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Penale Sent. Sez. 3 Num.

21910 Anno 2022


Presidente: ANDREAZZA GASTONE
Relatore: REYNAUD GIANNI FILIPPO
Data Udienza: 07/04/2022

Corte di Cassazione - copia non ufficiale


SENTENZA

sul ricorso proposto da

Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo


nel procedimento a carico di
Licata Michele Angelo, nato a Marsala il 20/08/1963

avverso la sentenza del 30/09/2020 della Corte di appello di Palermo

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;


udita la relazione svolta dal consigliere Gianni Filippo Reynaud;
lette le richieste scritte trasmesse dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Luigi Cuomo, ai sensi dell'art. 23, comma 8, d.l. 28 ottobre
2020, n. 137, conv., con modiff., dalla I. 18 dicembre 2020, n. 176, che ha
concluso chiedendo l'annullamento della sentenza impugnata con riguardo al reato
di lottizzazione abusiva, senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione e
con rinvio in ordine alle statuizioni sulla confisca;
lette le conclusioni depositate dagli avv. Salvatore Pino e Carlo Ferracane
nell'interesse di Michele Licata, i quali hanno concluso chiedendo la declaratoria di
inammissibilità o comunque di infondatezza del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 30 settembre 2020, la Corte d'appello di Palermo, in


parziale riforma della sentenza impugnata, per quanto qui interessa ha assolto
l'imputato appellante, perché il fatto non sussiste, dal reato di lottizzazione
abusiva contestato al capo A), del quale il medesimo era stato in primo grado
ritenuto responsabile, con conseguente revoca della confisca dei terreni lottizzati.

2. Avverso detta sentenza, limitatamente alle suddette statuizioni, ha


proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale, deducendo la violazione

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dell'art. 44, comma 1, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (t.u.e.) ed il vizio di
motivazione, concludendo per l'annullamento della sentenza impugnata con
declaratoria di prescrizione del reato di lottizzazione abusiva e conferma della
confisca disposta in primo grado.
2.1. Il ricorrente allega che del tutto correttamente il primo giudice aveva
ritenuto il reato di lottizzazione abusiva materiale consistito nella realizzazione, in
una vasta area destinata a verde agricolo e caratterizzata da un sistema di viabilità
interna, di uno stabilimento balneare e di due fabbricati gemelli a due elevazioni
f.t. che, pur progettati e autorizzati per essere destinati ad attività produttiva
connessa a quella agricola e zootecnica, erano in realtà stati edificati con evidenti
difformità, le quali, già allo stato grezzo, ne rendevano evidente la destinazione,
incompatibile con gli strumenti urbanistici, ad uso abitativo di tipo turistico-
ricettivo. Nella stessa area era inoltre stata progettata la realizzazione di un centro
golfistico con club house, e ciò nell'ambito di unico programma di trasformazione
del territorio, peraltro caratterizzato dalla dolosa parcellizzazione delle richieste di
autorizzazione, in violazione delle prescrizioni previste dagli strumenti urbanistici
ed in assenza di piano di lottizzazione.
2.2. Secondo il ricorrente, la Corte d'appello, pur premettendo di condividere
il principio giusta il quale il reato in esame è caratterizzato da qualsiasi attività che
oggettivamente comporti anche soltanto il pericolo di una urbanizzazione non
prevista o contraria a quella programmata, lo aveva in realtà violato,
contraddittoriamente concludendo che nel caso di specie il primo giudice avesse
considerato penalmente rilevante quello che, al più, costituiva una mera
intenzione, senza che il pericolo di urbanizzazione si fosse concretamente
realizzato. (ft
2.3. Si era inoltre omesso di considerare, trascurando prove decisive quali le
consulenze tecniche del pubblico ministero e le fotografie, che: la consistenza delle
opere già realizzate al grezzo e delle difformità rispetto al progetto autorizzato
rendeva concreta ed evidente la diversa destinazione dei due opifici; la

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progettazione delle ulteriori varianti, quale contenuta nei files sequestrati ai
progettisti incaricati dall'imputato, confermava la destinazione dei manufatti in
costruzione a struttura turistico-alberghiera; esisteva un evidente collegamento
dei tre distinti progetti, finalizzato a una destinazione comune, dolosamente celato
dall'imputato alle amministrazioni preposte al rilascio dei permessi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Va premesso che, diversamente da quanto argomentato dalla difesa


dell'imputato nella memoria conclusiva depositata in vista della decisione, il ricorso

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è ammissibile.
1.1. Per un verso, non può trovare nella specie applicazione l'invocato
principio giusta il quale la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza,
della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi
aspecifici ed il ricorso per cassazione inammissibile, ai sensi degli artt. 581, comma
1 lett. c) e 591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., non potendo attribuirsi al
giudice di legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre i
dal coacervo indifferenziato dai motivi, quelli suscettibili di un utile scrutinio (così,
Sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015, Rugiano, Rv. 264535). Né può ritenersene la
non specificità sul presupposto che non si sarebbe chiarito dove la motivazione
asseritamente manchi, in quali parti sia contraddittoria, in quali manifestamente
illogica, alla luce del principio giusta il quale non può attribuirsi al giudice di
legittimità la funzione di rielaborare l'impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo
indifferenziato dei motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio, in quanto i motivi
aventi ad oggetto tutti i vizi della motivazione sono, per espressa previsione di
legge, eterogenei ed incompatibili, quindi non suscettibili di sovrapporsi e
cumularsi in riferimento ad un medesimo segmento della motivazione (così, Sez.
2, n. 38676 del 24/05/2019, Onofri, Rv. 277518-02).
1.2. Ed invero, pur proposte nell'ambito di un unico, articolato, motivo in cui
si lamentano sia la violazione della legge penale, sia i tre distinti vizi di motivazione
di cui all'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. - ciò che non è vietato, né
inopportuno, laddove, come nella specie, si tratti di punti obiettivamente connessi
- le doglianze sono chiaramente enucleate e distintamente individuabili senza
sforzo interpretativo.
Come più sopra riportato nel riepilogo dei motivi, sono infatti immediatamente
evincibili le ragioni della violazione di legge e della contraddittorietà della
motivazione rispetto al principio di diritto affermato e poi incongruamente ed
illegittimamente disatteso (supra, sub § 2.1.), come pure quelle (supra, sub §

