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14781-18

REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE

Composta da: PUBBLICA UDIENZA


DEL 29/11/2017

ANTONELLA PATRIZIA MAZZEI - Presidente - Sent. n. sez.


1301/2017
ANGELA TARDIO
DOMENICO FIORDALISI - Rel. Consigliere _ REGISTRO GENERALE
N.6891/2017
MICHELE BIANCHI
ROSA ANNA SARACENO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

LENZI MARCO MARIA nato il 28/01/1970 a NAPOLI

avverso la sentenza del 09/12/2016 della CORTE APPELLO di MILANO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;


udita la relazione svolta dal Consigliere DOMENICO FIORDALISI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ANTONIO MURA
ehe 1.4a Getteitizolger

Il P.G. chiede il rigetto del ricorso.


Udito il difensore
L'avvocato VENTURA per la parte civile si associa alle conclusioni del P.G.;
deposita conclusioni e nota spese.
L'avvocato UMILTA' e l'avvocato MARRAPODI chiedono l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1. Lenzi Marco, tramite il proprio difensore, Avvocato Cristina Marrapodi,


ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 8249/16 della Corte di appello di
Milano del 9.12.2016 (depositata il 13.12.2016) con la quale è stata confermata
la sentenza di condanna a dodici anni di reclusione e pene accessorie emessa nei
suoi confronti dal Tribunale di Busto Arsizio, per il delitto di tentato omicidio
(artt. 56 e 575 cod. pen.) della fidanzata Scialpi Raffaella, per averla spinta sul
davanzale di casa al quinto piano di un immobile alto diciotto metri e per averle
fatto oltrepassare la ringhiera del balcone, con un forte schiaffo, omettendo poi
di aiutarla, nonostante le invocazioni della stessa, durante la fase in cui la
vittima rimaneva aggrappata in una situazione precaria e poi precipitava,
riportando lesioni gravi. Fatto avvenuto a Gallarate il 10 aprile 2014.
Col primo motivo, il Lenzi deduce, ai sensi dell'art. 606 lett e) cod. proc.
pen., la contraddittorietà della motivazione, per contrasto con una dichiarazione
contenuta in un atto processuale, laddove a pag. 10 della sentenza si rileva che
la dott.ssa Andrello Luisa avrebbe testimoniato che la ragazza presentava segni
di "afferramento, comprovate dalla rottura delle unghie della mano destra e di
un'unghia della mano sinistra". Dichiarazione che avrebbe indotto la Corte a
ritenere non solo il dato della caduta rasente al muro, ma anche "il tentativo
della Scialpi di rimanere aggrappata alla ringhiera del balcone".
In realtà la Corte sarebbe andata oltre il senso delle parole pronunciate
effettivamente ded teste, dott.ssa Luisa Andrello, la quale all'udienza del 13
gennaio 2016 aveva dichiarato testualmente "che non c'erano unghiature" e che
"le mani erano prive di lesioni"; l'unico dato significativo era "la rottura delle
unghie della mano destra ed una della mano sinistra", fatto che il teste
riconosceva come "possibile conseguenza della caduta" rasente al muro esterno
del palazzo.
La difesa pertanto ritiene che la Corte abbia errato nel ritenere l'avvenuto
tentativo della vittima di rimanere il più possibile aggrappata alla ringhiera del
balcone per non precipitare nel vuoto, perché dal documento peritale
socto,ht".
risulterebbe che "la rottura delle unghie delle mani appaiono anch'esse
compatibili, sebbene, non univocamente, con la caduta al suolo".

2. Con un secondo motivo, il ricorrente deduce la manifesta illogicità della


motivazione emergente dal testo del provvedimento impugnato, anche a seguito
di una errata interpretazione della sentenza di primo grado, in quanto il giudice
di appello avrebbe ravvisato il dolo alternativo (diretto) del tentativo omicidiario

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già nella prima fase della condotta, quella di percosse culminate nello schiaffo,
con il quale la vittima fu scaraventata oltre il parapettoz,\à Lee,o-z c+

A tale azione si legava un'altra condotta di natura questa volta omissiva,


consistita nell'inerzia tenuta dal Lenzi di fronte alla elevata probabilità della
imminente caduta della donna che era rimasta in una situazione precaria, con le
mani aggrappate alla ringhiera e col corpo che penzolava nel vuoto.
Il giudice di primo grado aveva fatto riferimento all'accettazione del rischio
del primo evento, con la seguente frase: "Marco Lenzi si è ben rappresentato i
due eventi
eventi (uccidere o ferire gravemente) ed ha accettato il rischio dell'evento",. ,
così — secondo il ricorrente — la sentenza di primo grado avrebbe lasciato
intendere che il giudice avesse ritenuto la sussistenza del dolo eventuale
(incompatibile col delitto tentato), mentre avrebbe ravvisato il dolo diretto
alternativo solo nella seconda parte della condotta, quella omissiva.
Il giudice di appello — secondo l'interpretazione del ricorrente — per
scongiurare la contraddizione tra dolo eventuale e tentativo insita in siffatta
ricostruzione iniziale, avrebbe ritenuto la sussistenza del "dolo diretto
alternativo" già nella prima fase della condotta, quella attiva, dando
un'interpretazione del termine "rischio", utilizzato dal giudice di primo grado, nel
senso di alta "probabilità dell'evento".
Tale ricostruzione, però, sarebbe in contrasto anche con le risultanze
istruttorie, prima fra tutte, la deposizione fltkic*1j della vittima Raffaella Scialpi,
la quale aveva dichiarato:"non credo che la sua intenzione sia stata quella", "lui
non voleva buttarmi giù".
Sussisterebbe, dunque, una irrisolta incertezza sull'elemento soggettivo del
fatto e la Corte avrebbe fatto cattivo uso al riguardo delle massime di
esperienza.

