimo comma della legge n. 10 del 1977 - Carattere relativo della nullit
- Sussistenza - Ragioni - Atti nulli ex secondo comma dell'art. 18 ed ex secondo comma dell'art. 40 della legge n. 47 del 1985 - Carattere
assoluto della nullit - Sussistenza - Conseguenze - Rilevabilit d'ufficio e da parte di qualunque interessato. Mentre deve riconoscersi
carattere relativo alla nullit degli atti giuridici aventi ad oggetto terreni abusivamente lottizzati a scopo residenziale e a quella degli atti
aventi ad oggetto unit edilizie costruite in assenza di concessione, rispettivamente previste dagli artt. 31, quarto comma della legge n.
1150 del 1942 (come modificato dall'art. 10 della legge n. 765 del 1967) e dall'art. 15, settimo comma, della legge n. 10 del 1977, essendo
quelle nullit comminate soltanto ove da detti atti non risultasse che l'acquirente era a conoscenza, rispettivamente, della mancanza di
lottizzazione autorizzata e della mancanza della concessione, viceversa, nel regime emergente dagli artt. 18, secondo comma, e 40,
secondo comma, della legge n. 47 del 1985, deve riconoscersi carattere assoluto (e, quindi, rilevabilit d'ufficio e deducibilit da chiunque
vi abbia interesse), alla nullit di ogni atto di trasferimento senza l'allegazione, per i terreni, del certificato di destinazione urbanistica, e,
per gli edifici, senza l'indicazione degli estremi della licenza o concessione ad "aedificandum" (rilasciata eventualmente in sanatoria)
ovvero, in mancanza, senza l'allegazione della domanda di sanatoria corredata dalla prova dell'avvenuto pagamento delle prime due rate
dell'oblazione edilizia, poich, quel regime normativo, mirando a reprimere ed a scoraggiare gli abusi edilizi, non d alcun rilievo allo
stato di buona o mala fede dell'acquirente. N, in senso contrario, pu addursi la possibilit, prevista dal comma terzo dello stesso art. 40,
di una successiva conferma degli atti viziati, mediante la redazione, anche ad opera di una sola delle parti, di altro atto avente la stessa
forma, e contenente la menzione omessa o l'allegazione della dichiarazione o documentazione mancanti nel primo atto, poich tale
possibilit non integra una sanatoria in senso tecnico-giuridico, ma un semplice rimedio convalidante, consentito in dipendenza di carenze
formali della precedente stipulazione e non in presenza dell'insussistenza all'epoca di essa, dei requisiti sostanziali per la commerciabilita'
del bene.
SENTENZA N. 9395 DEL 4 SETTEMBRE 1999 Edilizia popolare ed economica - assegnazione - disposizione dell'alloggio alienazione - assegnatario provvisorio - alienazione senza autorizzazioni - nullit del contratto - sussistenza. Attraverso l'assegnazione,
che costituisce uno dei passaggi del procedimento per l'attribuzione della propriet di un alloggio al singolo socio della cooperativa che
usufruisce di concorsi o contributi dello Stato, si perviene alla concreta individuazione dell'alloggio sulla scorta della prenotazione del
socio, ed anche se essa sia qualificata come provvisoria, sia per la non ancora effettuata consegna, sia per il carattere unilaterale
dell'attribuzione da parte della cooperativa, che non pu avere carattere rigorosamente definitivo dal punto di vista sostanziale, in quanto
destinata a trasformarsi e dar vita ad altra situazione (di regola al diritto di propriet si perviene con il contratto di mutuo edilizio
individuale), ci non toglie che stabilendo la correlazione tra soggetto e oggetto del diritto di propriet in divenire, di per s elemento
sufficiente ad integrare la ratio della disciplina di incedibilit relativa (ovvero della cedibilit subordinata ad autorizzazioni) dello status di
assegnatario (conseguire il fine della destinazione degli alloggi al soddisfacimento dell'interesse all'abitazione degli appartenenti a
determinate categorie sociali, e, in connessione al divieto temporale di alienazione, a scongiurare l'intento speculativo di chi, profittando
della propria appartenenza a tali categorie, si avvalga della facolt di prenotare l'alloggio per rivenderlo ai valori di mercato), ed a rendere
operante il relativo regime, che comporta la nullit dell'alienazione in assenza delle previste autorizzazioni.
La cessione del contratto di locazione e le conseguenze sulla interruzione della prescrizione Cass.
sez. III, n. 23914 del 09/11/2006 La Corte, con la sentenza della terza sezione n. 23914 del 2006, ha
affrontato una fattispecie nell'ambito della materia delle locazioni, sottolineando che, l'obbligazione del
cedente di pagare il canone dovuto al locatore dal cessionario e da questi non corrisposto deve essere
qualificata in termini di solidariet con la conseguenza che gli atti con i quali il locatore abbia interrotto la
prescrizione nei confronti del cessionario hanno effetto anche nei confronti del cedente. (Cassazione civile
Sentenza, Sez. III, 09/11/2006, n. 23194)
Decesso di un condomino - comunicazione dell'avviso di convocazione agli eredi Cassazione 6926
el 22 marzo 2007 Lamministratore il quale sia a conoscenza del decesso di un condomino, fino a quando gli
eredi non gli manifesteranno la loro qualit, non avendo utili elementi di riferimento e non essendo obbligato
a fare alcuna particolare ricerca, non sar tenuto ad inviare alcun avviso. E' quindi da escludersi la nullit
dell'assemblea convocata con l'avviso inviato "genericamente e impersonalmente" ai non meglio identificati
eredi di un condomino.
Delibere nulle e annullabili in materia di ripartizione delle spese condominiali Cass. civ., sez. II, 21
luglio 2006, n. 16793 In materia di ripartizione delle spese condominiali, le delibere sono nulle se
l'assemblea, esulando dalle proprie attribuzioni, modifica i criteri di riparto stabiliti dalla legge(o in via
convenzionale da tutti i condomini), mentre sono annullabili, nel caso in cui i suddetti criteri vengano violati o
disattesi. Quindi annullabile e non nulla la delibera che esclude dal riparto delle spese per lavori straordinari
e di manutenzione dell'impianto di riscaldamento una unit immobiliare sull'erroneo presupposto che essa
non sia allacciata all'impianto centralizzato.
La mancata indicazione nominativa dei condomini Trib. civ. Verona, sez. III, 22 giugno 2004, n. 1818
La mancata indicazione nominativa dei condomini contrari e di quelli favorevoli, con le rispettive quote
millesimali, e l'omessa verbalizzazione del quorum raggiunto, non pregiudicano la validit della delibera
assembleare assunta, nei casi in cui, da un'analisi complessiva della stessa e dei suoi allegati, sia comunque
possibile desumere il raggiungimento della maggioranza richiesta, mediante una semplice sottrazione
aritmetica dei millesimi facenti capo ai condomini dissenzienti analiticamente indicati, e in assenza di

astenuti.
Risarcimento danni per ritardata restituzione dell'immobile Cass., Sez. III Civ., sentenza n. 6468 del
19 marzo 2007 In tema di locazione, integra violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato, di cui all'art. 112 c.p.c., il riconoscimento da parte del giudice di un determinato beneficio
economico a titolo di risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria quando la parte lo abbia
espressamente domandato a titolo di risarcimento del danno da ritardata restituzione dell'immobile.
E' illegittima l'apertura di una porta nel pianerottolo di una scala che non serve il proprio
appartamento Cassazione, sezione seconda, 25 settembre 2006 n.20783 Quando il bene, per obiettive
caratteristiche strutturali e funzionali, serva in modo esclusivo al godimento di una parte dell'edificio in
condominio, la quale formi oggetto di autonomo diritto di propriet, viene meno il presupposto per il
riconoscimento di una contitolarit necessaria di tutti i condomini, giacch la destinazione particolare vince la
presunzione legale di comunione, alla stessa stregua di un titolo contrario. (Nel caso di specie la Corte ha
dichiarato illegittima l'apertura di una porta nel pianerottolo di una scala che non serviva l'appartamento del
condomino in quanto appartenente ad un condominio parziale )
Ricorso per la nomina di un amministratore giudiziario senza il patrocinio di un avvocato Trib. civ.
Ariano Irpino decr., 13 dicembre 2006 Nel caso in cui l'assemblea non possa procedere alla sostituzione
dell'amministratore dimissionario per il mancato raggiungimento del quorum deliberativo, i condomini sono
personalmente legittimati a ricorrere al giudice camerale perch nomini un amministratore giudiziario ex art.
1129 c.c. anche senza il patrocinio di un avvocato in quanto il procedimento camerale rientra nell'ambito
della volontaria giurisdizione.
L'obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese collettive Cassazione, Sez. II, del 05/12/2006 n. 25831 Considerato
che l'obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese collettive sorge per effetto della delibera con la quale l'assemblea
approva le spese stesse, ma che la liquidit del credito condominiale data solo dalla successiva deliberazione d'approvazione del piano
di riparto ovvero dall'elaborazione di questo in conformit alle vigenti tabelle millesimali, onde il condominio che agisca nei confronti del
condmino per conseguire il pagamento delle quote da questi dovute deve dimostrare non solo la legittimit della spesa producendo la
relativa delibera d'approvazione, ma anche la legittimit della determinazione delle quote o producendo la delibera d'approvazione del
piano di riparto o dimostrando la conformit di questo alle tabelle millesimali regolamentari mediante produzione delle stesse.
Non consentita la sospensione del giudizio d'opposizione al D.I. ottenuto ex art. 63 disp. att. c.p.c. in attesa dell'esito del giudizio
d'impugnazione ex art. 1137 c.c. Cassazione civile, sez. unite, 27 febbraio 2007, n. 4421 La S.C., intervenendo a sezioni unite, ha
risolto il contrasto giurisprudenziale sorto in ordine alla sospensione del giudizio d'opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto, ex art. 63
delle disposizioni d'attuazione del codice civile, per la riscossione dei contributi condominiali in base allo stato di ripartizione approvato
dallassemblea, in pendenza di altro giudizio d'impugnazione, proposto ex art. 1137 c.c., relativo alla delibera assembleare con cui stato
approvato il riparto delle spese. Alcune recenti pronunce della S.C. hanno sostenuto l'esistenza di un rapporto oggettivo di pregiudizialit
tra i giudizi di cui sopra, condizione necessaria ai fini della sospensione ex art. 295 c.p.c. (Cass. civile , sez. II, 11 febbraio 2005, n. 2759)
potendo altrimenti verificarsi l'anomalia della conclusione con passaggio in giudicato di una statuizione sfavorevole all'opponente in
ordine alla sussistenza del credito vantato nei suoi confronti dal condominio, a fronte dell'annullamento, all'esito del relativo giudizio
d'impugnazione, della delibera che di tale credito titolo costitutivo. Pur tuttavia le S.U. hanno ritenuto di aderire ad altro e prevalente
orientamento in base al quale il condomino opponente non pu far valere questioni attinenti alla validit della delibera condominiale, gi
impugnata in altro giudizio, ma solo questioni riguardanti l'efficacia della medesima. Ci in quanto le deliberazioni condominiali sono
soggette ad impugnativa ai sensi del secondo comma dell'art. 1137 c.c. e tuttavia, per espressa previsione della medesima norma, restano
non di meno vincolanti per i singoli condomini, nonostante l'esperita impugnazione, salvo il giudice di questa ne disponga la sospensione
dell'efficacia esecutiva, tale delibera costituendo, infatti, ex lege titolo di credito in favore del condominio e, di per s, prova idonea, ai
fini di cui agli artt. 633 e 634 c.p.c., dell'esistenza di tale credito, s da legittimare non solo la concessione del decreto ingiuntivo, ma
anche la condanna del condomino a pagare le somme nel giudizio d'opposizione che quest'ultimo proponga contro tale decreto, ed il cui
ambito , dunque, ristretto alla sola verifica dell'esistenza e dell'efficacia della deliberazione assembleare d'approvazione della spesa e di
ripartizione del relativo onere. http://www.miolegale.it/z_open3.php?id=136&area=8
Condominio: i costi per la pulizia delle scale non possono essere commisurati alla diversa frequenza d'uso. Cassazione civile, sez.
II, 12 gennaio 2007, n. 432 A norma dell'art. 1124 c.c. 1 comma Le scale sono mantenute e ricostruite dai proprietari dei diversi piani
a cui servono. La spesa relativa ripartita tra essi, per met in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per l'altra met in
misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo .Per giurispridenza pressoch costante tale criterio va applicato anche ai costi
per la pulizia delle scale in quanto trattasi di voce di spesa che pu essere ricondotta nella manutenzione. Talvolta, come nel caso di
specie in cui quattro dei cinque piani di un condominio sono adibiti ad albergo ed un unico piano a civile abitazione, si tuttavia posto il
problema dell'equit del criterio di cui sopra se l'uso che i diversi condomini fanno delle scale effettivamente disomogeneo.Tanto in
primo grado quanto in appello stato ritenuto applicabile il criterio di cui all'art. 1123 c.c., 2 comma per cui, in materia di riapartizione
delle spese condominiali, Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione
dell'uso che ciascuno pu farne. Conseguentemente, in riforma della delibera assembleare, il giudice di merito ha ritenuto doversi
rivedere il criterio di riparto tenendo conto del notevole maggior uso delle scale effettuato dall'albergo, per il continuo andirvieni di
avventori. La S.C. tuttavia, in riforma dell'impugnata sentenza che pure ad una prima impressione potrebbe apparire ispirata a criteri di
equit e razionalit oltre che fondata in punto di diritto stante il richiamato art. 1123, 2 comma, osserva come detto articolo ha riguardo a
parti comuni che oggettivamente e strutturalmente sono utilizzabili in diversa misura dai condomini, e non all'uso che concretamente i
condomini ne facciano (cfr. Cass., 6 dicembre 1991, n. 13160, in Mass. Foro it., 1991).
Ed innegabile che le scale siano destinate a
servire l'intero immobile, a prescindere dalla situazione di fatto di maggiore o minor uso. D'altra parte, osserva la corte, applicando il
criterio di cui all'art. 1123 si giungerebbe alle conseguenze paradossali per cui potrebbe chiedere di essere esentato dal pagamento chi non
utilizza mai l'ascensore o, al contrario, potrebbe trovarsi a dover sopportare costi maggiori una famiglia numerosa. Non solo lart. 1123
non si rende applicabile alla ripartizione delle spese di pulizia scale in quanto possibile procedere alla ripartizione delle spese
condominiali in ragione della utilit che la cosa o il servizio comune pu dare in quanto tale utilit sia misurabile (come ad es., avviene
per il riscaldamento, in cui si fa riferimento alla superficie radiante dei termosifoni installati nelle singole unit immobiliari in propriet
esclusiva). In definitiva la posizione della S.C. circa le spese di pulizia delle scale condominiali la seguente:
La ripartizione delle

spese per la pulizia delle scale secondo quanto previsto dall'art. 1124 cod. civ., poi, conforme alla ratio di tale disposizione, la quale va
individuata nel fatto che, a parit di uso, i proprietari dei piani alti logorano di pi le scale rispetto ai proprietari dei piani pi bassi, per cui
contribuiscono in misura maggiore alla spese di ricostruzione e manutenzione. Ugualmente, a parit di uso, i proprietari di piani pi alti
sporcano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani pi bassi, per cui devono contribuire in misura maggiore alle spese di
pulizia. Va soltanto chiarito che la ripartizione delle spese va fatta con applicazione integrale del criterio dell'altezza di piano; la
disposizione contenuta nell'art. 1124 primo comma, cod. civ. secondo la quale la met delle spese per la ricostruzione e manutenzione
delle scale va effettuata in base ai millesimi, deroga, infatti, in parte a tale criterio (applicativo del principio generale di cui all'art. 1123
secondo comma, cod. civ.) e quindi non pu trovare applicazione analogica con riferimento a spese diverse da quelle espressamente
considerate. http://www.miolegale.it/z_open3.php?id=132&area=8
Tabelle millesimali: per l'approvazione provvisoria sufficiente la delibera a maggioranza e non all'unanimit.
Cassazione
civile, sez. II, 21 novembre 2006, n. 24670 Secondo l'art. 1138 c.c. le norme d'uso ed i criteri di ripartizione delle spese per le cose
comuni, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, devono essere contenute nel regolamento di condominio. Inoltre,
secondo l'art. 68 delle disposizioni di attuazione del codice civile, detto regolamento deve essere corredato da apposita tabella in cui
indicato il valore di ciascun piano o porzione di piano espresso in millesimi, ragguagliato al valore dell'intero edificio.
Le cosiddette
tabelle millesimali sono pertanto dei quadri sintetici in cui sono riportati i valori proporzionali relativi alle singole unit immobiliari,
rilevanti sia per quanto riguarda il voto in assemblea, sia per quanto riguarda il contributo alle spese. Se l'art. 1138 c.c. per l'approvazione
del regolamento di condominio richiede la maggioranza dei voti dei condomini (ancorch qualificata, secondo i criteri dell'art. 1136, 2
comma c.c., ovvero maggioranza degli intervenuti che rappresenti almeno la met della propriet), per l'approvazione delle tabelle
millesimali, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, richiesta l'approvazione all'unanimit in quanto coostituenti negozi di
accertamento dei valori delle quote condominiali. Pur tuttavia, come stabilito nella sentenza in commento, l'assemblea in presenza di una
tabella approvata a maggioranza, pu applicare i criteri dalla stessa stabiliti per la ripartizione delle spese annuali di gestione e
manutezione dei servizi comuni a titolo di acconto e salvo conguaglio da operare dopo la definitiva approvazione della tabella
all'unanimit, giacch in tal modo [...] si impiega uno strumento operativo di ordinaria amministrazione che, senza pregiudicare i diritti
dei singoli partecipi, consente di provvedere alla normale gestione dei servizi condominiali e alla manutenzione delle cose in comunione
(sent. n. 2164 del 1973). Da ci deriva che la deliberazione assembleare maggioritaria, con la quale si sia proceduto alla ripartizione
temporanea e provvisoria delle spese in base a una tabella non adottata con il consenso di tutti i condomini, legittima, eccetto il caso in
cui il partecipe assente o dissenziente provi con l'impugnazione proposta contro la deliberazione che questa sia causa di un pregiudizio
concreto e attuale in suo danno http://www.miolegale.it/z_open3.php?id=135&area=8
Condomino dissenziente ed attribuzione delle spese di lite. Cassazione Civile, sez. II, 15 maggio 2006, n. 11126 E nulla e non
annullabile, la delibera dellassemblea dei condomini che stabilisca di ripartire le spese di lite giudiziaria secondo gli ordinari criteri di
riparto delle spese, attribuendo una parte di essa anche in capo al condomino dissenziente, in quanto contraria alla norma di cui allart.
1132 c.c. . In tal caso il condomino non tenuto ad impugnare la delibera che sancisce la ripartizione delle spese entro gli ordinari 30 gg.,
ma pu impugnarla anche successivamente. http://www.miolegale.it/z_open3.php?id=85&area=8
Occupazione abusiva di immobile: risarcimento danni e restituzione dei frutti civili Tribunale Marsala, sentenza 30/01/2007 Il
Giudice del Tribunale di Marsale con sentenza del 30/01/2007 ha chiarito che nel panorama giurisprudenziale del danno da occupazione
abusiva di immobile (perch sprovvista di titolo, ab origine o per fatti sopravvenuti, ovvero perch sorretta da titolo inefficace) si
ravvisano due filoni interpretativi, luno che riconosce al proprietario dellimmobile il diritto alla corresponsione di una somma di denaro
a titolo di frutti civili ritratti (o, secondo altro orientamento, anche ritraibili) dal mancato godimento della cosa, laltro che riconosce per la
medesima causale il diritto al risarcimento del danno per violazione del diritto di propriet.
Il primo orientamento, argomentando dai principi generali in materia di indebito oggettivo di cui allart. 2033 c.c., fa leva sulla
considerazione che, in mancanza di un titolo legittimo di detenzione, chi nella disponibilit dellimmobile tenuto alla restituzione della
cosa al proprietario, con i frutti dal giorno della ricezione della cosa se in mala fede, oppure dal giorno della domanda se in buona fede.
Il secondo, per contro, si fonda sulla constatazione che lesclusione del proprietario dal legittimo godimento della cosa integra violazione
del diritto di propriet tutelato dalla clausola generale di cui allart. 2043 c.c. laddove sussistenti tutti i presupposti dellillecito aquiliano.
Per quanto riguarda i frutti civili, questi possono essere pretesi solo se e in quanto effettivamente percepiti per cui che la domanda di
corresponsione dei frutti civili pu essere avanzata solo nei confronti di ha effettivamente percepito il canone di locazione.
Nei confronti di chi possiede illegittimamente un immobile in via indiretta, ossia mediante concessione in godimento oneroso a terzi, si
pu prospettare, in alternativa allazione di restituzione dei frutti, unazione risarcitoria pura, laddove la misura del quantum del danno
pu essere commisurata al canone di locazione effettivamente percepito.
L'abbattimento della pensilina non rientra tra le competenze dell' amministratore Corte di Cassazione, Sez. II Civ, n. 1382 del 23
gennaio 2007 Il totale abbattimento della pensilina sovrastante il cancello dingresso alledificio condominiale, disposto
dallamministratore senza previa autorizzazione dellassemblea, illegittimo in quanto non rientra tra le attribuzioni dellamministratore
quella di eliminare un bene condominiale, nemmeno nellipotesi, fatta presente nella specie, in cui leliminazione della pensilina
renderebbe possibile lavvicinamento alledificio condominiale dei mezzi di soccorso o antincendio; ipotesi che potrebbe semmai
consentire allamm.re, in caso di urgenza, di procedere a lavori di manutenzione straordinaria ex articolo 1135 c.c., salvo riferirne alla
prima assemblea; non mai per, gli consentirebbe di eliminare totalmente la struttura comune o di apportare modifiche strutturali incidenti
sul decoro architettonico.
La destinazione ad albergo non impedisce la costituzione del regime condominiale Cassazione civile , sez. II, sentenza 29.01.2007
n 1786 Nel caso di un edificio o di un complesso di edifici destinato ad albergo, in presenza dei presupposti di fatto e di diritto del
condominio, configurati dallesistenza di pi unit immobiliari appartenenti a persone diverse e di cose, servizi ed impianti destinati
allsuo comune, la destinazione ad albergo non impedisce la costituzione del regime condominiale; per conseguenza, la costituzione del
condominio non dipende dal mutamento della destinazione.
Il condomino tenuto al pagamento delle spese di conservazione e manutenzione dell'ascensore
Prima Sez. Corte dAppello di Milano, sente. n. 76 del 21/02/2006 Con sentenza n. 76 del 21 febbraio 2006, la Prima Sezione della
Corte dAppello di Milano ha respinto la domanda del proprietario di un unit immobiliare al primo piano di uno stabile, il quale riteneva
di essere tenuto indenne dalle spese di manutenzione e conservazione dellascensore.
Il criterio di ripartizione delle spese di conservazione e manutenzione dell'ascensore, in conformit a quanto stabilito dall'art. 1124 c.c. per
la ripartizione delle spese relative alle scale,comportante un contributo anche per i condomini proprietari di unit ubicate al piano terreno,
applicabile in via analogica alla fattispecie avente per oggetto l'ascensore, per la cui disciplina manca una specifica norma.

A tal fine non rilevante la circostanza che lascensore sia stato installato originariamente con la costruzione delledificio e non in un
secondo tempo: tale circostanza rileva solo se linstallazione dellimpianto avvenuta con il dissenso di alcuni condomini.
Natura contrattuale del regolamento di condominio Corte di Appello di Milano, 14 luglio 2004
Il regolamento condominiale non ha natura contrattuale di per s, ma solo in relazione a quelle clausole limitatrici dei diritti dei
condomini sulle propriet esclusive o comuni, ovvero attribuenti ad alcuni condomini maggiori diritti rispetto a quelli degli altri, e non
invece, in relazione a quelle clausole che si limitano semplicemente a disciplinare luso e la manutenzione dei beni comuni; e solo per la
modifica delle clausole aventi natura contrattuale richiesta lunanimit dei consensi, ferma restando, in ogni caso, la necessit della
forma scritta a pena di nullit.
Nuovo Amministratore e restituzione dei documenti Trib. civ. Biella ord., 13 novembre 2006
Il nuovo amministratore di condominio legittimato ad agire nei confronti del precedente per la restituzione dei documenti occorrenti
all'esercizio della gestione condominiale, senza necessit di esser autorizzato con delibera assembleare, perch la legittimazione attiva
processuale, conferita dall'art. 1130 c.c. per lo svolgimento delle attribuzioni ivi previste comprende quella prioritaria ed indispensabile
per l'espletamento dei singoli momenti gestori, tra cui il recupero della documentazione relativa alla gestione precedente
Prelazione prevista in un regolamento di condominio
Puntuale decisione della Corte dAppello di Milano 23 marzo 2007 Sez. 4 G.U. Valdatta che
respingendo lappello ha escluso che la violazione di una prelazione convenzionale - prevista in un
regolamento di condominio - possa produrre altro effetto che il risarcimento dei danni (nella specie,
non provati). Si legge nella motivazione della sentenza :la clausola di prelazione, indubbiamente
presente nel regolamento condominiale, introduce una prelazione convenzionale, la quale pu dar
diritto, se violata, al solo risarcimento dei danni. Il patto di prelazione genera a carico del
promittente, una immediata obbligazione negativa, consistente nel non vendere ad altri la cosa
oggetto del patto se non dopo che il prelazionario, debitamente interpellato, dichiari di non voler
acquistare, ed una obbligazione positiva, consistente nel vendere al prelazionario medesimo, al
quale deve essere formulata la relativa proposta attraverso la denuntiatio. Questobbligazione, nel
caso di vendita ad un terzo, del bene oggetto del patto di prelazione, non pi coercibile e di
conseguenza la sua violazione pu dar diritto al solo risarcimento del danno, a differenza della
violazione dellobbligo di contrarre, contenuto nel contratto preliminare, a cui segue lesecuzione in
forma specifica, ex art. 2932 c.c...
Linstallazione di un impianto non costituisce mutamento di destinazione duso
TAR Lombardia-Milano, sez. II, sentenza 08.03.2007 n 382 La circostanza che il locale sia pavimentato e dotato di riscaldamento non
di per s oggettivamente incompatibile con la qualificazione del vano come "cantina" (intesa, ovviamente, come locale ad uso deposito, e
non come locale per la conservazione di vini), n costituisce elemento sufficiente a comprovare la trasformazione della "cantina" in
locale accessorio "ad uso sala lettura/musica", tanto pi che trattasi di vano non collegato allabitazione, ma accessibile esclusivamente
dalle parti comuni. Peraltro, non risulta lesecuzione di altre opere oggettivamente idonee a realizzare la trasformazione contestata,
essendo per altro verso irrilevanti, e comunque insufficienti a corroborare un illecito edilizio, la presenza di oggetti di arredo e di
apparecchiature elettroniche, nonch il modo e lordine in cui sono disposti. E' questa la decisione del T.A.R. lombardo, per cui il
rifacimento della pavimentazione e linstallazione ex novo di un impianto di riscaldamento (nonch la sistemazioni di arredi) in un vano
formalmente destinato ad essere fruito quale cantina (rectius, deposito) non costituisce mutamento della suddetta destinazione. In
particolare, ricorda il T.A.R. che la "rimessione in pristino delle opere abusive" ... dovrebbe tradursi, in concreto, nella rimozione
dellimpianto di riscaldamento (che non incompatibile, come rilevato, con luso legittimo della cantina), ovvero nella rimozione degli
arredi (il che appare illogico), per cui si ritiene che non sono ravvisabili elementi sufficienti per configurare il contestato abuso
edilizio, salva restando la potest dellAmministrazione di inibire, ove accertata, la permanenza continuativa di persone nel locale in
questione. Una fattispecie singolare ed emblematica dalla quale possono trarsi alcune utili indicazioni. Di principio, infatti, deve essere
ammesso che ogni opera o intervento non precluso allavente diritto se non si pone funzionalmente in dissonanza con la natura della
destinazione duso esistente al momento in cui lintervento medesimo viene posto in essere. Resta da capire solo se le opere costituenti
lintervento vadano considerate sotto il profilo della compatibilit/incompatibilit uti singula ovvero nellinsieme. Sotto la prima lettura, il
rifacimento della pavimentazione non neanche da considerarsi incompatibile, in quanto intervento di manutenzione ordinaria ancor
prima che di mutamento di destinazione. Linstallazione di un impianto di riscaldamento pu, invece, destare qualche perplessit. A nulla
rileva, invece, larredamento e le apparecchiature elettroniche. Sotto il secondo profilo, cio nel loro insieme, le opere hanno ben altro
valore. Nel complesso, infatti, appare quasi esplicita la volont di mutare la destinazione del vano da cantina-deposito a salotto.
Anche se c un fattore discriminante che non ha consentito al Giudice amministrativo di considerare illegittime le opere, e cio la
mancanza di una prova sufficiente tale da rivelare una natura diversa acquisita dal vano a seguito delle innovazioni. Quale poteva essere
la prova? Lo ammette il Giudice stesso. La permanenza di soggetti nel locale (anche se rimaneva, a mio parere, aperta la questione di
ubi e quantum consistat tale permanenza). ovvio ritenere che il deposito sia locale destinato alla permanenza di cose, non di
persone. Dal che discende, a mio parere, la non provata mutazione dalla pi generale categoria del vano destinato a ricovero oggetti a
vano destinato ad abitazione o uso abitativo da parte di persone. http://www.altalex.com/index.php?idnot=36566
Cass. n. 8552/2004 secondo la quale l'inserimento della canna fumaria all'interno del muro comune che costituisce anche
delimitazione della propriet individuale, essendo invasivo della propriet altrui, non pu considerarsi come mero appoggio.
Vizi di costruzione di un edificio condominiale relativi solo ad alcuni appartamenti Cass. civ., sez. II, 15 novembre 2006, n. 24301
Qualora i vizi di costruzione di un edificio riguardino solo alcuni appartamenti di questi e non le parti comuni, l'azione di risarcimento dei
danni ex artt. 1669 e 2058 cc, nei confronti del venditore-costruttore, va proposta esclusivamente dai proprietari delle unit danneggiate,
non sussistendo una ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti degli altri condomini.
Le norme relative ai rapporti di vicinato Cass. civ., sez. II, 25 luglio 2006, n. 16958 In tema di condominio, le norme relative ai
rapporti di vicinato, tra cui quella dell'art. 889 c.c., trovano applicazione rispetto alle singole unit immobiliari soltanto in quanto
compatibili con la concreta struttura dell'edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facolt dei singoli proprietari; pertanto,
qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia
nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di pi appartamenti in un unico edificio implica di per s il contemperamento dei
vari interessi al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che propria dei rapporti condominiali.

Piscina e campo da tennis non fanno la casa di lusso Cassazione, sezione quinta, 14 dicembre 2005 n. 27617 Secondo la Suprema
Corte (Cass. n. 27617 del 14 dicembre 2005), la presenza di piscine, come dei campi da tennis, non n insolita, n impossibile per le
dimore residenziali;
Il D.M. 2 agosto 1969 prevede che simili accessori possono attribuire allimmobile le caratteristiche di lusso, fiscalmente rilevanti, solo
in presenza di determinate condizioni e, soprattutto, soltanto nellipotesi di una piscina di almeno 80 mq di superficie o campi da
tennis con sottofondo drenato di superficie non inferiore a 650 mq, mentre nel caso di piscine e campi da tennis posti al servizio di un
edificio o di un complesso di edifici , trattasi soltanto di uno solo degli elementi che possono concorrere a determinare tale qualit.
Le spese urgenti nei condomini minimi Tribunale di Bologna, Sez. III, sentenza 21 aprile 2005, n. 1049
E' da considerarsi urgente la spesa che non pu essere differita senza danno o pericolo per la cosa comune, fino a quando lamministratore
o lassemblea dei condomini possano utilmente provvedere.
Principio applicabile anche nei condomini minimi in quanto diretto a impedire indebite e non strettamente indispensabili interferenze dei
singoli partecipanti nella gestione del fabbricato come riservata agli organi del condominio.
I c.d. volumi tecnici rientrano tra le parti comuni ache in caso di divisione dell'edificio Cass. civ., sez. II, 27 marzo 2003, n. 4528
I c.d. volumi tecnici, sono quelli destinati a contenere gli sia gli impiant tecnici del fabbricato (quali i vani ascensore, caldaia, autoclave,
contatori,..) o altri beni comuni (quale il vano scale) ovvero sono altrimenti destinati all'uso comune. Essi rientrano, perci, tra i beni
comuni ai sensi dell'art. 117 c.c., sicch in caso di divisione dell'edificio cui detti spazi accedono, essi, in mancanza di espressa
pattuizione contraria, restano ricompresi tra i beni comuni anche se l'atto di divisione abbia elencato dettagliatamente le (altre) parti
comuni omettendo di inserire nella elencazione alcune di esse, come i volumi tecnici, che restano comuni per definizione in virt della
loro naturale destinazione e della loro connessione materiale e strumentale all'uso o al servizio delle singole parti dell'edificio e che, anche
grazie alla non suscettibilit di separato ed autonomo godimento, instaura un vincolo di accessoriet tra le dette cose o beni e le parti di
propriet esclusiva, quando il titolo non disponga altrimenti, e tale vincolo costituisce il fondamento giuridico per l'attribuzione ex lege
sugli stessi beni del diritto di condominio.
Per agire in giudizio l'amministratore deve essere autorizzato dall'assemblea condominiale Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2003, n.
8520 In tema di condominio di edifici, colui che agisce in giudizio in nome del condominio deve dare la prova, in caso di contestazione,
della veste di amministratore e, quando la causa esorbita dai limiti di attribuzione stabiliti dall'art. 1130 c.c., di essere autorizzato a
promuovere l'azione contro i singoli condomini o terzi.
Tale onere probatorio da ritenersi assolto con la produzione della delibera dell'assemblea condominiale dalla quale risulti che egli
l'amministratore e che gli stato conferito, mandato a promuovere l'azione giudiziaria, mentre in caso di mancata contestazione, la
persona fisica costituita in giudizio che rilasci il mandato al difensore, nella qualit di legale rappresentante dell'ente di gestione, non ha
l'onere di dimostrare tale veste.
I muri perimetrali sono da considerarsi comuni a tutti i condomini Corte di Cassazione, n. 4.978 del 06/03/2007 I muri perimetrali
delledificio in condominio i quali, anche se non hanno natura e funzione di muri maestri portanti, delimitano la superficie coperta,
determinano la consistenza volumetrica delledificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne
delimitano la sagoma architettonica sono da considerarsi comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza
dei piani di propriet singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro
esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici.
Uso della cosa comune - Controversie tra alcuni condomini Cass. civ., sez. II, 7 marzo 2003, n. 3435 Quando tra alcuni comunisti
insorga controversia sulle modalit di uso della cosa comune, ancorch riguardanti una modificazione che, non incidendo sull'estensione
dei diritti degli altri partecipanti (art. 1102, comma secondo, c.c.) n eccedendo l'ordinaria amministrazione (art. 1108 c.c.), tende al suo
migliore godimento, nel giudizio instaurato fra i comunisti in disaccordo, non v' litisconsorzio necessario di tutti gli altri partecipanti alla
comunione.
Il condomino fallito obbligato comunque a pagare le spese comuni
Cass. Civ.
Il Condominio ha il diritto di pretendere il pagamento delle spese condominiali dal condomino fallito, tuttavia bisogna distinguere tra le
spese condominiali relative al periodo precedente la data della dichiarazione di fallimento per le quali il condominio creditore agir
direttamente verso il fallito e le spese deliberate e sostenute successivamente alla data della dichiarazione di fallimento ed in questo
secondo caso il condominio avanzer la sua pretesa verso il fallimento in persona del curatore.
Il recupero delle spese maturate prima della dichiarazione del fallimento avverr attraverso listanza di insinuazione al passivo presentata
dallamministratore. Per le spese maturate dopo la dichiarazione di fallimento le stesse saranno pagate dalla curatela in prededuzione
ovvero in precedenza rispetto a tutti i crediti anche privilegiati, sorti prima della sentenza di fallimento.
Il fallito ha il diritto di continuare a godere dellimmobile in condominio ma sono a suo carico gli oneri relativi alla gestione ordinaria
riguardante il periodo successivo al fallimento. Le spese straordinarie sono addebitabili alla massa e vanno soddisfatte in prededuzione.
Presunzione di parti comuni e assenza di titolo contrario Cassazione civile , sez. II, sentenza 16.04.2007 n 9093 Nel condominio
degli edifici affinch possa ravvisarsi il diritto di condominio su un determinato bene, un impianto o un servizio comune, necessario che
sussista, una relazione di accessoriet tra questi e l'edificio in comunione ed un collegamento funzionale tra i primi e le unit immobiliari
di propriet singola (Cass. 15791/2003). In mancanza di una specifica previsione contraria del titolo costitutivo, la destinazione all'uso e
al godimento comune di taluni servizi, beni o parti dell'edificio comune, risultante da dati obiettivi, e cio, dall'attitudine funzionale del
bene al servizio dell'edificio, considerato nella sua unit, e al godimento collettivo, ne fa presumere la condominialit a prescindere dal
fatto che il bene sia o possa essere utilizzato da tutti i condomini o solo da taluni di essi. Sicch, quando il bene, per le sua obiettive
caratteristiche funzionali e strutturali, serva al godimento delle parti singole dell'edificio comune, opera la presunzione di contitolarit
necessaria di tutti in condomini cui il bene serve, laddove la presunzione di cui all'art. 1117 c.c. non sia vinta da un titolo contrario, la cui
esistenza deve essere dedotta e dimostrata dal condomino che vanti la propriet esclusiva sul bene, potendosi a tal fine, utilizzare il titolo salvo che si tratti di acquisto a titolo originario - solo ove da esso si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la
comunione", (cfr. Cass. 2001 cit.; Cass. 7 giugno 1988, n. 3862). http://www.altalex.com/index.php?idnot=37000
Per la modifica alle tabelle millesimali basta la maggioranza Tribunale di Milano, sentenza 12 febbraio 2007, n. 1812
Per la modifica delle tabelle millesimali non contrattuali non occorre l'unanimita ma basta la sola maggioranza.
Il Tribunale di Milano con sentenza del 12 febbraio 2007 n. 1812 ha precisato che lassemblea pu approvare o modificare, con le
maggioranze stabilite dallart. 1136, comma 2, CC e senza incorrere in alcuna nullit, la tabella di natura non contrattuale. La delibera

assembleare potr solo essere annullata solo nel caso in cui non tenga conto della disposizione di cui allart. 1123, 1124, 1126 CC.
Propriet esclusiva e beni comuni Cass. civ., sez. II, 26 maggio 2003, n. 8304 In tema di condominio negli edifici, la destinazione dei
beni al comune godimento delle unit immobiliari di propriet esclusiva condizione di operativit della disposizione dell'art. 1117 c.c.,
che detti beni come di propriet comune, mentre il titolo contrattuale, come pu escludere tale qualit riconoscendo la propriet esclusiva
anche su beni appartenenti a quelli indicati nella predetta norma, cos pu estendere la comunione anche ad altri soggetti, la cui
individuazione pu essere ricollegata non alla titolarit esclusiva sulle unit immobiliari facenti parte dell'edificio in cui detti beni sono
ubicati, ma ad un criterio diverso, quale quello della titolarit del diritto esclusivo su unit immobiliare facenti parte di altri corpi di
fabbrica dell'unico complesso residenziale.
Manutenzione e riparazione dei beni di propriet comune Cass. civ., sez. III, 8 marzo 2003, n. 3522 In materia di condominio
negli edifici, spetta all'ente condominio di provvedere, mediante i suoi organi, alla manutenzione e alla riparazione dei beni di propriet
comune (artt. 1122, 1130, 1133, 1134, 1135). Ne consegue che l'ente condominio ha il diritto e l'obbligo di deliberare e di eseguire opere
di riparazione e manutenzione a protezione delle propriet comuni al fine di evitare danni alle propriet esclusive dei condomini e dei
terzi, e che, in mancanza della collaborazione dei condomini al riguardo, l'amministratore pu agire in giudizio, in rappresentanza del
condominio, per far valere tale diritto, sia in sede cautelare (art. 1130 n. 4 c.c.) che di merito (art. 1131 c.c.).
Diritto di accesso ai documenti da parte dei singoli condomini Tribunale di Monza, 3/12/2003 Il rapporto intercorrente tra
condomini e amministratore propriamente un mandato, pertanto ciascun condomino pu visionare i documenti contabili o estrarne copia
senza bisogno di specificare le motivazioni per le quali richiede lesibizione degli stessi.
Legittimazione dell'amministratore - Azione ex art. 1669 c.c. Cass. civ., sez. II, 1 agosto 2006, n. 17484 L'amministratore del
condominio legittimato a proporre l'azione di cui all'art. 1669 c.c., relativa ai gravi difetti di costruzione che possano porre in pericolo la
sicurezza dell'edificio condominiale, anche senza preventiva autorizzazione da parte dell'assemblea condominiale.
Criteri di ripartizione spese tra usufruttuario e nudo proprietario. CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 27 ottobre 2006, n. 23291
Quando la porzione di immobile facente parte di un condominio oggetto di usufrutto e di nuda propriet, l'atto dal quale tale situazione
deriva, se debitamente trascritto, opponibile erga omnes (e quindi anche al condominio), il quale tenuto ad osservare le norme dettate
dagli art. 1004 e 1005 c.c. in ordine alla ripartizione delle spese fra usufruttuario e nudo proprietario.
La ripartizione delle spese tra usufruttuario e nudo proprietario, trova il suo fondamento negli artt. 1004 e 1005 c.c. e che, quanto alla
individuazione dei soggetti passivi dell'obbligo nei confronti del condominio, anche le spese dell'usufruttuario si configurano come
obbligazioni propter rem, non consentito all'assemblea di interferire sulla imputazione e sulla ripartizione, non rientrando nei poteri
dell'organo deliberante introdurre deroghe ai criteri di ripartizione, fissati dalla legge in ragione dalla natura stessa delle spese, in quanto
eventuali deroghe verrebbero incidere sui diritti individuali, con la conseguenza che, per legge, le spese devono essere imputate e ripartite
in sede di approvazione del bilancio secondo la loro funzione ed il loro fondamento, spettando all'amministratore, in sede di esecuzione,
ascrivere le spese, secondo la natura di esse, ai diversi soggetti obbligati, anche nel caso in cui l'assemblea non abbia provveduto ad
individuarli.
Contratto di locazione - Rilascio dell'immobile in data anteriore Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2006, n. 25136
L'esercitata facolt di recesso da parte del conduttore diviene produttiva di effetti giuridici, con la cessazione del rapporto locatizio, alla
scadenza del termine semestrale di preavviso previsto in contratto, con la conseguenza che il conduttore, indipendentemente dal momento
(anteriore alla scadenza di detto preavviso) di materiale rilascio dei locali, rimane obbligato alla corresponsione dei canoni sino alla
cessazione de iure del preavviso e cio per sei mesi, a decorrere dalla data del preavviso
Apertura di abbaini e finestre Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2006, n. 17099 Il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto
comune, pu aprire su esso abbaini e finestre - non incompatibili con la sua destinazione naturale - per dare aria e luce alla sua propriet,
purch le opere siano a regola d'arte e non pregiudichino la funzione di copertura propria del tetto, n ledano i diritti degli altri condomini
sul medesimo.
Negli spazi comuni gli animali non possono sostare Tribunale di Salerno Sez. II, 22/03/2004 Gli animali domestici possono essere
allontanati anche con provvedimento di urgenza che ne inibisca il ritorno laddove la loro presenza sia vietata non solo dal regolamento
condominiale ma anche quando da essa derivino immissioni insalubri e intollerabili ed un minore godimento delle parti comuni,
soprattutto quando i cani in questione siano dichiarati potenzialmente pericolosi dal Ministero della Salute.
Presunzione di parti comuni e assenza di titolo contrario Cassazione civile , sez. II, sentenza 16/04/2007 n 9093 In mancanza di
una specifica previsione contraria del titolo costitutivo, la destinazione all'uso e al godimento comune di taluni servizi, beni o parti
dell'edificio comune, risultante dall'attitudine funzionale del bene al servizio dell'edificio, considerato nella sua unit, e al godimento
collettivo, fanno presumere la condominialit, a prescindere dal fatto che il bene sia o possa essere utilizzato da tutti i condomini o solo da
taluni di essi.
Le condizioni per la costituzione di un supercondominio TRIBUNALE DI BOLOGNA Sez. III, 23 febbraio 2007, n. 367 Il
fondamento tecnico dell'applicazione dei principi e delle disposizioni del codice civile in materia di condominio anche ai complessi
immobiliari dato dalla relazione di accessoriet intercorrente tra beni e impianti di uso comune e i singoli edifici costituenti condominii
distinti e autonomi. Non pertanto necessario un formale atto costitutivo, il quale ha, invece, valore meramente dichiarativo della nascita
del supercondominio.
Garanzia del venditore per vizi e difetti dell'immobile Tribunale Bari, 21/4/2005
Se, dopo la conclusione del contratto, "insorge" un vizio prima inesistente, il compratore pu proporre nei confronti del venditore
l'ordinaria azione contrattuale di risoluzione o di adempimento, svincolata dai termini di cui all'art. 1495 c.c.; se invece il vizio "preesiste"
alla conclusione del contratto, il compratore pu avvalersi solo della garanzia ex art. 1490 c.c. e dunque esercitare le specifiche azioni di
cui agli art. 1492 e 1494 c.c., nel rispetto dei termini stabiliti dall'art. 1495 c.c., ancorch il vizio si sia manifestato, e cio sia stato
scoperto, dopo la conclusione del contratto
Modifica dei criteri di ripartizione delle spese Corte di Cassazione, n. 17101/2006

E' affetta da nullit la delibera dell'assemblea condominiale con la quale, senza il consenso di tutti i condmini, si modifichino i criteri
legali (art. 1123 cod. civ.) o di regolamento contrattuale di riparto delle spese necessarie per la prestazione di servizi nell'interesse
comune.
Ci, perch eventuali deroghe venendo a incidere sui diritti individuali del singolo condomino attraverso un mutamento del valore della
parte di edificio di sua esclusiva propriet, possono conseguire soltanto da una convenzione cui egli aderisca.
La trasformazione di un balcone in veranda Corte di Cassazione Penale, Sez. III, 4 ottobre 2006 , sentenza n. 33039
La trasformazione di un balcone o di un terrazzino circondato da muri perimetrali in veranda, mediante chiusura a mezzo di installazione
di pannelli di vetro su intelaiatura metallica, non costituisce realizzazione di una pertinenza, n intervento di manutenzione straordinaria e
di restauro, ma opera soggetta a concessione edilizia/permesso di costruire.
La realizzazione di una veranda chiusa con vetrate, determinando l'aumento della superficie utile di un appartamento e la modifica della
sagoma dell'edificio, richiede il previo rilascio della concessione di costruzione (C. Stato, Sez. V: 8.4.1999, n. 394; 22.7.1992, n. 675).
E necessaria la concessione edilizia "nel caso di veranda costruita con elementi in alluminio e vetri che aumenti la volumetria
dell'edificio rispetto alla conformazione originaria, trattandosi peraltro di opera destinata a perdurare a tempo indeterminato, a nulla
rilevando in contrario l'utilizzazione dei materiali diversi dalla muratura e l'eventuale amovibilit delle strutture utilizzate".
Esalazioni maleodoranti - Integrabilit del reato di cui all'art. 674 c.p Cass. pen., sez. III, 31 gennaio 2006, n. 3678
Anche le emissioni di esalazioni maleodoranti possono integrare il reato di cui all'art. 674 c.p., getto pericoloso di cose, a condizione che
presentino un carattere non del tutto momentaneo e siano "intollerabili o almeno idonee a cagionare un fastidio fisico apprezzabile (es.
nausea, disgusto) ed abbiano un impatto negativo, non necessariamente fisico ma anche anche psichico, sull'esercizio delle normali
attivit quotidiane di lavoro e di relazione (es. necessit di tenere le finestre chiuse, difficolt di ricevere ospiti, ecc.)
Il riconoscimento della propriet collettiva sul cortile Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 2000, n. 14128
In tema di condominio negli edifici, l'art. 1117 c.c. individua i beni, tra i quali ricomprende i cortili, che sono oggetto di propriet comune
per loro natura o destinazione, salvi la vindicatio ex titulo, ovvero l'accertamento della destinazione particolare del bene al servizio di una
o pi determinate unit immobiliari.
Pertanto, non necessario, ai fini del riconoscimento della propriet collettiva sul cortile, la dimostrazione della utilit specifica che da
esso tragga ciascuna delle unit dell'edificio, dovendo, al contrario, essere dimostrata la destinazione particolare del bene di cui si tratta al
servizio di alcune soltanto delle unit al fine di escludere il diritto di tutti i proprietari sul bene stesso.
N sufficiente, a tale scopo, il rilievo della mancata fruizione, da parte delle unit immobiliari prive di affaccio sul cortile, delle
specifiche utilit di presa d'aria e luce o di accesso, non esaurendo dette utilit le potenzialit di sfruttamento del cortile, attinenti, tra
l'altro, al parcheggio di veicoli o al deposito temporaneo di materiali durante i lavori di manutenzione delle singole unit.
Spese condominiali anticipate dall'amministratore - Rimborso da parte del singolo condomino Tribunale di Torino, 28/09/2001 n.
7938 (Motta)
Per il rimborso delle anticipazioni effettuate, l'amministratore cessato dalla propria carica non pu rivolgersi ad uno dei condomini per il
pagamento dell'intero, bens deve rivolgersi ad ogni singolo condomino inadempiente, facendo valere la responsabilit di ciascuno pro
quota.
Possibile trasformare in balcone la finestra senza osservare le distanze legali Cass. civ., sez. II, 14 aprile 2004, n. 7044
Le norme sulle distanze, rivolte fondamentalmente a regolare con carattere di reciprocit i rapporti fra propriet individuali, contigue e
separate, sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purch siano compatibili con la disciplina particolare relativa
alle cose comuni, cio quando l'applicazione di quest'ultime non sia in contrasto con le prime; nell'ipotesi di contrasto, la prevalenza della
norma speciale in materia di condominio determina l'inapplicabilit della disciplina generale sulla propriet, quando i diritti o le facolt da
questa previsti siano compressi o limitati per effetto dei poteri legittimamente esercitati dal condomino secondo i parametri previsti
dall'art. 1102 c.c. (applicabile al condominio per il richiamo di cui all'art. 1139 c.c.), atteso che, in considerazione del rapporto
strumentale fra l'uso del bene comune e la propriet esclusiva, non sembra ragionevole individuare, nell'utilizzazione delle parti comuni,
limiti o condizioni estranei alla regolamentazione e al contemperamento degli interessi in tema di comunione.
(La Corte, ha ritenuto legittima l'esecuzione della delibera condominiale con cui alcuni condomini erano stati autorizzati a trasformare in
balconi le finestre dei rispettivi appartamenti senza osservare le distanze legali rispetto ai preesistenti balconi delle propriet sottostanti,
compiuta nell ambito delle facolt consentite dall art. 1102 cod. civ. nell uso dei beni comuni, previsto che la realizzazione del balcone
non aveva provocato alcuna diminuzione di luce e di aria alla veduta esercitata dal condomino sottostante).
Non rientrano tra i vizi della cosa locata quei guasti o deterioramenti dovuti alla sua naturale usura Sentenza n. 11198 del
15/05/2007 Costituiscono vizi della cosa locata, agli effetti dell'art. 1578 cod. civ. quelli che investono la struttura materiale della cosa,
alterandone l'integrit in modo tale da impedirne o ridurne notevolmente il godimento secondo la destinazione contrattuale, anche se sono
eliminabili e si manifestano successivamente alla conclusione del contratto di locazione.
Pertanto, va escluso che possano essere ricompresi tra i vizi della cosa locata quei guasti o deterioramenti dovuti alla sua natura usura o
quegli accadimenti che determinino una mera infiltrazione, nel qual caso diviene operante l'obbligo del locatore di provvedere alle
necessarie riparazioni ai sensi dell'art. 1576 cod. civ., la cui inosservanza determina inadempimento contrattuale.
L'AGENZIA DEL TERRITORIO SULLA RURALITA' DEI FABBRICATI ....
L'Agenzia del Territorio ha emanato una circolare (la n. 7 del 15 giugno) in cui si elencano le caratteristiche affinch un fabbricato possa
essere considerato rurale. La superfice poderale minima (10mila mq) oppure tremila se adibita a colture specializzate in serra, o se si trova
in zona montana; il volume d'affari, che deve superare il 50% del reddito complessivo, al netto degli importi pensionistici; la tipologia, del
gruppo catastale A con esclusine di A1 e A8; la dimensione massima di 80 mq per abitante e 20 mq per ogni altro componente della
famiglia. Ma la novit importante rappresentata dal suggerimento dato al possessore, di poter attestare la ruralit con un semplice atto
notorio, in base all.art. 47 della Legge 445/2000.