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2.2.) con cui si è lamentata l'omessa motivazione su elementi dal ricorrente
ritenuti decisivi ed il travisamento, per omissione, di prove acquisite, ciò che
integra gli estremi dell'illogicità motivazionale (Sez. 6, n. 8610 del 05/02/2020,
P., Rv. 278457), nella specie sicuramente deducibile, avendo il ricorrente
evidenziato la diversa valutazione - ritenuta ben più convincente - datane dal
primo giudice, sì che non opera la preclusione della proponibilità del vizio in
cassazione connessa alla "doppia conformità" delle sentenze di merito (cfr., ex
multis, Sez. 6, n. 21015 del 17/05/2021, Africano, Rv. 281665).

2. Benché le parti processuali non abbiano ritenuto di affrontare il tema nelle

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memorie conclusive, trattandosi di questione che sarebbe rilevabile d'ufficio,
reputa il Collegio di dover altresì chiarire che l'impugnazione è ammissibile anche
sotto un distinto profilo. Si allude al fatto - spesso valorizzato dalla giurisprudenza
di questa Corte per ritenere inammissibile il ricorso (cfr. Sez. 4, n. 16029 del
28/02/2019, Briguglio, Rv. 275651; Sez. 4, n. 23178 del 15/03/2016, Tremontini,
Rv. 267940)- che essa è stata proposta dal pubblico ministero contro una
pronuncia assolutoria intervenuta su reato già prescritto al momento del giudizio
d'appello (la circostanza, attestata dalla sentenza impugnata a pag. 11, non forma
oggetto di contestazione).
Ed invero, secondo il condivisibile orientamento di questa Corte, non può
pronunciarsi declaratoria d'inammissibilità, per difetto di interesse, del ricorso per
cassazione del pubblico ministero avverso la sentenza di assoluzione per
insussistenza del fatto qualora fosse già maturata la prescrizione al momento della
pronuncia della sentenza impugnata, allorquando emerga un interesse concreto
del pubblico ministero alla dichiarazione della causa di estinzione del reato
rispondente a una ragione, anche esterna al processo, obiettivamente riconoscibile
(Sez. 6, n. 2025 del 12/12/2018, dep. 2019, Celsi, Rv. 274844; Sez. 5, n. 30939
del 24/06/2010, Mangiafico, Rv. 247971). Nel caso di specie, questo interesse è
peraltro "interno al processo", posto che, lamentando l'erroneità della sentenza
assolutoria pronunciata in grado d'appello per il reato di lottizzazione abusiva,
rispetto al quale in primo grado era intervenuta condanna, con conseguente
confisca dei terreni lottizzati ai sensi dell'art. 44, comma 2, t.u.e., in ricorso (pag.
8) ci si duole del fatto che, pur essendo medio tempore sopravvenuta la
prescrizione del reato, la Corte d'appello avrebbe dovuto confermare la statuizione
sulla confisca.
2.1. La prospettazione del ricorrente - osserva il Collegio - rende ammissibile
il ricorso, perché certamente corretta in diritto.
Non v'è dubbio, difatti, che nel caso di specie, qualora si fosse accertata la
ricorrenza dei necessari presupposti, si sarebbe dovuto fare applicazione del

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principio giusta il quale, in caso di declaratoria, all'esito del giudizio di
impugnazione, di estinzione del reato di lottizzazione abusiva per intervenuta
prescrizione, il giudice d'appello (come la Corte di cassazione) è tenuto, in forza
dell'art. 578-bis cod. proc. pen., a decidere sull'impugnazione agli effetti della
confisca di cui all'art. 44, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 (Sez. U, n. 13539
del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870-02). La richiamata disposizione era
certamente applicabile perché la sentenza di condanna emessa in primo grado
aveva disposto la confisca e il reato si era successivamente prescritto prima del
giudizio di appello. Pur dando atto di ciò, la sentenza impugnata ha esaminato
l'impugnazione anche con riguardo al reato di lottizzazione abusiva, ai sensi

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dell'art. 578 cod. proc. pen., poiché pure per esso vi era stata in primo grado
condanna al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, facendo
poi prevalere sulla declaratoria di estinzione del reato, anche ai fini penali, il
proscioglimento nel merito, benché non evidente, in conformità ai principi da
tempo al proposito elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. U, n.
35490 del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244273; Sez. 4, n. 53354 del 21/11/2018,
Zuccherelli, Rv. 274497).
2.2. Laddove ciò accada, reputa dunque il Collegio che, nonostante il già
maturato termine di prescrizione, da un lato, sussista l'interesse del pubblico
ministero a ricorrere per cassazione avverso la sentenza assolutoria ritenuta
erronea, ai fini di ottenere la conferma della statuizione della confisca disposta in
primo grado - in tesi illegittimamente omessa dal giudice d'appello, che vi sarebbe
stato tenuto ai sensi dell'art. 578-bis cod. proc. pen. - e, d'altro lato, che, laddove
non sia evidente la sussistenza di una più favorevole causa di proscioglimento nel
merito, pur dovendo ai fini penali dichiarare la prescrizione, la Corte di cassazione
sia tenuta a decidere l'impugnazione agli effetti della confisca. L'eventuale
riconoscimento di una violazione di legge e/o di un vizio di motivazione
condurrebbe infatti ad accogliere il ricorso in parte qua e ad annullare con rinvio
la sentenza impugnata affinché il giudice d'appello proceda a rinnovare il giudizio
agli effetti della confisca (per la medesima conclusione assunta in un caso simile,
v. Sez. 3, n. 31182 del 16/09/2020, Galli, Rv. 280773).
Ritenere diversamente, significherebbe irragionevolmente concludere che alla
violazione dell'art. 578-bis cod. proc. pen. consumata in grado di giudizio d'appello
non possa darsi rimedio.
2.3. Deve aggiungersi che nel caso di specie non rileva la questione - di
recente rimessa alle Sezioni unite da questa stessa Sezione con ord. 16/03/2022
- sul quesito "se la statuizione di confisca per equivalente possa essere lasciata
ferma, o debba invece essere eliminata, nel caso in cui il giudice dell'impugnazione
pronunci sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato

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presupposto previo accertamento della responsabilità dell'imputato e il fatto sia
anteriore alla entrata in vigore dell'art. 1, comma 4, lett. f), legge 9 gennaio 2019,
n. 3, che ha inserito nell'art. 578-bis cod. proc. pen. le parole «o la confisca
prevista dall'art. 322-ter cod . pen.»".
Benché il reato qui in esame sia stato commesso prima di quella data, e prima
ancora della stessa introduzione della citata disposizione nel codice di rito, la
questione - evidentemente connessa al rispetto del principio di irretroattività della
legge penale con riguardo ad una previsione suscettibile d'integrare gli estremi
sostanziali di una "sanzione penale", anche alla luce dei principi affermati dalla
CEDU - riguarda, infatti, la confisca per equivalente e non rileva per quella in

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materia di lottizzazione abusiva prevista dall'art. 44, comma 2, t.u.e. Se la
disposizione codificata nell'art. 578-bis cod. proc. pen. è certamente applicabile
anche con riguardo a quest'ultima (come espressamente ritenuto da Sez. U, n.
13539 del 30/01/2020, Perroni, Rv. 278870-02, dovendosi riconoscersi al richiamo
contenuto nella norma citata alla confisca "prevista da altre disposizioni di legge",
formulato senza ulteriori specificazioni, una valenza di carattere generale, capace
di ricomprendere anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori
del codice penale), per la confisca in materia di lottizzazione abusiva detta
disposizione ha esclusivamente carattere processuale, sicché indubbiamente
opera il principio tempus regit actum.
Ed invero, fermo restando che a questo tipo di confisca deve riconoscersi - e
da tempo si riconosce - natura di sanzione penale sostanziale, in quanto tale
soggetta alla disciplina dettata in ambito convenzionale dall'art. 7 CEDU (la
conclusione è sostanzialmente pacifica dopo che la Corte europea dei diritti
dell'uomo, con sentt. 30 agosto 2007 e 20 gennaio 2009, rese in causa Sud Fondi
S.r.l. e aa. c. Italia, ha evidenziato gli scopi prevalentemente repressivi
dell'istituto), in forza dell'espressa previsione sostanziale di cui all'art. 44, comma
2, t.u.e. la giurisprudenza nazionale ha sempre affermato, ben prima
dell'introduzione dell'art. 578-bis nel codice di rito, la confiscabilità dei terreni
abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite pur in presenza di
una causa estintiva del reato, purché l'accertamento giudiziale del reato di
lottizzazione abusiva riguardi tanto il profilo oggettivo quanto quello soggettivo
(Sez. 3, n. 21188 del 30/04/2009, Casasanta e aa., Rv. 243630; Sez. 3, n. 39078
del 13/07/2009, Apponi e aa., Rv. 245347) e ciò avvenga nell'ambito di un giudizio
che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati e che
verifichi l'esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l'aspetto dell'imprudenza,
della negligenza e del difetto di vigilanza dei soggetti nei confronti dei quali la
misura viene ad incidere (Sez. 3, n. 17066 del 04/02/2013, Volpe e aa., Rv.
255112).

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Com'è noto, quest'orientamento è stato bensì posto in crisi dalla sent. Corte
EDU 29 ottobre 2013 in causa Varvara c. Italia - che, in un caso in cui era stata
applicata la confisca di cui all'art. 44, comma 2, t.u.e. nonostante l'intervenuta
prescrizione del reato, aveva affermato l'incompatibilità con le garanzie previste
dalla convenzione di un sistema in cui sia possibile applicare una pena ad una
persona la cui responsabilità penale non sia constatata in una sentenza di
colpevolezza -, ma è stato anche successivamente confermato dopo che la Corte
costituzionale ha autorevolmente disatteso le conclusioni di quella pronuncia.
Chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'art. 44, comma 2,
t.u.e. in riferimento agli artt. 2, 9, 32, 41, 42 e 117, primo comma, della