3. Con un terzo motivo, ai sensi dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., il ricorrente
deduce che vi è contraddittorietà o, alternativamente, manifesta illogicità della
motivazione della sentenza della Corte di merito, per contrasto con la
dichiarazione contenuta in un atto processuale, ed erroneo utilizzo delle massime
di esperienza, laddove il giudizio sulla personalità dell'imputato definita come
"rabbiosa e violenta", è fondata sulla testimonianza della moglie separata dello
stesso, Anna Barbieri, la quale si era limitata a riferire un unico episodio di lite
violenta, nel corso di un non breve rapporto di convivenza.

4. Col quarto motivo, il Lenzi deduce, ai sensi dell'art. 606 lett. e) cod. proc.
pen., mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul trattamento
sanzionatorio, per il diniego delle attenuanti generiche, stante l'asserita "estrema

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gravità del fatto commesso" e la "personalità violenta, brutale, totalmente
insensibile di fronte alla smisurata gravità dell'evento" dell'imputato, nonché per

la sua condotta successiva, senza tener conto della scarsa intensità del dolo pur
costruito come dolo diretto alternativo.
Secondo il ricorrente, il reato in contestazione si inserirebbe nella concitazione
di una estemporanea lite tra persone conviventi, di durata breve.
Il lasso di tempo della condotta, secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez.
1 n. 46258 del 09/11/2012),incide a favore dell'imputato nella commisurazione
della pena.
La precedente condanna per il reato di cui all'art. 483 cod. pen., subita dal
Lel, riguardava una vicenda priva di valenza negativa rispetto al trattamento
sanzionatorio, perché quel fatto rientrava nell'ipotesi successivamente
depenalizzata di cui all'art. 316 ter, secondo comma, cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
1. In ordine al primo motivo, osserva il Collegio che la Corte di merito ha dato
esaustiva e convincente ricostruzione della dinamica dei fatti e la semplice
precisazione della compatibilità delle lesioni alle unghie con una caduta non
immediata, nulla aggiunge o toglie alla situazione nella quale si trovò la Scialpi,
sospesa nel vuoto ed aggrappata alla ringhiera solo con le mani, a causa della
violenza subita ad opera del Lenzi e non indipendentemente da essa, come
ritenuto dal ricorrente.
A convincere i giudici di merito è stato soprattutto il racconto complessivo della
vittima, che ha trovato conferma nella perizia, e che non è stato smentito dalla
lesioni alle unghie con i segni da "afferramento" o dalla caduta dal quinto piano.

2. In ordine al secondo motivo, l'accertamento del dolo ha come oggetto la


rappresentazione e la volontà del fatto materiale tipico in tutti i suoi elementi.
Il giudice di merito è tenuto alla ricostruzione storica delle circostanze che
in concreto costituiscono indicatori del dolo, cioè di quegli elementi che possono
essere espressione degli atteggiamenti psichici o comunque accompagnarli per
essere con essi collegati.
Essi possono essere i più vari, perché il giudizio avviene sulla base delle
comuni massime di esperienza, sicché rilevano le circostanze esterne attinenti
alle modalità della condotta, il comportamento susseguente dell'agente e le
circostanze soggettive come l'interesse al reato e il movente, soprattutto se le
circostanze oggettive non consentono conclusioni univoche.