Amministratore di condominio, decesso di condomino, accertamento dellerede


Cassazione civile , sez. II, sentenza 22.03.2007 n 6926 Amministratore di condominio decesso di condomino
obbligo di accertamento dellerede insussistenza Lamministratore che viene a conoscenza del decesso di un
condomino, non avendo utili elementi di riferimento e non essendo obbligato a fare alcuna particolare ricerca, non tenuto
ad inviare alcun avviso fino a quando gli eredi non gli manifesteranno la loro qualit. In senso contrario, non si potrebbe

invocare il fatto che, in base allarticolo 1136, comma 6, c.c., lassemblea non pu deliberare se non risulta che tutti i
condomini sia stati avvisati, in quanto tale norma presuppone, per la sua applicabilit, che i condomini siano noti
allamministratore. http://www.altalex.com/index.php?idnot=37278
Lottizzazione abusiva, permesso in sanatoria, confisca dellimmobile
Cassazione penale , sez. III, sentenza 29.05.2007 n 21125 Lottizzazione abusiva permesso in sanatoria confisca dellimmobile legittimit sussistenza [art. 30 e 36 d.R.P. 380/2001] Non suscettibile di revoca il provvedimento di confisca dei terreni e delle opere
illecitamente costruite, nonostante il Comune abbia rilasciato il permesso in sanatoria per realizzare limmobile, perch il reato di
lottizzazione abusiva non eliminato dalla sanatoria amministrativa. La confisca, inoltre, costituisce titolo per il trasferimento della
propriet dei beni confiscati in favore del patrimonio disponibile del Comune. Tale trasferimento mette il Comune in condizione di dare ai
beni la destinazione ritenuta pi opportuna. Cosicch dalla circostanza che il Comune, dopo il passaggio in giudicato della sentenza che
accerta il reato, decida di rendere edificabili proprio i terreni oggetto di lottizzazione non pu in alcun modo farsi derivare un obbligo di
ritrasferire la propriet ai privati che subirono lablazione." http://www.altalex.com/index.php?idnot=37458
Sanatoria Condono Ediliziodellabusivo mutamento della destinazione duso dellimmobile
Consiglio di Stato , sez. V, decisione 16.05.2007 n 2120 Lart. 31 della L. n. 47/1985 (Norme in materia di controllo dellattivit
urbanistico-edilizia) impone, tra le condizioni di accoglimento dellistanza di sanatoria dellabusivo mutamento della destinazione duso
dellimmobile, che il completamento funzionale delle opere interne ad edifici gi esistenti avvenga entro il termine dell1.10.1983, poi
spostato al 31.12.1993 dalla legge 724/1994 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica). La disciplina della richiesta di
sanatoria stata poi incisa dalla citata L. n. 724/1994, che allart. 39 comma 4, ha sostituito al provvedimento espresso di accoglimento
dellistanza la formazione del silenzio-assenso, lasciando impregiudicato il presupposto del completamento funzionale delle opere entro
un termine perentorio, prorogato alla data del 31.12.1993. Il Supremo Collegio amministrativo chiarisce che lultimazione delle opere
entro il termine normativamente previsto costituisce presupposto indefettibile per il perfezionarsi del silenzio assenso di cui allart.
39 comma 4 della L. n. 724/1994, configurandosi il suddetto requisito come condizione dellammissibilit della domanda di
condono e non come mera condizione dellaccoglibilit dellistanza nel merito. Con la pronuncia in rassegna, poi, i giudici di
Palazzo Spada escludono la sussistenza del requisito del completamento dellopera nellipotesi in cui le modifiche materialmente
apportate al manufatto non risultino riferibili allabuso per il quale si richiede il condono. Invero, la giurisprudenza amministrativa,
nello sforzo ermeneutico diretto a circoscrive il concetto di completamento funzionale delle opere interne abusive, afferma che queste,
per dirsi ultimate, debbono risultare tali da permettere luso in relazione alla funzione cui sono destinate e quindi contenere tutti
gli elementi essenziali alla loro destinazione duso. Ove, per converso, non sussista la relazione funzionale tra le opere abusivamente
compiute e la destinazione duso per la quale si richiede il condono, le predette non possono considerarsi ultimate, con conseguente
esclusione della sanatoria. Ne deriva, in conclusione, che a fronte della richiesta di condono, il silenzio-assenso si viene a formare solo
nel caso in cui, quantomeno al momento dellistanza, il manufatto, ancorch incompleto, sia pur sempre riferibile allabuso per il
quale stato proposto il condono. In caso contrario, si verificherebbe la manifesta inammissibilit dellistanza per
indeterminatezza dellopera condonata, per cui non si potrebbe mai legittimamente formare il predetto silenzio-accoglimento.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=37503
Cass. civ., sez. II, 11 novembre 1992, n. 12119
Il verbale dell'assemblea del condominio, anche nella parte in cui indica la presenza, di persona o per delega, dei condomini, offre una
prova presuntiva, di modo che spetta al condmino che impugni la deliberazione, contestando la rispondenza a verit di detta indicazione,
di fornire la relativa dimostrazione.
Delibera necessaria per la stipula di una polizza condominiale Cass. civ. Sez. II,, 03/04/2007 n 8233
L'amministratore Condominiale non legittimato a concludere il contratto d'assicurazione del fabbricato se non abbia ricevuto la
autorizzazione da una deliberazione dell'assemblea dei partecipanti alla comunione.
A questa conclusione la Suprema Corte giunta considerando che l'art. 1130 c.c., n. 4, c.c., obbligando l'amministratore ad eseguire gli
atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, ha inteso riferirsi ai soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di
tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell'integrit
dell'immobile, tra i quali non pu farsi rientrare il contratto d'assicurazione, perch questo non ha gli scopi conservativi ai quali si riferisce
la norma dell'art. 1130 c.c., ma ha come suo unico e diverso fine quello di evitare pregiudizi economici ai proprietari dell'edificio.
La restituzione delle chiavi dell'immobile Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2004, n. 5841 L'obbligazione di restituzione della cosa avuta in
godimento gravante sul conduttore deve ritenersi adempiuta mediante la restituzione delle chiavi dell'immobile o con la incondizionata
messa a disposizione del medesimo, senza che sia al riguardo necessaria la redazione di un relativo verbale.
Tasformazione del tetto in terrazza ad uso esclusivo Cass. civ., sez. II, 16 novembre 2006, n. 24414
La eliminazione del tetto dell'edificio condominiale trasformato dal proprietario dell'ultimo piano in terrazza ad uso esclusivo illegittima
perch, comportando l'alterazione della destinazione della parte comune dell'immobile a copertura dell'intero fabbricato, impedisce agli
altri condomini di poterlo utilizzare per quella finalit.
Mancata adesione all'installazione di un ascensore da parte di un condomino Giudice di pace di Milano, sentenza n. 5698 del
10/04/2007 Sulla scia delle pi recenti interpretazioni , si propone allattenzione del lettore la decisione del Giudice di Pace di Milano,
sulla mancata adesione allinstallazione di un ascensore da parte di un condomino dissenziente.
In particolare, nella sentenza n. 5698 del 2007 si legge:
"invero dagli atti emerge chiaramente, ed la stessa opponente ad ammetterlo nella memoria depositata, che l'attrice utilizza lascensore
sia per accedere allappartamento del quarto piano di propriet del marito, sia per accedere all'appartamento del terzo piano da lei
acquistato in data 11 settembre 1998 che aveva aderito alla installazione dell'ascensore. Considerato quindi che lattrice di fatto utilizza
l'ascensore non solo per accedere all'appartamento del quarto piano ove convive con il coniuge, ma anche per accedere al suo
appartamento del terzo piano adibito a studio, si ritiene che ai sensi dellart. 1121 c.c. terzo comma la stessa debba contribuire pro quota e
quale proprietaria dellappartamento del terzo piano nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell'ascensore, anche per evitare
larricchimento in danno dei condomini che a suo tempo assunsero l'iniziativa dellopera".
Lassemblea pu decidere a maggioranza la modifica di un servizio Corte di Cassazione, sentenza n. 6915 del 22/03/2007
L'assemblea di condominio, con deliberazione presa a maggioranza, ha il potere di decidere la modifica, la sostituzione ed,

eventualmente, la soppressione di un servizio anche laddove il regolamento di condominio, nell'interesse del gruppo dei condomini.
La Corte di Cassazione ha precisato anche che l'assemblea accertata l'onerosit del servizio, pu deliberarne la sostituzione e il
provvedimento pu essere adottato a maggioranza, trattandosi di una modificazioen delle modalit di svolgimento del servizio, che non
incide sul diritto di cui sono titolari i singoli condomini.
Mutamento dell'amministratore in corso di causa Cass. civ., sez. II, 20 aprile 2006, n. 9282
Qualora il condominio si sia costituito in giudizio in virt di mandato conferito anche per il giudizio di appello, il mutamento in corso di
causa della persona dell'amministratore che aveva rilasciato la procura alle liti non incide sul rapporto processuale, che in ogni caso
riferito, sia dal lato passivo sia da quello attivo, al condominio, quale ente di gestione che opera in rappresentanza e nell'interesse dei
condomini.
Conto cassa intestato al condominio Trib. civ. Roma, Sez. V decr., 8 giugno 2006
In base a principi di corretta amministrazione e diligente esecuzione dell'incarico, l'amministratore deve tenere un conto di cassa intestato
al condominio sul quale far confluire le somme messe a disposizione dai condomini o incassate per conto del condominio, allo scopo di
rendere possibile in ogni momento il controllo da parte dei condomini e permettere di calcolare gli interessi attivi maturati sulle somme di
pertinenza del condominio. Ne deriva che la detenzione in cassa di una parte - peraltro imprecisata - di una cospicua somma di denaro
condominiale costituisce una condotta contraria ai doveri di prudenza e diligenza nella gestione delle risorse inerenti al rapporto di
mandato. Un tale comportamento, dunque, legittima pienamente un provvedimento giudiziale di revoca nei confronti dell'amministratore
ancorch il medesimo sia stato riconfermato dall'assemblea condominiale.
Perimento dell'edificio condominiale Corte di Cassazione, Sez. II, 30 ottobre 2006, n. 23333
In ordine alla speciale disciplina dettata dall'art. 1128 c.c. per il caso di perimento dell'edificio, la giurisprudenza consolidata
nell'affermare che il condominio si estingue ed i condomini restano proprietari dell'area di sedime in regime di comunione pro indiviso
nella misura corrispondente a quella della rispettiva quota originaria di propriet, mentre, in caso di ricostruzione dell'edificio in maniera
difforme da quello originario, la propriet di ciascun condomino si trasferisce, pro quota, sull'edificio ricostruito in virt dell'accessione,
ricostituendosi, invece, il condominio soltanto in caso di ricostruzione del tutto identica al precedente edificio andato distrutto (Cass.
1543/99; 10314/91 nonch Cass. 3933/89 e 4900/87,).
stato altres affermato che, qualora manchi il consenso di tutti i condomini alla riedificazione, questa non pu essere impedita dai
dissenzienti, ai quali riconosciuta la scelta tra il porre fine al regime di comunione dell'area di sedime chiedendo la vendita all'asta del
suolo ai sensi del primo comma dell'art. 1128 c.c., oppure cedere la propria quota agli altri condomini ai sensi del quarto comma, il quale
stabilisce che il condomino che non intende partecipare alla ricostruzione dell'edificio tenuto a cedere agli altri condomini i suoi diritti,
anche sulle parti di sua esclusiva propriet, secondo la stima che ne sar fatta, salvo che non preferisca cedere i diritti stessi ad alcuni
soltanto dei condomini (ibidem).
Poich il quarto comma dell'art. 1128 c.c. non distingue tra perimento totale e perimento parziale dell'edificio, si pu far luogo alla
cessione coattiva in ogni caso di perimento dell'edificio (quindi anche in caso di perimento totale), purch sia chiara la volont del
condomino dissenziente di non partecipare alla ricostruzione voluta dagli altri condomini.
Spazio esistente fra il piano rialzato e le fondamenta dell'edificio Cass. civ., sez. II, 16 novembre 2006, n. 24415
Rientra fra i beni indicati dall'art. 1117 c.c. lo spazio vuoto esistente fra le fondamenta dell'edificio e l'appartamento ubicato al piano
rialzato, in quanto lo stesso svolge la funzione di camera d'aria delle parti comuni, essendo destinato all'areazione e all'umidificazione cos
dei muri maestri, da quali delimitato, come delle fondamenta.
La condizione di inservibilit del bene comune Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2005, n. 20639
La condizione di inservibilit del bene comune all'uso o al godimento anche di un solo condomino, che, ai sensi dell'art. 1120, comma
secondo, c.c., rende illegittima e quindi vietata l'innovazione deliberata dagli altri condomini, riscontrabile anche nel caso in cui
l'innovazione produca una sensibile menomazione dell'utilit che il condomino precedentemente ricavava dal bene.
(nel caso di specie, stata ritenuta illegittima la delibera che, nel ridurre il viale di accesso ai garages, rendeva malagevole
l'attraversamento delle autovetture).
Uso esclusivo da parte di alcuni comproprietari Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 2006, n. 3159
Qualora un'area sia oggetto di uso esclusivo da parte di alcuni comproprietari e tuttavia, pur non rientrando fra la parti elencate dall'art.
1117 c.c., sia altres idonea - per le sue caratteristiche strutturali e funzionali - a soddisfare interessi comuni, questi ultimi prevalgono,
dovendo il bene ritenersi di propriet comune in virt della presunzione che, in base alla norma citata, opera se non superata dal titolo
contrario; nell'ipotesi in cui, invece, il bene serva soltanto all'uso e al godimento di una parte dell'immobile, oggetto di propriet esclusiva,
l'area non pu rientrare nel novero delle cose comuni.
Oneri di spesa in capo al singolo condomino Cass. civ., sez. II, 29 luglio 2005, n. 16092
affetta da nullit e non da mera annullabilit, ed quindi impugnabile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse, la delibera
dell'assemblea condominiale che accolla le spese di lite, in proporzione della sua quota, in capo al singolo condomino che abbia
ritualmente manifestato il proprio dissenso rispetto alla lite medesima deliberata dall'assemblea, giacch solo l'unanimit dei condomini
pu modificare il criterio legale di ripartizione delle spese stabilito dall'art. 1132, comma primo c.c.
Come accertare la propriet del sottotetto condominiale Trib. civ. Milano, 23 agosto 2005, n. 936
La propriet dei sottotetti in condominio deve essere accertata in base al regolamento condominiale e agli atti notarili, alla stregua di una
lettura testuale e sistematica degli stessi, con riferimento all'elencazione delle singole unit riconducibili a ciascuna copertura e alla
indicazione dei rispettivi millesimi, nonch al principio di proporzionalit tra spese ed uso fissato dall'art. 1123 c.c.
Amministratore del condominio non pu frazionare spesa straordinaria deliberata
Giudice di Pace Castellammare di Stabia, sentenza 19.07.2004 n 3266 Lamministratore di un condominio non ha il potere di frazionare
la spesa straordinaria deliberata ed il relativo credito non liquido n esigibile. Inoltre, in mancanza della prova scritta dellavvenuta
approvazione del criterio di ripartizione, il Giudice non dovrebbe neanche concedere il decreto ingiuntivo, per carenza dei
presupposti. Lo ha stabilito il Giudice di Pace di Castellammare di Stabia, con la sentenza n.3266 del 19 luglio 2004, precisando che
l'opposto, nonostante la sua posizione formale di convenuto, sostanzialmente attore nel procedimento e come tale non pu proporre
domande riconvenzionali, se non sotto forma di reconventio reconventionis, ma in questo caso occorre che lopponente abbia proposto
una domanda riconvenzionale e che la reconventio reconventionis sia strutturalmente legata alla riconvenzionale. Il Giudice inoltre ha

statuito la rilevabilit dufficio dellinammissibilit della riconvenzionale, conformandosi allorientamento maggioritario della Suprema
Corte.
http://www.altalex.com/index.php?idstr=16&idnot=29169
Mediazione, definizione di affare compiuto e contratto preliminare
Tribunale Genova, sez. III, sentenza 24.04.2007 Contratti mediazione affare compiuto definizione effetti contratto
preliminare sussistenza [art. 1755 c.c.] Per affare compiuto, ai fini del diritto alla provvigione derivante da un contratto di
mediazione, deve intendersi un atto da cui scaturito un vincolo giuridico tra le parti messe in relazione per effetto dell'attivit
intermediatrice, che consenta loro di agire per l'esecuzione di esso, con la conseguenza che anche la conclusione di un contratto
preliminare pu essere ritenuto un affare compiuto. N.d.r.: la giurisprudenza della Suprema Corte consolidata sul punto.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=37837
Cassazione: il regime condominiale compatibile con la destinazione alberghiera "Il regime condominiale sicuramente
compatibile con la destinazione alberghiera di un immobile (o di un complesso immobiliare)". E' questo il principio espresso dai giudici
della Corte di Cassazione (Sent. 1625/07) in una recente pronuncia nella quale, pi analiticamente, hanno osservato tra le altre cose che
"nel caso di un edificio o di un complesso di edifici destinato ad albergo, in presenza di presupposti di fatto e di diritto del
"condominio", configurati dall'esistenza di pi unit immobiliari appartenenti a persone diverse e di cose, servizi ed impianti destinati
alluso comune, la destinazione ad albergo non impedisce la costituzione del regime condominiale: per conseguenza la nascita del
condominio non dipende dal mutamento di destinazione".
Per l'approvazione provvisoria delle tabelle millesimale sufficiente la delibera a maggioranza. Cass. civ., sez. II, 21 novembre
2006, n. 24670 In tema di ripartizione delle spese di condominio, la mancanza di tabelle millesimali applicabili in relazione alle spese
effettuate consente all'assemblea condominiale di adottare, a titolo di acconto e salvo conguaglio, tabelle provvisorie, per le quali non
occorre il consenso di tutti i condomini, necessario, invece, per l'approvazione di tabelle definitive.
(Pertanto la deliberazione assembleare maggioritaria, con la quale si sia proceduto alla ripartizione temporanea e provvisoria delle spese
in base a una tabella non adottata con il consenso di tutti i condomini, legittima.)
Lesione al decoro architettonico a seguito di opere innovative Cassazione Civile, sez. II, 16 gennaio 2007, n. 851
In tema di condominio, per decoro architettonico del fabbricato condominiale, ai fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve
intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata,
armonica fisionomia, e che quindi contribuiscono a conferirgli una specifica identit; pertanto evidente che, una volta accertata la
lesione di tale decoro architettonico a seguito di opere innovative, nessuna influenza in proposito pu essere riconosciuta alla maggiore o
minore visibilit di esse o alla loro non visibilit in relazione ai diversi possibili punti di osservazione rispetto all'edificio condominiale,
trattandosi di una tutela accordata in s e per s a prescindere da situazioni contingenti in quanto correlata soltanto alla esigenza di
salvaguardare determinate caratteristiche architettoniche unitariamente considerate dello stabile condominiale.
Amministratore, recupero delle spese di competenza Tribunale Roma Sezione 5 Civile Sentenza del 15 giugno 2005, n. 13764
In tema di ripartizione delle spese condominiali passivamente legittimato rispetto alla azione giudiziaria per il recupero delle quote, il
proprietario della porzione immobiliare cui la quota si riferisce, non trovando applicazione nei rapporti tra condomino e condominio il
principio dell'apparenza del diritto.
Ed infatti, nell'ipotesi in cui l'amministratore agisca in sede contenziosa per il recupero delle spese di competenza, l'osservanza del dovere
di consultazione dei registri immobiliari presso la conservatoria assume rilievo ed preminente, rispetto al contrapposto dovere di
correttezza e di informativa da parte del Condomino, per l'individuazione del vero soggetto obbligato; del resto corrisponde a regola di
normale prudenza accertare l'effettivo legittimato passivo allorch si intende dare inizio ad una azione giudiziaria.
Progettazione di lavori di manutenzione ad un edificio condominiale Trib. civ. Bologna, sez. II, 21 giugno 2005, n. 1616
Con la sentenza del 21/06/2005, n. 1616, il Trib. di Bologna ha statuito che, qualora sorgano contestazioni sulla natura, onerosa o gratuita,
della prestazione svolta da un professionista,(nel caso di specie, attivit di progettazione di lavori di manutenzione di un condominio
effettuata da un architetto), il presupposto essenziale dell'esistenza di tale rapporto, la cui esecuzione sia stata dedotta dal professionista
come titolo del suo diritto al compenso, l'avvenuto conferimento del relativo incarico.
Ma non necessario che sia stato espressamente conferito per iscritto, a patto che risulti dal comportamento tenuto dal committente nella
vicenda, e dal quale emerga non solo la conoscenza dell'attivit professionale suddetta, ma anche la volont di trarre vantaggio dalla
stessa, senza contestazioni in ordine alla corretta esecuzione.
Accertamenti bancari: pi tasse se non riescono a provare le cause delle singole movimentazioni bancarie Cassazione, 13 giugno
2007, n. 13818 Se il contribuente utilizza il conto corrente a lui personalmente intestato anche per maneggio di denaro altrui deve fornire
la prova specifica della riferibilit di ogni movimentazione bancaria alla sua attivit di maneggio di denaro altrui, diversamente la
rispettiva movimentazione, in assenza di altra idonea giustificazione, configurabile quale corrispettivo non dichiarato.
quanto stabilito dalla Cassazione che, con la sentenza n. 13818 del 13 giugno 2007, ha accolto il ricorso del fisco. A farne le spese un
amministratore di condominio che usava il conto personale per gestire i pagamenti dei condomini.
Trasferimento del pianerottolo, necessario il consenso di tutti i condomini Cassazione, Sez. II civ., 10 luglio 2007, n. 15444
Essendo le scale, come i pianerottoli quali componenti essenziali di esse, elementi necessari alla configurazione di un edificio diviso per
piani o porzioni di piano in propriet esclusiva e mezzo indispensabile per accedere al tetto o alla terrazza di copertura, anche al fine di
provvedere alla loro conservazione, tali beni hanno natura di beni comuni ex art. 1117 c. civ., anche relativamente ai condomini
proprietari dei negozi con accesso dalla strada, essendo anchessi interessati ad usufruire delle scale, e quindi dei pianerottoli, perch
interessati alla conservazione (e manutenzione) della copertura dell'edificio della quale anch'essi godono. Conseguentemente in mancanza
di un titolo contrario, deve ritenersi nullo ed inefficace l'accordo intervenuto con i condomini, partecipanti all'assemblea e sottoscrittori
del relativo verbale, essendo necessario il consenso di tutti i condomini espresso in un atto negoziale scritto, trattandosi di cedere i diritti
reali di uso del pianerottolo del quarto piano e della sovrastante scala a chiocciola, beni condominiali.
Immobile acquistato in epoca successiva alla delibera impugnazione Cass. civ., sez. II, 2 febbraio 2007, n. 2362 In tema di
condominio, spetta a chi abbia acquistato l'immobile in epoca successiva alla delibera condominiale, la legittimazione ad impugnare una
deliberazione assembleare, dal momento che, ai fini della stessa, occorre tener conto della situazione esistente al momento della
proposizione della domanda, con la conseguenza che sussiste la legittimazione di chi sia divenuto donatario di una porzione condominiale
nello stesso giorno in cui, mediante notifica della citazione, sia stata instaurata la controversia.

Il diritto di condominio su un bene comune CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 2 marzo 2007, n. 4973 Il presupposto, perch si instauri
un diritto di condominio su un bene comune, la relazione di accessoriet strumentale e funzionale che collega i piani o le porzioni di
piano di propriet esclusiva, agli impianti o ai servizi di uso comune; e che fa s che il godimento del bene comune sia strumentale al
godimento del bene individuale, e non sia, quindi, suscettibile di autonoma utilit;
Tale relazione pu esistere sia con riferimento a un solo edificio, che a pi edifici, costituenti autonomi condomini.
Nulla concettualmente osta a che la suddetta relazione di accessoriet sussista anche se uno degli edifici o, al limite entrambi, non siano
condomini; purch si tratti di edifici autonomi; in quanto l'autonomia della costruzione, piuttosto che la gestione dell'edificio, che
lo stesso art. 61 disp. att. c.c. individua come caratteristica rilevante dell'edificio in base alla quale l'art. 62 disp. att. c.c. consente
l'applicazione delle norme sul condominio alle parti, di cui all'art. 1117, rimaste comuni ai diversi edifici.
Servit di passaggio, impedire l'accesso ai non aventi diritto TRIBUNALE DI MILANO Sez. VIII, 5 gennaio 2005, n. 53 In tema di
servit di passaggio, legittimo l'esercizio della facolt, da parte del proprietario del fondo servente, di apporre una sbarra elettrica
controllata da tessera magnetica per impedire l'accesso ai non aventi diritto, pur se dall'esercizio di tale diritto possano derivare disagi
minimi al proprietario del fondo dominante in relazione alla pregressa modalit di transito, in tal caso incombendo sul proprietario del
fondo dominante, al quale pure sia consegnata la relativa tessera magnetica, l'onere di dimostrare in concreto l'aggravamento o l'ostacolo
all'esercizio della servit.
Regolamento di condominio, partecipazione obbligatoria ad un consorzio Cassazione civile , sez. II, sentenza 20.06.2007 n 14332
Le clausole del regolamento condominiale non possono prevedere anche ai futuri acquirenti degli appartamenti la partecipazione
obbligatoria ad un consorzio di urbanizzazione del complesso residenziale, per violazione del principio di tipicit delle obbligazioni
propter rem. La giurisprudenza afferma che il regolamento, redatto dal costruttore e trascritto, opponibile a tutti gli acquirenti proprio
perch le obbligazioni in esso contenute sono qualificate propter rem. Al di fuori di tale materia, le clausole contenute nei regolamenti di
condominio non possono costituire obbligazioni a carico dei successivi acquirenti.
Restituzione della cosa locata - Onere probatorio gravante sul conduttore Cass. Sez. III n. 7776 del 23/04/2004
In un giudizio di rilascio per finita locazione, l'onere della prova relativo alla effettuata restituzione del bene locato incombe sul
conduttore, trattandosi di fatto estintivo del diritto di credito del locatore, al quale il bene va restituito al termine del rapporto locativo
(quale ne sia stata la causa della cessazione) ovvero va offerto in restituzione quantomeno con modalit aventi valore di offerta non
formale.
La prescrizione dei crediti dell'amministratore di condominio Cass. civ., sez. II, 4 ottobre 2005, n. 19348 Poich il credito per le
somme anticipate nell'interesse del condominio dall'amministratore trae origine dal rapporto di mandato che intercorre con i condomini,
non trova applicazione la prescrizione quinquennale di cui all'art. 2948 n. 4 c.c., non trattandosi di obbligazione periodica; n tale
carattere riveste l'obbligazione relativa al compenso dovuto all'amministratore, atteso che la durata annuale dell'incarico, comportando la
cessazione ex lege del rapporto, determina l'obbligo dell'amministratore di rendere il conto alla fine di ciascun anno.

Al giudice dellopposizione al decreto ingiuntivo ottenuto per la riscossione dei contributi condominiali in base allo stato di
ripartizione approvato dallassemblea non consentito di sospendere il giudizio in attesa della definizione del diverso
giudizio di impugnazione, ex art. 1137 cod. civ., della deliberazione posta a base del provvedimento monitorio opposto. E
quanto hanno statuito le Sezioni Unite, in sede di risoluzione di contrasto di giurisprudenza (Sentenza n. 4421 del
27/02/2007).
Di recente stata rinnovata la serie delle Guide CEI 64 50 relativa agli impianti elettrici nelledilizia a uso residenziale e
terziario. Con questa quinta edizione vengono definiti i criteri per lintegrazione, negli edifici residenziali, degli impianti
elettrici utilizzatori cos come la predisposizione degli impianti ausiliari, telefonici e di trasmissione dati. Ricordiamo che
gli impianti elettrici devono essere eseguiti a regola darte quindi, per raggiungere tale obiettivo, le imprese installatrici
devono seguire quanto stabilito nelle norme CEI Comitato Elettronico Italiano; la Legge Italiana n. 186 del 1 marzo
1968 ne riconosce lautorit stabilendo che i materiali, le macchine, le installazioni e gli impianti elettrici ed elettronici,
realizzati secondo le Norme del CEI si considerano a regola darte. Tenendo contro della norma CEI 64 8 Impianti
elettrici utilizzati a tensione nominale non superiore a 1000 v in corrente alternata e a 1500 v in corrente continua, ovvero
la norma specifica per gli impianti elettrici da installare in edifici di civile abitazione, nonch delle disposizioni
internazionali ed europee, stata quindi rinnovata la serie delle Guide CEI. Tale documento intende essere un valido
supporto per progettisti edili, committenti, installatori e chiunque operi nel settore dellimpiantistica elettrica al fine di
fornire un tangibile aiuto per la scelta tipologica degli impianti pi idonei. Gli impianti elettrici, infatti, devono essere
progettati al fine di assicurare la protezione delle persone e dei beni nonch il corretto funzionamento dellimpianto
elettrico per luso previsto cos come una semplice e funzionale gestione dellimpianto a vantaggio delle condizioni di
confort. Infine ricordiamo che il progetto, quando obbligatorio, deve essere sviluppato secondo le prescrizioni della legge
46/90 e il relativo regolamento di attuazione (Dpr 447/91). Secondo tali disposizioni, il committente deve affidare
lesecuzione degli impianti elettrici a ditte abilitate ai sensi dellart. 2 della legge 46/90; al termine dei lavoro la ditta
incaricata tenuta a rilasciare al committente la dichiarazione di conformit relativa allintervento eseguito, completa di
tutti gli allegati obbligatori.
la legge del 28 Febbraio 1985 n47, rende nulli tutti gli atti stipulati successivamente a questa legge, per quegli immobili che non siano
corrispondenti ai grafici della Concessione Edilizia.

Interramento di un serbatoio di gasolio nel cortile comune Cass. civ., sez. II, 20 agosto 2002, n. 12262
Nel regime giuridico del condominio di edifici, l'uso particolare che il condomino faccia del cortile comune, interrando nel sottosuolo di
esso un serbatoio per gasolio, destinato ad alimentare l'impianto termico del suo appartamento condominiale, conforme alla destinazione
normale del cortile, a condizione che si verifichi in concreto che, per le dimensioni del manufatto in rapporto a quelle del sottosuolo, o per
altre eventuali ragioni di fatto, tale uso non alteri l'utilizzazione del cortile praticata dagli altri condomini, n escluda per gli stessi la
possibilit di fare del cortile medesimo analogo uso particolare.
Parti comuni - Presunzione legale di condominialit Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2002, n. 5633

La presunzione legale di condominialit stabilita per i beni elencati nell'art. 1117 c.c., la cui elencazione non tassativa, deriva sia
dall'attitudine oggettiva del bene al godimento comune sia dalla concreta destinazione di esso al servizio comune, con la conseguenza che,
per vincere tale presunzione, il soggetto che ne rivendichi la propriet esclusiva ha l'onere di fornire la prova di tale diritto; a tal fine,
necessario un titolo d'acquisto dal quale si desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione del bene, mentre
non sono determinanti le risultanze del regolamento di condominio, n l'inclusione del bene nelle tabelle millesimali come propriet
esclusiva di un singolo condomino.
Diritto del singolo condomino, esaminare la documentazione contabile TRIBUNALE DI GENOVA Sez. III, 4 giugno 2003
La violazione del diritto del singolo condomino di esaminare in via preventiva la documentazione contabile concernente l'esercizio di
gestione da approvare in una futura assemblea, non costituisce un vizio della convocazione dell'assemblea
Qualora poi, come normalmente avviene, la documentazione inerente all'esercizio da approvare sia presentata ai condomini condomini nel
corso dell'adunanza assembleare, rimessa alla volont della maggioranza la decisione di approvare il rendiconto in tale sede o,
eventualmente, di non approvarlo fino all'effettuazione di un migliore esame della documentazione.
Tale decisione attiene al merito delle decisioni rimesse all'assemblea, e non censurabile con l'impugnazione della deliberazione, a meno
di non ravvisare un eccesso di potere, configurabile laddove si dimostri che l'assemblea ha fatto un cattivo uso del potere discrezionale ad
essa spettante (per esempio omettendo completamente l'esame della documentazione).
Spazi per parcheggi - Natura pertinenziale Trib. civ. Milano, sez. XII, 30 settembre 2003, n. 13381
La definizione quali pertinenze ex artt. 817, 818, 819 c.c. contenuta nell'art. 26 n. 5 della legge 28 febbraio 1985, n.47 con riguardo agli
spazi per parcheggi che, ai sensi dell'art. 18 legge 6 agosto 1967, n. 745 aggiuntivo dell'art. 41 sexies alla legge 17 agosto 1942, n. 1150,
debbono essere riservati nelle nuove costruzioni, non incide sul potere negoziale delle parti di disporre di dette aree separatamente dalla
costruzione e di sottoporle ad un regime diverso da quello delle pertinenze purch sia rispettato il vincolo, pubblicistico e di natura reale,
di destinazione a parcheggio.
Pertanto gli spazi adibiti a parcheggio riservati nelle nuove costruzioni , che il combinato disposto delle norme settoriali e codicistiche
definisce pertinenze, non limitano il potere negoziale di disporne separatamente dalla costruzione, purch sia rispettato il vincolo di
destinazione a parcheggio, maggiormente se trattasi di boxes, identificati al catasto in modo autonomo rispetto all'unit immobiliare.
Edifici limitrofi strutturalmente autonomi; parti destinate alluso e al godimento degli stessi Cass. civ., sez. II, 30 luglio 2004, n.
14559
In tema di condominio negli edifici, la presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall'art. 1117 c.c., senz'altro applicabile
quando si tratti di parti dello stesso edificio, pu ritenersi applicabile in via analogica anche quando si tratti non di parti comuni di uno
stesso edificio, bens di parti comuni di edifici limitrofi ed autonomi, purch si tratti di beni oggettivamente e stabilmente destinati all'uso
od al godimento degli stessi, come nel caso di cortile esistente tra pi edifici appartenenti a proprietari diversi, ove lo stesso sia
strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano.
Antenna centralizzata, passaggio di cavi nell'immobile di propriet esclusiva Trib. civ. Roma, sez. V, 3 settembre 2004, n. 24471
Il passaggio dei cavi dell'antenna centralizzata televisiva nell'immobile di propriet esclusiva di uno dei condomini non impone una
servit, ma configura, a favore del titolare dell'utenza televisiva, un vero e proprio diritto soggettivo perfetto di natura personale.
L'esercizio di tale diritto non deve per costituire ostacolo al libero uso della propriet secondo la sua destinazione o arrecare danno alla
medesima.
Reflusso di acque nere - responsabilit presuntiva del condominio Trib. Roma, 25 ottobre 2005
La responsabilit presuntiva del condominio, di cui allart. 2051 cod. civ., nei confronti del singolo proprietario di un appartamento per i
danni subiti a causa di ripetuti episodi di reflusso di acque nere, viene meno solo se il terzo responsabile dellillecito viene individuato,
poich il fatto ignoto rimane a carico del responsabile oggettivo.
Obbligo di permettere laccesso e il passaggio sul proprio fondo Cass. civ., sent. n. 17383, 30.8.2004, Sez. II
In tema di limitazioni legali della propriet, gli accessi e il passaggio che, ai sensi dellart. 843 cod. civ., il proprietario deve consentire al
vicino per lesecuzione delle opere necessarie alla riparazione o manutenzione della cosa propria, dando luogo a unobbligazione propter
rem, non possono determinare la costituzione di una servit (la Corte ha escluso il possesso della servit di passaggio invocata dai
ricorrenti che avevano utilizzato il fondo del vicino collocandovi una scala attraverso cui raggiungevano in mancanza di altri accessi il
lastrico solare dellimmobile di loro propriet per eseguire lavori di manutenzione).

Cassazione: delibere condominiali nulle "E' nulla per illiceit dell'oggetto la delibera dell'assemblea dei condomini" che
disponga la realizzazione di un'opera edile abusiva "in violazione delle nome imperative di cui agli artt. 31 e 41, L. 17
agosto 1942 n. 1150" (Legge urbanistica) "e agli artt. 10 e 13, l. 6 agosto 1967 n. 765 (Modifiche ed integrazioni alla legge
urbanistica)". E' questo il principio di diritto che si ricava da una recente sentenza (Sent. 1626/2007) della Corte di
Cassazione nella quale si precisa altres che " nulla per impossibilit dell'oggetto" la delibera dell'assemblea dei condomini
"che pregiudichi la sicurezza di un fabbricato mediante la copertura di spazi comuni aventi la connaturale destinazione
dell'aerazione delle unit immobiliari dei singoli condomini che su di esso prospettano, senza l'adozione di misure
sostitutive atte ad assicurare un ricambio dell'aria alle necessit anche potenziali delle dette unit".
Convocazione tardiva dei condomini all'assemblea condominiale Trib. civ. Roma, sez. V, 4 marzo 2005, n. 80471
In violazione del termine indicato dall'art. 66, ult. comma att. c.c., la convocazione tardiva del condomino all'assemblea condominiale
costituisce motivo di annullamento delle delibere assunte dall'assemblea. Tuttavia la presenza all'assemblea del condomino convocato
tardivamente sana il vizio di convocazione.
Il Condominio non pu esigere dal conduttore il pagamento delle spese condominiali La Cassazione di recente intervenuta (sent.
n.17619/07) per chiarire definitivamente la natura dei rapporti tra il Condominio e coloro che hanno in locazione le singole unit
immobiliari. La questione posta allattenzione del Giudice di legittimit quella relativa alla possibilit di unazione diretta del
Condominio per il pagamento delle spese condominiali nei confronti dei conduttori, sulla base del presupposto che - nel passato - questi
avevano sempre spontaneamente pagato le spese direttamente al Condominio. La Corte, in merito, ha definitivamente chiarito che
soltanto i proprietari delle porzioni di piano di un edificio sono obbligati verso il condominio al pagamento degli oneri condominiali, e
non anche i conduttori sicch il Condominio non legittimato alla proposizione di azioni dirette nei loro confronti per il pagamento delle
spese. Ci vale anche nellipotesi in cui i cui conduttori abbiano provveduto in passato a pagare personalmente, e di propria spontanea
volont, gli oneri condominiali direttamente al condominio. Infatti pu dirsi definitivamente tramontato in giurisprudenza (v. Cass.

SS.UU. n.5035/02 e n.1627/07) lorientamento che estende gli obblighi dei condomini a coloro che, senza esserlo, si siano comportati
oggettivamente come tali (cd. condomino apparente).
Amministratore di condominio, sanatoria azione giudiziale Cass. civ., sez. I, 13 dicembre 2006, n. 26689
Il conferimento da parte dell'assemblea condominiale all'amministratore del condominio del potere di stare in giudizio in una controversia
non rientrante tra quelle che pu autonomamente proporre ai sensi del primo comma dell'art. 1131 c.c. pu sopravvenire utilmente, con
effetto sanante, dopo la proposizione dell'azione.
Lavori in una parte di propriet esclusiva: autorizzazione del comdomino necessaria
Trib. civ. Roma, sez. V, 18 maggio 2005, n. 11443 L'assemblea condominiale non pu deliberare l'esecuzione di lavori su parti
dell'edificio di propriet esclusiva senza acquisire preventivamente l'autorizzazione del condomino interessato. La valutazione delle
condizioni che giustificano l'intervento del condominio sui beni di propriet di un singolo condomino pu essere rimessa soltanto alla
decisione di un organo giudiziario.
Delibera assembleare, modifiche alle tabelle millesimali Trib. civ. Milano, sez. VIII, 17 giugno 2005, n. 7103 E' affetta da nullit la
delibera che modifichi le tabelle millesimali convenzionali adottata dall'assemblea senza il consenso unanime dei condomini o se non
siano stati convocati tutti i condomini; valida la delibera modificativa della tabella millesimale di natura non convenzionale adottata
dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell'art. 1136 c.c
Installazione di una ringhiera sul lastrico solare Cass. civ., sez. II, 16 luglio 2004, n. 13261
L'installazione di un parapetto o una ringhiera su di un lastrico solare che permetta di affacciarsi su spazi condominiali (nella specie,
cortili comuni) costituisce esercizio del diritto di propriet e non di quello di servit, per cui non trovano applicazione le norme che
disciplinano le vedute su fondi altrui (art. 905 c.c.), bens quelle che consentono al condomino di servirsi delle parti comuni per il miglior
godimento della cosa, senz'altro limite che l'obbligo di rispettare la destinazione, di non alterare la stabilit e il decoro architettonico
dell'edificio e di non ledere i diritti degli altri condomini.
S a un nuovo tubo di scarico collegato ai pluviali del tetto Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 2004, n. 3258 E' di natura dichiarativa ed
esclude qualunque applicazione delle norme sul litisconsorzio l'azione volta ad accertare le modalit di utilizzo, da parte di un condomino,
del pluviale di scarico delle acque meteoriche, di propriet comune, attraverso la costruzione di una tubazione di raccordo tra la grondaia
ed il pluviale, inserita anch'essa nel muro perimetrale pure di propriet comune nonch l'obbligo di altro condomino, quale proprietario o
comproprietari o di altro appartamento sito nell'edificio condominiale, e direttamente coinvolto dall'attraversamento, nel muro
perimetrale, della tubazione, di consentire tale utilizzazione.
Nomina amministratore in mancanza di formale investitura da parte dell'assemblea condominiale Giud. pace Cascina, 20 gennaio
1999 In mancanza di formale investitura da parte dell'assemblea condominiale, la quale non abbia mai provveduto alla nomina di un
amministratore, il rapporto intercorrente fra un inquilino fattosi carico di riscuotere mensilmente dagli altri condomini le somme destinate
alle spese di piccola manutenzione e al pagamento delle bollette comuni, e gli altri condomini, riconducibile al mandato collettivo in
rem propriam.
Ultimo piano delledificio condominiale - indennit di sopraelevazione Sentenza n. 16794 del 30 luglio 2007 Lindennit di
sopraelevazione, di cui allart. 1127 cod. civ., dovuta, quale conseguenza della realizzazione del nuovo piano, in ogni ipotesi di
costruzione oltre lultimo piano, indipendentemente dallentit dellinnalzamento stesso. Quel che conta che vi sta stato un aumento
della superficie e della volumetria, indipendentemente dal fatto che esso dipenda o meno dallinnalzamento dellaltezza del fabbricato.
Il legislatore, nel riconoscere il diritto di sopraelevazione al condomino proprietario esclusivo dell'ultimo piano o del lastrico solare, con
ci attribuendogli la possibilit di far sorgere nuove costruzioni ciascuna delle quali oggetto d'autonomo dominio esclusivo, ha anche
posto a carico dello stesso l'obbligo di corrispondere agli altri condomini un'indennit.
Ci sulla considerazione, come hanno evidenziato dottrina e giurisprudenza prevalenti (da ultimo, nelle motivazioni, con richiami, di
Cass. 16.6.05 n. 12880 e 21.5.03 n. 7956), della necessit d'una misura compensativa della riduzione del valore delle quote di pertinenza
degli altri condomini sulla compropriet del suolo comune conseguente alla sopraelvazione realizzata dall'un d'essi e dall'acquisto da
parte di questi della propriet relativa;
avendo, infatti, ciascun condomino, ex art. 1118 CC, un diritto di compropriet, proporzionato al valore del piano o porzione di piano in
propriet esclusiva, sulle cose comuni elencate nell' art. 1117 CC e, quindi, anche sull'area sulla quale sorge l'edificio, la realizzazione di
nuovi piani determina automaticamente una modifica degli elementi che concorrono a formare la proporzione, in quanto il proprietario
dell'ultimo piano, costruendo nuovi piani o nuove fabbriche, aumenta la propria quota nella comunione, tra le altre cose comuni, anche
sull'area medesima e questo aumento, naturalmente, rimanendo fisso il parametro di base, ha luogo con una proporzionale riduzione delle
quote degli altri partecipanti alla comunione.
La modifica del servizio condominiale non richiede lunanimit CORTE DI CASSAZIONE Sez. II, 29 marzo 2007, n. 7711 Rientra nei
poteri dell'assemblea del condominio il potere di disciplinare la gestione dei beni e dei servizi comuni, ai fini della migliore e pi
razionale utilizzazione di essi da parte dei condomini, anche quando il servizio si svolge con l'uso di determinati beni (comuni) mobili o
immobili e, quando, la sistemazione pi funzionale del servizio, deliberata dall'assemblea, comporti, come conseguenza la dismissione
dell'uso di detti beni ovvero il trasferimento dei servizi stessi in altro luogo. Ed, invero, in tema di gestione dei beni e dei servizi comuni,
e nell'ambito della gestione dinamica degli stessi, non v' ragione di prescrivere una sorta di intangibilit delle condizioni esistenti e di
negare l'operativit del principio di maggioranza nelle decisioni rlative alle modifiche del servizio ed alla utilizzazione dei beni (comuni),
anche nei casi in cui, assieme al vantaggio dei pi (e spesso di tutti, compresi i dissenzienti), esse comportano qualche inconveniente o
pregiudizio per taluno dei condomini.
In definitiva, in tema di utilizzazione dei beni comuni, l'assemblea di condominio, con deliberazione presa a maggioranza, ha il potere di
deciderne modalit concrete o di modificarne, nell'interesse collettivo, quelle in atto ove accerti che queste sono divenute onerose ovvero
che vanno sostituite con altre idonee modalit di utilizzo. In tal caso il provvedimento, se non sottrae il bene comune alla sua destinazione
principale o non ne impedisce l'uso paritario a tutti i condomini, secondo il loro diritto, ben pu essere adottato a maggioranza, trattandosi
di una modificazione delle modalit di utilizzazione del bene o di svolgimento del servizio, che non incidono sul diritto di cui sono titolari
i singoli condomini.
Pertanto, qualora l'assemblea abbia autorizzato alcuni condomini a collocare nel cortile comune delle bombole di gas collegate alle
rispettive cucine, legittima la delibera che ne disponga la rimozione allorch - essendo stato deciso dal condominio l'allacciamento alla
fornitura del gas metano - sia venuta meno l'esigenza che aveva giustificato la precedente autorizzazione.