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Costituzione, nella parte in cui, in forza dell'interpretazione della Corte europea
dei diritti dell'uomo, appunto sostenuta nella citata sentenza Varvara, tale
disposizione «non può applicarsi nel caso di dichiarazione di prescrizione del reato
anche qualora la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi»,
pur decidendo la questione di legittimità costituzionale nel senso
dell'inammissibilità, con sant. 14/01-26/03/2015, n. 49, la Corte costituzionale ha
infatti rilevato: da un lato, che era errato il presupposto interpretativo circa il fatto
che la sentenza Varvara fosse univocamente interpretabile nel senso che la
confisca urbanistica possa essere disposta solo unitamente ad una sentenza di
condanna da parte del giudice per il reato di lottizzazione abusiva; d'altro lato, che
la stessa decisione, qualora letta in tal senso, non era espressione di
un'interpretazione consolidata nell'ambito della giurisprudenza europea e non
poteva pertanto ritenersi vincolante per il giudice nazionale. Prendendo dunque
atto delle indicazioni contenute in tale decisione (e nell'analoga pronuncia Corte
cost., ord. 24/06/23/07/2015, n. 187), la successiva giurisprudenza di legittimità
ha ribadito che il proscioglimento per intervenuta prescrizione non osta alla
confisca del bene lottizzato allorquando sia stata accertata, con adeguata
motivazione, la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva nei suoi elementi
oggettivo e soggettivo (Sez. 3, n. 15888 del 08/04/2015, dep. 2016, Sannella e
a., Rv. 266628; Sez. 4, n. 31239 del 23/06/2015, Giallombardo, Rv. 264337;
Sez. 3, n. 33051 del 10/05/2017, Puglisi e aa., Rv. 270646; Sez. 3, n. 53692 del
13/07/2017, Martino, Rv. 272791). Quest'interpretazione ha poi ricevuto il
definitivo avallo anche nel sistema convenzionale con la sant. Corte EDU (Grande
Camera) 28 giugno 2018 in causa G.I.E.M. Srl e aa. c. Italia. La Grande Camera -
per quanto qui rileva -, dopo aver verificato la sussistenza di idonea base legale
per la confisca in parola nell'art. 44 t.u.e. (§. 220) ed averne ribadito la natura di
"pena" sul piano del diritto convenzionale (§§. 221 ss.), confermando la lettura
che della sentenza Varvara era stata data dalla Corte costituzionale e dalla
successiva giurisprudenza di legittimità, ha affermato che sebbene l'art. 7 CEDU

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esiga, «per punire, una dichiarazione di responsabilità da parte dei giudici
nazionali, che possa permettere di addebitare il reato e di comminare la pena al
suo autore» (§. 250) e sebbene «la dichiarazione di responsabilità penale richiesta
è spesso contenuta in una sentenza penale che condanna formalmente l'imputato,
in ogni caso ciò non costituisce una norma imperativa. In effetti la sentenza
Varvara non permette di concludere che le confische per lottizzazione abusiva
devono necessariamente essere accompagnate da condanne penali ai sensi del
diritto nazionale» (§. 252). La Corte di Strasburgo ha pertanto concluso che
«qualora i tribunali investiti constatino che sussistono tutti gli elementi del reato
di lottizzazione abusiva pur pervenendo a un non luogo a procedere, soltanto a

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causa della prescrizione, tali constatazioni, in sostanza, costituiscono una
condanna nel senso dell'articolo 7, che in questo caso non è violato» (§. 261).
Alla luce dell'evoluzione della giurisprudenza sovranazionale e domestica
quale sopra riepilogata, non v'è dubbio, pertanto, che il fondamento normativo
sostanziale dell'applicazione della confisca dei terreni abusivamente lottizzati e
delle opere ivi abusivamente costruite, da disporsi con la sentenza del giudice
penale che accerta esservi stata lottizzazione abusiva, sia rinvenibile nell'art. 44,
comma 2, t.u.e., la cui applicazione non è impedita dalla prescrizione del reato,
quando ne sia accertata la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo. La
previsione di cui all'art. 578-bis cod. proc. pen., introdotto dall'art. 6, comma 4,
d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, dunque, con riguardo alla confisca in esame / ha
esclusivamente efficacia processuale, precisando - in conformità, peraltro,
all'orientamento interpretativo già in precedenza assolutamente maggioritario -
che il giudice dell'impugnazione ha l'obbligo di decidere il gravame
sull'accertamento della responsabilità per il reato di lottizzazione abusiva, pur
estinto per prescrizione sul piano penale, ai soli fini della decisione sulla confisca.

3. Venendo al merito del ricorso, reputa il Collegio che lo stesso sia fondato,
sussistendo i denunciati vizi di violazione della legge penale e difetto di
motivazione, anche in relazione alla più persuasiva sentenza di primo grado,
rispetto alla quale il ricorrente ha sollecitato il confronto di questa Corte a sostegno
dei vizi specificamente dedotti.
A quest'ultimo proposito, osserva il Collegio che quando il giudice d'appello
riformi in senso assolutorio la sentenza di condanna di primo grado, al di là della
rinnovazione istruttoria - il cui obbligo non viene neppure astrattamente in rilievo
nella fattispecie qui in esame - deve offrire una motivazione puntuale e adeguata,
che fornisca una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata (Sez.
U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430). La maggioritaria
giurisprudenza di legittimità evoca spesso, al proposito, il concetto di "motivazione

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rafforzata", affermando che la riforma in senso assolutorio della sentenza di
condanna di primo grado, sulla base di una diversa valutazione del medesimo
compendio probatorio, impone al giudice di appello di dare puntuale ragione delle
difformi conclusioni assunte (Sez. 4, n. 24439 del 16/06/2021, Frigerio, Rv.
281404; Sez. 3, n. 29253 del 05/05/2017, C., Rv. 270149; Sez. 4, n. 4222 del
20/12/2016, dep. 2017, Mangano e aa., Rv. 268948). Pur trattandosi di paradigma
non sempre condiviso quando si tratti di révirement in melius (v. ad es., Sez. 5,
n. 29261 del 24/02/2017, S., Rv. 270868; Sez. 3, n. 46455 del 17/02/2017, Rv.
271110), e che la stessa sentenza Troise delle Sezioni unite ha preferito al
proposito non richiamare, puntualizzando come non sia «possibile far confluire