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La Corte di merito ha svolto con rigore l'accertamento del dolo dell'imputato e
lo ha qualificato come dolo alternativo, in relazione all'evento di omicidio con una
condotta che ha presentato due fasi, che si sono succedute l'una all'altra.
Nella prima fase, l'imputato con una serie di schiaffi e con la forza del proprio
corpo sovrastante (il Lenzi è alto 1,87 cm. e pesante 80 chilogrammi),
scaraventò la Scialpi (alta 1,60 cm., tossicodipendente di 42 chili di peso, già
affetta da patologia sifilitica) oltre la ringhiera, che fungeva da parapetto nel
balcone dell'appartamento al quinto piano dell'edificio, così provocando il
ribaltamento del suo corpo e la gravissima situazione di pericolo per la vita,
perché la Scialpi rimase appesa nel vuoto, afferrandosi in modo precario con le
mani alla ringhiera.
In quelle disperate condizioni, nella seconda fase, la donna, sentendo il
compagno ancora presente nella stanza, lo implorò di soccorrerla e di afferrarla
per non precipitare, ma il Lenzi le rivolse uno "sguardo freddo e cattivo" e le
disse testualmente; "tanto le merde cadono sempre in piedi"; quindi, non
riuscendo da sola a risalire sul balcone, la Scialpi perse la presa e precipitò
schiantandosi al suolo e riportando gravissime lesioni (così la ricostruzione della
dinamica del fatto, operata in sentenza sulla base delle dichiarazioni della
persona offesa).
La Corte di merito ha descritto con cura le due fasi, attribuendo il dolo di
omicidio all'imputato, sulla base della sua condotta e delle parole pronunciate
nell'occorso.
La Corte ha spiegato tutti gli altri aspetti fattuali nei quali maturò la reazione
violenta del Lenzi: la Scialpi aveva ormai scoperto i segni del tradimento del
compagno sulla biancheria intima di questi che, in stato di alterazione per
assunzione di stupefacenti (come risulta a pag. 9 sentenza del Tribunale di Busto
Arsizio), reagì violentemente alle rimostranze della Scialpi, rappresentandosi e
accettando che la stessa precipitasse dal quinto piano a causa delle percosse
inflitte.
L'evento morte per la caduta dal quinto piano si profilò come altamente
probabile, nel corso della condotta aggressiva, stante l'altezza di diciotto metri
dell'edificio, ma ciò non valse a trattenere l'agente che, con condotta commissiva
prima ed omissiva poi, contribuì consapevolmente e volontariamente alla caduta
della vittima, miracolosamente scampata alla morte.
Tale ricostruzione materiale e psicologica del fatto è rispettosa delle
risultanze processuali (in particolare delle dichiarazioni della persona offesa non
contraddetta da altri elementi) e non presenta profili di manifesta illogicità o
contraddittorietà, sicché è insindacabile in questa sede.

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Le diverse frasi: "non credo che la sua intenzione sia stata quella", "lui non
voleva buttarmi giù", pronunciate dalla persona offesa nei giorni successivi al
fatto e in fase di ripresa fisica, costituiscono una valutazione soggettiva della
Scialpi, legata sentimentalmente fino all'ultimo al Lenzi, come in modo
convincente argomenta la Corte di merito, a pag. 16 della sentenza impugnata,e
rafforzano l'attendibilità della prima immediata dichiarazione e il disinteresse
accusatorio della Scialpi.
In particolare, sull'elemento psicologico del reato (pag. 15 della sentenza
impugnata), deve ritenersi corretta ed immune dai vizi denunciati la
ricostruzione fatta dalla Corte in termini di dolo alternativo, perché la condotta
complessivamente tenuta illumina e permette di accertare nella sua progressione
la volontà dell'imputato: chiudere a chiave la stanza per impedire alla donna di
fuggire, riempire di forti schiaffi la giovane compagna malata, di scarso peso,
sovrastandola con la forza del proprio corpo fino a farle oltrepassare la ringhiera
del parapetto del balcone.
Il Lenzi volle la sua caduta per precipitazione e, quindi, alternativamente
l'evento della morte o le gravissime lesioni conseguenti.
In conclusione va affermato il seguente principio di diritto: colui che
determini con la sua condotta consapevole e wintaria una situazione di grave
pericolo per l'altrui incolumità è obbligato a rimuoverla con tutti í mezzi a sua
disposizione, diversamente restando pienamente integrata a suo carico la
causalità materiale e piscologica dell'evento più grave prodotto, ai sensi degli
art. 41, 42 e 43 cod. pen. (in senso conforme, Sez. 4, n. 27591, del 10/01/2013,
Santacroce, Rv. 255452).

3. Il terzo motivo di ricorso appare privo di consistenza, perché la Corte di


merito ha desunto il carattere rabbioso e violento della personalità dell'imputato
non solo dalle circostanze riferite dalla testimone Anna Barbieri, ma da tutti gli
elementi fattuali descritti nei minimi dettagli in sentenza sulla base delle
risultanze istruttorie.

4. Sul trattamento sanzionatorio, legittimo appare il diniego delle attenuanti


generiche e la commisurazione della pena, per il complesso di elementi oggettivi
e soggettivi sopra indicati e richiamati in modo specifico dalla Corte di merito,
mentre appare generica e di merito e, perciò, inammissibile la critica sulla
pregressa inconsistenza della precedente condanna, per il delitto di cui all'art.
483 cod. pen., in assenza di elementi che ne dimostrino la corrispondenza
all'ipotesi depenalizzatalptall'art. 316 ter, secondo comma, cod. pen.

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5. Complessivamente il ricorso deve essere rigettato e l'imputato va condannato
al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese del grado
sostenute dalla parte civile che, in relazione alla difficoltà della causa e alle
questioni trattate, sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e


alla rifusione delle spese del presente grado del giudizio a favore della parte
civile costituita, Scialpi Raffaella, che liquida nella complessiva somma di euro
2.250,00 (duemiladuecentocinquanta/00), oltre rimborso forfettario delle spese
generali, CPA ed IVA, come per legge.

Così deciso il 29/11/2017.

Il Consigliere estensore Il Presidente


Domenico Fiordali si Antone la Mazzei

DEPOSITA-1M
IN CANCELLERIA
—3 APR

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