Condominio: responsabilit decennale per il direttore dei lavori Cass. civ., sez. II, 18 aprile 2007, n. 9316 Con la sentenza n.
9316/2007 la Cassazione ha specificato che la garanzia per vizi costruttivi soggetta alla prescrizione ordinaria decennale, ai sensi
dellart. 2946 c.c.. Va infatti esclusa l'applicazione dell'articolo 2226, comma secondo, c.c. (prescrizione breve di un anno), atteso che,
nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attivit professionale, la diligenza deve valutarsi esclusivamente tenendo
presente la natura dell'attivit esercitata (articolo 1176 c.c.) che ha come contenuto un'obbligazione di mezzi.
Lamministratore dovr, tuttaviua, contestare in tempo utile le eventuali problematiche verificate a fine lavori ma potr avvalersi della
prescrizione di 10 anni per intraprendere unazione legale nei confronti del progettista e del direttore dei lavori, ricorrendo anche
dellistituto dellinterruzione della prescrizione stessa come previsto dallart. 2943 c.c.
Diritto di agganciare le tende alla soletta del balcone "aggettante" Cass. civile, Sez. II, 17 luglio 2007, n. 15913La corte, con sentenza
del 17 luglio 2007, n. 15913, ha precisato che l'art. 1125 c.c. non pu trovare applicazione nel caso dei balconi "aggettanti", i quali
sporgendo dalla facciata dell'edificio, costituiscono solo un prolungamento dellappartamento dal quale protendono; e, non svolgendo
alcuna funzione di sostegno, n di necessaria copertura dell'edificio (come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo
delledificio), non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di propriet comune dei proprietari di tali piani; ma
rientrano nella propriet esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono.
Ne consegue che il proprietario dellappartamento sito al piano inferiore, non pu agganciare le tende alla soletta del balcone "aggettante"
sovrastante, se non con il consenso del proprietario dell'appartamento sovrastante.
Sostituzione delle chiavi di accesso al box auto condominiale - azione di spoglio Trib. civ. Roma, sez. VII ord., 31 marzo 2007
L'uso di un box auto condominiale che, esercitato dapprima da una condomina in forza di contratto dalla stessa stipulato con il
condominio, al suo decesso si sia prorogato in capo alla figlia che, pagando mensilmente, per pi di tre anni, le relative somme che il
condominio ha continuato ad incassare a titolo di canone, favorendo in tal modo la prosecuzione dei rapporti nei termini di cui all'art.
1597 c.c., integra detenzione qualificabile, tutelabile con l'azione di spoglio ove il relativo godimento sia stato implicato dal rimpiazzo
delle chiavi di accesso del cancello di ingresso, senza consegna di copia delle stesse.
Ricorso alla procedura monitoria, consegna della documentazione condominiale Tribunale di Ariano Arpino, 24 aprile 2007 Il diritto
alla consegna di una cosa mobile determinata menzionato dall'art. 633, comma 1, c.p.c. non ha natura diversa, se non per l'oggetto della
prestazione, dal diritto di credito ad una somma di denaro ed , quindi, parte della categoria generale del credito quale unica situazione
giuridica soggettiva tutelabile in sede monitoria.
In virt di tali considerazioni la pi attenta dottrina e la giurisprudenza sono concordi nell'escludere che il termine consegna possa
estendersi fino a ricomprendere l'azione di rivendicazione o altra azione restitutoria conseguente alla violazione di un diritto reale di
godimento, poich per tali pretese appare pi appropriato il termine restituzione;
Quindi ammissibile il ricorso alla procedura monitoria al fine di ottenere la consegna della documentazione condominiale, quale cosa
mobile determinata, illegittimamente detenuta dal pregresso amministratore.
L'amministratore di un condominio alla cessazione del suo mandato ha l'obbligo di restituire ai condomini quanto ricevuto a causa dello
svolgimento dell'incarico, tra cui i documenti concernenti la gestione, n pu trattenerli finch non rimborsato delle somme anticipate per
conto del condominio, avvalendosi del principio inademplenti non est adimplendum, non essendovi corrispettivit n interdipendenza tra
dette prestazioni, originate da titoli diversi.
Del resto, evidente che il recupero della documentazione relativa alla gestione precedente raffigura una priorit di fatto indispensabile
per l'esecuzione delle deliberazioni dell'assemblea, la cura dell'osservanza del regolamento di condominio, l'amministrazione delle cose e
degli impianti e dei servizi comuni, la conservazione e la manutenzione di essi, la disciplina del loro uso e, soprattutto, la riscossione dei
contributi.
Locazione: conduzione diligente ed azione del locatore Cassazione civile , sez. III, sentenza 09.05.2007 n 10562 Locazione - obblighi
del conduttore - conduzione diligente - azione del locatore - ammissibilit [artt. 1587 e 1590 c.c.] Il tema di contratto di locazione, il
conduttore ha l'obbligo di prendere in consegna la cosa e di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l'uso
determinato dal contratto o desumibile da altre circostanze e l'obbligo di rispondere della perdita e del deterioramento della cosa avvenute
nel corso della locazione. Ne deriva che, nel corso del rapporto locatizio, il locatore pu agire nei confronti del conduttore per ottenere il
rispetto di una diligente del bene locato. Tali obblighi, tuttavia, non possono legittimare una azione successiva alla riconsegna
dell'immobile volta ad ottenere la condanna del conduttore al risarcimento del danno corrispondente alla spesa necessaria per ripristinare
le migliori condizioni di manutenzione dell'immobile realizzate dal conduttore nel corso della locazione.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=38362
Cassazione: obbligati a pagare gli oneri condominiali? Sono solo i proprietari delle porzioni di piano di un edificio
La seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione in una recente sentenza (Sent. n. 17619/2007) ha osservato che tenuti a contribuire
alle spese comuni, anche dopo lentrata in vigore della legge sul c.d. equo canone, sono esclusivamente i proprietari delle varie porzioni
di piano di un edificio, pur se locate, salvo il diritto ad essere rimborsati (in parte) dai conduttori. Tra questi ultimi e il condominio,
pertanto, non si instaura alcun rapporto che legittimi lesercizio di azioni dirette verso gli uni da parte dellaltro. I giudici di legittimit,
contrariamente a quanto osservato nel caso di specie dalla Corte di Appello, hanno anche precisato che di nessun rilievo la circostanza
che in passato il conduttore abbia provveduto personalmente al pagamento delle somme dovute al condominio (...). La circostanza
ininfluente poich lassunto dellestensione degli obblighi dei condomini a coloro che si siano comportati tali, senza tuttavia averne la
qualit, ormai univocamente disatteso dalla giurisprudenza di legittimit.
Cognizione del Giudice di pace in materia di opposizione a delibera condominiale e completezza dellordine del giorno ex art.
1105, comma 3, c.c.: massime giurisprudenziali
I) Come noto, lart. 1137, comma 2, c.c., nel dettare il regime impugnatorio
delle delibere assembleari condominiali, devolve le relative cause allautorita giudiziaria, in tal modo richiamando gli ordinari criteri
di competenza per materia e valore ex artt. 7 e ss. c.p.c.. Ancora, e notorio che, in virtu del citato art. 7, comma 1, c.p.c., il Giudice di
pace e competente nelle cause relative a beni mobili di valore non superiore ad 2.582,28.
Orbene, accertato che il valore di una
delibera sia non superiore a tale ultimo importo, nessun ostacolo normativo si frappone alla competenza per valore del Giudice di Pace.
Sul punto, tra tutte:
Cass. 15 dicembre 1999 n. 14078: La competenza sulle controversie instaurate dai condomini mediante
limpugnazione di delibere dellassemblea dei partecipanti al condominio, salvo il caso in cui queste vertano su questioni affidate per
materia alla cognizione di un determinato giudice . . ., va determinata in base ai generali criteri per valore (nel caso di specie, in una
causa di valore di due milioni di vecchie lire concernente limpugnazione di una delibera condominiale, la S.C. ha affermato la
competenza del giudice di pace).
II) Lelementare principio secondo cui le decisioni assunte a seguito di riunione non sono
determinabili a priori (costituendo esse il risultato di istanze, proposte e sollecitazioni nascenti dalla discussione tra i presenti), ha

determinato la giurisprudenza a ritenere che un punto dellordine del giorno dellassemblea dei condomini, per quanto non dettagliato,
assorba qualsivoglia questione presupposta, connessa e/o collegata ad esso, con cio rimanendo valido ex art. 1105, comma 3, c.c..
Discende da cio, quindi, la completezza di un ordine del giorno in grado di porre i condomini in condizione di comprendere i termini
essenziali del dibattito che si svolgera in assemblea, si da far loro decidere se intervenire o meno alla riunione.
Sul punto, in seno
al diritto vivente, leggansi:
Cass. 27 marzo 2000 n. 3634: Affinche la delibera di unassemblea condominiale sia valida e
necessario che lavviso di convocazione elenchi, sia pur in modo non analitico e minuzioso, specificatamente gli argomenti da trattare, si
da far comprendere i termini essenziali di essi e consentire agli aventi diritto le conseguenti determinazioni anche relativamente alla
partecipazione alla deliberazione. In particolare, la disposizione dellarticolo 1105, terzo comma, c.c. - applicabile anche in materia di
condominio di edifici - la quale prescrive che tutti i partecipanti debbano essere preventivamente informati delle questioni e delle materie
sulle quali sono chiamati a deliberare, non comporta che nellavviso di convocazione debba essere prefigurato lo sviluppo della
discussione ed il risultato dellesame dei singoli punti da parte dellassemblea;
Cass. 19 febbraio 1997 n. 1511: E ben vero che,
ai fini della validita delle deliberazioni dellassemblea di condominio e necessario che nellavviso di convocazione sia contenuto un
ordine del giorno recante la specifica elencazione degli argomenti da trattare nellindetta adunanza; deve tuttavia ritenersi, in conformita
con la dottrina e con la giurisprudenza piu condivisibili, che la specificita dellordine del giorno non postula una indicazione analitica e
minuziosa di ogni possibile aspetto delle materie dedotte in discussione, e deve essere ravvisata sussistente tutte le volte che il contenuto
dellavviso di convocazione sia tale da mettere i condomini in condizione di comprendere i termini essenziali dellindetto dibattito, si da
poter decidere in anticipo se intervenire, direttamente o indirettamente, alla convocata riunione, essendo, nel primo caso, preparati ad
affrontare le proposte tematiche, e, nel secondo caso, in grado di dare le adeguate istruzioni alleventuale delegato (conff. la
fondamentale Cass. 25 novembre 1993 n. 2511, e tra la giurisprudenza di merito, Trib. Milano 4 maggio 2000, Trib. Roma 21 ottobre
1986).
Cassazione 1 aprile 2003, n. 4893 In tema di vizi della cosa nella compravendita (come nel contratto
d'opera o di appalto) ed al fine d'integrare l'ipotesi del riconoscimento ex art. 1495, comma 2, c.c., ad opera
del venditore (o prestatore) - che esonera la controparte dall'obbligo di denunzia entro i prescritti termini non sufficiente la mera conoscenza (o possibilit di conoscenza) del vizio, in quanto detto riconoscimento,
se non implica una manifestazione di volont, costituisce pur sempre una manifestazione di verit o di
scienza relativa alla sussistenza di un fatto produttivo di conseguenze giuridiche negative per il dichiarante.
Tale manifestazione, peraltro, non essendo soggetta a forme particolari, pu essere desunta sia da
qualsivoglia espressione linguistica, purch univoca e convincente, sia da facta concludentia, senza necessit
che ad essa si accompagni l'ammissione del vizio o della responsabilit o l'assunzione di obblighi. Per il testo
integrale della sentenza, cliccare qui
La mancanza di un certificato di abitabilit prevede quantomeno il risarcimento delle spese necessarie per
ottenerlo.
Cassazione 15 maggio 2003, n. 7529
La mancanza del certificato di abitabilit dell'appartamento venduto, perch non rispondente alle prescrizioni
edilizie, causa di un deprezzamento del bene commisurabile, qualora il compratore agisca per il
risarcimento del danno, alle spese presuntivamente necessarie per il compimento degli adempimenti
sufficienti ad ottenere la licenza di abitabilit.
La possibilit per il committente di eseguire verifiche in corso d'opera non esclude, in un appalto, la
responsabilit del venditore.
Cassazione 27 marzo 2003, n. 4544
In tema di appalto, la facolt, prevista dall'art. 1662 c.c., di effettuare verifiche in corso d'opera finalizzata
a garantire l'esatto adempimento dell'appalto, ma non anche a fungere da accettazione dell'opera, e non
esclude, pertanto, la responsabilit dell'appaltatore per vizi o difformit dell'opera stessa.
Il fatto che il committente fornisca un progetto e un direttore lavori non fa decadere la responsabilit
dell'appaltatore, che deve, nell'ambito delle sue conoscenze tecniche, controllare la congruit e la
completezza del progetto stesso e della direzione dei lavori, segnalando al committente, gli eventuali errori
riscontrati. Tuttavia la garanzia non opera se il committente si sia ingerito nell'esecuzione facendo
dell'appaltatore un semplice esecutore ovvero abbia incaricato un'impresa priva delle necessarie competenze.
Cassazione 05 maggio 2003, n. 6754
In tema di appalto la circostanza che l'appaltatore esegua l'opera su progetto del committente o fornito dal
committente non lo degrada, per ci solo, al rango di nudus minister poich la fase progettuale non
interferisce nel contratto e non ne compone la struttura sinallagmatica, esulando dagli obblighi delle
rispettive parti.
Ne consegue che l'appaltatore tenuto non solo ad eseguire a regola d'arte il progetto, ma anche a
controllare, con la diligenza richiesta dal caso concreto e nei limiti delle cognizioni tecniche da lui esigibili, la
congruit e la completezza del progetto stesso e della direzione dei lavori, segnalando al committente, anche
nel caso di ingerenza di costui, gli eventuali errori riscontrati, quando l'errore progettuale consiste nella
mancata previsione di accorgimenti e componenti necessari per rendere il prodotto tecnicamente valido e
idoneo a soddisfare le esigenze del committente.
(Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva affermato la responsabilit esclusiva
dell'appaltatore per l'applicazione difettosa di numerose valvole per impianti di riscaldamento, prive dei
necessari supporti di raccordo tra paretine e traversino, raccomandati e suggeriti dalla migliore tecnica
costruttiva).
Per il testo integrale della sentenza, cliccare qui
Cassazione 16 luglio 2003, n. 11149
La responsabilit dell'appaltatore per i vizi e le difformit dell'opera deve essere esclusa qualora il
committente si sia ingerito nell'esecuzione dell'opera, riducendo il primo a nudus minister, ovvero abbia
incaricato di detta esecuzione una impresa che sapeva essere priva delle capacit tecniche ed organizzative

necessarie per la realizzazione dell'opera affidatale.


In appalto, la consegna dell'opera finita, non prevede per forza la sua accettazione d parte del committente.
Essa deve essere esplicita oppure desunta dal suo comportamento. La conclusione di un contratto definitivo
pu invece comportare effetti quali l'esonero dell'appaltatore da ogni responsabilit per i vizi e le difformit
dell'opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo
Cassazione 12 maggio 2003, n. 7260
In tema di appalto, l'art. 1665 c.c., pur non enunciando la nozione di accettazione tacita dell'opera, indica i
fatti e i comportamenti dai quali deve presumersi la sussistenza dell'accettazione da parte del committente e,
in particolare, al comma 4 prevede come presupposto dell'accettazione (da qualificare come tacita) la
consegna dell'opera al committente (alla quale parificabile l'immissione nel possesso) e come fatto
concludente la "ricezione senza riserve" da parte di quest'ultimo anche se "non si sia proceduto alla verifica".
Bisogna, per, distinguere tra atto di "consegna" e atto di "accettazione" dell'opera: la "consegna" costituisce
un atto puramente materiale che si compie mediante la messa a disposizione del bene a favore del
committente, mentre l'"accettazione" esige, al contrario, che il committente esprima (anche "per facta
concludentia") il gradimento dell'opera stessa, con conseguente manifestazione negoziale la quale comporta
effetti ben determinati, quali l'esonero dell'appaltatore da ogni responsabilit per i vizi e le difformit
dell'opera ed il conseguente suo diritto al pagamento del prezzo.
Per il testo integrale della sentenza, cliccare qui
Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile
non decorre dalla manifestazione di semplici sospetti, ma da quando il committente ha conoscenza della
gravit dei difetti stessi e pu imputarla all'appaltatore.
Cassazione 27 maggio 2003, n. 8425
Il termine di un anno per la denuncia del pericolo di rovina o di gravi difetti della costruzione di un immobile,
previsto dall'articolo 1669 del Cc a pena di decadenza dell'azione di responsabilit contro l'appaltatore,
decorre dal giorno in cui il committente consegue un apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravit
dei difetti e della loro derivazione causale dalla imperfetta esecuzione dell'opera, non essendo sufficiente
manifestazioni di scarsa rilevanza e semplice sospetti.
Cassazione 6 giugno 2003, n. 9077
La stipulazione del contratto di appalto non richiede quale requisito la forma scritta n "ad substantiam" n
"ad probationem".
Per il testo integrale della sentenza, cliccare qui
Cassazione 28 maggio 2003, n. 8522
L'appaltatore, fino alla consegna dell'opera al committente, detiene l'opera stessa nel suo personale
interesse, in virt di un rapporto obbligatorio e deve pertanto considerarsi detentore qualificato. Ne consegue
che, nell'ipotesi in cui l'appaltatore rifiuti la consegna dell'opera, si ha spoglio in danno del committente solo
se resti accertata l'assoluta mancanza di contestazione circa l'avvenuta cessazione del rapporto contrattuale,
con l'esaurimento delle relative posizioni soggettive, mentre, in presenza di una controversia relativa alle
vicende contrattuali, va escluso il venir meno dello ius detentionis dell'appaltatore.
Con motivazione adeguata, esente da vizi logici e da errori giuridici e pertanto incensurabile nella attuale
sede la Corte napoletana ha ravvisato nel rapporto "inter partes" tutti gli elementi del contratto d'appalto
(per la cui stipulazione, come noto, non richiesta la forma scritta n "ad substantiam" n "ad
probationem" - Cass. n. 3481/78, n. 1125/79, n. 5911/83, n. 11381/96) atteso che il Ferone aveva eseguito
le opere complesse indicate dal consulente tecnico d'ufficio con attrezzature e personale dei quali aveva
comunque la disponibilit (fossero o meno proprie o del padre o di terzi) ed a proprio rischio, come era
agevole dedurre dal fatto che le Giordano non solo non avevano sostenuto di aver esse fornito i materiali o le
attrezzature o la mano d'opera, ma avevano chiesto la condanna per i danni dovuti alla cattiva esecuzione
delle opere, richiamandosi altres, per la determinazione del prezzo, alle tariffe del Genio civile.
All'esclusione da parte della Corte territoriale della ipotizzabilit di diversa fattispecie contrattuale non
possono pertanto opporre le ricorrenti incidentali la ritenuta irrilevanza, da parte della Corte territoriale, dei
mezzi istruttori richiesti (prove per testi e interrogatorio formale) tanto pi che nel formulare tale censura
esse non hanno soddisfatto l'onere di indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto di tali
prove al fine di consentire a questo giudice di legittimit il controllo della decisivit dei fatti da provare e
quindi delle prove stesse che, per il principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, questa Suprema
Corte dev'essere in grado di compiere solo sulla base delle deduzioni contenute nell'atto, alle cui lacune non
consentito sopperire con indagini integrative (v. tra le tante Cass. S.U. n. 1988/1998).
Per il testo integrale della sentenza, cliccare qui
Cassazione 19 giugno 2003, n. 9849
In materia di appalto la responsabilit dell'assuntore del lavoro inerente alla garanzia per vizi e difformit
dell'opera eseguita, prevista dagli articoli 1667 e seguenti del Cc, pu configurarsi unicamente quando lo
stesso, nell'intervenuto completamento dei lavori, consegni alla controparte un'opera realizzata nel mancato
rispetto dei patti o non a regola d'arte, mentre nel caso di non integrale esecuzione dei lavori o di ritardo o di
rifiuto della consegna del risultato di questi, a carico dell'appaltatore pu contrattualmente operare
unicamente la comune responsabilit per inadempimento contrattuale ex articoli 1453 e seguenti del codice
civile.
Cassazione 15 luglio 2003, n. 11074
Il committente, cui il cessionario del credito dell'appaltatore chieda il pagamento dopo che la cessione gli sia

stata portata a conoscenza, non pu sottrarsi al pagamento, eccependo che, successivamente alla
comunicazione della cessione, i dipendenti dell'appaltatore hanno avanzato domanda ex art. 1676 c.c. Per il
testo integrale della sentenza, cliccare qui
Cassazione 29 luglio 2003, n. 11642
Il diritto di recesso esercitabile "ad nutum" dal committente in qualsiasi momento dell'esecuzione del
contratto di appalto non presuppone necessariamente uno stato di regolare svolgimento del rapporto, ma, al
contrario, stante l'ampiezza di formulazione della norma di cui all'art. 1671 c.c., pu essere esercitato per
qualsiasi ragione che induca il committente medesimo a porre fine al rapporto, da un canto, non essendo
configurabile un diritto dell'appaltatore a proseguire nell'esecuzione dell'opera (avendo egli diritto solo
all'indennizzo previsto dalla detta norma), e, da altro canto, rispondendo il compimento dell'opera
esclusivamente all'interesse del committente.
Ne consegue che il recesso pu essere giustificato anche dalla sfiducia verso l'appaltatore per fatti
d'inadempimento, e, poich il contratto si scioglie esclusivamente per effetto dell'unilaterale iniziativa del
recedente, non in tal caso necessaria alcuna indagine sull'importanza dell'inadempimento, viceversa dovuta
quando il committente richiede anche il risarcimento del danno per l'inadempimento gi verificatosi al
momento del recesso.
In tema di appalto, la condanna dell'appaltatore al risarcimento del danno in favore del committente per
inadempimento gi verificatosi al momento dell'esercizio del recesso ex art. 1671 c.c. pu vanificare l'obbligo
del committente recedente di indennizzare l'appaltatore delle spese sostenute, dei lavori eseguiti e del
mancato guadagno.
Cassazione 24 aprile 2003, n. 6516
Per la validit di una compravendita immobiliare necessario che l'oggetto sia determinato, ove
determinabile (pertanto documentali e non estrinseci all'atto), dovendosi ravvisare il requisito della
determinatezza o della determinabilit nell'inequivocabile identificazione dell'immobile compravenduto per il
tramite dell'indicazione dei confini o di altri dati oggettivi incontrovertibilmente conducente al fine e idonei a
non lasciare margine di dubbio sull'identit del suddetto immobile.
Deriva, da quanto precede, pertanto, che al detto fine non pu invocarsi un documento estraneo al contratto
(nella specie: licenza di costruzione) il quale, in quanto estrinseco al contratto, non pu supplire alle
evidenziate carenze in ordine all'individuazione dell'oggetto della compravendita.
Regolamenti: clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle loro propriet esclusive
Cass., sez. II civ., sentenza n. 17694 del 14 agosto 2007
E stata da tempo abbandonata lopinione secondo cui sarebbero di natura contrattuale, qualunque sia il contenuto delle loro clausole, i
regolamenti condominiali predisposti dalloriginario proprietario delledificio e allegati ai contratti di acquisto delle singole unit
immobiliari, nonch i regolamenti formati con il consenso unanime di tutti i partecipanti alla comunione edilizia.
Con la sentenza n. 17694 del 14 agosto 2007 si precisato che hanno natura contrattuale, e possono essere modificate solo con
lunanimit dei consensi dei condomini, soltanto le clausole dei regolamenti condominiali limitatrici dei diritti dei condomini sulle
propriet esclusive (divieto di destinare l'immobile a studio radiologico, a circolo ecc..) o comuni, ovvero quelle clausole che
attribuiscano ad alcuni condomini dei maggiori diritti rispetto agli altri.
Solo i proprietari sono obbligati a pagare gli oneri condominiali
Cass., sez. II civ., sentenza n. 17619 del 10 agosto 2007
Sono tenuti a contribuire alle spese comuni, anche dopo lentrata in vigore della legge sul c.d. equo canone, solo i proprietari delle varie
porzioni di piano di un edificio, pur se locate, salvo il diritto ad essere rimborsati (in parte) dai conduttori. Tra questi ultimi e il
condominio, pertanto, non esiste alcun rapporto che legittimi la proposizione di azioni dirette delluno nei confronti degli altri, neppure se
questi hanno provveduto in passato a pagare personalmente e di propria spontanea volont gli oneri condominiali direttamente al
condominio.
Locazione - riconsegna dell'immobile - condizioni di manutenzione
Cass. Sez.III civ., sentenza del 9 maggio 2007, n. 10562
Lobbligo di prendere in consegna la cosa e di osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per luso determinato dal
contratto o desumibile da altre circostanze e lobbligo di rispondere della perdita e del deterioramento della cosa avvenuta nel corso della
locazione consentono al locatore di agire nel corso del rapporto per ottenere il rispetto di una conduzione diligente del bene locato ma non
possono legittimare unazione dopo la riconsegna dellimmobile per ottenere la condanna del conduttore al risarcimento del danno
corrispondente alla spesa necessaria per ripristinare le migliori condizioni di manutenzione dellimmobile realizzate dal conduttore nel
corso della locazione.
Spazi destinati a parcheggio condominiale - vincolo di destinazione
Cass. Sez.II civ., sentenza del 3 luglio 2007, n. 15031
Il vincolo di destinazione impresso agli spazi per parcheggio dalla Legge 17 agosto 1942, n. 1150, articolo 41 sexies, secondo il testo
introdotto dalla Legge 6 agosto 1967, n. 765, articolo 18, norma imperativa, non pu subire deroghe mediante atti privati di disposizione
degli stessi spazi, le cui clausole difformi sono perci sostituite di diritto dalla norma imperativa.
Il sopraindicato vincolo si traduce in una limitazione legale della propriet.
Di conseguenza coloro che abbiano acquistato le singole unit immobiliari dall'originario venditore-costruttore il quale, eludendo il
vincolo, abbia riservato a s la propriet di detti spazi, ben possono agire per il riconoscimento del loro diritto reale d'uso direttamente e
soltanto nei confronti dei terzi ai quali l'originario costruttore abbia alienato le medesime aree destinate a parcheggio.
Diritto all'abitazione, occupare abusivamente una casa popolare
Cass., sez. II penale, sentenza 26 settembre 2007 n. 35580
Non commette reato chi, in situazione di grave indigenza, occupa abusivamente una casa popolare.
E' quanto stabilito dalla Cassazione che ha accolto il ricorso presentato da una donna che era stata condannata per aver occupato

abusivamente un appartamento dell'Iacp.


Secondo la Corte, ai fini della sussistenza dell'esimente dello stato di necessit previsto dall'art. 54 c.p., rientrano nel concetto di danno
grave alla persona non solo la lesione della vita o dell'integrit fisica, ma anche quelle situazioni che attentano alla sfera dei diritti
fondamentali della persona, secondo la previsione contenuta nell'art. 2 della Costituzione, fra i quali deve essere ricompreso il diritto
allabitazione, in quanto lesigenza di un alloggio rientra fra i bisogni primari della persona''.
Nel caso di specie, in particolare, i giudici d'appello, conclude la Cassazione, hanno "totalmente omesso qualsiasi indagine" al fine di
verificare sia le obiettive condizioni economiche dellimputata, lesigenza di tutela del figlio minore, la minaccia dellintegrit fisica degli
stessi, sia gli ulteriori requisiti (necessit ed inevitabilit) per ritenere la sussistenza dellesimente in parola. Per questo la Corte d'appello
di Roma dovr riesaminare il caso.
Verifica in breve tempo della regolare costituzione dell'assemblea
Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2007, n. 1625
In tema di condominio, congruamente e correttamente motivata la sentenza di merito che, a causa dell'omessa verifica del quorum
costitutivo, abbia annullato la delibera condominiale di un condominio formato da pi di cento partecipanti, sullosservazione che, avendo
avuto la riunione inizio alle ore 14 e termine alle ore 14,15, era contrario alla logica e al buon senso che, in un lasso di tempo di soli
quindici minuti in un condominio, si fosse proceduto alla verifica della regolare costituzione dell'assemblea e al controllo dei condomini
presenti e di quelli eventualmente provvisti di delega, nonch allo svolgimento delle altre operazioni.
Domanda di risoluzione del contratto e di condanna al pagamento dei canoni scaduti e a scadere
Cass. civ., sez. III, 9 gennaio 2007, n. 202
Quando sia stata proposta domanda di risoluzione del contratto di locazione per mancato pagamento di canoni scaduti e sia stata altres
domandata la condanna del conduttore al pagamento dei canoni da scadere in corso di causa deve ritenersi virtualmente proposta la
domanda di risoluzione anche in relazione ai canoni che andranno a scadere, sicch correttamente, il giudice tiene conto di tale
inadempimento, ai fini della decisione, sussista o meno l'inadempimento originariamente dedotto. Dovendo, inoltre, il giudice esaminare,
ai fini della gravit dell'inadempimento, giustificativa della risoluzione del contratto, il comportamento globalmente tenuto dal conduttore,
egli deve altres considerare l'eventuale ritardo concernente le prestazioni scadute e adempiute prima della domanda di risoluzione, poste
a suo fondamento.
Sinistro stradale all'interno del seminterrato di un condominio
Giud. pace civ. Tortona, 7 luglio 2007
Il danneggiato in un sinistro derivante dalla circolazione di un veicolo a motore in area privata non aperta al pubblico transito ( nel caso di
specie, all'interno del seminterrato di un condominio) non pu esperire per il risarcimento del danno l'azione diretta prevista dall'art. 18 L.
24 dicembre 1969, n. 990 contro l'assicuratore del veicolo, poich tale azione consentita solo per i danni derivanti dalla circolazione dei
veicoli a motore su strade di uso pubblico o aree a queste equiparate.
Esclusione dell'obbligo di risarcimento del conduttore in caso di mancanza di danno patrimoniale del locatore Cass. civ., sez. III,
8 marzo 2007, n. 5328
Il principio secondo cui l'inadempimento o l'inesatto adempimento dell'obbligazione contrattuale costituisce di per s un illecito, ma non
obbliga l'inadempiente al risarcimento, se in concreto non ne derivato un danno, si applica anche alla fattispecie disciplinata dall'art.
1590 c.c., con la conseguenza che il conduttore non obbligato al risarcimento, se dal deterioramento della cosa locata, superiore a quello
corrispondente all'uso del bene in conformit del contratto, non derivato, per particolari circostanze, un danno patrimoniale al locatore.
Spese di automazione del cancello del passo carraio Tribunale di Novara 19 febbraio 2007
Il Tribunale di Novara con decisione del 19 febbraio 2007 ha stabilito che le spese di automazione del cancello del passo carraio debbano
essere ripartite tra tutti i condomini, in proporzione alle quote millesimali di ognuna delle porzioni immobiliari, anche se non posseggano
autorimesse di propriet esclusiva, qualora il cancello permetta comunque laccesso alle parti comuni, non essendo rilevante la concreta
utilizzazione che egli faccia del bene comune.
Emissione del decreto ingiuntivo, onere della prova scritta Tribunale di Ferrara, sentenza 30-10-2003 n. 39-04 Costituisce prova
scritta ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo non solo il rendiconto predisposto dall'amministratore di condominio, ma lo stato di
ripartizione (art. 63 co. 1 disp. att. c.c.) delle spese approvato e deliberato dall'assemblea del condominio, purch fornisca prova scritta ai
fini dell'art. 633 c.p.c.
Sopraelevazione del muro originario - realizzazione di una cancellata Trib. Bari, Sez. III, Sentenza 2 Maggio 2007 , n. 1069
La sopraelevazione del muro originario e la realizzazione di una cancellata, attraverso unapertura che consente l'accesso alla propriet
esclusiva del singolo condomino che non si limitato alla realizzazione di opere finalizzate alla conservazione/riparazione della cosa
comune, si risolva in un semplice maggior godimento del singolo condomino, consentito ai sensi dell'art. 1102 c.c., senza integrare una
innovazione da approvarsi con le maggioranze di cui all'art. 1120 c.c. (in tal senso la giurisprudenza del Supremo Collegio in materia di
apertura realizzata per mettere in comunicazione l'unit immobiliare di propriet esclusiva del singolo condomino con l'area comune: cfr.
Cass. n. 8830-2003, n. 16097-2003).
Infatti la realizzazione della cancellata, ed a maggior ragione l'innalzamento del muro divisorio di propriet comune, se importa
l'intensificazione del godimento e della utilit della cosa comune per lo S., non determina alcun pregiudizio per il Condominio, il quale
alcuna limitazione subisce nella utilizzazione della cosa comune, che conserva l'originaria destinazione di delimitazione delle distinte aree
di propriet.
Va invece accolta la domanda proposta dagli interventori, in qualit di condomini, di condanna dello S. al pagamento in loro favore della
indennit di sopraelevazione di cui all'art. 1127, 4 comma, c.c.
Ha stabilito la Suprema Corte che la suddetta indennit "..trae fondamento dalla considerazione che, per effetto della sopraelevazione, il
proprietario dell'ultimo piano aumenta, a scapito degli altri condomini, il proprio diritto sulle parti comuni dell'edificio che
proporzionato al valore di piano o porzione di piano che gli appartiene, pertanto il legislatore ha inteso compensare in parte i condomini,
assumendo a parametro il valore del suolo occupato, che costituisce l'unica parte comune suscettibile di valutazione
Assemblea di supercondominio composta dagli amministratori dei singoli condomini
Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 2001, n. 15476
Poich non sono derogabili dal regolamento di condominio, anche se di natura contrattuale, le norme concernenti la composizione ed il
funzionamento dell'assemblea, nulla, per contrariet a norme imperative (artt. 1136, 1138 cod. civ.), la clausola del regolamento

contrattuale prevedente che l'assemblea di un c.d. supercondominio sia composta dagli amministratori dei singoli condomini o da singoli
condomini delegati a partecipare in rappresentanza di ciascun condominio, anzich da tutti i comproprietari degli edifici che lo
compongono, atteso che le norme concernenti la composizione e il funzionamento dell'assemblea non sono derogabili dal regolamento di
condominio.
I condomini devono essere considerati consumatori Cass. civ., sez. III ord., 24 luglio 2001, n. 10086
Al contratto concluso con il professionista dall'amministratore del condominio, ente di gestione sfornito di personalit giuridica distinta da
quella dei suoi partecipanti, si applicano, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge, gli artt. 1469 bis e seguenti c.c., atteso che
l'amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto
persone fisiche operanti per scopi estranei ad attivit imprenditoriale o professionale.
Apertura legittima di una porta finestra sul lastrico solare di copertura Cassazione, sezione seconda, 23 maggio 2007 n. 12047
Pur potendo le concrete modalit di godimento della cosa comune, desumibili dagli artt.1102 e 1120 c.c., assurgere a contenuto di una
posizione possessoria tutelabile contro lattivit del condomino che costituisca una molestia di fatto per gli altri partecipanti alla
comunione, ai fini dellesperibilit dellazione di manutenzione occorre che detta attivit si risolva in una immutazione della situazione
dei luoghi che renda incomodo o restringa a vantaggio del singolo condomino il precedente modo di esercizio del possesso degli altri.
Tale condizione non si realizza quando le opere eseguite dal compossessore, oltre a non modificare la consistenza materiale del bene
comune, non ne determinino neppure una modifica della destinazione, ma rispondano allo scopo di consentire da parte sua un uso dello
stesso pi agevole e, conseguentemente, pi intenso e proficuo, senza incidere sulla possibilit degli altri condomini della antecedente
pari utilizzazione.
Nel caso di specie la Corte ha confermato la decisone dei giudici di merito che hanno respinto il ricorso per manutenzione, affinch fosse
ordinato ad una condomina la chiusura della porta-finestra, munita di un cancello di chiusura in ferro, da lei aperta nel muro perimetrale
del fabbricato al fine di mettere in comunicazione il proprio appartamento, sito al piano attico, con la terrazza condominiale che costituiva
il lastrico solare di copertura di parte delledificio.
Niente forme rigorose per la contabilit dell'amministratore condominiale
Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2007, n. 1405
In materia di condominio, per la validit della delibera di approvazione del preventivo non necessaria la presentazione all'assemblea di
una contabilit redatta con rigorose forme, analoghe a quelle prescritte per i bilanci delle societ, essendo a tal fine sufficiente che essa sia
idonea a rendere intelligibile ai condomini medesimi le voci di entrata e di spesa, con le quote di ripartizione, n richiede che queste voci
siano trascritte nel verbale assembleare, ovvero siano oggetto di analitico dibattito ed esame alla stregua della documentazione
giustificativa, in quanto rientra nei poteri dell'organo deliberativo la facolt di procedere sinteticamente all'approvazione stessa, prestando
fede ai dati forniti dall'amministratore alla stregua della documentazione giustificativa.
Devono, pertanto, ritenersi valide le deliberazioni assembleari con le quali si stabilisce che il bilancio preventivo per il nuovo esercizio sia
conforme al preventivo o al consuntivo dell'esercizio precedente, risultando in tal modo determinate per relationem sia la somma
complessivamente stanziata sia quella destinata alle singole voci, mentre la ripartizione fra i singoli condomini deriva automaticamente
dall'applicazione delle tabelle millesimali
Se una costruzione stata realizzata abusivamente decenni fa, e non mai stata fatta sanatoria, si prescrive la possibilit di
chiederne la demolizione?
No, l'esercizio dei poteri repressivi per abusi edilizi non incontra alcun termine di decadenza o prescrizione
(si veda per esempio la sentenza del Consiglio di Stato, sezione V, 1 marzo 1993, n. 308).Tutto ci a meno che lopera non sia stata
realizzata prima dell'entrata in vigore della legge 17 agosto 1942, n. 1150. La tutela dell'acquirente in caso di vendita di
immobile abusivo Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2007, n. 4786 Con la sentenza n. 4786 del 2007 la sezione
seconda civile della Corte di legittimit torna a specificare che, in caso di vendita di immobile parzialmente
abusivo, non si applica la generale azione di garanzia per vizi, ma trova modo di operare la disciplina
specifica prevista dall'art. 1489 c.c.. In ipotesi di compravendita di costruzione realizzata in difformit della
licenza edilizia, non ravvisabile un vizio della cosa, non vertendosi in tema di anomalie strutturali del bene,
ma trova applicazione l'art. 1489 c.c., in materia di oneri e diritti altrui gravanti sulla cosa medesima, sempre
che detta difformit non sia stata dichiarata nel contratto o, comunque, non sia conosciuta dal compratore al
tempo dell'acquisto, ed altres persista il potere repressivo della P.A. (adozione di sanzione pecuniaria o di
ordine di demolizione), tanto da determinare deprezzamento o minore commerciabilit dell'immobile. In
mancanza di tali condizioni, non possibile riconoscere all'acquirente la facolt di chiedere la riduzione del
prezzo.
Il condomino sempre obbligato a pagare le spese di conservazione dell'impianto di
riscaldamento centrale Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2007, n. 7708 Il condomino sempre obbligato a
pagare le spese di conservazione dell'impianto di riscaldamento centrale anche quando sia stato autorizzato a
rinunziare all'uso del riscaldamento centralizzato e a distaccare le diramazioni della sua unit immobiliare
dall'impianto comune, ovvero abbia offerto la prova che dal distacco non derivano n un aggravio di gestione
o uno squilibrio termico, essendo in tal caso esonerato soltanto dall'obbligo del pagamento delle spese
occorrenti per il suo uso, se il contrario non risulti dal regolamento condominiale. Di conseguenza,
legittima la delibera condominiale che pone a carico anche dei condomini che si siano distaccati dall'impianto
di riscaldamento le spese occorrenti per la sostituzione della caldaia, posto che l'impianto centralizzato
costituisce un accessorio di propriet comune, al quale i predetti potranno comunque riallacciare la propria
unit immobiliare.
La gronda di un tetto di un edificio condominiale comune a tutto l'edificio. Cass. civ., sez. II, 15
maggio 2007, n. 11109 La gronda di un tetto di un edificio condominiale costituisce bene comune, in quanto,
essendo parte integrante del tetto e svolgendo una funzione necessaria all'uso comune, ricade tra i beni che
l'art. 1117 n. 1 c.c. include espressamente tra le parti comuni dell'edificio; (In applicazione del riportato
principio, la Suprema Corte ha affermato che qualora si chieda giudizialmente l'abbattimento della gronda
indispensabile interpellare in giudizio tutti i condomini, quali litisconsorti necessari).

Trasformazione del balcone di propriet esclusiva in veranda Cass. civ., sez. II, 28 maggio 2007, n.
12491 In tema di condominio negli edifici, l'art. 1122 c.c. vieta al condomino di eseguire, nel piano o nella
porzione di piano di sua propriet, quelle opere che elidano o riducano in modo apprezzabile le utilit
conseguibili dalla cosa comune. (Nella specie, non essendo emersa dall'istruttoria la prova di una
apprezzabile limitazione all'ingresso di luce ed aria nel vano scala sul quale affacciava il balcone di propriet
esclusiva per effetto della sua trasformazione in veranda, la S.C. ha confermato il rigetto della domanda di
riduzione in pristino.)
Consegna tardiva del bene locato, responsabilit per la perdita di occasioni di vendita Cass. civ.,
sez. III, 15 maggio 2007, n. 11189 L'obbligazione di restituire la cosa locata secondo le condizioni stabilite
dall'art. 1590, comma primo, c.c. pur avendo natura contrattuale, non ha carattere sinallagmatico, ma
consegue alla natura propria della locazione (che si configura come contratto a termine), e nasce alla
scadenza della locazione. orrispondentemente ha natura contrattuale la responsabilit per la ritardata
riconsegna della cosa o per la trasformazione o il deterioramento di essa non dovuto all'uso. Tale
responsabilit si estende ai danni che sono casualmente collegati alla condotta del conduttore con esclusione
di quelli riconducibili unicamente alla condotta del locatore. In altri termini la condotta del locatore vale ad
escludere la responsabilit del conduttore se costituisce causa unica dell'evento dannoso. Da ci si desume
che responsabile del danno consistente nella perdita di vantaggiose occasioni di vendita della cosa locata o
nella risoluzione del contratto di vendita di essa il conduttore che, ritardando la riconsegna della cosa o
riconsegnandola trasformata o deteriorata, ponga in essere le condizioni della perdita delle occasioni o della
risoluzione della vendita.

Le tabelle millesimali hanno solamente la funzione accertativa e valutativa delle quote


condominiali Cass. sez. II, n. 7709 del 29/3/2007 Secondo i Giudici di Merito, sentenza n.
7709 del 29/03/2007, gli spazi esistenti all'esterno del torrino delle scale, ma ricadenti nella
proiezione verticale della cassa di esse, non sono compresi tra gli accessori di propriet esclusiva
dei tre assegnatari degli alloggi, posti al secondo piano del fabbricato, proprio perch in linea con
la corrispondente area inerente alla cosiddetta tromba delle scale. N, al riguardo, pu
dispiegare alcun effetto il fatto che la tabella millesimale relativa a ciascun alloggio sito al secondo
piano preveda anche gli spazi in contestazione, dal momento che essa non pu costituire fonte di
prova, ma attiene solamente al riparto degli oneri condominiali tra i vari partecipanti alla
comunione. In tema di condominio, infatti, le tabelle millesimali hanno solamente la funzione
accertativa e valutativa delle quote condominiali, onde ripartire le relative spese e stabilire la
misura del diritto di partecipazione alla volont assembleare ma non incidono sui diritti reali
spettanti a ciascun condomino, occorrendo invece al riguardo fare riferimento ai titoli di
trasferimento delle unit immobiliari e al relativo regolamento, ove predisposto.
Cessazione impianto di riscaldamento, la canna fumaria rimane comune Cass. del
09/05/2007 n.10647 La cessazione dellimpianto condominiale di riscaldamento non si amplia
automaticamente alla canna fumaria, che deve essere qualificata come un prodotto autonomo
dellimpianto: luso della canna fumaria, come condotto dei prodotti della combustione
dellimpianto di riscaldamento, rappresenta infatti solo una delle sue possibili utilizzazioni. Se un
bene comune - per la la sua destinazione e funzione - ad uno o pi edifici condominiali, la sua
dismissione deve essere decisa dai proprietari degli edifici condominiali.
Riparazione del muro condominiale e risarcimento del danno causato dalle infiltrazioni
Cass. civ., sez. II, 21 dicembre 2006, n. 27447 Spetta all'amministratore di condominio la
legittimazione passiva, rispetto alla domanda dei proprietari confinanti, diretta ad ottenere la
riparazione del muro condominiale ed il risarcimento del danno causato dalle infiltrazioni di acqua
da esso provenienti, trattandosi di azione personale e non reale ed a nulla rilevando l'eventuale
eccezione di compropriet del muro sollevata dal condominio, implicando essa un accertamento di
carattere meramente incidentale.
Il distacco dall'impianto di riscaldamento centralizzato vietato se... Cass. civ., sez. II,
30 giugno 2006, n. 15079 Il distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento deve ritenersi
vietato ove incida negativamente sulla destinazione obiettiva della cosa comune, determinando
uno squilibrio termico ed un aggravio di spese per i condomini che continuano a servirsi
dell'impianto; consentito, invece, quando autorizzato da una norma del regolamento
contrattuale di condominio o dalla unanimit dei partecipi alla comunione ovvero anche quando
venga fornita la prova che dal distacco non pu derivare alcuno dei predetti inconvenienti.