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all'interno dell'indistinta locuzione "motivazione rafforzata" ogni ipotesi di
ribaltamento della prima decisione, accomunandovi obblighi dimostrativi che
hanno origine e finalità sostanzialmente differenti, perché derivanti da una
insuperabile asimmetria di statuti probatori» (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017,
dep. 2018, Troise, Rv. 272430, in motivazione sub §. 4.2.), ciò che in quest'ottica
si vuol significare - e che il Collegio intende ribadire - è che la sentenza di secondo
grado deve in tal caso contenere uno sviluppo argomentativo che si confronti con
le ragioni addotte a sostegno del "decisum" impugnato per metterne in luce le
carenze o le aporie che ne giustificano l'integrale riforma (Sez. 2, n. 50643 del
18/11/2014, Fu e aa., Rv. 261327). In particolare, il giudice di appello non può in
tal caso limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione
impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso,
essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale
probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito
alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, riguardo alle parti
della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale
che dia ragione delle difformi conclusioni (Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep.
2014, Ricotta, Rv. 258005; Sez. 6, n. 46742 del 08/10/2013, Hamdi Ridha, Rv.
257332). Fermo restando che la contraddittorietà o l'insufficienza probatoria dovrà
risolversi in senso assolutorio in omaggio alla regola per cui non può affermarsi la
penale responsabilità se questa non sia dimostrata al di là di ogni ragionevole
dubbio, anche a fronte della contraddittorietà del quadro probatorio, il giudice di
appello che per tale ragione riformi integralmente la sentenza di condanna di primo
grado, assolvendo l'imputato, ha l'obbligo di offrire un autonomo ragionamento
che non si limiti ad una valutazione soltanto numerica degli elementi di prova
contrapposti, ma consideri anche il peso, inteso come capacità dimostrativa, degli
stessi (Sez. 3, n. 6880 del 26/10/2016, dep. 2017, D.L., Rv. 269523).

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4. Ciò premesso, sul piano del diritto sostanziale deve osservarsi che la
lottizzazione abusiva, configurabile con riferimento a zone di nuova espansione o
scarsamente urbanizzate relativamente alle quali sussiste un'esigenza di raccordo
con il preesistente aggregato abitativo e di potenziamento delle opere di
urbanizzazione (Sez. 3, n. 6629 del 07/01/2014, Giannattasio e aa., Rv. 258932),
è contravvenzione a consumazione anticipata. In particolare, il reato è integrato
non solo dalla trasformazione effettiva del territorio, ma da qualsiasi attività che
oggettivamente comporti anche solo il pericolo di una urbanizzazione non prevista
o diversa da quella programmata (Sez. 2, n. 22961 del 29/03/2017, De Vigili e a.,
Rv. 270177, relativa ad ipotesi di lottizzazione negoziale; Sez. 3, n. 37383 del

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16/07/2013, Desimine e aa, Rv. 256519, relativa ad ipotesi di lottizzazione
materiale concretizzatasi in lavori interni di redistribuzione degli spazi, finalizzati
alla trasformazione in appartamenti di un complesso immobiliare con precedente
destinazione d'uso alberghiera), sempreché si tratti d'interventi mirati alla
realizzazione di opere che, per caratteristiche o dimensioni, siano idonee a
pregiudicare la riserva pubblica di programmazione territoriale (Sez. 3, n. 15404
del 21/01/2016, Bagliani e a., Rv. 266811). Si tratta, poi, di reato a consumazione
alternativa, potendo realizzarsi sia quando manchi un provvedimento di
lottizzazione, sia quando quest'ultimo sussista ma contrasti con le prescrizioni
degli strumenti urbanistici, in quanto grava sui soggetti che predispongono un
piano di lottizzazione, sui titolari di concessione, sui committenti e costruttori
l'obbligo di controllare la conformità dell'intera lottizzazione e delle singole opere
alla normativa urbanistica e alle previsioni di pianificazione (Sez. U, n. 5115 del
28/11/2001, dep. 2002, Salvini, Rv. 220708; Sez. 3, n. 33051 del 10/05/2017,
Puglisi e aa., Rv. 270645).
Laddove manchi la necessaria autorizzazione, il reato di lottizzazione abusiva
non è peraltro escluso dal rilascio dei permessi di costruire, dovendosi qui ribadire
il risalente indirizzo secondo cui - posto che la convenzione di lottizzazione
prevede anche l'accollo di una quota parte delle opere di urbanizzazione
secondaria - nemmeno l'impegno del privato ad eseguire le opere di
urbanizzazione primaria nel contesto del rilascio di un titolo edilizio può surrogare
la mancanza di un piano di lottizzazione, poiché l'urbanizzazione dei terreni deve
essere programmata per zona e non avvenire in occasione dell'edificazione dei
singoli lotti, sicché costituisce lottizzazione abusiva anche la nuova utilizzazione
del terreno a scopo di insediamento residenziale pur se sia richiesto il permesso di
costruire ovvero siano rilasciati una pluralità di permessi nella zona interessata dal
nuovo insediamento, tanto più che il permesso di costruire non ha la funzione di
pianificare l'uso del territorio (Sez. 3, n. 302 del 26/01/1998, Ganci e aa., Rv.
210400, che, ovviamente, si riferiva non già al permesso di costruire ma

10
P
all'identico titolo all'epoca denominato concessione edilizia; più di recente, Sez. 3,
n. 36397 del 17/04/2019, Taranto, Rv. 277169- 01).
4.1. Com'è noto, il reato di lottizzazione abusiva - già previsto dall'art. 42,
lett. a), I. 1150 del 1942, senza che, tuttavia, ne fosse stata particolarmente
tipizzata la condotta - è stato per la prima volta compiutamente definito dalla I.
n. 47 del 1985, le cui disposizioni sono state al proposito letteralmente trasfuse
nel testo unico approvato con d.P.R. 380 del 2001. La tipizzazione dell'illecito fatta
dal legislatore del 1985 ha peraltro codificato gli orientamenti interpretativi che la
giurisprudenza - penale ed amministrativa - aveva nel tempo elaborato e
consolidato, come riconosciuto da questa Corte immediatamente dopo

