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REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
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già nella prima fase della condotta, quella di percosse culminate nello schiaffo,
con il quale la vittima fu scaraventata oltre il parapettoz,\à Lee,o-z c+
3. Con un terzo motivo, ai sensi dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., il ricorrente
deduce che vi è contraddittorietà o, alternativamente, manifesta illogicità della
motivazione della sentenza della Corte di merito, per contrasto con la
dichiarazione contenuta in un atto processuale, ed erroneo utilizzo delle massime
di esperienza, laddove il giudizio sulla personalità dell'imputato definita come
"rabbiosa e violenta", è fondata sulla testimonianza della moglie separata dello
stesso, Anna Barbieri, la quale si era limitata a riferire un unico episodio di lite
violenta, nel corso di un non breve rapporto di convivenza.
4. Col quarto motivo, il Lenzi deduce, ai sensi dell'art. 606 lett. e) cod. proc.
pen., mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul trattamento
sanzionatorio, per il diniego delle attenuanti generiche, stante l'asserita "estrema
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gravità del fatto commesso" e la "personalità violenta, brutale, totalmente
insensibile di fronte alla smisurata gravità dell'evento" dell'imputato, nonché per
la sua condotta successiva, senza tener conto della scarsa intensità del dolo pur
costruito come dolo diretto alternativo.
Secondo il ricorrente, il reato in contestazione si inserirebbe nella concitazione
di una estemporanea lite tra persone conviventi, di durata breve.
Il lasso di tempo della condotta, secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez.
1 n. 46258 del 09/11/2012),incide a favore dell'imputato nella commisurazione
della pena.
La precedente condanna per il reato di cui all'art. 483 cod. pen., subita dal
Lel, riguardava una vicenda priva di valenza negativa rispetto al trattamento
sanzionatorio, perché quel fatto rientrava nell'ipotesi successivamente
depenalizzata di cui all'art. 316 ter, secondo comma, cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. In ordine al primo motivo, osserva il Collegio che la Corte di merito ha dato
esaustiva e convincente ricostruzione della dinamica dei fatti e la semplice
precisazione della compatibilità delle lesioni alle unghie con una caduta non
immediata, nulla aggiunge o toglie alla situazione nella quale si trovò la Scialpi,
sospesa nel vuoto ed aggrappata alla ringhiera solo con le mani, a causa della
violenza subita ad opera del Lenzi e non indipendentemente da essa, come
ritenuto dal ricorrente.
A convincere i giudici di merito è stato soprattutto il racconto complessivo della
vittima, che ha trovato conferma nella perizia, e che non è stato smentito dalla
lesioni alle unghie con i segni da "afferramento" o dalla caduta dal quinto piano.
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La Corte di merito ha svolto con rigore l'accertamento del dolo dell'imputato e
lo ha qualificato come dolo alternativo, in relazione all'evento di omicidio con una
condotta che ha presentato due fasi, che si sono succedute l'una all'altra.
Nella prima fase, l'imputato con una serie di schiaffi e con la forza del proprio
corpo sovrastante (il Lenzi è alto 1,87 cm. e pesante 80 chilogrammi),
scaraventò la Scialpi (alta 1,60 cm., tossicodipendente di 42 chili di peso, già
affetta da patologia sifilitica) oltre la ringhiera, che fungeva da parapetto nel
balcone dell'appartamento al quinto piano dell'edificio, così provocando il
ribaltamento del suo corpo e la gravissima situazione di pericolo per la vita,
perché la Scialpi rimase appesa nel vuoto, afferrandosi in modo precario con le
mani alla ringhiera.
In quelle disperate condizioni, nella seconda fase, la donna, sentendo il
compagno ancora presente nella stanza, lo implorò di soccorrerla e di afferrarla
per non precipitare, ma il Lenzi le rivolse uno "sguardo freddo e cattivo" e le
disse testualmente; "tanto le merde cadono sempre in piedi"; quindi, non
riuscendo da sola a risalire sul balcone, la Scialpi perse la presa e precipitò
schiantandosi al suolo e riportando gravissime lesioni (così la ricostruzione della
dinamica del fatto, operata in sentenza sulla base delle dichiarazioni della
persona offesa).
La Corte di merito ha descritto con cura le due fasi, attribuendo il dolo di
omicidio all'imputato, sulla base della sua condotta e delle parole pronunciate
nell'occorso.
La Corte ha spiegato tutti gli altri aspetti fattuali nei quali maturò la reazione
violenta del Lenzi: la Scialpi aveva ormai scoperto i segni del tradimento del
compagno sulla biancheria intima di questi che, in stato di alterazione per
assunzione di stupefacenti (come risulta a pag. 9 sentenza del Tribunale di Busto
Arsizio), reagì violentemente alle rimostranze della Scialpi, rappresentandosi e
accettando che la stessa precipitasse dal quinto piano a causa delle percosse
inflitte.
L'evento morte per la caduta dal quinto piano si profilò come altamente
probabile, nel corso della condotta aggressiva, stante l'altezza di diciotto metri
dell'edificio, ma ciò non valse a trattenere l'agente che, con condotta commissiva
prima ed omissiva poi, contribuì consapevolmente e volontariamente alla caduta
della vittima, miracolosamente scampata alla morte.
Tale ricostruzione materiale e psicologica del fatto è rispettosa delle
risultanze processuali (in particolare delle dichiarazioni della persona offesa non
contraddetta da altri elementi) e non presenta profili di manifesta illogicità o
contraddittorietà, sicché è insindacabile in questa sede.
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Le diverse frasi: "non credo che la sua intenzione sia stata quella", "lui non
voleva buttarmi giù", pronunciate dalla persona offesa nei giorni successivi al
fatto e in fase di ripresa fisica, costituiscono una valutazione soggettiva della
Scialpi, legata sentimentalmente fino all'ultimo al Lenzi, come in modo
convincente argomenta la Corte di merito, a pag. 16 della sentenza impugnata,e
rafforzano l'attendibilità della prima immediata dichiarazione e il disinteresse
accusatorio della Scialpi.
In particolare, sull'elemento psicologico del reato (pag. 15 della sentenza
impugnata), deve ritenersi corretta ed immune dai vizi denunciati la
ricostruzione fatta dalla Corte in termini di dolo alternativo, perché la condotta
complessivamente tenuta illumina e permette di accertare nella sua progressione
la volontà dell'imputato: chiudere a chiave la stanza per impedire alla donna di
fuggire, riempire di forti schiaffi la giovane compagna malata, di scarso peso,
sovrastandola con la forza del proprio corpo fino a farle oltrepassare la ringhiera
del parapetto del balcone.
Il Lenzi volle la sua caduta per precipitazione e, quindi, alternativamente
l'evento della morte o le gravissime lesioni conseguenti.
In conclusione va affermato il seguente principio di diritto: colui che
determini con la sua condotta consapevole e wintaria una situazione di grave
pericolo per l'altrui incolumità è obbligato a rimuoverla con tutti í mezzi a sua
disposizione, diversamente restando pienamente integrata a suo carico la
causalità materiale e piscologica dell'evento più grave prodotto, ai sensi degli
art. 41, 42 e 43 cod. pen. (in senso conforme, Sez. 4, n. 27591, del 10/01/2013,
Santacroce, Rv. 255452).
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5. Complessivamente il ricorso deve essere rigettato e l'imputato va condannato
al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese del grado
sostenute dalla parte civile che, in relazione alla difficoltà della causa e alle
questioni trattate, sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
DEPOSITA-1M
IN CANCELLERIA
—3 APR