Box auto: l'acquirente va avvertito del vincolo pertinenziale Tribunale di Milano , sentenza n. 9911 del
31/08/2007 Se un box gravato da un vincolo pertinenziale il proprietario non pu venderlo separatamente
dalla abitazione, n promettere di venderlo e ha l'obbligo di comunicarne l'esistenza all'acquirente. Il vincolo
non di immediata percezione e lonere di verificarne lesistenza non pu addossarsi allacquirente, n si pu
pretendere che lo stesso controlli la DIA o eventuali altri documenti urbanistico - amministrativi. Infatti, - si
legge nella motivazione non sussiste un onere a carico del promissario acquirente di attivarsi per verificare la

regolarit urbanistica e la libera commerciabilit del bene in assenza di vincoli pubblicistici, potendo
ragionevolmente confidare sulla dichiarazione in tal senso della promittente venditrice. Al contrario, obbligo di
quest'ultima di informare la controparte circa l'esistenza di vincoli sul bene e, secondo il principio di correttezza
e buona fede, deve farlo in modo non equivoco, non potendo limitarsi a fornire qualche indizio, tale da indurre la
controparte ad avviare ricerche per acquisire i dati occorrenti.
Il condominio ha obbligo di custodia nei confronti dei condomini Corte di cassazione, sez. III civile sentenza 30 ottobre 2007, n.22882 Il Condominio risponde a titolo di responsabilit da cose in custodia per i
danni derivanti ai condomini, qualora non sia offerta la prova liberatoria del caso fortuito. Limprudenza del
danneggiato non esclude la responsabilit, ma pu essere valutata ai fini dellart. 1227 I comma c.c. La
prevedibilit dellinsidia in ragione della conoscenza dello stato dei luoghi non consente di attribuire levento
lesivo al fatto del danneggiato con conseguente esclusione della responsabilit del custode ex art. 2051 cc; il
comportamento imprudente del danneggiato potr al pi rilevare ai fini dellapplicazione della regola di cui
allart. 1227 cc comma 1 (Nel caso di specie un condominio inciampato sul gancio, inserito in uno dei
gradini della scala che mette in comunicazione il cancello d'ingresso con l'androne dell'edificio, normalmente
utilizzato per ancorare il paletto che blocca l'anta sinistra del cancello di ingresso. Nell'occasione, il paletto era
stato sganciato ed entrambe le ante del cancello erano aperte poich era in corso un trasloco. )
L'amministratore non legittimato a stipulare il contratto di assicurazione del fabbricato se non
autorizzato Cass., sez. II, Sentenza 3 Aprile 2007 , n. 8223 La Corte con sentenza 3 Aprile 2007 , n. 8223 ha
chiarito che " L'amministratore di Condominio non legittimato a concludere il contratto d'assicurazione del
fabbricato se non abbia ricevuto la autorizzazione da una deliberazione dell'assemblea dei partecipanti alla
comunione. A questa conclusione deve pervenirsi per la decisiva ed assorbente considerazione che la
disposizione dell'art. 1130 c.c., comma 4 obbligando l'amministratore (l'amministratore deve compiere) ad
eseguire gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio, ha inteso chiaramente riferirsi ai
soli atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici) e giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti
posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell'integrit dell'immobile, tra i quali non pu farsi
rientrare il contratto d'assicurazione, perch questo non ha gli scopi conservativi ai quali si riferisce la norma
dell'art. 1130 c.c., ma ha come suo unico e diverso fine quello di evitare pregiudizi economici ai proprietari
dell'edificio danneggiato."
Impugnazione delibera assembleare con atto di citazione Cass. civ., sez. II, 11 aprile 2006, n. 8440
L'impugnazione della delibera dell'assemblea pu avvenire indifferentemente con ricorso o con atto di citazione,
ma in questa seconda ipotesi, ai fini del rispetto del termine di cui all'art. 1137 c.c., occorre tenere conto della
data di notificazione dell'atto introduttivo del giudizio, anzich di quella del successivo deposito in cancelleria,
che avviene al momento dell'iscrizione a ruolo della causa.
L'uso frazionato della cosa comune a favore di uno dei comproprietari Cass. Sez. II, 11 aprile 2006, n.
8429 L'uso frazionato del bene comune a favore di uno dei comproprietari, pu essere consentito per accordo
fra i partecipanti alla comunione solo se l'utilizzazione, concessa nel rispetto dei limiti stabiliti dall'art. 1102 c.c.,
rientri tra quelle cui destinato il bene e non alteri od ostacoli il godimento degli altri comunisti, trovando
l'utilizzazione da parte di ciascun comproprietario un limite nella concorrente ed analoga facolt degli altri.
Quando, viceversa, la cosa comune sia alterata o addirittura totalmente trasformata in maniera da essere sottratta
definitivamente alla possibilit del godimento collettivo, nei termini funzionali originariamente praticati, non si
rientra pi nell'ambito dell'uso frazionato consentito, ma nell'appropriazione di parte della cosa comune, per
legittimare la quale necessario il consenso negoziale di tutti i partecipanti alla comunione, espresso in forma
scritta trattandosi di beni immobili.
Condominio,possesso,esclusivo,onere della prova http://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/25003.html
"In particolare la Cassazione ha precisato che non necessaria la specifica prova del possesso di detta parte
(riferendosi ad muro di cinta nel quale un condomino aveva aperto varco) quando risulti che essa consista in una
porzione immobiliare in cui l'edificio si articola (Cass., Sez. 2, Sentenza n.16496 del 05/08/2005) oppure
laddove si tratti di beni che non hanno una autonomia rispetto all'edificio, riferendosi alleliminazione di una
parte del muro comune operata da un condomino ( Cass. 13 luglio 1993 n. 7691) o ancora riguardo al suolo su
cui sorge ledificio che non consente lo svolgimento di alcuna attivit personale, ma offre una utilit meramente
oggettiva con la conseguenza che il possesso pu consistere soltanto nel fatto (oggettivo) di beneficiare del
sostegno del proprio immobile (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 855 del 26/01/2000). Pertanto nel caso di specie,
considerate le esposte caratteristiche dellarea in esame materialmente distinta dal complesso condominiale e
non funzionalmente destinata, per le sue caratteristiche, a servire oggettivamente piani o porzioni di piano appare evidente che il possesso invocato dal condominio non si estrinsechi in alcuna forma di godimento statico
del bene che possa beneficiare dellinvocato affievolimento probatorio. "

Utilizzazione e godimento delle cose comuni da parte dei singoli condomini: condizioni per la validit delle
delibere assembleari assunte a maggioranza -Nota a sentenza Cass. n. 7711/2007- in definitiva, in tema di
utilizzazione dei beni comuni, l'assemblea di condominio, con deliberazione presa a maggioranza, ha il potere di
deciderne modalit concrete o di modificare, nell'interesse collettivo, quelle in atto ove accerti che queste sono
divenute onerose ovvero che vanno sostituite con altre idonee modalit di utilizzo. In tal caso il provvedimento,
se non sottrae il bene comune alla sua destinazione principale o non ne impedisce l'uso paritario a tutti i
condomini secondo il loro diritto, ben pu essere adottato a maggioranza, trattandosi di una modificazione delle
modalit di utilizzazione del bene o di svolgimento del servizio, che non incidono sul diritto di cui sono titolari i
singoli condomini. http://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/25016.html
Cautelare art.1168 c.c. 703 c.p.c. condominio - compossesso parti comuni spoglio onere della
prova. Tribunale di Bergamo sezione distaccata di Grumello del Monte Ordinanza 4 ottobre 2007
Giudice Unico Nadia Garrapa - Qualora uno dei condomini, senza il consenso degli altri ed in loro pregiudizio,
abbia alterato o violato lo stato di fatto o la destinazione della cosa comune impedendo o restringendo il
godimento spettante agli altri condomini,questi ultimi sono legittimati all'esperimento dell'azione di
reintegrazione per conseguire la riduzione della cosa al pristino stato senza che sia necessario che ogni singolo
condomino fornisca la prova di un particolare possesso o di specifiche modalit di esercizio di esso. Tuttavia tale
affievolimento dellonere probatorio si verifica soltanto in casi di utilit oggettiva ovvero laddove l'utilit
prodotta da talune parti comuni in favore delle unit immobiliari derivi soltanto dall'unione materiale o dalla
destinazione funzionale delle cose, degli impianti e dei servizi comuni, costituendo, perci, un risultato
oggettivo, indipendente da qualsivoglia attivit personale dei condomini ( ad es: suolo su cui sorge ledificio
condominiale, fondazioni, muri maestri, facciate, tetti e i lastrici solari); diversamente, laddove si tratti di beni
suscettibili di godimento soggettivo, il cui possesso si esercita tramite attivit personali, chi lamenta la lesione
del possesso deve dimostrare lutilizzo del bene stesso ovvero che in concreto vi sia stata la lesione di una forma
di utilizzo che gli altri condomini avrebbero potuto liberamente porre in essere in difetto della condotta ritenuta
abusiva. http://www.diritto.it/art.php?file=/archivio/25003.html
giustificato il recesso anticipato del conduttore dellimmobile che non abbia i requisiti di sicurezza
Cass., Sez. civile III, Sentenza 30 Ottobre 2007, n. 22886 In tema di locazioni, legittimo il recesso anticipato
del conduttore , laddove la cosa locata non sia in regola con la normativa sulla sicurezza degli edifici;
irrilevante che il conduttore fosse a conoscenza delle suddette irregolarit, perch trattandosi di norme
imperative non possono essere derogate dalle parti.
Notifica di un atto indirizzato al condominio Cass. civ., sez. II, 16/05/2007 n. 11303 Qualora la notifica di
un atto indirizzato al condominio non avvenga nelle mani dell'amministratore, pu essere validamente fatta nello
stabile condominiale soltanto nel caso che in esso si trovino locali destinati allo alla gestione ed allo svolgimento
dellle cose e dei servizi comuni, - come la portineria - idonei, come tali, a configurare un ufficio
dell'amministratore, dovendo, in mancanza, essere compiuta presso il domicilio privato di quest'ultimo.
Condominio - competenza per materia del Giudice di Pace - 29.05.06In base all'art. 7 c.p.c., introdotto
dall'art. 17 L. 374/91, il giudice di pace competente, qualunque ne sia il valore, per le cause relative alla
misura ed alle modalit d'uso dei servizi di condominio di case. In linea generale, si intendono per cause relative
alle modalit d'uso dei servizi condominiali, quelle concernenti i limiti qualitativi di esercizio delle facolt
contenute nel diritto di comunione, nelle quali si controverte sul "modo" -"come", pi conveniente ed opportuno,
in cui tali facolt devono essere esercitate, nel rispetto della parit di godimento in proporzione delle rispettive
quote, secondo quanto stabilito dagli artt. 1102 ed 1118 c. c. ed in conformit della volont della maggioranza e
delle eventuali disposizioni del regolamento condominiale, mentre le cause relative alla misura di detti servizi,
si identificano con quelle riguardanti una limitazione o riduzione quantitativa del diritto di godimento dei singoli
condomini (Cass. 7888/94, 8431/94, 25/00, 6642/00, 5449/02).
Condominio - decreto ingiuntivo - competenza per valore - 12.12.06 La Corte di Cassazione, nel giudizio in
esame, ha dichiarato inammissibile il ricorso, in quanto il ricorrente, nel giudizio di primo grado, nel formulare
le proprie domande, aveva superato il limite entro il quale il giudice di pace giudica secondo equit, sicch
contro la sentenza era proponibile l'appello e non il ricorso per cassazione. Infatti: colui che propone
opposizione al decreto ingiuntivo assume la veste di attore; pertanto, qualora egli aggiunga alla domanda di
revoca del decreto quella di risarcimento del danno,ai fini della determinazione della competenza i valori di
ciascuna delle due domande debbono essere sommati". Il principio, che trova fondamento nell'art. 10, e. 2, c.p.c,
stato ribadito, anche di recente da Cass. 8 aprile 2002, n. 4994.
Condominio - spese condominiali - 18.07.2006 Il Giudice di Pace di Benevento, nella sentenza in oggetto,
esamina la questione relativa al pagamento delle spese condominiali, qualificandolo tale obbligazione, cos
come giurisprudenza costante, una obbligazione propter rem. Inolte, il Giudice adito decide sulla richiesta di

risarcimento dei danni avanzata da un condomino, nei confronti del condominio.


Corte di Cassazione n. 3064 Condominio- amministratore, capacit processuale- nullit della notifica
13.02.07
Nella sentenza in esame la Suprema Corte affronta diverse questioni giuridiche. La prima riguarda
la capacit di stare in giudizio dellAmministratore del Condominio. In tal senso:La Corte.., ritiene di aderire
al prevalente orientamento della giurisprudenza, secondo il quale l amministratore, che pu essere convenuto in
giudizio per qualunque controversia concernente le parti comuni, rappresenta in giudizio il condominio senza
necessit di autorizzazione dellassemblea con linerente legittimazione a proporre impugnazione (Cassazione
3773/01; 7256/86). Nella stessa sentenza viene affrontato il problema della validit della notifica degli atti
allamministratore, presso il condominio. La notificazione fatta al condominio nel luogo dove ha sede
ledificio condominiale, invece che allamministratore, non in s nulla, lo solo quando il condominio non
abbia designato nelledificio condominiale un luogo espressamente destinato e di fatto utilizzato per
lorganizzazione della gestione condominiale. In ogni caso, per la validit della notifica necessario che
dallavviso di ricevimento risulti che siano state eseguite quelle ricerche che, nellambito del procedimento
descritto dallarticolo 8 della legge 890/82, consentono di passare allo stadio del deposito del plico nella casa
comunale. Nel caso di specie, nellavviso di ricevimento stato annotata dallufficiale postale la temporanea
assenza del destinatario, ma nessuna annotazione vi a proposito della contemporanea assenza, mancanza od
inidoneit di altre persone abilitate a ricevere consegna in luogo del destinatario.
http://www.giudicedipace.it/programma/readarticle.php?article_id=108
Corte di Cassazione SS.UU. sentenza 27.02.07 n4421 - condominio - opposizione a decreto ingiuntivo contemporaneo giudizio d'impugnazione della delibera assembleare - sospensione ex art. 295 c.p Nella
dialettica dei rapporti interni tra condominio e condomino, non solo l'obbligo dei singoli partecipanti alla
comunione dell'edificio di contribuire al pagamento delle spese effettuate nel comune interesse sorge per effetto
della deliberazione con la quale l'assemblea approva le spese stesse, deliberazione che deve sempre intervenire,
nella forma dell'approvazione del preventivo o quanto meno della ratifica successiva, al pi tardi in sede
d'approvazione del consuntivo, ma la liquidit del credito condominiale data solo dalla successiva
deliberazione d'approvazione del piano di riparto ovvero dall'elaborazione di questo in conformit alle vigenti
tabelle millesimali, nel qual caso trattandosi di semplice operazione matematica; pertanto, il condominio, che
agisca nei confronti del condomino onde conseguire il pagamento delle quote da questi dovute, deve dimostrare,
anzi tutto, la legittimit della spesa, producendo la relativa delibera d'approvazione ed, in secondo luogo, anche
la legittimit della determinazione delle quote, o producendo la delibera d'approvazione del piano di riparto o
dimostrando la conformit di questo alle vigenti tabelle millesimali regolamentari.
http://www.giudicedipace.it/programma/readarticle.php?article_id=126
Oneri Condominiali decreto ingiuntivo - appello a sentenza del Giudice di Pace - sentenza inappellabile
se di valore inferiore a 1.000,00 euro 04.04.07. - Nella sentenza in esame il Tribunale adito, dopo aver
esaminato il merito della causa, al fine di individuare loggetto del giudizio di primo grado, ha poi verificato le
ricadute in tema di ammissibilit dellimpugnazione. A seguito di tanto ha stabilito:Secondo il combinato
disposto degli artt. 113 comma 2 e 339 comma 3 c.p.c., la sentenza emessa dal giudice di pace di risulta essere
inappellabile; infatti noto che la pronuncia secondo equit per le cause di valore inferiore ad euro 1.100,00
prescinde dalla possibilit che, nel concreto, il giudice adito abbia potuto fare applicazione anche di norme di
diritto; peraltro, non essendosi il giudice pronunciato al riguardo, espressamente in sentenza, neppure potrebbe
operare, al di l della condivisibilit o meno del distinguo attuato da Cass. sez. un. n.13917 del 2006, il principio
dellapparenza; n la domanda afferisce a rapporti o contratti conclusi ex art.1342 c.c.; inoltre, la nuova
formulazione dellart.339 ultimo comma c.p.c. derivante dallentrata in vigore del d.lgs n.40 del 2006, riguarda
esclusivamente le sentenze del giudice di pace pubblicate successivamente, mentre per quelle, come quella in
esame, pubblicate in epoca antecedente, si continua ad applicare la disciplina previdente.
http://www.giudicedipace.it/programma/readarticle.php?article_id=201
Corte di Cassazione n 196 - rimozione del veicolo in sosta da una propriet condominiale affidata a
societ privata - legittimit - risarcimento danni - 09.01.2007. -Nel caso di specie, un Condominio incaricava
una societ privata di rimuovere dal portico condominiale un ciclomotore abusivamente parcheggiato nonostante
la presenza di appositi cartelli con l'indicazione divieto di sosta" e con l'avvertimento che i motoveicoli
sarebbero stati rimossi a spese dei trasgressori. Il proprietario del veicolo adiva il Giudice di Pace di Bologna, il
quale rigettava la domanda costringendo lo stesso a ricorrere in Cassazione. La Suprema Corte ha confermato la
sentenza del Giudice di Pace:La sentenza ha solo fatto applicazione del principio dell'autotutela o difesa privata
del possesso e del principio stabilito nell'art. 2043 c.c, per il quale colui che col proprio fatto doloso o colposo
cagiona ad altri un danno ingiusto obbligato al risarcimento. Ha cio ritenuto che il possessore, molestato nel
possesso, possa, personalmente o a mezzo di un terzo cui abbia all'uopo affidato il relativo incarico, far cessare
la molestia in atto rimuovendo la cosa con la quale l'offesa viene esercitata ed abbia altres diritto al rimborso
delle spese dovute al terzo per la rimozione, in quanto causate dal fatto illecito del molestatore.

http://www.giudicedipace.it/programma/readarticle.php?article_id=163
INSUFFICENTE EROGAZIONE DI CALORE IN CONDOMINIO
Anche dopo lintroduzione del Dlgs del 19 Agosto 2005, n.192 come modificato dal
Dlgs 311/2006, lerogazione del calore nelle singole unit condominiali cos come la materia del periodo di
riscaldamento, lorario giornaliero e la regolarizzazione degli impianti - continua ad essere regolata dalla legge
10/91 e dal Dpr 412/1993.
In base alle normative richiamate, la materia disciplinata, in termini di cogenza e imperativit, sicch e non
pi rimessa alla libera disponibilit delle parti alla stregua di specifiche delibere assembleari, delle consuetudini
locali presso le Camere di commercio e dei regolamenti condominiali.
Il calore nelle singole unit pari a venti gradi, pi due gradi di tolleranza, a norma dellart. 4 primo comma
del Dpr 26/08/1993 n. 412 che recita : la media aritmetica delle temperature dell'aria nei diversi ambienti di
ogni singola unit immobiliare, definite e misurate come indicato al comma 1 lettera w dell'articolo 1, non deve
superare i seguenti valori, con le tolleranze a fianco indicate: a) 18 C +2 C di tolleranza, per gli edifici
rientranti nella categoria E.8; b) 20 C +2 C di tolleranza, per gli edifici rientranti nelle categorie diverse da E.8.
Il mantenimento della temperatura dell'aria negli ambienti, entro i limiti fissati al comma 1, deve essere ottenuto
con accorgimenti che non comportino spreco di energia.
In tale contesto, lautonomia dellassemblea dei condomini (e degli inquilini, a norma dellart. 10 della legge
392/78) limitata alla sola decisione da assumere con le maggioranze speciali di cui al secondo comma
dellart. 1136 c.c. ( maggioranza degli intervenuti oltre i 500 millesimi) - di erogare una temperatura inferiore ai
20 gradi.
Il problema della insufficiente erogazione del calore - che pu essere causata da unerronea progettazione
dellimpianto o dal mancato isolamento delle parti delledificio pi esposte al freddo - pu tecnicamente essere
risolto o con valvole automatiche applicate agli elementi scaldanti delle propriet favorite o con laumento degli
elementi e lisolamento delle propriet sfavorite. Senonch, lapplicazione di tali rimedi tecnici, da un lato pu
essere in contrasto con le disposizioni imperative di legge e, dallaltro incontra lopposizione dei condomini
favoriti, tendenzialmente portati a rifiutare ogni spesa di adeguamento.
Certo che tutti i condomini hanno diritto ad unequa distribuzione del calore, a norma dellart. 1102 c.c., per il
quale ciascun partecipante pu servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca
agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine pu apportare a proprie spese le
modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.
In tema, a parte alcune sentenze dei giudici di merito, la Cassazione, con sentenza 10/06/1981 n. 3775, ha
puntualizzato che ogni condomino ha il diritto di ottenere che l'impianto di riscaldamento sia strutturato in
modo da assicurare, nelle ore di accensione, un uniforme riscaldamento di tutti gli appartamenti e ci attraverso
opportuni accorgimenti tecnici, quali una differenziazione delle superfici radianti, in rapporto alla posizione,
struttura, esposizione e volumetria di ogni appartamento. Se peraltro le caratteristiche di posizione, struttura ed
esposizione di un appartamento (nella specie, attico) siano tali da determinare, nelle ore di interruzione del
funzionamento dell'impianto, un calo della temperatura pi accentuato che negli altri appartamenti, al di fuori di
qualsiasi deficienza nell'organizzazione e conduzione del servizio, il condomino interessato ha diritto di ottenere
una maggiore fruizione del servizio comune - nei limiti stabiliti dalle norme generali regolanti il funzionamento
degli impianti termici - purch ci sia consentito dalle caratteristiche dell'impianto e possa effettuarsi senza
pregiudizio o disagio per gli altri condomini, restando a carico del richiedente la maggiore spesa derivante dal
protratto o pi intenso funzionamento dell'impianto (anche in relazione all'eventuale deterioramento) e quella
che possa rendersi necessaria per la messa in opera di strumenti o l'adozione di accorgimenti tecnici atti ad
evitare un eccesso di calore negli altri appartamenti
Si tenga peraltro presente che, laddove il condomino sfavorito aumenti il numero degli elementi scaldanti nella
propriet esclusiva, lassemblea pu anche deliberare una proporzionale revisione della tabella di ripartizione
delle spese del riscaldamento.
Si tenga anche presente che sempre necessario un accertamento termotecnico - le cui spese sono quasi sempre
rifiutate dalla maggioranza e che solo nel caso in cui lerogazione del calore risulti insufficiente in base alla
perizia, lassemblea pu autorizzare gli opportuni interventi. Lassemblea pu in ogni caso decidere anche
negativamente e, in tal caso, il condomino danneggiato costretto ad impugnare la delibera assembleare, entro il
termine dei 30 giorni di cui allart. 1137 c.c..
Si tenga da ultimo presente che, se addebitabile al difetto di costruzione dellimpianto, linconveniente pu
essere eliminato anche con linstallazione di una pompa, che regoli la circolazione dellacqua calda.
Non comunque consentito al condomino danneggiato di rifiutare il pagamento delle quote del riscaldamento.
In passato, la sentenza della Corte dAppello di Roma con sentenza 06/07/1957, n. 1370 aveva ritenuto che se
lerogazione del riscaldamento in una propriet esclusiva inadeguata, non consentito al condomino di
sottrarsi al pagamento delle spese, ma il condomino dovr chiedere allassemblea o allamministratore la
regolarizzazione dellimpianto o esperire azione di responsabilit contro lamministratore ( o lappaltatore del
servizio), ove ne ricorrano gli estremi.
A sua volta, la sentenza della Cassazione 15/12/1993, n. 12420, aveva ritenuto che il condomino non pu

sottrarsi al contributo nelle spese, n pu proporre azioni di danno contro il condominio o contro limpresa
installatrice potendo solo ricorrere allautorit giudiziaria nel caso di inerzia dellamministratore, a norma
dellart. 1105 c.c..
Successivamente, la sentenza della Cassazione, Sezioni Unite 26/11/1996, n.10492, ha puntualizzato che
lobbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti
comuni delledificio, alla prestazione dei servizi nellinteresse comune e alle innovazioni della maggioranza
trova la sua fonte nella compropriet delle parti comuni delledificio. Con la conseguenza che la semplice
circostanza che limpianto centralizzato del riscaldamento non eroghi sufficiente calore non pu giustificare un
esonero dal contributo, neanche per la natura contrattuale sinallagmatica e, quindi non pu sottrarsi alle spese per
la mancata o insufficiente erogazione del servizio. Al condomino infatti preclusa la via dellautotutela, in
quanto nel condominio non si di fronte ad un contratto a prestazioni corrispettive.
Il condomino, pu dunque cercare di discutere la questione in sede assembleare o rivolgersi direttamente
allautorit giudiziaria, sino a richiedere il risarcimento del danno, nellipotesi di una colpevole omissione del
condominio nelladottare gli interventi per riparare guasti o deficienze allimpianto.
Uno dei rimedi per conseguire luniformit del riscaldamento delle unit certamente quello della installazione
di una pompa per la regolazione dellimpianto e per rendere pi rapida e completa la circolazione dellacqua
calda.
In tema, la sentenza del Tribunale di Milano in data 19/09/1960, ha puntualizzato che non concepibile che
taluni condomini siano esclusi dal godimento di un servizio, a meno che tale esclusione non sia prevista dal
regolamento: se non esistono pattuizioni discriminatorie, il servizio deve essere esercitato in modo da poter
essere goduto da tutti i condomini, dacch la legge fa carico anche allamministratore, allorch dispone (art.
1130, n.2 c.c) che egli debba curare le prestazioni dei servizi comuni, in modo che ne sia assicurato il miglior
godimento per tutti i condomini. Nel caso in esame,limpianto di riscaldamento era scarsamente efficiente e
non tutti i condomini potevano beneficiarne; applicandovi la pompa, si provveduto ad eliminare
linconveniente e ad assicurare a tutti il godimento della cosa comune. Non si trattato quindi di una
innovazione destinata a servire in modo particolare i condomini del corpo interno bens di una innovazione
destinata ad assicurare il godimento dellimpianto di riscaldamento anche ai condomini del corpo interno, a cui
limpianto comune. Nello stesso senso si veda anche Cassazione 22/05/1978, n.2541, per la quale
linstallazione di due pompe per lo smaltimento delle acque dellimpianto di riscaldamento di un condominio
costituisce una modifica migliorativa dellimpianto termico esistente, che non incide sulla cosa comune,
mutandone la funzione o la destinazione: conseguentemente, la relativa deliberazione come pure la sua
successiva revoca pu essere adottata dallassemblea dei condomini senza la maggioranza qualificata
prescritta per le innovazioni.
RIFERIMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI
Dlgs del 19 Agosto 2005, n.192
Dlgs del 29 Dicembre 2006, n.311
Legge del 9/01/1991, n. 10
Art. 4 primo comma del Dpr 26/08/1993 n.412
Art.10 della legge 392 DEL 27 Luglio 1978
Art. 1136 c.c.
Art. 1102 c.c.
Art. 1105 c.c.
Cassazione 10/06/1981 n. 3775
Art. 1137 c.c.
Cassazione 26/11/1996, n. 10492
Corte di appello di Roma 06/07/1995, n. 1370
Cassazione 15/12/1993, n.12420
Tribunale di Milano 19/09/1960
Art. 1130, n. 2 c.c.
Cassazione 22/05/1978, n. 2541
Il CONTRIBUTO PER GLI ONERI DI URBANIZZAZIONE NON INCLUDE IL RIMBORSO DELLE
SPESE DI IMPIANTI E LAVORI PER COLLEGARE IL FABRICATO ALLA RETE FOGNIARIA
Consiglio di Stato, Sezione V, 23 gennaio 2006, n. 159 - Il contributo per oneri di urbanizzazione non include il
rimborso delle spese di impianti e lavori, che il Comune, a costruzione ultimata, debba eseguire per collegare il
fabbricato alla rete fognaria od agli altri servizi pubblici dei quali il proprietario intenda fruire. Tali impianti non
sono qualificabili opere di urbanizzazione, in quanto non trasformano il territorio, conferendogli destinazione
edificatoria, ma sono realizzati successivamente, nell'ambito di un'edificabilit gi conseguita, per consentire il
godimento delle relative infrastrutture.
GIARDINI PRIVATI E TABELLE MILLESIMALI
La scelta dei parametri per la redazione della tabella millesimale costituisce da sempre motivo di

contenzioso in condominio, non fossaltro che per le ricadute che la tabella ha sulla ripartizione delle
spese.
Ai fini della redazione delle tabella, per determinare il valore di ogni piano o porzione di piano occorre
in ogni caso prendere in considerazione sia gli elementi intrinseci degli immobili in propriet esclusiva
(estensione, ampiezza, numero dei vani, natura degli intonaci etc.) sia gli elementi estrinseci,
(ubicazione, esposizione, altezza, numero ed ampiezza di balconi e terrazze), sia le eventuali
pertinenze, tra le quali ben possono rientrare i giardini in propriet esclusiva. Questi ultimi
consentono infatti un miglior godimento dei singoli appartamenti al cui servizio ed ornamento sono
destinati in modo durevole, determinando un aumento del valore patrimoniale dellimmobile. In
questottica, i giardini di propriet esclusiva comportano un aumento del valore dellunit singola,
sicch se ne deve tenere conto, in sede di redazione della tabella millesimale. Questo, in sintesi, il
contenuto della sentenza della Cassazione 27 luglio 2007, numero 16.644.
Il principio affermato dalla Suprema Corte non stato sempre pacifico, posto che una risalente
sentenza della Cassazione - 18 settembre 1948, numero 1615 - si era pronunciata nel senso che per
il giardino di propriet esclusiva, che costituisce un accessorio o pertinenza dellunit immobiliare in
condominio, la partecipazione alle spese condominiali deve limitarsi ad eventuali consumi (come
acqua, da rilevare a mezzo di contatore), o manutenzione di alcuni impianti (come fognatura) o
servizi (come custodia se vi il portiere), in misura da stabilirsi equamente caso per caso. Con la
conseguenza che sarebbe illegittima una tabella millesimale che conglobasse, nella quota del
condomino proprietario di appartamento, anche la quota-valore del giardino, perch il giardino
costituisce una entit autonoma, separata dalledificio condominiale.
Non solo. Parte della dottrina ritiene che i giardini di propriet esclusiva, posti al servizio di unit
immobiliari in condominio, non debbano essere conglobati nella tabella di propriet, non fossaltro
perch estranei alledificio condominiale (cfr. tra gli altri, Tamborrino, in Come si amministra un
condominio, Milano 2006).
Solo con sentenza 1 luglio 2004, numero 12.108, la Cassazione aveva ribaltato quella risalente
pronuncia della Suprema Corte, puntualizzando che ai fini della redazione delle tabelle millesimali di
un condominio, per determinare il valore di ogni piano o porzione di piano occorre prendere in
considerazione anche le eventuali pertinenze delle propriet esclusive, tra le quali possono essere
considerati i giardini in propriet esclusiva dei singoli condomini, in quanto consentono un miglior
godimento dei singoli appartamenti al cui servizio ed ornamento sono destinati in modo durevole,
determinando un accrescimento del valore patrimoniale dellimmobile.
Con lultima sentenza del 2007, la Suprema Corte ha dunque mostrato di voler confermare la
sentenza del 2004, ponendo fine ad ogni contrasto.
Il caso affrontato dallultima pronuncia della Suprema Corte, riguardava un complesso immobiliare,
costituito da due fabbricati (di cui uno solo dotato di regolamento condominiale), edificati in epoche
diverse e da diversi costruttori, aventi in comune alcuni servizi, oltre allarea circostante agli edifici.
Terminata la vendita delle unit immobiliari, i condomini avevano deciso di redigere un nuovo
regolamento condominiale e una nuova tabella millesimale, che veniva approvata dalla assemblea a
maggioranza. Ne nascevano gli immancabili contrasti, particolarmente sui criteri utilizzati per la
redazione della tabella, tanto che alcuni condomini citavano in giudizio il condominio e gli altri
condomini per far dichiarare linefficacia della tabella approvata. In particolare, i condomini proprietari
degli appartamenti al piano terra, con annesso giardino, contestavano la legittimit della tabella, con
riferimento al coefficiente di riduzione indifferenziato (anzich rapportato alla superficie reale)
applicato ai giardini oltrech alle soffitte allascensore e alle scale. Trattandosi di pertinenze degli
appartamenti a giudizio dei convenuti dissenzienti dei giardini non doveva tenersi conto, in sede
di redazione della tabella.
La Cassazione ha tuttavia ribadito che per la redazione della tabella millesimale, oltre a prendere in
considerazione elementi intrinseci e estrinseci delle propriet esclusive, occorre anche tener conto
delle pertinenze, tra le quali possono essere annoverati autorimesse, cantine o giardini di propriet
esclusiva di singoli condomini, in quanto consentono un miglior godimento dei singoli appartamenti.
Si legge in particolare nella sentenza 16.644/2007: ai fini della corretta applicazione del parametro
di valutazione previsto dallarticolo 68 Disposizioni di Attuazione al Codice Civile (ai fini degli effetti
indicati dagli articoli 1123 e 1136 Codice Civile) per la determinazione delle tabelle millesimali, il
riferimento al giardino non deve essere inteso con riguardo a tale bene in s e per s considerato,
ma agli innegabili riflessi che la sua destinazione durevole al servizio e/o allornamento del bene
principale determina in ordine al valore patrimoniale di questultimo.
BALCONI AGGETTANTI E BALCONI INCASSATI
I balconi aggettanti - e cio i balconi che sporgono dalla facciata del condominio - costituiscono prolungamento
dellappartamento dal quale si protendono e sono pertanto di propriet esclusiva. Conseguentemente, non
possono essere utilizzati salvo il consenso del proprietario del piano soprastante - per laggancio di tende da
sole, piante rampicanti, lampade per illuminazione e quantaltro.
Costituiscono al contrario propriet comune, le solette che dividono le terrazze a livello non aggettanti, incassate
cio nelledificio condominiale. Questo, in sintesi, il contenuto della sentenza della Cassazione 17 luglio 2007,
numero 15.913 la quale cassando la contraria sentenza del Tribunale - ha anche aggiunto che un bene
comune solo quando, per la sua funzione, destinato al servizio dellintero edificio condominiale.
La vicenda allesame del Supremo Collegio riguardava il caso del proprietario dellappartamento sottostante, che

aveva agganciato la propria tenda da sole alla parte inferiore della soletta del balcone aggettante del proprietario
sovrastante, convinto che la soletta - alla quale era agganciata la tenda - dovesse considerarsi comune ai due
appartamenti, a norma dellarticolo 1125 Codice Civile. Daltra parte, la soletta che divideva i due balconi aveva
la stessa struttura e funzione della soletta di piano che divideva i due appartamenti, sicch secondo il suo
ragionamento di essa dovevano ritenersi comproprietari e compossessori i proprietari dei due appartamenti,
luno allaltro soprastante.
Respingendo la tesi del condomino sottostante, la Cassazione, ha evidenziato, nella motivazione della sentenza,
che - al fine di accertare lassetto proprietario della soletta che divide due balconi - occorre verificare la funzione
del balcone soprastante rispetto al balcone sottostante e al resto delledificio, distinguendo tra terrazze sporgenti
e balconi incassati nel corpo condominiale.
Il principio non sempre tenuto presente dagli operatori, ancorch non sia nuovo: si veda, ad esempio, la
sentenza 30 luglio 2004, numero 14.576 in cui la Cassazione aveva gi avuto modo di chiarire che le terrazze
aggettanti, costituendo un prolungamento della corrispondente unit immobiliare, appartengono in via esclusiva
al proprietario di questultima. Soltanto i rivestimenti e gli elementi decorativi della parte frontale e di quella
inferiore devono considerasi comuni a tutti, quando si inseriscano nel prospetto delledificio e contribuiscano a
renderlo esteticamente gradevole.
In particolare, la soletta pu essere comune solo ove le terrazze svolgano contemporaneamente funzioni di
separazione, di copertura e di sostegno. In pratica, queste ultime funzioni sono assolte dai soli balconi incassati
nel corpo delledificio. In tali casi - vigendo una presunzione di comunione il proprietario del balcone
sottostante pu utilizzare la parte inferiore della soletta del balcone sovrastante per lancoraggio di telai, per la
collocazione di apparecchi per illuminazione, di attrezzature per piante rampicanti etc. Ma quando la struttura del
balcone sia completamente aggettante, alla soletta divisoria tra i due sporti pu riconoscersi solo la funzione di
copertura, non anche quella di sostegno dei piani sovrapposti. La sola funzione di copertura non rileva invece ai
fini della presunzione di comunione, di cui allarticolo 1125 Codice Civile. Tanto pi che la soletta crea, solo per
lappartamento sottostante, degli inconvenienti quali la riduzione della visuale verso lalto e la diminuzione del
soleggiamento.
La sentenza in commento non ha affrontato il tema strettamente connesso della ripartizione delle spese
manutentive dei balconi luno allaltro sovrastante, aggettanti o a livello. In tema per noto linsegnamento
giurisprudenziale secondo cui, nel caso di balconi aggettanti, poich la soletta di propriet esclusiva del
proprietario del balcone, questultimo che deve sopportarne integralmente i costi manutentivi, posto che tali
balconi, dal punto di vista strutturale, sono autonomi rispetto ai piani sovrapposti, nel senso che possono
sussistere indipendentemente dalla presenza o assenza di altro balcone nel piano sottostante o sovrastante (si
veda, tra le altre Cassazione 24 dicembre 1994, numero 11.155). I balconi non aggettanti sono invece equiparati
ai lastrici solari, sicch per le spese manutentive della soletta, occorre fare riferimento allarticolo 1126 del
Codice Civile (1/3 della spesa a carico del proprietario del balcone oggetto di riparazione, che lo utilizza come
calpestio e 2/3 della spesa a carico dei condomini proprietari dei balconi sottostanti, che si giovano della
copertura) si veda, tra le altre, Cassazione 15 luglio 2003, numero 11.029.
Sulla scorta dei principi evidenziati, la Cassazione - nella sentenza 15913/2007 - ha dunque ribadito il principio
di diritto secondo cui larticolo 1125 Codice Civile non pu trovare applicazione nel caso dei balconi aggettanti, i
quali sporgendo dalla facciata delledificio costituiscono solo un prolungamento dellappartamento dal quale
protendono; e non svolgendo alcuna funzione di sostegno, n di necessaria copertura delledificio (come,
viceversa, avviene per le terrazze a livello incassate nel corpo delledificio), non possono considerarsi a servizio
dei piani sovrapposti e, quindi, di propriet comune dei proprietari di tali piani; ma rientrano nella titolarit
esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono. Con la conseguenza che il proprietario dellappartamento
sito al piano inferiore, non pu agganciare le tende alla soletta del balcone aggettante sovrastante, se non con il
consenso del proprietario.
Risoluzione del contratto di locazione, apposizione di una clausola espressa Cass. sez. III, n. 2553 del 06/02/ 2007
In tema di risoluzione del contratto, l'apposizione a questo di una clausola risolutiva espressa non comporta
automaticamente lo scioglimento del contratto a seguito del previsto inadempimento, essendo sempre necessario, per l'art.
1218 c.c., l'accertamento dell'imputabilit dell'inadempimento al debitore almeno a titolo di colpa.

Recupero del sottotetto ad opera di un condomino con inglobamento di impianti condominiali


Trib. civ. Milano, 28 marzo 2006, n. 3868
Per il recupero del sottotetto, qualora i lavori effettuati dal condomino abbiano realizzato un'alterazione della
preesistente situazione di fatto, attraverso l'inglobamento di impianti comuni o comunque un loro spostamento
non autorizzato, si concreta una grave turbativa, se non addirittura un vero e proprio spoglio.
Ad integrare una molestia suscettibile di legittimare l'esercizio dell'azione possessoria di manutenzione sia
sufficiente un'attivit materiale o giuridica, consapevolmente posta dall'agente, la quale, in via diretta o indiretta
e con un apprezzabile contenuto di disturbo, comporti un diverso modo di essere del processo o del suo
esercizio, senza che detta attivit si sostanzi in una specifica violazione di legge.

Se l'amministratore si dimette o sfiduciato. Ecco come sostituirlo in un condominio rissoso evitando


vuoti di poteri A cura del commercialista Ennio Alessandro Rossi Frequentemente ho constatato che i
condomini non soddisfatti dell'amministratore in carica non riescono a nominarne uno nuovo a causa della
frammentazione delle candidature. Ci determina la difficolt di raggiungere il quorum previsto dalla legge per

la nomina del nuovo (voto favorevole della maggioranza dei partecipanti rappresentanti almeno 501 millesimi di
propriet, pi avanti per semplicit quorum).
TANTI CANDIDATI - In sede assembleare vengano
proposti diversi candidati. All'atto della (unica) votazione ogni condomino va per conto suo e nessuno dei
candidati ottiene voti sufficienti (quorum). Conclusione: rimane in carica l'amministratore sfiduciato. Cosa
prevede la Legge? Quando un condominio composto da pi di 4 proprietari obbligato ad avere un
amministratore. Se i comproprietari-condomini non riescono a nominarlo anche un solo condomino pu ricorrere
all'Autorit giudiziaria perch vi provveda. L'articolo 1129 del codice civile coordinato dall'articolo 1136 comma
4 e 2 dispone che la nomina deve essere approvata con voto favorevole della maggioranza dei votanti
rappresentanti almeno 501 millesimi. Lo stesso quorum vale per la sostituzione dell'amministratore
dimissionario o sfiduciato. Non raggiungendo il quorum rimane in carica pro-tempore il vecchio
amministratore seppure con poteri limitati alla sola amministrazione ordinaria. Tale negativa situazione si
verifica frequentemente dato che: 1) Convocando una nuova assemblea si rischia nuovamente di non raggiungere
il quorum per gli stessi motivi; 2)Il ricorso all'autorit giudiziaria non viene di fatto mai proposto da nessuno:
difficilmente un condmino si fa carico del problema, dedicando il tempo libero o lavorativo alla ricerca di un
avvocato esperto in materia; 3) L'eventuale amministratore nominato dal giudice potrebbe non riscontrare il
gradimento dei condomini. COME SE NE ESCE? - L'articolo 1129 indica solo l'obbiettivo (nomina
amministratore) ma lascia libere le modalit. Per tale motivo legittimo ritenere che alla nomina si possa
pervenire anche provando pi tentativi e pi votazioni, in sequenza logica. L'esempio che segue (le cui linee
potrebbero essere recepite nel regolamento condominiale) ci pare un criterio valido. Si ipotizza il caso del
condmino che vorrebbe venisse eletto il Suo candidato, ma che, in subordine, tramite successive ripetute
votazioni, esprime altre preferenze comunque gradite. Le votazioni, in estremo, poteranno indurre il condominio
a pronunciarsi sull'unico candidato rimasto, accettato, magari e solo, per evitare lo spettro del vuoto di potere.
Una simulazione illustra solo in apparenza complessa. L'esemplo ipotizza che ad ogni votazione nessun
candidato raggiunga i 501 millesimi e che i condomini presenti votino ogni volta anche se hanno gi votato in
precedenza. UN ESEMPIO - L'amministratore Z si e' dimostrato incapace. A fine anno, in sede assembleare,
singoli condmini propongono in alternativa il geom. A, il ragionier B; il dottor C, l'architetto D. Si procede alle
votazioni per la nomina del nuovo amministratore: 1) prima votazione: l'arch; D viene escluso visto che ha
ottenuto i minori consensi; 2) seconda votazione: viene escluso il dott. C per lo stesso motivo; 3) terza
votazione (ballottaggio fra il geom. A e il rag. B): il geometra A ottiene pi voti del rag. B, ma non raggiunge il
quorum minimo (se raggiunge il quorum il problema risolto); 4) quarta votazione: candidato unico geom. A).
La votazione pu spingersi fino a dover pronunciarsi sull'unico candidato rimasto al fine di fare un ultimo
tentativo.
EVITATO IL SALTO NEL BUIO - Ci consente di verificare la possibilit che lo stesso venga
accettato, in ultima istanza, anche da coloro che non lo avevano votato prima e che sono disposti a votarlo al solo
scopo di evitare l'eventualit che rimanga in carica pro-tempore il vecchio amministratore sfiduciato o per
evitare il salto nel buio rappresentato dalla nomina di uno sconosciuto (amministratore giudiziale nominato
dal giudice).
Gestione di condomini con un unico conto bancario
Cass. Sezione Tributaria Civile, Sentenza del 13
giugno 2007, n. 13819
"Per superare le presunzioni che caratterizzano gli accertamenti bancari, occorre che
la prova sia specifica rispetto alle movimentazioni risultanti dal conto corrente, non essendo sufficiente una
giustificazione generica legata al tipo di attivit del contribuente."
http://www.condominioweb.com/condominio/sentenza1117.ashx
L'amministratore non professionista esentato dall'i.v.a. Cassazione 1 giugno 2007, numero 12916 Ai
sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 5, comma 2 il compenso
dell'amministratore di condominio non va assoggettato ad I.V.A. solo se l'attivit venga espletata senza l'impiego
di mezzi organizzati, rientrando tale attivit, altrimenti, tra le prestazioni di servizi espletate nell'esercizio di arti
e professioni come tali assoggettabili all'imposta sul valore aggiunto .
Naturalmente il requisito dell'impiego
di mezzi organizzati sicuramente presente quando un soggetto si occupi dell'amministrazione di una pluralit di
condominii, non essendo pensabile che, in tal caso, l'attivit possa essere espletata senza l'utilizzazione
combinata di una pluralit di mezzi e senza il carattere di professionalit. Quindi non pu considerarsi svolta
nell'esercizio di arti e professioni, l'attivit dell'amministratore che venga espletata senza l'impiego di mezzi
organizzati. (cosa che normalmente accade quando l'amministrazione riguardi un solo condominio o un numero
limitato di condominii costituiti da un numero ristretto di proprietari).
Impugnazione della delibera assembleare posta a sostegno della ingiunzione di pagamento
Cass., sez.
III, n. 15425 del 10/07/2007 Tra la controversia avente ad oggetto l'impugnazione della delibera assembleare
posta a sostegno della ingiunzione di pagamento e il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per il
pagamento di oneri condominiali non sussiste alcun rapporto di pregiudizialit necessaria, tale da giustificare la
sospensione del procedimento di opposizione ai sensi dell'art. 295 cpc, tenuto conto che da un lato il diritto di
credito del condominio alla corresponsione delle quote condominiali non sorge con la delibera assembleare che
ne approva il riparto ma inerisce alla gestione dei beni e servizi comuni sicch l'eventuale venir meno della

delibera per invalidit se implica la perdita di efficacia del decreto ingiuntivo, non comporta anche la
insussistenza del diritto del condominio di pretendere la contribuzione delle spese per i beni e servizi comuni
erogati.
Approvazione e modifica di tabelle millesimali deliberative
Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2007, n. 4219
A differenza delle tabelle millesimali allegate al regolamento di condominio che abbiano natura convenzionale,
le tabelle millesimali deliberative richiedono per la loro approvazione e modifica la maggioranza di cui
all'articolo 1136 secondo comma del codice civile e sono soggette al rispetto dei criteri legali per la ripartizione
delle spese.
Sopraelevare un muro di cinta: il titolo edilizio lautorizzazione Consiglio di Stato , sez. V, sentenza
22.10.2007 n 5515 Il fatto che il territorio del Comune sia assoggettato a vincoli di carattere paesistico, di per
s non comporta l'assoggettamento di qualsiasi intervento al regime concessorio, ma solo l'inapplicabilit della
procedura cosiddetta di denuncia dellinizio dell'attivit, sempre che si dimostri l'esistenza di uno specifico
vincolo gravante sull'immobile oggetto dell'intervento. Il giudizio sulla assoggettabilit o meno dell'intervento in
questione al regime concessorio deve essere condotto alla stregua della natura dell'opera ed in particolare sulla
riconducibilit della stessa alla nozione di pertinenza, che l'art. 7 d.l. 23 gennaio 1982 n. 9, convertito in l. 25
marzo 1982 n. 94, assoggetta al regime autorizzatorio. La sopraelevazione del muro di cinta, di circa 1 metro di
altezza per la lunghezza di 20 metri, realizzato per sostituire la barriera metallica preesistente e quindi conferire
una migliore protezione alla propriet, senza alterare laltezza complessiva della recinzione medesima, non solo
conferma il gi acquisito vincolo pertinenziale ma rappresenta un intervento modesto che non viene ad incidere
sul carico urbanistico. Questo ci che il Consiglio di Stato, sezione V, ha avuto occasione di affermare quale
giudice di appello adito, nellinteresse del Comune soccombente in prime cure, per la riforma di una sentenza di
T.A.R. che aveva accolto un ricorso di annullamento di una ordinanza di demolizione di un innalzamento di un
muro perch ritenuto eseguito sine titulo e in violazione delle norme in materia di permessi di costruire. Il
Comune, nel proprio ricorso, sostiene a dire del Giudice amministrativo del gravame, erroneamente che
lesistenza di un piano paesistico ex l. n. 1497/1939 avrebbe impedito allappellata di realizzare tale intervento,
se non previa richiesta di un permesso di costruire; circostanza che, invero, non appare agevolmente sostenibile
laddove non sia dimostrato leffettivo interesse (e, dunque, lo specifico vincolo) sotteso alla protezione del bene
paesaggistico nel caso specifico. Inoltre, i Giudici di Palazzo Spada rilevano un ulteriore profilo di
infondatezza nelle pretese di riforma vantate dal Comune: si tratta, infatti, di stabilire la natura dellintervento, a
seconda della quale sar applicabile un regime giuridico differente ex d.P.R. n. 380/2001 e l. n. 94/1982, di tipo
concessorio ovvero autorizzatorio. Ecco, dunque, che lintervento, qualificato come opera di carattere
pertinenziale, sottoposta a semplice regime autorizzatorio e, pertanto, non presuppone il rilascio di un titolo
concessorio. Sul rilievo paesaggistico dellintervento (asserita violazione delle norme in materia di protezione
e valorizzazione del territorio nel quale rientra linterento) invece il Giudice invita lamministrazione a
muoversi con gli strumenti tipici della disciplina paesistica e a non fare uso degli strumenti attinenti ai profili
urbanistico-edilizi per ragioni e fini diversi da quelli per i quali la legge ne attribuisce facolt duso alla p.a.
(cosa che, evidentemente, costituirebbe sintomo di eccesso di potere per sviamento).
http://www.altalex.com/index.php?idnot=39636
Accertamento della provenienza del bene e responsabilit del notaio Tribunale Mantova, sentenza 30.07.2007
(Cristina Ravera) Il notaio professionalmente obbligato nei confronti dei propri clienti a compiere con
diligenza ogni indagine relativa agli atti di provenienza del bene oggetto del negozio giuridico, verificando, in
particolare, la condizione giuridica dei beni compravenduti.
Il principio affermato dal Tribunale di
Mantova in un caso singolare, in cui un notaio confeziona un atto pubblico di compravendita di un immobile di
propriet comune di due coniugi e assegnato ad uno di essi in sede di separazione personale, senza verificarne
accuratamente la condizione giuridica.
Nella lite la valutazione dei titoli di provenienza del bene ad
assumere importanza decisiva ai fini della sussistenza della responsabilit del notaio. In via preliminare, il
Tribunale rileva come la fattispecie di responsabilit che viene in rilievo sia di tipo aquiliano, essendo mancato
fra le parti un rapporto negoziale di natura professionale, idoneo a dar vita alla figura di responsabilit
contrattuale di cui all'art. 2236 cod. civ.. Il Tribunale osserva, infatti, che il notaio ha operato su incarico ricevuto
dall'altro coniuge, con la conseguenza che fra il professionista e l'attore non intervenuto alcun rapporto
contrattuale. Nel merito, il giudice di prime cure osserva come il comportamento tenuto dal notaio sia stato
caratterizzato da una negligente valutazione dei titoli di provenienza del bene. Il professionista si , infatti,
limitato ad acquisire il verbale di separazione personale dei coniugi nel quale si statuiva che "la casa coniugale
con tutti gli arredi in compropriet dei due coniugi, viene assegnata al marito" e che l'altro coniuge"ha rinunciato
a qualsiasi pretesa sullappartamento in compropriet con il coniuge A.". Egli ha, poi, redatto l'atto di
trasferimento dell'immobile senza il consenso del coniuge non assegnatario e senza menzionare nello stesso che
il coniuge assegnatario vende un bene del quale non titolare per intero del diritto di propriet.
La
circostanza, pacifica in giurisprudenza, secondo cui il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa
coniugale non comporta alcun trasferimento del diritto di propriet in capo al coniuge assegnatario, ma, al

contrario, fa sorgere in capo a questi un mero diritto personale di godimento, imponeva al notaio di accertare la
sussistenza di un atto di trasferimento della quota di propriet dal coniuge non assegnatario a quello
assegnatario, atto che, nel caso di specie, era mancato. In assenza di tale atto di trasferimento e non potendo
essere qualificato come tale il verbale di separazione personale dei coniugi contente il provvedimento di
assegnazione della casa coniugale, l'atto di compravendita redatto dal notaio si presenta, secondo il Tribunale,
alla stregua di atto di compravendita di cosa parzialmente altrui, disciplinato all'art. 1480 cod. civ.
La liceit e
validit di tale atto di compravendita vale, secondo il Tribunale, ad escludere la responsabilit aquiliana del
notaio, il quale non risponde, pertanto, dei danni lamentati dall'attore per non poter disporre del bene a causa
dellatto rogato. Il Tribunale ravvisa, al contrario, la sussistenza di una responsabilit aquiliana in capo al
coniuge alienante per aver venduto la quota dell'altro coniuge, senza notiziarlo n renderlo partecipe del negozio,
nonostante la consapevolezza dello stato giuridico del bene. http://www.altalex.com/index.php?idnot=39941