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l'approvazione della legge sul condono edilizio (cfr. Sez. 3, n. 5766 del
09/03/1988, Acanfora, Rv. 178365, secondo cui, in tema di reato di lottizzazione
abusiva, la norma di cui all'art. 18 legge 28 febbraio 1985, n. 47 ha definito la
condotta lottizzatoria sulla base di elementi indiziari dai quali risulti in modo non
equivoco lo scopo edificatorio; tali elementi non sono però tassativi e derivano da
una elaborazione giurisprudenziale consolidata, cui il legislatore, con il citato art.
18, ha conferito dignità normativa).
Tenendo conto della ratio della disposizione - la quale, appunto, valorizza un
contesto indiziario atto a rivelare in modo non equivoco la finalità edificatoria
contra legem, ciò che costituisce l'elemento comune alle varie forme (materiale,
negoziale, mista) in cui l'illecito può manifestarsi (Sez. 3, n. 3668 del 29/02/2000,
Pennelli, Rv. 215625) - la più ragionevole spiegazione ermeneutica del disposto
oggi contenuto nell'art. 30, 10 co., t.u.e. in aderenza al dato normativo, porta
dunque a concludere che la voluntas legis è stata quella di "anticipare" la tutela
del bene protetto pur se affidata ad una fattispecie criminosa che, per la sua natura
contravvenzionale, non prevede la rilevanza penale del tentativo.
4.2. La conclusione - che nel caso di specie riveste centrale rilievo - emerge
con chiarezza, in primo luogo, dalla stessa formulazione letterale della disposizione
incriminatrice riferita all'ipotesi della lottizzazione c.d. negoziale, nella quale è
agevole riconoscere - applicati alla fattispecie de qua - i due elementi che, per
l'art. 56, primo comma, cod. pen. contraddistinguono il reato tentato: l'idoneità
degli atti a mettere in pericolo il bene protetto; la loro inequivoca e oggettiva
direzione a conseguire lo scopo illecito. Del resto, è comprensibile che, volendo
anticipare la tutela penale per colpire le lottizzazioni illecite, gli interpreti prima, e
lo stesso legislatore poi, abbiano - in modo più o meno consapevole - costruito la
punibilità attorno al modello legale previsto dall'ordinamento in via generale (e sia
pur soltanto per i delitti). In quest'ottica, il legislatore ha innanzitutto voluto
indicare quali atti sono di regola idonei a realizzare una lottizzazione abusiva
negoziale in via anticipata rispetto all'esecuzione delle opere - per usare le parole

11
della disposizione, a "predisporre una trasformazione urbanistica o edilizia dei
terreni" - e lo ha fatto menzionando quelli che l'esperienza aveva mostrato essere
i principali strumenti utilizzati: il frazionamento di più ampi terreni in lotti
edificabili; la vendita degli stessi. Non volendo, tuttavia, precludere la possibilità
di sanzionare condotte analoghe, parimenti idonee a conseguire lo stesso scopo,
la legge ha ampliato la fattispecie delineata come tipica con l'aggiunta di una
formula residuale - quella degli atti equivalenti - che chiaramente rivela la portata
non tassativa della precedente indicazione, la quale, come questa Corte ha
appunto più volte riconosciuto, si presta pertanto a letture estensive (cfr. Sez. 3,n.
36397 del 17/04/2019, Taranto, Rv. 277169-02; Sez. 3, n. 6180 del 04/11/2014,

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dep. 2015, Di Stefano, Rv. 262387; Sez. 6, n. 48472 del 28/11/2013, D'Amato e
aa., Rv. 257457; Sez. 3, n. 27739 del 06/06/2008, Berloni, Rv. 240603).
4.3. L'interpretazione finalistica della disposizione, resa evidente con
riferimento all'ipotesi della lottizzazione nella forma negoziale, quella
maggiormente lontana dall'effettiva trasformazione del territorio, vale a fortiori
con riguardo all'ipotesi della lottizzazione materiale, in cui la condotta aggressiva
del bene tutelato già ha avuto concreta manifestazione con l'inizio dei lavori. Ed
invero, con riguardo a quest'ultima, la disposizione incriminatrice prevede che «si
ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio quando vengono iniziate
opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in
violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o
comunque stabiliti dalle leggi statali o regionali o senza la prescritta
autorizzazione» (art. 30, 1° comma, prima parte, t.u.e., enfasi aggiunta). Anche
per questa figura criminosa, dunque, la descrizione della fattispecie è eloquente
nell'attribuire rilevanza a condotte che, pur non avendo consumato una
trasformazione del territorio in violazione della potestà di programmazione della
pubblica amministrazione, ovvero di prescrizioni normative e pianificatorie già
adottate, siano a ciò oggettivamente preordinate e, essendo idonee a conseguire
il risultato, abbiano quantomeno avuto inizio. Pure con riguardo a questa forma di
lottizzazione, pertanto, il legislatore sostanzialmente richiede quel giudizio ex
ante, tipico del reato tentato e di quello a consumazione anticipata, per cui è
necessario, e sufficiente, valutare se la condotta compiuta sia idonea ed
oggettivamente adeguata a determinare l'evento (inteso anche soltanto in senso
normativo) che integra il reato (per la necessità di quest'indagine nei reati tentati
e in quelli a consumazione anticipata, cfr., ex multis: Sez. 6, n. 36199 del
16/09/2020, Sassano, Rv. 280178; Sez. 2, n. 36311 del 12/07/2019, Raicevic,
Rv. 277032-02; Sez. 2, n. 24166 del 20/03/2019, Maggiorelli, Rv. 276537; Sez.
1, n. 45734 del 31/03/2017, Bouslim e aa., Rv. 271127; Sez. 5, n. 7341 del
21/01/2015, Sciuto, Rv. 262768). Sul piano oggettivo, integrano dunque gli

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estremi della lottizzazione abusiva c.d. materiale le condotte di inizio
dell'esecuzione di opere idonee a determinare una trasformazione urbanistica od
edilizia del territorio in violazione di previsioni di piano o normative, ovvero in
assenza di autorizzazione, anche se detta trasformazione non si sia ancora
consumata.