LE SPESE STRAORDINARIE NELLE LOCAZIONI ABITATIVE


Larticolo 23, comma 1, Legge 392/78 dettato in tema di locazioni abitative successivamente
abrogato dallarticolo 14, comma 4, Legge 431/98 disponeva che quando si eseguono
sullimmobile importanti e improrogabili opere necessarie per conservare ad esso la sua
destinazione o per evitare maggiori danni che ne compromettano lefficienza in relazione
alluso cui adibito, o comunque opere di straordinaria manutenzione di rilevante entit, il
locatore pu chiedere al conduttore che il canonevenga integrato con un aumento non
superiore allinteresse legale sul capitale impiegato nelle opere e nei lavori effettuati, dedotte
le indennit e i contributi di ogni natura che il locatore abbia percepito o che successivamente
venga a percepire per le opere eseguite. Il diritto allaumento decorreva dalla data di
ultimazione delle opere - se la richiesta era fatta entro trenta giorni dalla ultimazione
medesima ovvero, in mancanza, dal mese successivo a quello dellinvio al conduttore della
lettera contenente la richiesta di aumento del canone (articolo 23, comma 2, Legge 392/78).
Ove il locatore intendesse avvalersi dei benefici fiscali previsti dalla Legge 449/1997 e
successive modificazioni cosiddetto bonus del 36% per detrazione Irpef si riteneva corretto
calcolare laumento del canone, tenendo conto dei benefici fiscali di cui si era avvalso il
locatore. Questultimo doveva, in ogni caso, tenere a disposizione del conduttore salvo che
questultimo vi rinunciasse la documentazione relativa alle opere (cfr. Pretura di Milano, 5
marzo 1999). Laumento per le riparazioni straordinarie importanti e improrogabili o di
rilevante entit concorreva a determinare il canone contrattuale, sicch era destinato a
permanere sino alla cessazione del contratto.
In ogni caso, salvo che nel contratto di locazione sia inserita una clausola riproduttiva
dellabrogato articolo 23 Legge 392/78 pattuizione che sarebbe comunque legittima ed
efficace la materia delle spese straordinarie rimessa alla libera determinazione delle parti, o
in mancanza, agli articoli 1576 e 1609 Codice Civile.
Per larticolo 1576, comma 1, il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le
riparazioni necessarie eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del
conduttore. A sua volta, larticolo 1609 Codice Civile dispone che le riparazioni di piccola
manutenzione che a norma dellarticolo 1576 devono essere eseguite dallinquilino a sue
spese, sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dalluso e non quelle dipendenti da
vetust o da caso fortuito.
In ordine allinterpretazione degli articoli 1576 e 1609 Codice Civile, la giurisprudenza ha
esemplificativamente ribadito che la riparazione degli infissi esterni, delle persiane o delle
porte di ingresso dellimmobile locato, non rientra tra quelle di piccola manutenzione che
larticolo 1576 Codice Civile pone a carico del conduttore, perch i danni riportati da essi, a
meno che non siano dipendenti da uso anormale dellimmobile devono piuttosto presumersi
dovuti a caso fortuito o a vetust e debbono essere conseguentemente riparati dal locatore
(Tribunale di Salerno, 24 novembre 2006). Nello stesso senso, si veda Cassazione 27 luglio
1995, numero 8.191, secondo cui la riparazione degli infissi esterni non rientra tra quelle di
piccola manutenzione a meno che il loro ammaloramento non sia dipendente da uso anormale
dellimmobile del conduttore.
Sempre secondo la giurisprudenza, le stecche rotte dellavvogibile di una tapparella,
costituente chiusura esterna di una finestra o balcone dellimmobile locato, non rientra di
regola tra le spese di piccola riparazione, che ai sensi dellarticolo 1609 Codice Civile, sono a
carico del conduttore, giacch nel processo di deterioramento di detta parte di chiusura (al
contrario di quanto si verifica per le altre parti, come per esempio la cinghia), normalmente

hanno rilievo preponderante non luso, bens altri fattori, ed in particolare gli agenti
atmosferici (cio il caso fortuito) e la qualit del materiale (Pretura di Milano, 20 ottobre
1990).
Per la giurisprudenza, non rientrano neanche, tra le riparazioni di piccola manutenzione, a
carico dellinquilino a norma dellarticolo 1609 Codice Civile, quelle relative agli impianti
interni alla struttura del fabbricato (elettrico, idrico, termico), per lerogazione di servizi
indispensabili al godimento dellimmobile atteso che, mancando un contatto diretto del
conduttore con detti impianti, eventuali guasti manifestatisi improvvisamente e non dipendenti
da colpa dellinquilino per uso anormale della cosa locata, devono essere imputati a caso
fortuito o a vetust (cfr. Cassazione 19 gennaio 1989, numero 271). N vi rientrano le spese di
imbiancatura, verniciatura, raschiatura dei pavimenti in marmo che sono a carico del locatore
(cfr. Cassazione 17 ottobre 1992, numero 11.401).
E, dunque, non sempre agevole stabilire, nel caso concreto, se si sia in presenza di piccola
manutenzione, di manutenzione ordinaria o straordinaria sicch, in assenza di giurisprudenza
specifica, pu soccorrere, alla specie, come valido parametro interpretativo, la Tabella,
allegato G, al Decreto Ministero delle infrastrutture 30 dicembre 2002, dettata per la diversa
tipologia delle locazioni convenzionate (articolo 2, comma 3, Legge 431/98), che di seguito si
riporta, precisando che L sta per locatore e C per conduttore
AMMINISTRAZIONE
Tassa occupazione suolo pubblico per passo carrabile
Tassa occupazione suolo pubblico per lavori condominiali
ASCENSORE
Manutenzione ordinaria e piccole riparazioni
Installazione e manutenzione straordinaria degli impianti
L
Adeguamento alle nuove disposizioni di legge
Consumi di energia elettrica per forza motrice e illuminazione
C
Ispezioni e collaudi
AUTOCLAVE
Installazione e sostituzione integrale dell'impianto o di componenti primari
(pompa, serbatoio, elemento rotante, avvolgimento elettrico ecc.)
L
Manutenzione ordinaria
Imposte e tasse di impianto
Forza motrice
Ricarico pressione del serbatoio
Ispezioni, collaudi e lettura contatori
IMPIANTI DI ILLUMINAZIONE, DI VIDEOCITOFONO E SPECIALI
Installazione e sostituzione dell'impianto comune di illuminazione
L
Manutenzione ordinaria dell'impianto comune di illuminazione
C
Installazione e sostituzione degli impianti di suoneria e allarme
L
Manutenzione ordinaria degli impianti di suoneria e allarme
C
Installazione e sostituzione dei citofoni e videocitofoni
L
Manutenzione ordinaria dei citofoni e videocitofoni
Installazione e sostituzione di impianti speciali di allarme,
sicurezza e simili
Manutenzione ordinaria di impianti speciali di allarme,
sicurezza e simili
IMPIANTI DI RISCALDAMENTO, CONDIZIONAMENTO, PRODUZIONE ACQUA
CALDA, ADDOLCIMENTO ACQUA
Installazione e sostituzione degli impianti
Adeguamento degli impianti a leggi e regolamenti
Manutenzione ordinaria degli impianti, compreso il rivestimento refrattario C
Pulizia annuale degli impianti e dei filtri e messa a riposo stagionale
C
Lettura dei contatori
Acquisto combustibile, consumi di forza motrice, energia elettrica e acqua
C
IMPIANTI SPORTIVI
Installazione e manutenzione straordinaria
Addetti (bagnini, pulitori, manutentori ordinari ecc.)
C
Consumo di acqua per pulizia e depurazione; acquisto di materiale
per la manutenzione ordinaria (es.: terra rossa)
C
IMPIANTO ANTINCENDIO
Installazione e sostituzione dell'impianto
L
Acquisti degli estintori
L
Manutenzione ordinaria
Ricarica degli estintori, ispezioni e collaudi
IMPIANTO TELEVISIVO
Installazione, sostituzione o potenziamento dell'impianto televisivo
centralizzato
Manutenzione ordinaria dell'impianto televisivo centralizzato
C
PARTI COMUNI
Sostituzione di grondaie, sifoni e colonne di scarico
L
Manutenzione ordinaria grondaie, sifoni e colonne di scarico
C
Manutenzione straordinaria di tetti e lastrici solari
L
Manutenzione ordinaria dei tetti e dei lastrici solari
C
Manutenzione straordinaria della rete di fognatura
L
Manutenzione ordinaria della rete di fognatura, compresa la disotturazione
dei condotti e pozzetti
Sostituzione di marmi, corrimano, ringhiere
L

C
L
C
L
C

C
L

C
C

C
L
C
L
L
C

C
L

Manutenzione ordinaria di pareti, corrimano,


ringhiere di scale e locali comuni
C
Consumo di acqua ed energia elettrica per le parti comuni
C
Installazione e sostituzione di serrature
L
Manutenzione delle aree verdi, compresa la riparazione
degli attrezzi utilizzati
Installazione di attrezzature quali caselle postali, cartelli segnalatori,
bidoni, armadietti per contatori, zerbini, tappeti, guide e
altro materiale di arredo
Manutenzione ordinaria di attrezzature quali caselle postali, cartelli
segnalatori, bidoni, armadietti per contatori, zerbini, tappeti, guide
e altro materiale di arredo
PARTI INTERNE ALL'APPARTAMENTO LOCATO
Sostituzione integrale di pavimenti e rivestimenti
L
Manutenzione ordinaria di pavimenti e rivestimenti
C
Manutenzione ordinaria di infissi e serrande, degli impianti di
riscaldamento e sanitario
C
Rifacimento di chiavi e serrature
C
Tinteggiatura di pareti
Sostituzione di vetri
Manutenzione ordinaria di apparecchi e condutture di elettricit
e del cavo e dell'impianto citofonico e videocitofonico
C
Verniciatura di opere in legno e metallo
C
Manutenzione straordinaria dell'impianto di riscaldamento
L
PORTIERATO
Trattamento economico del portiere e del sostituto, compresi contributi
previdenziali e assicurativi, accantonamento liquidazione, tredicesima,
premi, ferie e indennit varie, anche locali, come da c.c.n.l.
L10% C90
Materiale per le pulizie
Indennit sostitutiva alloggio portiere prevista nel c.c.n.l.
L10% C90
Manutenzione ordinaria della guardiola
L10% C90
Manutenzione straordinaria della guardiola
L
PULIZIA
Spese per l'assunzione dell'addetto
L
Trattamento economico dell'addetto, compresi contributi previdenziali
e assicurativi, accantonamento liquidazione, tredicesima, premi,
ferie e indennit varie, anche locali, come da c.c.n.l.
C
Spese per il conferimento dell'appalto a ditta
L
Spese per le pulizie appaltate a ditta
C
Materiale per le pulizie
Acquisto e sostituzione macchinari per la pulizia
L
Manutenzione ordinaria dei macchinari per la pulizia
C
Derattizzazione e disinfestazione dei locali legati
alla raccolta delle immondizie
Disinfestazione di bidoni e contenitori di rifiuti
C
Tassa rifiuti o tariffa sostitutiva
Acquisto di bidoni, trespoli e contenitori
L
Sacchi per la preraccolta dei rifiuti
C
SGOMBERO NEVE
Spese relative al servizio, compresi i materiali d'uso
C

C
L
C

C
C

C
C

NELLE LOCAZIONI LIBERE LE SPESE SONO RIMESSE ALLA LIBERA


DETERMINAZIONE DELLE PARTI
A seguito dellabrogazione degli articoli 23 e 79, Legge 392/78, la materia delle spese di
manutenzione straordinaria nelle locazioni cosiddette libere rimessa alla determinazione
delle parti. Queste ultime possono anche stabilire, in deroga agli articolo 1576 e 1609 Codice
Civile, che tutte le spese di manutenzione, tanto ordinaria che straordinaria, siano accollate al
conduttore.
E ci in analogia con quanto accade per le locazioni cosiddette ad uso diverso da quello di
abitazione. Si veda, in questo senso, Tribunale di Milano, 8 marzo 2007, numero 3.099,
secondo cui legittima la pattuizione che in deroga agli articoli 1576 e 1609 Codice Civile
pone a carico del conduttore lesecuzione di tutte le riparazioni necessarie a mantenere
limmobile in buono stato locativo e ad effettuare le opere di manutenzione ordinaria e
straordinaria. Nello stesso senso si veda, tra le altre, Cassazione 30 aprile 2005, per la quale,
poich nelle locazioni commerciali non trova applicazione larticolo 23 Legge 392/78 che
disciplina le riparazioni straordinarie per gli immobili ad uso di abitazione, n stabilita la
predeterminazione legale del canone, non incorre nella sanzione di nullit sancita dallarticolo
79 Legge numero 392 del 1978, la pattuizione che pone a carico del conduttore sia la
manutenzione ordinaria che quella straordinaria.
Non sussiste invece alcuna libert nella determinazione degli oneri accessori, per le locazioni
cosiddette convenzionate di cui allarticolo 2, comma 3, Legge 431/98, nonch per le locazioni
transitorie e per studenti universitari, di cui allarticolo 5, commi 1 e 2, Legge 431/98. Per esse
occorre fare riferimento al Decreto Ministero delle Infrastrutture, 30 dicembre 2002 e relativo
allegato. Larticolo 4, del richiamato Decreto Ministeriale, dispone in particolare che per i
contratti di locazione di cui agli articoli 1, 2 e 3 adottata la Tabella degli oneri accessori

allegata al presente decreto (Allegato G). Per le voci non considerate nella citata tabella si
rinvia alle leggi vigenti e agli usi locali (in tema, si vedano anche i contratti-tipo allegati al
Decreto Ministeriale).
RIFERIMENTI NORMATIVI
Codice Civile;
Legge 27 luglio 1978, numero 392;
Legge 27 dicembre 1997, numero 449;
Legge 9 dicembre 1998, numero 431;
Decreto Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, 30 dicembre 2002;
Tribunale di Milano, 8 marzo 2007, numero 3.099;
Tribunale di Salerno, 24 novembre 2006;
Cassazione 30 aprile 2005, numero 9019;
Pretura di Milano 5 marzo 1999;
Cassazione 27 luglio 1995, numero 8.191;
Cassazione 17 ottobre 1992, numero 11.401;
Pretura di Milano, 20 ottobre 1990;
Cassazione 19 gennaio 1989, numero 271.
avv. Matteo Rezzonico
www.studiolegalerezzonico.it
Quando aprire un varco nel muro condominiale integra un abuso del diritto Cassazione
civile , sez. II, sentenza 19.12.2007 n 26796 (Clorinda Di Franco)
Il condomino che apre un varco nel muro condominiale per accedere ad un immobile di sua
propriet esclusiva compie un abuso del diritto?
Quando aprire un varco nel muro condominiale integra un abuso del diritto
(Cass. Civ., Sez. II, 25 ottobre 2006 19 dicembre 2007, n. 26796)
Il quesito:
* Il condomino che apre un varco nel muro condominiale per accedere ad un
immobile di sua propriet esclusiva compie un abuso del diritto? Il caso
Il Signor A. N. proprietario di un appartamento facente parte di un complesso condominiale
a Massafra; ad un certo punto lamenta il fatto che la signora G. R., proprietaria di un
appartamento dello stesso condominio, apre un varco nel muro condominiale al fine di
consentire il passaggio ad un immobile limitrofo di sua propriet esclusiva, cui peraltro
possibile accedere attraverso la strada pubblica.
Il signor A., con atto del 3 giugno 1994, cita in giudizio dinnanzi al Tribunale di Taranto la
signora G., al fine di opporsi alla servit di passaggio illegittimamente da lei apposta e di
ottenere la condanna al ripristino dello stato dei luoghi mediante la chiusura del varco.
Ladito Tribunale tarantino accoglie la domanda attorea con sentenza depositata il 17 luglio
2000, avverso la quale la sig. G. propone gravame.
La Corte di appello di Lecce accoglie lappello, rigettando la domanda proposta dal sig. A..
Ad avviso dei giudici leccesi lapertura del varco sul muro condominiale non comporterebbe
lestensione del diritto della sig. G. sulla cosa comune in danno delloriginario attore, la cui
facolt di godimento non viene intaccata.
Il signor A., non contento della decisione del giudice di appello, ricorre per cassazione.
Inquadramento della problematica
Ecco in sintesi la questione di diritto demandata allesame della Corte:
Pu uno dei condomini aprire un varco nel muro comune al fine di consentire laccesso
ad un immobile limitrofo, estraneo al condominio ed oggetto di sua propriet esclusiva?
Le seconda sezione civile risolve la questione controversa nel modo seguente:
Lapertura di un varco nel muro condominale da parte di uno dei condomini al fine di
consentire laccesso ad un immobile estraneo al condominio integra la violazione dellart.
1102 del c.c., dettato per la comunione ed applicabile anche al condomino. A norma di esso
ciascuno dei partecipanti alla comunione pu fare uso della cosa comune, senza tuttavia
alterarne la destinazione ed impedirne il godimento agli altri partecipanti. Inoltre, pu
apportare modifiche alla cosa comune, purch necessarie a garantirne il miglio godimento.
Il muro condominiale, per effetto dellapertura del varco, subisce un mutamento della
destinazione di uso, in quanto trattandosi di muro perimetrale viene distolto dalla sua naturale
funzione di recinzione del condominio per asservire a passaggio in favore di un immobile
estraneo al condomino. Pertanto, deve ritenersi vietato al singolo condomino operare simili

modifiche senza avere acquisito preventivamente il consenso degli altri condomini.


In definitiva, il condomino che, senza il preventivo consenso degli altri condomini,
apre un varco sul muro condominiale al solo fine di agevolare laccesso ad un immobile di sua
propriet compie un abuso del diritto.
Labuso non sussiste invece nel caso diverso in cui il varco aperto al fine di accedere
ad un immobile facente parte del complesso condominiale, atteso che in questo caso si tratta di
agevolare luso ed il godimento della cosa comune da parte di tutti i condomini.
Nello stesso senso la giurisprudenza dominante che in pi occasioni pervenuta alla
conclusione dellillegittimit, ai sensi del citato art. 1102 c.c. di simili opere eseguite sul muro
perimetrale condominiale tutte le volte in cui il suolo o il fabbricato cui sia dato accesso
costituisca ununit immobiliare estranea al condominio, ancorch appartenente ad uno dei
condomini (Cass. 9036/06, 360/05, 2773/92, 5780/88).
Ne consegue che la sentenza impugnata va cassata non avendo essa applicato
correttamente lart. 1102 c.c. In particolare, merita censura laffermazione secondo cui il
lapertura del varco sul muro di recinzione non avrebbe comportato la violazione dellart.
1102 c.c., non risultando compresso per effetto di essa il diritto delloriginario attore.
Per questi motivi, i giudici della seconda sezione civile accolgono il ricorso con rinvio
della decisione ad altra sezione della Corte di appello di Lecce che dovr uniformarsi al
principio di diritto esposto nella sentenza e che pu essere sintetizzato nella seguente
massima: il condomino che apre un varco nel muro comune per consentire un accesso ad un
immobile limitrofo, estraneo al condominio e di sua propriet esclusiva compie un abuso,
perch in tal modo costituisce in suo favore, e in pregiudizio degli altri condomini e delle cosa
omune una servit di passaggio.
Revocatoria fallimentare, contratto preliminare, momento dellaccertamento Cassazione civile , sez. I,
sentenza 29.01.2008 n 2005
Revocatoria fallimentare contratto preliminare momento dellaccertamento
insussistenza contratto definitivo momento dellaccertamento sussistenza
Nel caso in cui siano
stipulati prima un contratto preliminare di compravendita, poi il contratto definitivo, l'accertamento degli
elementi e dei presupposti dell'azione revocatoria fallimentare, anche in riferimento alla conoscenza
dell'insolvenza, deve essere compiuto con riguardo al secondo, quale negozio in virt del quale si verifica il
trasferimento definitivo del diritto di propriet, non anche al contratto preliminare di vendita.
(1) In
materia di revocatoria fallimentare e cambiale, si veda Cassazione civile 16213/2007.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=40191
Vano condominiale ad uso centrale termica, pertinenza, richiede autorizzazione gratuita TAR Lazio, sez.
II bis, sentenza 26.06.2007 n 5779 (Alessandro Del Dotto)
In primo luogo va rilevato che il condominio
procedente aveva presentato richiesta di accertamento di conformit per gli interventi eseguiti, ai sensi dellart.
13 della legge n. 47 del 1985 e quindi, in base ad un consolidato principio giurisprudenziale, lAmministrazione
non poteva adottare provvedimenti sanzionatori prima di essersi pronunciata su detta richiesta. Il provvedimento
impugnato ha ad oggetto un intervento di modesta entit relativo alla copertura della centrale termica,
costituente, dunque, chiaramente volume tecnico e pertinenza della costruzione, per il rapporto di durevole
subordinazione con la res principale. Va ricordato, come evidenziato dalla parte istante, che le pertinenze e gli
altri tipi di interventi edilizi indicati dall'art. 7 del decreto-legge n. 9 del 1982 sono assoggettati ad
autorizzazione gratuita e non a concessione edilizia. In particolare, il secondo comma del medesimo art. 7 del
decreto-legge n. 9 del 1982 precisa ed estende l'ambito degli interventi soggetti ad autorizzazione,
comprendendo tra essi anche "le opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di edifici gi
esistenti" (lettera a). Questa la decisione del T.A.R. Lazio in ordine ad un ricorso promosso da un
condominio per lannullamento di una ordinanza di demolizione di un vano, adibito ad uso centrale termica e di
modestissime dimensioni. Oltre allobiter circa il rapporto fra avviato procedimento di sanatoria e ordinanza di
demolizione del manufatto (comunque da segnalare), preme rilevare come tale tipologia di intervento edilizio
sia, comunque, esente dalla necessit di richiesta di titolo abilitativo ricadente nel novero delle autorizzazioni
onerose o, comunque, delle D.I.A. o dei P.d.C.. http://www.altalex.com/index.php?idnot=39963

Condominio, lastrico solare, infiltrazioni, danni, obbligo risarcitorio, condomini Cassazione civile
, sez. III, sentenza 13.12.2007 n 26239 Condominio lastrico solare infiltrazioni danni
obbligo risarcitorio condomini [art. 1126 c.c.] In tema di condominio di edifici la terrazza a livello
anche se di propriet o di uso esclusivo di un singolo condomino assolve alla stessa funzione di
copertura del lastrico solare posto alla sommit dell'edificio nei confronti degli appartamenti

sottostanti. Ne consegue che anche se appartiene in propriet o se attribuito in uso esclusivo ad uno
dei condomini, all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i
condomini, in concorso con il proprietario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei
danni cagionati all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico,
deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di
conservazione, secondo le proporzioni stabilite dal cit. art. 1126, vale a dire, i condomini ai quali il
lastrico serve da copertura, in proporzione dei due terzi, ed il titolare della propriet o dell'uso
esclusivo, in ragione delle altre utilit, nella misura del terzo residuo. (1) (2) (3) (1) In materia di vizi
della cosa locata, si veda Cassazione civile 11198/2007. (2) In materia di condominio, si veda il Focus:
Il condominio: i recenti orientamenti giurisprudenziali. (3) Interessante Pittaluga: Ripartizione delle
spese occorrenti per la manutenzione delle terrazze a livello.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=39507
Condominio, spazi destinati a parcheggio, trasferimento ex lege Cassazione civile , sez. III,
sentenza 06.09.2007 n 18691 Condominio spazi destinati a parcheggio trasferimento ex lege
integrazione del prezzo venditore legittimit terzo acquirente illegittimit [art. 18 L.
765/1967] In tema di spazi riservati a parcheggio, il trasferimento per legge a favore degli acquirenti
delle singole unit abitative del diritto di uso del parcheggio, obbliga costoro ad un integrazione del
prezzo, per riequilibrare il sinallagma funzionale del contratto. Ne deriva che la somma in eccedenza
spetta al venditore originario ma non al terzo, successivo acquirente dell'area, che estraneo al
sinallagma contrattuale. http://www.altalex.com/index.php?idnot=39388
QUANDO SI PUO APRIRE UN VARCO SUL MURO PERIMETRALE CHE DIVIDE DUE PROPRIETA
DIVERSE
Il condomino che apre un varco, nel muro perimetrale di un edificio condominiale a parte non mutare la
destinazione del muro, non compromettere la sua sicurezza statica e il decoro architettonico non deve creare
una servit in danno del condominio e a favore di un altro fondo, anche se di propriet del condomino. La
costituzione di una servit comporta infatti il necessario consenso scritto di tutti i condomini, a norma dellarticolo
1350 Codice Civile. Lo ha ribadito la sentenza della Cassazione 19 dicembre 2007, numero 26.796.
Nel caso esaminato dalla Corte, un condomino aveva citato in giudizio altro condomino, che aveva aperto un
varco nel muro perimetrale condominiale, mediante il quale era possibile - attraverso lantistante cortile comune raggiungere un contiguo immobile di sua esclusiva propriet. In primo grado, il Tribunale aveva accolto la
domanda, dichiarando illegittima lapertura del varco.
La Corte di Appello aveva per riformato la sentenza del Tribunale, puntualizzando che lapertura del varco, nel
muro perimetrale, rappresenta una delle facolt consentite dallarticolo 1102 Codice Civile, senza che possa
avere rilevanza il fatto che le due unit limitrofe, messe in comunicazione dal varco, siano comprese in due
propriet diverse. A giudizio della Corte di Appello, infatti, il varco non impedisce il pari diritto qualitativo degli
altri condomini di usare del cortile come passaggio, n provoca una illegittima estensione del diritto degli altri
condomini sul muro comune.
Con sentenza 26796/2007, la Suprema Corte ha per cassato la sentenza della Corte di Appello, richiamando il
proprio precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui illegittima lapertura di un varco praticata nel
muro perimetrale delledificio condominiale dal comproprietario per mettere in comunicazione un locale di
propriet esclusiva ubicato nel medesimo fabbricato con altro immobile di sua propriet estraneo al condominio;
infatti tale utilizzazione, comportando la cessione a favore di soggetti estranei al condominio del godimento di un
bene comune, ne altera la destinazione, giacch in tal modo viene imposto un peso sul muro perimetrale che d
luogo a una servit, per la cui costituzione necessario il consenso scritto di tutti i partecipanti al condominio
(Cassazione 19 aprile 2006, numero 9.036).
E, dunque, si legge nella motivazione della sentenza della Corte, 26.796/2007, deve essere censurata, per
evidente carenza argomentativa, laffermazione esposta nella sentenza impugnata, secondo la quale laccesso
attraverso un cortile condominiale, mediante un varco praticato nel relativo muretto di recinzione, ad una
limitrofa unit immobiliare appartenente alla condomina..non violerebbe larticolo 1102 Codice Civile, non
estendendo il diritto della condomina sulla cosa, n impedendo il concorrente diritto di passaggio allaltro
condomino. Tale affermazione potrebbe essere valida solo nel caso, non individuabile nel contenuto della
decisione impugnata, in cui la confinante unit immobiliare facesse parte del complesso condominiale de quo,
ipotesi nella quale la natura comune e la funzione del cortile sarebbero compatibili con laccesso ad uno degli
immobili costituenti il condominio, risultando invece palesemente in contrasto con il sopra affermato principio
giurisprudenziale, in riferimento agli articoli 1102 e 949 Codice Civile, nella diversa ipotesi in cui lunit
immobiliare alla quale si dato accesso sia estranea al condominio.
E, dunque, bene aveva fatto il condomino, che si era ritenuto danneggiato, ad avvalersi dellarticolo 949 Codice
Civile, per il quale il proprietario o il comproprietario pu agire per far dichiarare linesistenza di diritti affermati da
altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio.
E ci nella considerazione che ciascun condomino pu esercitare singolarmente la azioni, sia reali che
personali, a difesa o a vantaggio della cosa comune senza necessit di integrare il contraddittorio nei confronti
di tutti i partecipanti alla comunione, poich il diritto di ciascun condomino investe la cosa comune nella sua
interezza (Cassazione 17 novembre 1999, numero 12.767).

Tutti i condomini sono coinvolti nelle liti sullo scioglimento del supercondominio
La
rappresentanza in giudizio attribuita allamministratore del condominio rispetto a qualunque azione
concernente le parti comuni delledificio, non si estende allazione di scioglimento del condominio,

prevista dagli articoli 61 e 62 Disposizioni di Attuazione del Codice Civile. Cos si espressa la
sentenza della Cassazione 23 gennaio 2008, numero 1.460.
Nel caso specifico, lo scioglimento di
un supercondominio costituito da pi palazzi, coinvolge i diritti reali dei singoli e necessita della
presenza in giudizio di tutti i condomini, in modo tale che ciascuno possa integrare il
contraddittorio, cio dire la propria sullargomento La vertenza contrapponeva il supercondominio,
rappresentato dallamministratore, e alcuni condomini che chiedevano lo scioglimento del
condominio e la costituzione di due autonomi condomini. Il legale del supercondominio si opponeva
alla richiesta dei condomini, asserendo che lo scioglimento non era praticabile, posto che larea a
giardino e larea a box - oltre ad alcuni servizi fondamentali, quali lacqua, luce, attacco antincendio erano parti comuni indivisibili. Non solo. Il regolamento di condominio contrattuale non avrebbe
consentito lo scioglimento.
Su queste motivazioni la Cassazione non si espressa: si limitata a a
confermare quanto stabilito nella sentenza della Corte di Appello che aveva, giustamente, affermato
che lintero giudizio in Tribunale, che consentiva lo scioglimento era da considerarsi nullo. Infatti a
tale giudizio aveva preso parte, in rappresentanza del supercondominio, solo lamministratore e non
tutti i condomini. Infatti la rappresentanza giudiziale, come delineata dagli articoli 1130 e 1131
Codice Civile, in un caso simile non opera.
Secondo la Cassazione, infatti, lo scioglimento del
condominio determina la perdita del diritto su talune cose, servizi ed impianti da parte di alcuni
condomini, la cui quota si accresce con quella degli altri, con conseguente modificazione
proporzionale del diritto di godimento sulle cose comuni e del correlativo obbligo di partecipazione
alle spese.
Interpretazioni di dottrina valutano che tali nuovi millesimi, che scaturiscono da una
decisione assembleare non assunta allunanimit, si riferiscono alla gestione frazionata della
propriet, costituendo il riferimento rispetto alla nuova ripartizione delle spese. Tuttavia i millesimi
del supercondominio continuano, in ombra, ad esistere e potrebbero saltar fuori ancora, quando
certe decisioni dovessero comportare il loro coinvolgimento (pensiamo ad esempio a controversie
rispetto al fatto di stabilire una nuova servit sulle parti comuni supercondominiali).
Quindi lo
scioglimento del condominio cosa diversa dalla divisione, la quale determina, come effetto tipico, il
trasferimento del diritto in senso proprio e la sostituzione della propriet solitaria alla compropriet.
La pronuncia della Corte, non richiedendolo la vertenza, non andata quindi al di l della semplice
questione della rappresentanza processuale e non entrata nel merito delle complesse problematiche
relative al merito dello scioglimento del condominio che, in attesa della preannunciata riforma, sono
importanti e molteplici. In realt, lo scioglimento del condominio tipizzato dagli articoli 61 e 62
Disposizioni di attuazione del codice civile nel senso che qualora un edificio o un complesso di
edifici appartenenti per ciascun piano o porzione di piano a proprietari diversi si possano dividere in
parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio pu essere sciolto e i proprietari
di ciascuna parte possono costituirsi in condomini autonomi e separati, quantomeno sotto laspetto
gestionale. In questottica, gli articoli 61 e 62 non fanno eccezione ai divieti stabiliti dagli articoli
1111 Codice Civile (scioglimento della comunione) e 1119 (indivisibilit delle parti comuni), ma
costituiscono solo un caso particolare in cui si applica comunque una disciplina coerente al sistema. Il
che significa che ove non vi sia una esigenza strutturale o funzionale che renda necessario
linstaurarsi o il mantenimento di un unico condominio tra tutti i comproprietari delle singole unit
immobiliari, consentito che questi, quantomeno sotto laspetto gestionale, si organizzino in
condomini autonomi.
Sulla natura giuridica della Dia e sulla tutela del terzo
TAR Emilia Romagna-Bologna, sez.
I, sentenza 02.10.2007 n 2253
Secondo i Giudici bolognesi, la denuncia di inizio attivit (Dia) non da considerare strumento di
liberalizzazione dellattivit, ma rappresenta uno strumento di semplificazione procedimentale che
consente al privato di conseguire un titolo abilitativo a seguito del decorso di un termine (30 giorni)
dalla presentazione della denuncia.
Pertanto, nel caso della Dia, con il decorso del termine si forma una autorizzazione implicita di natura
provvedimentale, che pu essere contestata dal terzo entro lordinario termine di decadenza di
sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del perfezionamento della Dia o
dallavvenuta conoscenza del consenso (implicito) allintervento oggetto di Dia.
Il T.A.R. Bologna, con la sentenza 2253/2007, aggiunge che un esplicito riconoscimento della natura
provvedimentale della Dia stato fornito dal legislatore, il quale ha modificato lart. 19, della legge
n. 241/90 - con lart. 3 del D.L. 14 marzo 2005 n. 35, convertito dalla L. 14 maggio 2005 n. 80,
prevedendo in relazione alla Dia il potere dell'amministrazione competente di assumere
determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-nonies.
Pertanto, una volta perfezionatasi la Dia con il decorso del termine prescritto, il potere di controllo
della P.A. sulla stessa non pu che esprimersi nelle suddette forme tipiche dellautotutela
amministrativa in applicazione dei principi, ora normativamente sancita dalla suddetta normativa, nel
rispetto dei presupposti dalla stessa previsti.

Il T.A.R. Bologna sposa lindirizzo interpretativo seguito dalla VI Sezione del Consiglio di Stato
(dec. n. 1550/2007) che ha, infatti, superato il prevalente e precedente indirizzo giurisprudenziale che
optava per la natura privatistica della Dia e che, pertanto, escludeva che il terzo potesse seguire la
strada dellimpugnazione innanzi al TAR della denuncia di inizio attivit (ex multis, cfr. Cons. Sato
sez IV n. 3916/2005; Cons. Stato sez. V n. 3586/2006; Cons. Stato sez. V n. 948/2007).
La VI Sezione aveva adottato tale iter logico-argomentativo: revoca ed annullamento dufficio sono,
certamente, provvedimenti amministrativi di secondo grado; salvo che non si ritenga di interpretare la
disposizione nel senso che gli stessi possano essere adottati solo nei confronti dei provvedimenti che
lamministrazione emana allesito del vaglio sulla Dia ( ad es, divieto di prosecuzione dellattivit),
risulta assai difficile sostenere che provvedimenti di secondo grado possano intervenire su una
fattispecie in cui manca un atto equiparabile ad un provvedimento.
Citando le parole del Consiglio di Stato: .se ammesso lannullamento dufficio, parimenti, e
tanto pi, deve essere consentita lazione di annullamento davanti al GA.
Il Consesso amministrativo, infatti, fa propria la tesi che vede nella Dia unautorizzazione implicita di
natura provvedimentale che pu, conseguentemente, essere impugnata dal terzo nellordinario
termine di decadenza di sessanta giorni (cfr. Cons. Stato, sez. V n. 172/2003; Tar Piemonte n.
1885/2006).
Da qui la considerazione per cui la Dia non strumento di liberalizzazione dellattivit ma
rappresenta una semplificazione procedimentale, che consente al privato di conseguire un titolo
abilitativo a seguito di un termine (30 giorni) dalla presentazione della denuncia.
Nel caso della Dia, con il decorso del termine, si forma una autorizzazione implicita di natura
provvedimentale. La liberalizzazione di determinate attivit economiche, invece, cosa diversa e
presuppone che non sia necessaria la formazione di un titolo abilitativo.
E, pertanto, ammissibile il ricorso proposto avverso il titolo abilitativi, formatosi a seguito di Dia,
entro lordinario termine di decadenza di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione al terzo del
perfezionamento della Dia o dallavvenuta conoscenza del consenso implicito allintervento oggetto
di Dia.
In conclusione, se sul versante della tutela giustiziale la possibilit di intraprendere direttamente
lazione giudiziale di annullamento pu fornire a chi patisce nocumento dallattivit intrapresa a
seguito di Dia maggiori possibilit di poter ottenere una celere soddisfazione della propria pretesa
sostanziale, non vi dubbio che, con riferimento alle problematiche de quibus ed alla
contraddittoriet degli orientamenti pretori, sia auspicabile un intervento chiarificatore dellAdunanza
Plenaria che detti riferimenti certi in ordine alla natura giuridica della Dia nonch agli strumenti di
tutela da garantire al terzo.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=38682
Risparmio energetico in Lazio, Lombardia e Basilicata, locazioni in Friuli
Legge Basilicata n. 28 del
28-12-2007
Anche la Basilicata si appropria (o riappropria) dei parametri di calcolo di rendimento
energetico degli edifici, pur nel rispetto dei principi fondamentali del decreto legislativo 19 agosto 2005, n.
192 (codice dellenergia). Star quindi alla regione emanare appositi provvedimenti. Nel frattempo si stabilisce
gi che non sono considerati nei computi per la determinazione dei volumi, delle superfici, e nei rapporti di
copertura, i maggiori volumi e superfici per il miglioramento dei livelli di isolamento termico ed acustico o di
inerzia termica. Tale regola vale per la sola parte eccedente i 30 centimetri e fino ad un massimo di ulteriori 25
centimetri per gli elementi verticali e di copertura e di 15 centimetri per quelli orizzontali intermedi. Queste
disposizioni valgono anche per le altezze massime, per le distanze dai confini, tra gli edifici se non comportano
ombreggiamento delle facciate, e dalle strade, pur ferme restando le prescrizioni minime dettate dalla
legislazione statale. Si applicano sia agli edifici nuovi che a quelli ristrutturati. I comuni possono prevedere la
riduzione degli oneri di urbanizzazione per questi interventi edilizi nonch per quelli di utilizzo di fonti
rinnovabili.
A favore degli interventi eco-compatibili sono previsti ulteriori premi di cubatura. Essi sono:
quelli che utilizzano pannelli termici e/o impianti di geotermia a bassa entalpia che assicurino non meno del 50%
del fabbisogno di energia termica necessaria, e/o impianti alimentati da biomasse e biogas; i condomini che
utilizzano pannelli fotovoltaici (a certe condizioni); gli edifici con certe coibentazioni verticali e orizzontali;
quelli che dispongono di sistemi di captazione, filtro ed accumulo della pioggia; quelli con aree esterne con
elementi filtranti in misura inferiore al 60% delle superfici. Non computabili negagli standard, a condizioni
prefissate, i volumi tecnici.
Entro 4 mesi la Giunta definisce la certificazione energetica degli edificie detta
disposizioni per lesercizio, il controllo, la manutenzione e lispezione degli impianti termici e disciplina la
contabilizzazione degli impianti centralizzati.
La legge regionale detta poi norme sullapprovazione del
Regolamento Urbanistico e dellaccordo di pianificazione. Nelle more delle approvazioni dei PSC (piani
strutturali comunali) gli interventi consentiti in "zona agricola" hanno il limite di densit fondiaria massima
residenziale di 0,03 mc/mq e di densit fondiaria massima per annessi agricoli di 0,07 mc/mq.
Bur n. 60 del
31 dicembre 2007
Legge Lazio n. 26 del 28-12-2007
Programma triennale di opere infrastrutturali da
lanciare entro il 28 febbraio 2008 e terminare entro il 30 giugno. Gli enti locali sono invitati a formulare proposte
che, se accettate, verranno finanziate con un contributo regionale compreso tra i 50 mila euro e i 300 mila euro,
questultimo elevabile a 500 mila euro nel caso di proposte presentate da pi enti. Stanziati allo scopo 45 milioni

di euro per il triennio 2008-2010. Fondo regionale per lo sviluppo sostenibile degli ecosistemi marini dotato di
3 milioni di euro per il triennio 2008-2010 e altro Fondo triennale di 30 milioni di euro per interventi nei comuni
del litorale laziale finalizzati alla riqualificazione dei lungomare ed alla riqualificazione dei contesti urbani.
Salvi i vincoli paesistici, non occorrer alcuna autorizzazione comunale per linstallazione di: pannelli solari
termici di sviluppo uguale o inferiore a 30 mq; pompe di calore destinate esclusivamente alla produzione di
acqua calda e di aria negli edifici pubblici e privati e negli spazi liberi annessi,; impianti fotovoltaici
parzialmente o totalmente integrati ovvero anche non integrati, qualora posti sulle coperture di edifici
commerciali ed industriali, di potenza nominale uguale o inferiore a 20 kWp e, relativamente agli stabili
condominiali, di potenza nominale uguale o inferiore a 5 kWp per unit abitativa, fino a un massimo di 20 kWp
per lintero stabile; impianti eolici di potenza uguale o inferiore a 5 kWp. Sono invece sottoposte a semplice Dia
gli impianti solari termici di potenza superiore, mentre per gli altri valgono le norme statali (Dlgs n. 387/2003).
I comuni che favoriscono limpiego di energia solare termica e la diminuzione degli sprechi idrici negli edifici
entro il 30/4/2008 hanno titolo preferenziale nella assegnazione dei fondi previsti. Possibili deroghe anche ai a
vincoli paesistici per opere e interventi finalizzati alla produzione e utilizzo di energie derivanti da fonti
energetiche rinnovabili, previo espletamento della procedura di valutazione di impatto ambientale, ove prevista,
o degli Studi di inserimento paesistico(Sip). Le regole sullintubamento dei corsi dacqua sottoposti a vincolo
possono avere accezioni per i tratti confinanti o interni a strutture ospedaliere e cimiteriali.
Il termine per la
classificazione in zone acustiche del territorio comunale rinviato al 31 dicembre 2009 (era restato al maggio
2004). Stanziati a questo scopo contributi di 500 mila euro per il 2008.
Entro 8 mesi la Giunta adotta il piano
definitivo di valorizzazione del patrimonio immobiliare della Regione e degli enti pubblici da essa dipendenti..
Semplificata la documentazione necessaria per le opere che producano meno di 2 mila metri cubi di rocce e terra
di scavo. Pu essere sostituita da una comunicazione a cura del titolare del cantiere e da una relazione asseverata
da un tecnico abilitato che descriva io luogo, il tipo di trasporto e il sito di destinazione, garantendo linesistenza
di materiali pericolosi.
Estesi alle giovani coppie con un Indicatore Situazione Economica Equivalente
(ISEE) non superiore a 30 mila euro i contributi per lacquisto della prima casa, con stanziamento aggiuntovo di
milioni di euro per il 2008.
Nel comprensorio industriale artigianale di Acilia-Dragona possibile destinare
ad attivit commerciale una superficie complessiva non superiore al 10 % di quella realizzabile pari a circa 300
mila metri quadrati. La superficie massima da destinare alle attivit commerciali non pu essere superiore a 30
mila metri quadrati complessivi.
Bur. n. 36 del 29 dicembre 2007
Legge Lazio n. 21 del 21-12-2007
Prorogato ulteriormente di un anno (a fine 2008) il termine per lapprovazione da parte della Regione del piano
territoriale paesistico regionale (legge n. 24/1998).
Burl n. 36 del 29 dicembre 2007
Legge Lazio n. 22
del 21-12-2007
Promossa una Spa partecipata dalla Regione, dallANAS e da eventuali altri enti pubblici
ai fini della realizzazione di infrastrutture strategiche relative al sistema viario, ai sensi dellintesa dell8
novembre 2006 tra il Ministero delle infrastrutture, la Regione Lazio e lANAS. Sar soggetto aggiudicatore e ha
anche come compito il reperimento, anche su canali privati, delle risorse necessarie per la realizzazione delle
infrastrutture.
Burl n. 1 del 7 gennaio 2008 Legge Lombardia 28 dicembre 2007 - n. 33
Norma
omnibus, che modifica alcune disposizioni in campo edilizio e degli alloggi popolari. Per quanto attiene a
questultimi, eliminata lulteriore riduzione del canone sociale per le famiglie monofamiliari, e, nelle pi snelle
procedure di vendita degli alloggi costruiti senza contributi statali, stabilito che la prelazione allacquisto
allinquilino a un prezzo ridotto scatta solo se questultimo rinuncia alle eventuali liti in corso entro 60 giorni
dalla ricezione della proposta di vendita (e non entro gennaio 2008)..Nellassegnazione di case popolari nuove o
ristrutturate ha priorit chi residente o esercita attivit lavorativa prevalente nel comune in cui lintervento
realizzato.
Nel calcolo delle volumetrie delle nuove costruzioni e delle ristrutturazioni totali che realizzano
consumi energetici inferiori al 10% a quelli stabiliti dalle norme regionali, non si tien conto dei muri perimetrali
portanti e di tamponamento, nonch i solai che costituiscono involucro esterno. Le imprese che realizzano tali
interventi possono accedere a un apposito fondo per ottenere finanziamenti, le cui modalit attuative saranno
stabilite dalla Giunta Regionale.
La programmazione negoziata regionale degli interventi edilizi prevede che
negli accordi di programma si fissi la data in cui termina lintervento e una relazione del Consiglio di vigilanza
nominato dalla Giunta in cui si d atto dei risultati raggiunti e delle risorse utilizzate e si dichiara concluso
laccordo. Le somme dovute a seguito delle attivit di controllo, liquidazione delle dichiarazioni e accertamento,
accertamento con adesione, conciliazione giudiziale e contenzioso tributario dellIrap, sono riscosse direttamente
dalla Regione, secondo i termini di una convenzione con lAgenzia delle Entrate.. Burl Sabato 29 dicembre
2007, 1 supplemento ordinario
Legge Friuli n. 30 del 28-12-2007
In questo collegato alla
Finanziaria, vari i provvedimenti di carattere edilizio-urbanistico. Tra gli altri finanziamenti alle Comunit
montane e alle Province di Gorizia e di Trieste fino al 100 per cento della spesa per lesecuzione e per il
completamento di opere pubbliche di competenza degli enti stessi. Poi 1,5 milioni di euro per lattuazione del
piano di caratterizzazione del sito inquinato di interesse nazionale della Laguna di Marano e Grado e nuovi
incentivi fino al 100% della spesa ritenuta ammissibile per linformatizzazione dei piani strutturali comunali
(PSC), da richiedere entro 60 giorni dallentrata in vigore di un regolamento.
Quindi nuovi criteri per la altri
incentivi a favore della pianificazione comunale (da erogare per il 90% a seguito della presentazione del PSC, e
il resto allentrata in vigore). Viene anche definito programma di finanziamento degli Ambiti per lo sviluppo
territoriale (ASTER), anche ai sensi dei finanziamenti previsti. Previste, nuove regole per la locazione turistica