5. La sentenza impugnata non ha fatto buongoverno degli evidenziati principi


e ha reso sul punto un'illogica motivazione rispetto ai non controversi dati
probatori in essa rappresentati, non dando adeguatamente conto delle ragioni per
cui ha disatteso la difforme - e assai argomentata - decisione di primo grado.

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5.1. In primo luogo, va osservato che, in forza delle superiori argomentazioni
e diversamente da quanto si opina in sentenza, al di là dell'elemento soggettivo -
che nella specie non viene espressamente negato neppure dalla sentenza
impugnata - il "superamento delle intenzioni non punibili" che integra il reato di
lottizzazione abusiva materiale si ha con il mero "inizio" di opere finalizzate, e
ragionevolmente idonee a conseguire, l'illecita trasformazione urbanistica o edilizia
dei terreni. La sentenza impugnata (pag. 15) ha invece fatto richiamo ad un
paradigma equivoco, quello degli "atti preparatori" - a cui da tempo non si
riconosce efficacia selettiva della punibilità nemmeno nell'interpretazione
dell'istituto del reato tentato (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017,
Macori e a., Rv. 269932; Sez. 2, n. 11855 del 08/02/2017, Fincato e a., Rv.
269930; Sez. 2, n. 52189 del 14/09/2016, Gravina, Rv. 268644) - reputando che
nel giudizio di primo grado si erano sopravvalutate «quelle che, al più, potevano
essere considerate eventuali intenzioni dell'imputato, in parte sicuramente
abortite e comunque non realizzate con tale livello di concretezza da ritenere
superata la soglia degli atti preparatori».
Mentre non è necessario che le opere abbiano raggiunto un qualche "livello
minimo" di compromissione del bene penalmente protetto, occorre invece
valutarne, con giudizio di prognosi postuma, l'oggettiva adeguatezza ed idoneità
a conseguire l'evento vietato e la prova della direzione finalistica di una condotta
non ancora tradottasi nella compiuta trasformazione illecita del territorio può
essere tratta anche aliunde, potendo utilizzarsi, parafrasando la descrizione della
condotta di lottizzazione negoziale, elementi, anche indiziari, che denuncino in
modo non equivoco uno scopo edificatorio attuabile soltanto sulla base di un piano
di lottizzazione conforme alle previsioni normative e degli strumenti urbanistici.
5.2. Ab origine viziato dalla non corretta comprensione dell'oggettivo ambito
di applicazione della fattispecie quale più sopra definito, il percorso logico-
argomentativo seguito dalla sentenza impugnata si è inoltre tradotto in plurimi vizi
motivazionali. Più precisamente:

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- si ritiene "plausibile" (pagg. 18 e 19) che l'imputato «avesse originariamente
intenzione di procedere alla trasformazione del territorio, mediante la realizzazione
di un complesso che prevedesse (da) una struttura ricettiva, collegata ad un
campo da gol,e ad uno stabilimento balneare», salvo poi valorizzare, in senso
contrario, l'intervenuto «l'abbandono della costruzione del campo da golf»,
dandosi, tuttavia, illogicamente atto che ciò era avvenuto non già in base ad una
volontaria decisione che varrebbe a segnare una sorta di desistenza, certamente
apprezzabile nei reati a consumazione anticipata in forza del principio generale
codificato dall'art. 56, terzo comma, cod. pen., ma a causa, e a seguito, della
sospensione del procedimento disposta con provvedimento comunale di richiesta

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di integrazione e chiarimenti del 22 giugno 2012;
- pur comunque confermando «la possibile (e contestata) trasformazione del
territorio», riducendone la portata «alla realizzazione dello stabilimento balneare
e della non limitrofa struttura recettiva, simulata attraverso la progettata
edificazione dei due edifici», si sminuisce illogicamente la riconosciuta rilevante
difformità, rispetto al progetto, nelle aperture dei due realizzandi edifici,
reputandolo come unico dato di fatto rilevante ai fini della decisione e
conseguentemente ritenendolo non bastevole a «costituire una trasformazione
rilevante del territorio o, quanto meno quel pericolo concreto di trasformazione»;
- in particolare, si è, a tal fine, omesso di considerare gli eloquenti progetti di
(ulteriori) difformità nella realizzazione delle opere interne scoperti nei computers
dei progettisti della società committente - la cui significatività era stata dal primo
giudice ritenuta, sulla scorta di una consulenza tecnica a cui la sentenza impugnata
neppure accenna, proprio in relazione alla esatta corrispondenza con le già
realizzate aperture che quella suddivisione interna di locali aveva e che rivelava
l'incompatibilità dei costruendi edifici con la destinazione d'uso progettuale e, per
contro, la loro finalizzazione alla diversa destinazione turistico-ricettiva -
giungendosi quindi ad illogicamente affermare che le modificazioni illecitamente
apportate in fase di costruzione fossero «troppo poco indicative del reale intento
di trasformare gli edifici in strutture ricettive»;
- si trascura, del resto, che trattavasi non già di opere ultimate, ma di opere
in corso di realizzazione al momento dell'accertamento, arrestate soltanto
dall'intervenuto sequestro del cantiere, avvenuto, si legge in sentenza, il 22
maggio 2013, vale a dire a distanza di poco più di un anno dal rilascio del titolo
abilitativo già all'epoca smaccatamente violato quanto alla realizzazione di ciò che
era stato sino a quel momento edificato, vale a dire la struttura con sagoma
esterna;
- parimenti illogico e superficiale è il rilievo che le altezze dei due piani fossero
conformi al progetto assentito dal comune (che nella parte più bassa del piano