di appartamenti ammobiliati da parte di privati (che pu avere durata di 6 mesi al massimo). In caso di locazione
di tre o pi unit immobiliari, anche i privati debbono ottenere una classificazione e una certificazione dei loro
locali.
Con accordi di programma provinciali si effettua il recupero storico-culturale e la valorizzazione
turistica dei siti legati alla prima guerra mondiale. Infine i comuni entro marzo di ogni anno devono fare il
censimento dei locali commerciali di valore storico, anche ai fini di contributi.
Sul posto auto duso esclusivo nel cortile condominiale Cassazione civile , sez. II, sentenza 16.01.2008 n 730
(Giuseppe Mommo)
La vicenda giudiziaria condominiale decisa dalla Cassazione con la sentenza 16 gennaio
2008, n. 730, riguarda la vendita di un posto macchina ubicato nel cortile condominiale, da parte della societ
che aveva costruito limmobile, a due coniugi acquirenti di un appartamento. La causa stata avviata con atto di
citazione del 24.2.1994 ed anche per questa vicenda, tuttaltro che conclusa, in quanto rinviata dalla Cassazione
ad altra sezione della Corte di Appello di Bari, pu valere il discorso sulla penalizzante iniquit dei tempi
lunghi della giustizia, recentemente svolto dallo scrivente (vedi Linfiltrazione nella terrazza a livello e i tempi
lunghi della giustizia). Nel caso di specie, il Condominio impediva l'utilizzazione del posto macchina privato
ostacolandone l'accesso, ragione per cui i coniugi che lo avevano comprato, con atto di citazione, chiesero che il
Tribunale ne ordinasse al Condominio il rilascio con la rimozione di ogni ostacolo alla sua utilizzazione. La
domanda venne accolta dal Tribunale che ordin il rilascio del posto macchina in favore degli attori ed anche la
Corte dAppello di Bari, rigettando lappello del Condominio, riconobbe il diritto al posto, senza tuttavia
riconoscere alcun risarcimento, in quanto ha respinto l'appello incidentale dei coniugi che pretendevano i danni.
La decisione della Corte barese stata fondata sul fatto che dal regolamento di condominio si evinceva
l'esistenza dei posti macchina all'interno del cortile (negata dal Condominio) e sulla circostanza che i posti non
erano incompatibili con luso del cortile visto che era attribuita anche una numerazione. Per la Corte, il fatto
che le norme pubblicistiche prevedano la destinazione di aree a posti macchina da vendersi agli acquirenti
degli appartamenti, nonch la situazione della presenza della numerazione e dei segni lasciati nel cortileerano
indicativi dell'obbligo di creare nel complesso tanti posti macchina quanti erano gli appartamenti. Avverso la
decisione della Corte di merito, oltre al ricorso principale del Condominio, fondato su due motivi, stato
proposto anche ricorso incidentale, da parte dei coniugi, in quanto era stato loro negato il risarcimento del danno
conseguente alla mancata utilizzazione del posto macchina. Con il primo motivo del ricorso principale, che la
Cassazione ha accolto fornendo alcune precisazioni, stata denunciata la violazione dell'art. 1117 c.c. nonch
vizio di motivazione su punto decisivo. Il Condominio ha sostenuto che nel regolamento condominiale,
apprestato dall'unico proprietario e dallo stesso trascritto, il cortile risulta incluso tra i beni comuni, in
conformit dell'art. 1117 c.c., la cui presunzione, peraltro, non era vinta, nella specie, da titolo contrario, non
essendo a tal fine sufficienti il frazionamento e l'accatastamento eseguito dal proprietario costruttore, trattandosi
di atti unilaterali.
Il costruttore non aveva riservato a proprio nome i parcheggi n aveva escluso il cortile
comune nei successivi atti di cessione, ove era menzionato ed accettato il regolamento di condominio in
precedenza trascritto. Non esistendo la riserva di propriet del posto macchina n la sottrazione di esso alla
destinazione comune di tutta l'area adibita a cortile, esso non poteva essere ceduto in propriet singola, con un
atto cui il Condominio era rimasto estraneo. La scheda di accatastamento non poteva fungere da titolo
contrario alla disposizione del Regolamento che annoverava il cortile tra i beni comuni. Nel ricorso stato
pure evidenziato che i posti macchina ritenuti sussistenti dalla Corte di Appello non esistono affatto e i 34 posti
macchina, peraltro molto inferiori al numero dei 255 appartamenti di cui si compone il complesso condominiale,
esistevano solo nella scheda di accatastamento. E stata fatta valere anche la contraddittoriet della sentenza
laddove, da un lato, supponeva esistenti i posti macchina e, dall'altro, ne prevedeva la futura realizzazione.
Infine, i posti da realizzare sarebbero risultati totalmente immersi nella propriet comune, senza che ai futuri
proprietari fosse attribuita alcuna servit di passaggio per accedere. La Cassazione nellaccogliere il ricorso ha
preliminarmente considerato che la Corte di merito ha errato nellaffermare che i posti macchina (spazi per
parcheggi come definiti nell'art. 41-sexies della legge 1150 del 1942, inserito dall'art. 18 della legge n. 765/67)
devono essere corrispondenti al numero degli appartamenti da vendersi con essi singolarmente agli acquirenti.
Richiamando la precedente giurisprudenza di legittimit ha chiarito che la legge (art. 41-sexies legge 1150/42)
si limita ad imporre che, nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle stesse, appositi spazi
siano riservati a parcheggio in misura proporzionale alla cubatura totale del fabbricato, fissando non un rapporto
numerico ma di volume-superficie, e stabilendo un nesso tra tali spazi e l'edificio, gli uni e gli altri unitariamente
considerati, e, da altro lato, non vieta al costruttore di riservare a s la propriet degli spazi di parcheggio, per poi
cederli a terzi, totalmente o in parte, o ai proprietari degli appartamenti pro quota ovvero singolarmente, ed
anche globalmente, in modo che costituiscano parte comune dell'edificio ai sensi dell'art. 1117 c.c. (Cass. II, n.
18255/2006).Nel caso in cui non vi sia stata alcuna riserva di propriet da parte del costruttore e, nei singoli atti,
sia stato omesso qualunque riferimento ad essi, detti spazi, globalmente considerati, vengono a far parte della
propriet comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c. (Cass. II, n. 11261/2003). Le norme sopra richiamate imprimono
un vincolo di destinazione di carattere pubblicistico che sul piano privatistico, fa sorgere, secondo la
consolidata giurisprudenza di questa Corte, un diritto reale d'uso sui detti spazi a favore di tutti in condomini del
fabbricato, diritto che non pu essere compromesso n dalla riserva di propriet a favore del costruttore n dalla
alienazione di detti spazi a terzi.
Nel caso di specie i coniugi hanno dedotto in giudizio il loro diritto di

propriet (esclusiva) sul posto macchina per averlo acquistato dalla societ costruttrice, mentre il Condominio ha
sostenuto che il costruttore non essendosi riservata la propriet del posto prima della costituzione del
condominio esso parte del cortile che, a sua volta, rientra tra i beni comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c..
La Cassazione aggiunge che essendosi posta in questi termini la controversia , la Corte di Appello al fine di
dirimerla, piuttosto che soffermarsi sull'esistenza, intesa come individuazione fisica, di alcuni posti macchina
nel cortile comune e sull'(ovvio)obbligo di legge di apprestarli, avrebbe dovuto accertare, conclusivamente, se il
costruttore aveva titolo per trasmettere in propriet singola ed esclusiva ai coniugi M.-U. lo spazio in questione.
Conclude che a tal fine, un corretto percorso di indagine motivazionale imponeva di accertare:
a) se
nell'edificio condominiale e nelle sue pertinenze, esistevano, ed in quale entit, gli spazi di parcheggio, secondo
il rapporto non numerico ma di volume-superficie imposto dall'art. 41-sexies della legge 1150/52 e successive
modifiche ed integrazioni;
b) se esistevano spazi ulteriori, oltre la superficie vincolata;
c) se quello
venduto ai coniugi attori era una parte dello spazio ulteriore rispetto a quello minimo vincolato per legge al
diritto reale d'uso ovvero se rientrava nella superficie di questi;
d) quale fosse il regime proprietario degli
spazi (vincolati o non) ed a tal fine:
d-1.) verificare se essi erano stati riservati o meno in propriet dal
costruttore;
d-2.) se, in conseguenza della riserva, erano stati alienati a terzi (il che, comunque, lasciava
fermo il diritto reale d'uso dei condomini);
d-3.) in caso negativo, se l'atto di vendita ai coniugi attori era
successivo alla formazione del condominio (ad est: al primo atto di vendita di una porzione di fabbricato da parte
del costruttore ad un terzo, che segna(va) la nascita del condominio);
e) nel caso si trattasse di una entit
dello spazio gravato dal diritto reale d'uso, occorreva, comunque, accertarne il regime proprietario e stabilire se
era stato riservato a s dal costruttore o se, invece, era uno spazio diventato condominiale, ai sensi dell'art. 1117
c.c., per mancanza di riserva o di menzione nei titoli di acquisto (come assume il condominio).
Non avendo
la Corte di Appello compiuto gli elencati accertamenti la motivazione della sentenza stata considerata carente e
viziata.
Quanto al secondo motivo del ricorso principale, in base al quale l'eventuale apprestamento dei
posti macchina avrebbe comportato il rispetto delle norme sulla prevenzione degli incendi, stato ritenuto
inammissibile poich introduce una questione nuova (oltre che priva di rilevanza) mai sottoposta ai giudici di
merito.
Il ricorso incidentale proposto dai coniugi per essere stato negato il risarcimento del danno
conseguente alla mancata utilizzazione del posto macchina resta evidentemente assorbito dall'accoglimento del
primo motivo di ricorso.
In relazione al motivo accolto, la sentenza impugnata stata quindi cassata
con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Bari che dovr compiere i suindicati accertamenti,
attenendosi ai principi sopra enunciati (sub 1.b, 1.c e 1.d.) e dovr provvedere anche sulle spese del presente
giudizio (art. 385, u.p. c.p.c..).
In particolare il giudice del rinvio dovr considerare:
che la legge
(art. 41-sexies della legge 1150 del 1942, inserito dall'art. 18 della legge n. 765/67) si limita ad imporre che,
nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle stesse, appositi spazi siano riservati a parcheggio
in misura proporzionale alla cubatura totale del fabbricato, senza vietare al costruttore di riservare a s la
propriet degli spazi di parcheggio, per poi cederli a terzi, totalmente o in parte (sub 1.b);
che detti spazi,
globalmente considerati, vengono a far parte della propriet comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., nel caso in cui
non vi sia stata alcuna riserva di propriet da parte del costruttore e, nei singoli atti, sia stato omesso qualunque
riferimento ad essi (sub 1.c); che resta fermo, in ogni caso, il vincolo di destinazione di carattere pubblicistico
impresso dalle norme in questione e che, sul piano privatistico, sorge un diritto reale d'uso sui detti spazi a favore
di tutti in condomini del fabbricato, diritto che non pu essere compromesso n dalla riserva di propriet a favore
del costruttore n dalla alienazione di detti spazi a terzi (sub 1.d).
http://www.altalex.com/index.php?idnot=40825

Ripartizione spese di manutenzione e riparazione del solaio


Cass. civ., sez. II, 28 gennaio 2003,
n. 1225 Per la divisione delle spese di manutenzione o ricostruzione del solaio divisorio comune, dal
proprietario del piano sovrastante nei confronti del proprietario di quello inferiore o viceversa, non
sussiste la necessit di integrare il contraddittorio nei confronti di altri soggetti e, specificamente, del
condominio, in quanto il rapporto dedotto in giudizio afferente solo alla titolarit del diritto di
propriet dei piani divisi dal solaio.
Innovazione volutttuaria e sostituzione del cancello di ingresso Corte app. civ. Lecce, sez. dist.
Taranto, 27 agosto 2004, n. 288 Ai sensi dell'art. 1121 c.c. l'innovazione voluttuaria deve essere
molto gravosa e, in secondo luogo, deve trattarsi di impianto suscettibile di utilizzazione separata.
Conseguentemente, deve ritenersi che la sostituzione del cancello di ingresso al piano interrato, ove si
trovano i boxes di propriet dei condomini integri - piuttosto - un intervento di carattere conservativo.
Cassazione Sezioni Unite Civile Sentenza n. 9148/2008 dep 8.4.2008 - (618) Condominio, solidariet,
inquilini, terzi creditori, civile fonte: http://www.alphaice.com/giurisprudenza/?id=5227
"Il
contratto, stipulato dall'amministratore rappresentante, in nome e nell'interesse dei condomini rappresentati e nei
limiti delle facolt conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei rappresentati. Conseguita nel
processo la condanna dell'amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore pu procedere
all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno. Per concludere, la

soluzione, prescelta secondo i rigorosi principi di diritto che regolano le obbligazioni contrattuali comuni con
pluralit di soggetti passivi, appare adeguata alle esigenze di giustizia sostanziale emergenti dalla realt
economica e sociale del condominio negli edifici. Per la verit, la solidariet avvantaggerebbe il creditore il
quale, contrattando con l'amministratore del condominio, conosce la situazione della parte debitrice e pu
cautelarsi in vari modi; ma appare preferibile il criterio della parziariet, che non costringe i debitori ad
anticipare somme a volte rilevantissime in seguito alla scelta (inattesa) operata unilateralmente dal creditore.
Allo stesso tempo, non si riscontrano ragioni di opportunit per posticipare la ripartizione del debito tra i
condomini al tempo della rivalsa, piuttosto che attuarla al momento dell'adempimento."
http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniUnite/SchedaNews.asp?ID=2039
Cassazione sez II civile sentenza 2 ottobre 2007 31 gennaio 2008 n. 2305 Condominio,supercondominio,costituzione
fonte: http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=601 "Rientra nella attribuzioni dell'amministratore la
riscossione dei contributi condominiali in base alle pertinenti deliberazioni assembleari ed, al fine di svolgere
tale sua funzione, l'amministratore legittimato ad agire ed a resistere in giudizio senza necessit alcuna
d'autorizzazione da parte dell'assemblea"
Cassazione sez II civile 25 ottobre 19 dicembre 2007, n. 26796 - Condominio, porta, muro
condominiale,propriet esclusiva Interessante commento su Altalex:
ttp://www.altalex.com/index.php?idnot=40072
Dalla sentenza:
"La tematica del presente giudizio,
costituita dalla realizzazione da parte di un condomino di un varco di accesso, praticato in un muro
condominiale, al fine di mettere in comunicazione lo spazio interno, anche comune, dallo stesso delimitato, con
altri immobili confinanti, di propriet esclusiva, ha pi volte formato oggetto di esame da parte della
giurisprudenza di legittimit, che costantemente pervenuta alla conclusione dell'illegittimit, ai sensi dell'art.
1102 c.c., di siffatti interventi, nei casi nei quali il suolo, o il fabbricato, cui si sia dato accesso con le suddette
modalit, costituisca un'unit immobiliare estranea al condominio, ancorch appartenente a taluno dei condomini
(v., tra le altre, Cass. n. 9036/06, 360/95, 2773/92, 5780/88); le ragioni del contrasto con la citata fondamentale
regola civilistica in tema di uso della cosa comune risiedono nel mutamento di destinazione d'uso che i beni
condominiali vengono a subire, senza il necessario consenso degli altri condomini ed in violazione dei
concorrenti diritti degli stessi, per effetto della modificazione del muro perimetrale, che oltre ad essere in parte
distolto dalla sua funzione di recinzione dei beni comuni, verrebbe ad essere, con la creazione del varco di
accesso, asservito al passaggio in favore dell'immobile confinante, con correlativa diminuzione della consistenza
dei diritti di comunione."
Cassazione Sezione III civile sentenza 03.12.07 n. 25173 - (1782) Condominio,decreto
ingiuntivo,danni,compensazione,culpa in vigilando, culpa in eligendo decreto ingiuntivo per omesso
pagamento della quota condominiale per lavori di ristrutturazione e richiesta di compensazione per danni
al giardino privato "il Tribunale, pur avendo adombrato la sussistenza di una ipotesi di culpa in vigilando, ha
ugualmente omesso ogni indagine e motivazione su tale aspetto della controversia. La censura merita
accoglimento per quanto attinente alla ritenuta culpa in eligendo. "
fonte:
http://www.giudicedipace.it/programma/readarticle.php?article_id=356
http://www.ricercagiuridica.com/sentenze/index.php?num=2503&search=condomini
SENTENZA N. 8449 DEL 01/04/2008
COMUNIONE E CONDOMINIO - VALIDIT DELLA
CONVOCAZIONE ASSEMBLEARE INFORMALE E' valida la convocazione per l'assemblea condominiale
consegnata informalmente al congiunto residente del condomino che non vive nell'immobile, se all'interno del
condominio si consolidata una prassi in tal senso e sempre che il regolamento condominiale non imponga un
particolare obbligo di forma.
http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniSemplici/SchedaNews.asp?ID=2034
Cassazione SENTENZA N. 2865 DEL 07/02/2008 COMUNIONE E CONDOMINIO - INNOVAZIONI SU
PARTI COMUNI DELL'EDIFICIO Si ha esercizio del diritto di sopraelevazione quando il proprietario
dellultimo piano di un edificio condominiale costruisca nuovi piani o nuove fabbriche ovvero trasformi locali
preesistenti aumentandone le superfici e le volumetrie, ma non anche quando ponga in essere una trasformazione
del tetto che sottragga un bene comune alla sua destinazione in favore degli altri condomini per attrarlo nel suo
uso esclusivo.
http://www.cortedicassazione.it/Notizie/GiurisprudenzaCivile/SezioniSemplici/SchedaNews.asp?ID=1974
Cassazione sez. II civile 15 febbraio 22 marzo 2007, n. 6926 - (1337) Condominio,cassazione,successioni,eredi
"Alla luce delle considerazioni svolte appare evidente che dallerrore commesso dalla sentenza impugnata
(affermazione della sufficienza di avviso di convocazione indirizzato genericamente agli eredi del coerede
defunto) nessuna invalidit era derivata, dal momento che la stessa convocazione degli eredi non ancora
qualificatisi come tali allamministratore non era necessaria." Si veda l'ottima monografia sulla rassegna

giurisprudenziale sul condominio di Altalex alla fonte:


http://www.altalex.com/index.php?idstr=20&idnot=37878
Cassazione Civile, 21 aprile 1990, n. 3339: ''costituisce grave difetto dell'immobile (conseguendone la garanzia
decennale a favore del committente) l'inadeguatezza recettiva e l'errata pendenza delle tubazioni della rete
fognaria, che determinano la fuoriuscita di liquami, poich, pur non pregiudicando la struttura dell'edificio,
incidono notevolmente sull'utilizzabilit di un impianto essenziale dal punto di vista igienico e sanitario'.
CORTE DI CASSAZIONE PENALE Sez. III, 23 Novembre 2006 (C.c. 24/10/2006), Sentenza n. 38841
URBANISTICA E EDILIZIA - Parcheggi ed autorimesse - Procedure semplificate - Applicabilit - Condizioni Individuazione - Realizzazione in superficie - Permesso di costruire - Necessit - L. n. 122/1989.
L'alleggerimento del carico urbanistico attraverso la realizzazione di garage consentita con procedura
semplificata ai sensi dell'art. 9 L. 24 marzo 1989 n. 122 (cosiddetta legge Tognoli), come modificata dall'art. 17
L. 15 maggio 1997 n. 127 e dall'art. 37 L. 7 dicembre 1999 n. 472, soltanto se gli stessi vengono ubicati nel
sottosuolo delle aree di pertinenza di immobili gi esistenti o su apposite aree comunali, mentre se realizzati in
superficie necessitano del preventivo rilascio del permesso di costruire, in ragione del loro impatto sull'assetto
urbanistico e sull'utilizzazione del territorio. Pres. Papa E., Est. Lombardi AM., Imp. Di Iorio. CORTE DI
CASSAZIONE PENALE Sez. III, 23/11/2006 (C.c. 24/10/2006), Sentenza n. 38841

Episodi saltuari possono essere tollerati, ma nel pieno rispetto del regolamento condominiale Limiti
allabbaiare dei cani nei condomini (Cassazione 7856/2008) I proprietari di cani allinterno di un condominio
devono osservare scrupolosamente il regolamento e ridurre al minimo gli episodi di disturbo, anche se non sono
tenuti al risarcimento dei danni ai vicini. Lo ha stabilito la Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di
Cassazione confermando una sentenza del Tribunale di Pistoia, Sezione distaccata di Monsummano Terme, che
aveva respinto lappello dei proprietari di un cane contro una sentenza del Giudice di Pace che aveva loro
ingiunto di osservare scrupolosamente il regolamento condominale, pur non stabilendo alcun risarcimento in
favore dei vicini che si erano lamentati dellabbaiare del cane. Dallistruttoria era infatti emerso che il cane
aveva la tendenza ad abbaiare ogniqualvolta sentiva suonare il campanello o quando avvertiva la presenza di
persone allinterno dello stabile, spesso anche nelle ore notturne. Il Tribunale aveva pertanto stabilito che i
proprietari dellanimale avevano lobbligo di conformarsi al regolamento condominiale e di fare in modo che la
presenza del cane non fosse lesiva dei diritti degli altri condomini, riducendo al minimo le occasioni di disturbo
e prevenendo le possibili cause di agitazione ed eccitazione dellanimale, soprattutto durante la notte. La
Suprema Corte, che ha respinto il ricorso dei proprietari del cane, ha condiviso le argomentazioni del Tribunale,
affermando che il continuo ed ingiustificato abbaiare costituisce una violazione del regolamento condominiale,
anche volendo tenere conto della natura dellanimale, che non poteva essere coartata, fino ad impedirgli di
abbaiare del tutto, in quanto, come correttamente affermato dal Tribunale, episodi saltuari di disturbo da parte
del cane potevano e dovevano essere tollerati dai vicini, in nome dei principi del vivere civile. In buona
sostanza, non si pu evitare che un cane abbai, ma bisogna fare tutto il possibile perch ci avvenga nel rispetto
dei diritti degli altri condomini. http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=83315&idCat=75
Alterare lo stato di fatto o la destinazione della cosa comune - esperimento dell'azione di reintegrazione
ribunale di Bergamo sezione distaccata di Grumello del Monte Ordinanza 4 ottobre 2007 La Suprema
Corte ha, infatti, precisato che nel condominio degli edifici le parti comuni formano oggetto, a favore di tutti i
condomini, di un compossesso pro indiviso il quale si esercita diversamente a seconda che le cose siano
oggettivamente utili alle singole unit immobiliari cui siano collegate materialmente o per destinazione
funzionale (suolo, fondazioni, muri maestri, oggettivamente utili per la statica) oppure siano soggettivamente
utili nel senso che la loro unione materiale o la destinazione funzionale ai piani o porzioni di piano dipende
dall'attivit dei rispettivi proprietari (portone, anditi, scale, ascensore ecc); nel primo caso l'esercizio del possesso
consiste nel beneficio che il piano o la porzione di piano (e, per traslato, il proprietario) trae da tali utilit, nel
secondo caso si risolve nell'espletamento della predetta attivit da parte del proprietario ( cfr: Cass., Sez.2,
Sentenza n. 16496 del 2005). Pertanto il possesso delle parti comuni, inteso come esercizio di fatto
corrispondente al contenuto del diritto, si atteggia diversamente secondo che le cose, gli impianti ed i servizi
offrano una oggettiva utilit o un utile soggettivo.
Dalla diversit ontologica tra lutilizzazione
obbiettiva e il godimento soggettivo scaturiscono, pertanto, differenti modalit di esercizio del possesso. Mentre
relativamente alle cose suscettibili di godimento soggettivo il possesso si esercita tramite attivit personali, nel
caso di utilit oggettiva l'esercizio del possesso consiste nel puro fatto che il proprio piano o porzione di piano
beneficia senza contrasti delle utilit offerte ( cfr: Sez. 2, Sentenza n. 855 del 26/01/2000).
Ci premesso, la
Corte di Cassazione ha applicato, condivisibilmente, il menzionato affievolimento probatorio soltanto in casi di
utilit oggettiva ovvero laddove l'utilit prodotta da talune parti comuni in favore delle unit immobiliari
derivava soltanto dall'unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti e dei servizi
comuni, costituendo, perci, un risultato oggettivo, indipendente da qualsivoglia attivit personale dei condomini
( ad es: suolo su cui sorge ledificio condominiale, fondazioni, muri maestri, facciate, tetti e i lastrici solari).
In particolare la Cassazione ha precisato che non necessaria la specifica prova del possesso di detta parte

(riferendosi ad muro di cinta nel quale un condomino aveva aperto varco) quando risulti che essa consista in una
porzione immobiliare in cui l'edificio si articola (Cass., Sez. 2, Sentenza n.16496 del 05/08/2005) oppure
laddove si tratti di beni che non hanno una autonomia rispetto all'edificio, riferendosi alleliminazione di una
parte del muro comune operata da un condomino ( Cass. 13 luglio 1993 n. 7691) o ancora riguardo al suolo su
cui sorge ledificio che non consente lo svolgimento di alcuna attivit personale, ma offre una utilit meramente
oggettiva con la conseguenza che il possesso pu consistere soltanto nel fatto (oggettivo) di beneficiare del
sostegno del proprio immobile (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 855 del 26/01/2000).
Pertanto nel caso di specie,
considerate le esposte caratteristiche dellarea in esame materialmente distinta dal complesso condominiale e
non funzionalmente destinata, per le sue caratteristiche, a servire oggettivamente piani o porzioni di piano appare evidente che il possesso invocato dal condominio non si estrinsechi in alcuna forma di godimento statico
del bene che possa beneficiare dellinvocato affievolimento probatorio.
Delibera - approvazione del piano di riparto di lavori di ristrutturazione condominiali
Trib. civ. Roma,
sez. V, 18 maggio 2005, n. 11446 La delibera assembleare relativa all'approvazione del piano di riparto di
lavori di ristrutturazione condominiali che non contenga alcuna specificazione n in ordine alla natura della
spesa, alle singole voci e al suo ammontare e, n in relazione ai criteri di riparto adottati, deve ritenersi nulla. Ci
perch si rende impossibile qualsiasi tipo di controllo da parte dei condomini sulla legittimit delle spese
addebitate e sulla misura della quota di contribuzione. Responsabilit del condominio per culpa in eligendo,
danni provocati alla propriet individuale dallimpresa appaltatrice
Cass., sez. civ. III, Sentenza 3 Dicembre 2007 , n. 25173
La erronea scelta dell'appaltatore, perch
assolutamente inidoneo, integra la violazione di una regola di cautela imposta dalla norma dell'art. 2043 c.c. e,
come tale, deve essere provata da colui che la invoca. Al fine di ritenere configurabile una responsabilit del
condominio per culpa in eligendo in relazione ai danni provocati alla propriet individuale del condomino
dallimpresa appaltatrice scelta per lesecuzione di lavori condominiali, non sufficiente desumere ex post
lerroneit della scelta dal verificarsi del danno, ma occorre verificare con valutazione ex ante se al momento
della conclusione del contratto la ditta appaltatrice presentasse o meno caratteristiche tali da evidenziarne
lassoluta inidoneit a compiere lopera oggetto dellappalto.
Vincolo di destinazione a parcheggio e responsabilit del costruttore-venditore Cassazione civile , sez. II,
sentenza 26/10/2007 n 22496 Della mancata destinazione a parcheggio dell'area indicata nella licenza edilizia
ex art 18 legge n, 765/67 risponde il costruttore-venditore nei confronti dell'acquirente della singola unit
abitativa, anche se il detto costruttore-venditore, a seguito della vendita di tutte le unit abitative, non ha
conservato pi alcun diritto sull'area vincolata, rilevando quest'ultima circostanza soltanto ai fini dell'eventuale
sentenza di condanna del soggetto in questione all'esecuzione in forma specifica del contratto da lui non
esattamente adempiuto, ma non sull'accertamento dell'inadempimento contrattuale n sull'eventuale condanna
dell'inadempiente al risarcimento del danno per equivalente. Ed infatti, una volta indicata dal costruttore, al
fine di ottenere il rilascio della licenza edilizia, l'area destinata a parcheggio, questa, a seguito dell'atto di
concessione ad aedificandum, rimane assoggettata al vincolo di destinazione, che non pu essere modificato
consensualmente dalle parti in sede di vendita delle singole unit abitative.
Restituzione dell'immobile in ritardo: no al maggior danno senza prova da parte del locatore Cass., sez.
civ. III, Sentenza 29 Settembre 2007 , n. 20589 La terza sezione civile della Corte di cassazione con la
sentenza 20589/07 ha precisato che: se il conduttore in mora nella restituzione dellimmobile in locazione
tenuto al risarcimento del maggior danno ex articolo 1591 cc, ma soltanto se il locatore riesce a quantificare
lammontare del pregiudizio subito. "La condanna del conduttore in mora nella restituzione dell'immobile locato
al risarcimento del maggior danno a norma dell'art. 1591 cod. civ. esige la prova specifica dell'esistenza di tale
danno e del suo concreto ammontare ed il relativo onere incombe al locatore, il quale deve fornire idonea
dimostrazione che, a causa del ritardo nella restituzione della cosa, il suo patrimonio ha subito una diminuzione ravvisabile nella circostanza di non aver potuto affittare a canone pi elevato, o vendere l'immobile a condizioni
vantaggiose e dimostrabile attraverso la prova dell'esistenza di ben precise proposte d'affitto o di acquisto,
ovvero di altri, concreti propositi di utilizzazione. A tal fine pertanto il locatore non pu limitarsi a dedurre,
genericamente, che il bene locato era suscettibile di un impiego economicamente migliore del canone
originariamente pattuito, ma deve dare la prova secondo le regole ordinarie e pu avvalersi anche di presunzioni
dotate dei requisiti di cui all'art. 2729 c.c., purch consentano di ritenere l'esistenza di soggetti seriamente
disposti ad assicurarsi il godimento dell'immobile dietro un corrispettivo pi vantaggioso per il locatore."
Spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale, propriet comune Cass. civ., sez. II, 24 ottobre
2006, n. 22835 Lo spazio sottostante il suolo di un edificio condominiale, per il combinato disposto degli artt.
840 e 1117 c.c., in mancanza di un titolo che ne attribuisca la propriet esclusiva ad uno dei condomini, va
considerato di propriet comune, tenuto conto che la propriet del suolo si estende al sottosuolo e che
quest'ultimo svolge una funzione di sostegno al fine della stabilit dell'edificio. Pertanto il singolo condomino,

non pu procedere, senza il consenso degli altri condomini, alla escavazione in profondit del sottosuolo al fine
di ingrandire o di ricavare nuovi locali, giacch, in tal modo, viene a ledere il diritto di propriet degli altri
condomini su una parte comune dell'edificio.
Il diritto del singolo condomino di installare servoscala Trib. civ. Firenze, sez. III, 10 novembre 2004, n.
4385 In tema di condominio di edifici, per effetto del disposto dell'art. 2 della L. 9 gennaio 1989, n. 13, deve
riconoscersi il diritto del singolo condomino di installare servoscala o strutture mobili facilmente amovibili
anche se in tal modo venga alterata la destinazione di talune parti comuni dell'edificio o venga impedito il diritto
degli altri condomini di fare parimenti uso di dette parti comuni, purch non sia pregiudicata la stabilit o la
sicurezza o il decoro architettonico del fabbricato e non si rendano talune sue parti comuni inservibili all'uso o al
godimento anche di un solo condomino.
Legittimazione passiva dell'amministratore sulle cause concernenti le parti comuni Cass. civ., sez. II, 13
dicembre 2006, n. 26681 La legittimazione passiva dell'amministratore sulle cause concernenti le parti comuni
sussiste anche nei confronti della domanda, proposta in via riconvenzionale, con cui un condomino chiede di
essere dichiarato proprietario esclusivo di un bene che, in base all'art. 1117 c.c., dovrebbe considerarsi di
propriet comune.
Il portiere che parla male del condominio pu essere licenziato
Corte di Cassazione Sezione Lavoro
Civile, sentenza del 12 dicembre 2007, n. 26073 La Corte di Cassazione ha stabilito che il portiere che parla
male dei condomini o degli operatori dello stabile in cui lavora, legittimamente, pu essere licenziato. Il
turpiloquio di un portiere nei confronti del condominio "un comportamento contrario al vivere civile della
comunita' dell'edificio" che interrompe quel legame di fiducia che deve sussistere tra datore e prestatore di
lavoro. Sulla base di queste motivazioni la Corte di Cassazione ha confermato la decisone della Corte
dappello con cui stata ritenuta sussistente la giusta causa di licenziamento di un portiere di Palermo, che aveva
pi volte parlato male dei condomini del palazzo in cui lavorava e minacciato anche un addetto alle pulizie
dell'edificio (fino a provocarne lallontanamento dal posto di lavoro). La legittimit di tale licenziamento non
esclusa dalla mancata compilazione ed affissione del codice disciplinare previsto dallart. 7 della L. 300 del
1970, come obiettato dal portiere licenziato. Lesigenza di affissione sussiste quando trattisi di illeciti
consistenti in violazione di discipline aziendali ignote alla generalit e perci difficilmente conoscibili se non
espressamente previste, mentre non sussiste per i comportamenti manifestamente contrastanti con la legge e col
contratto o con valori comunemente accettati. (Cfr. Cass. 18 febbraio 1995 n. 1747,18 giugno 1996 n. 5583, 8
febbraio 2000 n. 1412).
Nel calcolo delle tabelle millesimali deve rientrare anche il giardino privato Cassazione 27 luglio 2007,
numero 16644 Ai sensi della sentenza 16.644 del 27 luglio 2007 la Cassazione ha stabilito che, rientrano nei
calcoli per redigere le tabelle millesimali, anche i giardini privati, pur non facendo parte in senso stretto del
fabbricato, cos come anche autorimesse e cantine dei singoli condomini. Tali elementi consentono un miglior
godimento delle singole unit abitative con un aumento del valore patrimoniale dell'immobile, naturalmente
laddove non siano state gi approvate tabelle allegate al regolamento condominiale contrattuale. Quindi resta
evidente che anche le imprese edili costruttrici del fabbricato, al momento della redazione delle tabelle,
dovrebbero tener conto di tale principio al fine di una spartizione equa.
La legittimazione ad agire in giudizio dell'amministratore in caso di pretese concernenti l'affermazione di
diritti di propriet Cass. civ., sez. II, 13 marzo 2007, n. 5862In caso di pretese concernenti l'affermazione di
diritti di propriet, anche comune, la legittimazione ad agire in giudizio dell'amministratore pu trovare
fondamento soltanto nel mandato conferito da ciascuno dei condomini al medesimo amministratore e non gi ad eccezione della equivalente ipotesi di unanime positiva deliberazione di tutti i condomini - nel meccanismo
deliberativo dell'assemblea condominiale, che vale ad attribuire, nei limiti di legge e di regolamento, la mera
legittimazione processuale ex articolo 77 c.p.c., presupponente peraltro quella sostanziale. Pertanto, in assenza
del potere rappresentativo in capo all'amministratore in relazione all'azione esercitata, la mancata costituzione
del rapporto processuale per difetto della legittimazione processuale inscindibilmente connessa al potere
rappresentativo sostanziale mancante - vizio rilevabile anche d'ufficio, pure in sede di legittimit - comporta la
nullit della procura alle liti, di tutti gli atti compiuti e della sentenza.
Lavori di rifacimento parapetti dei balconi di un edificio condominiale Trib. civ. Roma, sez. V, 24
novembre 2004, n. 31717 I parapetti dei balconi di un edificio condominiale costituiscono parte integrante
della facciata dell'immobile, concorrendo al decoro della facciata stessa. Pertanto, i lavori di rifacimento di tali
parti devono considerarsi lavori interessanti le parti comuni dell'edificio con conseguente riparto della relativa
spesa tra tutti i condomini, sulla base della tabella di propriet.
Voto di un condomino contrario alla modifica delle tabelle millesimali Trib. civ. Roma, sez. V, 13 dicembre
2004, n. 33229 La delibera assembleare, adottata a maggioranza ma con il voto contrario di un condomino

presente, con cui venga disposta la modifica delle tabelle millesimali, deve ritenersi inefficace nei confronti del
condomino dissenziente per nullit radicale deducibile in ogni tempo. N pu attribuirsi rilevanza al
comportamento concludente del medesimo condomino, il quale, successivamente alla predetta delibera, abbia
manifestato costantemente nel tempo la volont di accettare l'applicazione delle nuove tabelle mediante il
pagamento dei relativi oneri condominiali. Invero, ci che rileva unicamente il comportamento dissenziente
espresso dal condomino in assemblea, atteso che, in presenza di esplicita volont, non lecito ricercare una
contraria volont tacita o presunta che prevalga sulla prima.
Pretesa dell'amministratore - Recupero delle spese di coibentazione termica
TRIBUNALE DI ARIANO
IRPINO 15 ottobre 2007, n. 413 del tutto illegittima la pretesa dell'amministratore, nei confronti del
condomino dissenziente, volta a disciplinare il recupero delle spese di coibentazione termica, realizzata sulle
mura perimetrali esterne dell'edificio, qualora l'accertamento della effettiva utilit dell'opera in termini di
risparmio energetico sia vietato per la mancanza della relazione del calcolo termico prevista dalla legge n.
10/1991.
Notificazione a mezzo posta in appartamento diverso da quello del destinatario dell'atto CORTE DI
CASSAZIONE CIVILE Sez. II, 14 novembre 2007 "Nel caso in cui la persona di famiglia ha ricevuto la
notifica in un luogo diverso da quello in cui avrebbe dovuto essere eseguita dacch abitava in un appartamento
diverso da quello ove, sia pure facente parte dello stesso condominio, era residente la destinataria dell'atto e che,
pertanto, anche da escludere che fosse neppure temporaneamente convivente, la nullit della notifica non pu
non esser riconosciuta."
Linterpretazione della clausola arbitrale, contenuta in un regolamento condominiale contrattuale Cass.,
30 ottobre 2007, n. 22841 In caso di dubbio sulla portata della previsione arbitrale, deve preferirsi
un'interpretazione restrittiva e, quindi, affermativa della giurisdizione ordinaria:
"osserva il condominio che la
clausola arbitrale inserita nel regolamento, non pu avere la portata attribuitale dalla corte di merito, essendo
palese che essa si riferisce alle sole controversie che possano insorgere tra condomini e amministratore in
relazione alla interpretazione ed esecuzione "pratica" - come recita la norma - del regolamento, riguardo al
funzionamento o alla disciplina di uso dei beni comuni. Osserva che nel processo di interpretazione della
clausola compromissoria, nel dubbio deve essere data una interpretazione restrittiva dell'ambito delle
controversie devolute agli arbitri, e indica come elemento significativo a tal fine innanzitutto il fatto che la
clausola non contenga mai un riferimento al condominio, ma solo ai condomini e all'amministratore; rileva che
proprio quelle modalit di nomina degli arbitri cui ha fatto riferimento la corte d'appello depongono per una
interpretazione restrittiva, perch la possibilit che il ricorso al presidente del tribunale per la nomina del terzo
arbitro avvenga su iniziativa dell'amministratore o, in sua inerzia, di due condomini, significa che le parti
litiganti non possono che essere l'amministratore e i condomini." (...)
"Premesso che, secondo
l'insegnamento di questa corte, tenuto conto che il deferimento di una controversia al giudizio degli arbitri
comporta una deroga alla giurisdizione ordinaria, in caso di dubbio in ordine all'interpretazione della portata
della clausola compromissoria, deve preferirsi un'interpretazione restrittiva di essa e affermativa della
giurisdizione statuale (cfr: Cass. 26.4.2005, n. 8575), si osserva che nel caso di specie la stessa corte di merito ha
riconosciuto che non rientrava certamente nell'ambito della materia rimessa agli arbitri la domanda avanzata in
via monitoria dal condominio "involgendo unicamente conteggi sulla base di riparto di spese non comportanti
questioni di interpretazione del regolamento".
Come vincere la presunzione legale di condominialit Cass. 14 novembre 2002, n. 16022 Per vincere, in
base al titolo contrario, la presunzione legale di propriet comune delle parti delledificio condominiale indicate
dallart. 1117 c.c., occorre fare riferimento allatto costitutivo del condominio e, quindi, al primo atto di
trasferimento di ununit immobiliare dalloriginario unico proprietario ad altro soggetto, indagando se la previa
delimitazione unilaterale delloggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde
volont dei contraenti e se, dunque, da esso emerga o meno linequivocabile volont delle parti di riservare al
costruttore-venditore la propriet di quei beni che, per ubicazione e struttura, siano potenzialmente destinati
alluso comune. Pertanto, proprio perch la questione relativa alla superabilit o meno della presunzione di
propriet comune su unarea destinata a verde antistante la facciata di un edificio condominiale, implica
linterpretazione della volont contrattuale - essa si colloca in relazione agli art. 1362 seg. c.c. e non allart. 1117
c.c.
E' indispensabile un godimento esclusivo per l'usucapione di un bene condominiale Cassazione, sezione
seconda, 18 giugno 2007 n. 14171 In materia di usucapione di beni in comunione, (la Corte) ha pi volte
affermato che, ai fini della prova, non sufficiente che gli altri comproprietari si siano limitati ad astenersi
dall'uso della cosa, n che l'istante abbia compiuto atti di gestione consentiti al singolo proprietario oppure atti
che, comportando solo il soddisfacimento di obblighi o erogazioni di spese per il miglior godimento della cosa
comune ovvero per la sua manutenzione, non possono dar luogo ad una estensione del possesso, occorrendo, per

contro, la prova che il comproprietario usucapente ne abbia goduto in modo inconciliabile con la possibilit di
godimento altrui, in modo tale, cio, da evidenziare, al di fuori di una possibile altrui tolleranza, una inequivoca
volont di possedere il bene in via esclusiva, impedendo agli altri ogni atto di godimento o di gestione.
La delibera approvata con maggioranza inferiore a quella prevista non impugnabile dal condomino non
dissenziente Cassazione, sezione seconda, 13 luglio 2007 n. 15749 La Corte di Cassazione, con sentenza del
13 luglio 2007 n.15749, ha specificato che debbono considerarsi annullabili e non nulle le delibere viziate da
irregolare costituzione dell'assemblea , quelle adottate con maggioranza inferiore a quella prevista dal
regolamento di condominio o dalla legge, quelle affette da vizi formali, in violazione di prescrizioni legali,
convenzionali regolamentari. Ne consegue che, al condomino non dissenziente alla votazione presa con
insufficienti quorum deliberativi inibito impugnare la delibera stessa, eccependone la nullit.
Deliberazioni - esecuzione di opere straordinarie all'edificio prima della vendita di unit immobiliari
Trib. civ. Milano, sez. VIII, 14 settembre 2006, n. 10141 La deliberazione dell'assemblea condominiale
riguardante l'esecuzione di opere straordinarie all'edificio, precedente di qualche giorno la vendita di unit
immobiliari, determina che gli acquirenti debbono pagare le spese relative, trattandosi di obligationes propter
rem. Non esclude il debito degli aventi causa verso il condominio la mancanza di informativa tra le parti circa la
deliberazione stessa e gli acquirenti sono chiamati a rispondere delle spese solidalmente con l'alienante, non al
suo posto. E,dal momento che la buona fede avrebbe voluto che l'obbligazione fosse dichiarata nelle trattative e
indicata nei contratti, poich rilevanti nel sinallagma, la parte venditrice tenuta alla manleva per tali spese.
Sopraelevazione - diritto alla riduzione in pristino Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2006, n. 22224 Non
conferisce agli altri condomini il diritto alla riduzione in pristino, la sopraelevazione dell'ultimo piano
dell'edifico da parte del condomino che ne sia proprietario, nel caso in cui la relativa domanda sia sorretta dalla
mera deduzione della violazione delle norme urbanistiche in ordine al divieto di aumentare la volumetria degli
immobili, atteso che le disposizioni locali che pongono tale divieto, rispondendo ad interessi pubblici e non
essendo dirette a regolamentare i rapporti tra privati, non hanno carattere integrativo delle disposizioni del c.c. in
materia di propriet edilizia.
Per il recupero degli oneri condominiali tenuto esclusivamente il proprietario dell'unit immobiliare
Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, Sentenza del 3 agosto 2007, n. 17039 In caso di azione giudiziale
dell'amministratore del condominio per il recupero della quota di spese di competenza di una unita' immobiliare
di proprieta' esclusiva, e' passivamente legittimato il vero proprietario di detta unita' e non anche chi possa
apparire come tale.
Ne discende che in materia condominiale nella individuazione dei soggetti tenuti al
pagamento delle spese di gestione di un condominio, non trova applicazione il principio della apparenza del
diritto poiche' esso, nella materia contrattuale e' applicabile a tutela della buona fede di terzi che, in presenza di
circostanze obbiettive ed univoche abbiano fatto ragionevole affidamento in una situazione di fatto risultata non
corrispondente allo stato di diritto, mentre nella materia della proprieta' (condominiale) non puo' ravvisarsi una
relazione di terzieta' tra il condomino ed il condominio, che non ha una soggettivita' giuridica diversa da quella
dei singoli condomini, e quando si tratti di intraprendere azioni giudiziarie per il recupero delle spese debbano
prevalere i principi della pubblicita' e della effettivita' che superano ogni apparenza.
Apertura nel muro di un cortile condominiale Cass. sez. II, sentenza n. 26796 del 19 dicembre 2007
Il
condomino che apre un varco nel muro comune (nella specie, il muro di un cortile condominiale) per consentire
un accesso ad un immobile limitrofo, estraneo al condominio e di sua propriet esclusiva compie un abuso,
perch in tal modo costituisce in suo favore, e in pregiudizio degli altri condomini e della cosa comune una
servit di passaggio.
Mancata manutenzione del lastrico solare
Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 2006, n. 3676
Il condominio,
quale custode ex art. 2051 c.c. - in persona dell'amministratore, rappresentante di tutti i condomini tenuti ad
effettuare la manutenzione, ivi compreso il proprietario del lastrico o colui che ne ha l'uso esclusivo - risponde
dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di manutenzione del lastrico solare. A tal
fine i criteri di ripartizione delle spese necessarie non incidono sulla legittimazione del condominio nella sua
interezza e del suo amministratore, comunque tenuto a provvedere alla conservazione dei diritti inerenti alle parti
comuni dell'edificio ai sensi dell'art. 1130 c.c.
Condominio - azione di accertamento della propriet comune Cass. civ., sez. II, 17 marzo 2006, n. 6056
L'azione di accertamento della propriet comune, in quanto ha ad oggetto la contitolarit del diritto di propriet
in capo a tutti i condomini, relativa a un rapporto sostanziale plurisoggettivo unitario, dando luogo a un'ipotesi
di litisconsorzio necessario fra tutti i condomini; infatti, il giudicato si forma ed opponibile nei confronti dei
soli soggetti che hanno partecipato al giudizio; d'altra parte, poich non applicabile ai rapporti assoluti la
disciplina specifica dei rapporti obbligatori, non estensibile alla specie il criterio dettato in materia di
obbligazioni indivisibili dall'art. 1306 c.c., in virt del richiamo di cui all'art. 1317 c.c., secondo cui gli effetti

favorevoli di una sentenza pronunciata nei confronti di uno o di alcuni dei diversi componenti dell'obbligazione
solidale o indivisibile si comunicano agli altri.
Cass. civ. sez. II, 23.1.2008 n 1460 SCIOGLIMENTO DEL CONDOMINIO - L'amministratore privo di
legittimazione passiva nel giudizio concernente lo scioglimento del condominio, in quanto ha ad oggetto la
modificazione di un diritto reale, qual appunto il diritto di propriet delle cose comuni di cui ciascun
condomino titolare pro quota. Pertanto, a detto giudizio debbono partecipare tutti i soggetti che, per le
rispettive quote, ne sono titolari e, quindi, tutti i condomini, non potendosi applicare neppure per via analogica la
disciplina codicistica in tema di divisione ai sensi dell'art. 61 disp. att. c.p.c., comma 2.
LA CASSAZIONE SUGLI ACCERTAMENTI AI PROFESSIONISTI Il c/c come indicatore di presunzione
di reddito per i professionisti. La cassazione si pronuncia sulluso del c/c professionale anche se cointestato con
il coniuge. Tutte le somme che vi transitano sono considerate inerenti allattivit di lavoro autonomo, comprese
quelle di passaggio che il contribuente definisce somme affidate in amministrazione. Per invalidare
laccertamento il professionista deve dimostrare che tali somme nulla centrano con la sua attivit, e in tema di
passaggio deve dare la prova analitica della inerenza alla sua professione di maneggio di denaro altrui per ogni
singola movimentazione bancaria. La sentenza in questione la n. 14847 del 5 giugno 2008.