14
sottotetto aveva altezza di mt. 2,37), senza valutare che quel progetto - secondo
la conforme ricostruzione dei due giudici di merito, approvato dal comune con
permesso di costruire del 19 aprile 2012 e rilasciato "sulla base del parere
favorevole dell'A.R.T.A." (pag. 4 sentenza impugnata) - era invece radicalmente
difforme da quello che neppure un mese prima (il 22 marzo) era stata presentato
proprio all'A.R.T.A. (Assessorato Regionale Territorio e Ambiente) per la
valutazione d'impatto ambientale, il quale prevedeva che la parte più bassa del
piano sottotetto avesse altezza, incompatibile con la destinazione abitativa, di mt.
1,70;
- parimenti illogico - in una sentenza che riconosce la sussistenza del reato

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urbanistico di costruzione in assenza o totale difformità dal permesso di costruire
per le rilevate difformità di sagoma e che dunque su questo piano attesta la
condotta illecita dell'imputato - è l'aver espressamente ritenuto "decisivo" (pag.
19) che, stante la vocazione agricola del terreno, non sarebbe stato possibile
realizzare strutture ricettive senza una modifica di piano, come se il
proprietario/committente fosse soggetto mostratosi ligio al rispetto delle regole.
5.3. Questi rilievi critici assumono maggiore pregnanza a fronte della diversa,
articolata e lineare, decisione assunta dal primo giudice (pagg 20-26), nel cui
complesso iter argomentativo si valorizzano elementi che il giudice d'appello non
considera, sottolineandosi anche l'impegno economico sostenuto dalla società del
ricorrente per l'acquisto dei fondi ed il settore turistico-alberghiero in cui la stessa
operava (essendo alla medesima per contro estraneo il settore della
trasformazione di prodotti caseari e zootecnici cui sarebbero dovuti essere
destinati gli "opifici" in costruzione). Oltre agli specifici vizi motivazionali più sopra
evidenziati ed alla erronea applicazione della disposizione incriminatrice, dunque,
in violazione dei principi esposti supra, sub 3, la sentenza impugnata si confronta /
solo in parte con la motivazione del tribunale, giungendo ad affermare che quella
«ricostruzione non convince» (pag. 15) sulla base di una parcellizzata critica di
alcuni soltanto degli elementi addotti nella prima sentenza.
Al proposito, occorre inoltre ribadire che, quando si tratti di compendio
probatorio indiziario - quale in ultima analisi è quello qui rilevante per poter
affermare o negare che la condotta ascritta all'imputato integri il contestato reato
di lottizzazione materiale - il giudice di merito non può limitarsi ad una valutazione
atomistica e parcellizzata degli indizi, né procedere ad una mera sommatoria di
questi ultimi, ma deve, preliminarmente, valutare i singoli elementi indiziari per
verificarne la certezza (nel senso che deve trattarsi di fatti realmente esistenti e
non solo verosimili o supposti) e l'intrinseca valenza dimostrativa (di norma solo
possibilistica), e, successivamente, procedere ad un esame globale degli elementi
certi, per accertare se la relativa ambiguità di ciascuno di essi, isolatamente

15
t/
considerato, possa in una visione unitaria risolversi, consentendo di attribuire il
reato all'imputato al di là di ogni ragionevole dubbio e, cioè, con un alto grado di
credibilità razionale, sussistente anche qualora le ipotesi alternative, pur
astrattamente formulabili, siano prive di qualsiasi concreto riscontro nelle
risultanze processuali ed estranee all'ordine naturale delle cose e della normale
razionalità umana (Sez. 1, n. 8863 del 18/11/2020, dep. 2021, S., Rv. 280605;
Sez. 1, n. 20461 del 12/04/2016, Graziadei, Rv. 266941; Sez. 2, n. 42482 del
19/09/2013, Kuzmanovic, Rv. 256967).

6. Per quanto precede, reputa dunque il Collegio che, limitatamente

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all'assoluzione dell'imputato dal reato di lottizzazione abusiva di cui al capo A, la
sentenza impugnata debba essere annullata. Trattandosi, tuttavia, di reato
prescritto - come detto, già al momento del giudizio d'appello - ai fini penali
l'annullamento va pronunciato senza rinvio per essere il reato estinto per
prescrizione.
Poiché l'impugnazione del Procuratore generale è finalizzata a correggere
l'errore in cui è incorsa la Corte territoriale nel non aver confermato, nonostante
l'intervenuta prescrizione del reato, la confisca dell'area lottizzata e dei manufatti
sulla stessa realizzati quale dal primo giudice disposta, in applicazione dei principi
di diritto più sopra esposti (§§. 2.1 ss.), l'annullamento va invece disposto con
rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo per nuovo giudizio ai soli
effetti della confisca.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al


capo A) dell'imputazione perché lo stesso è estinto per prescrizione e rinvia ad
altra sezione della Corte di appello di Palermo per nuovo giudizio agli effetti della
confisca.
Così deciso il 7 aprile 2022.

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