Corte di Cassazione Sez. II civ., sentenza n. 5997 del 05/05/2008 La delibera condominiale con la
quale si decide di adibire il cortile comune - di ampiezza insufficiente a garantire il parcheggio delle
autovetture condominiali - a parcheggio dei motoveicoli, con individuazione degli spazi,
delimitazione ed assegnazione degli stessi ai singoli condomini, non d luogo ad una innovazione
vietata dall'art. 1120 cod. civ., non comportando tale assegnazione una trasformazione della originaria
destinazione del bene comune, o l'inservibilit di talune parti dell'edificio all'uso o al godimento anche
di un singolo condomino.
Ritorna la solidariet passiva in condominio, dopo un breve periodo di scomparsa.
Cassazione,
Sez. II Civ, sentenza n. 14813, del 24/04/2008
Con la sentenza 14813/2008, udienza del 24 aprile, la Corte di Cassazione ha dichiarato corretto il
principio applicato dal giudice di pace di Roma in quanto non viene chiarito perch nella specie
dovrebbe essere derogato il principio generale di cui all'articolo 1292 del Codice Civile secondo il
quale la solidariet si presume nel caso di pluralit di debitori, dopo che appena sedici giorni prima, le
Sezioni Unite con la sentenza n. 9148 dell'8 aprile 2008 avevano scelto l'indirizzo minoritario della
parziariet delle obbligazioni condominiali.
Laffitto di immobili a extracomunitari irregolari punito con la reclusione da sei mesi a tre anni
La condanna penale irrevocabile comporta anche la confisca dellimmobile. Il recente D.L. n.
92/2008, recante "Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica", ha previsto con l'art. 5
l'introduzione, nell'art. 12 T.U. sull'immigrazione di cui al D.Lgs. n. 286/98, del nuovo comma 5-bis,
del seguente tenore: 5-bis. Salvo che il fatto costituisca pi grave reato, chiunque cede a titolo
oneroso un immobile di cui abbia la disponibilit ad un cittadino straniero irregolarmente soggiornante
nel territorio dello Stato e' punito con la reclusione da sei mesi a tre anni. La condanna con
provvedimento irrevocabile comporta la confisca dell'immobile, salvo che appartenga a persona
estranea al reato. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni vigenti in materia di gestione e
destinazione dei beni confiscati. Le somme di denaro ricavate dalla vendita, ove disposta, dei beni
confiscati sono destinate al potenziamento delle attivit di prevenzione e repressione dei reati in tema
di immigrazione clandestina..
Intercapedine esistente tra il suolo dell'edificio e la superficie del piano terra Cass. civ., sez. II,
15 febbraio 2008, n. 3854 Se non risulta diversamente dai titoli di acquisto delle singole propriet,
l'intercapedine esistente tra il piano di posa delle fondazioni , costituente il suolo dell'edificio e la
superficie del piano terra, come parte comune, appartiene a tutti i condomini, in quanto destinata alla
coibentazione e all'aerazione del fabbricato.
Il condomino danneggiato da infiltrazioni non partecipa alle spese legali

Tribunale Civile di

Civitavecchia, Sentenza del 26/11/ 2007, n. 1806


In tema di ripartizione delle spese condominiali per i danni cagionati ad un locale di propriet esclusiva
da infiltrazioni e macchie di umidit determinatesi in seguito al cattivo stato di conservazione degli
spazi condominiali, il condomino che ha subito il pregiudizio ed abbia agito giudizialmente nei
confronti del condominio non tenuto, nel caso di soccombenza dell'ente di gestione, a rispondere nei
limiti della sua quota millesimale delle spese legali liquidate in sentenza, dovendosi ritenere
implicitamente dissenziente rispetto alla lite. In capo a lui si radicano due posizioni giuridiche
soggettive diverse e separate: da un lato quella di danneggiato avente diritto al risarcimento, dall'altra
quella, appunto, di condomino. Pertanto, all'obbligo di contribuzione su di lui gravante quale
condomino questi non pu sottrarsi invocando il fatto di essere egli stesso danneggiato dal condominio.
Tutte le somme che transitano sul conto bancario, anche cointestato, vanno imputate all'attivit
di lavoro autonomo. Cassazione civile Sentenza, Sez. Trib., 05/06/2008, n. 14847 In tema di
accertamento delle imposte sui redditi ai sensi degli artt. 32 e 39 del d.P.R. 600/1973, i dati raccolti
dall'Ufficio in sede di accesso ai conti correnti bancari di un professionista consentono, in virt della
presunzione legale contenuta nella detta normativa, di imputare gli elementi da essi risultanti
direttamente a ricavi dell'attivit di lavoro autonomo svolta dal contribuente, il quale pu comunque
provare che determinati accrediti non costituiscono proventi della stessa attivit. Secondo la
giurisprudenza di legittimit, la suddetta prova deve per essere circostanziata e non pu consistere
nella mera affermazione che sul conto corrente confluivano anche somme di pertinenza di terzi, avendo
in particolare affermato (v. cass. n. 13819 del 2007) che, al fine di superare la presunzione posta a
carico del contribuente dall'art. 32, d.P.R. 600/1973, "non sufficiente dimostrare genericamente di
avere fatto affluire su un proprio conto corrente bancario, nell'esercizio della propria professione,
somme affidategli da terzi in amministrazione, ma necessario che egli fornisca la prova analitica della
inerenza alla sua attivit di maneggio di denaro altrui di ogni singola movimentazione del conto".
Se il costruttore non adibisce l'area prevista a parcheggio i condomini hanno solo diritto al
risarcimento Cass. civ., Sez. II, Sentenza 7 Maggio 2008 , n. 11202 In tema di spazi riservati a
parcheggio nei fabbricati di nuova costruzione, il vincolo previsto al riguardo dall'art. 41 sexies della
legge n. 1150 del 1942, introdotto dall'art. 18 della legge n. 765 del 1967, subordinato alla condizione
che l'area scoperta esista e non sia stata adibita a un uso incompatibile con la sua destinazione: qualora
lo spazio, pur previsto nel progetto autorizzato, non sia stato riservato a parcheggio in corso di
costruzione e sia stato invece utilizzato per realizzarvi manufatti od opere di altra natura, non pu farsi
ricorso alla tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai sorto, ma semmai a quella risarcitoria,
atteso che il contratto di trasferimento delle unit immobiliari non ha avuto ad oggetto alcuna porzione
dello stesso.
Regolamento di condominio, illegittime le sanzioni che superano i 5 centesimi di euro (100L.)
Cassazione, sentenza del 21/04/2008 n 10329
La Cassazione con sentenza n. 10329 del 21/04/2008 ha ritenuto nuovamente nulla la sanzione
superiore a 5 centesimi di euro (100 L.) prevista dal regolamento condominiale. (Art.70 disp.att. C.C.).
In questi termini, si era gi espressa con la sentenza n. 948 del 1995: "Il regolamento di condominio
non pu prevedere, per l'infrazione alle sue disposizioni, sanzioni pecuniarie di importo superiore a lire
cento"
Le spese non impugnate e deliberate dall' assemblea non possono essere oggetto di contestazione
in sede giudiziale Trib. civ., sez. IV, Bari, 30 ottobre 2007, n. 2541 Le spese approvate e deliberate
dalle assemblee, non impugnate ai sensi dell'art. 1137 c.c., sono ormai divenute vincolanti nei confronti
di tutti i condomini ed in forza di tale persistente efficacia, non essendovi prova di annullamento delle
stesse, non possono essere oggetto di contestazione in sede giudiziale.
Procedimento di esecuzione forzata, risarcimento per danni psicologici Corte app. civ. Genova,
sez. III decr., 14 giugno 2006 In tema di equa riparazione di cui alla legge n. 89/2001, il danno non
patrimoniale dato dalla situazione di disagio psicologico e frustrazioni subiti dal proprietario a causa
dell'ingiustificato protrarsi per sei mesi, oltre il termine ragionevole, del procedimento di esecuzione

forzata del provvedimento di rilascio di immobile ad uso di abitazione, danno insito nel disporre del
titolo che riconosce il diritto senza poterne ottenere l'attuazione, pu essere equitativamente liquidato in
euro 1.200,00 per ogni anno di durata del processo eccedente il termine ragionevole. (somma
determinata in maniera comprensiva degli interessi legali)
Rilascio della concessione per la realizzazione delle opere interessanti la cosa comune, consenso
di tutti i condomini Consiglio di Stato, sez. IV, 11 aprile 2007, n. 1654 In tema di condominio,
possono essere eseguiti soltanto con il previo assenso di tutti i condomini i lavori edilizi che un
condominio voglia eseguire su una cosa comune, allorquando possono pregiudicare il pari uso del bene
comune oppure quando ne altererebbero la destinazione. pertanto illegittima per difetto di istruttoria
e motivazione una concessione edilizia di opere non connesse alluso normale della cosa comune
rilasciata su richiesta soltanto di alcuni comproprietari, poich lamministrazione non ha verificato
leffettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarit del prescritto diritto di
godimento.
Pulizia di tombini e grondaie dalle foglie cadute dall'albero della propriet contigua,
risarcimento danni Cassazione, Civile Sez. II, 21 gennaio 2008, Sentenza n. 1260 La Cassazione
ha confermato la decisione equitativa del giudice di pace secondo la quale "Il proprietario ha il
sacrosanto diritto di tutelare il proprio fondo e la propria abitazione dai gravi danni, materiali e igienici,
causati dalla convenuta e ad evitare lavori e spese per l'incuria della vicina confinante": in proposito ha
chiarito che l'attore costretto a pulire le gronde del garage della sua abitazione nonch i tombini
dell'acqua piovana dalle foglie che cadono dai rami della betulla della convenuta, che invadono la
propriet di esso attore. In tal modo il Giudice di Pace, giustificando la scelta di allontanarsi dal diritto
positivo, ha dato conto - alla stregua delle circostanze del caso concreto - delle ragioni per cui un
determinato comportamento appariva meritevole di tutela rispetto alla valutazione data
dall'ordinamento positivo.
Responsabilit del condominio per i danni arrecati alla persona, caduta dalle scale condominiali
Tribunale di Monza, sentenza depositata in Cancelleria il 2 ottobre 2007 In materia di responsabilit
extracontrattuale, deve riconoscersi la responsabilit del condominio per i danni arrecati alla persona
che, mentre scendeva le scale di pertinenza del condominio medesimo, perdeva l'equilibrio a causa
della presenza di un gradino rotto e sconnesso, causandosi delle lesioni fisiche.
Veicoli parcheggiati sotto il portico condominiale, la rimozione non pu avvenire senza
intervento della polizia municipale Cass. civ., Sez. II, sentenza 21 aprile 2008, n. 10323 La
rimozione di un ciclomotore parcheggiato nel portico condominiale, nonostante la presenza di appositi
cartelli con l'indicazione di "propriet privata - divieto di sosta" e con l'avvertimento che i motoveicoli
sarebbero stati rimossi a spese dei trasgressori, possibile solo con lintervento della polizia
municipale perch il portico, pur essendo di propriet condominiale, gravato da una servit di
pubblico passaggio su area privata il cui uso deve essere regolato esclusivamente dallamministrazione
pubblica. (Nella fattispecie, la Cassazione ha respinto il ricorso di una societ di soccorso stradale
condannata dal Giudicie di Pace alla restituzione dei soldi pagati per la rimozione, il trasporto e la
custodia oltre agli interessi legali ed alle spese del giudizio)
Domicilio del condominio - individuazione Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 2005, n. 27551 l
condominio di edifici, che non una persona giuridica, ma un ente di gestione e non ha, pertanto, una
sede in senso tecnico, ove non abbia designato, nell'ambito dell'edificio, un luogo espressamente
destinato e di fatto utilizzato per l'organizzazione e lo svolgimento della gestione condominiale, ha il
domicilio coincidente con quello privato dell'amministratore che lo rappresenta.
All'atto della cessazione dell'incarico gestorio, l'amministratore ha l'obbligo di provvedere a
restituire tutta la documentazione pertinente all'ente di gestione. Tribunale Roma, Sezione 5
Civile, Sentenza del 25 gennaio 2007, n. 10818 La relazione giuridica che lega l'amministratore al
condominio nel cui nome ed interesse esplica la relativa attivit gestoria deve indubbiamente ricondursi
agli schemi giuridici del mandato poich importante il compimento di atti i cui effetti si producono
nella sfera giuridico-patrimoniale del rappresentato. Ci posto, deve pertanto trovare applicazione la
norma tipizzata all'art. 1713 c.c. che impone al mandatario, all'atto della cessazione dell'incarico

gestorio, la trasmissione al mandante di tutto quanto pertiene la funzione espletata.


Accertamenti - compenso come amministratore di una societ e due condomini Cassazione civile
Sentenza, Sez. Trib., 29/01/2008, n. 1915 In tema di accertamento delle imposte sui redditi, in presenza
di un comportamento antieconomico che il contribuente non spieghi in alcun modo, legittimo
l'accertamento del reddito ex art. 39, primo comma, lett. d) D.P.R. n. 600/1973, il quale consente di
desumere l'esistenza di ricavi (nel caso di specie il compenso come amministratore di una societ e due
condomini) non dichiarati anche sulla base di presunzioni semplici, purch gravi, precise e concordanti.
La chiusura di una preesistente tettoia un intervento di ristrutturazione edilizia TAR
Abruzzo-L'Aquila, sez. I, sentenza 07.03.2008 n 127 Lintervento in questione (chiusura di una
preesistente tettoia) deve configurarsi, invero, non gi come intervento manutentivo, che
presupporrebbe la natura non innovativa degli apporti edilizi, e, nel caso di specie, della funzione di
sola copertura propria della tettoia preesistente, ma di vera e propria ristrutturazione edilizia, ai sensi
dellart. 31, lett.d), legge 5 agosto 1978, n. 457, ed ora dellart. 3 del D.P.R. n. 380 del 2001, trattandosi
di trasformazione di un immobile tale da portare, come in effetti nella specie porta, ad un organismo
edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Non pu revocarsi in dubbio, infatti, che la chiusura
della tettoia importi non la sola copertura di una superficie, ma la piena utilizzabilit di un volume, in
sicuro ampliamento del fabbricato cui accede. Le dimensioni non certo trascurabili della struttura e i
materiali utilizzati (cemento armato) confortano circa la qualificazione dellopera ed il suo
assoggettamento alla disciplina propria delle opere edilizie soggette a permesso di costruire. N pu
surrettiziamente, come tenta di fare la difesa ricorrente, operarsi una distinzione tra le varie fasi di
realizzazione dellintervento, che ha comportato, com ovvio, dapprima la sostituzione della
preesistente struttura in ferro con altra, analoga, in cemento armato (si tratta delle opere strutturali), e,
successivamente, la tompagnatura delle pareti aperte della tettoia, per desumerne la natura meramente
sostitutiva e manutentiva, essendo viceversa chiaro che lopera edilizia va vista nella sua globalit e, in
tale ottica, non vi dubbio che la preesistente tettoia in ferro (ed tuttaltro che trascurabile le scelta dei
materiali), sia pure ancorata al suolo, opera diversa dallampliamento chiuso su tutti i lati del
fabbricato principale, sia pure inglobante la superficie prima coperta dalla detta tettoia. Questo liter
motivazionale che ha determinato il Giudice amministrativo di prime cure nel respingere il ricorso
proposto per lannullamento di una ordinanza di demolizione di opere edilizie, fra le quali una tettoia
che, pur preesistente, era stata sostituita nelle sue parti essenziali (in specie, strutturali: da ferro a
cemento a armato) ed era stata tamponata sui lati. Si segnala come, invero, gi la mera tamponatura
su tre lati (pi che considerazioni sulla superficie o sui materiali impiegati, tuttavia non irrilevanti)
potesse concretare lipotesi di creazione di un nuovo volume che, ai sensi della disciplina edilizia
vigente, comporta la necessit di un titolo abilitativo (sul punto, cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. IV,
sentenza 22.3.2007, n. 2725 o anche T.A.R. Piemonte, sez. I, sentenza 12.7.2005, n. 2484) poich non
assimilabile ad un semplice intervento manutentivo (ordinario).
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Caparra confirmatoria e inadempimento contratto preliminare Cassazione civile , sez. II, sentenza
22.04.2008 n 10394 Nellipotesi in cui sia stata versata una caparra confirmatoria, la parte adempiente
pu scegliere due rimedi tra loro non cumulabili: trattenere la caparra o in alternativa chiedere il
risarcimento dei danni. Tale regola non viene meno nellipotesi in cui sia stata chiesta la risoluzione
di un contratto preliminare per inadempimento del promissario acquirente. Pertanto, sulla base di tale
principio, il promittente venditore che abbia ricevuto, oltre alla caparra confirmatoria, anche una
somma per il ritardo nella stipula del definitivo, non legittimato a trattenerla a titolo di risarcimento
danni, atteso che tale somma altro non che una penale stabilita per il ritardo nelladempimento che va
restituita una volta richiesta la risoluzione del preliminare.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=41642
LA
VIOLAZIONE
DELLA
PERTINENZIALITA
NEI
PARCHEGGI
CONDOMINIALI Il costruttore/venditore di un edificio condominiale, il quale, in
violazione della Legge 765/1967, si sia riservato il diritto di uso delle aree destinate a
parcheggio e, nonostante il diverso progetto originario, le abbia trasformate in magazzini,
depositi o altro - prima di dare corso al frazionamento delledificio - non pu essere
condannato al ripristino della situazione prevista nel progetto originario e a demolire i
magazzini e i depositi, ma solo al risarcimento dei danni. Questo, in sintesi, il contenuto

della sentenza della Cassazione 7 maggio 2008, numero 11.202.


Nel caso esaminato dalla Corte, alcuni condomini avevano convenuto in giudizio il
costruttore/venditore dello stabile condominiale che, con espresso patto notarile, li aveva
esclusi dallutilizzo delle aree condominiali a parcheggio. Tra laltro, tali aree erano state
realizzate in misura inferiore a quella del progetto approvato dai competenti organi comunali
e comunque in misura inferiore agli standard relativi al rapporto volume costruito/parcheggi,
di cui alla Legge 765/1967. I condomini chiedevano, dunque, al Tribunale di accertare il loro
diritto di uso sulle aree previste legislativamente a parcheggio e la condanna della societ
venditrice al ripristino della situazione prevista nel progetto approvato, mediante
demolizione dei magazzini e dei depositi realizzati. La venditrice si opponeva per alla
richiesta, eccependo che gli acquirenti avevano accettato - nei rispettivi atti di acquisto - il
patto con il quale luso delle parti a parcheggio era riservato alla venditrice e che in ogni
caso le aree risultavano ormai trasformate in depositi e magazzini.
Il Tribunale, accogliendo la domanda dei condomini, dichiarava la nullit delle clausole
contenute nei contratti di vendita delle singole unit immobiliari, relative alla esclusione del
diritto di uso delle aree vincolate per legge a parcheggio. Dopo la rimessione della causa in
istruttoria e lespletamento di una perizia - volta ad accertare se fosse possibile recuperare lo
spazio a parcheggio previsto nel progetto approvato, attraverso la demolizione il Tribunale
definiva il giudizio condannando la societ convenuta al ripristino delle aree a parcheggio,
oltre al risarcimento dei danni. La decisione del Tribunale veniva successivamente
confermata dalla Corte di Appello.
Di diverso avviso stata invece la sentenza della Cassazione 11.202/2008, che ha
riconosciuto ai condomini il solo diritto al risarcimento danni.
Secondo la Corte - che si tra laltro riportata a un suo precedente orientamento, (Cassazione
18 aprile 2003, numero 6.239 e Cassazione 22 febbraio 2006, numero 3.961) - in tema di
disciplina legale delle aree destinate a parcheggio, interne o circostanti ai fabbricati di nuova
costruzione, ove lo spazio da adibire a parcheggio, pur previsto nel progetto autorizzato, non
sia stato riservato in corso di costruzione e sia stato impiegato per realizzarvi manufatti od
opere di altra natura, possono ravvisarsi - a carico del costruttore - esclusivamente
responsabilit di natura amministrativa ed eventualmente penale. Non possono invece
individuarsi responsabilit d'ordine privatistico, n oneri di ripristino dello status quo. In tale
ipotesi, infatti, il bene soggetto ex lege al vincolo pertinenziale a parcheggio non mai
venuto ad esistenza e il contratto di trasferimento delle unit immobiliari non ha avuto ad
oggetto alcuna porzione di esso. In particolare, non legittimo accordare allacquirente la
tutela ripristinatoria di un rapporto giuridico mai venuto ad esistenza, ma semmai solo una
tutela risarcitoria, in ragione del campo applicativo degli artt. 871 e 872 Codice Civile. Si
tenga presente che, per larticolo 872, ultimo comma, Codice Civile colui che per effetto
della violazione ha subito danno deve essere risarcito, salva la facolt di chiedere la
riduzione in pristino quando si tratta di violazione delle norme contenute nella sezione
seguente o da questa richiamata.
E, dunque si legge, nella motivazione dei giudici di legittimit, che a seguito
dellaccertamento in punto di fatto che larea scoperta destinata a parcheggio - che secondo il
progetto originario era di mq 445,79 - era stata invece realizzata per mq 424,53, in quanto
parte di tale area (per mq 21,26) era stata illecitamente destinata dalla parte venditrice ad altri
usi (magazzini depositi), agli acquirenti delle singole unit abitative poteva essere
riconosciuto solo il diritto al risarcimento del danno e non anche alla riduzione in pristino,
per la realizzazione ex novo dello spazio da destinare a parcheggio.
Decoro architettonico condominiale va tutelato in base a circostanze concrete
Cassazione civile , sez. II, sentenza 17.10.2007 n 21835
La tutela del decoro architettonico degli edifici condominiali, anche di quelli privi di
particolari pregi artistici, stata apprestata dal legislatore, allart. 1120 II co. c.c., non in
astratto, bens in considerazione della concorrenza di due distinte circostanze concrete:
unalterazione delle linee e delle strutture fondamentali delledificio, od anche di sue singole
parti o di suoi singoli elementi dotati di sostanziale autonomia, ed una consequenziale
diminuzione del valore dellintero edificio e, quindi, anche di ciascuna delle unit
immobiliari che lo compongono, di qui la legittimazione attiva non solo del condominio ma

anche del singolo condomino. Sulla base di tali principi la Suprema Corte ha affermato,
nella sentenza in esame, che la lesivit estetica dellopera abusivamente compiuta da uno dei
condomini che costituisca lunico contestato profilo di illegittimit dellopera stessa non
pu assumere rilievo in presenza di una gi grave evidente compromissione del decoro
architettonico dovuto a precedenti interventi sullimmobile. Nella specie, la Suprema Corte
ha giustamente confermato la sentenza di merito che, sulla base del criterio di valutazione di
tipo oggettivo, aveva respinto la domanda di rimozione di un ballatoio realizzato da un
condomino sul preesistente terrazzo, in considerazione del fatto che non tutte le modifiche
compiute avevano danneggiato il decoro delledificio, peraltro gi precedentemente
compromesso da altri interventi, alcuni dei quali realizzati dallo stesso condomino attore.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=39720
Vendita, vizi occulti, azione di riduzione, precisazioni Cassazione civile , sez. II, sentenza 21.05.2008
n 12852 Vendita vizi occulti azione di riduzione precisazioni [art. 1492 c.c.] Poich la legge
non impone particolari criteri da seguire per la determinazione della somma dovuta a seguito della
riduzione di prezzo in relazione ai vizi della cosa venduta, consentito il ricorso a criteri equitativi ed
al prudente apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito incensurabile in sede di legittimit
ove sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici. (1) (2) (3) (4) (5)
(1) In materia di
dies a quo, vizi della cosa e compravendita, si veda Cassazione civile 2797/2008.
(2) In materia di
prescrizione e difetto della cosa immobile, si veda Cassazione civile 2313/2008.
(3) In materia di
difetti della cosa ed incidenza sulla stabilit, si veda Cassazione civile 27193/2007.
(4) In materia
di danni lungolatenti, applicati al caso di contagio da sangue infetto, si veda Cassazione civile SS.UU.
581/2008 (sentenza storica, ndr). http://www.altalex.com/index.php?idnot=42394
Lecite le videoriprese dei vicini nel cortile (Cassazione 22602/2008) Le videoriprese dei vicini di
casa, effettuate per smascherare comportamenti illeciti, sono lecite purch non dirette verso luoghi di
privata dimora ma verso aree utilizzate da un numero indifferenziato di persone. Lo ha stabilito la
Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione annullando con rinvio unordinanza del Tribunale del
Riesame di Reggio Calabria che aveva confermato la custodia cautelare per un uomo sospettato di far
parte di una associazione a delinquere sulla base di alcune videoriprese effettuate nel cortile del palazzo
nel quale abitava. La Suprema Corte ha ritenuto legittime tali riprese, elencando i luoghi nei quali
possibile effettuare riprese con una videocamera: sono utilizzabili come prova le videoregistrazioni
effettuate dalla polizia di reiterati atti vandalici e di danneggiamento ai danni della porta del proprio
appartamento, della porta dell'attiguo garage e della cassetta postale antistante l'ingresso
dell'appartamento, in quanto l'area interessata dalle videoregistrazioni, operate con telecamera sito
all'interno dell'appartamento, ricade nella fruizione di un numero indifferenziato di persone e non
attiene alla sfera di privata dimora di un singolo soggetto; inoltre, con specifico riferimento a riprese
effettuate dalla pubblica via verso l'ingresso di un privato edificio, si opinato che vadano considerate
legittime e pertanto utilizzabili le videoregistrazioni dell'ingresso e del piazzale di accesso a un
edificio sede dell'attivit di una societ commerciale, eseguite dalla polizia giudiziaria dalla pubblica
strada, mediante apparecchio collocato all'esterno dell'edificio stesso, non configurando esse
un'indebita intrusione n nell'altrui privata dimora, n nell'altrui domicilio, nozioni che individuano una
particolare relazione del soggetto con il luogo in cui egli vive la sua vita privata, in modo da sottrarla a
ingerenze esterne, indipendentemente dalla sua presenza. Nel caso in esame le videoriprese si sono
svolte tramite camera esterna all'edificio, del quale inquadravano l'ingresso, i balconi e il cortile, e
deve pertanto escludersi una intrusione, tanto nella privata dimora, quanto nel domicilio.
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=85233&idCat=45
Classamento e attribuzione della rendita catastale di un area condominiale - Attribuzioni
dell'amministratore - agire in giudizio Comm. trib. prov. Genova, sez. XIII, 29 novembre 2007, n.
400 L'art. 1130, comma 1, n. 4), c.c. fa obbligo all'amministratore del condominio di compiere gli atti
conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio. L'art. 1131 c.c., a sua volta, attribuisce
all'amministratore il potere di rappresentanza attiva nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo
precedente o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea. Dal
combinato disposto degli artt. 1130 e 1131, comma 1 del c.c. si evince che, al di fuori delle ipotesi di
maggiori poteri attribuitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore pu agire
in giudizio senza che occorra un'apposita autorizzazione solo nell'ambito delle attribuzioni conferitegli

dalla legge - e propriamente dall'art. 1130 - le quali concernono in generale l'amministrazione ordinaria
(Cass., sez. II civile, sentenza n. 11272 del 22 novembre 1990 ). L'impugnazione dell'avviso di
attribuzione di rendita catastale all'unit immobiliare in esso descritta non rientra di certo nel novero
degli atti conservativi di cui all'art. 1130, n. 4 c.c. il classamento e la conseguente attribuzione della
rendita catastale non arrecano infatti pregiudizio alcuno alla parte comune dell'edificio.
L'amministratore, quindi, in mancanza dell'autorizzazione dell'assemblea dei condomini non era
legittimato a presentare ricorso avverso l'atto impugnato. Il ricorso poich proposto da soggetto privo di
legittimazione ad agire deve pertanto essere rigettato. (Nella specie l'amministratore chiese
l'annullamento dell'impugnato avviso di attribuzione di rendita... con ritorno allo stato precedente dei
fatti. Precisando che la richiesta di cambio di destinazione di area condominiale indivisa a
frazionamento in posti auto venne presentata dall'amministratore in carica senza essere stata in alcun
modo deliberata da alcuna assemblea ordinaria e/o straordinaria.)
Il condomino che distribuisce lettere ai vari condomini criticando lamministratore, non commette il
delitto di diffamazione Corte di Cassazione, Sez. V Pen., Sent. n. 31596 del 29/07/2008 Il condomino che
scrive agli altri proprietari una lettera nella quale si critica lamministratore - accusandolo di usare in modo
improprio, illegale ed arbitrario i poteri di amministratore e dichiarando falsit - non commette il delitto di
diffamazione, nel caso in cui non vi sia unaggressione alla sfera morale della persona, ma soltanto una censura
delle attivit svolte dallo stesso. Lo ha stabilito la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione che ha
precisato anche che si pu contestare l'amministratore "usando frasi certamente aspre perch fuori dubbio che a
ciascun condomino spetta il diritto di controllare i comportamenti dellamministratore e di denunciare eventuali
riscontrate irregolarit. ". (nella specie, l'amministratore non convocava le assemblee e il condominio ritenne con
la lettera incriminata di contestare la conduzione del condominio.)
Realizzazione di balcone, distribuzione delle aperture sulla facciata, pregiudizio TAR Campania-Napoli,
sez. IV, sentenza 07.03.2008 n 952 La motivazione addotta dal Comune non pu ritenersi in ogni caso idonea a
legittimare il diniego della modifica della finestra in balcone, laddove i ricorrenti nel realizzare tale intervento
hanno peraltro dimostrato di essersi attenuti alle medesime caratteristiche costruttive degli altri balconi esistenti
sulla medesima facciata, ed hanno altres inteso riequilibrare la facciata medesima attraverso un riallineamento
con altro analogo balcone gi esistente al piano superiore. Con siffatta motivazione, il T.A.R. campano ha
accolto il ricorso di coloro che chiedevano la cassazione del diniego di sanatoria di un balcone realizzato a
partire dalla trasformazione di una apertura esistente, sulla facciata interna del fabbricato di interesse. Secondo
quanto dato evincere dalla pronuncia in commento, trattandosi di un fabbricato ottocentesco (sic, considerato
in fatto), il Comune aveva opposto il diniego di concessione edilizia in sanatoria poich (a suo dire, in sintesi) si
trattava di un intervento edilizio posto in essere pregiudicando larmonica e preesistente distribuzione delle
aperture sulla facciata dellimmobile. Tale motivazione, tuttavia, parsa al Collegio illegittima poich
lapertura di cui trattasi era stata operata su una porzione della facciata che esiste internamente allimmobile
(oltre al fatto che i ricorrenti hanno dimostrato, documentalmente, linfondatezza del rilevato pregiudizio
allimpianto distributivo delle aperture esistenti. http://www.altalex.com/index.php?idnot=41655
I condomini hanno diritto di fare copie della documentazione contabile prima dellassemblea Delibera annullabile se
lamministratore nega i documenti (Cassazione 12650/2008) La delibera assembleare pu essere annullata
se prima dellAssemblea lAmministratore si rifiuta di far vedere i documenti ad uno dei condomini impedendogli
di estrarne copia integrale. Lo ha stabilito la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione annullando con
rinvio una sentenza della Corte di Appello di Genova che aveva stabilito che limpossibilit per i condomini di
prendere visione dei documenti non incideva sulla validit della delibera assembleare. Questi i fatti. Un
condomino aveva impugnato una delibera dellAssemblea ritenendo che lAmministratore del Condominio fosse
venuto meno ai suoi doveri di informazione impedendogli di prendere visione dei documenti contabili e di
estrarne copia integrale prima del rendiconto. A suo avviso tale comportamento inficiava infatti la validit della
successiva delibera assembleare. Il Tribunale in primo grado e la Corte di Appello in secondo grado gli avevano
dato torto, ritenendo che il comportamento dellAmministratore non incidesse sulla validit della decisione
dellAssemblea dei condomini. Per tale motivo il condomino aveva proposto ricorso in Cassazione contro la
sentenza di appello, richiamando a sostegno della sua tesi una sentenza della Suprema Corte secondo la quale
la violazione del diritto di ciascun condomino di esaminare a sua richiesta e secondo adeguate modalit di
tempo e di luogo la documentazione attinente argomenti posti all'ordine del giorno di una successiva assemblea
condominiale determina l'annullabilit delle delibere successivamente approvate, riguardanti tale
documentazione, in quanto la lesione del suddetto diritto all'informazione incide sul procedimento di formazione
delle maggioranze assembleari. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, richiamando a sua volta unaltra
recente pronuncia, secondo la quale in tema di approvazione del bilancio da parte dell'assemblea
condominiale, bench l'amministratore del condominio non abbia l'obbligo di depositare la documentazione
giustificativa del bilancio negli edifici, egli tuttavia tenuto a permettere ai condomini che ne facciano richiesta di
prendere visione ed estrarre copia, a loro spese, della documentazione contabile, gravando sui condomini
l'onere di dimostrare che l'amministratore non ha loro consentito di esercitare tale facolt. In base al principio
enunciato, dunque, deve ritenersi che il rifiuto dellAmministratore di esibire i documenti ai condomini che ne

fanno richiesta non solo un comportamento contrario ai doveri di informazione ma incide sulla validit della
successiva delibera dellAssemblea condominiale.
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=85128&idCat=45
Distanze dal muro di cinta e valutazione delle scelte estetiche Consiglio di Stato , sez. IV, sentenza 05.03.2008
n 931 Il muro di cinta di altezza non superiore ai tre metri, pur essendo una costruzione in senso materiale, non
considerato tale ai fini delle distanze legali per la sua mancanza di autonomia strutturale, costituendo una
semplice protezione del fondo: per il computo delle distanze tra costruzioni vanno quindi presi in considerazione
gli edifici che si trovano rispettivamente al di qua e al di l del muro di cinta, come se questo non esistesse, per
cui la distanza di legge va computata tra ledificio preesistente e la nuova costruzione ovvero ampliata. Ne
consegue, nello specifico, che la distanza minima da rispettare tra i porticati ed il confine non quella stabilita
dallart. 873 c.c., ma quella tra sagoma limite e confine. Dal momento che il Giudice amministrativo non pu
sindacare il merito delle scelte estetico-funzionali dellamministrazione se non nei limiti della illogicit, quando si
discute di concreti valori estetico-tipologici riservati allamministrazione medesima, sufficiente appurare che le
norme edilizie in vigore ammettono lintervento di interesse con le caratteristiche morfologiche e strutturali
desumibili anche dalla documentazione fotografica agli atti processuali. Queste sono le principali statuizioni del
Giudice amministrativo in ordine alle norme applicabili, in materia di distanze legali, ai muri di cinta di altezza
inferiore a 3 ml. nonch in ordine allampiezza del potere di sindacato giurisdizionale circa temi di squisita
competenza dellamministrazione e che, per il loro carattere di scelta politica, si sottraggono a qualsiasi
censura di Giudici se non per motivi di manifesta illogicit o contraddittoriet. Altro profilo che, tuttavia, merita
una qualche attenzione anche quello della presunta incompatibilit dellamministrazione che ha operato talune
scelte, nella persona del vice-sindaco, e la pratica oggetto di ricorso, di cui lo stesso vice-sindaco era stato
progettista. Segnala il Consiglio di Stato che larticolo 78, comma 2, del d.lgs. n. 267/2000, stabilisce che gli
amministratori di cui allart. 77 comma 2 devono astenersi dal prendere parte alla discussione ed alla votazione
di delibere riguardanti interessi propri o di loro parenti o affini sino al quarto grado. Lobbligo di astensione non si
applica ai provvedimenti normativi o di carattere generale, quali i piani urbanistici, se non nei casi in cui sussista
una correlazione immediata e diretta fra il contenuto della deliberazione e specifici interessi dellamministratore o
di parenti o affini fino al quarto grado. Sul punto, il Giudice precisa che per un verso lobbligo di astensione
postula la ricorrenza delle stringenti condizioni stabilite dalla norma, e, per altro verso ... le delibere consiliari
denunziate si sono limitate allapprovazione dei criteri tecnico urbanistici, dei principi informatori delle scelte
urbanistiche compiute e degli obiettivi generali della disciplina adottata che erano gi stati compiutamente
definiti in atti deliberativi adottati e approvati in epoca antecedente allingresso in giunta del tecnico incaricato e
ivi contestato. Sul punto, si tiene a segnalare come, in merito allampiezza della disposizione normativa di cui
allart. 78, comma 2, la giurisprudenza non mai riuscita ad esprimere un quadro compiuto e completo,
soddisfacente per la soluzione di altre e diverse fattispecie (si pensi al caso di un consigliere comunale che ha il
proprio discendente p.e. figlia o nipote quale assessore di Giunta); e tuttavia, quello in esame rappresenta
un richiamo di indubbia utilit per lo studioso del diritto. http://www.altalex.com/index.php?idnot=43142
Concetto di ristrutturazione: manufatto crollato e ricostruito non ''esistente'' Consiglio di Stato , sez. IV,
decisione 10.04.2008 n 1550 Un manufatto, a seguito del crollo delle sue pareti, non pu essere pi
considerato quale edificio esistente, ai fini dellapplicazione delle norme di piano che consentono lampliamento
di un originario edificio esistente giacch per esso, pur continuando a esistere nella sua materiale consistenza,
non consentita la realizzazione di edifici ex novo e divenuti inesistenti. La ristrutturazione edilizia si caratterizza
per la riedificazione che comporti la piena conformit di sagoma, volume e superficie tra il vecchio e il nuovo
manufatto. Sono questi i principali momenti argomentativi che la Quarta Sezione ha fatto propri in una
fattispecie in cui un manufatto preesistente (regolarmente concessionato) era crollato e, una volta riedificato, ne
era stata domandata la sanatoria quale fattispecie di ristrutturazione edilizia. Fedele al proprio orientamento
giurisprudenziale, il Consiglio di Stato ha chiarito che, in una fattispecie del genere, non sussistono gli estremi
della ristrutturazione edilizia, dal momento che il manufatto non esistente come, invece, richiede il concetto
giuridico pocanzi richiamato. Piuttosto, lintervento richiesto assume i connotati della nuova costruzione, il
che sottost a limiti normativi e regolamentari (locali) ben diversi e stringenti, al punto da poter inibire
quellintervento che, prima del crollo, esisteva. http://www.altalex.com/index.php?idnot=43143
Possibile chiedere un decreto ingiuntivo in attesa dellapprovazione del bilancio consuntivo
Bilancio preventivo sufficiente contro condmini morosi (Cassazione 24299/2008)
LAmministratore del Condominio pu chiedere un decreto ingiuntivo per i condomini morosi anche sulla base
del bilancio preventivo. Lo ha stabilito la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione annullando con
rinvio una sentenza del Giudice di Pace di Roma che aveva annullato un decreto ingiuntivo emesso nei
confronti di alcuni condomini morosi nei pagamenti in quanto non risultava ancora approvato il bilancio
consuntivo. Contro tale sentenza aveva proposto ricorso il Condominio, ritenendo che lAmministratore
potesse avvalersi anche del bilancio preventivo, in attesa dellapprovazione di quello consuntivo. La Suprema
Corte, accogliendo il ricorso e rinviando la questione al Giudice di Pace, ha affermato che il Giudice di Pace ha
infranto un principio basilare e ineliminabile per la corretta gestione del condominio, che consente
all'amministratore di riscuotere le quote degli oneri in forza di un bilancio preventivo fino a quando questo
non sia sostituito dal consuntivo regolarmente approvato, in quanto secondo il Giudice di Pace, il bilancio
preventivo sarebbe azionabile sino a che non sia scaduto l'esercizio cui esso si riferisce; tale principio, se
applicato, renderebbe impossibile la riscossione degli oneri e, quindi, inciderebbe sulla possibilit stessa di
gestione del condominio per tutto il tempo intercorrente tra la scadenza dell'esercizio e l'approvazione del

consuntivo, periodo che potrebbe ipotizzarsi anche lungo in relazione a molteplici possibili eventi, tra cui, non
ultimo, la non approvazione del progetto da parte dellAssemblea.
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=86136&idCat=45

Cassazione (sentenza 475/94) ha riconosciuto la diminuita responsabilit del notaio, quando il rogito sia
predisposto dalle parti o da altri professionisti (scrittura privata), dicendo addirittura che egli non obbligato
nemmeno a effettuare un controllo ipotecario.
IL CONDOMINIO E CONSUMATORE Il condominio quando tratta con fornitori per lacquisto di
beni o servizi - consumatore, posto che il suo amministratore non agisce in qualit di organo del
condominio, ma come mandatario, con rappresentanza dei singoli condomini, in capo ai quali si
consolidano le obbligazioni dallo stesso assunte. Nei contratti tra fornitori e condominio, trova,
dunque, applicazione il Decreto Legislativo 6 settembre 2005, numero 206 (Codice del Consumo).
Ma essere consumatori non significa avere diritto al rimedio che pi si preferisce (ad esempio alla
risoluzione del contratto). Larticolo 130 del Codice del Consumo, prevede infatti, in caso di non
conformit del bene, una serie di rimedi in ordine gerarchico, che devono essere rispettati
(riparazione/ripristino del bene o sostituzione). Questo in sintesi il contenuto della sentenza del
Tribunale di Milano 7 agosto 2008, numero 10.854. Nel caso esaminato dal Tribunale meneghino,
un condominio aveva convenuto in giudizio un impresa con cui aveva stipulato un contratto di
fornitura di vetri per la facciata condominiale eccependo che mentre nel contratto era stabilito che i
vetri dovessero essere identici a quelli precedentemente forniti dalla stessa ditta al condominio, nella
fase di montaggio ci si era accorti che i vetri erano diversi per qualit e spessore rispetto ai
precedenti. Il condominio aveva pertanto chiesto la risoluzione del contratto per inadempimento della
ditta fornitrice. Questultima aveva per eccepito in causa la decadenza del condominio dallazione a
norma dellarticolo 1495 Codice Civile, osservando che dalla data di consegna della merce, era
passato pi di un anno, senza che in condominio nulla eccepisse, circa la non conformit della
merce.Il Tribunale prima di entrare nel merito della domanda attorea ha voluto ribadire una volta
di pi, che il condominio pu essere qualificato come consumatore. Si vedano in questo senso
Tribunale di Bologna 3 ottobre 2000; Giudice di Pace di Genova 7 aprile 2006 e Cassazione 24 luglio
2001, numero 10086. Secondo la richiamata giurisprudenza il condominio che un ente di gestione
sfornito di personalit giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti, quando sottoscrive, tramite il
proprio amministratore, un contratto con un terzo per una fornitura, non vincola se stesso, ma vincola
i singoli condomini come mandatario con rappresentanza dei condomini stessi. E non vi dubbio che
i singoli condomini - che sono persone fisiche e che agiscono per scopi estranei allattivit
imprenditoriale o professionale eventualmente svolta - siano consumatori, secondo la deifinizione
data dal Codice del Consumo.E tuttavia, nel caso affrontato dal Tribunale di Milano nella sentenza
10.854/2008, la domanda di risoluzione proposta dal condominio stata respinta. Larticolo 130,
comma 2, del Codice del Consumo, prevede infatti una serie di rimedi in ordine gerarchico da
rispettare in caso di non conformit della merce. In particolare, vi sono i rimedi di carattere primario
che consistono nella riparazione (ripristino del bene di consumo per renderlo conforme al contratto) e
nella sostituzione del bene e vi sono rimedi di carattere secondario che consistono nella riduzione del
prezzo e nella risoluzione del contratto. Questi ultimi due rimedi sono esperibili soltanto se i rimedi di
rango superiore siano impossibili o eccessivamente onerosi o il venditore non abbia provveduto alla
riparazione o alla sostituzione entro un congruo termine o la sostituzione o la riparazione effettuata
abbiano prodotto notevoli inconvenienti al consumatore.Si legge nella sentenza del Tribunale Milano
10.854/2008 la parte acquirente ha preteso, e dopo un notevole lasso di tempo dalla consegna del
bene, di ottenere la risoluzione del contratto senza prima chiedere al venditore leventuale
sostituzione del bene. Non solo. Sempre la parte acquirente ha chiesto la risoluzione del contratto e il
risarcimento del danno senza nemmeno offrire, a sua volta, alla parte venditrice quanto meno la
restituzione del bene del quale la medesima parte acquirente assume la non conformit al contratto.

Regolamento di condominio, illegittime le sanzioni che superano i 5 centesimi di euro (100L.) Cassazione,
sentenza del 21/04/2008 n 10329 La Cassazione con sentenza n. 10329 del 21/04/2008 ha ritenuto nuovamente
nulla la sanzione superiore a 5 centesimi di euro (100 L.) prevista dal regolamento condominiale. (Art.70
disp.att. C.C.). In questi termini, si era gi espressa con la sentenza n. 948 del 1995: "Il regolamento di
condominio non pu prevedere, per l'infrazione alle sue disposizioni, sanzioni pecuniarie di importo superiore a
lire cento"
Nell'ambito dell'attivit imprenditoriale, spesso si realizza, la permuta di un bene a fronte di uno futuro e,
quindi, allo stato non ancora esistente. La risoluzione 460210 del 1989 ha esaminato la fattispecie costituita dalla

cessione di un terreno edificabile di propriet di una persona fisica, non soggetto Iva, (come ritengo si tratti
nel caso postato) in cambio della costruzione di alcuni appartamenti, riconoscendo a tale operazione il carattere
di permuta, anche se il requisito soggettivo (esercizio di impresa) non riconoscibile al cedente del terreno,
poich questi un privato. Tuttavia, nella fattispecie descritta, si rende necessario determinare il momento in
cui l'Iva diventa esigibile, poich, all'apparenza, la permuta dei beni non solo non avviene contemporaneamente,
ma addirittura uno di essi (appartamenti) allo stato ancora inesistente. Orbene, nell'ipotesi esaminata, si
dovrebbe considerare, trattandosi di acquisizione di beni immobili, la data della stipula come momento nel quale
si realizza la predetta esigibilit. Ma anche vero che la cessione immediata del terreno (corrispettivo) anticipa il
momento dell'esigibilit poich determina l'avvio dell'operazione. Pertanto, la risoluzione afferma che "la
cessione dei costruendi appartamenti deve essere assoggettata all'Iva, in quanto effettuata da un'impresa edile e il
momento impositivo quello della cessione del terreno in quanto esso ne costituisce il corrispettivo. Ci anche
in conformit a quanto precisato dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 4842 del 7 settembre 1982".
Tale assunto, peraltro, stato confermato anche successivamente dalla Corte di Cassazione che, in riferimento
alla medesima fattispecie sopra riportata, ha affermato che chi riceve il terreno "ha in effetti ricevuto la
prestazione dovutale, cio un equivalente degli appartamenti promessi". Da ci consegue, afferma la suprema
Corte, che da quel momento sorge "l'obbligo di emettere fattura e corrispondere l'Iva" ed ininfluente, agli
effetti del suddetto obbligo, la circostanza che non si sia ancora eseguita la prestazione consistente nella
consegna degli appartamenti (sentenza 10510 del 17/10/91). Ovviamente, il criterio sopra riportato applicabile
anche nel caso in cui i soggetti coinvolti fossero entrambi soggetti Iva, rilevandosi solamente l'applicazione di
tale medesima imposta.

LUSO ESCLUSIVO DELLA CANNA FUMARIA Il diritto del condomino di utilizzare la cosa
comune a norma dellarticolo 1102 Codice Civile salvo espresso consenso di tutti i condomini - non
pu spingersi sino al punto di consentirgli di sottrarre il bene comune al potenziale uso degli altri
condomini e di attrarlo nella sua sfera di disponibilit esclusiva. E, dunque, una canna fumaria destinata
allevacuazione dei gas di scarico dellimpianto termico centralizzato dimesso, non pu essere usata in
via esclusiva da un condomino per levacuazione dei fumi del forno dellimmobile di sua propriet
adibito a pizzeria, quando tale uso rende inservibile il bene agli altri condomini. Questo in sintesi il
contenuto della sentenza della Cassazione 6 novembre 2008, numero 26.737. Nel caso esaminato dalla
Suprema Corte, un condomino aveva impugnato due assemblee, con cui il condominio aveva deliberato
che a seguito della dismissione dellimpianto termico centralizzato luso della canna fumaria
condominiale non potesse pi essere autorizzato se non in modo conforme alla sua destinazione e cio
di canna fumaria, per esalazione dei gas di scarico di impianti termici. Secondo il condomino infatti le
assemblee in questione violavano larticolo 1102 Codice Civile, per il quale ciascun partecipante pu
servirsi della cosa comune, purch non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti
di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Il condominio in giudizio aveva invece eccepito la
perfetta legittimit delle delibere impugnate e puntualizzato che ad essere illegittimo era luso della
canna fumaria da parte del condomino impugnante, che aveva innestato, nella ex canna fumaria per gli
scarichi dellimpianto termico centralizzato, gli scarichi del forno dellimmobile di sua propriet
esclusiva adibito a pizzeria, rendendo il bene inservibile per gli altri condomini. Secondo la Corte di
appello territoriale le due assemblee dovevano essere annullate, posto che non sussisteva n
attualmente, n virtualmente un uso collettivo della canna fumaria che si prestasse ad essere
pregiudicato da quello particolare effettuato dal condomino proprietario del locale adibito a pizzeria.
Non solo, la destinazione strutturale e funzionale del condotto era sostanzialmente rispettata, dato che il
condotto - pur utilizzato per i fumi e vapori della pizzeria manteneva comunque la destinazione di
canna fumaria. Contrapponendosi a tale decisione, la Suprema Corte nella sentenza in commento ha
invece ribadito il proprio precedente indirizzo giurisprudenziale, secondo cui l'art. 1102 Codice Civile
vieta al singolo partecipante di attrarre la cosa comune o una sua parte nell'orbita della propria
disponibilit esclusiva e di sottrarlo in tal modo alla possibilit di godimento degli altri contitolari,
estendendosi il diritto di ciascuno nei limiti della quota su tutta la cosa. L'utilizzazione della cosa
comune o di una sua porzione da parte di uno o di alcuni dei partecipanti deve ritenersi legittima solo
nel caso in cui sia attuata in esecuzione di uno specifico accordo concluso tra tutti i titolari del diritto.
Si vedano, in questo senso, le sentenze della Cassazione 9 marzo 2006, numero 5.085 e 14 ottobre
1998, numero 10175. Ed infatti continua la Cassazione - ove la cosa comune sia sottratta
definitivamente alla possibilit di godimento collettivo, nei termini funzionali originariamente praticati,
non si rientra pi nemmeno nellambito delluso frazionato consentito (cfr. Cassazione 11 aprile 2006,
numero 8429), ma nellappropriazione di parte della cosa comune, per legittimare la quale necessario
il consenso negoziale di tutti i partecipanti. Nella specie poi non sembra neanche poter soccorrere il

condomino impugnante, la giurisprudenza per la quale luso paritetico della cosa comune deve essere
compatibile con la ragionevole previsione dellutilizzazione che in concreto faranno gli altri condomini
della stessa cosa, e non anche della identica e contemporanea utilizzazione che in via meramente
ipotetica e astratta essi ne potrebbero fare. Tale ultima giurisprudenza si riferisce infatti allipotesi in
cui uno dei condomini necessiti della cosa per un uso pi intenso ed esteso rispetto a quello che gli
altri, cui pure rimane aperta la possibilit di utilizzo del bene, potranno farne, ma ribadisce che va
tutelato luso paritetico della cosa comune, ancorch non da tutti esercitato con la stessa intensit (cfr.
Cassazione 27 febbraio 2007, numero 4.617 e Cassazione 30 maggio 2003, numero 8.808). Si legge
nella sentenza della Cassazione 26.737/2008 in commento: nel caso di occupazione esclusiva e
stabile, ogni uso (anche minore, in relazione a minori esigenze prospettabili), da parte degli altri
condomini, sarebbe impossibile, essendo stata posta in essere unoccupazione completa del bene
comune, che, a quanto si evince dagli atti di questo giudizio, esclude qualsiasi ipotesi di sfruttamento
anche per passaggio di canalizzazioni di qualsivoglia genere. In accoglimento del quesito di diritto
posto da parte ricorrente, ai sensi dellart. 384 c.p.c. la sentenza impugnata va quindi cassata con
affermazione del seguente principio di diritto: lart. 1102 cod. civ. vieta al singolo partecipante di
attrarre la cosa comune nellorbita della propria disponibilit esclusiva mediante un uso particolare e
loccupazione totale e stabile e di sottrarlo in tal modo alle possibilit attuali e future di godimento
degli altri contitolari, estendendosi il diritto di ciascuno nei limiti della quota su tutta la cosa.
DOCUMENTO UNICO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI DA INTERFERENZE (DUVRI) L'Autorit per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi
e forniture ha emanato un atto di indirizzo per fornire
informazioni alle unit appaltanti e alle imprese Nella Gazzetta Ufficiale italiana del 15 marzo scorso stata
pubblicata la determinazione dell'autorit per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture con
la quale sono state emanate informazioni alle unit appaltanti e alle imprese per quanto riguarda la
predisposizione del documento unico di valutazione dei rischi (DUVRI) e determinazione dei costi della
sicurezza. L'Autorit per la Vigilanza ha inteso chiarire gli aspetti che riguardano in particolare: l'esistenza di
interferenze e il conseguente obbligo di redazione del DUVRI; la valutazione dei costi della sicurezza e i costi
della sicurezza da non assoggettare a ribasso. Si parla di interferenza, precisato nella determinazione, nella
circostanza in cui si verifica un contatto rischioso tra il personale del committente e quello dell'appaltatore o
tra il personale di imprese diverse che operano nella stessa sede aziendale con contratti differenti. In linea di
principio, occorre mettere in relazione i rischi presenti nei luoghi in cui verr espletato il servizio o la fornitura
con i rischi derivanti dall'esecuzione del contratto. Il DUVRI deve essere redatto solo nei casi in cui esistano
interferenze. In esso non devono essere riportati i rischi propri dell'attivit delle singole imprese appaltatrici o dei
singoli lavoratori autonomi, in quanto trattasi di rischi per i quali resta immutato l'obbligo dell'appaltatore di
redigere un apposito documento di valutazione e di provvedere all'attuazione delle misure necessarie per ridurre
o eliminare al minimo tali rischi. Per quanto riguarda la problematica inerente la sussistenza o meno di
interferenze, a mero titolo esemplificativo la determinazione considera interferenti i seguenti rischi: derivanti da
sovrapposizioni di pi attivit svolte da operatori di appaltatori diversi; immessi nel luogo di lavoro del
committente dalle lavorazioni dell'appaltatore; esistenti nel luogo di lavoro del committente, ove e' previsto che
debba operare l'appaltatore, ulteriori rispetto a quelli specifici dell'attivit propria dell'appaltatore; derivanti da
modalit di esecuzione particolari richieste esplicitamente dal committente (che comportino pericoli aggiuntivi
rispetto a quelli specifici dell'attivit appaltata) Il documento dell'Autorit di vigilanza ricorda che la circolare
interpretativa del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 24 del 14 novembre 2007 ha escluso dalla
valutazione dei rischi da interferenza le attivit che, pur essendo parte del ciclo produttivo aziendale, si svolgano
in luoghi sottratti alla giuridica disponibilit del committente e, quindi, alla possibilit per la Stazione Appaltante
di svolgere nei medesimi luoghi gli adempimenti di legge. Non necessario il DUVRI nella mera fornitura
senza installazione, salvo i casi in cui siano necessarie attivit o procedure suscettibili di generare interferenza
con la fornitura stessa, come per esempio la consegna di materiali e prodotti nei luoghi di lavoro o nei cantieri
(con l'esclusione di quelli ove i rischi interferenti sono stati valutati nel piano di sicurezza e coordinamento,
come precisato nel seguito); per i servizi per i quali non e' prevista l'esecuzione all'interno della Stazione
appaltante, intendendo per interno tutti i locali/luoghi messi a disposizione dalla stessa per l'espletamento del
servizio, anche non sede dei propri uffici; per i servizi di natura intellettuale, anche se effettuati presso la
stazione appaltante. Il DUVRI non necessario nei contratti rientranti nel campo di applicazione del decreto
legislativo n. 494/1996, per i quali occorre redigere il Piano di sicurezza e coordinamento in quanto l'analisi dei
rischi interferenti e la stima dei relativi costi sono contenuti nel Piano di sicurezza e coordinamento. Per
quantificare i costi della sicurezza da interferenze, in analogia agli appalti di lavori, si pu far riferimento, in
quanto compatibili, alle misure di cui all'art. 7, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n.
222/2003 inserite nel DUVRI. La stima dei costi, precisato nella determinazione, dovr essere congrua,
analitica per singole voci, riferita ad elenchi prezzi standard o specializzati, oppure basata su prezziari o listini
ufficiali vigenti nell'area interessata, o sull'elenco prezzi delle misure di sicurezza del committente; nel caso in
cui un elenco prezzi non sia applicabile o non sia disponibile, la stima dovr essere effettuata con riferimento ad

una analisi dei costi dettagliata e desunta da indagini di mercato. Nell'ipotesi di subappalto gli oneri relativi alla
sicurezza non devono essere soggetti a riduzione e vanno evidenziati separatamente da quelli soggetti a ribasso
d'asta nel relativo contratto tra aggiudicataria e subappaltatore Il DUVRI deve far parte della documentazione
relativa all'appalto.
Insufficiente isolamento acustico: Una recente sentenza (la 2715/07 depositata il 23/04/07 c/o Tribunale di
Torino) condanna, ed la prima in Italia, un costruttore ad indennizzare il proprietario dell'appartamento al quale
ha venduto. Nello specifico la condanna quantifica nel 20% la minusvalenza dell'immobile oggetto di
compravendita a causa di un difetto di progettazione e/o costruzione che si ripercuote in un eccessivo "rumore da
calpestio", ovvero si riscontrato che il normale camminare sul pavimento del piano superiore, che corrisponde
al soffitto della persona (il ricorrente) che ha intentato causa al costruttore che gli ha venduto l'immobile,
produce eccessive immissioni sonore nell'appartamento di propriet del ricorrente. Si riscontrato, infatti, che
la progettazione dell'edifico non stata conforme al decreto del presidente del Consiglio dei ministri del
5/12/1997 e non era di conseguenza corredata dalla progettazione acustica a firma di un "Tecnico competente"
cos come previsto dalla legge 447/95 articolo 2. Ma quanto stato riscontrato va al di l della mera
problematica progettuale ed autorizzativa sulla quale il giudice non si , in questo caso, soffermato: il consulente
tecnico d'ufficio (Ctu), nominato dal giudice, ha infatti riscontrato che l'esecuzione della prova di rumore da
calpestio, eseguita con un macchinario apposito, ha infatti confermato come tale rumorosit fosse eccessiva.
Inoltre il Ctu stesso non individua con esattezza l'origine del problema, ovvero se sia riferibile ad errori di
progettazione o di messa in opera. Vale inoltre la pena precisare come altre prove di fonoisolamento condotte
dal Ctu sulle pareti abbiano invece dato riscontri positivi a dimostrazione che il fabbricato era stato progettato e
realizzato con criterio. Vedendo la problematica da un aspetto prettamente legale, Cesare Rosselli, consigliere di
Assoedilizia, osserva che la decisione fa applicazione delle note norme del Codice civile in tema di garanzia dei
beni compravenduti in una materia particolare, quella dell'isolamento acustico degli alloggi, alla quale sin'ora
non erano state applicate. Fuori dal caso di edifici appena realizzati, spiega Rosselli, infatti difficile che il
principio affermato possa trovare applicazione dal momento che i solai divisori tra un piano e l'altro e le pareti
divisorie tra le unit immobiliari sono oggetto di compropriet tra i due proprietari delle unit contigue. Ne
deriva conclude Rosselli che il vizio costruttivo riguarda un bene anche proprio di chi lamenta l'insufficiente
isolamento acustico con la conseguenza di una corresponsabilit di entrambi i soggetti. Diverso il caso dei vizi
costruttivi riferibili alle parti comuni per i quali gi da tempo la magistratura si orientata nel senso che dei
danni derivanti da tali vizi risponde il condominio. Nel caso specifico, diversamente dalla prassi, il giudice ha
stabilito che non possibile intervenire in risanamento della difettosit riscontrata poich tale intervento avrebbe
comportato lavori in casa di un terzo, il condomino residente nell'appartamento soprastante, che non parte in
causa del processo. L'intervento di ripristino, infatti, consiste nella realizzazione di un "pavimento galleggiante"
ovvero di un pavimento ex novo sospeso su di una membrana altamente resiliente e rincalzata alle pareti. Tale
intervento comporta lo sgombero dell'appartamento soprastante nonch l'esecuzione di lavori di demolizione del
pavimento e sottofondo con la ricostruzione di uno nuovo, "galleggiante", con inevitabili disagi per l'occupante
dell'appartamento. Per tale ragione, e perch non parte in causa, il giudice ha scelto la via della quantificazione
della minusvalenza dell'immobile del soggetto patente prodotta dalle eccessive immissioni sonore da calpestio
mentre non ha riconosciuto il diritto di indennizzo del danno dovuto alle eccessive immissioni sonore patite nel
tempo. Per la prima volta la mancata osservanza delle disposizioni del Dpcm del 5/12/1997 ha avuto spazio in
una sentenza; in precedenza le analoghe liti hanno avuto un esito transattivo.
Sentenza n.
2715/2007 del Tribunale di Torino
La domanda di eliminazione del difetto indicato non pu (...) essere
accolta, stante l'eseguibilit della stessa, e va di conseguenza accolta la domanda subordinata formulata dai
sigg.ri B. G. e G. M. di riduzione del prezzo di acquisto. Infatti, l'inadeguatezza dell'isolamento acustico
dell'alloggio ne diminuisce considerevolmente il valore ai sensi dell'articolo 1490, Codice civile, e dovr essere
resa nota agli eventuali successivi acquirenti del bene. L'incidenza del vizio, in mancanza di elementi utili a una
quantificazione matematica va determinata in via equitativa nel 20% del prezzo pagato, pari a 255.372,46 euro,
come risultante a pagina 15 dal rogito notarile prodotto in atti (...)
Il proprietario che non custodisce adeguatamente lanimale risponde dei danni causati a terzi Vietato tenere
libero il cane nel cortile condominiale (Cassazione 4672/2009) Tempi duri per i proprietari di cani: dopo che
una serie di aggressioni da parte del migliore amico delluomo hanno occupato le pagine dei quotidiani, ora la
Corte di Cassazione ad intervenire sullargomento, stabilendo che non si pu lasciare il proprio cane libero di
scorrazzare nel cortile condominiale senza guinzaglio e senza museruola, altrimenti si pu essere ritenuti
responsabili dei danni che lanimale provochi a terzi. La decisione della Quarta Sezione Penale, che ha
confermato una sentenza della Corte di Appello di Catania che aveva condannato il proprietario di un cane per il
reato di lesioni colpose in danno di un altro condomino. Il cane, di razza collie, aveva aggredito un condomino
nel cortile condominiale, facendolo cadere a terra e provocandogli numerose lesioni. Il proprietario era stato
denunciato e ritenuto colpevole di aver lasciato libero lanimale ed omesso di custodirlo nel cortile
condominiale, dove si trovavano altre persone, nonostante la mole dellanimale. Per tale motivo la Corte di
Appello lo aveva condannato per il reato di lesioni colpose. Contro tale sentenza il proprietario del cane aveva

proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che non fosse attendibile la testimonianza di uno dei condomini in
quanto generica. La Suprema Corte, respingendo il ricorso, ha invece confermato la responsabilit del
proprietario, che, come esaurientemente affermato dai giudici di merito sulla base delle testimonianze assunte in
giudizio, era solito far giocare il cane, senza guinzaglio e senza museruola, con una palla da tennis nel cortile
condominiale e, nonostante i numerosi avvertimenti, non aveva inteso usare una maggiore cautela. La
Cassazione intervenuta in pi di una sentenza a proposito dei cani in Condominio, stabilendo, ad esempio, che
pu essere allontanato il cane che abbaia troppo o che, invece, labbaiare del cane non pu costituire disturbo
alla quiete delle persone quando sia un solo condomino a lamentarsi. La sentenza odierna appare invece di
particolare importanza anche alla luce degli ultimi episodi di cronaca, che hanno spinto il Governo ad emanare
una ordinanza che chiarisca una volta per tutte quali razze di cani sono da considerare pericolosi per luomo.
Nellambito condominiale, infatti, la presenza di animali caratterizzati da una particolare aggressivit impongono
ladozione di maggiori cautele da parte dei proprietari, tenuti sempre e comunque a salvaguardare lincolumit di
terzi, in quanto il divieto, di portata generale, pu essere qui imposto a livello regolamentare, con il conseguente
obbligo di osservanza, anche in deroga alla legge, per tutti i condomini. Il Regolamento di Condominio, sia
originario che successivo, purch approvato allunanimit (cosiddetto Regolamento contrattuale) pu pertanto
legittimamente vietare la detenzione di cani negli appartamenti e quindi nel Condominio o dettare una serie di
misure obbligatorie per i proprietari, come il divieto di lasciare gli animali senza museruola negli spazi
condominiali o nellascensore. In mancanza di specifiche norme regolamentari, saranno applicabili i principi
generali in materia di condominio negli edifici e di rapporti di vicinato contenuti nel Codice Civile e quelli in
materia di disturbo alla quiete delle persone e di lesioni colpose contenuti nel Codice Penale, che individuano
sempre e comunque nel proprietario dellanimale, quale soggetto obbligato alla custodia, lunico responsabile
dei danni eventualmente causati a terzi, che potr esonerarsi dalla responsabilit solo qualora dimostri di non
aver potuto in alcun modo impedire levento nonostante ladozione di tutte le cautele necessarie.
http://www.cittadinolex.kataweb.it/article_view.jsp?idArt=87857&idCat=81
Non basta alla pizzeria allestire un vero parcheggio in alternativa al cortile laddove non segnalato il
divieto di posteggiare nell'area condominiale Corte di Cassazione, Sez. II Civile, Sentenza del 30 marzo 2009,
n. 7637 L'articolo 1102 c.c., pur consentendo ad un comproprietario l'utilizzazione della cosa comune anche in
un modo particolare e piu' intenso rispetto alla generalita' dei comproprietari, pone tuttavia il divieto di alterare
la destinazione della cosa e di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto ed
esclude che l'utilizzo del singolo possa risolversi in una compressione quantitativa o qualitativa di quello, attuale
o potenziale, di tutti i comproprietari. Principio, che, in casi similari, ha portato al diniego che un cortile di
proprieta' comune fra fabbricati adibiti a civili abitazioni e destinato soltanto al normale accesso ad essi potesse
essere utilizzato dal singolo partecipante anche per l'accesso del pubblico ad un bar aperto nello stabile di sua
proprieta' esclusiva, nonche' per la sistemazione di tavolini per la mescita all'aperto, ovvero che un locale adibito
a gabinetto comune potesse essere utilizzato da uno dei partecipanti alla comunione anche per uso di decenza
degli avventori di un bar aperto in un locale di sua proprieta' esclusiva, giacche' tale uso, pur non essendo idoneo
all'asservimento del bene, modifica la naturale destinazione del gabinetto ad essere utilizzato dai soli
comproprietari e altera il rapporto di equilibrio tra i diritti concorrenti dei singoli comunisti. Correttamente,
quindi, la decisione ha affermato l'obbligo del comproprietario convenuto, al quale era mediatamente riferibile la
condotta della societa' titolare della birreria-pizzeria, e di quest'ultima, a diverso titolo, di contrastare in forme
idonee il parcheggio oltre che con l'apprestamento di un'area alternativa, anche con l'apposizione di segnali e con
la personale informazione agli avventori del divieto per gli estranei di utilizzare la corte comune come
parcheggio.
Impugnazione, regolamento di condominio che prevede limitazioni alle propriet individuali Cassazione
civile, Sezione II, 29 aprile 2009 n. 10036 Per contestare una delibera di assemblea condominiale che stabilisca
limitazioni per l'uso delle porzioni di proprieta' esclusiva di singoli condomini, questi ultimi debbono agire nei
confronti degli altri condomini e non del condominio, vale a dire del suo amministratore, il quale e' privo di
legittimazione passiva ai sensi dell'art. 1131 c.c., comma 2, in quanto la lite non riguarda "le parti comuni
dell'edificio".
Il credito del locatore per il pagamento degli oneri condominiali posti a carico del conduttore si prescrive
nel termine di due anni Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2006, n. 8609 Il credito del locatore per il pagamento degli
oneri condominiali posti a carico del conduttore dall'art. 9 della legge sull'equo canone si prescrive nel termine di
due anni indicato dall'art. 6 della legge 22 dicembre 1973 n. 841 per il diritto del locatore al rimborso delle spese
sostenute per la fornitura dei servizi posti, per contratto, a carico del conduttore, in quanto tale norma, anche se
inserita in una legge relativa alla proroga dei contratti di locazione degli immobili ad uso di abitazione, introduce
una deroga al principio codicistico della prescrizione quinquennale del canone di locazione e di ogni altro
corrispettivo di locazione fissato dall'art. 2948 n. 3 c.c., ed , applicabile agli oneri accessori dovuti dal
conduttore in base all'art. 9 della legge 27 luglio 1978 n. 392, senza che a ci osti l'art. 84 di quest'ultima legge
che, disponendo l'abrogazione di tutte le norme incompatibili con la legge sull'equo canone, non pu essere

riferita anche alla disposizione in materia di prescrizione del sopra citato art. 6, trascendendo quest'ultima il
mero regime vincolistico. inoltre manifestamente infondata l'eccezione di illegittimit costituzionale dell'art. 6
legge n. 841 del 1973, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui dispone che il credito del
locatore per il pagamento degli oneri accessori posti a carico del conduttore (art. 9, legge n. 392 del 1978) si
prescrive nel termine di due anni, non sussistendo, una irragionevole disparit di trattamento rispetto alla
disciplina stabilita dall'art. 2948 n. 3 c.c., che fissa in cinque anni il termine di prescrizione del credito per le
pigioni delle case, trattandosi di situazioni non omologhe, in quanto il credito per oneri accessori ha ad oggetto
somme di importo variabile in relazione alla concreta erogazione dei servizi e la relativa spesa confortata da
una specifica documentazione, ed, inoltre, la fissazione di un pi breve termine di prescrizione giustificata
dall'esigenza di contenere le relative contestazioni in un lasso temporale ragionevolmente breve.
Risarcimento dei danni per il cattivo funzionamento di un impianto comune Tribunale di Bari, Sez. III,
sentenza del 6 maggio 2008, n. 1113 Il singolo condomino pu agire a norma dellart. 2051 cod. civ. nei
confronti del condominio per il risarcimento dei danni sofferti per il cattivo funzionamento di un impianto
comune o per la difettosit di parti comuni delledificio, dalle quali provengono infiltrazioni dacqua
pregiudizievoli per gli ambienti di sua propriet esclusiva, ponendosi quale terzo nei confronti del condominio
stesso, tenuto alla custodia e alla manutenzione delle parti e degli impianti comuni delledificio. Ne consegue
che il condominio, quale custode dellimpianto comune rappresentata dalla colonna di scarico condominiale,
deve rispondere, ai sensi dellart. 2051 cod. civ., dei danni da esso provocati. Per liberarsi dalla presunzione di
responsabilit per il danno cagionato dalla cosa, deve provare che esso si verificato per caso fortuito tale da
impedirgli di prevenire levento dannoso o di ridurne le conseguenze, dovendo altrimenti rispondere almeno per
la parte di danni che avrebbe potuto evitare.
Laffitto a scopo pubblicitario della facciata richiede il consenso unanime di tutti i condomini Tribunale di
Monza, sentenza 20 giugno 2008, n. 1843 L'utilizzo di una parete esterna dell'edificio condominiale a sostegno
di un cartellone pubblicitario che copra la superficie disponibile costituisce innovazione, in quanto destina il
bene comune ad una funzione diversa da quella originaria. Tale destinazione reca indubbio pregiudizio al decoro
architettonico dello stabile, in quanto nel termine "decoro" il legislatore ha compendiato non solo la piacevolezza
e l'armonia dell'aspetto architettonico dell'edificio condominiale, ma anche la rispettabilit e la dignit dello
stesso. Si tratta pertanto di una innovazione ricompresa nella previsione di cui all'art. 1120 comma 2 c.c. e
dunque vietata in mancanza di consenso da parte di tutti i condomini.
Lassicurazione non rimborsa i danni se le infiltrazioni dacqua sono causate dallintasamento dei tubi
Corte di Cassazione, Sentenza del 21 maggio 2008, n. 13074 In tema di polizze stipulate a favore del
condominio, non sono coperte dalle garanzie assicurative delle cosiddette polizze Acqua, gli intasamenti degli
scarichi. Pertanto, se un ingorgo fa aumentare la pressione dell'acqua e causa delle perdite nei giunti, non la
compagnia assicurativa a dover pagare i danni. (Nella specie lLassicurazione si era rifiutata di pagare i danni
causati a un affresco in una chiesa attigua al condominio, specificando che non si era verificata una rottura
accidentale dei tubi (coperta dalla polizza), ma una perdita occasionale dei giunti dovuta a trascuratezza e cattivo
uso degli scarichi., richiamando, inoltre, una clausolatipo delle polizze acqua: quella secondo cui non sono
coperti i danni causati da umidit, stillicidio, insalubrit dei locali, nonch quelli causati da spargimento di
liquidi non dovuti a rottura accidentale di impianti idrici e igienici o di riscaldamento)
Diritto di propriet esclusiva su un posto auto situato nel cortile Cass., sez. civ. II, Sentenza 16 Gennaio
2008 , n. 730 Lart. 41-sexies della legge 1150/42 si limita ad imporre che, nelle nuove costruzioni ed anche
nelle aree di pertinenza delle stesse, appositi spazi siano riservati a parcheggio in misura proporzionale alla
cubatura totale del fabbricato, fissando non un rapporto numerico ma di volume-superficie, e stabilendo un nesso
tra tali spazi e l'edificio, gli uni e gli altri unitariamente considerati; da altro lato, la norma non vieta al
costruttore di riservare a s la propriet degli spazi di parcheggio, per poi cederli a terzi, totalmente o in parte, o
ai proprietari degli appartamenti pro quota ovvero singolarmente, ed anche globalmente, in modo che
costituiscano parte comune dell'edificio ai sensi dell'art. 1117 c.c . Allo stesso modo detti spazi, globalmente
considerati, vengono a far parte della propriet comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., nel caso in cui non vi sia stata
alcuna riserva di propriet da parte del costruttore e, nei singoli atti, sia stato omesso qualunque riferimento ad
essi. Resta fermo, in ogni caso, il vincolo di destinazione di carattere pubblicistico impresso dalle norme di cui si
tratta e che, sul piano privatistico, fa sorgere, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, un diritto
reale d'uso sui detti spazi a favore di tutti in condomini del fabbricato, diritto che non pu essere compromesso
n dalla riserva di propriet a favore del costruttore n dalla alienazione di detti spazi a terzi. Nel caso di specie i
coniugi M.-U. hanno dedotto in giudizio il loro diritto di propriet (esclusiva) sul posto macchina per averlo
acquistato dalla societ costruttrice laddove il condomino sostiene che esso parte del cortile che, a sua volta,
rientra tra i beni comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c., per non essersene il costruttore riservata la propriet prima
del sorgere del condominio. Ne deriva che, al fine di dirimere la controversia nei termini in cui essa si pone, la
Corte di Appello, piuttosto che soffermarsi sull'esistenza, intesa come individuazione fisica, di alcuni posti

macchina nel cortile comune e sull'(ovvio)obbligo di legge di apprestarli, avrebbe dovuto accertare,
conclusivamente, se il costruttore aveva titolo per trasmettere in propriet singola ed esclusiva ai coniugi M.-U.
lo spazio in questione.
Per configurare il "supercondominio" basta la comunanza di impianti e servizi Cass., sez. civ. II, Sentenza
31 Gennaio 2008, n. 2305 Come la particolare comunione regolata dall'art. 1117 ss. c.c., si costituisce, ipso iure
et facto, senza bisogno d'apposite manifestazioni di volont o altre esternazioni e tanto meno d'approvazioni
assembleari, nel momento in cui l'unico proprietario d'un edificio questo frazioni in pi porzioni autonome la cui
propriet esclusiva trasferisca ad una pluralit di soggetti od anche solo al primo di essi, ovvero ove pi soggetti
costruiscano su un suolo comune, ovvero ancora quando l'unico proprietario di un edificio ne ceda a terzi piani o
porzioni di piano in propriet esclusiva, realizzando l'oggettiva condizione del frazionamento che ad esso da
origine. (Cass. 4.10.04 n. 19829, 10.9.04 n. 18226, 19.2.04 n. 3257, 5.10.83 n. 5794, 18.1.82 n. 319, 18.12.78 n.
6073, 3.1.77 n. 1), cos anche il supercondominio, istituto d'elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale basata
sull'interpretazione estensiva delle norme dettate per il condominio negli edifici, viene in essere, del pari ipso
iure et facto, se il titolo non dispone altrimenti, sol che singoli edifici, costituiti in altrettanti condomini, abbiano
in comune talune cose, impianti e servizi (viale d'ingresso, impianto centrale per il riscaldamento, parcheggio,
locali per la portineria e/o per l'alloggio del portiere, ecc.) legati, attraverso la relazione di accessorio a
principale, con gli edifici medesimi e per ci appartenenti, pro quota, ai proprietari delle singole unit
immobiliari comprese nei diversi fabbricati (Cass. 18.4.05 n. 8066, 3.10.03 n. 14791, 7.7.00 n. 9096, 8.8.96 n.
7286). In tal caso, i comunisti debbono nominare un amministratore che dei detti beni, comuni a tutti i
condomini dei vari condomini, assicuri la gestione, in difetto di che pu intervenire, a richiesta degli interessati.
configurabile il reato di diffamazione quando il comunicato contenente i dati dei morosi sia affisso in
luogo accessibile non ai soli componenti del condominio CORTE DI CASSAZIONE Sez. V, 26 settembre
2007, n. 35543 "L'efficacia scriminante del diritto di cronaca e di critica non riguarda solo l'attivit di scrittori,
giornalisti, anchorman televisivi ecc., ma anche quella del comune cittadino cui, indubbiamente, la Costituzione
lo riconosce; tuttavia la rilevanza della notizia non sempre assoluta, ma a volte riferibile a un ristretto ambito
nel quale la sua diffusione funzionale al corretto svolgimento delle relazioni interpersonali e dei rapporti
sociali. Cos, come correttamente rileva la corte di appello, se la censura relativa alla condotta dei condomini
morosi e ai conseguenti provvedimenti assunti e da assumere fosse rimasta confinata nell'ambito condominiale
(es. mediante l'invio del verbale agli aventi diritto assenti e/o l'affissione del comunicato in ambiente accessibile
solo ai condomini), la diffusione della relativa informazione sarebbe stata certamente scriminata. Tuttavia,
poich la predetta notizia stata portata - mediante affissione nella bacheca collocata in luogo aperto a un
numero indeterminato di persone - potenzialmente a conoscenza anche di soggetti nei cui confronti nessun
valore funzionale poteva avere, va da s che l'elemento oggettivo del delitto ex art. 595 c.p. deve ritenersi
compiutamente integrato, non ricorrendo alcuna ragione socialmente valida per ritenere scriminato il
comportamento diffamatorio. Il consenso (implicitamente o esplicitamente) prestato all'affissione in bacheca del
documento non pu non comportare che anche della lesione della reputazione dei congiunti del condomino i
ricorrenti debbano essere ritenuti responsabili (ovviamente anche sul piano risarcitorio)."
Nell'avviso d'assemblea gli argomenti posti all'ordine del giorno devono essere comprensibili CORTE DI
CASSAZIONE Sez. II, 10 ottobre 2007, n. 21298 In tema di convocazione dell'assemblea condominiale, per una
partecipazione informata dei condomini , al fine della conseguente validit della delibera adottata (artt. 1136 e
1105 terzo comma c.c.), sufficiente che, nell'avviso di convocazione della medesima, gli argomenti da trattare
siano indicati nell'ordine del giorno nei termini essenziali per essere comprensibili, senza necessit di prefigurare
lo sviluppo della discussione ed il risultato dell'esame dei singoli punti da parte dell'assemblea
Spese di rifacimento dei frontalini dei balconi prospicienti la faccia dell'edificio Cass., Sez.II civ., sentenza
del 30/01/2008, n. 2241 Il condomino ha l'obbligo di partecipare alla spese per i lavori eseguiti sui balconi
dell'edificio, da considerare beni comuni in quanto elementi che si inseriscono nella facciata e concorrono a
costituire il decoro architettonico dell'immobile.
I condomini sono incapaci di rendere testimonianza Cass., sez. II, n. 17925 del 23/08/2007 Nella controversia
tra condomini avente ad oggetto la riscossione delle quote per la gestione della cosa comune, i condomini, in
quanti parti interessate al giudizio, sono incapaci di rendere testimonianza.
Rinnovazione del contratto di locazione per mancata disdetta Cass. civ. Sez. III, 24-08-2007, n. 17995 La
rinnovazione del contratto di locazione, bench abbia ovviamente effetto dalla data della prima scadenza, quante
volte dipenda dalla mancata disdetta entro un certo termine, trova la sua fonte nella legge che regola il rapporto
al momento in cui quel termine scade ed per converso impedita dalla manifestazione di una contraria volont
del locatore, secondo le regole poste dalla disciplina vigente al momento in cui quella volont viene manifestata.
Da quell'atto negoziale del locatore (o dalla mancanza di quell'atto in relazione alla disciplina legale), alla cui

scelta in definitiva correlata la sorte del contratto, esclusivamente dipende l'effetto impeditivo della
prosecuzione del rapporto ovvero la rinnovazione del contratto, il cui presupposto e dunque in ogni caso legato
ad una situazione definitivamente cristallizzatasi alla data di scadenza del termine per la comunicazione della
disdetta da parte del locatore. Costituisce infatti principio generale che, salve espresse disposizioni derogatorie
da parte del legislatore, le condizioni di efficacia e gli effetti di un atto sono disciplinati dalla legge in vigore al
momento in cui esso adottato, al pari degli effetti della sua mancanza.
Disposizione dell'articolo 1105 del c.c. applicabile solo nel caso di condominio minimo Cass. civ., sez. II, 19
luglio 2007, n. 16075 La disposizione dell'articolo 1105 del c.c., relativa all'amministrazione della comunione in
generale, s applicabile al condominio di edifici, in forza della norma di rinvio, di cui all'articolo 1139 del c.c.,
ma solo nel caso di condominio cosiddetto minimo, costituito da due soli condomini, per il quale non
obiettivamente applicabile l'apposita disciplina dell'articolo 1136 del c.c., che richiede maggioranze qualificate
anche con riferimento al numero dei condomini.
Apertura nel muro comune dell'edificio di nuove porte o finestre Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile,
Sentenza del 16 dicembre 2004, n. 23459 In tema di condominio negli edifici, il condomino pu aprire nel muro
comune dell'edificio nuove porte o finestre o ingrandire e trasformare quelle esistenti, se queste opere, di per s
non incidenti sulla destinazione della cosa, non pregiudichino la stabilit e il decoro architettonico dell'edificio.
Quest'ultimo integra l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali che costituiscono la nota
dominante e imprimono alle varie parti dell'edificio, nonch all'edificio stesso nel suo insieme, una sua
determinata, armonica, fisionomia, senza che occorra che si tratti di un fabbricato di particolare pregio artistico.
L'indagine volta a stabilire se, in concreto, una innovazione determini una alterazione di siffatto decoro
demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimit se congruamente
motivato.
Lastrico solare in condominio. Infiltrazioni. Danni. Obbligo risarcitorio Cassazione civile , sez. III, sentenza
13/12/2007 n 26239 In tema di condominio di edifici la terrazza a livello, anche se di propriet o di uso
esclusivo di un singolo condomino, assolve alla stessa funzione di copertura del lastrico solare posto alla
sommit dell'edificio nei confronti degli appartamenti sottostanti. Ne consegue che anche se appartiene in
propriet o se attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o
alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario o con il titolare del diritto di
uso esclusivo. Tale criterio di riparto vale per solo per la pavimentazione e, in genere, la struttura che regge la
terrazza. Non trova invece applicazione per ci che si riferisce ai parapetti, ai muretti o alle ringhiere che sono
funzionalmente destinati a rendere pi sicuro agevole l'uso della terrazza e che devono pertanto essere mantenuti
a cura e a spese del proprietario. Pertanto, dei danni cagionati all'appartamento sottostante per le infiltrazioni
d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli obbligati
inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dal cit. art. 1126, vale a dire, i
condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione dei due terzi, ed il titolare della propriet o
dell'uso esclusivo, in ragione delle altre utilit, nella misura del terzo residuo
I cani che vivono in un condominio non possono abbaiare giorno e notte Corte di Cassazione, sentenza n.
7856 del 28 marzo 2008 I cani che vivono in un condominio non possono abbaiare giorno e notte disturbando i
vicini di casa ma anche vero che i padroni devono osservare scrupolosamente il regolamento condominiale e
limitare al massimo i rumori molesti prodotti dal cane. Dal momento che del tutto impossibile coartare la
natura dell'animale al punto da impedirgli di abbaiare, si deve fare tutto il possibile per anticipare le possibili
cause di agitazione ed eccitazione dell'animale, principalmente nelle ore notturne. In concreto non si pu fare
molto e la cassazione, pur riconoscendo che i proprietari del cane non hanno osservato il regolamento
condominiale, non li ha condannati a risarcire i danni patiti dal vicino disturbato e, inoltre, ha anche stabilito che,
al fine di contribuire alla civile convivenza condominiale", i condomini devono sforzarsi di comprendere episodi
saltuari di disturbo da parte dei cani che vivono nel loro palazzo.
Rumori da calpestio, il costruttore obbligato a risarcire Tribunale ordinario di Torino, ottava sezione civile,
sentenza n. 2715 del 23/04/2007 In materia di requisiti acustici passivi degli immobili, con la sentenza n.
2715/07 del 23 aprile 2007, il Tribunale di Torino ha condannato un costruttore a restituire agli acquirenti una
parte del prezzo pagato per lacquisto di un appartamento, a causa dellinsufficiente isolamento acustico del
soffitto che causava rumori da calpestio superiori ai limiti di legge. La nuova sentenza sostiene come la
insufficiente insonorizzazione acustica debba, a ragione, essere considerata un vizio occulto dellimmobile di
cui, ai sensi della normativa civilistica in materia di compravendita, deve rispondere il venditore che sar tenuto
alleliminazione del vizio (ove possibile) o a restituire una parte del prezzo pattuito. Per valutare lidoneit delle
misure di insonorizzazione dellalloggio, il Tribunale ha disposto una perizia tecnica: il CTU ha fatto riferimento
alle norme del DPCM 5/12/1997 Determinazione dei requisiti acustici passivi degli edifici che impongono per
gli edifici residenziali un potere fonoisolante delle partizioni verticali di almeno 50 decibel, e un limite del

rumore di calpestio di solai di 63 decibel. Ha quindi riscontrato per le pareti interne un valore di 51 decibel (da
considerarsi accettabile) e un valore di 70 decibel per rumore proveniente dai soffitti: questultimo valore
superiore al doppio rispetto al tetto massimo consentito dalla legge, in considerazione del fatto che la scala
utilizzata per la misurazione progredisce in forma logaritmica. Il CTU ha concluso che, o non stato realizzato
un pavimento galleggiante oppure sono stati commessi errori materiali di posa in opera. Tuttavia, la struttura
dellalloggio non consente leliminazione del difetto riscontrato dal CTU: lintervento di ripristino, infatti,
andrebbe eseguito allinterno dellappartamento soprastante, di propriet di terzi, e richiederebbe la rimozione di
tutta la pavimentazione sino alla soletta, la posa di una nuova pavimentazione di tipo galleggiante, la costruzione
del massetto e del nuovo pavimento di finitura. Al posto di questa soluzione, ritenuta impraticabile, il giudice ha
deciso di quantificare il difetto in una somma pari al 20% del costo di acquisto dellappartamento; infatti,
linadeguatezza dellisolamento acustico riduce considerevolmente il valore dellimmobile, ai sensi dellart.
1490 c.c. In conclusione, il costruttore stato condannato a restituire agli acquirenti il 20% del prezzo pagato.
DALLA PRONUNCIA: "La domanda di eliminazione del difetto indicato non pu (...) essere accolta, stante
l'eseguibilit della stessa, e va di conseguenza accolta la domanda subordinata formulata dai sigg.ri (...) di
riduzione del prezzo di acquisto. Infatti, l'inadeguatezza dell'isolamento acustico dell'alloggio ne diminuisce
considerevolmente il valore ai sensi dell'articolo 1490, Codice civile, e dovr essere resa nota agli eventuali
successivi acquirenti del bene. L'incidenza del vizio, in mancanza di elementi utili a una quantificazione
matematica va determinata in via equitativa nel 20% del prezzo pagato, pari a 255.372,46 euro, come risultante a
pagina 15 dal rogito notarile prodotto in atti (...)"
Risarcimento del danno esistenziale all'inquilino per il fumo di sigarette dal bar sotto casa Corte di
cassazione - Sez. III civile - Sentenza 31 marzo 2009 n. 7875 La Cassazione con la sentenza 7875/2009 ha
riconosciuto all'inquilino il danno non patrimoniale da immissioni moleste di fumo di sigarette. In tale pronuncia
la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dei titolari di un bar, i quali erano stati condannati dai giudici di merito a
pagare a una famiglia abitante sopra l'esercizio commerciale un risarcimento di diecimila euro "a titolo di
risarcimento danni esistenziali determinati da immissioni moleste di fumo di sigarette". Secondo la Cassazione
nessuna censura poteva essere mossa alla precedente pronuncia di merito in quanto i componenti della famiglia
danneggiata erano costretti a "subire gli effetti molesti fastidiosi e insalubri del fumo passivo e a tenere chiuse le
finestre anche in piena estate per tutelare la propria salute". Tale orientamento giurisprudenziale prende le mosse
dalla Sentenza 5844 del 2007, nella quale era stato pronunciato il principio per cui l'art. 844 cod. civ.
(immissioni immateriali) impone, nei limiti della normale tollerabilit e dell'eventuale contemperamento delle
esigenze della propriet con quelle della produzione, l'obbligo di sopportazione di quelle inevitabili propagazioni
attuate nell'ambito delle norme generali e speciali che ne disciplinano l'esercizio. D'altro canto, l'accertamento
del superamento della soglia di normale tollerabilit di cui all'articolo 844 cod.civ. (come nel caso di ingente
propagazione e diffusione dannosa di fumo di sigaretta), comporta nella liquidazione del danno da immissioni,
sussistente in "re ipsa", l'esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorit
dell'uso. Ci in quanto in tale ipotesi rileva unicamente l'illiceit del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si
rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'articolo 2043 del codice civile e
specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale risarcibile ai
sensi dell'articolo 2059 cod. civ.. In particolare, nel caso in esame, cio di danno da eccessiva ed intollerabile
inalazione di fumo da sigaretta, l'accertamento della intollerabilit delle immissioni fumose configura di per s
l'esistenza di un danno risarcibile e il danneggiato, pertanto, ha diritto al risarcimento anche senza o in assenza
temporanea di lesioni clinicamente accertabili, il cui pregiudizio patito dovr essere risarcito in via equitativa.
Utilizzazione canna fumaria, necessita il consenso di tutti: "In tema di condominio, nel caso in cui un
condmino utilizzi la canna fumaria dell'impianto centrale di riscaldamento - nella specie per lo scarico dei fumi
da una pizzeria - dopo che questo sia stato disattivato dal condominio, sussiste violazione dell'articolo 1102 cod.
civ., trattandosi non di uso frazionato della cosa comune, bens della sua esclusiva appropriazione e definitiva
sottrazione alle possibilit di godimento collettivo, nei termini funzionali praticati, per legittimare le quali
necessario il consenso negoziale (espresso in forma scritta ad substantiam) di tutti i condmini". Lo ha stabilito
la Cassazione, con la sentenza n. 26737/'08
Cassazione civile sezione terza, n. 15592 del 12 luglio 2007: LOCAZIONE IMMOBILI ADIBITI AD USO
DIVERSO CLAUSOLA CHE PONE TUTTE LE SPESE DI MANUTENZIONE A CARICO DEL
CONDUTTORE Nel contratto di locazione ad uso non abitativo valida la clausola che pone a carico del
conduttore le spese che generalmente gravano sul locatore, comprese quelle imputabili a vetust, forza maggiore
ed alluso convenuto, non incorre nella sanzione di nullit sancita dallart. 79 della legge n. 392 del 1978, poich
tale norma non esclude la validit di qualsiasi accordo vantaggioso per il locatore, ma soltanto di quei patti che
preventivamente eludono diritti attribuiti al conduttore da norme inderogabili contenute nella medesima legge.
Si deve constatare che la Suprema Corte ha riaffermato principii che aveva gi sostenuto e che anche in questo
caso stata cassata la sentenza di merito che aveva ritenuto illegittima la clausola con la quale le parti avevano
convenuto che tutte le riparazioni di cui agli artt. 1576 e 1609 c.c.erano a carico del conduttore, che doveva

provvedervi tempestivamente. stato cos confermato che clausole del genere non violano larticolo 79 della
legge dellequo canone, il quale sanziona con la nullit ogni pattuizione diretta a limitare la durata del contratto o
ad attribuire al locatore un canone maggiore di quello legale o ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con la
stessa legge. La motivazione ricorda che il disposto dellart. 79 si riferisce soltanto alla violazione di norme
inderogabili, tra le quali non possono annoverarsi quelle sulla responsabilit del conduttore in relazione ai danni
arrecati alla cosa locata. Anche il Tribunale di Vigevano (sentenza 557/2000) aveva contestato la validit delle
clausole in discorso, ma con la sentenza n. 9019 del 2005 il Giudice di Legittimit ha analiticamente osservato
che: -A) stipulato un contratto di locazione di un immobile destinato ad un determinato uso non abitativo, grava
sul conduttore lonere di verificare che le caratteristiche del bene siano adeguate a quanto tecnicamente
necessario per lo svolgimento dellattivit ripromessasi B) che le parti possono dedurre in condizione, (ovvero
convenire come espressa obbligazione del locatore) tanto la effettiva possibilit di apportare allimmobile le
necessarie modificazioni per poter svolgere lattivit prevista, quanto il fatto che esso presenti (o sia in
potenziale condizione) di acquisire le pertinenti condizioni giuridiche funzionali al rilascio delle necessarie
autorizzazioni amministrative.(Cass. n. 3441/2002; -C) che lobbligazione, ex art. 1575 n. 2 cod. civ., che
impone al locatore di intervenire e provvedere tempestivamente alle riparazioni necessarie per mantenere la cosa
in stato da servire alluso convenuto, non sussiste per i vizi dei quali il conduttore era a conoscenza al momento
della stipula del contratto, e cio qualora questultimo abbia accettato consapevolmente la cosa nello stato in cui
si trovava, a meno che il locatore non abbia assunto uno specifico impegno contrattuale in tal senso (Cass. n.
5786/1985).
Il condominio non risponde per il furto avvenuto nell'appartamento di un inquilino Cassazione civile
Sentenza, Sez. III, 18/10/2005, n. 20133 Per lindividuazione dellobbligo giuridico di impedire levento non
basta far riferimento al principio del neminem laedere ex art. 2043 c.c., ma necessaria una norma di legge che
lo preveda espressamente ovvero lesistenza di particolari rapporti giuridici o una data situazione in ragione della
quale il soggetto sia tenuto a compiere una determinata attivit a protezione del diritto altrui. La Corte ricorda di
aver avuto modo gi in altre occasioni di affermare che, nel caso in cui una persona subisca un furto nel proprio
appartamento ad opera di ladri che vi si sono introdotti attraverso impalcature per lavori edilizi lasciate
incustodite, il proprietario delle impalcature non pu essere ritenuto civilmente corresponsabile del furto: la sua
responsabilit non pu essere ritenuta per esercizio di attivit pericolosa ex art. 2050 c.c. (poich tali attivit
danno luogo a responsabilit solo se il danno si sia prodotto durante il loro espletamento), n per cose in custodia
ex art. 2051 c.c. (poich le cose in custodia non danno luogo a responsabilit quando i danni siano cagionati
dallattivit illecita di terzi), n per omissione di cautele ex art. 2043 c.c., poich tale responsabilit sorge solo se
si sia contravvenuto ad uno specifico obbligo di fare.
Assemblea condominiale: errore nella convocazione e annullabilit della delibera Cassazione civile , sez. II,
sentenza 16.06.1009 (Alessandro Gallucci) La Corte di Cassazione continua nellopera di catalogazione delle
cause dinvalidit delle deliberazioni delle assemblee di condominio. Con la sentenza n. 10344 del 5 maggio
2009, il Supremo Collegio ha considerato annullabili, e non nulle, le decisioni assunte dallassemblea
condominiale che si sia riunita in giorno diverso da quello indicato nelavviso di convocazione o che abbia
deliberato su argomenti non indicati nellordine del giorno. Il tutto in coerenza con larcinota pronuncia n.
4806 del 2005 delle Sezioni Unite, che sono intervenute per dirimere quel contrasto dottrinario giurisprudenziale relativo ai vizi delle delibere condominiali e ai riflessi in materia dimpugnazione delle stesse.
Al fine comprendere perch sia importante che ognuna delle pronunce successive a quelle delle Sezioni Unite si
conformi al principio di diritto espresso dal giudice nomofilattico, utile chiarire quale sia il regime
dimpugnazione preveduto dal codice civile. A norma dellart. 1137, secondo comma, c.c. contro le
deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni condomino dissenziente pu fare ricorso
all'autorit giudiziaria, ma il ricorso non sospende l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia
ordinata dall'autorit stessa. Il successivo terzo ed ultimo comma, disciplinando la tempistica
dellimpugnazione, stabilisce che il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza (2964 e seguenti),
entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione
per gli assenti. Si tratta di una disciplina che ictu oculi appare lacunosa. Nel corso degli anni dottrina e
giurisprudenza hanno delineato le varie cause dinvalidit inquadrandole nellambito degli istituti della nullit e
dellannullabilit. Le differenze sostanziali delle due patologie dellatto si riverberano anche sulla tempistica per
la proposizione del ricorso; infatti, una deliberazione nulla impugnabile in ogni tempo, quella annullabile nel
termine previsto dal terzo comma dellart. 1137 c.c. La mancanza di una disciplina positiva che regolamentasse
le diverse conseguenze scaturenti dalle differenti cause dinvalidit, nonch lassenza di una espressa
catalogazione di tali cause ha comportato unintuibile incertezza nella materia. E evidente che unelencazione
delle cause dinvalidit delle delibere non potesse far altro che giovare allattivit dellinterprete e degli addetti
ai lavori. La decisione in commento, ad esempio, relativa a delle questioni che, fino allintervento delle
Sezioni Unite, era dubbio se rientrassero tra quei vizi sostanziali che comportavano nullit delle decisione
dellassise condominiale, in quanto attinenti alla regolare costituzione dell'assemblea o tra quei vizi formali
attinenti al procedimento di convocazione o di informazione dell'assemblea stessa. Con la decisione n. 4806

del 2005 si affermato che sono da ritenersi nulle le delibere prive degli elementi essenziali, con oggetto
impossibile o illecito (contrario all'ordine pubblico, alla morale e al buon costume), con oggetto che non rientra
nella competenza dell'assemblea, che incidono sui diritti individuali, sulle cose, sui servizi comuni o sulla
propriet esclusiva di ognuno dei condomini o comunque invalide in relazione all'oggetto"; sono, invece,
annullabili "le delibere con vizi relativi alla regolare costituzione dell'assemblea, quelle adottate con
maggioranza inferiore a quella prescritta dalla legge o dal regolamento condominiale, quelle affette da vizi
formali in violazione di prescrizioni legali, convenzionali, regolamentari attinenti al procedimento di
convocazione o informazione in assemblea, quelle genericamente affette da irregolarit nel procedimento di
convocazione, quelle che richiedono maggioranze qualificate in relazione all'oggetto(cos Cass. 7 marzo 2005
n. 4806). In sostanza, lo svolgimento di unassemblea in un giorno diverso da quello previsto e la deliberazione
su argomenti non inseriti nellordine del giorno rientrano tra quei vizi attinenti al procedimento di convocazione
o informazione in assemblea che comportano lannullabilit della relativa delibera. Tale orientamento, come si
detto stato ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza in esame.
http://www.altalex.com/index.php?idnot=46420

Divieto di magazzino con bagno in condominio


Quando, come spesso capita, un regolamento
condominiale contrattuale vincola le cantine alluso di sgombero o deposito, il condomino pu
destinare la cantina a magazzino, ma non pu realizzare in essa un servizio igienico. Questultimo
infatti, presuppone la permanenza di persone allinterno dei locali, con la conseguenza che si ha un
illegittimo cambio di destinazione di uso. Questo in sintesi il contenuto della sentenza del Tribunale di
Milano, 19 maggio 2009, n. 6867. Nel caso affrontato dal Tribunale Milanese, un condomino aveva
impugnato una delibera condominiale. In essa il condominio - con la maggioranza di cui allarticolo
1136, comma 2, Codice Civile (500 millesimi e maggioranza degli intervenuti) aveva deliberato di
modificare limpianto fognario in modo tale da non connettere ai nuovo scarichi il bagno gi esistente
nella cantina-magazzino del condomino stesso (salvo lesecuzione di costose opere di allacciamento). Il
condomino era proprietario di due locali su due diversi livelli (piano terreno e seminterrato), destinati
ad ufficio commerciale con esposizione e sottostante deposito merci. Il condominio si era costituito in
giudizio dichiarando che la delibera era legittima e aveva chiesto la rimozione del servizio igienico
realizzato nella cantina, in quanto, secondo il regolamento contrattuale, la cantina doveva essere
destinata esclusivamente a locale di sgombero (o al pi a magazzino) con esclusione di qualunque altra
destinazione. Il Tribunale ha innanzitutto statuito che la modifica dellimpianto fognario, quando si
preveda la soppressione del precedente e la sua integrale sostituzione, con nuovi percorsi e quindi con
necessit di nuove opere per gli allacciamenti, non opera di riparazione straordinaria ma bens di
innovazione. E perci necessario il quorum di cui allarticolo 1136, comma 5, Codice Civile (666
millesimi e la maggioranza dei partecipanti al condominio). Conseguentemente la delibera assembleare
impugnata era illegittima. Sin qui, nulla di nuovo. Il Tribunale ha per anche condannato il
condomino alla rimozione del bagno esistente. Infatti larticolo 2 del regolamento contrattuale vigente
nel condominio cos recitava:gli appartamenti, non potranno essere adibiti ad uso diverso da quello
di abitazione civile o promiscua con studio pr

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